Книга - Il Look Perfetto

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Il Look Perfetto
Blake Pierce


Un thriller psychologique avec Jessie Hunt #6
“Un capolavoro del thriller e del mistero. Blake Pierce ha fatto un ottimo lavoro sviluppando dei personaggi con un lato psicologico così ben descritto da farci sentire come dentro alle loro teste, seguendo le loro paure e gioendo per i loro successi. Pieno di svolte, questo libro vi terrà svegli fino a che non girerete l’ultima pagina.”

–-Books and Movie Reviews, Roberto Mattos (riguardo a Il killer della rosa)



IL LOOK PERFETTO è il libro #6 di una nuova serie di thriller psicologici dell’autore campione d’incassi Blake Pierce, il cui best seller numero #1, Il killer della rosa (scaricabile gratuitamente) ha più di 1.000 recensioni da cinque stelle.



Quando un uomo viene trovato morto nella sua stanza d’hotel a Los Angeles dopo una notte con una prostituta, nessuno pensa che sia un grosso caso, fino a che il fatto non va a combaciare con un altro caso apparentemente isolato. Appare subito evidente che una prostituta si è trasformata in una serial killer. E sembra che la profiler criminale e agente dell’FBI Jessie Hunt, 29 anni, sia l’unica capace di fermarla.



Un thriller psicologico veloce e pieno di suspence, con dei personaggi indimenticabili, IL LOOK PERFETTO è il libro #6 di una nuova serie che vi terrà incollati alle pagine e non permetterà quasi di andare a dormire.



Il libro #7 della serie di Jessie Hunt sarà presto disponibile.





Blake Pierce

IL LOOK PERFETTO




i l   l o o k   p e r f e t t o




(un emozionante thriller psicologico di jessie hunt—libro 6)




b l a k e   p i e r c e




edizione italiana


a cura di


Annalisa Lovat



Blake Pierce

Blake Pierce è autore bestseller secondo USA Today della serie mistery RILEY PAIGE, che include sedici libri (e altri in arrivo). Blake Pierce è anche l’autore della serie mistery MACKENZIE WHITE, che comprende tredici libri (e altri in arrivo); della serie mistery AVERY BLACK, che comprende sei libri; della serie mistery KERI LOCKE, che comprende cinque libri; della serie mistery GLI INIZI DI RILEY PAIGE, che comprende cinque libri (e altri in arrivo); della serie mistery KATE WISE, che comprende sei libri (e altri in arrivo); del sorprendente mistery psicologico CHLOE FINE, che comprende cinque libri (e altri in arrivo); dell’emozionante serie thriller psicologica JESSIE HUNT, che comprende cinque libri (e altri in arrivo); della serie thriller psicologica che vi farà stare con il fiato sospeso, AU PAIR, che comprende due libri (e altri in arrivo); e della serie mistery ZOE PRIME, che comprende due libri (e altri in arrivo).



Avido lettore e fan da sempre dei generi mistery e thriller, Blake adora sentire le vostre opinioni, quindi non esitate a visitare il sito www.blakepierceauthor.com (http://www.blakepierceauthor.com/) per scoprire di più su questo autore e mettervi in contatto con lui.



Copyright © 2020 by Blake Pierce. All rights reserved. Except as permitted under the U.S. Copyright Act of 1976, no part of this publication may be reproduced, distributed or transmitted in any form or by any means, or stored in a database or retrieval system, without the prior permission of the author. This ebook is licensed for your personal enjoyment only. This ebook may not be re-sold or given away to other people. If you would like to share this book with another person, please purchase an additional copy for each recipient. If you’re reading this book and did not purchase it, or it was not purchased for your use only, then please return it and purchase your own copy. Thank you for respecting the hard work of this author. This is a work of fiction. Names, characters, businesses, organizations, places, events, and incidents either are the product of the author’s imagination or are used fictionally. Any resemblance to actual persons, living or dead, is entirely coincidental. Jacket image Copyright Little Moon, used under license from Shutterstock.com.



LIBRI DI BLAKE PIERCE




THRILLER DI ZOE PRIME

IL VOLTO DELLA MORTE (Volume#1)

IL VOLTO DELL’OMICIDIO (Volume #2)

IL VOLTO DELLA PAURA (Volume #3)


LA RAGAZZA ALLA PARI

QUASI SCOMPARSA (Libro #1)

QUASI PERDUTA (Libro #2)

QUASI MORTA (Libro #3)


THRILLER DI ZOE PRIME

IL VOLTO DELLA MORTE (Libro #1)

IL VOLTO DELL’OMICIDIO (Libro #2)

IL VOLTO DELLA PAURA (Libro #3)


I THRILLER PSICOLOGICI DI JESSIE HUNT

LA MOGLIE PERFETTA (Libro #1)

IL QUARTIERE PERFETTO (Libro #2)

LA CASA PERFETTA (Libro #3)

IL SORRISO PERFETTO (Libro #4)

LA BUGIA PERFETTA (Libro #5)

IL LOOK PERFETTO (Libro #6)


I GIALLI PSICOLOGICI DI CHLOE FINE

LA PORTA ACCANTO (Libro #1)

LA BUGIA DI UN VICINO (Libro #2)

VICOLO CIECO (Libro #3)

UN VICINO SILENZIOSO (Libro #4)

RITORNA A CASA (Libro #5)

FINESTRE OSCURATE (Libro #6)


I GIALLI DI KATE WISE

SE LEI SAPESSE (Libro #1)

SE LEI VEDESSE (Libro #2)

SE LEI SCAPPASSE (Libro #3)

SE LEI SI NASCONDESSE (Libro #4)

SE FOSSE FUGGITA (Libro #5)

SE LEI TEMESSE (Libro #6)


GLI INIZI DI RILEY PAIGE

LA PRIMA CACCIA (Libro #1)

IL KILLER PAGLIACCIO (Libro #2)

ADESCAMENTO (Libro #3)

CATTURA (Libro #4)

PERSECUZIONE (Libro #5)


I MISTERI DI RILEY PAIGE

IL KILLER DELLA ROSA (Libro #1)

IL SUSSURRATORE DELLE CATENE (Libro #2)

OSCURITA’ PERVERSA (Libro #3)

IL KILLER DELL’OROLOGIO (Libro #4)

KILLER PER CASO (Libro #5)

CORSA CONTRO LA FOLLIA (Libro #6)

MORTE AL COLLEGE (Libro #7)

UN CASO IRRISOLTO (Libro #8)

UN KILLER TRA I SOLDATI (Libro #9)

IN CERCA DI VENDETTA (Libro #10)

LA CLESSIDRA DEL KILLER (Libro #11)

MORTE SUI BINARI (Libro #12)

MARITI NEL MIRINO (Libro #13)

IL RISVEGLIO DEL KILLER (Libro #14)

IL TESTIMONE SILENZIOSO (Libro #15)

OMICIDI CASUALI (Libro #16)

IL KILLER DI HALLOWEEN (Libro #17)


UN RACCONTO BREVE DI RILEY PAIGE

UNA LEZIONE TORMENTATA


I MISTERI DI MACKENZIE WHITE

PRIMA CHE UCCIDA (Libro #1)

UNA NUOVA CHANCE (Libro #2)

PRIMA CHE BRAMI (Libro #3)

PRIMA CHE PRENDA (Libro #4)

PRIMA CHE ABBIA BISOGNO (Libro #5)

PRIMA CHE SENTA (Libro #6)

PRIMA CHE COMMETTA PECCATO (Libro #7)

PRIMA CHE DIA LA CACCIA (Libro #8)

PRIMA CHE AFFERRI LA PREDA (Libro #9)

PRIMA CHE ANELI (Libro #10)

PRIMA CHE FUGGA (Libro #11)

PRIMA CHE INVIDI (Libro #12)

PRIMA CHE INSEGUA (Libro #13)


I MISTERI DI AVERY BLACK

UNA RAGIONE PER UCCIDERE (Libro #1)

UNA RAGIONE PER SCAPPARE (Libro #2)

UNA RAGIONE PER NASCONDERSI (Libro #3)

UNA RAGIONE PER TEMERE (Libro #4)

UNA RAGIONE PER SALVARSI (Libro #5)

UNA RAGIONE PER MORIRE (Libro #6)


I MISTERI DI KERI LOCKE

TRACCE DI MORTE (Libro #1)

TRACCE DI OMICIDIO (Libro #2)

TRACCE DI PECCATO (Libro #3)

TRACCE DI CRIMINE (Libro #4)

TRACCE DI SPERANZA (Libro #5)




CAPITOLO UNO


Gordon Maines guardò la propria immagine riflessa nello specchio del bagno dell’hotel e non poté fare a meno di ammirare ciò che aveva davanti agli occhi.

Per essere un consigliere al terzo mandato, che stava considerando di candidarsi come sindaco, emanava la sicurezza di un uomo che piegava regolarmente il sistema alla propria volontà, piuttosto che il contrario. E poi, aveva proprio un bell’aspetto.

Si stava avvicinando ai cinquant’anni, ma grazie a un regime completo di cura della pelle (con un piccolo aiutino di Botox), era convinto di poter ancora passare per un quarantenne. I suoi capelli ondulati erano ancora più pepe che sale. La pelle era abbronzata, ma aveva al contempo un aspetto salutare. Faceva ancora la sua bella figura con addosso un abito, anche se ora non ne stava indossando uno.

In effetti, tutto ciò che portava in questo momento era una maglietta bianca e un paio di boxer. E presto si sarebbe tolto anche quelli. Mentre si infilava in bocca la piccola pillola blu e la mandava giù con un sorso di brandy, pensò a quello che lo stava aspettando nell’altra stanza.

Non era di gran lunga la prima volta che faceva questa cosa, ma la donna che aveva portato su nella camera 1441 dell’Hotel Bonaventure, poteva essere considerata la più impressionante. Il vestito viola che indossava era sofisticato ed elegante, ma tanto aderente da lasciar ben immaginare l’abbondanza nascosta al di sotto. In parte si chiedeva cosa ci facesse una donna così in quel settore lavorativo. Era tanto bella da poter essere una modella o un’attrice, o almeno una pornostar.

Ma Gordon non aveva intenzione di arrovellarsi a lungo sulle prospettive lavorative a lungo termine della ragazza. In questo momento era qui e avrebbe fatto tutto quello che lui voleva, anche se avesse dovuto tirare fuori dei soldi dal fondo illegale che teneva da parte, quello che usava per fare in modo che sua moglie non si imbattesse nei sui vari peccatucci.

Entrò nella stanza ben arredata, con le pareti tinte di bianco e decorate con quadri di arte moderna, la moquette spessa e i comò rifiniti con ripiani di marmo, e fu sorpreso di vedere il letto vuoto. Per un secondo, pensando che se la fosse svignata con la prima metà del pagamento, fece per incamminarsi verso la porta.

“Dove stai andando, ragazzone?” mormorò una voce suadente dall’angolo della stanza.

Lui si girò a guardare e la vide, la ragazza alla quale aveva chiesto di non usare nomi. Stava seduta su una sedia dallo schienale alto nell’angolo accanto alla finestra, con indosso solo un bustino nero e un paio di mutandine in tinta. Le sue curve la facevano quasi assomigliare a una Barbie, e molto presto avrebbe appurato se le misure corrispondessero.

I lunghi capelli biondi erano sciolti e le arrivavano quasi ai gomiti. La sua pelle era abbronzata come la ragazza californiana media, cosa che le donava una delicatezza e una sofisticatezza che sembravano in un certo senso esotiche in quella terra di sole e surf. Gli occhi erano azzurri, simili alle acque caraibiche dove Gordon aveva trascorso la sua luna di miele.

Subito cacciò quel pensiero dalla propria mente e si concentrò sulla creatura che aveva di fronte.

“Sto venendo verso di te,” le rispose, certo di avere un tono ammaliante.

“Prima però ti ho versato un altro bicchiere,” disse la ragazza, indicando il ripiano sopra al minibar, e sorseggiando nel contempo il proprio drink. “Ho deciso di non aspettare.”

“Maleducata,” disse lui, fingendo di essere offeso, mentre afferrava il bicchiere.

“Spero di potermi far perdonare,” gli rispose lei con voce allegra e scherzosa.

“Sono sicuro di avere in mente qualcosa,” le disse. Poi prese un sorso. “Mmm, è brandy?”

“Hai detto che era il tuo preferito quando eravamo di sotto,” gli rispose.

“Wow, sei stata attenta,” commentò meravigliato, prima di prendere un’altra sorsata. “La maggior parte delle ragazze che fanno il tuo lavoro non prestano attenzione a nient’altro che ai soldi.”

“Mi stai dicendo che non sono la prima ragazza con cui sei stato?” La giovane fece la finta imbronciata spingendo in fuori il labbro inferiore con un tale impeto che lui fece fatica a contenersi.

Questa è brava.

Ricordò a se stesso di aggiungere un piccolo extra se il resto della prestazione fosse andato secondo le premesse.

“Perché non ti levi la maglietta e ti metti comodo?” gli suggerì la donna, alzandosi in piedi e permettendogli di guardarla.

“Non ti preoccupare,” mormorò lui in risposta, tirandosi via la maglietta con gesti più goffi di quanto avrebbe gradito.

In effetti, mentre se la sfilava dalla testa, perse l’equilibrio e barcollò leggermente. Fortunatamente atterrò sul letto, dove riuscì finalmente a liberarsi dell’indumento, anche se sentì che così facendo i capelli si spettinavano completamente. Era irritato dalla sua mancanza di fluidità, ma ricordò a se stesso che di certo alla ragazza bionda non poteva interessare.

Ora lei era in piedi accanto a lui, l’accenno di un sorriso sul volto. Magari trovava simpatica la sua goffaggine.

“Molto maldestro,” gli disse con tono adorante mentre andava verso la sedia dove lui aveva posato i pantaloni, infilandosi nel mentre quelli che sembravano dei guanti di plastica. Gordon la guardava muoversi, ma faceva leggermente fatica a concentrarsi.

La giovane donna prese il suo portafoglio dalla tasca dei calzoni e lo aprì lentamente, tirando fuori tutte le sue carte e facendole cadere in un sacchettino di plastica. Lui intanto cercava di tirarsi su appoggiandosi ai gomiti per poter vedere meglio, ma le sue braccia non rispondevano più agli ordini inviati dal cervello.

“Eeehi…” cercò di dire, anche se la lingua impastata e si muoveva a fatica.

La ragazza si voltò a guardarlo e gli sorrise con dolcezza.

“Ti senti rilassato?” gli chiese mentre andava alla sua borsetta e vi infilava dentro il sacchettino di plastica.

Da qualche parte nei meandri del suo cervello, a Gordon venne in mente che la ragazza potesse tentare di derubarlo. Pensò anche che poteva avergli messo qualcosa nel bicchiere. Era ora di mettere fine a questa messinscena.

Con tutta la forza che riuscì a raccogliere, Gordon si spinse su e si mise a sedere. La sua testa si reclinò floscia di lato mentre cercava di fissare lo sguardo sulla ragazza.

“Tu… fermati,” cercò di gridare, ma ne venne fuori solo un indistinto biascichio. Era come se nella sua bocca ci fosse un mucchio di biglie.

Mentre lei gli si avvicinava, iniziò a vedere doppio, poi triplo, incapace di capire quale immagine fosse la vera ragazza.

“Sei carino,” disse l’immagine al centro mentre lo spingeva nuovamente in posizione sdraiata. “Incominciamo?”

Gli si mise a cavalcioni. Il corpo di Gordon era pesante e indolenzito, e quasi non sentì il peso della giovane. Vide che aveva ancora sulle mani i guanti di plastica.

Nella sua mente sempre più frastornata, sentì suonare un campanello d’allarme. Questa era più di una rapina con narcotizzazione. Qualcosa nel modo tranquillo e noncurante in cui la donna si stava muovendo gli suggeriva che non fosse interessata solo ai suoi soldi e ai suoi averi. Si stava divertendo. Il modo in cui si strusciava contro il suo torso lo fece pensare a un serpente che si arrampica lentamente risalendo il tronco di un albero.

“Cosa… facendo?” riuscì a bofonchiare.

Lei parve capirlo perfettamente.

“Sto rispettando una promessa,” rispose spensieratamente, come se stesse parlando del tempo atmosferico.

Gordon fissò i suoi occhi azzurri e vide che tutta la giocosità di prima era svanita. Ora erano freddi e concentrati. Capì di essere nei guai. Quella consapevolezza gli fece scorrere nel corpo un’ondata di adrenalina. Gli bastò per alzarsi dal letto.

Si aspettava di essere scattato in piedi facendo cadere la donna sul pavimento, invece si era alzato sì e no di dieci centimetri dal letto, e lei lo spinse nuovamente giù con la semplice pressione dell’indice contro il petto. Poi la donna si chinò su di lui e i loro volti si trovarono a pochi centimetri di distanza. I suoi capelli gli caddero negli occhi, ma non c’era niente che potesse fare per evitarlo.

“È finita per te, Gordon,” gli sussurrò in un orecchio. “Qualche ultima parola?”

I suoi occhi, l’unica parte del corpo che riusciva apparentemente a controllare, si sgranarono.

“Argh…” cercò di gridare.

“Non ti preoccupare,” disse lei bruscamente, interrompendolo. “Non che mi interessi sul serio.”

Gordon la guardò mentre si rimetteva dritta sopra di lui e gli stringeva le mani attorno al collo. Non poteva effettivamente sentire le dita che gli stringevano la gola, ma capì che stava succedendo perché respirare divenne improvvisamente difficoltoso. Gli occhi iniziarono a sporgere dalle orbite, come se potessero schizzare fuori dalla testa. Gordon cercava disperatamente di respirare, ma non sembrava riuscire a trovare un solo filo d’aria da portare ai polmoni. La vista si fece più offuscata, la sua lingua scattava a destra e a sinistra alla ricerca di ossigeno. Ma niente funzionò.

L’ultima cosa che vide prima che calasse il buio fu la donna sopra di lui che lo fissava intentamente mentre lo strangolava. Stava ancora sorridendo.




CAPITOLO DUE


Jessie Hunt sedeva nervosa al banco del Nickel Diner sulla South Main Street, a soli due isolati dalla stazione centrale del Dipartimento di Polizia di Los Angeles.

Anche se la persona che avrebbe incontrato non si sarebbe per niente curata del suo aspetto, voleva fare una buona impressione. In genere si considerava in forma. Aveva occhi verde chiaro e capelli castani che le arrivavano alle spalle e che attualmente erano più lucenti del solito. Si era premurata di indossare la camicetta e pantaloni più professionali che aveva prima di andare al lavoro oggi, abbinati a un paio di scarpe basse che non accentuassero la sua già notevole altezza di un metro e ottanta. Dubitava che chi la guardasse oggi la potesse scambiare per una modella, come succedeva a volte. Ma anche se mancavano poche settimane al suo trentesimo compleanno, sapeva di essere ancora capace di poter far voltare la gente a guardarla, quando le serviva.

Considerato tutto, pensava di cavarsela piuttosto bene. Dopotutto erano passati solo sette giorni da quando era stata drogata da un sospetto assassino e le avevano fatto una lavanda gastrica. Da allora, dopo essere stata dimessa dall’ospedale, era rimasta per lo più rinchiusa nel suo appartamento, sotto le cure e la protezione del detective Ryan Hernandez.

Ryan aveva insistito di stare con lei fino a che non avesse recuperato le forze. Quindi per l’ultima settimana aveva dormito sul divano letto in salotto e le aveva fatto da mangiare. Jessie aveva scelto di accettare l’aiuto e di non andare a interpretare troppo le azioni dell’uomo che a volte le faceva da partner nei casi, e altre volte di più.

In genere, dopo un periodo prolungato di assenza dal lavoro, Jessie avrebbe ricominciato a lavorare dopo aver partecipato, insieme a Ryan, a una riunione organizzativa con il capitano del LAPD Roy Decker. Ma oggi era una giornata insolita. Aveva deciso di fissare un piccolo incontro personale prima che il capitano iniziasse a imporre regole e limiti che vincolassero la sua ripresa del lavoro.

Anche se Jessie Hunt era una consulente profiler criminale per il Dipartimento di Polizia di Los Angeles e non un’effettiva agente di polizia, il capitano Decker era comunque il suo più immediato supervisore, e violare i suoi ordini poteva avere delle serie ripercussioni. Ma avere un semplice incontro con una persona e una discussione informale sull’andamento dell’indagine prima di ricevere ordini da Decker, beh, non poteva certo metterla nei guai.

Era per quel motivo che si trovava nell’affollata tavola calda alle 7.30 del mattino aspettando l’arrivo di un uomo con il quale aveva parlato solo occasionalmente e quasi sempre di sfuggita. Diede un morso al suo toast e sorseggiò la seconda tazza di caffè, ben sapendo che avrebbe fatto meglio a fermarsi dopo il primo. Lui entrò proprio mentre lei stava riappoggiando la tazza sul tavolo.

Garland Moses si guardò attorno nel locale e, notata Jessie, andò verso di lei. All’età di settantuno anni, con la pelle rovinata dal sole, i capelli bianchi spettinati e gli occhiali bifocali sempre sulla punta del naso, non attirò l’attenzione di nessuno dei clienti al suo passaggio. Nessuno di loro aveva idea di trovarsi al cospetto di uno dei forse più celebri profiler criminali dell’ultimo quarto di secolo.

Jessie non poteva biasimarli. L’uomo sembrava mantenere un’aria trasandata. Si trascinò verso di lei, apparentemente ignaro della camicia male infilata nei pantaloni e delle macchie sul suo gilet oversize. Il giubbotto sportivo grigio che indossava gli stava addosso come appeso su un attaccapanni e sembrava poterlo inghiottire da un momento all’altro.

Ma se lo si guardava meglio, apparivano chiare altre cose. Dietro agli spessi occhiali, gli occhi attenti sfrecciavano rapidi in tutte le direzioni, osservando in un istante l’ambiente. Anche se i capelli erano spettinati, la barba era ben fatta e non dava il minimo accenno di essere incolta. I denti erano ancora bianchi splendenti e in perfetta condizione. Le unghie erano ben tagliate e i lacci delle scarpe legati con il doppio nodo. Garland Moses proiettava l’immagine alla bell’è meglio di un cittadino di mezza età in stile Colombo. Ma come Jessie ben sapeva, era tutta una messinscena.

Moses aveva risolto alcuni fra i casi di omicidio più difficili nel paese nell’arco di quarant’anni. Aveva partecipato al primo in qualità di membro della celeberrima Divisione di Scienze Comportamentali dell’FBI con base a Quantico, Virginia. Poi, alla fine degli anni 90, dopo vent’anni passati a incontrare il peggio che l’umanità avesse da offrire, era andato in pensione nel soleggiato sud della California.

Ma dopo pochi mesi dal suo arrivo, il LAPD gli aveva fatto la corte perché prestasse servizio come consulente profiler. Lui aveva accettato, ponendo diverse condizioni. Primo, non sarebbe stato un formale dipendente, quindi non soggetto a regole e normative del dipartimento, libero di andare e venire come più gli piaceva. Secondo, i casi se li sceglieva lui. E, cosa per lui più importante, non avrebbe dovuto seguire nessun dress-code.

Il dipartimento era stato contento di acconsentire. E nonostante avesse un atteggiamento espressamente burbero o fosse, come un agente lo aveva chiamato, uno “stronzo taciturno e privo di pazienza”, non se ne erano mai pentiti. Rintanato nel suo ufficio isolato e grande come uno sgabuzzino al secondo piano della stazione di polizia, Moses eseguiva il suo lavoro, e si poteva contare su di lui perché risolvesse dai tre ai quattro casi di alto profilo all’anno, generalmente quelli che mettevano in difficoltà chiunque altro.

Per motivi che Jessie non aveva mai capito, Garland Moses sembrava apprezzarla, o almeno non avere niente contro la sua esistenza, che era praticamente la stessa cosa per lui. Le aveva anche dato degli occasionali consigli su qualche caso, di tanto in tanto.

E anche se non l’aveva mai riconosciuto, lei era venuta a sapere che la sua raccomandazione era stata determinante per la sua ammissione alla tanto decantata Accademie dell’FBI, corso di dieci settimane che lei aveva completato l’anno precedente.

Il programma, fortemente selettivo, accoglieva il meglio dai dipartimenti locali di polizia per fornire un addestramento che includeva le ultime tecniche investigative dell’FBI. Di solito era disponibile solo per detective con esperienza e con uno storico di alto decoro. Ma Jessie, una relativa principiante, era stata in qualche modo ammessa. Mentre si trovava lì, non solo aveva imparato da istruttori dell’unità di Scienze Comportamentali e famosi in tutto il mondo, ma aveva anche seguito un intenso allenamento fisico che includeva istruzioni nel campo delle armi e lezioni di auto-difesa.

Senza dubbio, il suo successo nella risoluzione di diversi importanti casi di omicidio, per non parlare dell’aver sventato un attentato alla propria vita da parte del proprio marito, avevano giocato un buon ruolo nella sua ammissione. Ma immensamente significativa era sicuramente stata la buona parola detta a suo credito da numerosi agenti di polizia di alto livello a Los Angeles, tra cui appunto anche Moses.

Mentre si sedeva di fronte a lei, Jessie fu certa che già percepisse lo scopo della sua richiesta di incontro la mattina presto fuori dal posto di lavoro. Nonostante il proprio nervosismo, fu per lei quasi un sollievo. Se lui poteva già immaginare quello che lei voleva, Jessie poteva fare a meno di ogni vezzo, persuasione e adulazione tipicamente necessarie per una richiesta come quella che doveva fare lei. Dopotutto lui era qui. Questo significava che era almeno leggermente interessato.

“Buongiorno signor Moses,” disse Jessie quando lui si fu accomodato.

“Garland,” rispose lui con il suo tipico ringhio roco, facendo cenno alla cameriera di portare un caffè. “Sarà meglio che ci sia un buon motivo, Hunt. Sei stata molto criptica al telefono. Non mi piace interrompere la mia routine mattutina. E tu l’hai decisamente interrotta.”

“Sono piuttosto certa che troverai valida la riprogrammazione,” gli assicurò. Poi decise di andare dritta al punto. “Ho bisogno del tuo aiuto.”

“Questo me l’ero immaginato. Nessuno chiede un incontro con me per discutere di tazzine da caffè+, anche se la cosa mi mortifica,” disse con volto serio.

Jessie decise di prendere la battuta come buon segno e stette al gioco.

“Sarò felice di farlo dopo, Garland, se ne hai davvero voglia. Ma per ora, il mio interesse è meno concentrato su tazzine e piattini, e più sui serial-killer rapitori di ragazzi.”

La cameriera, che era già arrivata con la sua caraffa di caffè, lanciò a Jessie un’occhiata scioccata. Una quarantenne bionda dal volto tondo e serafico il cui cartellino diceva ‘Pam’. Si riprese in fretta e distolse lo sguardo, mentre riempiva la tazza di Garland.

“Ti ascolto,” disse Garland dopo che la cameriera si fu allontanata. “A quanto pare anche Pam ti ascoltava.”

Jessie decise di non chiedergli come facesse a sapere il nome della donna, dato che non l’aveva mai guardata. Si lanciò invece nel proprio discorso.

“Sono sicura che sei al corrente del fatto che Bolton Crutchfield è ancora uccel di bosco e che solo la settimana scorsa ha rapito una diciassettenne di nome Hannah Dorsey.”

“Sì,” le rispose senza aggiungere altro.

Non c’era bisogno che lo facesse. Non c’era bisogno di essere un celebre profiler criminale per conoscere il mostruoso passato di Bolton Crutchfield, che aveva assassinato dozzine di persone con elaborata brutalità e che era recentemente scappato da una prigione psichiatrica.

“Ok,” continuò Jessie. “Probabilmente sai anche che ho un certo passato con Crutchfield: che l’ho intervistato una dozzina di volte quando era rinchiuso nel penitenziario psichiatrico del DNR, e che in quelle occasioni mi ha raccontato che il mio vecchio paparino, il serial killer Xander Thurman, era il suo mentore e che erano stati in contatto.”

“Sapevo anche questo. So anche che, nonostante la sua ammirazione per tuo padre, quando è giunto il momento di scegliere tra voi due, ti ha messa in guardia sulla minaccia da parte del tuo genitore, potenzialmente salvandoti la vita. Questo credo complichi i tuoi sentimenti nei suoi confronti.”

Jessie prese una lunga sorsata del suo caffè mentre ponderava la risposta da fornire.

“Sì,” gli concesse alla fine. “Soprattutto dato che ha specificato di volermi lasciare in pace da ora in poi, per andare a seguire altri interessi.”

“Una sorta di pausa.”

Pam tornò titubante per prendere l’ordinazione di Garland.

“Prendo quello che ha preso lei,” le disse, indicando il toast di Jessie. Pam parve delusa, ma non disse nulla e tornò in cucina.

“Giusto,” disse Jessie. “Ovviamente ero riluttante nell’accettare la parola di un feroce assassino che affermava di vivere e lasciar vivere. E poi si è preso la ragazza.”

“Questo ti ha preoccupato,” notò Garland, esprimendo ciò che sapeva essere ovvio.

“Sì,” disse Jessie. “Si tratta di una ragazza che avevo trovato tenuta prigioniera da mio padre in una casa con i suoi genitori adottivi. La stava torturando. È sopravvissuta per un pelo, come me. Le persone che le facevano da famiglia, no. Quindi, quando solo poche settimane dopo Crutchfield l’ha rapita uccidendo i suoi genitori affidatari, mi è sembrato…”

“Personale,” disse Garland completando il suo pensiero.

“Esatto,” confermò Jessie. “E ora, dopo una settimana di congedo forzato, una settimana in cui Hannah è rimasta tra le grinfie di Crutchfield, torno oggi al lavoro.”

“Ma c’è un problema,” disse Garland continuando il suo discorso, e spronando così Jessie a proseguire. E così lei fece.

“Sì. Il caso è stato assegnato all’FBI. So che quando varcherò la porta della stazione di polizia, mi verrà proibito di partecipare, a causa… dei miei collegamenti personali. Ma conoscendo la mia natura dopo quasi trent’anni su questo pianeta, non sarò per niente in grado di levarmi questa cosa dalla testa e badare ai fatti miei. Quindi ho pensato di richiedere l’assistenza di qualcuno che non sia vincolato dai regolamenti che invece terranno legate a me le mani.”

“Eppure,” disse Garland mentre il suo toast arrivava. “Ho la netta sensazione di non essere la tua prima scelta per questo compito.”

Jessie non aveva idea di come potesse averlo capito, ma non tentò di negarlo.

“È vero. Di norma non chiederei a un celeberrimo ed emerito profiler di farmi un favore, se potessi evitarlo. In particolare non mi piace chiedere alla gente di fare lo sporco lavoro di tentare con discrezione di capire ciò che sta accadendo nelle indagini di qualcun altro. Ma purtroppo la mia prima scelta non è disponibile.”

“Chi sarebbe?” chiese Garland.

“Katherine Gentry. Era responsabile della sicurezza nella prigione del DNR. Abbiamo stretto amicizia durante le mie tante visite. Ma quando Crutchfield è scappato e diverse guardie sono state assassinate, lei è stata licenziata. Da allora è diventata un’investigatrice privata. Kat è nuova nel settore, ma è brava. L’ho usata per altre ricerche in precedenza.”

“Ma…” insistette Garland.

“Ma è nel mezzo di un altro caso che richiede un sacco di sorveglianza fuori città, quindi non ha realmente il tempo di starmi dietro. E poi ho pensato che la cosa potesse essere un po’ troppo cruda per lei, considerata la sua connessione con Crutchfield. Temo che potrebbe essergli troppo vicina.”

“Capisco,” disse lui con tono malizioso. “Quindi sei preoccupata che una persona possa non essere in grado di valutare oggettivamente la situazione a causa della propria connessione personale alla situazione. Una tale descrizione si applica a qualcun altro di tua conoscenza?”

Jessie lo guardò, ben consapevole di quello che voleva insinuare. Ovviamente, se avesse saputo quanto personale fosse questo caso per lei, probabilmente sarebbe stato ancora più preoccupato. Poi le venne in mente un pensiero, un pensiero che avrebbe potuto fargli rivalutare la sua visione delle circostanze.

“Hai ragione,” gli disse. “Non sono oggettiva, ancora meno di quanto tu pensi. Vedi, Garland, ciò che solo mezza dozzina di persone al mondo sanno è che il padre di Hannah Dorsey era Xander Thurman. È la mia sorellastra, una cosa che ho scoperto meno di un mese fa. Quindi non sono per niente oggettiva in questa faccenda.”

Garland, che stava per prendere un sorso di caffè, fece una breve pausa. A quanto pareva aveva ancora la capacità di sorprendersi.

“Questa è una complicanza,” affermò.

“Sì,” disse Jessie, chinandosi decisa in avanti. “E sono piuttosto sicura che Crutchfield l’abbia presa per modellarla e farla diventare una serial killer come mio padre e come lui stesso. Era quello che mio padre stava cercando di fare con me. Quando l’ho rifiutato, ha cercato di uccidermi. Penso che Crutchfield stia tentando di riprendere da dove Thurman ha lasciato.”

“Cosa te lo fa pensare?” chiese Garland.

“Mi ha mandato una cartolina che fondamentalmente lo diceva chiaro e tondo. E poi ha lasciato un messaggio scritto con il sangue sulla parete della famiglia affidataria, reiterando lo stesso messaggio. Non sta facendo tanto il sottile in merito.”

“Sembra piuttosto ridondante,” le concesse Garland.

“Giusto,” disse Jessie, sentendo che l’uomo si stava ammorbidendo davanti alle sue richieste. “Quindi sono la prima ad ammettere di non essere esattamente la persona più indicata per questo caso. E capisco perché il capitano Decker rifiuterebbe di concedermi di occuparmene. Ma come ho detto, mi conosco. E mi è impossibile fare finta che là fuori non ci sia un serial killer che sta tentando di trasformare la mia sorellastra nella versione più piccola di se stesso. Ecco perché ho pensato di rivolgermi a qualcuno che possa essere più razionale, tenendo d’occhio il caso e aggiornandomi. Altrimenti potrei impazzire. E questa persona deve essere qualcuno capace di accedere alle informazioni, senza essere vincolato dai divieti del Dipartimento di Polizia di Los Angeles.”

Garland si chinò sul bancone, spostando i bicchieri da davanti al suo naso. Sembrava perso nei suoi pensieri.

“Garland,” disse Jessie, la voce sommessa, quasi un sussurro. “Bolton Crutchfield sta tentando di creare un mostro a sua immagine e somiglianza, e lo sta facendo con una ragazzina traumatizzata. È una cosa orribile, anche se lei non fosse la mia unica familiare vivente, una sorella che non ho ancora avuto il tempo di conoscere. Ma lo sta facendo intenzionalmente per giocare con me. Un altro dei suoi giochi sadici. Capisco quello che sta succedendo. Ho la mente chiara al riguardo. Ma se pensi che comprendere la situazione significhi che sarò in grado di starne alla larga per una direttiva impartita dal mio supervisore, ti stai tristemente sbagliando. Se dici di no, seguirò questa cosa da sola, incurante delle conseguenze. Sto chiedendo il tuo aiuto, in parte perché sei più bravo di me in questa cosa. Ma in parte anche per salvarmi da me stessa. Non voglio fare la tragica e dire che il mio futuro è nelle tue mani… Ma il mio futuro è nelle tue mani. Cosa dici?”

Garland rimase seduto in silenzio per un momento. Poi si chinò in avanti, pronto a rispondere. Improvvisamente il cellulare di Jessie suonò. Lei abbassò lo sguardo era Ryan. Lei mandò la chiamata alla segreteria e risollevò lo sguardo sull’uomo che aveva di fronte. Poi sentì una vibrazione. Abbassando lo sguardo vide un messaggio da parte di Ryan che diceva semplicemente: “911, rispondi.” Un attimo dopo il telefono suonò di nuovo. Jessie rispose.

“Sto facendo una cosa,” disse.

“C’è stato un omicidio all’Hotel Bonaventure,” le disse Ryan. “Decker ce l’ha assegnato. Ha detto che ha spostato la nostra riunione con lui e vuole che andiamo lì subito. Sto venendo a prenderti. Sarò lì davanti tra due minuti.”

Riagganciò prima che lei potesse rispondere. Jessie guardò Garland.

“Mi hanno appena chiamata sulla scena di un omicidio. Il detective Hernandez sta venendo qui a prendermi. Ho bisogno di una decisione. Cosa dici, Garland?”




CAPITOLO TRE


Jessie si teneva con tutte le sue forze alla maniglia dell’auto.

Ryan aveva acceso la sirena e stava sfrecciando tra le strade del centro, prendendo ogni svolta in modo brusco. A quanto pareva i media erano già stati informati del ritrovamento di un cadavere in un elegante hotel e fuori si stava già formando un discreto affollamento. Ryan voleva arrivare sul posto prima che la scena si facesse troppo caotica.

Jessie era tacitamente riconoscente di essersi accontentata di un toast per colazione, mentre veniva sballottata all’interno dell’auto. Nonostante fosse del tutto scombussolata, una cosa era fissa e chiara nella sua mente: Garland Moses aveva detto di sì.

Questo significava che, se si fosse sforzata di sfruttare al meglio il suo coinvolgimento, non avrebbe dovuto passare ogni momento libero del proprio tempo a dare di matto per la scomparsa di Hannah. Ora c’era qualcuno che se ne occupava e di cui lei si fidava, qualcuno che era certa l’avrebbe effettivamente aggiornata sullo stato del caso. Per mantenere la lucidità mentale, avrebbe dovuto affidarvisi e non fissarsi su quei pensieri ogni singolo secondo.

Cosa altrettanto importante, se intendeva rivelarsi utile in questo caso Bonaventure, o in qualsiasi altro caso futuro, doveva mantenere la mente sgombra. Lo doveva a chiunque fosse la vittima di omicidio in quella stanza d’albergo, doveva essere in grado di fornire la sua analisi più valida e ordinata. Come se le stesse leggendo nel pensiero, Ryan prese la parola.

“Non è stata una mia idea.”

“Cosa intendi dire?” gli chiese.

“Avevo pensato che potessi tornare con calma al lavoro con almeno uno o due giorni di noiose scartoffie da riordinare. Ma il capitano Decker ha insistito per mandarti fuori.”

“Non è da lui,” sottolineò Jessie.

“Normalmente no,” confermò Ryan. “Ma è stato piuttosto esplicito sull’idea di volerti assegnare un caso per tenerti occupata. Non vuole assolutamente che ti avvicini al caso Dorsey, e ha pensato che il modo migliore per evitarlo fosse di teneri occupata.”

“Ha detto così?” chiese Jessie.

“Praticamente. In effetti, penso volesse che ti passassi questo messaggio, una sorta di avvertimento.”

“Ok, ne ho preso nota,” disse Jessie, inizialmente dibattuta se raccontare a Ryan del suo incontro con Garland Moses.

Ryan sapeva che Hannah era la sua sorellastra, ma non conosceva molti altri dettagli. E poi lei non lo aveva informato su chi aveva appena incontrato e del perché. Sembrava dare per scontato che si fosse vista con Kat Gentry, e lei non aveva corretto la sua supposizione. Jessie era preoccupata che più Ryan sapeva sui suoi sforzi di avere dettagli sul caso di Hannah, e più si sarebbe trovato in una posizione vulnerabile professionalmente. Non voleva che fosse costretto a mentire al loro capo per il suo bene, se la questione fosse saltata fuori.

Poi, però, tenerlo all’oscuro le sembrava una sorta di tradimento. Si voltò a guardare Ryan Hernandez, un paio d’anni più di lei, e si chiese tacitamente se glielo dovesse. Dopotutto, anche se lui era un detective e lei era una profiler, lavoravano insieme alla maggior parte dei casi e si frequentavano informalmente, anche se la cosa non era ufficiale.

Oltre a questo, nel corso degli ultimi due anni, la loro relazione era evoluta da puramente professionale a professionalmente amichevole, diventando sincera amicizia e ora qualcos’altro. La moglie di Ryan aveva richiesto il divorzio qualche mese prima, dopo sei anni di matrimonio, e dopo qualche piroetta verbale, Ryan aveva recentemente confessato a Jessie di essere interessato a lei in un senso che andava oltre la collaborazione lavorativa.

Lei provava gli stessi sentimenti da un po’ di tempo, ma non aveva mai preso l’iniziativa. Lo trovava attraente da quanto l’aveva visto la prima volta, quando aveva fatto da insegnante per una lezione che lei aveva frequentato. Questo era successo ancor prima che lei venisse a sapere del suo impressionante curriculum in qualità di detective con un’unità di élite della divisione omicidi con scasso del LAPD, che si chiamava Sezione Speciale Omicidi, o HSS. L’HSS si occupava di casi di omicidio con alti profili o intenso scrutinio mediatico, dove erano spesso coinvolte diverse vittime o serial killer.

Tutto questo non faceva che migliorare ancora di più la figura che già presentava. Ryan era alto un metro e ottantacinque per novanta chili di muscoli ben delineati. Eppure, sotto i capelli neri corti, i suoi occhi castani emanavano un inaspettato calore.

Ora, da soli con le loro montagne di bagaglio personale a impedire loro di fare il passo successivo, si stavano lentamente conoscendo ed esplorando a vicenda. C’era stato un bacio, ma niente di più. A essere onesti, Jessie non era sicura che nessuno di loro due fosse pronto per qualcosa di più.

“Dimmi del caso,” gli disse, decidendo di trattenersi e non raccontargli del suo incontro con Garland, almeno per ora.

“Non so ancora molto,” le rispose Ryan. “Il corpo è stato trovato da una cameriera al piano da circa un’ora: un uomo sulla quarantina. Nudo. Portafoglio vuoto, nessuna identificazione, né carte di credito o contanti. L’iniziale causa della morte sembra essere lo strangolamento.”

“Non possono identificarlo controllando chi ha prenotato la camera?”

“Anche questo è un po’ strano. A quanto pare la carta che è stata usata per fissare la camera è registrata a nome di una società di facciata. E il nome nel registro è John Smith. Sono sicuro che risulterà inesistente, ma per il momento ci stiamo occupando di un John Doe qualsiasi.”

Arrivarono all’enorme Hotel Bonaventure, con le sue numerose torri e i famosi ascensori esterni, quelli resi famosi dal film Nel centro del mirino. Ryan mostrò il suo badge per oltrepassare il blocco della polizia e accostò accanto alla zona di scarico merci.

Un agente li accolse e li accompagnò all’ascensore, quindi da lì all’ampia lobby. Mentre la attraversavano per andare al blocco di ascensori principale, Jessie non poté fare a meno di sentirsi sopraffatta dalle dimensioni e dal numero di atri e intricati corridoi e scale. Era come se quel posto fosse stato progettato apposta per creare confusione.

Jessie seguiva Ryan e l’agente, prendendosi il suo tempo, permettendo alle implicazioni della mattina di dissiparsi dalla sua mente mentre si concentrava sul compito che aveva ora per mano. Il suo lavoro era di dare un profilo del crimine, di determinare potenziali colpevoli. E questo significava avere piena consapevolezza dell’ambiente in cui il crimine aveva avuto luogo, non solo della camera da letto, ma anche dell’hotel nel suo complesso. Non poteva ignorare nulla.

Passarono accanto a un gruppo di turisti che si stavano dirigendo verso una delle uscite, vestiti in modo da suggerire che la loro destinazione fosse un parco divertimenti.  Subito dietro di loro, all’interno di una zona bar circolare chiamata Lobby Court, diversi uomini eleganti stavano già iniziando a bere. Qualcun altro girovagava qua e là. Alcuni portavano degli auricolari, evidentemente personale addetto alla sicurezza. Jessie non riusciva a decidersi se stessero intenzionalmente tentando di essere discreti o se volessero solo dare quell’idea di facciata.

Quando furono davanti agli ascensori, uno di loro li raggiunse e aspettò in silenzio l’apertura delle porte.

“Come va la mattinata?” chiese Jessie con voce cinguettante, incapace di trattare l’uomo con la solennità che chiaramente avrebbe richiesto.

Lui annuì ma non disse nulla.

“Stai finendo il turno o lo inizia ora?” insistette lei facendosi più severa, scocciata dalla mancanza di risposta.

Lui la guardò, poi spostò lo sguardo su Ryan che lo fissava con freddezza. Poi rispose con riluttanza: “Ho iniziato alle sei. Siamo stati chiamati dal servizio in camera alle sette.”

“Come mai le cameriere sono entrate in camera così presto?” chiese Jessie. “C’era una richiesta di pulizia appesa alla porta?”

“La donna ha detto che dalla stanza veniva uno strano odore.”

Jessie guardò verso Ryan, che aveva un’espressione rassegnata.

“Mi pare un modo divertente di cominciare la mattinata,” disse, leggendogli nel pensiero.

L’ascensore arrivò e loro vi entrarono. La guardia li accompagnò al quattordicesimo piano. Quando le porte si aprirono, Jessie non poté evitare di meravigliarsi della veduta. L’ascensore si affacciava sulle Hollywood Hills, e in questa mattinata piuttosto limpida, l’insegna bianca di Hollywood luccicava ammiccando verso di loro. Sembrava tanto vicina da poterla toccare. Accanto ad essa era arroccato l’Osservatorio di Griffith Park, in cima a una collina del parco. La zona circostante era cosparsa di numerosi studi cinematografici, come anche migliaia di veicoli che scorrevano lungo le strade già intasate dal traffico.

Un leggero tintinnio la riportò al momento presente e Jessie uscì dall’ascensore, seguendo la guardia e Ryan fino alla fine del corridoio. Erano a metà strada quando Jessie percepì una folata di quello che doveva aver colto l’attenzione della cameriera.

Era l’odore dei gas batterici putridi emanati dal corpo della vittima e che fuoriuscivano, spesso accompagnati da liquidi altrettanto maleodoranti. Anche se era sempre spiacevole, Jessie ci si era in qualche modo abituata. Dubitava che una cameriera potesse sentirsi altrettanto a proprio agio.

Un agente che aspettava fuori dalla stanza riconobbe Ryan e porse a lui e Jessie dei copri-scarpe di plastica alzando poi il nastro di delimitazione per farli entrare. Con soddisfazione di Jessie, l’agente non permise l’accesso alla guardia dell’hotel.

Una volta all’interno, Jessie si fermò sulla porta e osservò la scena. C’erano diversi tecnici della scena del crimine che scattavano foto e raccoglievano impronte digitali. Diversi segni sulla moquette erano stati notati e contrassegnati con dei numeri.

Il corpo giaceva sul letto, nudo, gonfio e scoperto. La prima descrizione della vittima appariva accurata. Sembrava un uomo sulla quarantina. Quando Jessie si avvicinò, capì che era stato effettivamente strangolato. Sul collo aveva segni violacei lasciati dalle dita, anche se non si notavano evidenti tagli o graffi che indicassero delle unghie conficcate.

L’uomo era in buona forma fisica se si ignorava il gonfiore. Era chiaramente ben curato, con unghie recentemente tagliate, un trapianto di capelli che era stato eseguito in maniera impeccabile per donargli una spruzzata di grigio in mezzo ai capelli neri, oltre a delle iniezioni di Botox sapientemente eseguite attorno a occhi, bocca e fronte.

I calzini, ora tesi per l’eccesso di fluidi raccolti alle caviglie, gli pendevano mestamente dai piedi. Le scarpe erano posate al lato del letto. I suoi vestiti, che includevano un abito dall’aspetto costoso, un paio di boxer e una maglietta, si trovavano ordinatamente piegati su una sedia vicino alla scrivania.

Nella stanza non c’erano ovvi effetti personali: nessuna valigia, niente abiti in più, nessun orologio od occhiali accanto al letto. Diede un’occhiata nel bagno e vide la stessa situazione lì: nessun oggetto per la toletta, nessun asciugamano usato, niente che suggerisse che l’uomo avesse trascorso molto tempo nella camera.

“Cellulare?” chiese Ryan all’agente che stava nell’angolo.

“L’abbiamo trovato nel cestino,” gli rispose l’investigatore della scena del crimine. “Era rotto, ma il team tecnico pensa sia recuperabile. La SIM era ancora dentro. L’hanno portato al laboratorio.”

“Portafoglio?” chiese Ryan.

“Era sul pavimento vicino al letto,” disse l’investigatore. “Ma era stato ripulito. Quasi ogni cosa potenzialmente identificabile rimossa: niente carte di credito né patente. C’erano un paio di foto di bambini. Immagino si possano usare alla fine per stabilire l’identità. Ma sospetto che il cellulare ci darà più velocemente dei risultati!”

Jessie si avvicinò al corpo, assicurandosi di evitare tutti i segni di prove sulla moquette.

“Nessuna evidente ferita di difesa,” notò. “Niente graffi sulle mani. Nessun livido sulle dita.”

“Difficile credere che se ne sia stato fermo a farsi soffocare, a meno che non fosse parte di un giochino sessuale. Ovviamente è già successo in passato,” disse Ryan, riferendosi a un complicato caso risolto recentemente che aveva coinvolto del sadomasochismo.

“Oppure avrebbero potuto averlo drogato,” ribatté Jessie, indicando il bicchiere vuoto che si trovava sulla scrivania vicino a un’altra prova contrassegnata. “Se qualcosa è scivolato nel suo bicchiere, potrebbe essere stato incapacitato a reagire.”

“Quindi immagino che stiamo escludendo il suicidio,” disse Ryan avvicinandosi al corpo.

“Se ha fatto questa cosa da solo, sarebbe un risultato davvero notevole,” disse Jessie.

Guardò l’espressione di Ryan mutare da divertimento a curiosità.

“Cosa c’è?” gli chiese.

“Penso di riconoscerlo.”

“Davvero?” chiese Jessie. “Chi è?”

“Non ne sono sicuro. Penso possa essere un politico locale, o magari uno del consiglio comunale?”

“Dovremmo confrontare la sua foto con quelle dei politici del posto e di altri funzionari,” suggerì Jessie.

“Giusto,” confermò Ryan. “Se la cosa è confermata, allora potremmo pensare a un movente politico.”

“Vero. Può darsi che qualcuno fosse scontento di una votazione recentemente ottenuta, o prossima. Ovviamente si potrebbe pensare che mostrare delle foto di lui stesso nudo e drogato in un hotel sarebbe stato sufficiente.”

“Buona considerazione,” le concesse Ryan. “Magari è una sorta di messaggio per qualcun altro.”

“Anche questa è una possibilità,” disse Jessie, guardandosi attorno nella stanza, alla ricerca di qualcosa che forse le stava sfuggendo. “Ma sarei propensa a pensare che, per il modo in cui si muovono i messaggi, due proiettili alla testa avrebbero avuto maggiore impatto. Penso che sia necessario scoprire chi è questo tizio prima di poter trarre delle reali conclusioni.”

Ryan annuì soddisfatto.

“Perché non scendiamo alla reception,” le disse. “Vediamo cos’hanno da dirci sul nostro John Smith.”


*

L’addetto alla reception che aveva fatto il check-in per “John Smith” della City Logistics aveva terminato il turno alle sei di mattina e avevano dovuto richiamarlo lì. Mentre aspettavano il suo arrivo, Ryan diede istruzioni all’ufficio della sicurezza di fornire loro i video di sorveglianza dall’ora del check-in, oltre a ogni strisciata della carta che dava accesso alla stanza del defunto.

Jessie era seduta nella lobby insieme a Ryan, in attesa, e osservava il via vai della routine dell’albergo. Alcune persone stavano facendo il check-out. Ma per lo più c’erano turisti che gironzolavano o gente d’affari che usciva per quelle che sembravano faccende da ‘titani dell’industria’.

Capì che il receptionist era arrivato nel momento in cui lo vide entrare. Vestito con blue jeans e una maglietta casual, il ragazzo – sulla ventina e con la faccia piena di acne di un bambino – sembrava essere stato svegliato da un sonno profondo, avendo a malapena il tempo di mettersi addosso qualcosa, figurarsi di pettinarsi i capelli. Aveva anche un’altra caratteristica che sembrava avvolgerlo come un cappotto invisibile: paura.

Jessie diede un colpetto a Ryan e indicò il giovane. Si alzarono e lo raggiunsero proprio mentre lui si avvicinava al banco. Fece un cenno di saluto a un manager, che gli indicò di andare all’estremità del banco, lontano dagli ospiti.

“Grazie per essere venuto, Liam,” disse il manager.

“Nessun problema, Chester,” rispose il giovane, anche se sembrava inquieto. “Hai detto che era urgente. Di che si tratta?”

“C’è della gente che ha delle domande per te,” disse Chester seguendo le istruzioni di Jessie sul non essere specifico riguardo al motivo per cui Liam era stato richiamato.

“Chi è che ha delle domande?” chiese Liam.

“Noi,” disse Ryan da dietro di lui, facendolo sobbalzare e un quasi saltare sul posto.

“Chi siete?” chiese Liam, cercando di apparire tutto d’un pezzo, ma senza riuscirci.

“Mi chiamo Ryan Hernandez e sono un detective del LAPD. Questa è Jessie Hunt. È una profiler criminale per il dipartimento. Perché non andiamo in un posto privato dove possiamo parlare liberamente?”

Per mezzo secondo Liam parve sul punto di poter scappare. Poi sembrò ricomporsi.

“Sì, direi che va bene.”

“C’è una piccola sala conferenze alla fine di quel corridoio,” disse il manager Chester. “Dovrebbe consentirvi una certa privacy.”

Quando furono all’interno della sala conferenze, con la porta chiusa e tutti seduti ai loro posti, Liam parve irrigidirsi di nuovo. Poteva essere per la presenza di due agenti di polizia che lo stavano fissando, o il non sapere il motivo dell’interrogatorio, o lo strano rumore bianco che si sentiva nella stanza altrimenti silenziosa.  Jessie sospettava fosse una combinazione di tutti quegli elementi. Qualsiasi fosse il motivo, Liam non fu in grado di contenersi.

“È per le casse di birra?” mormorò. “Perché mi hanno detto che era una fornitura extra e che le avrebbero buttate, quindi ho pensato non fosse un grosso problema se le prendevo.”

“No, Liam” gli rispose Ryan. “Non si tratta di casse di birra. Si tratta di un omicidio.”




CAPITOLO QUATTRO


La mandibola di Liam si spalancò così tanto che Jessie quasi temette che potesse staccarglisi dalla faccia.

“Cosa?” chiese il giovane quando fu nuovamente in grado di parlare.

“Un ospite è stato assassinato qui la scorsa notte,” spiegò Ryan. “E pare che sia stato tu a fargli il check-in, anche se c’è un po’ di confusione al riguardo. Speravamo che potessi aiutarci a fare chiarezza.”

Liam deglutì visibilmente prima di rispondere.

“Ovviamente,” disse, apparentemente felice di non essere più sospettato per le birre.

“Ieri sera alle nove e trentasette hai eseguito il check-in di un uomo identificato come John Smith. La carta associata alla transazione appartiene a una società che si chiama City Logistics, che appare essere una società fittizia.”

“Cosa significa?” chiese il giovane.

“Significa,” spiegò Ryan, “che la società è di proprietà di un’altra società, che è di proprietà di un’altra società ancora, e tutte con diverse persone registrate come direttori esecutivi, e tutti che sembrano essere avvocati noti per sapere mettere in piedi delle società fittizie.”

“Non capisco,” disse Liam, sinceramente confuso.

“Liam,” disse Jessie, prendendo la parola per la prima volta. “Vogliamo dire che la persona che ti ha dato la carta di credito non voleva che il suo vero nome venisse collegato alla prenotazione della stanza, quindi ha usato una carta aziendale con uno storico complesso. Forse è proprio per questo motivo che si è fatto registrare come ‘John Smith’. E dato che la carta non è mai stata addebitata, immagino che abbia pagato in contanti, giusto?”

“Mi fa pensare a uno che ha fatto il check-in ieri sera,” disse Liam, facendo un collegamento mentale.

“Ma qui c’è la cosa che non capisco,” insistette Jessie. “Anche se ha pagato in contanti, la carta sarebbe stata addebitata per spese straordinarie, come la piccola bottiglia di brandy presa dal minibar. Come è stata pagata quella?”

“Se stiamo parlando dello stesso tizio,” disse Liam timidamente, “può essere perché mi ha dato duecento dollari e ha detto che tutte le spese accessorie della stanza dovevano essere scalate da quelli. Ha anche detto che potevo tenermi quello che avanzava.”

“Quanto è avanzato?” chiese Jessie.

“Centoottanta dollari.”

Ryan e Jessie si scambiarono un’occhiata.

“Sono un sacco di soldi, Liam,” disse Jessie. “Perché John Smith avrebbe dovuto lasciare una mancia così importante? E ricorda, in questo momento sei un potenziale testimone. Ma se le tue risposte finiranno per non corrispondere del tutto a verità, dovremo promuoverti a sospettato.”

Liam non sembrava avere intenzione di fare quel passo.

“Sentite,” disse, quasi incapace di tirare fuori le parole abbastanza velocemente. “Il tipo non ha mai detto niente di ovvio. Ma ha accennato al fatto che potesse esserci un’amica a trovarlo quella sera e che meno tracce scritte restavano, meglio sarebbe stato per lui. Voleva evitare di far registrare la cosa, capite?”

“E a te andava bene?” insistette Ryan.

“Erano duecento dollari, amico. Sono tempi duri. Anche se avesse preso cinque mini-bottiglie di brandy, mi sarei comunque portato a casa un centone per non aver fatto niente. Dovrei fare il giudice morale se uno usa questo hotel per incontrare la sua amante? Nel peggiore dei casi sfascia la stanza e io ho registrato la carta di credito in caso di emergenza. Ho immaginato che si trasse di una situazione priva di svantaggi.”

“Eccetto nel caso in cui lui finisce nudo e morto sul letto,” puntualizzò Ryan. “Questo diventa uno svantaggio per tutti, te incluso, Liam. Al di là della cosa delle birre, temo che dovrai dare una rispolverata al tuo curriculum.”

Qualcuno bussò alla porta, impedendo a Liam di rispondere. Era il manager Chester. Ryan gli fece cenno di aprire la porta.

“Scusate se vi interrompo,” disse l’uomo. “Ma la sicurezza ha procurato il filmato che vi interessava.”

“Tempismo perfetto,” disse Ryan. “Penso che qui abbiamo finito per il momento, giusto Liam?”

Il giovane annuì con espressione abbattuta. Quando Ryan e Jessie uscirono dalla stanza, lui cercò di seguirli, ma il manager alzò una mano facendogli segno di restare.

“Vorrei che restassi qui un po’ di più, Liam,” gli disse. “Abbiamo un po’ di cose di cui parlare.”


*

Jessie si levò i problemi di Liam dalla testa quando entrò nell’ufficio della sicurezza, posizionandosi china dietro alla donna che stava gestendo il sistema, in modo da poter vedere meglio il monitor. Ryan e un altro manager dell’albergo stavano accanto a lei.

Proprio come Liam aveva detto, l’uomo che aveva prenotato la stanza gli aveva dato una carta e una mazzetta di contanti. Era solo. Mentre aspettava che il giovane receptionist completasse la transazione, si guardava attorno, facendo a un tratto un cenno con la testa a qualcuno che non appariva nella videocamera.

“Potete dare un occhio a chi stesse facendo segno?” chiese Jessie al tecnico.

“Ci ho già provato,” disse la donna, che si chiamava Natasha. “Ho controllato ogni videocamera della zona puntata verso l’area su cui era concentrato. Nessuno sembra aver risposto fisicamente. In effetti non c’è nessuno che sembrasse guardare verso di lui.”

Jessie trovò la cosa intrigante, ma per il momento non disse nulla. Era evidente che l’uomo aveva fatto cenno a qualcuno. Ma quel qualcuno ne era sufficientemente consapevole da evitare di farsi riprendere dalla videocamera.

Chi potrebbe essere a conoscenza di tali dettagli?

“Avete la registrazione del corridoio del quattordicesimo piano?” chiese.

Natasha tirò fuori il filmato. L’indicazione dell’orario diceva 22:01 mentre l’uomo percorreva il corridoio ed entrava in camera. Jessie sentì Ryan inspirare con forza e si voltò a guardarlo. Lui si chinò verso di lei e le sussurrò in un orecchio.

“Il modo in cui quel tizio è entrato mi ha risvegliato qualcosa nella memoria. Mi sono appena accorti di chi è. È un politico. Ti aggiorno quando non ci saranno troppe orecchie attorno.”

Jessie annuì, curiosa. Natasha fece scorrere veloce il video del corridoio, fermandolo di tanto in tanto al passaggio di qualcuno. Nessuno si avvicinò alla stanza dell’uomo. Ma alle 22:14, esattamente tredici minuti dopo l’ingresso dell’uomo, l’ascensore si apriva e ne usciva una donna.

Era una bionda statuaria, con i capelli che le scendevano sciolti fino a metà schiena. Indossava degli enormi occhiali da sole che le coprivano i tratti del viso e un trench chiuso e con il colletto tenuto sollevato. Camminava lungo il corridoio osservando i numeri delle stanze prima di fermarsi davanti alla porta di quella dell’uomo. Bussava. Lui apriva dopo pochi secondi e lei entrava.

Per i successivi trentuno minuti non succedeva nulla. Ma alle 22:45 la donna usciva dalla stanza e tornava da dove era venuta. Questa volta camminava rivolta verso la videocamera e Jessie poté guardarla meglio.

Aveva ancora indosso occhiali da sole e soprabito. Ma anche così mascherata, Jessie poteva dire che era sicuramente ben curata. Gli zigomi sembravano scolpiti da un artista. La pelle, anche su quel piccolo monitor, sembrava impeccabile. Ed era chiaro che sotto a quel cappotto aveva il genere di corpo capace di indurre senza problemi un uomo abbiente e arrapato a mettere a rischio il proprio futuro politico.

Jessie notò anche qualcos’altro. La donna sembrava… camminare con spensieratezza verso gli ascensori. Non c’era niente di affrettato nel suo portamento. Era piuttosto credibile che solo pochi minuti prima avesse drogato e strangolato l’uomo a morte. Eppure niente nel modo in cui si muoveva lasciava trapelare preoccupazione o ansia. Sembrava sicura.

E fu lì che Jessie si sentì certa che avevano a che fare con qualcosa di più di un semplice crimine passionale o di un furto andato storto. Se fosse stato un incontro fisico finito male, la donna sarebbe apparsa molto più frettolosa e nervosa. Se si fosse trattato di un semplice furto, sarebbe potuta entrare e uscire dalla stanza in meno di dieci minuti.

Ma era rimasta dentro mezz’ora. Aveva tergiversato. Aveva spaccato il telefono dell’uomo e aveva preso le sue carte, contanti e documenti, anche se di certo era ben consapevole del fatto che la sua identità sarebbe stata comunque presto scoperta. Aveva addirittura lasciato delle foto di famiglia nel portafoglio.

Cosa ancora più notevole, non aveva apparentemente lasciato nessuna impronta né null’altro nella stanza: non sul bicchiere, non sulle superfici, non sul collo dell’uomo. Questo era il lavoro di una donna che aveva pianificato meticolosamente ciò che avrebbe fatto, che si era presa il tempo, che si era divertita.




CAPITOLO CINQUE


Jessie non riusciva a levarsi l’immagine dalla testa.

Mentre Ryan guidava verso la loro destinazione successiva, continuava a ripensare al video finale che Natasha, il tecnico della sicurezza, aveva mostrato loro. Ora che sapevano quale fosse l’aspetto della donna, avevano potuto analizzare i filmati precedenti di quella serata.

Non c’erano registrazioni dell’arrivo della donna, né di lei che lasciava l’hotel. Ma c’era un video che la vedeva accomodarsi al Lobby Court, lo stesso bar dove Jessie aveva visto gli uomini elegantemente vestiti bere prima quella mattina.

Era arrivata un po’ dopo le nove e aveva aspettato quindici minuti, sorseggiano un drink che aveva pagato con contanti e tenendo il bicchiere con dei guanti di pelle. La cosa che aveva colpito Jessie era quanto fosse rilassata. Non aveva l’atteggiamento di qualcuno che meno di due ore dopo avrebbe ucciso un uomo.

Alla fine era arrivato il sul ‘partner’. Era andato dritto verso di lei, come se si conoscessero, ma stranamente l’aveva salutata come se fosse stata la prima volta che si incontravano. Aveva ordinato qualcosa da bere per sé e le si era seduto accanto. Avevano parlato per mezz’ora mentre lui ordinava altri due bicchieri e lei continuava a sorseggiare il suo primo drink.

Attorno alla 21.50 lui aveva pagato il conto e si era alzato. Le videocamere l’avevano seguito in bagno e poi alla reception. La donna si era fermata un po’ di più al bar per finire il suo bicchiere, poi era uscita dallo schermo e non la si era vista fino a che non era uscita dall’ascensore per andare alla camera dell’uomo.

“A cosa stai pensando?” le chiese Ryan, interrompendo la sua silenziosa meditazione.

“Sto pensando che abbiamo a che fare con qualcuno che si è divertito fare quello che ha fatto. E questo mi fa preoccupare che possa rifarlo.”

“Legittima preoccupazione,” le concesse lui. “Posso dirti di cosa sono preoccupato io?”

“Prego,” rispose Jessie.

“Ho paura che la moglie di questo tizio perda la testa quando le diremo quello che è successo.”

Ryan si stava riferendo allo spiacevole compito che stavano per affrontare. Dopo aver lasciato l’ufficio della sicurezza, lui le aveva detto chi era l’uomo morto: Gordon Maines.

Quando Ryan aveva comunicato il suo sospetto al medico legale, loro avevano confermato. La vittima era effettivamente Gordon Maines, un consigliere rappresentante del quarto distretto di Los Angeles, un’area che includeva Hancock Park e Los Feliz.

Ryan alla fine se l’era ricordato per la sua camminata spavalda. Era lo stesso stile che aveva avuto quando era venuto alla stazione di polizia diversi anni prima per redarguire il capitano Decker per non avergli fornito sufficienti agenti per la sicurezza nella sfilata del quartiere.

“ ‘Stronzo’ è il termine più carino che mi viene in mente per descrivere quel tizio,” aveva detto Ryan.

Jessie sperava che usasse un linguaggio più diplomatico quando fossero arrivati alla casa di Maines, ad Hancock Park, per riferire la brutta notizia a sua moglie Margo. Mentre Ryan si destreggiava nel traffico di metà mattina, i pensieri di Jessie tornarono, nonostante i suoi migliori sforzi, ad Hannah.

Si chiese se Garland Moses stesse in qualche modo riuscendo a determinare l’andamento delle indagini. L’FBI aveva delle piste da seguire per scoprire dove potesse trovarsi Bolton Crutchfield? Hannah era al sicuro? Era tentata di mandargli un messaggio per chiederglielo, e tirò effettivamente fuori il telefono. Ma poi si rese conto che era un’idea terribile.

Primo, erano passate solo un paio di ore da quando si erano incontrati. Garland Moses poteva essere il profiler più decorato del paese, ma neanche lui era un supereroe. E poi, se avesse avuto delle informazioni, di certo gliel’avrebbe fatto sapere. Il silenzio radio voleva probabilmente dire che non c’era niente che valesse la pena di condividere.

Secondo, avevano concordato di comunicare solo verbalmente. Anche se il capitano Decker non le aveva ancora formalmente vietato di immischiarsi nel caso, era solo questione di tempo. Ogni documento che avesse rivelato il suo tentativo di sviare le direttive avrebbe potuto mettere a rischio la sua carriera e, come aveva detto Garland, incasinare il suo ‘bel lavoretto’.

Eppure la cosa la angustiava. Lei era qui a indagare sulla morte di un uomo che aveva chiaramente diversi scheletri nell’armadio. Nel frattempo una ragazza innocente era tenuta prigioniera da un serial killer, per il semplice fatto che condivideva il DNA di un altro serial killer.

La frustrazione le crebbe nel petto, e Jessie non poté fare altro che rischiacciarla giù.

Garland Moses farà bene a trovare presto qualcosa. Perché non so quanto a lungo potrò evitare di far traboccare tutto.


*

Quando accostarono davanti alla villa di Gordon Maines ad Hancock Park, Jessie non fu sorpresa.

Sapeva già che avevano a che fare con un uomo disposto a prenotare una stanza d’albergo da 400 dollari a notte per tradire sua moglie, un uomo che a quanto pareva aveva una carta di credito associata a una società fasulla, probabile segno che anche le sue finanze erano losche. E a quanto pareva abitava in una casa che nessuna persona comune avrebbe mai potuto possedere, se non ricevuta in eredità.

Mentre salivano i gradini che portavano alla porta d’ingresso, Jessie ricordò a se stessa di non rendere esplicito alla moglie il proprio disgusto per la vittima. La donna poteva credere che il marito fosse un Dio in terra e ora stava per apprendere l’esatto contrario. Ryan suonò il campanello ed entrambi aspettarono in apprensione per ciò che avrebbero dovuto fare ora.

La porta venne aperta da una donna minuta e curata che poteva avere quasi quarant’anni. Indossava un tailleur beige e teneva i capelli biondi raccolti in uno chignon. Nonostante il suo aspetto professionale, Jessie capì che non era in ottima forma.

Aveva sotto agli occhi dei segni scuri impossibili da mascherare anche con un trucco pesante, nonostante il valido tentativo. Gli occhi di per sé erano arrossati, segno di qualsiasi cosa, dalla mancanza di sonno al pianto all’uso di droghe. Nessuna delle opzioni lasciava pensare a niente di buono. Aveva la calza destra percorsa da una lunga riga, cosa che apparentemente non aveva notato, e che quindi suggeriva che i suoi pensieri fossero concentrati altrove.

“Posso aiutarvi?” chiese con voce roca.

“Salve, lei è Margo Maines?” chiese Jessie educatamente.

“Sì,” disse lei sospettosa. “Di cosa si tratta?”

Jessie guardò Ryan che sembrava pronto a dare la notizia che sapevano l’avrebbe distrutta. Glielo aveva visto fare molte altre volte prima e vide ora la stessa reazione: un irrigidimento della schiena, come se si stesse preparando ad accettare il contraccolpo emotivo che stava per subire. Subito un’ondata di empatia la pervase al pensiero delle tante volte in cui si era trovato in quella condizione durante la sua carriera. Provò un irrefrenabile impulso a proteggerlo questa volta, e fece un leggero passo avanti.

“Siamo del Dipartimento di Polizia di Los Angeles,” disse, prima che lui riuscisse ad aprire bocca. “Io sono Jessie Hunt e questo è il detective Ryan Hernandez. Temo di avere delle brutte notizie per lei, signora Maines.”

Margaret Maines, o ‘Margo’ come era chiamata nella biografia di suo marito nel sito della città, parve capire quello che stavano per dirle. Abbassò la testa mentre allungava la mano per appoggiarsi allo stipite della porta. Ryan fece un impercettibile movimento in avanti, pronto a intervenire in caso di crollo.

Fortunatamente non fu necessario. La donna risollevò lo sguardo con una risoluzione negli occhi che Jessie ammirò, anche se comunque appariva fragile.

“Andiamo dentro,” disse la signora Maines. “Penso di volermi sedere prima che mi diciate qualsiasi altra cosa.”

Jessie e Ryan la seguirono nel salotto, dove la donna si sedette su una poltrona, facendo loro segno di accomodarsi sul divano vicino. Quando furono tutti sistemati, li guardò e annuì.

“Andate avanti,” disse con tono rassegnato.

Jessie continuò, senza guardare Ryan per vedere se fosse contento che lei avesse preso l’iniziativa.

“Temo che suo marito sia morto, signora Maines. Il suo corpo è stato rinvenuto questa mattina in un albergo del centro. La sua identità è stata recentemente confermata.”

La signora Maines annuì, prese una boccata d’aria e allungò una mano a prendere un fazzolettino. Mentre si tamponava gli occhi, rispose.

“Sapevo che c’era qualcosa che non andava. Non è tornato a casa la scorsa notte. A volte si ferma fino a tardi al lavoro. Ma chiama sempre. E non ha risposto a nessuna delle mie telefonate. Ho effettivamente pensato di chiamare la polizia. Ma me lo sono immaginato che dormiva nel suo ufficio con il telefono silenziato o con la batteria scarica. Non volevo reagire in maniera esagerata. Ho chiamato l’ufficio questa mattina e hanno detto che non si era ancora presentato. Sapevo che c’era qualcosa che non andava. Stavo davvero per chiamare.”

“Perché non l’ha fatto?” chiese Jessie, mantenendo un tono non accusatorio.

“Gordon era molto particolare. Odiava la cattiva pubblicità. Sentivo la sua voce nella testa che mi diceva ‘Se chiami la polizia, la cosa finirà sui giornali. Sarà tra le notizie. Il mio avversario alle prossime elezioni la trasformerà in qualcosa di atroce, indipendentemente da quanto sia innocente. Nella politica moderna non c’è spazio per errori nelle relazioni pubbliche’. Era un maestro nell’evitare la cattiva pubblicità. Ora mi chiedo se avrei potuto evitare questo se avessi chiamato.”

Jessie pensò che era ironico che un tizio preoccupato delle relazioni pubbliche stesse apparentemente portando avanti una specie di relazione, pagando con quello che sembrava un fondo illecito. Ma lo tenne per sé.

“Non si biasimi, signora Maines,” disse Ryan. “Da quello che posso dire finora, pare che suo marito sia morto la scorsa notte. Nessuna sua chiamata avrebbe potuto salvarlo.”

La donna parve leggermente sollevata dall’affermazione e sospirò profondamente. Pareva dibattuta se fare una domanda, ma alla fine si buttò.

“Com’è successo?”

Jessie, sentendosi leggermente codarda, determinò che gli anni di esperienza di Ryan sarebbero tornati utili per questo aspetto e decise di lasciar rispondere lui.

“Magari possiamo risparmiare i dettagli per dopo, signora Maines,” suggerì lui gentilmente.

L’espressione distrutta sul volto della donna venne subito sostituita da una combinazione di irritazione e risolutezza.

“Mi dica la verità, detective. È chiaro che non si tratta di cause naturali. Prima o poi lo verrei comunque a sapere. E preferisco sentirlo prima nella privacy di casa mia che in qualche freddo obitorio, circondata da un gruppo di estranei. Preferisco di gran lunga due estranei a dieci.”

“Sì, signora,” rispose lui. “Ha ragione. Non si è trattato di cause naturali. Temo sia stato strangolato a morte. Le circostanze che fanno da contorno all’omicidio sono in un certo senso… audaci. Devo continuare?”

“Prego,” insistette la signora Maines con voce piatta.

“Pare che si trovasse all’hotel per un incontro con una donna ancora sconosciuta. Non conosciamo il movente dell’interessata. Sappiamo solo che è stato probabilmente drogato, poi derubato e strangolato.”

Jessie guardò la donna mentre il suo volto si induriva. Provò un pizzico di ansia chiedendosi se Margo Maines stesse per vomitare o esplodere. Non fece nessuna delle due cose.

“Sono piuttosto sicura che si tratti di furto con narcotizzazione,” insistette con tono secco mentre si metteva a sedere più eretta. “È impossibile che Gordon sia andato di sua volontà in una camera d’albergo con una donna, a meno che la sua chiarezza mentale non fosse stata in qualche modo alterata.”

Jessie ricordò il video al bar, in cui Gordon flirtava allegramente per una buona mezz’ora prima di andare a prenotare la stanza d’hotel. Si chiese se fosse suo dovere distruggere la bolla di certezza di sua moglie, ma decise che non era il suo lavoro.

Un altro momento di codardia morale.

“In ogni caso,” disse Ryan con voce da ‘andiamo avanti’, chiaramente non volendo neanche lui metterla alla prova, “anche se abbiamo la conferma che si tratta di lui, avremo bisogno di qualcuno che venga all’ufficio del medico legale per il riconoscimento formale del corpo. Se preferisce che sia uno dei suoi dipendenti a farlo, possiamo assecondare i suoi desideri.”

“No, lo farò io,” disse la donna.

“Grazie,” disse Ryan. “C’è un’altra cosa. Non abbiamo molte piste che ci portino alla donna che sospettiamo dell’omicidio di suo marito. Ma ha preso tutte le carte di credito e i documenti.”

“E il suo orologio?” lo interruppe la signora Maines.

“Quale orologio?” chiese Ryan.

“Aveva un Rolex con le sue iniziali incise sul retro.”

“Non l’abbiamo trovato sulla scena,” disse Ryan. “Ma lo aggiungeremo alla lista degli oggetti mancanti.”

“Gli ho regalato quell’orologio per il nostro decimo anniversario,” disse la donna, i pensieri che chiaramente la portavano a quel momento.

Jessie ebbe un’idea, ma decise di mettervi un freno per il momento. Con riluttanza, Ryan riportò la Maines al momento presente.

“Faremo del nostro meglio per recuperarlo, signora,” le assicurò. “Ma per quanto riguarda le carte di credito, piuttosto che bloccarle, speravamo di poterle rintracciare nella speranza di poterla catturare nell’atto di usarle. Potrebbe anche tentare di falsificare un numero di documento usando la sua carta d’identità. Ci darebbe il permesso di visionare le sue transazioni e dati finanziari per vedere se ci siano delle anomalie?”

La signora Maines gli lanciò un’occhiata scettica, chiaramente consapevole che la sua richiesta aveva probabilmente un secondo fine.

“Mi pare un po’ invasivo,” commentò.

“È vero,” ammise Ryan. “Vogliamo aprire una rete più ampia possibile in modo da non lasciarci sfuggire nulla. Possiamo ottenere un’ingiunzione se necessario. Ma richiede tempo e temo che nel frattempo la colpevole potrebbe scivolarci tra le dita. Ma se lei firmerà i permessi adesso, possiamo cominciare immediatamente.”

La signora Maines parve ancora in qualche modo poco convinta. Ma nel modo in cui Ryan aveva posto la cosa, un suo rifiuto sarebbe apparso come un intralcio alle indagini sull’omicidio di suo marito. Dopo un momento fu chiaro che aveva deciso che qualsiasi scheletro lui avesse pensato di tenere nascosto, avrebbe dovuto fare un passo indietro per permettere di catturare l’assassino.

“Datemi le carte,” disse in modo brusco.

Ryan, che già aveva la busta pronta, gliela porse. Jessie lo vide combattere contro l’impulso di sorridere, e lei dovette reprimere il proprio desiderio di dargli un calcio.

Era fortunato che Margo Maines non conoscesse le sue espressioni bene quanto le conosceva lei. Le neo-vedove in genere non apprezzavano sorrisini di auto-compiacimento.




CAPITOLO SEI


Jessie stava cominciando a sentire la frustrazione nei confronti di Ryan.

Erano tornati alla centrale, sedevano alle loro scrivanie e sfogliavano i confusi documenti finanziari mentre aspettavano che la squadra tecnica sgrovigliasse le origini della ‘City Logistics’ e scoprisse dove attingesse le sue risorse. Il capitano Decker era a una riunione al quartier generale, il che significava che Jessie poteva ancora evitare l’incontro durante il quale l’avrebbe inevitabilmente messa in guardia di stare alla larga dal caso di Hannah.

Nel frattempo, Ryan aveva avanzato l’idea che Margo Maines stesse fingendo, che avesse scoperto l’avventura del marito e avesse assoldato una donna per farlo fuori, che fosse per vendetta, per l’assicurazione sulla vita o per entrambe le cose. In effetti sembrava essersi fissato su questa supposizione.

“Non mi è sembrata credibile,” insisteva. “Non mi compro la sua ostinazione nel credere che Gordon doveva essere drogato per salire in una stanza d’hotel con un’altra donna. Hai visto il video al bar. Era completamente preso. Margo doveva avere almeno una vaga idea della sua lascivia.”

“Ne sono certa,” confermò Jessie nonostante l’agitazione. “Ma questo non significa che abbia deciso di farlo fuori. Magari semplicemente non era a proprio agio a riconoscere davanti a due persone che aveva appena incontrato che di fronte al suo pessimo comportamento, preferiva chiudere un occhio. Si sa che le mogli lo fanno.”

Jessie tenne la voce stabile in modo che Ryan non capisse quanto quel discorso fosse ancora fresco e vivido per lei. Il suo stesso ex marito Kyle l’aveva tradita per mesi. E anche se i segnali erano dappertutto attorno a lei, Jessie era riuscita comunque a non notarli.

Nei suoi momenti di maggiore onestà con se stessa, riconosceva di averli probabilmente ignorati volontariamente, perché affrontarli avrebbe fatto saltare all’aria il suo matrimonio e la sua vita. Ovviamente questo era successo lo stesso quando Kyle aveva assassinato la sua amante, incolpando Jessie dell’omicidio, e aveva poi tentato di uccidere anche lei. Ma qui non era questo il punto.

“Magari non era a suo agio nel rivelare che l’aveva tradita perché provava imbarazzo,” le concesse Ryan. “O forse sapeva che ammetterlo le avrebbe concesso un movente.”

Jessie non voleva accantonare la sua teoria. Non era una follia. E lui era stato in questo campo molto più a lungo di lei. Ma pareva ignorare alcuni altri importanti dettagli.

“Lascia che ti chieda questo,” gli disse. “Se questo fosse un omicidio commissionato, perché non optare per due pallottole alla testa? È molto più rapido e sicuro.”

“Magari Margo Maines sapeva che alla fine i dettagli sarebbero saltati fuori. Suo marito sarebbe stato svergognato e lei sarebbe diventata la moglie martire. Avrebbe ottenuto appoggio a fiumi e nessun sospetto.”

“Questo spiega la cosa dal suo punto di vista, ma non da quello del killer,” ribatté Jessie. “La donna che l’ha ucciso si è presa il suo tempo. Anche se le fosse stato richiesto di far apparire volgare la scena, avrebbe potuto entrare e uscire in quindici minuti. È rimasta là dentro il doppio del tempo. Si è soffermata. Non è il lavoro di un professionista. E avrebbe potuto limitarsi a drogarlo e lasciarlo a se stesso. Un politico drogato, nudo e morto ritrovato in una stanza d’albergo è di per sé già piuttosto imbarazzante. Perché anche lo strangolamento? No. A me sembra una cosa personale.”

Ryan rimase seduto per un po’ a meditare. La discussione a quanto pareva aveva avuto un certo impatto. Il livello di frustrazione di Jessie calò di una tacca.

“Buon punto. Non ci avevo pensato dal punto di vista del killer.”

“Sì, vabbè, tu non sei il profiler,” gli rispose, canzonandolo leggermente.

Lui la mandò giocosamente a quel paese, ma poi un luccichio negli occhi le fece capire che gli era venuta in mente una nuova teoria.

“E questa?” iniziò. “Magari la donna era la sua amante. Poteva essere che non sapesse che era sposato, o magari lui le aveva promesso che avrebbe lasciato la moglie per lei. Ad ogni modo, prima di ieri notte ha scoperto che lui la stava prendendo per i fondelli e si incazza. Quindi decide di prendersi una piccola vendetta. Lo ammazza nell’intimità. Quindi ottiene tutto: vendetta sull’uomo che l’ha usata, un’occasione di distruggere la sua reputazione e come fortunato colpo extra, la moglie perde il suo marito di successo.”

“Questa idea mi piace più dell’altra,” gli concesse Jessie.

Proprio allora Camille Guadino del team tecnico si avvicinò a loro con delle carte in mano e un sorriso mesto in volto. Appena uscita da scuola, era la giovane dell’unità, e a lei venivano assegnati i compiti più noiosi.

“Uh-oh,” disse Ryan guardandola. “Non dirmi che stai per darci reali prove da seguire invece di continuare a girare a vuoto attorno a infinite trame di teorie.”

“Mi scusi, detective, ma sì,” disse lasciando cadere una cartella sulla sua scrivania. “Prove vere e appena sfornate pronte per lei.”

“Che cos’hai, Guadino?” le chiese Jessie.

“Ci è voluto un po’, ma alla fine abbiamo capito che cos’è la City Logistics.”

“Appassionati della programmazione urbana?” la canzonò Jessie.

“Quasi,” rispose la Guadino. “È un’azienda di consulenza che offre feedback e consigli su questioni di miglioria urbana.”

“Che diavolo significa?” chiese Ryan.

“Significa che è molto vicino a quello che sospettavate voi. È una società di facciata guidata da un avvocato e di proprietà di una società di facciata che ha fatto il lavoro per uno stratega associato – come dicevate voi – con Gordon Maines.”

“Cosa significa tutto questo bla bla bla per noi?” chiese Ryan.

“Significa che, tagliando corto, Maines aveva accesso al conto di un’impresa con oltre duecentottanta migliaia di dollari dentro. Pare che qualcuno al bancomat che si trova nell’hotel Bonaventure abbia prelevato duemila dollari in contanti mentre Maines era lì.”

Jessie e Ryan si scambiarono un’occhiata che confermava che le teorie che avevano discusso negli ultimi dieci minuti erano ora probabilmente opinabili.

“Ebbene?” chiese la Gaudino percependo che qualcosa le sfuggiva. “Ho combinato un guaio?”

“No, sei brava,” le assicurò Jessie. “Vai avanti.”

“Ok. Stiamo tracciando tutte le sue carte di credito e non ho ottenuto niente. Inizio a dubitare che troveremo qualcosa. Di solito queste carte vengono usate nelle prime ore dopo un furto, prima che la vittima scopra che sono sparite. O, come in questo caso, prima che il corpo venga trovato.”

“Era una battuta?” le chiese Ryan. “Ti sei appena presa gioco della morte di un uomo per una misera risata?”

“Uuhh…” cominciò a balbettare la Guadino.

“Ti sto solo prendendo in giro. Era buona. Nient’altro?”

“Sì,” disse la Guadino, mettendo da parte l’umorismo e tornando ai fatti. “I danni al suo telefono si sono rivelati minimi. Siamo riusciti a risalire a tutti i suoi più recenti messaggi e al registro chiamate. Trovate tutto nella cartella. Ma non ha fatto chiamate né ha mandato messaggi nelle ore precedenti al prelievo di denaro.”

“Grazie, Guadino,” disse Jessie. “Da qui continuiamo noi. Tuoi puoi procedere e tornare al lavoro con la tua solita routine.”

La Guadino sorrise timidamente e se ne andò. Quando si fu allontanata, Jessie guardò Ryan.

“Stai pensando quello che sto pensando io?” gli chiese.

“Che in questo momento potresti farti un pastrami di segale?”

“Anche quello,” disse Jessie, felice di accogliere i suoi tentativi di alleggerire l’atmosfera, “ma anche che questa donna assomiglia sempre meno a un’amante. A quanto pare Gordon stava pagando per la sua serata. Penso che stiamo avendo a che fare con una prostituta.”

“Sono d’accordo,” disse Ryan. “Questo spiegherebbe il suo modo di incontrarlo nell’elegante bar di un albergo.”

“Le donne a volte passano le serate al bar, Ryan,” lo rimproverò lei. “Non significa sempre che siano delle prostitute.”

“Non intendevo in quel sens…”

“Sto solo scherzando,” disse Jessie, sorridendo. “Non sei l’unico capace di fare quel giochetto. Corrisponde al profilo. Ma questo non spiega perché non ci siano state comunicazioni telefoniche prima del loro incontro. Se questo era un primo appuntamento, dovevano per forza fissare i dettagli riguardo a dove e quando. Ma di questo non c’è traccia.”

“Giusto,” disse Ryan. “E non sembrava sorpreso di vederla, il che mi fa pensare che questa non era la prima volta che si vedevano.”

“Ma se si trattava di una cosa regolare, perché ha aspettato fino ad ora per ucciderlo? E perché derubarlo se era comunque intenzionato a pagare duemila dollari in anticipo?”

“Magari voleva assicurarsi che lui avesse davvero le tasche profonde e non stesse solo facendo finta. Ovviamente, una volta confermata la cosa, uno si aspetterebbe di vederla usare le carte immediatamente dopo averlo lasciato nella stanza. Doveva sapere che entro la mattinata sarebbero state bloccate. Ma non c’è un singolo acquisto.”

“Ho la sensazione che questa donna sia troppo furba per usare queste carte,” disse Jessie. “Ha indossato i guanti per l’intera serata. La scena era pulita. Sapeva come evitare le videocamere dell’hotel. Ricordi che non ci sono video di lei quando lui le fa cenno nella lobby? Non può essere che fosse così sprovveduta da rischiare di usare le carte e venire beccata dopo il fatto.”

“E allora perché prenderle?” chiese Ryan. “Che senso ha?”

“Magari per rendere più difficile un’identificazione della vittima? Ha preso anche la sua patente e questo non ha molto senso. O forse solo per umiliarlo ancora di più, per aggiungere l’insulto all’ingiuria. Sto pensando che potrebbe aver preso il Rolex per lo stesso motivo. Non perché valga un sacco di soldi, ma per l’incisione. Aveva un valore e un significato personali per Maines. Prenderlo potrebbe essere stato un modo per portare via il potere che derivava dalla sua identità.”

“Quindi non pensi che l’abbia dato in pegno?”

“Non ho detto questo,” disse Jessie. “Un orologio impegnato potrebbe richiedere più tempo per essere rintracciato rispetto a delle carte di credito. Se c’era qualcosa che poteva vendere, sarebbe stato proprio l’orologio. È un po’ tirata come opzione, ma penso che potremmo contattare i negozi della zona.”

“Incaricherò Dunlop di dare un’occhiata. È in buoni rapporti con quasi tutti i broker del centro. Se la donna ha cercato di impegnare l’orologio da qualche parte a est della 405, lui lo sa di certo.”

“Mi sembra bene,” disse Jessie. “Mentre tu lo contatti, io devo andare a controllare una cosa.”

“Non intendi ficcare il naso nel caso di Crutchfield, vero?” le chiese lui nervosamente. “Solo perché Decker non ti ha avvisata ufficialmente di stare alla larga, non significa che non intenda farlo.”

“No, Ryan,” rispose lei in modo secco alzandosi in piedi. “Non vado a ficcare il naso nel caso. Abbi un po’ di fiducia, puoi?”

Lui inarcò un sopracciglio, scettico, mentre lei si alzava e andava al secondo piano. Jessie gli rivolse un finto sguardo offeso prima di voltarsi verso le scale.

Non sto ficcando il naso nel caso. Vado solo a fare un paio di domande.

Si rifiutò di domandarsi se ci fosse effettivamente una reale differenza.




CAPITOLO SETTE


Jessie era sorpresa dal proprio nervosismo.

Andava raramente al secondo piano della centrale, che veniva usato per lo più come archivio e per gli uffici amministrativi. In effetti, mentre percorreva il lungo corridoio, non incontrò anima viva.

Si fermò davanti alla porta del piccolo ufficio contrassegnato con la semplice targa ‘G. Moses’ e bussò timidamente. Sentì un movimento di carte all’interno e poi quello che sembrava lo scricchiolio di vecchie ginocchia che si stendevano. Il rumore le fece scorrere un brivido lungo la schiena. Un secondo dopo, Garland Moses aprì la porta.

“Ho perso,” disse con la sua familiare voce roca quando la vide.

“Perso che cosa?” chiese Jessie sentendo la pressione sanguigna che improvvisamente aumentava.

“Avevo fatto una scommessa contro me stesso se saresti venuta a tormentarmi per la prima volta prima o dopo mezzogiorno. Sono le undici e cinquantasei, quindi ho perso. Devo a me stesso dieci dollari.”

Jessie fu sollevata che la stesse solo prendendo in giro, permettendole un momento di respiro prima di rispondergli.

“Beh, speriamo che tu sia veloce a pagare. Ho sentito che i tuoi metodi di riscossione debiti sono piuttosto rudi.”

“Non puoi neanche immaginare,” le disse Garland, rivolgendole qualcosa di molto simile a un sorriso. “Diciamo solo che c’è coinvolto anche l’utilizzo forzato di Metamucil.”

“Carino,” commentò Jessie con una risatina. “Quindi, per quanto dovrò ancora parlare educatamente della tua consueta routine prima di poter ricevere aggiornamenti sulla situazione?”

Garland fece un altro mezzo sorriso. Sembrava essere diventata un’abitudine.

“Entra,” le disse, spostandosi di lato.

Jessie fece un passo nell’ufficio prima di rendersi conto di non poterne fare uno di più senza andare a sbattere contro la sua scrivania.

“Pensavo che la gente parlasse con sarcasmo, ma questo era realmente uno sgabuzzino, vero?”

“Non mi serve un sacco di spazio,” le rispose, chiudendo la porta e passandole accanto per andare a prendere posto nella sedia dall’altra parte del piccolo tavolo. Oltre a questo, c’era una sola sedia per gli ospiti, una lampada da scrivania e un piccolo schedario. Per il resto la stanza era vuota.

“Immagino che tu non venga mai sommerso dalle carte, dato che ti assumi solo pochi casi all’anno.”

“Mi è sempre piaciuto ridurre al minimo le scartoffie, anche quando lavoravo a pieno regime. Una scrivania intasata corrisponde a una mente intasata.”

“Confucio?” gli chiese Jessie scherzosa.

“No, Moses, ma non quello della Bibbia,” le rispose. Prima che lei potesse ribattere, proseguì. “Passiamo quindi al tuo caso.”

“Sì?”

“Non ho niente.

“Cosa?” gli chiese lei incredula.

Lui parve indifferente davanti alla sua reazione.

“La verità è che non ci ho ancora neanche provato.”

“Perché no?” chiese Jessie.

“Pensaci, Hunt,” le disse con pazienza. “Non è che posso andare così all’ufficio locale dell’FBI, farci un giretto dentro e chiedere agli agenti incaricati come stanno andando le loro indagini, soprattutto non lo stesso giorno in cui la profiler più collegata a Crutchfield torna al lavoro. Quello che sto facendo apparirebbe ovvio. Chiuderebbero le serrande. Tu finiresti nei guai. E io perderei il mio status ufficiale di ‘celeberrimo ed emerito’. Non va mica bene.”

“Lo fai sembrare impossibile,” protestò Jessie. “Indipendentemente da come li approcci, sarebbero comunque in guardia.”

“Non necessariamente, soprattutto se capita che mi stia godendo il pranzo in un posto che so essere frequentato da loro. E se loro si siedono con me per la questione del ‘celeberrimo ed emerito’, magari poi si mettono a parlare. Magari vogliono fare colpo sul vecchio e spifferano un po’ di più di quanto dovrebbero. Magari io sembro disinteressato e loro mi dicono ancora di più, giusto per dar prova della loro tempra. Alla gente piace fare così quando mi sta attorno.”

“Per il tuo status di ‘celeberrimo ed emerito’,” ripeté Jessie.

“Ora stai iniziando a capire,” le disse. “Ma nessuno mi dirà una parola se salto fuori e chiedo direttamente. Sono agenti dell’FBI, non bambini di seconda elementare.”

“Quindi perché non sei andato a pranzo?” insistette Jessie.

“Perché loro non vanno mai in questo posto prima dell’una. Per questo ho chiamato il proprietario e gli ho detto di tenermi un tavolo per le dodici e quarantacinque. Un tavolino in fondo, con un po’ di privacy e spazio per tre persone.”

“L’hai già fatto?”

“Sì.”

“Scusa,” disse Jessie, sinceramente impressionata. “Non avrei dovuto saltarti alla gola così. È solo che Hannah è là fuori e Dio solo sa cosa le sta capitando. Ti ho visto qui tranquillo e mi sono infervorata. Non avrei dovuto dare niente per scontato.”

“Lo apprezzo, Hunt. E non biasimarti. Con un vecchio come me, ti si può perdonare per aver pensato che mi sia dimenticato della nostra chiacchierata di questa mattina. Ma posso darti un piccolo consiglio?”

“Certo,” gli disse lei.

“Devi allentare un po’ la presa.”

Jessie annuì.

“È davvero dura per me,” ammise.

“Capisco,” le rispose. “Sono stato così io stesso a lungo. Ma il fatto è che con quello che facciamo ci sarà sempre qualche pazzo là fuori. Ci sarà sempre una vittima in pericolo. Ci sarà sempre un orologio che scandisce il tempo. Ma se tu tieni il piede schiacciato sull’acceleratore per tutto il tempo, vai a sbattere. È inevitabile. E poi non vali più niente.”

Jessie annuì. Tutto quello che stava dicendo aveva senso. Prima che potesse confermarglielo, lui continuò.

“So che non è facile, soprattutto adesso, quando la persona a rischio è la tua sorellastra. Ma a volte devi premere il freno. Devi trovare un qualche equilibrio nella tua vita. Altrimenti ti bruci. E persone che avresti potuto salvare moriranno. Non sto dicendo che non devi lavorare sodo. E non sto dicendo che dovresti fregartene. Ma devi trovare quella linea dove puoi fare questo lavoro ed essere comunque un essere umano funzionante. Altrimenti sarai infelice. Sai cosa intendo dire?”

Jessie si sentiva come se non avesse mai capito niente in modo migliore di così in vita sua.

“Sì,” si limitò a dire.

“Bene,” le rispose lui. “Allora sparisci dal mio ufficio. Devo fare un pisolino prima di pranzo.”

E con quelle parole di saggezza ancora nelle orecchie, Jessie lo lasciò al suo riposo.




CAPITOLO OTTO


Hannah Dorsey ricordò a se stessa che non era ancora morta.

Poteva anche apparire ovvio, ma una settimana fa a quest’ora non avrebbe potuto esserne così sicura. E ogni minuto che era in vita, era una possibilità in più. Almeno questo era ciò che continuava a ripetersi.

Sapeva che era più o meno mezzogiorno, perché vedeva dove il fascio di luce che filtrava dalla finestra arrivava a colpire il pavimento dello scantinato in cui era rinchiusa. Per un po’ aveva pensato che fossero usciti dalla California, perché lì non aveva mai visto uno scantinato prima d’ora.

Ma l’uomo – le aveva detto di chiamarlo Bolton – le aveva spiegato che il precedente proprietario era un immigrato dalla costa orientale, che aveva richiesto che gli venisse costruito un interrato nella sua casa sud-californiana, anche se a livello architettonico non aveva molto senso.

Bolton le aveva spiegato un sacco di cose.

Nelle prime ore dopo aver ucciso i suoi genitori affidatari e averla drogata e rapita, non aveva parlato poi tanto. In parte perché Hannah era troppo frastornata per poterlo capire, inizialmente. Dopodiché erano state le sue grida di panico a impedire ogni conversazione.

Ma dopo circa diciotto ore, era diventata afona a forza di urlare. Oltretutto, era talmente piena di paura e carica di adrenalina e confusione, che ascoltare la voce dell’uomo, con quel suo accento meridionale, era diventato quasi lenitivo. Se parlava, significava che non stava uccidendo. Quindi lei era felice che lui continuasse a blaterare.

Immaginava che sarebbe presto arrivato a fare una chiacchierata. Le portava sempre il pranzo attorno all’ora in cui la luce che entrava dalla piccola finestra colpiva il centro della stanza, e che lei pensava essere appunto mezzogiorno. Aveva capito qualche altra cosa nella settimana che aveva trascorso lì.

Prima di tutto sapeva che era passata più o meno una settimana perché era capace di fare ogni giorno un segno sul palo di legno a cui era incatenata, usando il cucchiaio che lui le aveva lasciato. In effetti era piuttosto sicura che fosse martedì. Sapeva anche che si trovavano in un posto isolato. Altrimenti Bolton l’avrebbe imbavagliata, o almeno avrebbe sbarrato la finestrella che le offriva quel brandello di luce.

Chiaramente non era preoccupato che qualcuno la sentisse chiamare aiuto, o spaccasse la finestra e la vedesse là sotto. E poi non aveva mai sentito una sola auto passare lì vicino, né un aereo volare o un allarme risuonare in lontananza.

Di notte, attraverso il vetro sporco di terra, era capace di vedere una luce lampeggiante rosa e blu in lontananza che proveniva dall’insegna di un locale chiamato Bare Essence. Lo stile dell’insegna suggeriva che si trattasse probabilmente di uno strip club. Ma dato che lei non si considerava un’esperta in materia, l’informazione lasciava il tempo che trovava.

Era anche piuttosto certa che lui non la volesse morta. Non per una mancanza di volontà di ucciderla. Ancora nella casa dei suoi genitori affidatari, prima di drogarla, ma dopo averla imbavagliata e legata, l’aveva portata tranquillamente in salotto e l’aveva fatta sedere nell’angolo in modo che potesse vedere mentre li assassinava.

Non l’aveva fatto di soppiatto. In effetti aveva dimostrato una certa leggerezza in quel massacro. Il padre affidatario era addormentato nella sua poltrona e la madre stava seduta sul divanetto accanto, intenta a guardare la TV.

Dato che non erano rivolti verso di lui, gli era bastato andare in cucina e tornarne fuori con due coltelli, uno di tipo più piccolo e seghettato, l’altro grosso e con la lama liscia. Aveva fatto un leggero occhiolino ad Hannah prima di fare il giro dietro alla coppia, mettendosi a sedere accanto alla madre affidataria, una donna poco appariscente, con i capelli grigi ma comunque ordinata e ben curata che si chiamava Caryn.

Caryn doveva aver pensato che fosse Hannah e si era girata a guardare solo quando era partita la pubblicità. Quando aveva visto lo strano uomo che, seduto accanto a lei, le sorrideva con un coltello in mano, aveva aperto la bocca per gridare. Era stato a quel punto che lui le aveva piantato la lama nella gola.

Ne era uscito uno strano suono gorgogliante, come di un palloncino fatto sgonfiare sotto all’acqua corrente. Il suo padre affidatario, Clint, che non era male come persona, ma partecipava all’affidamento solo per fare piacere alla moglie, si era un po’ mosso sulla sua poltrona, senza però svegliarsi.

Mentre il sangue di Caryn spruzzava a fiotti nel salotto, in parte finendo addosso a Bolton stesso, lui si era alzato e si era portato sopra a Clint. L’uomo non aveva reagito quando l’assassino aveva afferrato il telecomando e aveva iniziato ad alzare il volume al punto che Clint non potesse evitare di svegliarsi.

“Troppo alto,” aveva mormorato con tono irritato.

No ricevendo alcuna risposta, l’uomo si era strofinato gli occhi e aveva guardato lo schermo. Solo allora si era accorto di non poterlo vedere perché aveva davanti un uomo basso e traccagnotto con i capelli castani e radi e il doppio-mento. Bolton gli sorrideva, mostrando denti che avevano un disperato bisogno di intervento odontoiatrico, dato che molti stavano piegati a diverse angolazioni. I suoi intensi occhi castani non battevano ciglio.

Poi, come se la campanella della partenza avesse risuonato a una corsa di cavalli, si era lanciato in avanti e aveva piantato il coltello più grosso in mezzo al petto di Clint. Hannah non poteva vedere il volto del padre affidatario, ma solo la sua schiena mentre il corpo si irrigidiva un momento e poi si rilassava nuovamente indietro sulla poltrona. Non emise un singolo suono.

Bolton poi si era voltato a guardarla e aveva scrollato le spalle come a dire ‘Pensavo peggio’.

Hannah sapeva che avrebbe dovuto provare una paura folle. Ed era certa che poi qualche reazione sarebbe arrivata. Ma in quel momento, subito dopo il massacro di Caryn e Clint, non aveva fatto nulla. Avrebbe voluto poterlo fare, ma semplicemente non ce l’aveva dentro, non dopo tutto il resto.

Solo due mesi prima aveva vissuto qualcosa di ugualmente traumatico. Lei e i suoi genitori adottivi erano stati rapiti dalla loro casa nella San Fernando Valley e trasportati in una grande villa nei pressi del centro di Los Angeles. Quella volta il colpevole era stato un uomo più vecchio, probabilmente sui cinquant’anni, ed era stato molto meno scherzoso. Più tardi avrebbe appreso che il suo nome era Xander Thurman e che era un noto serial killer.

Ma al tempo, tutto quello che sapeva era di essere stata portata in questa strana casa da quello strano uomo. L’aveva legata a una sedia e l’aveva costretta a guardare mentre procedeva a torturare i suoi genitori adottivi.

Si era poi brevemente assentato, per tornare infine a concludere ciò che aveva cominciato. Poi una donna – Hannah aveva scoperto in seguito che si trattava di una profiler criminale di nome Jessie Hunt – era arrivata in quella casa, apparentemente cercandolo. Lui l’aveva sorpresa e aggredita, stendendola al tappeto.

Mentre era priva di conoscenza, lui le aveva legato le braccia a uno dei travi del soffitto.  Quando era rinvenuta, si era messo a torturare anche lei. I due si erano poi lanciati in un feroce botta e risposta che Hannah per lo più non riusciva a comprendere. Alla fine la donna era scaltramente riuscita ad avere la meglio. Ne era conseguita una lotta serrata che si era conclusa con la morte dell’uomo e con la donna ridotta in uno stato pietoso.

Hannah era riuscita a liberarsi e a chiamare aiuto. Non ricordava molto della notte successiva, se non che gli addetti al pronto intervento avevano dovuto sedarla perché aveva iniziato a perdere il controllo. Quando si era svegliata, si era ritrovata in un letto d’ospedale. Dopo essere stata interrogata da diversi detective, era stata mandata per breve tempo in una casa famiglia, per passare poi a vivere con Caryn e Clint.





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“Un capolavoro del thriller e del mistero. Blake Pierce ha fatto un ottimo lavoro sviluppando dei personaggi con un lato psicologico così ben descritto da farci sentire come dentro alle loro teste, seguendo le loro paure e gioendo per i loro successi. Pieno di svolte, questo libro vi terrà svegli fino a che non girerete l’ultima pagina.”

–Books and Movie Reviews, Roberto Mattos (riguardo a Il killer della rosa)

IL LOOK PERFETTO è il libro #6 di una nuova serie di thriller psicologici dell’autore campione d’incassi Blake Pierce, il cui best seller numero #1, Il killer della rosa (scaricabile gratuitamente) ha più di 1.000 recensioni da cinque stelle.

Quando un uomo viene trovato morto nella sua stanza d’hotel a Los Angeles dopo una notte con una prostituta, nessuno pensa che sia un grosso caso, fino a che il fatto non va a combaciare con un altro caso apparentemente isolato. Appare subito evidente che una prostituta si è trasformata in una serial killer. E sembra che la profiler criminale e agente dell’FBI Jessie Hunt, 29 anni, sia l’unica capace di fermarla.

Un thriller psicologico veloce e pieno di suspence, con dei personaggi indimenticabili, IL LOOK PERFETTO è il libro #6 di una nuova serie che vi terrà incollati alle pagine e non permetterà quasi di andare a dormire.

Il libro #7 della serie di Jessie Hunt sarà presto disponibile.

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