Книга - La Marcia Dei Re

a
A

La Marcia Dei Re
Morgan Rice


L’Anello Dello Stregone #2
"Una nuova serie di fantasy epico mozzafiato. Morgan Rice ripete limpresa! Questa magica saga ricorda il meglio di J.K. Rowling, George R.R. Martin, Rick Riordan, Christopher Paolini e J.R.R. Tolkien. Non ero in grado di chiudere il libro!" --Allegra Skye, autore del bestseller SAVED LA MARCIA DEI RE ci porta avanti lungo il viaggio epico di Thor nellumanità, mentre inizia a capire di più su se stesso e sui suoi poteri, intraprendendo la sua carriera da guerriero. Dopo essere fuggito dalle segrete, Thor è sconvolto dal sentire di un altro tentativo di assassinio contro Re MacGil. Quando MacGil muore, il regno è in pieno subbiglio. Mentre tutti competono per ottenere il trono, la Corte del Re è più occupata che mai con i suoi drammi familiari, lotte di potere, ambizioni, gelosia, violenza e tradimento. È necessario che un erede venga scelto tra i figli, e lantica Spada della Dinastia, la fonte di tutto il loro potere, avrà unaltra occasione di essere sollevata da un nuovo pretendente. Ma tutto viene ribaltato: viene rinvenuta larma del delitto e il cappio si stringe attorno alla ricerca dellassassino. Allo stesso tempo i MacGil devono affrontare una nuova minaccia da parte dei McCloud, che sono già pronti ad attaccare di nuovo dallinterno dellAnello. Thor lotta per riconquistare lamore di Gwendolyn, ma purtroppo non cè tempo: è obbligato a fare i bagagli e prepararsi con i suoi compagni darmi per il Cento, un centinaio di estenuanti giornate dinferno alle quali i membri della Legione devono sopravvivere. La Legione dovrà oltrepassare il Canyon andando al di là della protezione dellAnello, addentrandosi nelle Terre Selvagge e salpando attraverso il Mar Tartuvio verso lIsola della Nebbia, che si dice sia sorvegliata da un drago. Questa sarà la loro iniziazione per diventare uomini. Ce la faranno a tornare? LAnello sopravviverà durante la loro assenza? E Thor capirà finalmente il segreto del suo destino? Con la sua sofisticata strutturazione del mondo e la sua caratterizzazione dei personaggi, LA MARCIA DEI RE è un racconto epico di amici e innamorati, di rivali e saguaci, di cavalieri e draghi, di intrighi e macchinazioni politiche, di crescita, di cuori spezzati, di inganno, ambizione e tradimento. È un racconto di onore e coraggio, di fato e destino, di stregoneria. È un fantasy capace di trasportarci in un mondo che non dimenticheremo mai, e che affascinerà ogni età e ogni genere di persona. È un libro di 60.000 parole. Della stessa serie sono anche già stati pubblicati i libri dal 3 al 12.







La Marcia dei re



(libro #2 in l’anello dello stregone)



Morgan Rice



Versione italiana a cura di



Annalisa lovat


Chi è Morgan Rice



Morgan è anche l’autrice della serie fantasy epica campione d’incassi L’ANELLO DELLO STREGONE, che comprende al momento dieci libri.



Morgan Rice è anche autrice best-seller di APPUNTI DI UN VAMPIRO, una serie per ragazzi che comprende al momento dieci libri e che è stata tradotta in sei lingue.



Morgan è anche autrice dei best-seller ARENA ONE e ARENA TWO, i primi due libri di THE SURVIVAL TRILOGY, un thriller d’azione post-apocalittico ambientato nel futuro.

Morgan ama ricevere i vostri commenti, quindi sentitevi liberi di visitare il sito www.morganricebooks.com (http://www.morganricebooks.com) per rimanere in contatto con lei.


Cosa hanno detto di Morgan Rice



“Rice fa un bel lavoro nel trascinarvi nella storia fin dall’inizio, utilizzando una grande qualità descrittiva che trascende la mera colorazione d’ambiente… Ben scritto ed estremamente veloce da leggere…”

--Black Lagoon Reviews (parlando di Tramutata)



“Una storia perfetta per giovani lettori. Morgan Rice ha fatto un lavoro eccellente creando un intreccio interessante … TURNED è rinvigorente e unico, possiede i classici elementi che si ritrovano in molte storie paranormali per ragazzi. TURNED è di facile lettura, ma estremamente veloce e incalzante… Lo raccomando a chiunque ami leggere piacevoli romanzi paranormali. Classificato PG.”

--The Romance Reviews (parlando di Tramutata)



“Mi ha preso fin dall’inizio e non ho più potuto smettere…. Questa storia è un’avventura sorprendente, incalzante e piena d’azione fin dalle prime pagine. Non esistono momenti morti.”

--Paranormal Romance Guild {parlando di Tramutata }



“Pieno zeppo di azione, intreccio, avventura e suspense. Mettete le vostre mani su questo libro e preparatevi a continuare ad innamorarvi”

--vampirebooksite.com (parlando di Tramutata)



“Un grande intreccio: questo è proprio il genere di libro che farete fatica a mettere giù la sera. Il finale lascia con il fiato sospeso ed è così spettacolare che vorrete immediatamente acquistare il prossimo libro, almeno per sapere cosa succede in seguito.”

--The Dallas Examiner {parlando di Amata}



“È un libro che può competere con TWILIGHT e DIARI DI UN VAMPIRO, uno di quelli che vi vedrà desiderosi di continuare a leggere fino all’ultima pagina! Se siete tipi da avventura, amore e vampiri, questo è il libro che fa per voi!”

--Vampirebooksite.com {parlando di Tramutata}



“Morgan Rice dà nuovamente prova di essere una narratrice di talento… Questo libro affascinerà una vasta gamma di lettori, compresi i più giovani fan del genere vampiresco/fantasy. Il finale mozzafiato vi lascerà a bocca aperta.”

--The Romance Reviews {parlando di Amata}


Libri di Morgan Rice



L’ANELLO DELLO STREGONE

UN’IMPRESA DA EROI (Libro #1)

LA MARCIA DEI Re (Libro #2)

IL BANCHETTO DEI DRAGHI (Libro #3)

A CLASH OF HONOR (Libro #4)

A VOW OF GLORY (Libro #5)

A CHARGE OF VALOR (Libro #6)

A RITE OF SWORDS (Libro #7)

A GRANT OF ARMS (Libro #8)

A SKY OF SPELLS (Libro #9)

A SEA OF SHIELDS (Libro #10)



THE SURVIVAL TRILOGY

ARENA ONE: SLAVERSUNNERS (Libro #1)

ARENA TWO (Libro #2)



APPUNTI DI UN VAMPIRO

TRAMUTATA (Libro #1)

AMATA (Libro #2)

TRADITA (Libro #3)

DESTINED (Libro #4)

DESIRED (Libro #5)

BETROTHED (Libro #6)

VOWED (Libro #7)

FOUND (Libro #8)

RESURRECTED (Libro #9)

CRAVED (Libro #10)











(http://www.amazon.com/Quest-Heroes-Book-Sorcerers-Ring/dp/B00F9VJRXG/ref=la_B004KYW5SW_1_13_title_0_main?s=books&ie=UTF8&qid=1379619328&sr=1-13)

Ascoltate (http://www.amazon.com/Quest-Heroes-Book-Sorcerers-Ring/dp/B00F9VJRXG/ref=la_B004KYW5SW_1_13_title_0_main?s=books&ie=UTF8&qid=1379619328&sr=1-13) la serie L’ANELLO DELLO STREGONE in format audio-libro!



Ora disponibile su:

Amazon (http://www.amazon.com/Quest-Heroes-Book-Sorcerers-Ring/dp/B00F9VJRXG/ref=la_B004KYW5SW_1_13_title_0_main?s=books&ie=UTF8&qid=1379619328&sr=1-13)

Audible (http://www.audible.com/pd/Sci-Fi-Fantasy/A-Quest-of-Heroes-Audiobook/B00F9DZV3Y/ref=sr_1_3?qid=1379619215&sr=1-3)

iTunes (https://itunes.apple.com/us/audiobook/quest-heroes-book-1-in-sorcerers/id710447409)


Copyright © 2013 by Morgan Rice



All rights reserved. Except as permitted under the U.S. Copyright Act of 1976, no part of this publication may be reproduced, distributed or transmitted in any form or by any means, or stored in a database or retrieval system, without the prior permission of the author.



This ebook is licensed for your personal enjoyment only. This ebook may not be re-sold or given away to other people. If you would like to share this book with another person, please purchase an additional copy for each recipient. If you’re reading this book and did not purchase it, or it was not purchased for your use only, then please return it and purchase your own copy. Thank you for respecting the hard work of this author.



This is a work of fiction. Names, characters, businesses, organizations, places, events, and incidents either are the product of the author’s imagination or are used fictionally. Any resemblance to actual persons, living or dead, is entirely coincidental.


INDICE



CAPITOLO UNO (#ub1adb4b2-8356-53fc-9514-bb3b25e1ac97)

CAPITOLO DUE (#u9e8ff0cc-c5be-5f0f-8e22-c53b60291616)

CAPITOLO TRE (#u9db8a962-a248-5e90-98be-dcbb81259937)

CAPITOLO QUATTRO (#u34705024-479b-5521-8cd0-4c4061ad55c0)

CAPITOLO CINQUE (#ued682a78-6403-5fd8-8bd1-eec0236dd67c)

CAPITOLO SEI (#udd698996-e223-5767-8172-bb0b11eec522)

CAPITOLO SETTE (#litres_trial_promo)

CAPITOLO OTTO (#litres_trial_promo)

CAPITOLO NOVE (#litres_trial_promo)

CAPITOLO DIECI (#litres_trial_promo)

CAPITOLO UNDICI (#litres_trial_promo)

CAPITOLO DODICI (#litres_trial_promo)

CAPITOLO TREDICI (#litres_trial_promo)

CAPITOLO QUATTORDICI (#litres_trial_promo)

CAPITOLO QUINDICI (#litres_trial_promo)

CAPITOLO SEDICI (#litres_trial_promo)

CAPITOLO DICISSETTE (#litres_trial_promo)

CAPITOLO DICIOTTO (#litres_trial_promo)

CAPITOLO DICIANNOVE (#litres_trial_promo)

CAPITOLO VENTI (#litres_trial_promo)

CAPITOLO VENTUNO (#litres_trial_promo)

CAPITOLO VENTIDUE (#litres_trial_promo)


“È un pugnale ch'io vedo innanzi a me

col manico rivolto alla mia mano?...

Qua, ch'io t'afferri!...No, non t'ho afferrato...”

—William Shakespeare

Macbeth




CAPITOLO UNO


Re MacGil tornò incespicando fino alla propria stanza: aveva bevuto un po’ troppo. La stanza girava e la testa gli esplodeva per gli esagerati festeggiamenti della serata. Una donna di cui non conosceva il nome gli stava appesa al fianco, avvinghiata con un braccio attorno alla sua vita, mezza svestita, e lo conduceva ridacchiando verso il letto. Due servitori chiusero la porta alle loro spalle e si dileguarono con discrezione.

MacGil non sapeva dove fosse la sua regina, e per quella notte non gli importava. Ormai da tempo era raro che condividessero il letto: lei si ritirava spesso nella propria stanza, soprattutto in serate di festa, quando la cena durava troppo. Era al corrente delle debolezze di suo marito, ma non sembrava curarsene. Del resto era un Re, e i Re del ceppo MacGil avevano sempre comandata di diritto.

Ma mentre MacGil si dirigeva verso il letto la stanza continuava a ruotare troppo violentemente, e lui di colpo si scrollò la donna di dosso. Non era più dell’umore giusto per cose del genere.

“Vattene!” le ordinò, e la spinse via.

La donna rimase lì in piedi, stupefatta e ferita. La porta si aprì e i servitori tornarono, ognuno la afferrò per un braccio e insieme la condussero fuori. Lei protestò, ma le sue grida si smorzarono quando la porta venne richiusa dietro di lei.

MacGil si sedette sul bordo del letto e appoggiò la testa fra le mani, cercando di frenare quell’emicrania. Era insolito che gli venisse mal di testa così presto, prima ancora che le bevande fossero esaurite, ma quella sera era diverso. Era cambiato tutto così in fretta. La festa stava andando così bene: si era sistemato con della buona carne di prima scelta nel piatto e un vino forte, quando quel ragazzo, Thor, era arrivato a rovinare tutto. Prima la sua intromissione con quello stupido sogno; poi la sua audacia nel fargli cadere il calice dalle mani con un colpo.

Poi era arrivato quel cane che aveva leccato tutto dal pavimento, cadendo poi morto di fronte a tutti. MacGil ne era ancora scosso. La consapevolezza di ciò che era accaduto lo aveva colpito come una martellata: qualcuno aveva tentato di avvelenarlo. Di assassinarlo. Riusciva a malapena a farsene una ragione. Qualcuno aveva eluso la sorveglianza delle guardie e dei suoi assaggiatori di cibo e vino. Era stato ad un soffio dalla morte e la cosa lo scioccava ancora.

Ricordò come Thor era stato portato alle segrete e si stava ancora chiedendo se fosse stato l’ordine giusto da dare. Da una parte, ovviamente, non c’era modo che il ragazzo potesse sapere che il calice conteneva del veleno, a meno che non ve l’avesse messo lui stesso o fosse in qualche modo coinvolto nel crimine. Dall’altra parte sapeva che Thor possedeva profondi e misteriosi poteri – troppo misteriosi – e forse aveva detto la verità: forse aveva effettivamente avuto una visione nel suo sogno. Forse Thor gli aveva veramente salvato la vita e quindi MacGil aveva mandato in prigione l’unica persona realmente leale.

La testa di MacGil iniziò a battere ancora più forte a quel pensiero, mentre stava lì seduto strofinandosi la fronte troppo segnata dalle rughe e cercando di trovare una soluzione a tutto. Ma aveva bevuto troppo quella sera, la sua mente era troppo annebbiata, i suoi pensieri vorticavano e non riusciva a trovare una via d’uscita da quell’intricata situazione. Là dentro faceva troppo caldo, era un’afosa notte estiva, aveva il corpo surriscaldato da ore spese a mangiare e a bere e stava sudando.

Si tolse il mantello e lo gettò, poi si levò la tunica e rimase con nient’altro che la camicia addosso. Si asciugò il sudore dalla fronte e poi dalla barba. Si chinò e si tirò via i grandi e pesanti stivali, uno alla volta, sgranchendo le dita dei piedi quando le sentì libere a contatto con l’aria. Rimase lì seduto e respirò a fondo, cercando di recuperare l’equilibrio. La pancia gli si era gonfiata e gli pesava. Buttò le gambe in avanti e si lasciò cadere sulla schiena, appoggiando la testa sul cuscino. Sospirò e sollevò lo sguardo oltre il baldacchino, verso il soffitto, desiderando che la stanza smettesse di ruotare.

Chi potrebbe volermi morto? continuava a chiedersi. Aveva amato Thor come un figlio e una parte di sé sentiva che non poteva essere lui. Si chiese di chi altri si potesse trattare, che motivo ci potesse essere, e soprattutto se avrebbero ritentato. Era al sicuro? Era vero quello che gli aveva detto Argon?

MacGil sentì che le palpebre gli si stavano facendo pesanti e percepiva che la risposta si trovava appena fuori dal raggio d’azione della sua mente. Se i suoi pensieri fossero stati giusto un po’ più chiari, forse avrebbe capito tutto. Ma avrebbe dovuto aspettare la luce del giorno per convocare i suoi consiglieri, per aprire un’indagine. La domanda che aveva in mente non era chi lo volesse morto, piuttosto chi non lo volesse morto. La corte era piena zeppa di persone che bramavano il suo trono. Generali ambiziosi, membri del consiglio che agivano da abili manovratori, nobili e lord assetati di potere, spie, vecchi rivali, assassini mandati dai McCloud, e forse anche dalle Terre Selvagge. O forse qualcuno di ancora più vicino.

MacGil sbatté gli occhi mentre iniziava ad addormentarsi, ma qualcosa colpì la sua attenzione e questo bastò a non farglieli chiudere. Scorse del movimento, quindi si guardò in giro e si accorse che i suoi servitori non erano lì. Sbatté le palpebre confuso. I suoi servitori non lo lasciavano mai. In effetti non ricordava l’ultima volta che era rimasto solo in quella stanza. Non ricordava di aver ordinato loro di andarsene. Addirittura più strano: la porta era spalancata.

Proprio in quell’istante MacGil udì un rumore provenire dall’estremità opposta della stanza e si voltò a guardare. Lì qualcuno strisciava contro la parete fino ad emergere dall’ombra avanzando nella luce delle torce: era un uomo alto e magro che indossava un mantello nero con un cappuccio che gli copriva il volto. MacGil sbatté le palpebre diverse volte, chiedendosi se lo stesse veramente vedendo. All’inizio fu certo che si trattasse semplicemente delle ombre e della tremolante luce delle torce che giocava degli scherzi ai suoi occhi.

Ma un attimo dopo quella figura si era avvicinata di diversi passi e si stava dirigendo velocemente verso il suo letto. MacGil cercò di mettere a fuoco l’immagine in quella poca luce per capire di cosa si trattasse; iniziò istintivamente a tirarsi su a sedere e da esperto guerriero portò subito la mano alla vita cercando una spada, o almeno un pugnale. Ma si era spogliato e non c’erano armi da impugnare. Rimase seduto sul suo letto, disarmato.

La figura ora si muoveva rapidamente, come un serpente nella notte, avvicinandosi sempre di più, e mentre MacGil si sedeva, riuscì a dare un’occhiata al suo volto. La stanza stava ancora ruotando e l’oscurità gli impediva di capire chiaramente, ma per un momento avrebbe potuto giurare che sotto quel cappuccio ci fosse il volto di suo figlio.

Gareth?

Il cuore di MacGil venne sommerso da un’improvvisa ondata di panico mentre si chiedeva cosa diavolo ci facesse lì, senza essersi fatto annunciare, così tardi nella notte.

“Figlio?” chiamò.

MacGil vide l’intento di morte nei suoi occhi e questo gli bastò: si preparò a balzare dal letto.

Ma l’altro si muoveva troppo velocemente. Scattò in azione, e prima che MacGil potesse alzare una mano per difendersi, alla luce della torcia baluginò un riflesso metallico e subito, troppo in fretta, una lama fendette l’aria e gli affondò nel cuore.

MacGil gridò, un profondo e lugubre grido d’angoscia, e il suono della sua voce sorprese lui stesso. Era un grido di battaglia, del genere che aveva udito troppe volte. Era il grido di un guerriero ferito a morte.

MacGil sentì il metallo freddo che gli si infilava tra le costole, trapassandogli il muscolo e mescolandosi con il suo sangue. La lama veniva spinta a fondo, sempre più a fondo. Era il dolore più intenso che avesse mai immaginato: sembrava penetrargli nel corpo all’infinito. Sussultò con forza e sentì il sangue caldo e salato che gli riempiva la bocca, sentì l’intensità del proprio respiro che accelerava. Si sforzò di sollevare lo sguardo davanti a quel volto che si nascondeva sotto il cappuccio. Si sorprese: si era sbagliato. Non era il viso di suo figlio. Era qualcun altro. Qualcuno che riconobbe. Non riuscì a ricordare chi fosse, ma era qualcuno della sua cerchia. Qualcuno che assomigliava a suo figlio.

La sua mente brancolò nella confusione mentre tentava di dare un nome a quella faccia.

Mentre quella figura stava in piedi sopra di lui, tenendo saldo il pugnale, MacGil in qualche modo riuscì a sollevare una mano e premerla sulla spalla dell’uomo, nel tentativo di fermarlo. Sentì esplodere in sé la forza del vecchio guerriero, la forza dei suoi antenati. Percepì quella parte di sé per cui era Re e per cui non si sarebbe arreso. Con una spinta fortissima riuscì a spingere indietro il suo assassino.

L’uomo era magro, più fragile di quanto MacGil pensasse, e incespicò indietro con un grido, attraversando la stanza. MacGil riuscì ad alzarsi e, con sforzo estremo, si estrasse il coltello dal petto. Lo gettò attraverso la stanza mandandolo a colpire il pavimento di pietra con un clangore metallico: l’arma scivolò sul pavimento fino ad andare a sbattere contro la parete lontana.

L’uomo, il cui cappuccio era ricaduto sulle spalle, balzò in piedi e lo fissò con gli occhi sgranati per la paura mentre MacGil avanzava verso di lui. L’uomo si voltò e iniziò a correre, fermandosi solo per recuperare il coltello prima di darsela a gambe.

MacGil tentò di inseguirlo, ma l’uomo era troppo veloce e improvvisamente il dolore crebbe, trafiggendogli il petto. Si sentì debole.

Rimase lì in piedi, solo nella stanza, e guardò in basso il sangue che gli usciva dal petto bagnadogli il palmo della mano. Crollò in ginocchio.

Sentiva freddo, si chinò in avanti e cercò di chiamare aiuto.

“Guardie,” disse debolmente.

Fece un respiro profondo e con suprema agonia riuscì a raccogliere la sua voce più profonda. La voce del Re di un tempo.

“GUARDIE!” gridò.

Udì dei passi che provenivano da qualche lontano corridoio e che lentamente si avvicinavano. Sentì una porta che si apriva in lontananza, percepì dei corpi che gli si avvicinavano. Ma la stanza iniziò di nuovo a ruotare, e questa volta non certo per il bere.

L’ultima cosa che vide fu il freddo pavimento di pietra che saliva verso di lui per schiantarsi contro il suo volto.




CAPITOLO DUE


Thor afferrò la maniglia di ferro dell’enorme porta in legno che gli stava davanti e tirò con tutte le sue forze. Questa si aprì lentamente, scricchiolando e svelandogli la camera del Re. Fece un passo avanti, sentendo i peli rizzarsi sulle braccia mentre attraversava la soglia. Percepiva una densa oscurità in quel luogo, sospesa nell’aria come una sorta di nebbia.

Thor avanzò di parecchi passi nella stanza, udendo il crepitio delle torce appese ai muri mentre si dirigeva verso un corpo che si trovava a terra, accasciato. Aveva già il presentimento che si trattasse del Re, che fosse stato assassinato e che lui, Thor, fosse quindi arrivato troppo tardi. Non poteva fare a meno di chiedersi dove fossero tutte le guardie, perché nessuno fosse lì per salvare il sovrano.

Le ginocchia gli si fecero più molli mentre compiva gli ultimi passi verso il corpo. Si inginocchiò sulla pietra, afferrò la spalla già fredda e girò il corpo.

Lì giaceva MacGil, il suo Re, steso con gli occhi aperti, morto.

Thor sollevò lo sguardo e improvvisamente vide un servitore del Re stargli vicino. Reggeva in mano un grande calice ricoperto di pietre preziose, lo stesso che – Thor lo riconobbe – aveva visto alla festa, fatto di oro massiccio e tempestato da file di rubini e zaffiri. Mentre guardava Thor, il servitore ne versò lentamente il contenuto sul petto del Re. Il vino rimbalzò e schizzò completamente sul volto di Thor.

Thor udì uno stridio e voltandosi vide il suo falco, Estofele, appollaiato sulla spalla del Re a leccare il vino dalla sua guancia.

Sentì poi un rumore e si voltò dall’altra parte: lì di fronte a lui c’era Argon che lo guardava severamente. In una mano teneva la corona, luccicante. Nell’altra il suo bastone.

Argon avanzò e pose la corona saldamente sulla testa di Thor. Thor ne sentì il peso, la sua circonferenza calzargli perfettamente attorno alla testa, comoda, il metallo che gli cingeva le tempie. Sollevò lo sguardo interrogativo verso Argon.

“Sei tu il Re adesso,” sentenziò lui.

Thor sbatté le palpebre, e quando riaprì gli occhi di fronte a lui si trovavano tutti i membri della Legione, dell’Argento, centinai di uomini e ragazzi accalcati nella stanza, tutti con gli occhi puntati su di lui. Tutti insieme si inginocchiarono, si inchinarono di fronte a lui, i volti a pochi centimetri da terra.

“Nostro Re,” disse un coro di voci.

Thor si svegliò di soprassalto. Si mise a sedere con il fiato lungo e guardandosi attorno. Era buio là dentro, e umido. Capì che si trovava seduto su un pavimento di pietra con la schiena alla parete. Strizzò gli occhi nell’oscurità, vide delle sbarre di ferro in lontananza e al di là il bagliore di una torcia. Poi ricordò: le segrete. Lo avevano trascinato laggiù dopo a festa.

Ricordava quella guardia che l’aveva colpito con un pugno in faccia, e comprese che doveva essere rimasto privo di conoscenza per chissà quanto tempo. Rimase seduto, respirando affannosamente e cercando di eliminare quell’orribile sogno. Era sembrato così reale. Pregò perché non fosse vero, che il Re non fosse realmente morto. Quell’immagine del Re morto era stampata nella sua mente. Aveva veramente avuto la visione di qualcosa? O era tutto semplicemente frutto della sua immaginazione?

Thor sentì un calcio contro la pianta del piede, e alzando lo sguardo vide una figura in piedi accanto a lui.

“Era ora che ti svegliassi,” disse una voce. “Sono ore che aspetto.”

Nella luce soffusa Thor scorse il volto di un ragazzo, probabilmente della sua età. Era magro e basso, con guance scavate e la pelle butterata; ciononostante sembrava che qualcosa di gentile e intelligente brillasse nei suoi occhi verdi.

“Sono Merek,” disse. “Il tuo compagno di cella. Perché ti hanno sbattuto dentro?”

Thor restava seduto e cercava di mantenere la concentrazione su di lui. Si appoggiò con la schiena alla parete, si passò le mani tra i capelli e tentò di ricordare, di rimettere insieme i pezzi.

“Dicono che hai cercato di uccidere il Re,” continuò Merek.

“È vero, ha tentato di ucciderlo e noi lo faremo a pezzi se mai verrà fuori da quelle sbarre,” ringhiò una voce.

Un frastuono metallico eruppe, generato da tazze di latta che sbattevano contro le sbarre, e Thor vide che l’intero corridoio era pieno di celle dove si trovavano prigionieri il cui aspetto appariva grottesco nel baluginio delle torce, e che ghignavano rivolti a lui. La maggior parte aveva la barba incolta e parecchi denti mancanti, e di alcuni si sarebbe potuto dire che si trovavano lì sotto da anni. Era una vista orribile e Thor si sforzò di distogliere lo sguardo. Era veramente là sotto? Sarebbe rimasto bloccato lì, con quella gente, per sempre?

“Non preoccuparti di loro,” disse Merek. “Ci siamo solo tu e io in questa cella. Loro non ci possono entrare. E a me non può fregare di meno se hai avvelenato o no il Re. Lo vorrei avvelenare io stesso.”

“Non ho avvelenato il Re,” disse Thor indignato. “Non ho avvelenato nessuno. Stavo cercando di salvarlo. Tutto quello che ho fatto è stato sbattere a terra il suo calice.”

“E come facevi a sapere che il calice era avvelenato?” gridò una voce dal fondo del corridoio. “Magia, suppongo.”

Poi giunse un coro di risate ciniche che animarono tutte le celle.

“È un sensitivo!” gridò uno dei prigionieri con tono canzonatorio.

Gli altri risero.

“No, ha solo indovinato per fortuna!” tuonò un’altra voce, per ulteriore gioia degli altri.

Thor si accigliò, risentito per quelle accuse e desideroso di dar loro il benservito. Ma sapeva che sarebbe stato uno spreco di tempo. E inoltre non aveva i mezzi per difendersi contro quei malviventi.

Merek lo studiò, con sguardo che non era scettico quanto quello degli altri. Sembrava fosse dibattuto.

“Io ti credo,” disse sottovoce.

“Davvero?” gli chiese Thor.

Merek scrollò le spalle.

“Del resto, se veramente avessi avuto l’intenzione di avvelenare il Re, saresti stato poi così stupido da farglielo sapere?”

Merek si voltò e si allontanò di qualche passo verso la sua parte di cella, si appoggiò alla parete e si sedette guardando Thor.

Ora Thor era curioso.

“E tu per cosa sei dentro?” chiese.

“Sono un ladro,” rispose Merek con un certo orgoglio.

Thor rimase sconcertato: prima d’ora non si era mai trovato di fronte a un ladro, di fronte a un vero ladro. Lui stesso non aveva mai neanche avuto il pensiero di rubare, e si era sempre stupito del fatto che qualcuno lo facesse.

“Perché lo facevi?” chiese Thor.

Merek scrollò le spalle.

“La mia famiglia non ha cibo. Dovevamo mangiare. Io non ho avuto nessuna educazione e non mi è stato insegnato nessun mestiere. So solo rubare. Niente di grosso. Per lo più roba da mangiare. Qualsiasi cosa utile per farli sopravvivere. Sono andato avanti così per anni. Poi mi hanno beccato. A dire il vero questa è la terza volta che mi prendono. La terza volta è la peggiore.”

“Perché?” gli chiese Thor.

Merek rimase in silenzio, poi scosse lentamente la testa. Thor poté vedere che gli occhi gli si riempivano di lacrime.

“La legge del Re è severa. Non ci sono eccezioni. Alla terza offesa ti tagliano una mano.”

Thor era disgustato. Guardò le mani di Merek: erano entrambe lì.

“Non sono ancora venuti da me,” disse Merek. “Ma lo faranno.”

Thor provò immensa pietà. Merek distolse lo sguardo e anche Thor guardò da un’altra parte, cercando di non pensarci.

Thor si prese la testa, che gli faceva male da morire, fra le mani e cercò di dare ordine ai propri pensieri. Gli ultimi giorni gli ruotavano in mente come un vortice, tante erano le cose che erano accadute così in fretta. Da una parte provava un senso di vittoria e di discolpa: aveva visto il futuro, aveva previsto l’avvelenamento di MacGil e lo aveva salvato. Forse il fato, dopotutto, poteva essere modificato, era possibile piegare il destino. Thor si sentiva orgoglioso: aveva salvato il Re.

Dall’altra parte, eccolo lì, nelle segrete, incapace di trarsi d’impaccio. Tutte le sue speranze e i suoi sogni erano andati in pezzi, sfumata ogni possibilità di far parte della Legione. Ora sarebbe stato fortunato se non avesse trascorso là sotto il resto dei suoi giorni. Era addolorato al pensiero che MacGil, che aveva accolto Thor come un padre – l’unico vero padre che avesse mai avuto – pensasse che lui avesse veramente tentato di ucciderlo. Lo addolorava pensare che Reece, il suo migliore amico, potesse credere che lui avesse voluto uccidere suo padre. O, ancora peggio, Gwendolyn. Ripensò al loro ultimo incontro, a come lei pensasse che lui fosse un frequentatore di bordelli, e si sentì come se fosse stato privato di tutto ciò che di buono c’era nella sua vita. Si chiese perché gli stesse accadendo tutto ciò. Del resto lui aveva solo voluto fare del bene.

Thor non sapeva cosa ne sarebbe stato di lui, e non gliene importava niente. Tutto ciò che voleva ora era dichiarare la sua innocenza, far sapere alla gente che non aveva tentato di fare del male al Re, che i suoi erano poteri reali e che veramente era in grado di vedere il futuro. Non sapeva cosa ne sarebbe stato di lui, ma una cosa sapeva per certo: doveva uscire di lì. In un modo o nell’altro.

Prima che Thor potesse completare il suo pensiero si udirono dei passi, pesanti stivali che avanzavano dal fondo del corridoio. Si sentì anche il tintinnare di chiavi e dopo pochi istanti apparve un robusto carceriere, l’uomo che aveva trascinato Thor lì e l’aveva colpito al volto. Al solo vederlo Thor avvertì di nuovo il dolore alla guancia, ne fu consapevole per la prima volta e provò insieme un senso di repulsione.

“Bene, ecco qui il mostriciattolo insignificante che ha cercato di uccidere il Re,” disse il secondino, mentre con sguardo accigliato ruotava la chiave di ferro nella serratura. Dopo numerosi scatti risonanti fece scorrere la porta della cella. Teneva in una mano i ceppi e una piccola accetta gli penzolava dalla cintura.

“Avrai ciò che ti meriti,” disse con un ghigno rivolgendosi a Thor, poi si voltò verso Merek, “ma ora tocca a te, ladruncolo. La terza volta,” aggiunse con un sorriso malvagio, “non ci sono eccezioni.”

Si lanciò contro Merek, lo afferrò con forza, gli strattonò un braccio dietro la schiena, vi strinse attorno i ceppi e fissò poi l’altra estremità ad un uncino attaccato al muro. Merek gridò, tirando selvaggiamente il ceppo e cercando di liberarsi, ma fu inutile. La guardia si portò dietro di lui e lo afferrò, tenendolo in un saldo abbraccio; prese poi il braccio libero e lo posizionò sul piano di pietra.

“Questo ti insegnerà a non rubare,” ringhiò.

Prese l’accetta dalla cintura e la sollevò alta sopra la testa, tenendo la bocca completamente aperta digrignando i suoi orrendi denti mentre ringhiava.

“NO!” gridò Merek.

Thor rimase seduto, terrorizzato e pietrificato mentre il carceriere lasciava scendere la sua arma verso il polso di Merek. Thor se ne rese conto in una frazione di secondo: la mano di quel povero ragazzo sarebbe stata tagliata, per sempre, per nessun’altra ragione che per il suo futile rubacchiare cibo per dar da mangiare alla sua famiglia.

Quell’ingiustizia gli bruciava dentro e sapeva di non poter permettere una cosa del genere. Non era giusto e basta.

Thor sentì che il corpo gli si scaldava, e poi avvertì un bruciore interno che risaliva dai piedi e gli scorreva fino alle mani. Percepì il tempo che rallentava, sentì che i suoi movimenti erano più rapidi di quelli del guardiano, percepì ogni singola frazione di secondo mentre l’accetta dell’uomo era sospesa a mezz’aria. Thor provò un’energia bruciante prendere la forma di una palla nelle proprie mani e la scagliò contro il carceriere.

Guardò con stupore la sfera gialla che si staccava dal suo palmo e volava fendendo l’aria e illuminando la buia cella con la sua scia, diretta verso il volto del carceriere. Lo colpì alla testa e lui lasciò cadere l’accetta e venne scagliato dall’altra parte della cella andando a sbattere contro la parete e collassando poi a terra. Thor salvò Merek un’istante prima che la lama gli raggiungesse il polso.

Merek guardò Thor con gli occhi sgranati.

L’uomo scosse la testa e iniziò a rialzarsi in piedi per catturare Thor. Ma Thor sentiva il potere che gli ardeva nel corpo, e quando l’uomo si fu rimesso in piedi di fronte a lui, corse in avanti, saltò in aria e gli stampò un calcio nel petto. Thor si sentiva pervaso da un potere mai percepito prima e udì uno scricchiolio quando il suo calcio spedì il guardiano in aria, sbattendolo di nuovo contro la parete, dalla quale si afflosciò poi a terra, questa volta veramente privo di conoscenza.

Merek rimase lì in piedi, scioccato, e Thor seppe esattamente cosa doveva fare. Afferrò l’accetta, corse a prendere il ceppo che teneva Merek fissato al muro e lo tagliò. Una fontana di scintille volò in aria quando la catena venne spezzata. Merek trasalì, poi sollevò la testa e guardò la catena penzolante, rendendosi conto che era libero.

Guardò Thor a bocca aperta.

“Non so come ringraziarti,” disse. “Non so come tu abbia fatto una cosa del genere, qualsiasi cosa sia stata. Non so chi tu sia – o cosa tu sia – ma mi hai salvato la vita. Di devo un favore. E non è certo una cosa che prenderò alla leggera.”

“Non mi devi nulla,” disse Thor.

“Sbagliato,” disse Merek, stringendo l’avambraccio di Thor. “Ora sei un mio fratello. E ti ripagherò. In qualche modo. Un giorno.”

Detto questo Merek si voltò, si affrettò ad aprire la porta della cella e corse lungo il corridoio tra le grida degli altri prigionieri.

Thor si guardò attorno, vide la guardia priva di conoscenza, la cella aperta, e capì che anche lui doveva agire. Le urla dei prigionieri si stavano intensificando.

Thor uscì dalla cella, guardò da entrambe le parti e decise di correre nella direzione opposta a quella presa da Merek. Almeno non avrebbero potuto catturarli entrambi.




CAPITOLO TRE


Thor correva nella notte lungo le caotiche vie della Corte del Re, sorpreso dalla confusione che le animava. Le vie erano affollate, masse di persone correvano in ogni direzione creando un caotico groviglio. Molti portavano delle torce, illuminando la notte e gettando ombre inquietanti sui volti, mentre le campane del castello suonavano ininterrottamente. Era uno suono dal tono basso che si ripeteva ogni minuto, e Thor sapeva che il suo significato era solo uno: morte. Campane di morte. E c’era solo una persona per cui le campane avrebbero potuto suonare quella notte: il Re.

Il cuore di Thor batteva a mille mentre lui rifletteva. Il pugnale del suo sogno gli lampeggiava davanti agli occhi. Era stato vero.

Doveva accertarsene. Allungò un braccio e fermò un passante, un ragazzo che correva nella direzione opposta.

“Dove stai andando?” gli chiese. “Cos’è tutta questa confusione?”

“Non hai sentito?” ribatté il ragazzo con frenesia. “Il nostro Re sta morendo! Pugnalato! La gente si sta ammassando fuori dai cancelli per cercare di saperne di più. Se fosse vero, sarebbe un colpo terribile per noi tutti. Te lo puoi immaginare? Una terra senza un re?”

Detto questo il ragazzo si scrollò di dosso la mano di Thor, si voltò e corse nella notte.

Thor rimase lì, con il cuore che gli batteva in petto, rifiutandosi di accettare la realtà che lo circondava. I suoi sogni, le sue premonizioni: erano ben più che mere fantasie. Aveva visto il futuro. Per due volte. E questo lo spaventava. I suoi poteri erano più profondi di quanto pensasse, e sembravano diventare ogni giorno più forti. Dove lo avrebbero portato di questo passo?

Thor stava fermo, cercando di capire cosa fosse meglio fare. Era fuggito, ma ora non aveva idea di dove andare. Sicuramente nel giro di pochi momenti le guardie reali – e forse tutta la Corte del Re – si sarebbero messi sulle sue tracce. La fuga di Thor accresceva la sua colpevolezza. Allo stesso modo però c’era da considerare il fatto che MacGil fosse stato pugnalato mentre Thor era in prigione: non era un elemento utile per scagionarlo? Oppure lo avrebbero considerato ancor più come parte dell’intera cospirazione?

Thor non poteva permettersi di provare a scoprirlo. Chiaramente nessuno nel regno era ora dell’umore giusto per ascoltare un pensiero razionale: sembrava che tutti attorno a lui fossero in cerca di sangue. E lui sarebbe probabilmente diventato il capro espiatorio. Aveva bisogno di un riparo, un qualche posto in cui andare e da dove superare la tempesta e dimostrare la sua innocenza. Il posto più sicuro sarebbe senz’altro stato lontano da lì. La cosa migliore da fare sarebbe stata scappare, trovare rifugio nel suo villaggio o addirittura più lontano, il più lontano possibile da lì.

Ma Thor non voleva prendere la via più sicura, non era fatto così. Voleva rimanere lì, dimostrare la sua innocenza e riprendere il suo posto nella Legione. Non era un codardo, quindi non fuggì. Più di tutto voleva vedere MacGil prima che morisse, sempre ammesso che fosse ancora vivo. Aveva bisogno di vederlo. Si sentiva sopraffatto dal senso di colpa per non essere stato in grado di evitare l’assassinio. Perché era stato destinato a vedere la morte del Re se non c’era nulla che potesse fare per evitarla? E perché aveva visto che veniva avvelenato se poi lo avevano invece pugnalato?



Mentre Thor stava lì combattuto sul da farsi, gli venne un’idea: Reece. Reece era la persona di cui si poteva fidare e che per certo non lo avrebbe portato davanti alle autorità. E forse gli avrebbe anche offerto una protezione. Sentiva che Reece gli avrebbe creduto. Lui sapeva che l’amore di Thor per suo padre era genuino, e se c’era qualcuno che avrebbe potuto dimostrare la sua innocenza, quello era proprio Reece. Doveva trovarlo.

Thor partì di scatto attraverso i vicoli bui, girando e svoltando in mezzo alla folla, allontanandosi dai cancelli della Corte, diretto verso il castello. Sapeva dov’era la camera di Reece – nell’ala est, vicino alle mura esterne della città – e sperava solo che Reece fosse lì. Se così fosse stato, forse avrebbe potuto richiamare la sua attenzione e farsi aiutare ad entrare nel castello. Thor aveva la tremenda sensazione che se avesse esitato ancora per un po’ lì nelle strade, qualcuno avrebbe potuto riconoscerlo. E se quella calca di gente l’avesse riconosciuto, l’avrebbero fatto a pezzi.

Passando di strada in strada, con i piedi che scivolavano nel fango della notte estiva, Thor raggiunse finalmente il muro di pietra dei bastioni esterni. Vi si portò vicino e corse lungo il tracciato, al riparo dagli occhi attenti dei soldati che vi si trovavano tutt’attorno.

Quando si fu avvicinato alla finestra di Reece, si abbassò e raccolse un sasso liscio. Fortunatamente l’arma che si erano dimenticati di togliergli era la sua vecchia e fidata fionda. La prese, vi inserì il sasso e lanciò.

Con la sua mira impeccabile mandò il sasso a volare in alto verso la parete del castello, giusto attraverso la finestra aperta della stanza di Reece. Thor la udì colpire la parete interna, poi attese, appiattendosi contro le mura per non essere visto dalle guardie del Re, che erano sobbalzate per il rumore.

Per diversi momenti non accadde nulla, e Thor si sentì il cuore sprofondare mentre si chiedeva se Reece, dopotutto, non si trovasse nella sua stanza. In quel caso Thor sarebbe dovuto fuggire da quel luogo, non aveva altri mezzi per guadagnarsi un riparo sicuro. Trattenne il fiato e il cuore gli batteva forte nel petto nell’attesa, mentre guardava l’apertura della finestra.

Dopo quella che gli sembrò un’eternità, Thor era proprio sul punto di andarsene quando scorse una figura sporgere la testa fuori dalla finestra, appoggiarsi con entrambe le mani sul davanzale e guardarsi intorno con aria confusa.

Thor si staccò di parecchi passi dal muro e sventolò un braccio in aria.

Reece guardò verso il basso e lo notò. Il suo volto si illuminò quando lo riconobbe, evidente anche da lì alla luce delle torce e Thor fu felice di vedere la gioia nel suo sguardo. Quello gli confermava tutto ciò che aveva bisogno di sapere: Reece non lo avrebbe fatto catturare.

Reece gli fece cenno di aspettare, e Thor tornò di corsa alla parete, accucciandosi proprio mentre una guardia si girava verso di lui.

Thor attese per un tempo incalcolabile, pronto in ogni momento a fuggire dalle guardie, fino a che finalmente Reece apparve, uscendo di corsa dalla porta del muro esterno, con il fiatone, guardando da tutte le parti per poi scorgere Thor.

Reece corse da lui e lo abbracciò. Thor era felicissimo. Udì un mugolio e abbassò lo sguardo per vedere, con suo estremo piacere, Krohn, infagottato nella tunica di Reece. Krohn quasi saltò fuori dalla tunica e Reece lo prese per porgerlo a Thor.

Krohn – il cucciolo di leopardo che Thor aveva salvato – balzò tra le sue braccia, mugolò e gemette leccandogli la faccia, mentre lui lo ricambiava con un abbraccio.

Reece sorrise.

“Quando ti hanno portato via, lui ha cercato di seguirti, ma io l’ho preso per essere certo che fosse al sicuro.”

Thor strinse il braccio di Reece in segno di riconoscenza. Poi rise, mentre Krohn continuava a leccarlo.

“Mi sei mancato, piccolo,” disse Thor ridendo e lo baciò. “Stai buono adesso, o le guardie ci sentiranno.”

Krohn si calmò, come se avesse capito.

“Come hai fatto a scappare?” chiese Reece, sorpreso.

Thor scrollò le spalle. Non sapeva esattamente come rispondere. Si sentiva ancora a disagio a parlare dei suoi poteri, incomprensibili anche per lui. Non voleva che gli altri lo considerassero un tipo strano.

“Ho avuto fortuna, credo,” rispose. “Mi si è presentata un’opportunità e l’ho colta.”

“Sono stupito che la folla non ti abbia fatto a pezzi,” disse Reece.

“È buio,” disse Thor. “Penso che nessuno mi abbia riconosciuto. Non ancora, almeno.”

“Sai che ogni soldato del regno ti sta cercando? Sai che mio padre è stato pugnalato?”

Thor annuì, serio. “Sta bene?”

Il volto di Reece si adombrò.

“No,” rispose cupamente. “Sta morendo.”

Thor si sentì devastato, come se stessero parlando del suo stesso padre.

“Sai che io non centro niente con tutto questo, vero?” chiese Thor speranzoso. Non gli interessava cosa pensassero tutti gli altri, ma aveva bisogno che il suo miglior amico, il figlio più giovane di Re MacGil, sapesse che lui era innocente.

“Certamente,” disse Reece. “Altrimenti non sarei qui.”

Thor sentì un’ondata di sollievo, e strinse le spalle di Reece colmo di gratitudine.

“Ma il resto del regno non sarà così fiducioso come sono io,” aggiunse Reece. “Il posto più sicuro per te è lontano da qui. Ti darò il mio cavallo più veloce, una scorta di viveri e ti farò fuggire. Devi nasconderti fino a che tutto questo trambusto non si sarà quietato, fino a che non troveranno il vero assassino. Nessuno è in grado di riflettere con lucidità ora.”

Thor scosse la testa.

“Non posso andarmene,” disse. “Mi farebbe apparire ancora più colpevole. Devo far capire agli altri che non sono stato io. Non posso fuggire dai miei problemi. Devo dimostrare la mia innocenza.”

Reece scosse la testa.

“Se rimani qui ti troveranno. Ti imprigioneranno di nuovo e poi ti condanneranno a morte, se non sarà la gente a ucciderti prima.”

“È un rischio che devo correre,” disse Thor.

Reece lo fissò a lungo, e il suo volto passò da un’espressione di preoccupazione a una di ammirazione. Alla fine, lentamente, annuì.

“Sei coraggioso. E stupido. Molto stupido. È per questo che ti ammiro.”

Entrambi sorrisero.

“Devo vedere tuo padre,” disse Thor. “Mi serve la possibilità di spiegargli, faccia a faccia, che non sono stato io, che io non ho nulla a che vedere con tutto questo. Se deciderà di condannarmi a morte, che così sia. Ma ho bisogno di questa possibilità. Voglio che lui sappia. È tutto quello che ti chiedo.”

Reece lo guardò con serietà, riconoscendo in lui un vero amico. Alla fine, dopo quella che sembrò a Thor un’eternità, annuì.

“Posso portarti da lui. Conosco una via nascosta. Porta alla sua stanza. È rischioso, e una volta che sarai dentro, sarai solo. Non ci sono altre vie d’uscita. A quel punto non potrò più fare niente per te. Potrebbe significare la tua morte. Sei sicuro di voler provare?”

Thor annuì in risposta, con estrema serietà.

“Molto bene allora,” disse Reece, e improvvisamente allungò una mano porgendo a Thor un mantello.

Thor abbassò lo sguardo sorpreso: si rese conto che Reece aveva pianificato tutto da tempo.

Reece sorrise quando Thor risollevò lo sguardo.

“Sapevo che saresti stato sufficientemente testardo da voler rimanere. Non mi sarei aspettato niente di meno dal mio miglior amico.”




CAPITOLO QUATTRO


Gareth camminava su e giù per la sua stanza ripercorrendo con la memoria gli eventi della notte, pervaso dall’ansia. Non riusciva ancora a credere a ciò che era accaduto durante la festa, a come tutto fosse andato storto. Non capiva come quello stupido ragazzo, quello straniero, Thor, si fosse in qualche modo intromesso nel suo complotto di avvelenamento. E come se non bastasse era anche riuscito ad intercettare il calice. Gareth ripensò a quel momento, quando aveva visto Thor saltare e sbattere via il calice dalle mani del Re: in quell’attimo aveva udito il rumore del calice che colpiva la pietra e aveva visto il vino spargersi sul pavimento, confondendo in quel modo anche tutti i suoi sogni e aspirazioni.

In quel momento Gareth era stato rovinato. Tutto ciò per cui aveva vissuto era stato annientato. E quando quel cane aveva leccato il vino ed era caduto a terra morto, aveva saputo che era finita. Aveva visto tutta la sua vita passargli davanti agli occhi, aveva visto che lo avrebbero scoperto, condannato a vivere nelle segrete per aver tentato di uccidere suo padre. O peggio ancora l’avrebbero condannato a morte. Era stato supido. Non avrebbe mai dovuto portare avanti un piano del genere, non avrebbe mai dovuto far visita a quella strega.

Almeno aveva agito velocemente, cogliendo l’occasione e saltando in piedi per primo per scagliare la colpa contro Thor. A ripensarci, era fiero di se stesso per la rapidità con cui aveva saputo agire. Era stato un attimo di ispirazione, e con suo stupore sembrava aver funzionato. Avevano trascinato via Thor e poi la festa era continuata perfettamente. Ovviamente niente era stato lo stesso dopo quel momento, ma almeno sembrava che i sospetti fossero tutti ricaduti su quel ragazzo.

Gareth pregò che le cose rimanessero così. Erano decenni che non accadeva un tentativo di uccisione ai danni di un MacGil, e Gareth temeva che ci sarebbe stata un’indagine, che i fatti sarebbero stati analizzati con maggiore profondità. A ripensarci, era stato sciocco a tentare di avvelenare il Re. Suo padre era invincibile. Gareth avrebbe dovuto saperlo. Aveva esagerato. E ora non poteva fare a meno di pensare che fosse solo una questione di tempo, e che poi i sospetti sarebbero ricaduti su di lui. Avrebbe dovuto fare di tutto per provare che Thor era colpevole, e farlo condannare a morte prima che fosse troppo tardi.

Almeno Gareth si era in qualche modo riscattato: dopo quel tentativo fallito aveva cancellato l’assassinio dai suoi propositi. Ora si sentiva sollevato. Dopo aver assistito al fallimento del suo complotto, aveva capito che c’era una parte di lui, nel profondo, che non voleva uccidere veramente suo padre, che non voleva avere le mani sporche del suo sangue. Non sarebbe stato Re. Forse non lo sarebbe mai stato. Ma dopo gli eventi della notte, andava bene così. Almeno sarebbe stato libero. Non avrebbe più potuto sostenere tutto quello stress: i segreti, il nascondersi, la costante ansia di essere scoperto. Era troppo per lui.

Mentre camminava avanti e indietro per la stanza e la notte scorreva, finalmente – seppur lentamente – cominciò a calmarsi. Proprio quando stava iniziando a tornare in sé e si apprestava a prepararsi per andare a dormire, gli giunse all’udito un improvviso schianto, e voltandosi vide che la porta della sua stanza era stata aperta. Firth entrò trafelato, con gli occhi sgranati, balzando nella camera come se lo stessero inseguendo.

“È morto!” gridò. “È morto! L’ho ucciso. È morto!”

Firth era isterico e piagnucolante e Gareth non aveva idea di che cosa stesse parlando. Era ubriaco?

Firth correva per la stanza, gridando, urlando, sventolando le mani in aria: fu a quel punto che Gareth notò i suoi palmi ricoperti di sangue e la sua tunica gialla macchiata di rosso.

Il cuore di Gareth ebbe una battuta d’arresto. Firth aveva appena ucciso qualcuno. Ma chi?

“Chi è morto?” gli chiese Gareth. “Di chi stai parlando?”

Ma Firth era fuori di sé e non riusciva a concentrarsi. Gareth corse verso di lui, lo afferrò saldamente per le spalle e lo scosse.

“Rispondimi!”

Firth sgranò gli occhi e lo fissò, con l’espressione di un cavallo impazzito.

“Tuo padre! Il Re! È morto! Per mano mia!”

A quelle parole Gareth si sentì come se un coltello fosse stato affondato dritto nel suo cuore.

Fissò l’amico con gli occhi sgranati, paralizzato, sentendo che l’intero corpo gli si intorpidiva. Lasciò la presa, fece un passo indietro e cercò di riprendere fiato. Da tutto il sangue che lo ricopriva capiva che Firth stava dicendo la verità. Non riusciva neanche a immaginarselo. Firth? Da uomo equilibrato che era? Quello dalla volontà più debole tra tutti i suoi amici? Aveva ucciso suo padre?

“Ma… come è possibile?” disse Gareth in un soffio. “Quando?”

“È successo nella sua stanza,” disse Firth. “Proprio adesso. L’ho pugnalato.”

L’evidenza del fatto iniziava a radicarsi, e Greth riprese il controllo della sua mente. Notò la porta aperta, corse a chiuderla dopo essersi assicurato che nessuna guardia avesse visto qualcosa. Fortunatamente il corridoio era vuoto. Sbarrò la porta con il pesante catenaccio di ferro.

Attraversò di nuovo velocemente la stanza. Firth era ancora in preda all’isteria e Gareth doveva calmarlo. Aveva bisogno di risposte.

Lo afferrò per le spalle, lo fece girare su se stesso e gli diede un manrovescio sufficientemente forte da farlo fermare. Finalmente Firth si concentrò su di lui.

“Raccontami ogni cosa,” gli ordinò freddamente Gareth. “Dimmi esattamente cos’è successo. Perché l’hai fatto?”

“Cosa intendi dire con perché?” chiese Firth confuso. “Tu volevi ucciderlo. Il tuo veleno non ha funzionato. Ho pensato di aiutarti. Ho pensato che fosse quello che volevi.”

Gareth scosse la testa. Afferrò Firth per la tunica e iniziò a scuoterlo con insistenza.

“Perché l’hai fatto?” gli gridò addosso.

Gareth sentì che tutto il suo mondo si sgretolava. Era scioccato dal rendersi conto che provava effettivamente rimorso nei confronti di suo padre. Non riusciva a capire. Solo poche ore prima la cosa che desiderava più di tutte era vederlo avvelenato, accasciarsi morto sul tavolo. Ora l’idea che fosse stato ucciso lo colpiva come la morte di un grande amico. Si sentiva sopraffatto dal rimorso. Dopotutto una parte di lui non lo voleva morto, soprattutto non in quel modo. Non per mano di Firth. E non con una lama.

“Non capisco,” piagnucolò Firth. “Solo poche ore fa hai tentato tu stesso di ucciderlo. Il tuo complotto del calice. Pensavo che mi saresti stato riconoscente!”

Con sua stessa sorpresa Gareth colpì Firth con violenza al volto.

“Io non ti ho detto di fare una cosa del genere!” gli sputò addosso. “Non ti ho mai detto di fare una cosa del genere! Perché l’hai ucciso! Guardati. Sei ricoperto di sangue. Ora è finita per entrambi. È solo questione di tempo perché le guardie vengano a prenderci.”

“Nessuno ha visto nulla,” disse Firth con tono supplichevole. “Sono passato durante il cambio della guardia. Nessuno mi ha visto.”

“E dov’è l’arma?”

“Non l’ho lasciata,” disse Firth con orgoglio. “Non sono stupido. Me ne sono sbarazzato.”

“E che pugnale hai usato?” chiese Gareth, mentre la sua mente ragionava su ogni possibile implicazione. Passava dal rimorso alla preoccupazione; i pensieri consideravano freneticamente ogni dettaglio o traccia che quello stupido imbranato poteva essersi lasciato dietro, qualsiasi elemento potesse ricondurre a lui.

“Ne ho usato uno che non può essere rintracciato,” disse Firth con rinnovato orgoglio. “Era un pugnale comune e anonimo. L’ho trovato nelle scuderie. Ce n’erano altri quattro uguali a quello. È impossibile che lo rintraccino,” ripeté.

Gareth sentì che il cuore gli sprofondava.

“Era un coltello corto, con il manico rosso e la lama curva? Appoggiato al muro accanto al mio cavallo?”

Firth annuì con espressione ora dubbiosa.

Gareth si accigliò.

“Cretino. Ma certo che quel pugnale è rintracciabile!”

“Ma non c’era nessun segno sopra!” protestò Firth con voce spaventata e tremante.

“Non ci sono segni sulla lama, ma ce ne sono sull’impugnatura!” gridò Gareth. “Sotto! Non hai controllato con attenzione! Cretino.” Gareth fece un passo avanti, rosso di rabbia. “C’è lo stemma del mio cavallo intagliato sotto l’impugnatura. Chiunque conosca la famiglia reale può risalire da quel pugnale a me.”

Guardò Firth, che sembrava senza parole. Avrebbe voluto ucciderlo.

“Cosa ne hai fatto?” insistette Gareth. “Dimmi che ce l’hai con te. Dimmi che l’hai portato con te. Ti prego.”

Firth deglutì.

“Me ne sono sbarazzato per bene. Nessuno lo troverà mai.”

Gareth lo fissò con sguardo torvo.

“Dove, esattamente?”

“L’ho gettato giù dal piano inclinato di pietra, nel pozzo nero del castello. Il vaso viene svuotato ogni ora direttamente nel fiume. Non preoccuparti, mio signore. Sarà già in fondo al fiume ormai.”

Improvvisamente le campane del castello suonarono, e Gareth si voltò e corse alla finestra aperta, con il cuore pervaso dal panico. Guardò fuori e vide tutto il caos e la confusione sotto di lui: folle di gente che circondavano il castello. Quelle campane che suonavano potevano significare solo una cosa: Firth non stava mentendo. Aveva ucciso il Re.

Gareth sentì che il corpo gli diventava gelato come il ghiaccio. Non riusciva a capacitarsi di aver innescato un progetto talmente malvagio. E che Firth, fra tutti, lo avesse portato a compimento.

Si udì un improvviso colpo alla porta, e quando si aprì di scatto diverse guardie reali si riversarono all’interno. Per un momento Gareth ebbe la certezza che fossero lì per arrestarlo.

Ma con sua sorpresa si fermarono e rimasero sull’attenti.

“Mio signore, vostro padre è stato pugnalato. Potrebbe esserci un assassino a piede libero. Le chiediamo di rimanere al sicuro nella sua stanza. Il Re è gravemente ferito.”

Le ultime parole fecero venire la pelle d’oca a Gareth.

“Ferito?” ripeté Gareth, e la parola gli rimase quasi strozzata in gola. “È ancora vivo quindi?”

“Sì, mio signore. E che Dio sia con lui, così che possa sopravvivere e ci possa raccontare chi ha messo in atto questo gesto atroce.”

Con un piccolo inchino la guardia uscì di corsa dalla stanza, chiudendo la porta con uno schianto.

Gareth venne assalito dalla rabbia: afferrò Firth per le spalle, lo portò dall’altra parte della stanza e lo sbatté contro una parete di pietra.

Firth lo fissava con gli occhi sgranati, con sguardo terrorizzato e incapace di proferire parola.

“Che cosa hai fatto?” gridò Gareth. “Ora siamo finiti tutti e due!”

“Ma… ma…” balbettò Firth,” … ero certo che fosse morto!”

“Sei così sicuro di tante cose,” disse Garet, “e sono tutte sbagliate!”

A Gareth venne in mente una cosa.

“Quel pugnale,” disse. “Dobbiamo recuperarlo, prima che sia troppo tardi.”

“Ma l’ho buttato via, mio signore,” disse Firth. “È stato sicuramente portato via dalla corrente del fiume!”

“Lo hai gettato in uno scarico. Questo non significa che sia già finito nel fiume.”

“Ma è molto probabile che lo sia!” esclamò Firth.

Gareth non poteva più sopportare le scemenze di quell’idiota. Lo piantò lì e corse fuori dalla stanza. Firth si affrettò a stargli alle calcagna.

“Verrò con te. Ti farò vedere esattamente dove l’ho gettato,” disse.

Gareth si fermò nel corridoio e si voltò a guardare Firth. Era ricoperto di sangue, e Gareth era sorpreso che le guardie non l’avessero notato. Era stata fortuna. Firth era una prova più evidente che mai.

“Te lo dirò solo una volta,” ringhiò Gareth. “Torna immediatamente nella mia stanza, cambiati quegli abiti e bruciali. Sbarazzati di ogni traccia di sangue. E poi sparisci dal mio castello. Stammi lontano questa notte. Mi hai capito?”

Gareth lo spinse indietro, poi si voltò e corse via. Attraversò velocemente il corridoio, scese la scala a chiocciola che lo portò giù piano dopo piano fino alla zona dei servitori.

Alla fine giunse nel seminterrato, di fronte a diversi servitori che si voltarono a guardarlo. Erano tutti intenti a strofinare enormi pentoloni e a far bollire secchi colmi d’acqua. Grandi fuochi crepitavano in fornaci di mattoni e i servitori – che indossavano grembiuli macchiati – erano madidi di sudore.

Dall’altra parte della stanza Gareth scorse un’enorme vasca nella quale si riversava il lerciume che scendeva ogni minuto da uno scivolo.

Gareth si avvicinò al primo servitore e lo afferrò disperatamente per un braccio.

“Quando è stato svuotata la vasca l’ultima volta?” chiese Garerth.

L’hanno portato al fiume proprio qualche minuto fa, mio signore.”

Gareth si voltò e corse fuori dalla stanza, percorrendo a tutta birra i corridoi del castello, risalendo la scala a chiocciola e uscendo velocemente all’esterno, nella fresca aria notturna.

Attraversò di corsa il prato, ormai senza fiato mentre si affrettava verso il fiume.

Quando fu quasi arrivato, trovò un posto dove nascondersi, dietro a un grosso albero nei pressi della riva. Osservò i due servitori che sollevavano l’enorme vasca di ferro e la inclinavano riversandone il contenuto nella veloce corrente del fiume.

Guardò con attenzione fino a che la vasca fu completamente capovolta, tutto il suo contenuto si fu riversato e i due servitori si girarono incamminandosi per riportarla nuovamente al castello.

Finalmente Gareth era soddisfatto. Nessuno aveva visto alcuna lama. Ovunque fosse, ora il pugnale si trovava tra le correnti del fiume, portato via verso l’anonimato. Se suo padre fosse morto quella notte, non ci sarebbero state prove o tracce dell’assassinio.

O forse sì?




CAPITOLO CINQUE


Thor seguiva Reece, dietro di loro veniva Krohn e tutti e tre si facevano strada negli intricati cunicoli che conducevano alla camera del Re. Reece li aveva fatti passare attraverso una porta segreta che si celava in una delle pareti di pietra e ora reggeva una torcia davanti a loro e li conduceva in fila indiana in quello spazio angusto, inoltrandosi nelle viscere del castello in un vertiginoso susseguirsi di curve e svolte. Salirono una stretta scala di pietra che li portò a un altro corridoio. Si voltarono e si ritrovarono davanti all’ennesima scala. Thor era meravigliato da quanto intricato fosse quel percorso.

“Questo passaggio è stato costruito nel castello centinaia di anni fa,” spiegò Reece in un sussurro mentre continuavano a camminare, col fiato lungo mentre salivano. “È stato costruito dal bisnonno di mio padre, il terzo Re MacGil. Lo ha fatto costruire dopo un assedio: è una via di fuga. Ironia della sorte, non ci siamo più trovati sotto assedio da allora, e questi cunicoli non vengono usati da tantissimi anni. Li avevano barricati e io li ho scoperti da bambino. Mi piace venirci di tanto in tanto per girovagare per il castello senza che nessuno sappia dove mi trovo. Quando eravamo piccoli, io, Gwen e Godfrey ci giocavamo a nascondino. Kendrick era troppo grande e a Greth non piaceva giocare con noi. Niente torce, era la regola. Buio pesto. A quei tempi faceva una paura tremenda.”

Thor cercava di tenere il passo mentre Reece percorreva il passaggio con sorpendente abilità, facendo chiaramente intendere che conosceva a memoria ogni centimetro di quel luogo.

“Come fai a ricordarti tutte queste svolte?” chiese Thor incantato.

“Ci si sente soli quando si è ragazzini, in un castello,” continuò Reece, “soprattutto quando tutti gli altri sono più grandi e tu sei ancora troppo giovane per entrare nella Legione, e non c’è nient’altro da fare. Era diventata la mia missione: scoprire ogni angolo di questo posto.”

Girarono un’altra volta, scesero tre gradini di pietra, svoltarono passando attraverso una stretta apertura nella parete e poi scesero una lunga rampa di scale. Alla fine si ritrovarono di fronte a una spessa porta di quercia, ricoperta di polvere. Reece vi appoggiò un orecchio e rimase in ascolto. Thor gli si mise accanto.

“Che porta è questa?” chiese.

“Shhh,” fu la risposta di Reece.

Thor tacque e mise anche il suo orecchio contro la porta, ascoltando. Krohn rimase lì dietro di lui, guardandolo.

“È la porta secondaria della stanza di mio padre,” sussurrò Reece. “Voglio sentire chi c’è dentro con lui.”

Thor ascoltò, con il cuore che gli batteva forte, le voci sommesse che giungevano dall’interno della stanza.

“Sembra che la stanza sia piena di gente,” disse Reece.

Reece si voltò e lanciò a Thor uno sguardo significativo.

“Susciterai una baraonda. Ci saranno i suoi generali, il suo Concilio , i suoi consiglieri, la famiglia… tutti. E sono certo che tutti saranno prevenuti nei tuoi confronti, dato che ti considerano il probabile assassino. Potrebbe essere come gettarsi in una folla pronta al linciaggio. Se mio padre pensa ancora che tu abbia tentato di ucciderlo, sarà la fine per te. Sei sicuro di volerlo fare?”

Thor deglutì. Ora o mai più. Gli si seccò la gola quando si rese conto che era a un momento di svolta per la sua vita. Ora sarebbe stato facile voltarsi indietro e scappare. Poteva sempre vivere una vita al sicuro da qualche parte, lontano dalla Corte del Re. Oppure poteva passare attraverso quella porta e forse trascorrere il resto dei suoi giorni nelle segrete insieme a quegli idioti, o addirittura essere condannato a morte.

Fece un respiro profondo e si decise. Doveva affrontare i suoi demoni a testa alta. Non poteva tirarsi indietro.

Thor annuì. Aveva paura di aprire bocca, paura che se l’avesse fatto avrebbe potuto cambiare idea.

Reece annuì in risposta con un’espressione colma di approvazione, poi premette la maniglia di ferro e appoggiò la spalla alla porta.

Thor strizzò gli occhi alla chiara luce delle torce quando la porta si aprì. Si ritrovò nel bel mezzo della camera privata del Re, con Krohn e Reece accanto.

C’erano almeno una ventina di persone accalcate attorno al Re, che giaceva sul suo letto: alcuni erano in piedi accanto a lui, altri stavano in ginocchio. MacGil era circondato dai suoi consiglieri e generali, insieme ad Argon, la Regina, Kendrick, Godgrey e addirittura Gwendolyn. Era una veglia di morte e Thor si sentiva come un intruso nel mezzo di intime questioni familiari.

L’atmosfera nella stanza era funerea, i volti gravi. MacGil giaceva sostenuto da alcuni cuscini e Thor fu sollevato dal vederlo ancora vivo, almeno per ora.

Tutti i volti si girarono all’unisono, sorpresi dall’improvviso arrivo di Thor e Reece. Thor si rese conto dello shock che avevano causato con la loro improvvisa comparsa nel mezzo della stanza, fuoriusciti com’erano da una porta segreta celata nella parete di pietra.

“Ecco il ragazzo!” gridò qualcuno tra la folla, alzandosi e puntando con odio il dito contro Thor. “È lui quello che ha tentato di avvelenare il re!”

Le guardie si gettarono su di lui da ogni angolo della stanza. Thor non aveva idea di cosa fare. Una parte di lui avrebbe voluto girarsi e fuggire, ma d’altro canto sapeva che doveva affrontare quella calca furiosa per poter trovare la sua pace con il Re. Quindi si preparò mentre numerose guardie avanzavano verso di lui pronte a catturarlo. Al suo fianco Krohn ringhiò ammonendo gli aggressori.

Mentre stava lì, Thor si sentì pervadere da un improvviso calore, da un potere che gli scorreva attraverso il corpo. Sollevò involontariamente una mano e tenne il palmo aperto dirigendo quell’energia verso di loro.

Si stupì quando tutti si fermarono a mezza strada, a pochi metri da lui, come pietrificati. Il suo potere, qualsiasi cosa fosse che gli scorreva dentro, li teneva a bada.

“Come osi venire qui a usare la tua stregoneria, ragazzo!” gridò Brom, il più valoroso generale del Re, sguainando la sua spada. “Non ti è bastato cercare di uccidere il nostro Re una volta?”

Brom si avvicinò a Thor con la spada sguainata, e in quell’istante Thor si sentì avvolgere da qualcosa, la sensazione più forte che avesse mai provato. Non fece altro che chiudere gli occhi e concentrarsi. Percepì l’energia nella spada di Brom, la sua forma, il metallo, e in qualche modo divenne tutt’uno con essa. Decise di fermarla con la sola forza del pensiero.

Brom rimase immobile, con gli occhi sgranati.

“Argon!” gridò Brom voltandosi. “Ferma subito questa stregoneria! Ferma quel ragazzo!”

Argon emerse dalla folla e abbassò lentamente il cappuccio. Fissò Thor con intensità, gli occhi che ardevano.

“Non vedo perché dovrei fermarlo,” disse Argon. “Non è venuto qui per fare male a nessuno.”

“Sei impazzito? Ha quasi ucciso il nostro Re!”

“Questo è quello che pensate voi,” disse Argon. “Non quello che vedo io.”

“Lasciatelo stare,” disse una voce profonda e roca.

Tutti si voltarono a guardare MacGil che si metteva a sedere. Lui li guardò con occhi sofferente. Era ovvio che faceva una fatica enorme a parlare.

“Voglio vedere il ragazzo. Non è stato lui a pugnalarmi. Ho visto il volto di quell’uomo, e non era lui. Thor è innocente.”

Lentamente gli altri abbassarono la guardia e anche Thor si sentì più rilassato. Le guardie si tirarono indietro guardandolo con cautela, come se venisse da un altro pianeta, e riposero lentamente le loro spade nei foderi.

“Voglio vederlo,” disse MacGil. “Da solo. Tutti voi. Lasciateci soli.”

“Mio Re,” disse Brom. “Pensate veramente che sia una cosa sicura? Solo voi e questo ragazzo, soli?”

“Thor non deve essere toccato,” disse MacGil. “E ora lasciateci. Tutti. Inclusa la mia famiglia.”

Un fitto silenzio calò sulla stanza mentre tutti si guardavano, chiaramente insicuri sul da farsi. Thor era lì in piedi, radicato al suo posto, a malapena capace di capire quello che stava accadendo.

Uno dopo l’altro, compresi i parenti del Re, uscirono dalla camera e anche Krohn si allontanò insieme a Reece. La stanza, così piena di gente solo pochi istanti prima, fu all’improvviso vuota.

La porta si chiuse. Ora c’erano solo Thor e il Re, soli nel silenzio. Thor stentava a crederci. Vedere MacGil steso lì, così pallido, così sofferente, gli arrecava un dolore indescrivibile. Non sapeva perché, ma era quasi come se anche una parte di lui stesse morendo lì, su quel letto. Voleva più di ogni altra cosa che il Re si riprendesse.

“Avvicinati, ragazzo mio,” disse MacGil debolmente, con la voce roca, poco più che un sussurro.

Thor abbassò la testa e corse ad inginocchiarsi al suo capezzale. Il Re allungò un polso floscio, Thor gli prese la mano e la baciò.

Thor sollevò lo sguardo e vide che MacGil gli sorrideva debolmente. Si sorprese di sentire lacrime calde che gli bagnavano le guance.

“Mio signore,” iniziò con foga, incapace di trattenersi, “vi prego di credermi. Non vi ho avvelenato. Sapevo del complotto solo grazie al mio sogno. Grazie a un potere del quale non so nulla. Volevo solo avvisarvi. Vi prego, credetemi…”

MacGil sollevò una mano, e Thor tacque.

“Mi sono sbagliato su di te,” disse MacGil. “Ho avuto bisogno di ricevere una pugnalata per mano di un altro uomo per capire che non eri stato tu. Tu stavi solo cercando di salvarmi. Perdonami. Sei stato leale. Forse l’unico membro leale nella mia corte.”

“Come vorrei essermi sbagliato,” disse Thor. “Come vorrei che voi foste salvo. Che i miei sogni fossero stati solo illusioni, che voi non foste mai stato colpito a morte. Forse mi sono sbagliato. Forse sopravviverete.”

MacGil scosse la testa.

“È giunta la mia ora,” disse a Thor.

Thor deglutì, sperando che non fosse vero, ma percependo che lo era.

“Sapete chi ha compiuto questo gesto terribile, mio signore?” chiese Thor, ponendo la domanda che gli era bruciata in petto da quando aveva fatto il sogno. Non riusciva a immaginare chi avrebbe potuto volere la morte del Re, o perché.

MacGil guardò il soffitto, sbattendo gli occhi con sforzo.

“Ho visto il suo volto. È una faccia che conosco bene. Ma per qualche motivo non riesco a ricordare chi sia.”

Si voltò a guardare Thor.

“Ora non ha importanza. È giunta la mia ora. Che sia stato compiuto dalla sua mano, o da quella di qualcun altro, la fine è sempre la stessa. Ciò che importa ora,” disse afferrando un polso di Thor con una forza che lo sorprese, “è quello che accadrà quando non ci sarò più. Il nostro diventerà un regno senza Re.”

MacGil lo guardò con un’intensità che Thor non comprese. Thor non capiva appieno ciò che gli stava dicendo, o cosa per caso gli stesse domandando. Thor avrebbe voluto chiederglielo, ma vedeva quanto penoso fosse per MacGil anche solo prendere fiato e non voleva rischiare di interromperlo.

“Argon aveva ragione su di te,” disse, allentando lentamente la presa. “Il tuo destino è ben più grande del mio.”

Thor avvertì una scossa attraversargli il corpo a quelle parole. Il suo destino? Più grande di quello del Re? La sola idea che MacGil si fosse preoccupato di parlare di Thor assieme ad Argon era ben più di quanto Thor potesse comprendere. E il fatto che ora stesse affermando che il suo destino era più grande del proprio: cosa poteva mai significare? Era solo lo stato d’animo deluso di MacGil nei suoi ultimi momenti di vita?

“Ho scelto te… ti ho portato nella mia famiglia per un motivo. Sai qual è?”

Thor scosse la testa, disperatamente desideroso di sapere.

“Non sai perché ti ho voluto qui, solo tu, in questi ultimi attimi della mia vita?”

“Mi spiace, mio signore,” rispose Thor, scuotendo la testa. “Non lo so.”

MacGil sorrise debolmente, mentre i suoi occhi iniziavano a chiudersi.

“C’è una grande terra, lontano da qui. Oltre le Terre Selvagge. Addirittura oltre la Terra dei Draghi. È la Terra dei Druidi. Da dove viene tua madre. Devi andare lì a cercare le risposte.”

Gli occhi di MacGil si dilatarono e il Re fissò Thor con un’iontensità che Thor non riusciva a capire.

“Il nostro regno dipende da questo,” aggiunse. “Tu non sei come gli altri. Sei speciale. Fino a che non capirai chi sei, il nostro regno non troverà mai pace.”

MacGil chiuse gli occhi e il suo respiro si fece debole, ogni soffio d’aria usciva come un gemito. La sua stretta sul polso di Thor lentamente si allentò del tutto, e Thor sentì le lacrime che gli salivano agli occhi. Nella mente vorticavano tutti i pensieri relativi a ciò che il Re gli aveva detto, cercava di capire ma riusciva a malapena a concentrarsi. Aveva sentito tutto giusto?

MacGil iniziò a sussurrare qualcosa, ma parlava così sottovoce che Thor poté capire a stento. Si chinò più vicino a lui, portando l’orecchio alle labbra di MacGil.

Il Re sollevò la testa un’ultima volta e con uno sforzo finale disse: “Vendicami.”

Poi, tutt’a un tratto, si irrigidì. Giacque lì per qualche momento, poi reclinò la testa di lato e i suoi occhi si aprirono rimanendo immobili.

Era morto.

“NO!” pianse Thor.

Il suo grido doveva essere stato sufficientemente forte da allertare le guardie, perché un attimo dopo udì una porta che si apriva di scatto dietro di lui e poi la confusione creata da decine di persone che entravano di corsa nella stanza. Nel più remoto angolo della sua coscienza poté percepire movimento tutt’attorno a lui. Sentì il debole rintocco delle campane del castello che suonavano ripetutamente. I rintocchi delle campane eramo martellanti, come il pulsare del sangue alle sue tempie. Ma tutto divenne confuso quando, un attimo dopo, la stanza iniziò a vorticare.

Thor svenne, collassando di schianto sul pavimento in pietra.




CAPITOLO SEI


Una folata di vento colpì Gareth al volto e lui sollevò lo sguardo, ricacciando indietro le lacrime nella pallida luce del sole che stava sorgendo. La giornata stava appena iniziando, e già in quel luogo remoto, lì sul crinale del Dirupo Colviano, si erano riuniti centinaia di membri della famiglia reale, amici, persone vicine alla corte, oltre a individui che si passavano per vicini, nella speranza di partecipare al funerale. Subito dietro a loro, tenuti indietro da un esercito di soldati, Gareth poteva vedere le masse che si riversavano lì, migliaia di persone che seguivano la cerimonia da lontano. Il dolore sui loro volti era sincero. Suo padre era amato, quello era certo.

Gareth rimase lì con il resto dei famigliari più stretti, raccolti in un semicerchio attorno al corpo di suo padre che giaceva appoggiato su delle assi sospese al di sopra di una fossa nel terreno, sostenuto da corde attorno, in attesa di essere calato giù. Argon stava di fronte alla folla, con indosso la veste scarlatta utilizzata solo per i funerali e con un’espressione imperscrutabile mentre guardava il corpo del Re con il cappuccio calato sul volto. Gareth tentò disperatamente di analizzare quel volto, di decifrare quanto Argon sapesse. Sapeva che era stato lui a uccidere suo padre? E se così fosse, l’avrebbe rivelato agli altri o avrebbe lasciato che il destino giocasse le sue carte?

Per sfortuna di Gareth, quel fastidioso ragazzo, Thor, era stato assolto da ogni colpa. Era ovvio che non aveva potuto pugnalare lui il Re mentre si trovava nelle segrete. Senza parlare del fatto che suo padre stesso aveva dichiarato agli altri la sua innocenza. Il che non faceva che peggiorare le cose per Gareth. Era già stato costituito un consiglio per indagare sulla questione, per passare al vaglio ogni dettaglio dell’assassinio. Il cuore di Gareth gli martellava nel petto mentre stava lì in piedi tra gli altri a guardare il corpo che stava per essere calato nella terra. Avrebbe voluto scendervi anche lui.

Era solo questione di tempo perché le tracce conducessero a Firth, e quando ciò fosse accaduto, Gareth sarebbe stato coinvolto insieme a lui. Doveva agire velocemente per deviare l’attenzione, per far ricadere la colpa su qualcun altro. Gareth si chiese se la gente lì attorno sospettasse di lui. Probabilmente era solo paranoico, e mentre passando in rassegna i volti vide che nessuno guardava dalla sua parte. C’erano i suoi fratelli – Reece, Godfrey e Kendrick –, sua sorella Gwendolyn e sua madre, il volto contorto dal dolore e lo sguardo catatonico. In effetti, dalla morte di suo padre era diventata un’altra persona, quasi incapace di proferire parola. Aveva sentito dire che quando aveva ricevuto la notizia era successo qualcosa in lei, una sorta di paralisi. Metà del suo volto era paralizzato e quando apriva bocca le parole uscivano lentissime.

Gareth osservò i volti dei componenti del Concilio del Re dietro di lei: il primo generale Brom e il capo della Legione Kolk stavano davanti, e dietro di loro stavano gli innumerevoli consiglieri di suo padre. Simulavano tutti il dolore, ma Gareth sapeva. Sapeva che a tutte quelle persone, a tutti i membri del Concilio , ai consiglieri e ai generali, e a tutti i nobili e i lord alle loro spalle ben poco importava. Riconobbe l’ambizione sui loro volti. La sete di potere. Mentre guardavano il corpo del Re che scendeva nella fossa, sentiva che ciascuno di loro si chiedeva chi sarebbe stato il prossimo a prendere il trono.

Era proprio ciò a cui stava pensando anche lui. Cosa sarebbe accaduto all’indomani di quel caotico assassinio? Se fosse andato tutto liscio e la colpa fosse ricaduta su qualcun altro, allora il piano di Gareth si sarebbe rivelato perfetto: il trono sarebbe andato a lui. Dopotutto era lui il primogenito legittimo. Suo padre aveva ceduto il potere a Gwendolyn, ma nessuno aveva presenziato a quell’incontro, eccetto i suoi fratelli. Gareth conosceva il Concilio , e sapeva anche quanto seriamente prendessero la legge. Senza una convalida sua sorella non avrebbe potuto regnare.

Il che di nuovo portava a lui. Se il dovuto procedimento avesse seguito il suo corso – e Gareth era determinato a far sì che così avvenisse – allora il trono sarebbe andato a lui. Era la legge.

I suoi fratelli si sarebbero opposti, non c’era alcun dubbio. Avrebbero ricordato l’incontro con loro padre e avrebbero probabilmente insistito che fosse Gwendolyn a regnare. Kendrick non avrebbe neanche provato a prendere il potere: era di animo troppo puro. Godfrey era apatico. Reece era troppo giovane. La sua unica vera minaccia era Gwendolyn. Ma Gareth si sentiva ottimista: pensava che il Concilio non fosse pronto perché una donna – e per di più una ragazzina – governasse l’Anello. E senza una convalida da parte del Re avrebbero avuto la scusa giusta per scalzarla.

L’unica vera minaccia che Gareth aveva in mente era effettivamente Kendrick. Del resto era risaputo che tutti odiavano lui, Gareth, mentre Kendrick era amato tra gli uomini comuni e tra i soldati. Date le circostanze, c’era sempre la possibilità che il Concilio offrisse il trono a Kendrick. Prima Gareth fosse stato in grado di assumere il potere, prima avrebbe potuto usarlo per reprimere Kendrick.

Gareth sentì uno strattone alla mano e abbassando lo sguardo vide la corda annodata che gli sfregava la mano. Si rese conto che avevano iniziato a calare la bara di suo padre. Si guardò attorno e vide gli altri fratelli, ciascuno con una corda in mano, che la facevano scendere lentamente. La corda di Gareth era inclinata dato il suo ritardo nel rilasciarla, quindi la afferrò con l’altra mano fino a portarla allo stesso livello delle altre. Era ironico: anche nella morte non era in grado di accontentare suo padre.

Delle campane risuonarono in lontananza, dal castello, e Argon venne avanti e sollevò i palmi.

“Itso ominus domi ko resepia…”

La lingua perduta dell’Anello, la lingua reale, usata dagli antenati per mille anni. Era una lingua con la quale i tutori privati di Gareth gli avevano trapanato il cervello da ragazzo, la stessa lingua della quale avrebbe avuto bisogno quando avesse assunto i suoi poteri reali.

Argon si fermò improvvisamente, sollevò lo sguardo e fissò proprio Gareth. Un brivido gelido scorse lungo la schiena di Gareth, mentre sembrava che gli occhi luminosi di Argon lo perforassero. Il volto di Gareth avvampò: si chiese se l’intero regno lo stesse osservando e se qualcuno sapesse cosa significasse. In quello sguardo Gareth percepì che Argon sapeva quanto lui fosse coinvolto nei fatti. Eppure Argon era misterioso e rifiutava sempre di essere coinvolto negli intrecci del fato. Avrebbe taciuto?

“Re MacGil è stato un Re buono, un Re giusto,” disse Argon lentamente, con voce profonda e soprannaturale. “È stato l’onore e l’orgoglio dei suoi antenati, donando pace e prosperità al regno come mai avevamo visto. La sua vita gli è stata strappata prematuramente, come se Dio l’avesse desiderata presto con sé. Ma ha lasciato dietro di sé una ricca e profonda eredità. Ora sta a noi portare a compimento questa eredità.”

Fece una pausa.

“Il nostro regno dell’Anello è circondato da ogni lato da minacce profonde e infauste. Oltre il nostro Canyon, dove siamo protetti solo da nostro scudo di energia, giace una nazione di selvaggi e creature che potrebbero farci a brandelli. All’interno dell’Anello, di fronte all’Altopiano, vive un clan che potrebbe farci del male. Viviamo in una situazione di prosperità e pace ineguagliabili, eppure la nostra sicurezza sta svanendo. Perché gli dei hanno deciso di prendere, nel miglior momento della sua vita, uno di noi, un Re saggio e giusto? Perché il suo destino era di essere assassinato in questo modo? Siamo tutti solo delle pedine, marionette nelle mani del fato. Anche quando ci troviamo all’apice del nostro successo, possiamo precipitare sottoterra. La domanda con la quale dobbiamo fare i conti non è per cosa combattiamo, ma chi vogliamo essere.”

Argon abbassò il capo e Gareth sentì i palmi che gli bruciavano mentre calavano la bara fino in fondo. Finalmente colpì il terreno con un tonfo.

“NO!” si udì un grido.

Era Gwendolyn. Isterica, corse al bordo della fossa, come per gettarvisi dentro. Reece scattò in avanti e la afferrò, tirandola indietro. Anche Kendrick si avvicinò in aiuto.

Ma Gareth non provava compassione per lei, piuttosto si sentiva minacciato. Se voleva davvero andare sottoterra, poteva aiutarla lui.

Sì, in effetti poteva.

*

Thor era a pochi passi dal corpo di Re MacGil a guardare mentre lo calavano nella terra, e si sentiva sopraffatto da quella vista. In cima al picco del più scosceso dirupo del regno, il Re aveva scelto un luogo spettacolare per la sua sepoltura. Un luogo nobile, che sembrava raggiungere le nuvole stesse. Le nubi erano tinte di arancio, verde, giallo e rosa, mentre il primo dei soli stava nascendo profilandosi sempre più in alto nel cielo. Ma il giorno era velato da una bruma che non dava segno di sollevarsi, come se il regno stesso fosse in lutto. Krohn, accanto a Thor, piagnucolava.

Thor udì uno stridio, e sollevando lo sguardo vide Estofele che volava in cerchio sopra di loro, guardandoli. Thor era ancora intorpidito, stentava a credere agli eventi degli ultimi pochi giorni: ora era lì, nel mezzo della famiglia del Re, ad osservare quest’uomo che in così poco tempo aveva imparato ad amare con tutto il cuore. Sembrava impossibile. Aveva appena iniziato a conoscerlo, il primo uomo che assomigliasse per lui a un vero padre, e ora glielo stavano portando via. Più di tutto Thor non poteva fare a meno di ripensare alle ultime parole del Re:

Tu non sei come gli altri. Sei speciale. Fino a che non capirai chi sei, il nostro regno non troverà mai pace.

Cos’aveva voluto dirgli il Re? Chi era lui esattamente? In che modo era speciale? E come faceva il Re a saperlo? Cos’aveva a che fare il destino del regno con Thor? Il Re stava forse solo delirando?

C’è una grande terra, lontano da qui. Oltre le Terre Selvagge. Addirittura oltre la Terra dei Draghi. È la Terra dei Druidi. Da dove viene tua madre. Devi andare lì a cercare le risposte.

Come faceva MacGil a sapere di sua madre? Come faceva a sapere dove vivesse? E che genere di risposte aveva per lui? Thor aveva sempre pensato che fosse morta: l’idea che potesse essere viva lo elettrizzava. Si sentiva determinato più che mai a cercarla, a trovarla. A trovare quelle risposte, a scoprire chi lui fosse e perché era così speciale.

Quando la campana suonò e il corpo di MacGil iniziò ad essere calato, Thor ripensò ai crudeli intrecci del fato: perché gli era stato concesso di vedere il futuro, di vedere quel grande uomo ucciso se poi era stato impotente di fare qualsiasi cosa per impedirlo? In qualche modo avrebbe prefertito non aver mai visto nulla, non aver mai saputo in anticipo ciò che sarebbe successo. Avrebbe voluto essere un innocente spettatore come gli altri e svegliarsi un giorno per venire a sapere che il Re era morto. Ora si sentiva come parte di quell’azione. In qualche modo si sentiva colpevole, come se avesse dovuto fare di più.

Thor si chiese cosa ne sarebbe stato ora del regno. Era un regno senza Re. Chi avrebbe regnato? Sarebbe stato, come tutti supponevano, Gareth? Thor non poteva immaginare niente di peggio.





Конец ознакомительного фрагмента. Получить полную версию книги.


Текст предоставлен ООО «ЛитРес».

Прочитайте эту книгу целиком, купив полную легальную версию (https://www.litres.ru/pages/biblio_book/?art=43691551) на ЛитРес.

Безопасно оплатить книгу можно банковской картой Visa, MasterCard, Maestro, со счета мобильного телефона, с платежного терминала, в салоне МТС или Связной, через PayPal, WebMoney, Яндекс.Деньги, QIWI Кошелек, бонусными картами или другим удобным Вам способом.



"Una nuova serie di fantasy epico mozzafiato. Morgan Rice ripete limpresa! Questa magica saga ricorda il meglio di J.K. Rowling, George R.R. Martin, Rick Riordan, Christopher Paolini e J.R.R. Tolkien. Non ero in grado di chiudere il libro!" –Allegra Skye, autore del bestseller SAVED LA MARCIA DEI RE ci porta avanti lungo il viaggio epico di Thor nellumanità, mentre inizia a capire di più su se stesso e sui suoi poteri, intraprendendo la sua carriera da guerriero. Dopo essere fuggito dalle segrete, Thor è sconvolto dal sentire di un altro tentativo di assassinio contro Re MacGil. Quando MacGil muore, il regno è in pieno subbiglio. Mentre tutti competono per ottenere il trono, la Corte del Re è più occupata che mai con i suoi drammi familiari, lotte di potere, ambizioni, gelosia, violenza e tradimento. È necessario che un erede venga scelto tra i figli, e lantica Spada della Dinastia, la fonte di tutto il loro potere, avrà unaltra occasione di essere sollevata da un nuovo pretendente. Ma tutto viene ribaltato: viene rinvenuta larma del delitto e il cappio si stringe attorno alla ricerca dellassassino. Allo stesso tempo i MacGil devono affrontare una nuova minaccia da parte dei McCloud, che sono già pronti ad attaccare di nuovo dallinterno dellAnello. Thor lotta per riconquistare lamore di Gwendolyn, ma purtroppo non cè tempo: è obbligato a fare i bagagli e prepararsi con i suoi compagni darmi per il Cento, un centinaio di estenuanti giornate dinferno alle quali i membri della Legione devono sopravvivere. La Legione dovrà oltrepassare il Canyon andando al di là della protezione dellAnello, addentrandosi nelle Terre Selvagge e salpando attraverso il Mar Tartuvio verso lIsola della Nebbia, che si dice sia sorvegliata da un drago. Questa sarà la loro iniziazione per diventare uomini. Ce la faranno a tornare? LAnello sopravviverà durante la loro assenza? E Thor capirà finalmente il segreto del suo destino? Con la sua sofisticata strutturazione del mondo e la sua caratterizzazione dei personaggi, LA MARCIA DEI RE è un racconto epico di amici e innamorati, di rivali e saguaci, di cavalieri e draghi, di intrighi e macchinazioni politiche, di crescita, di cuori spezzati, di inganno, ambizione e tradimento. È un racconto di onore e coraggio, di fato e destino, di stregoneria. È un fantasy capace di trasportarci in un mondo che non dimenticheremo mai, e che affascinerà ogni età e ogni genere di persona. È un libro di 60.000 parole. Della stessa serie sono anche già stati pubblicati i libri dal 3 al 12.

Как скачать книгу - "La Marcia Dei Re" в fb2, ePub, txt и других форматах?

  1. Нажмите на кнопку "полная версия" справа от обложки книги на версии сайта для ПК или под обложкой на мобюильной версии сайта
    Полная версия книги
  2. Купите книгу на литресе по кнопке со скриншота
    Пример кнопки для покупки книги
    Если книга "La Marcia Dei Re" доступна в бесплатно то будет вот такая кнопка
    Пример кнопки, если книга бесплатная
  3. Выполните вход в личный кабинет на сайте ЛитРес с вашим логином и паролем.
  4. В правом верхнем углу сайта нажмите «Мои книги» и перейдите в подраздел «Мои».
  5. Нажмите на обложку книги -"La Marcia Dei Re", чтобы скачать книгу для телефона или на ПК.
    Аудиокнига - «La Marcia Dei Re»
  6. В разделе «Скачать в виде файла» нажмите на нужный вам формат файла:

    Для чтения на телефоне подойдут следующие форматы (при клике на формат вы можете сразу скачать бесплатно фрагмент книги "La Marcia Dei Re" для ознакомления):

    • FB2 - Для телефонов, планшетов на Android, электронных книг (кроме Kindle) и других программ
    • EPUB - подходит для устройств на ios (iPhone, iPad, Mac) и большинства приложений для чтения

    Для чтения на компьютере подходят форматы:

    • TXT - можно открыть на любом компьютере в текстовом редакторе
    • RTF - также можно открыть на любом ПК
    • A4 PDF - открывается в программе Adobe Reader

    Другие форматы:

    • MOBI - подходит для электронных книг Kindle и Android-приложений
    • IOS.EPUB - идеально подойдет для iPhone и iPad
    • A6 PDF - оптимизирован и подойдет для смартфонов
    • FB3 - более развитый формат FB2

  7. Сохраните файл на свой компьютер или телефоне.

Книги серии

Книги автора

Аудиокниги серии

Аудиокниги автора

Рекомендуем

Последние отзывы
Оставьте отзыв к любой книге и его увидят десятки тысяч людей!
  • константин александрович обрезанов:
    3★
    21.08.2023
  • константин александрович обрезанов:
    3.1★
    11.08.2023
  • Добавить комментарий

    Ваш e-mail не будет опубликован. Обязательные поля помечены *