Книга - Un Lamento Funebre per Principi

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Un Lamento Funebre per Principi
Morgan Rice


Un Trono per due Sorelle #4
L’immaginazione di Morgan Rice non ha limiti. In un’altra serie che promette di intrattenerci come le precedenti, UN TRONO PER DUE SORELLE ci presenta il racconto di due sorelle (Sofia e Kate), orfane, che lottano per sopravvivere nel mondo crudele ed esigente dell’orfanotrofio. Un successo immediato. Non vedo l’ora di mettere le mani sul secondo e terzo libro! Books and Movie Reviews (Roberto Mattos) Dall’autrice di best-seller numero #1 Morgan Rice arriva un’indimenticabile nuova serie fantasy. In UN LAMENTO FUNEBRE PER PRINCIPI (Un Trono per due Sorelle – Libro Quattro), Sofia, 17 anni, lotta per la sua vita, cercando di riprendersi dalla ferita infertagli da Lady D’Angelica. I nuovi poteri di sua sorella Kate saranno sufficienti a riportarla indietro?La nave naviga con le due sorelle fino alle lontane ed esotiche terre di loro zio, la loro ultima speranza e unico collegamento conosciuto ai loro genitori. Ma il viaggio è pericoloso, e anche se arrivano a destinazione, le sorelle non sanno se la loro accoglienza sarà calorosa od ostile. Kate, vincolata alla strega, si trova in una situazione sempre più disperata, fino a che incontra una maga che potrebbe svelarle il segreto per la sua libertà. Sebastian ritorna a corte con il cuore spezzato, disperato di sapere se Sofia sia viva. Anche se sua madre lo vuole costringere a sposare Lady D’Angelica, lui sa che è giunto il momento di rischiare tutto. UN LAMEN TO FUNEBRE PER I PRINCIPI (Un Trono per due Sorelle – Libro Quattro) è il quarto libro di una stupefacente nuova serie fantasy, dilagante di amore, cuori spezzati, tragedia, azione, magia, stregoneria, destino e suspense da far battere il cuore. Un libro di cui è impossibile non girare le pagine, è pieno di personaggi che vi faranno innamorare, e di un mondo che non dimenticherete mai. Il libro #5 della serie è di prossima pubblicazione. potente inizio per una serie produrrà una combinazione di esuberanti protagonisti e circostanze impegnative per coinvolgere pienamente non solo i giovani, ma anche gli adulti amanti del genere fantasy e che cercano storie epiche alimentate da potenti legami o inimicizie. Midwest Book Review (Diane Donovan)







UN LAMENTO FUNEBRE PER PRINCIPI



(UN TRONO PER DUE SORELLE -- LIBRO 4)



MORGAN RICE



TRADUZIONE ITALIANA

A CURA DI



Annalisa lovat


Morgan Rice



Morgan Rice è l’autrice numero uno e campionessa d’incassi della serie epic fantasy L’ANELLO DELLO STREGONE che comprende diciassette libri; della serie campione d’incassi APPUNTI DI UN VAMPIRO che comprende dodici libri; della serie campione d’incassi LA TRILOGIA DELLA SOPRAVVIVENZA, un thriller post-apocalittico che comprende tre libri; della serie epic fantasy RE E STREGONI che comprende sei libri; della nuova serie epic fantasy DI CORONE E DI GLORIA che comprende 8 libri; e della nuova serie epic fantasy UN TRONO PER DUE SORELLE.I libri di Morgan sono disponibili in formato audio o cartaceo e ci sono traduzioni in 25 lingue.



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Cosa dicono di Morgan Rice



“Se pensavate che non ci fosse più alcuna ragione di vita dopo la fine della serie L’ANELLO DELLO STREGONE, vi sbagliavate. In L’ASCESA DEI DRAGHI Morgan Rice è arrivata a ciò che promette di essere un’altra brillante saga, immergendoci in un mondo fantastico fatto di troll e draghi, di valore, onore e coraggio, magia e fede nel proprio destino. Morgan è riuscita di nuovo a creare un forte insieme di personaggi che ci faranno tifare per loro pagina dopo pagina… Consigliato per la biblioteca permanente di tutti i lettori amanti dei fantasy ben scritti.”

--Books and Movie Reviews

Roberto Mattos



“Un fantasy pieno zeppo di azione che sicuramente verrà apprezzato dai fan dei precedenti romanzi di Morgan Rice insieme ai sostenitori di opere come il CICLO DELL’EREDITÀ di Christopher Paolini... Amanti del fantasy per ragazzi divoreranno quest'ultima opera della Rice e imploreranno di averne ancora.”

--The Wanderer, A Literary Journal (Parlando de L'Ascesa dei Draghi)



“Un meraviglioso fantasy nel quale si intrecciano elementi di mistero e intrigo. Un’impresa da eroi parla della presa di coraggio e della realizzazione di uno scopo di vita che porta alla crescita, alla maturità e all’eccellenza… Per quelli che cercano corpose avventure fantasy: qui i protagonisti, gli stratagemmi e l’azione forniscono un vigoroso insieme di incontri che ben si concentrano sull’evoluzione di Thor da ragazzino sognatore e giovane che affronta l’impossibile pur di sopravvivere… Solo l’inizio di ciò che promette di essere una serie epica per ragazzi.”

--Midwest Book Review (D. Donovan, eBook Reviewer)



“L’ANELLO DELLO STREGONE ha tutti gli ingredienti per un successo immediato: intrighi, complotti, mistero, cavalieri valorosi, storie d’amore che fioriscono e cuori spezzati, inganno e tradimento. Una storia che vi terrà incollati al libro per ore e sarà in grado di riscuotere l’interesse di persone di ogni età. Non può mancare sugli scaffali dei lettori di fantasy.”

--Books and Movie Reviews, Roberto Mattos



“In questo primo libro pieno zeppo d’azione della serie epica fantasy L’Anello dello Stregone (che conta attualmente 14 libri), la Rice presenta ai lettori il quattordicenne Thorgrin “Thor” McLeod, il cui sogno è quello di far parte della Legione d’Argento, i migliori cavalieri al servizio del re… Lo stile narrativo della Rice è solido e le premesse sono intriganti.”

--Publishers Weekly


Libri di Morgan Rice



COME FUNZIONA L’ACCIAIO

SOLO CHI LO MERITA (Libro #1)



UN TRONO PER DUE SORELLE

UN TRONO PER DUE SORELLE (Libro #1)

UNA CORTE DI LADRI (Libro #2)

UNA CANZONE PER GLI ORFANI (Libro #3)

UN LAMENTO FUNEBRE PER PRINCIPI (Libro #4)

UN GIOIELLO PER I REGNANTI (LIBRO #5)



DI CORONE E DI GLORIA

SCHIAVA, GUERRIERA, REGINA (Libro #1)

FURFANTE, PRIGIONIERA, PRINCIPESSA (Libro #2)

CAVALIERE, EREDE, PRINCIPE (Libro #3)

RIBELLE, PEDINA, RE (Libro #4)

SOLDATO, FRATELLO, STREGONE (Libro #5)

EROINA, TRADITRICE, FIGLIA (Libro #6)

SOVRANA, RIVALE, ESILIATA (Libro #7)

VINCITORE, VINTO, FIGLIO (Libro #8)



RE E STREGONI

L’ASCESA DEI DRAGHI (Libro #1)

L’ASCESA DEL PRODE (Libro #2)

IL PESO DELL’ONORE (Libro #3)

LA FORGIA DEL VALORE (Libro #4)

IL REGNO DELLE OMBRE (Libro #5)

LA NOTTE DEI PRODI (Libro #6)

L’ANELLO DELLO STREGONE

UN’IMPRESA DA EROI (Libro #1)

LA MARCIA DEI RE (Libro #2)

DESTINO DI DRAGHI (Libro #3)

GRIDO D’ONORE (Libro #4)

VOTO DI GLORIA (Libro #5)

UN COMPITO DI VALORE (Libro #6)

RITO DI SPADE (Libro #7)

CONCESSIONE D’ARMI (Libro #8)

UN CIELO DI INCANTESIMI (Libro #9)

UN MARE DI SCUDI (Libro #10)

REGNO D’ACCIAIO (Libro #11)

LA TERRA DEL FUOCO (Libro #12)

LA LEGGE DELLE REGINE (Libro #13)

GIURAMENTO FRATERNO (Libro #14)

SOGNO DA MORTALI (Libro #15)

GIOSTRA DI CAVALIERI (Libro #16)

IL DONO DELLA BATTAGLIA (Libro #17)



LA TRILOGIA DELLA SOPRAVVIVENZA

ARENA UNO: MERCANTI DI SCHIAVI (Libro #1)

ARENA DUE (Libro #2)

ARENA TRE (Libro #3)



VAMPIRO, CADUTO

PRIMA DELL’ALBA (Libro #1)



APPUNTI DI UN VAMPIRO

TRAMUTATA (Libro #1)

AMATA (Libro #2)

TRADITA (Libro #3)

DESTINATA (Libro #4)

DESIDERATA (Libro #5)

PROMESSA (Libro #6)

SPOSA (Libro #7)

TROVATA (Libro #8)

RISORTA (Libro #9)

BRAMATA (Libro #10)

PRESCELTA (Libro #11)

OSSESSIONATA (Libro #12)


Sapevate che ho scritto tantissime serie? Se non le avete lette tutte, cliccate sull’immagine qua sotto e scaricate il primo libro di una di esse!






(http://www.morganricebooks.com/read-now/)


Copyright © 2018 by Morgan Rice. All rights reserved. Except as permitted under the U.S. Copyright Act of 1976, no part of this publication may be reproduced, distributed or transmitted in any form or by any means, or stored in a database or retrieval system, without the prior permission of the author. This ebook is licensed for your personal enjoyment only. This ebook may not be re-sold or given away to other people. If you would like to share this book with another person, please purchase an additional copy for each recipient. If you’re reading this book and did not purchase it, or it was not purchased for your use only, then please return it and purchase your own copy. Thank you for respecting the hard work of this author. This is a work of fiction. Names, characters, businesses, organizations, places, events, and incidents either are the product of the author’s imagination or are used fictionally. Any resemblance to actual persons, living or dead, is entirely coincidental.


INDICE



CAPITOLO UNO (#u615e0b1e-935a-5935-96bc-27d42d1b5a85)

CAPITOLO DUE (#u46fd360e-c61c-5915-84cc-7202367f712a)

CAPITOLO TRE (#u5b877ea0-80e2-5733-a166-bb99a403b617)

CAPITOLO QUATTRO (#u94609b89-2a18-5ac2-87d0-2a4fe892453d)

CAPITOLO CINQUE (#u34d6a876-ff6d-5d2d-8e0f-4a1a1b170495)

CAPITOLO SEI (#u85022062-20f8-567d-9099-5ea811404732)

CAPITOLO SETTE (#u7e9db978-b476-5710-b4f4-b04c621e80ef)

CAPITOLO OTTO (#litres_trial_promo)

CAPITOLO NOVE (#litres_trial_promo)

CAPITOLO DIECI (#litres_trial_promo)

CAPITOLO UNDICI (#litres_trial_promo)

CAPITOLO DODICI (#litres_trial_promo)

CAPITOLO TREDICI (#litres_trial_promo)

CAPITOLO QUATTORDICI (#litres_trial_promo)

CAPITOLO QUINDICI (#litres_trial_promo)

CAPITOLO SEDICI (#litres_trial_promo)

CAPITOLO DICIASSETTE (#litres_trial_promo)

CAPITOLO DICIOTTO (#litres_trial_promo)

CAPITOLO DICIANNOVE (#litres_trial_promo)

CAPITOLO VENTI (#litres_trial_promo)

CAPITOLO VENTUNO (#litres_trial_promo)

CAPITOLO VENTIDUE (#litres_trial_promo)

CAPITOLO VENTITRÉ (#litres_trial_promo)

CAPITOLO VENTIQUATTRO (#litres_trial_promo)

CAPITOLO VENTICINQUE (#litres_trial_promo)

CAPITOLO VENTISEI (#litres_trial_promo)

CAPITOLO VENTISETTE (#litres_trial_promo)

CAPITOLO VENTOTTO (#litres_trial_promo)

CAPITOLO VENTINOVE (#litres_trial_promo)

CAPITOLO TRENTA (#litres_trial_promo)

CAPITOLO TRENTUNO (#litres_trial_promo)




CAPITOLO UNO


Kate corse verso il molo di cui gli aveva parlato Finnael, muovendosi più velocemente di chiunque altro, pregando di fare in tempo. Quella visione di sua sorella che giaceva grigia e morta la perseguitava, sospingendola ad andare avanti con tutta la velocità che i suoi poteri potevano darle. Sofia non poteva essere morta.

Non poteva.

Kate vide i soldati di corte nel villaggio che ora si riunivano attorno al loro capo. In un’altra occasione Kate avrebbe potuto fermarsi per battersi con loro, semplicemente per il danno che la vedova aveva causato alla sua vita. Ma ora non c’era tempo. Corse verso le barche, cercando di individuare quella in cui si era trovata Sofia nella sua visione.

La vide poco avanti: un veliero a doppio albero con un cavalluccio marino a prua. Corse da quella parte, saltando a bordo non appena fu vicina, superando il parapetto e atterrando con leggerezza sul ponte della nave. Vide i marinai che la fissavano, alcuni con le mani pronte alle proprie armi. Se avevano fatto qualsiasi cosa per fare del male a sua sorella, li avrebbe uccisi fino all’ultimo.

“Dov’è mia sorella?” chiese con voce tonante.

Forse riconobbero la somiglianza, anche se Kate era più bassa e più muscolosa di Sofia, con i capelli tagliati a maschio. Indicarono silenziosamente la cabina a prua.

Mentre correva verso di essa, Kate vide un uomo grande e grosso con pochi capelli e la barba che si rimetteva in piedi a fatica.

“Cos’è successo?” chiese. “Veloce, penso che mia sorella sia in pericolo.”

“Sofia è tua sorella?” chiese l’uomo. Sembrava ancora confuso da qualsiasi cosa l’avesse steso al tappeto. “C’era un uomo… mi ha colpito. Tua sorella è nella cabina.”

Kate non esitò. Andò alla cabina e diede un calcio alla porta con tanta forza da farla aprire di schianto. All’interno…

Vide un gatto della foresta in un angolo, grosso e con il pelo grigio, che ringhiava sommessamente. Vide anche Sebastian, inginocchiato con un pugnale in mano, insanguinato quasi fino al polso. Stava gemendo e piangendo, ma questo non significava nulla. Un uomo poteva piangere per il rimorso o per il senso di colpa come per qualsiasi altra cosa.

Sul pavimento accanto a lui, Kate poté vedere Sofia, un cadavere immobile, la carne grigia come quella che aveva visto nella sua visione. C’era del sangue che si stava raccogliendo in una pozza accanto a lei, e aveva una ferita al petto che poteva essere stata causata solo da un’arma.

“È morta, Kate,” le disse Sebastian guardano verso di lei. “È morta.”

“Tu sei morto,” gridò Kate. Aveva già detto una volta a Sebastian di non poterlo perdonare per il modo in cui aveva fatto soffrire Sofia. Ma questo superava di gran lunga qualsiasi cosa le avesse fatto prima. Aveva tentato di assassinare sua sorella. Allora la rabbia pervase il corpo di Kate, e lei scattò in avanti.

Colpì Sebastian facendolo cadere indietro e allontanandolo da sua sorella. Lui si rialzò, il pugnale sempre in mano.

“Kate, non voglio farti de male.”

“Come hai fatto del male a mia sorella?”

Kate gli diede un calcio allo stomaco e lo prese per un braccio, facendolo ruotare fino a costringerlo a lasciar cadere il coltello. Sebastian riuscì a liberarsi prima che lei gli spezzasse l’arto, ma Kate non aveva ancora finito con lui.

“Kate, non sono stato io, io…”

“Bugiardo!” Si lanciò contro di lui, afferrandolo e scagliandolo attraverso la porta sia per lo slancio datole dalla velocità che per la forza ottenuta dalla fontana. Finirono tutti e due fuori alla luce del sole, poi Kate riuscì ad afferrare una gamba di Sebastian, sollevandolo. Lo lanciò oltre il parapetto facendolo precipitare verso il molo. Lui atterrò di testa, restando scomposto a terra, privo di conoscenza.

Kate avrebbe voluto saltargli addosso da lì. Voleva ucciderlo. Ma non c’era tempo. Doveva tornare da Sofia.

“Se si sveglia,” disse al capitano,” uccidetelo.”

“Lo farei adesso,” disse l’uomo, “ma devo far partire questa barca.”

Kate lo vide indicare verso i soldati di corte che stavano scendendo verso la nave, muovendosi con truce determinazione.

“Fai quello che puoi,” disse Kate. “Io devo aiutare mia sorella.”

Corse di nuovo nella cabina. Sofia era ancora troppo immobile, troppo insanguinata. Kate vedeva che il petto non si muoveva. La mancanza di ogni minimo pensiero nella sua testa le diceva chiaramente che non c’era assolutamente alcuna vita lì. Kate si inginocchiò accanto a lei, cercando di rimanere tutta d’un pezzo, cercando di ricordare quello che Finnael lo stregone le aveva insegnato. Aveva riportato una pianta a verdeggiante vita, ma Sofia non era una pianta: era sua sorella.

Kate si protese verso lo spazio che c’era dentro di lei, dove poteva vedere l’energia attorno alle cose, dove poteva vedere quel soffice bagliore dorato che attorno a Sofia ora era quasi un nonnulla. Ora poteva sentire quell’energia, e Kate ricordava come si era sentita a tirare l’energia fuori dalla pianta, ma non era quello che le serviva adesso, estrapolare l’energia da una pianta.

Dispiegò la propria percezione alla ricerca di altre fonti di energia, cercando il potere di cui aveva bisogno per fare questa cosa. Ci sprofondò dentro, cercando di trovare qualsiasi energia possibile. Allora la percepì, la sentì oltre i confini di quella stanza, oltre gli stretti limiti che definivano la sua carne.

La sentì e l’istante della connessione fu così grande, così travolgente che Kate pensò di non potercisi aggrappare. Era troppo, ma se questo significava salvare Sofia, Kate doveva trovare un modo per farlo. Cercò di afferrare il potere che la circondava…

… e si trovò a percepire il regno intero, ogni vita, ogni accenno di potere. Kate poteva percepire le piante e gli animali, la gente, le cose che rappresentavano poteri più vecchi e sconosciuti. Kate poteva percepirlo, e sapeva cosa fosse quell’energia: era vita, era magia.

Prese il potere con la maggiore delicatezza possibile, in frammenti da centinaia di posti diversi. Kate percepì un riquadro d’erba seccarsi nelle Vie Equestri, alcune foglie cadere dagli alberi sui pendii di Monthys. Prese la minima quantità da ogni posto, non volendo fare maggior danno di questo.

Lo stesso era come contenere un’ondata. Kate gridò per lo sforzo del tentativo di contenere il tutto, ma ce la fece. Doveva.

Kate lo riversò in Sofia, tentando di regolarlo del tutto, tentando di spingerlo a fare quello che lei voleva. Con la pianta si era trattato del semplice caso di aggiungere dell’energia, ma avrebbe funzionato qui? Kate lo sperava, perché non era certa di sapere abbastanza del modo di guarire ferite per poter fare altro. Diede a Sofia l’energia che aveva preso a prestito dal mondo, rinforzando la sottile linea dorata della sua vita, tentando di costruirne un pezzo.

Lentamente, tanto lentamente da essere quasi impercettibile, Kate vide che la ferita iniziava a chiudersi. Continuò ad agire, fino a che la carne non si mostrò perfetta. Ma c’era dell’altro da fare. Non bastava avere un cadavere dall’aspetto perfetto. Continuò a spingere energia in sua sorella, sperando contro ogni speranza che bastasse.

Finalmente vide il petto di Sofia che iniziava a sollevarsi e riabbassarsi. Sua sorella stava respirando da sola, e per la prima volta Kate ebbe la sensazione che non stesse per morire. Quel pensiero di sollievo la pervase. Sofia però non si svegliò: i suoi occhi, per quanta energia Kate stesse usando, restavano chiusi. Kate non era certa di poter continuare ancora a lungo a trattenere quel potere. Lo lasciò andare, cadendo indietro sul ponte per la stanchezza, come se avesse appena percorso di corsa una cinquantina di chilometri.

Fu a quel punto che udì le grida e il combattimento fuori dalla cabina. Kate si sforzò di alzarsi in piedi, e non fu facile. Anche se l’energia per rimettere in sesto Sofia non era venuta da lei, fare da canale le aveva richiesto un grandissimo sforzo. Kate riuscì ad alzarsi, sguainò la spada e raggiunse la porta.

Al di là dei soldati con le uniformi del regno stavano salendo di forza sulla nave, mentre i marinai combattevano per respingerli. Vide il capitano lanciarsi all’attacco, uccidendo un uomo con un coltello lungo mentre un altro marinaio spingeva un uomo oltre il parapetto usando una roncola. Vide anche un marinaio ucciso dal colpo di spada di un soldato, e un altro cadere mentre risuonava lo sparo di una pistola.

Kate non vacillò, ma riuscì piuttosto a scagliarsi contro un soldato trafiggendolo sotto al braccio, ma allo stesso tempo poté a stento schivare un colpo che proveniva da un moschetto. Inciampò e l’uomo si portò sopra di lei, girando l’arma per puntare contro di lei una baionetta.

Poi Kate udì un ruggito e il gatto della foresta la oltrepassò andando a sbattere contro l’uomo per affondargli i denti nella gola. La bestia ringhiò e saltò contro un altro. I soldati esitarono e iniziarono a ritirarsi.

Kate dovette mettersi in ginocchio a guardare, perché era troppo stanca per fare di più. Quando vide uno dei soldati che puntava una pistola contro il gatto, Kate sguainò un coltello e lo lanciò. L’arma andò a segno e l’uomo cadde dalla barca.

Kate vide il gatto saltare oltre il bordo, sul molo, e un secondo dopo sentì un grido mentre colpiva di nuovo.

“Portate questa nave al largo!” gridò Kate. “Siamo morti se restiamo qui!”

I marinai balzarono in azione e Kate si sforzò di alzarsi in piedi tentando di occupare il varco. Alcuni combattevano, ed erano come difensori ai parapetti, intenti a respingere gli avversari che si arrampicavano. Il gatto della foresta schioccò i denti e ringhiò, saltando addosso a quelli che salivano a forza, colpendo con gli artigli e fermando tutti con i suoi denti affilati come aghi. Kate non sapeva quando sua sorella avesse acquisito un compagno come quello, ma di certo era leale, e letale.

Se lei fosse stata in piene forze, avrebbe forse potuto tenere a bada i soldati da sola, muovendosi tra di loro, correndo e uccidendo. In quelle condizioni poteva raccogliere appena l’energia per colpirli insieme ai marinai. Questi ultimi le passarono oltre come a volerle fare da scudo contro il combattimento. Kate voleva che si concentrassero solo sul far salpare la nave allontanandosi dal molo.

Lentamente l’imbarcazione iniziò a muoversi. I marinai usavano remi e lunghi pali per spingerla avanti e Kate sentì lo spostamento del ponte sotto ai loro sforzi. Un soldato saltò verso la nave ma non la raggiunse, andando a cadere tra la barca e il molo.

Sotto Kate poteva vedere il gatto della foresta che continuava a ringhiare e uccidere, accerchiato dai soldati. Kate sospettava che sua sorella non volesse che il suo amico venisse abbandonato, e in ogni caso il gatto della foresta li aveva salvati. Non poteva lasciarlo lì.

“Devi salire a bordo,” gridò, rendendosi poi conto della stupidità nel pensare che potesse capirla. Raccolse invece il poco potere che le era rimasto e avvolse il bisogno di salire a bordo con un’immagine della barca che se ne andava, lanciandolo verso la creatura.

Il gatto girò la testa, annusò una volta l’aria e corse verso la barca. Kate vide i suoi muscoli contrarsi, e poi distendersi nel salto. Gli artigli si piantarono nel legno della nave mentre si tirava su lungo il fianco, spostandosi poi sul parapetto e spingendo la testa contro la mano di Kate facendo le fusa.

Kate si lasciò cadere indietro, sentendo la solidità dell’albero maestro alle sue spalle. Si lasciò scivolare seduta sul ponte, dato che non aveva più la forza per reggersi in piedi. Ma questo non aveva più alcuna importanza. Erano già ben lontani dal molo, solo pochi colpi di arma da fuoco a segnare la precedente presenza dei loro aggressori lì.

Ce l’avevano fatta. Erano in salvo e Sofia era viva.

Almeno per ora.




CAPITOLO DUE


Sebastian si svegliò dolorante. Dolore completo, totale. Sembrava circondarlo, pulsargli dentro, assorbire ogni frazione del suo essere. Poteva sentire la pulsante agonia nel cranio, dove aveva preso il colpo con la caduta, ma c’era un altro dolore ripetitivo e continuo che gli premeva contro le costole mentre qualcuno cercava di svegliarlo dandogli dei calci.

Sollevò lo sguardo e vide Rupert che lo guardava dall’alto in basso. Quella era forse l’unica angolazione da cui suo fratello non assomigliava al solito modello dorato di principe perfetto. La sua espressione di certo non combaciava con quell’ideale, dato che lasciava intendere che, se lui fosse stato qualcun altro, gli avrebbe felicemente tagliato la gola. Sebastian sbuffò per il dolore, sentendosi come se le costole potessero essersi rotte per l’impatto.

“Svegliati, inutile idiota!” disse seccamente Rupert. Sebastian poteva sentire la rabbia nella sua voce, e anche la frustrazione.

“Sono sveglio,” disse. Lui stesso poteva sentire che le sue parole non erano per niente chiare. Alto dolore lo pervase, insieme a una sorta di confusione annebbiata che dava la sensazione che l’avessero colpito alla testa con un martello. No, non con un martello: con il mondo intero. “Cos’è successo?”

“Ti sei fatto gettare giù da una nave da una ragazza, ecco cos’è successo,” disse Rupert.

Sebastian sentì la rude stretta di suo fratello che lo ritrascinava in piedi. Quando Rupert lasciò la presa, Sebastian barcollò e quasi cadde di nuovo, ma riuscì a riprendersi in tempo. Nessuno dei soldati lì attorno si mosse per aiutarlo, ma del resto erano uomini di Rupert, e probabilmente avevano poco affetto per Sebastian dopo la sua fuga.

“Ora è il tuo turno di raccontare a me quello che è successo,” disse Rupert. “Sono andato in giro per questo villaggio da un capo all’altro, e alla fine mi hanno detto che quella era la barca che la tua amata stava prendendo.” La fece risuonare come una maledizione. “Dato che sei stato lanciato fuori di lì da una ragazza che le assomigliava…”

“Sua sorella Kate,” disse Sebastian, ricordando la velocità con cui Kate l’aveva scagliato fuori dalla cabina, la rabbia nel momento in cui l’aveva lanciato. Aveva avuto l’intenzione di ucciderlo. Aveva pensato che lui avesse…

Allora ricordò, e l’immagine fu sufficiente a bloccarlo, lì in piedi in totale apatia, anche se Rupert a un certo punto decise che l’idea migliore era dargli uno schiaffo. Il dolore del colpo parve solo un granello aggiunto a un’intera montagna. Anche i lividi procuratisi quanto Kate l’aveva lanciato giù non sembravano più nulla confronto al crudo groviglio di dolore che minacciava di aprirsi e risucchiarlo in ogni momento.

“Ho detto, cos’è successo alla ragazza che ti ha preso per i fondelli inducendoti ad accettarla come tua fidanzata?” chiese Rupert. “C’era anche lei? È scappata con il resto della gente sulla nave?”

“È morta!” rispose seccamente Sebastian senza pensare. “È questo che vuoi sentire, Rupert? Sofia è morta!”

Era come se la stesse guardando ancora, vedendola pallida e priva di vita sul pavimento della cabina, il sangue raccolto in una pozza attorno a lei, la ferita al petto con il pugnale così sottile e affilato da sembrare un ago. Poteva ricordare come era stata Sofia: nessun accenno di movimento a indicare il respiro, nessun soffio d’aria contro il suo orecchio quando si era chinato per controllare.

Aveva anche estratto il coltello, nella stupida e istintiva speranza che la cosa potesse migliorare la situazione, anche se sapeva che alle ferite non si poteva porre facilmente rimedio. Quello che aveva ottenuto era di allargare la pozza di sangue, di ricoprirsi le mani dello stesso, e di convincere Kate che era stato lui ad assassinare sua sorella. Era un miracolo, messe così le cose, che lei lo avesse solo scagliato giù dalla barca e non l’avesse fatto a pezzi.

“Almeno hai fatto una cosa giusta uccidendola,” disse Rupert. “Questo potrebbe anche essere di aiuto per la mamma per perdonarti della tua fuga. Devi ricordare che sei solo il secondo fratello, Sebastian. Quello che segue il dovere. Non puoi permetterti di far arrabbiare nostra madre a questo modo.”

Sebastian in quel momento provò disgusto. Disgusto per il fatto che suo fratello potesse pensare che lui avesse fatto del male a Sofia. Disgusto anche solo per quella visione del mondo. Disgusto, francamente, per il solo fatto di avere un collegamento con qualcuno che poteva vedere il mondo come un giocattolo, dove chiunque altro era a un livello inferiore, pronto a ricoprire il ruolo assegnatogli.

“Non ho ucciso Sofia,” disse Sebastian. “Come hai potuto pensare che potessi mai fare una cosa del genere?”

Rupert lo guardò con ovvia sorpresa, prima che la sua espressione mutasse in disappunto.

“E io che stavo pensando che non fossi finalmente più il solito smidollato,” disse. “Che avessi deciso di essere veramente il principe obbediente che fingi di essere e ti fossi sbarazzato della sgualdrina. Avrei dovuto immaginare che saresti sempre rimasto completamente inutile.”

Sebastian allora si scagliò contro suo fratello. Andò a sbattere contro Rupert andando a cadere insieme a lui sulle tavole di legno del molo. Sebastian si portò sopra di lui, afferrando suo fratello e dandogli un pugno.

“Non parlare di Sofia a questo modo! Non ti basta che sia morta?”

Rupert si dimenò e contorse sotto di lui portandosi sopra per un momento e colpendolo a sua volta con un altro pugno. Nello slancio il combattimento andò avanti, e Sebastian sentì il bordo del molo contro la schiena un attimo prima che lui e Rupert finissero in mare.

L’acqua si chiuse sopra di loro mentre lottavano, le mani di ciascuno serrate attorno alla gola dell’altro quasi per istinto. A Sebastian non importava. Non aveva più niente per cui vivere, ora che Sofia era morta. Magari se fosse finito freddo e morto come lei, c’era una possibilità che potessero ritrovarsi riuniti in ciò che si trovava sotto la maschera della morte. Poteva sentire Rupert che lo prendeva a calci, ma Sebastian quasi non percepì nessun ulteriore dolore.

Sentì poi delle mani che lo afferravano tirandolo fuori dall’acqua. Avrebbe dovuto sapere che gli uomini di Rupert sarebbero intervenuti per salvare il loro principe. Tirarono Sebastian e Rupert fuori dall’acqua prendendoli per le braccia e per i vestiti, sollevandoli e portandoli sulla terra asciutta mentre l’acqua gelata continuava a gocciolare dai loro corpi.

“Lasciatemi,” disse Rupert. “No, tenete lui.”

Sebastian sentì le mani stringersi contro le sue braccia, tenendolo fermo. Suo fratello allora lo colpì con forza allo stomaco, tanto che Sebastian si sarebbe piegato se i soldati non fossero stati lì a tenerlo. Vide il momento in cui suo fratello sguainò un coltello, curvo e affilato come un rasoio. Era un coltello da cacciatore, un coltello fatto per scuoiare.

Sentì la lama mentre Rupert la premeva contro il suo volto.

“Pensi di potermi attaccare così? Ho viaggiato per mezzo regno a causa tua. Ho freddo, sono bagnato fradicio e i miei vestiti si sono rovinati. Magari potrebbe rovinarsi anche il tuo bel visino.”

Sebastian sentì un rivolo di sangue che scendeva da dove la lama premeva. Con sua sorpresa uno dei soldati si fece avanti.

“Vostra altezza,” disse con ovvia deferenza nel tono di voce. “Immagino che la vedova non desideri che noi permettiamo che a nessuno dei due figli venga fatto del male.”

Sebastian sentì Rupert divenire pericolosamente immobile, e per un momento pensò che l’avrebbe fatto comunque. Invece tirò via il coltello e la sua rabbia scomparve dietro alla maschera di civiltà che generalmente indossava.

“Sì, hai ragione soldato. Non vorrei far arrabbiare mia madre per aver… fatto un passo falso.”

Era un termine così benevolo da usare dopo aver parlato di fare a pezzi il volto di Sebastian solo pochi istanti prima. Il fatto che potesse mutare temperamento a quel modo confermava quasi tutto quello che Sebastian aveva sentito sul suo conto. Aveva sempre tentato di ignorare le storie, ma era come se avesse visto il vero Rupert sia qui che prima, quando aveva torturato il giardiniere nella casa abbandonata.

“Voglio tutta la rabbia di nostra madre riservata per te, fratellino,” disse Rupert. Questa volta non lo colpì, ma strinse una mano sulla sua spalla in modo fraterno che appariva senza ombra di dubbio come se stesse recitando una parte. “Scappare a questo modo, lottare contro i suoi soldati. Ucciderne uno.”

Quasi troppo veloce per poterlo seguire, Rupert si girò e pugnalò alla gola quello che aveva sollevato l’obiezione. L’uomo cadde tenendosi la ferita, la sua espressione di shock quasi uguale a coloro che lo circondavano.

“Che sia ben chiaro,” disse Rupert con voce pericolosa. “Sono il principe erede alla corona, e siamo ben lontani dall’Assemblea dei Nobili, con le sue regole e i suoi tentativi di contenere i superiori. Qui non mi si oppongono obiezioni! È chiaro?”

Se fosse stato chiunque altro, si sarebbe trovato rapidamente con la gola tagliata da parte degli altri soldati. Invece gli uomini mormorarono in assenso, sapendo tutti perfettamente che uccidere un principe di sangue reale avrebbe riportato di diritto le guerre civili.

“Non ti preoccupare,” disse Rupert mentre asciugava il pugnale. “Stavo scherzando quando dicevo di rovinarti la faccia. Non dirò neanche che hai ucciso quest’uomo. È morto combattendo attorno alla nave. Ora ringraziami.”

“Grazie,” disse Sebastian con tono piatto, ma solo perché sospettava che fosse il modo migliore per evitare ulteriore violenza.

“E poi penso che nostra madre crederebbe al racconto della tua inutilità più che a un tuo sospetto comportamento omicida,” disse Rupert. “Il figlio che è scappato, che non è arrivato in tempo e che ha perso la sua amata, facendosi battere da una ragazza.”

Sebastian avrebbe potuto lanciarsi in avanti ancora una volta, ma i soldati lo stavano ancora tenendo saldamente, come se si aspettassero esattamente questo. Forse in un certo senso lo stavano addirittura facendo per proteggerlo.

“Sì,” disse Rupert, “fai una figura molto più tragica in questo modo, piuttosto che con l’odio. Ora sembri veramente il ritratto del dolore.”

Sebastian sapeva che suo fratello non avrebbe mai capito la verità. Non avrebbe mai compreso il puro dolore che gli stava attraversando il cuore, molto peggio dei dolori che provenivano dai suoi lividi. Non avrebbe mai capito la pena di perdere qualcuno che si ama, perché Sebastian ora era sicuro che Rupert non amava nessuno eccetto se stesso.

Sebastian aveva amato Sofia, ed era solo ora che lei era morta che lui poteva iniziare a capire quanto, semplicemente vedendo quanto il suo mondo fosse stato lacerato da quando l’aveva vista immobile e priva di vita, bellissima anche nella morte. Si sentiva come una di quei mostriciattoli mollicci che venivano dai vecchi racconti, vuoto se non per il guscio di carne che circondava il suo dolore.

L’unico motivo per cui non stava piangendo era perché si sentiva troppo vuoto anche per quello. Beh, e anche perché non voleva dare a suo fratello la soddisfazione di vederlo soffrire. In quel momento avrebbe addirittura ben accettato che Rupert lo uccidesse, perché almeno questo avrebbe portato una fine all’infinita vastità di dolore che sembrava dipanarsi attorno a lui.

“È ora che torni a casa,” disse Rupert. “Puoi essere presente mentre faccio rapporto a nostra madre di tutto quello che è successo. Mi ha mandato a riprenderti, ed è quello che farò. Ti legherò su un cavallo, se devo.”

“Non devi,” disse Sebastian. “Vengo.”

Lo disse sottovoce, ma lo stesso ottenne un sorriso di trionfo da parte di suo fratello. Rupert pensava di avere vinto. La verità era semplicemente che a Sebastian non importava. Non importava più niente. Aspettò che uno dei soldati gli portasse un cavallo, montò in sella e lo spronò in avanti con gambe pesanti.

Sarebbe tornato a casa ad Ashton e avrebbe fatto la parte del principe che la sua famiglia voleva da lui. Niente avrebbe fatto alcuna differenza.

Niente, ora che Sofia era morta.




CAPITOLO TRE


Cora fu più che grata quando il terreno tornò ad essere pianeggiante. Sembrava che lei ed Emeline stessero camminando da sempre, anche se l’amica non mostrava alcun segno di fatica.

“Come fai a continuare a camminare come se non fossi stanca?” chiese Cora mentre Emeline continuava ad incalzare l’avanzata. “È una sorta di magia?”

Emeline si guardò alle spalle. “Non è magia, è solo che… ho trascorso la maggior parte della mia vita nelle strade di Ashton. Se mostravo che ero debole, la gente trovava dei modi per approfittarsi di me.”

Cora tentò di immaginarlo: vivere in un posto dove c’era una possibilità di violenza ogni volta che qualcuno mostrava debolezza. Si rese conto che non serviva immaginarselo, però.

“A palazzo erano Rupert e i suoi parassiti,” disse, “o le ragazze nobili che pensavano di poter abusare di te solo perché erano arrabbiate per qualcosa.”

Vide Emeline piegare la testa di lato. “Avrei pensato che le cose fossero migliori a palazzo,” disse. “Almeno non dovevi schivare le bande o i cacciatori di schiavi. Non dovevi trascorrere la notte rannicchiata e nascosta in magazzini di carbone in modo che nessuno ti trovasse.”

“Perché ero già vincolata,” sottolineò Cora. “Non avevo neanche un letto a palazzo. Davano semplicemente per scontato che potessi trovare un angolo per dormire. Oppure che qualche nobile mi volesse nel suo letto.”

Con sorpresa di Cora, Emeline la strinse in un abbraccio. Se c’era una cosa che Cora aveva imparato strada facendo, era che Emeline non era una persona particolarmente espansiva di solito.

“Ho visto dei nobili una volta, in città,” disse Emeline. “Pensavo che fossero qualcosa di più brillante e migliore di una delle bande, fino a che non mi sono avvicinata. Poi ho visto uno di loro che picchiava un uomo facendogli perdere i sensi solo perché gli era permesso. Erano proprio la stessa cosa.”

Sembrava strano, essere così legate su quanto dure fossero state le loro vite, ma Cora si sentiva più vicina ad Emeline rispetto all’inizio. Non solo perché avevano passato più o meno le stesse cose nelle loro vite. Ora avevano anche viaggiato a lungo insieme, e c’era la prospettiva di molti chilometri ancora da percorrere.

“Casapietra sarà lì,” disse Cora, tentando di convincere se stessa quanto Emeline.

“Sì,” disse Emeline. “Sofia l’ha vista.”

Sembrava strano, porre così tanta fiducia nei poteri di Sofia, ma la verità era che Cora si fidava davvero di lei, assolutamente. Avrebbe volentieri scommesso la propria vita sulle cose che Sofia aveva visto, e non c’era nessun altro al di fuori di Emeline con cui avrebbe condiviso quel viaggio.

Continuarono a procedere, e mentre si dirigevano verso ovest, iniziarono a vedere più fiumi, in reti che si collegavano come capillari che portavano ad arterie più grosse. Presto parve esserci quasi più acqua che terra, così che anche i campi nel mezzo erano come cose in parte allagate, con la gente che coltivava in fango che minacciava di trasformare il tutto in palude da un momento all’altro. La pioggia pareva essere una costante, e sebbene occasionalmente Cora ed Emeline si rannicchiassero da qualche parte per evitarne il peggio, per la maggior parte del tempo continuarono ad avanzare.

“Guarda,” disse Emeline indicando una delle rive del fiume. Tutto ciò che Cora poté vedere all’inizio furono delle canne che crescevano nel mezzo, spostate qua e là dal movimento di piccoli animali. Poi vide la barchetta capovolta a riva, come la conchiglia di qualche creatura corazzata.

“Oh, no,” disse Cora, immaginando cosa volesse fare Emeline.

Emeline le mise una mano sul braccio. “Va tutto bene. Sono brava con le barche. Vieni, ti divertirai.”

Fece strada fino alla barca e tutto ciò che Cora poté fare fu seguirla, sperando silenziosamente che non ci fossero i remi. C’era una pagaia però, e sembrava essere quello che serviva ad Emeline. In un batter d’occhio era nella barca, e Cora dovette saltare accanto a lei, altrimenti sarebbe rimasta a camminare a riva.

Si avanzava più rapidamente che a piedi, Cora doveva ammetterlo. Scivolavano lungo il fiume come un sasso gettato dalla mano di un gigante. Era rilassante come era stato starsene sedute nel carro. Più rilassante, dato che avevano passato la metà del tempo a saltare a terra per spingerlo nel risalire le colline o per disincagliarlo fuori dal fango. E poi sembrava che ad Emeline piacesse pilotare la barca, navigando seguendo i cambiamenti del fiume mentre passava da acqua mossa a liscia, e poi nuovamente agitata.

Cora vide il momento in cui l’acqua cambiò, e vide mutare nello stesso istante l’espressione di Emeline.

“C’è… qualcosa qui,” disse Emeline. “Qualcosa di potente.”

Cos’abbiamo qui? chiese una voce risuonando nella mente di Cora. Due cose giovani e fresche. Venite più vicine, mie care. Venite più vicine.

Più avanti Cora vide… beh, non era proprio certa di cosa vide. All’inizio le parve una donna fatta d’acqua, ma un secondo dopo le sembrò un cavallo. L’urgenza di andare verso di lei era travolgente. Era come se più avanti ci fosse la salvezza.

No, era di più: era come se ci fosse la casa che l’aspettava laggiù. La casa che aveva sempre voluto, con calore, famiglia, salvezza…

Giusto. Venite da me. Posso darvi tutto quello che volete. Non sarai mai più sola.

Cora avrebbe voluto spingere avanti la barca. Avrebbe voluto tuffarsi e andare con quella creatura che prometteva così tanto. Si alzò pronta a farlo.

“Aspetta!” gridò Emeline. “È un trucco, Cora!”

Cora sentì qualcosa stringerle la mente, un muro che si alzava tra lei e le promesse di salvezza. Poteva vedere Emeline che si sforzava, e capì che era probabilmente l’altra ragazza a fare questo, bloccando il potere che le stava spingendo, usando i suoi stessi talenti.

No, vieni da me, disse la cosa, ma era una eco distante di quello che era stato prima.

Cora guardò da quella parte, ora guardò davvero. Vide un vortice d’acqua, vide le correnti attorno ad esso che avrebbero tirato sotto chiunque fosse stato tanto sciocco da passarci attraverso. Ricordò vecchie storie di spiriti del fiume, il genere di magia pericolosa che aveva portato il mondo ad essere contrario a tutto ciò.

Vide l’acqua che iniziava a cambiare sotto alla barca, e si rese conto solo in quel momento di cosa stava accadendo, mentre la corrente iniziava a trascinarla avanti.

“Emeline!” gridò. “Ci sta tirando dentro!”

Emeline rimase ferma, scossa da ovvio sforzo mentre lottava per impedire che la creatura le travolgesse entrambe. Questo significava che stava tutto a Cora. Afferrò la pagaia della barca, intenzionata ad andare verso riva e remando con tutte le sue forze.

All’inizio parve che non stesse accadendo nulla. La corrente era troppo forte, l’attrazione del kelpie troppo violenta. Cora riconobbe quei pensieri per ciò che erano e li spinse da parte. Non doveva remare contro la corrente, ma solo di lato. Spingeva contro l’acqua, costringendo la barca a spostarsi per la pura forza del suo pensiero.

Lentamente iniziò a mutare rotta, spostandosi più vicina alla riva mentre Cora remava.

“Veloce,” disse Emeline vicino a lei. “Non so quanto ancora posso essere capace di reggere.”

Cora continuò a remare, e la barca si spostava per quelli che sembravano centimetri, ma si spostava. Si fece sempre più vicina, fino a che Cora pensò che le canne potessero essere a portata di mano. Si allungò verso di esse e riuscì ad afferrarne una, usandola per tirare la loro barchetta più vicina alla riva. Trascinò la barca a riva e poi balzò a terra, afferrando il braccio di Emeline.

Tirò l’amica a terra, vedendo poi la barca trascinata via dalla corrente. Cora vide il kelpie alzarsi in evidente rabbia e colpire la barca facendola a pezzi.

Non appena furono sulla terra asciutta, Cora sentì la pressione nella sua mente che si scioglieva, mentre Emeline sussultava e si alzava in piedi sorreggendosi da sola. Pareva che fuori dall’acqua il kelpie non potesse toccarle. Si alzò di nuovo, poi si tuffò in acqua e scomparve alla vista.

“Penso che siamo al sicuro,” disse Cora.

Vide Emeline annuire. “Penso… magari per un po’ staremo fuori dall’acqua.”

Sembrava esausta, quindi Cora la aiutò ad allontanarsi dalla riva. Le ci volle un po’ per trovare un sentiero, ma quando lo fecero, le parve naturale seguirlo.

Continuarono a procedere lungo la strada, e ora c’erano più persone di quante ce ne fossero state a nord. Cora vide pescatori che provenivano dalle sponde del fiume, contadini con carri pieni di merce. Vide più gente che veniva da ogni direzione adesso, con carichi di tessuti o bestiame e animali. Un uomo stava addirittura conducendo un branco di papere davanti a sé come un altro avrebbe potuto fare con delle pecore.

“Deve esserci un mercato ambulante,” disse Emeline.

“Dovremmo andare,” disse Cora. “Potrebbero aiutarci a tornare sulla strada per Casapietra.”

“Oppure potrebbero ucciderci come streghe nel momento in cui glielo chiediamo,” sottolineò Emeline.

Lo stesso andarono, facendosi strada lungo i sentieri insieme agli altri fino a che videro il mercato davanti a loro. Era su una piccola isola in mezzo ai fiumi, raggiungibile da tutti da almeno una dozzina di punti. Su quell’isola ora vide bancarelle e spazi per aste per qualsiasi cosa, dalle merci al bestiame. Era solo grata che nessuno quel giorno stesse tentando di vendere delle vincolate.

Lei ed Emeline si diressero all’isola, guadando uno dei canali per raggiungerla. Tenevano la testa bassa, mescolandosi alla folla il più possibile, soprattutto quando Cora vide la figura mascherata di una sacerdotessa che si aggirava tra la gente dispensando le benedizioni della sua dea.

Cora si trovò attirata verso un posto dove degli attori stavano mettendo in scena la Danza di San Cutberto, sebbene non fosse la versione seria che a volte era stata messa in scena al palazzo. Questa versione mostrava un sacco di umorismo in più e miriadi di pretesti per combattimenti con le spade. Di certo la compagnia conosceva bene il suo pubblico. Quando ebbero finito fecero un inchino, e la gente iniziò a chiamare i nomi di commedie e sketch, sperando che venisse rappresentato il loro pezzo preferito.

“Ancora non capisco come potremmo trovare qualcuno che conosca la strada per Casapietra,” disse Emeline. “Almeno senza rivelarci pienamente davanti ai sacerdoti.”

Anche Cora ci stava pensando. Le venne un’idea.

“Però vedresti se delle persone iniziassero a pensarci, vero?” chiese.

“Forse,” disse Emeline.

“Allora induciamoli a pensarci,” disse Cora. Si girò verso gli attori. “Che ne dite de Le figlie del guardiano di pietra?” gridò, sperando che la folla la coprisse.

Con sua sorpresa funzionò. Forse perché era una commedia pericolosa e audace da chiedere: la storia di come le figlie di un tagliapietre dimostrassero di essere delle streghe e trovassero una casa lontana da coloro che davano loro la caccia. Era il genere di commedia per cui sarebbero potuti finire arrestati se l’avessero rappresentata nel posto sbagliato.

Ma la misero invece in scena qui, in tutta la sua gloria, con figure mascherate che rappresentavano sacerdoti che inseguivano i giovani uomini che recitavano la parte delle donne per paura della sfortuna. Per tutto il tempo Cora guardò Emeline con piena aspettativa.

“Beh, li sta facendo pensare a Casapietra?” le chiese.

“Sì, ma non significa che… aspetta,” disse Emeline girando la testa. “Vedi quell’uomo lì che vende lana? Sta pensando a un tempo in cui ci è andato per vendere. Quella donna… sua sorella ci è andata.”

“Quindi hai la direzione da prendere?” chiese Cora.

Vide Emeline annuire. “Penso che potremmo trovarla.”

Non era una grossissima speranza, ma era pur sempre qualcosa. Casapietra era sempre davanti a loro, e con essa la prospettiva della salvezza.




CAPITOLO QUATTRO


Dall’alto l’invasione sembrava la spazzata di un’ala che avvolgeva ogni parte di terra che riusciva a toccare. Il Maestro dei Corvi si divertiva, ed era forse l’unico che si trovava nella posizione di poterlo apprezzare, dato che i suoi corvi gli davano una veduta perfetta sulle navi che arrivavano a riva.

“Magari ci sono altri osservatori,” disse a se stesso. “Forse le creature di quest’isola vedranno quello che viene verso di loro.”

“Cosa c’è, signore?” chiese un giovane ufficiale. Era chiaro di carnagione e con i capelli biondi, l’uniforme scintillante dopo averla a lungo lustrata.

“Niente di cui tu ti debba preoccupare. Preparatevi ad approdare.”

L’uomo partì di scatto, con il genere di velocità nei movimenti che sembrava fin troppo esagerata per l’azione. Forse si pensava invulnerabile perché combatteva per il Nuovo Esercito.

“Sono tutti cibo per i corvi alla fine,” disse il Maestro dei Corvi.

Non oggi però, perché aveva scelto con cura i punti in cui approdare. Erano parti del continente oltre il Tagliacqua, dove la gente sparava ai corvi quasi come conseguenza naturale, ma qui dovevano ancora imparare come andavano le cose. Le sue creature si erano sparpagliate, mostrandogli i punti dove i difensori avevano predisposto cannoni e barricate in preparazione all’invasione, dove avevano nascosto uomini e fortificato villaggi. Avevano creato una rete di difese che avrebbe dovuto inghiottire la forza degli invasori per intero, ma il Maestro dei Corvi poteva vederci chiaramente i buchi.

“Iniziate,” ordinò, e i corni suonarono, riecheggiando tra le onde. La scialuppe d’approdo vennero calate e un’ondata di uomini si riversò a riva. Per lo più lo fecero in silenzio, perché un giocatore non annunciava il posizionamento dei suoi pezzi sulla plancia di gioco. Si sparpagliarono, portando cannoni e scorte, muovendosi rapidamente.

Ora iniziò la violenza, proprio nei modi che avevano programmato, con gli uomini che si raggruppavano attorno ai punti delle imboscate dei loro nemici per piombare loro addosso da dietro, le armi che andavano a colpire i nodi nascosti degli avversari che volevano fermarli. Da lontano avrebbe dovuto essere impossibile udire le grida di coloro che morivano, o anche il fuoco dei moschetti, ma i suoi corvi gli riportavano ogni cosa.

Vedeva una dozzina di fronti nello steso istante, la violenza che fioriva in un caos multi-sfaccettato, come faceva sempre nei momenti successivi all’inizio del conflitto. Vide i suoi uomini attaccare una spiaggia scagliandosi contro un nugolo di paesani, facendo roteare le spade. Vide sbarcare cavalli mentre attorno a loro una compagnia combatteva per mantenere il possesso della spiaggia contro una milizia armata di attrezzi agricoli. Vide entrambi i punti di massacro e di sudato coraggio, sebbene fosse difficile distinguerli.

Attraverso gli occhi dei suoi corvi, vide un gruppo di cavalieri che si riunivano un po’ più verso l’entroterra, i loro pettorali che brillavano al sole. Erano tanti che avrebbero potuto potenzialmente creare un buco nella sua ben coordinata rete di punti d’approdo, e sebbene il Maestro dei Corvi dubitasse che conoscessero il punto corretto dove colpire, non poteva correre quel rischio.

Estese la sua concentrazione, usando i suoi corvi per trovare un ufficiale adatto lì vicino. Con suo divertimento, trovò il giovane uomo che prima era stato così felice. Si concentrò, lo sforzo di portare una delle sue bestie a fare da portavoce delle sue parole molto più grosso che semplicemente guardare attraverso i loro occhi.

“Ci sono dei cavalieri a nord rispetto a te,” disse, udendo il gracchiare della voce del corvo mentre ripeteva le sue parole. “Fai il giro della cresta a ovest e prendili di sorpresa mentre vengono verso di te.”

Non aspettò la risposta, ma mandò invece il corvo a volare, guardando dall’alto mentre gli uomini obbedivano ai suoi ordini. Questo era ciò che il suo talento gli offriva: l’abilità di vedere di più, di dipanare la sua presa ben oltre qualsiasi uomo normale. La maggior parte dei comandanti si trovarono impantananti nella nebbia della guerra, o azzoppati da messaggeri che non potevano muoversi sufficientemente veloci. Poteva coordinare un esercito con la facilità con cui un bambino avrebbe potuto mostrare di muovere dei soldatini di piombo su un tavolo.

Sotto ai suoi uccelli che volavano in cerchio, vide la cavalleria che arrivava di gran carriera, con l’aspetto in tutto e per tutto di un elegante esercito d’altri tempi. Udì lo scoppio dei moschetti che iniziavano ad abbatterli, poi vide i soldati in attesa che li attaccavano, trasformando rapidamente la loro carica da favola in qualcosa di sanguinario e mortale, in dolore e improvvisa angoscia. Il Maestro dei Corvi vide cadere un uomo dopo l’altro, incluso il giovane ufficiale, colpito alla gola da una lama vagante.

“Tutto cibo per i corvi,” disse. Non importava: quella piccola battaglia era vinta.

Poté vedere una battaglia più difficile dall’altra parte delle dune che portavano verso un piccolo villaggio. Uno dei suoi comandanti non era stato abbastanza veloce da seguire i suoi ordini, il che significava che i difensori erano penetrati e avevano tenuto testa nella via che conduceva al loro villaggio, anche contro un esercito più grosso. Il Maestro dei Corvi si stiracchiò, poi salì su una scialuppa da approdo.

“A riva,” disse, indicando.

Gli uomini con lui si misero al lavoro con la velocità che veniva dalla lunga esperienza. Il Maestro dei Corvi guardava l’avanzare della battaglia man mano che si avvicinava, udendo le grida dei morenti, vedendo i suoi eserciti che travolgevano un gruppo dopo l’altro di difensori. Era ovvio che la vedova avesse ordinato la difesa del suo regno, ma chiaramente non abbastanza bene.

Raggiunsero la riva, e il Maestro dei Corvi avanzò in mezzo alla battaglia come se stesse facendo una passeggiata. Gli uomini attorno a lui si tenevano bassi, i moschetti sollevati mentre cercavano le minacce, ma lui camminava eretto. Sapeva dove si trovavano i suoi nemici.

Tutti i suoi nemici. Poteva già sentire il potere di questa terra, e percepire il movimento in essa mentre alcune delle cose più pericolose lì presenti reagivano al suo arrivo. Lasciava che lo sentissero arrivare. Lasciava che capissero la paura di ciò che stava per accadere.

Un piccolo gruppo di soldati nemici balzò fuori da un nascondiglio dietro a una barca capovolta, e non ci fu tempo per pensare, solo di agire. Sguainò una lunga spada da duello e una pistola con un unico movimento fluido, sparando in faccia a uno dei difensori e poi trafiggendone un altro con la lama. Schivò un attacco, colpì di rimando con forza letale e continuò ad avanzare.

Le dune erano lì davanti, e il villaggio si trovava dietro ad esse. Ora il Maestro dei Corvi poteva sentire la violenza senza dover ricorrere alle sue creature. Poteva distinguere lo schianto delle lame tra loro con le sue stesse orecchie, il rimbombo dei moschetti e delle pistole che riecheggiava mentre si avvicinava. Poteva vedere gli uomini che lottavano tra loro, e i suoi corpi gli permettevano di cogliere i punti in cui i difensori stavano inginocchiati o distesi, le armi puntate contro qualsiasi cosa si avvicinasse.

Lui si portò in mezzo, sfidandoli a sparargli.

“Avete una possibilità di vivere,” disse. “Mi serve questa spiaggia, e sono pronto a pagare per averla con le vostre vite e con quelle delle vostre famiglie. Deponete le armi e andatevene. Ancora meglio, unitevi al mio esercito. Fate questo e sopravviverete. Continuate a combattere e farò radere al suolo le vostre case.”

Rimase fermo lì aspettando una risposta. La ottenne quando uno sparo risuonò e il dolore e l’impatto del proiettile gli passarono attraverso con tale violenza da farlo barcollare e cadere su un ginocchio. In quel momento però non c’era tanta morte attorno da poterlo fermare così facilmente. I corvi erano ben nutriti oggi, e il loro potere avrebbe guarito qualsiasi cosa che non fosse in grado di ucciderlo all’istante. Spinse del potere nella ferita, che si chiuse mentre lui si alzava in piedi.

“E allora che così sia,” disse, quindi si lanciò all’attacco.

In genere non faceva di queste cose. Era un modo sciocco di combattere, un modo vecchio che non aveva niente a che fare con gli eserciti ben organizzati o le tattiche più efficienti. Si mosse con tutta la velocità che il suo potere gli dava, schivando e correndo mentre serrava la distanza.

Uccise il primo uomo senza fermarsi, piantando la spada a fondo e poi estraendola di nuovo. Diede un calcio al successivo spingendolo a terra, poi lo finì con un rapido colpo di spada. Afferrò il moschetto dell’avversario con una mano e sparò, usando la vista dei corvi per sapere dove puntarlo.

Si tuffò su un mucchio di uomini che si nascondevano dietro a una barricata di sabbia. Contro la lenta avanzata delle sue forze, avrebbe potuto essere sufficiente per ritardarli, creando del tempo perché altri uomini potessero arrivare in aiuto. Contro il suo attacco selvaggio non faceva alcuna differenza. Il Maestro dei Corvi saltò il muro di sabbia piombando in mezzo ai nemici e colpendo in ogni direzione.

I suoi uomini l’avrebbero seguito, anche se non aveva la concentrazione per vedere dove fossero attraverso gli occhi dei suoi corvi. Era troppo occupato a parare i colpi di spada e di accetta, colpendo a sua volta con feroce efficienza.

Ora i suoi uomini erano lì, che si riversavano oltre le barricate di sabbia come un’ondata. Morivano mentre lo facevano, ma questo non importava fintanto che si trovavano con il loro capo. Era ciò su cui il Maestro dei Corvi contava. Mostravano sorprendente lealtà per essere degli uomini che ai suoi occhi non erano più che cibo per i corvi.

Con i loro numeri alle spalle, non ci volle molto prima che i difensori fossero morti, e il Maestro dei Corvi lasciò che fossero i suoi uomini a farsi strada verso il villaggio.

“Andate,” disse. “Massacrateli per la loro disobbedienza.”

Guardò il resto degli approdi per qualche altro minuto, ma pareva non esserci nessun altro punto di strozzatura. Aveva scelto bene il suo punto d’attacco.

Quando il Maestro dei Corvi raggiunse il villaggio, parti di questo erano già in fiamme. I suoi uomini si stavano muovendo tra le strade, uccidendo qualsiasi paesano trovassero. Il Maestro dei Corvi ne vide uno trascinare una donna fuori dal villaggio, spaventata solo quanto il suo aguzzino pareva contento.

“Cosa stai facendo,” gli chiese quando fu più vicino.

L’uomo lo guardò scioccato. “Io… ho visto questa qui, e ho pensato…”

“Pensavi di poterla tenere,” disse il Maestro dei Corvi concludendo la frase.

“Beh, mi guadagnerebbe un buon prezzo nel posto giusto.” Il soldato osò sorridere, con l’intento di portare il suo capo dalla sua parte, come complice della sua cospirazione.

“Capisco,” disse. “Però io non te l’ho ordinato, giusto?”

“Mio signore,” iniziò il soldato, ma il Maestro dei Corvi stava già alzando la pistola. Sparò così da vicino che i tratti dell’altro uomo scomparvero del tutto nell’esplosione. La giovane accanto a lui parve troppo scioccata anche solo per gridare mentre il suo aggressore cadeva.

“È importante che i miei uomini imparino ad agire in accordo con i miei ordini,” disse il Maestro dei Corvi alla donna. “Ci sono posti dove permetto le catture, e altri dove siamo d’accordo che nessuno se non i dotati di magia debbano essere picchiati o uccisi. È importante mantenere la disciplina.”

La donna parve allora speranzosa, come se pensasse che questo fosse tutto un errore, nonostante le depredazioni che gli altri stavano portando avanti al villaggio. Ebbe quell’espressione fino al momento in cui il Maestro dei Corvi le piantò la spada nel cuore, un colpo netto e chiaro, probabilmente addirittura privo di dolore.

“In questo caso ho dato ai tuoi uomini una scelta, e loro l’hanno fatta,” disse mentre lei stringeva l’arma. Lui la estrasse e la donna cadde. “È una scelta che intendo dare al resto di questo regno. Magari gli altri sceglieranno più saggiamente.”

Si guardò attorno mentre il massacro continuava, non provando piacere ma neanche dispiacere, solo una sorta di bilanciata soddisfazione per l’aver completato il compito. Una parte, almeno, perché dopotutto questa non era che la presa di un villaggio.

Ci sarebbe stato molto altro ancora a seguire.




CAPITOLO CINQUE


La vedova regina Mary della Casa di Flamberg sedeva nella grande sala dell’Assemblea dei Nobili, cercando di non farsi vedere troppo annoiata sul suo trono al centro, mentre i presunti rappresentanti del suo popolo parlavano e parlavano.

Di solito non avrebbe avuto importanza. La vedova aveva imparato da tempo a padroneggiare l’arte dell’apparire impassibile e regale mentre le grandi fazioni presenti discutevano. In genere lasciava che populisti e tradizionalisti si scannassero prima di parlare lei stessa. Ma quel giorno le cose stavano andando più per le lunghe del solito, il che significava che l’onnipresente tensione che aveva nei polmoni stava crescendo. Se non avesse presto finito con questa cosa, quegli sciocchi avrebbero potuto vedere il segreto che lei si sforzava così tanto di nascondere.

Ma non aveva senso mettere fretta. La guerra era arrivata, e questo significava che tutti volevano la loro possibilità di parola. Peggio, parecchi di loro volevano delle risposte che lei non aveva.

“Vorrei solo chiedere ai miei onorabili amici se il fatto che i nemici siano approdati sulle nostre coste sia un indicatore di una più ampia politica di governo volta a trascurare le capacità militari della nostra nazione,” chiese Lord Hawes di Palude di Rovo.

“L’onorabile lord è ben consapevole del motivo per cui questa Assemblea è stata diffidente nei confronti di un esercito centralizzato,” rispose Lord Branston del Vereford Superiore.

Continuarono a farfugliare, rinfacciando vecchie battaglie politiche mentre quelle presenti e tangibili si stavano facendo sempre più vicine.

“Se potessi dichiarare la mia situazione, così che questa Assemblea non mi accusi di trascurare il mio dovere,” disse il Generale Guise Burborough, “le forze del Nuovo Esercito sono approdate sulle nostre coste sudorientali, superando molte delle difese che avevamo posizionato per prevenire questa possibilità. Sono avanzati a rapido passo, sopraffacendo quei difensori che hanno tentato di fermarli e bruciando i villaggi al loro passaggio. Ci sono già numerosi rifugiati che sembrano pensare che noi dovremmo fornire loro una sistemazione.”

Era divertente, pensò la vedova, che quell’uomo potesse far apparire la gente che scappava alla ricerca della salvezza come parenti indesiderati determinati a fermarsi troppo a lungo.

“Cosa diciamo dei preparativi attorno ad Ashton?” chiese il Marchese dell’Argillite. “Ipotizzo che si stiano dirigendo da questa parte. Possiamo sigillare le mura?”

Quella era la risposta di un uomo che non sapeva nulla di cannoni, pensò la vedova. Avrebbe riso ad alta voce se ne avesse avuto il fiato. In quel momento tutto quello che riuscì a fare fu mantenere la sua espressione impassibile.

“Sì,” rispose il generale. “Prima della fine del mese, potremmo trovarci a doverci preparare per un assedio, e sono già in corso i lavori ai terrapieni per evitare questa possibilità.”

“Stiamo considerando di far evacuare la gente lungo la via dell’esercito?” chiese Lord Neresford. “Dovremmo avvisare la gente di Ashton perché fugga a nord per evitare i combattimenti? La nostra regina, almeno, dovrebbe considerare di ritirarsi nelle sue proprietà?”

Era buffo: la vedova non lo aveva mai preso per uno interessato al suo benessere. Era sempre stato veloce a votare contro qualsiasi proposta avanzata da lei.

Decise che era ora di parlare, mentre ancora poteva. Si alzò in piedi e nella sala calò il silenzio. Anche se i nobili avevano lottato per la loro Assemblea, ascoltavano ancora quello che lei diceva là dentro.

“Ordinare un’evacuazione darebbe il via al panico,” disse. “Ci sarebbero saccheggi nelle strade, e uomini forti che potrebbero difendere le loro case finirebbero invece per fuggire. Anche io resterò qui. Questa è casa mia, e non mi si vedrà scappare da essa di fronte a una marmaglia di avversari.”

“Non è per niente una marmaglia, vostra Maestà,” sottolineò Lord Neresford, come se i consiglieri della vedova non le avessero detto con precisione dell’estensione della forza di invasione. Forse dava semplicemente per scontato che, essendo donna, non avesse sufficiente conoscenza delle cose di guerra per capire. “Anche se sono sicuro che tutta l’Assemblea sia felice di udire i vostri piani per sconfiggerla.”

La vedova lo fissò dall’alto in basso, anche se era cosa difficile a farsi quando i suoi polmoni sembravano poter esplodere in un eccesso di tosse da un momento all’altro.

“Come sanno gli onorabili lord,” disse, “ho deliberatamente evitato un ruolo troppo vicino agli eserciti del regno. Non vorrei mettervi tutti a disagio sostenendo di mettermi ora al comando.”

“Sono certo che per questa volta potremmo perdonare,” disse il lord, come se avesse il potere di perdonarla o condannarla. “Qual è la vostra soluzione, vostra Maestà?”

La vedova scrollò le spalle. “Pensavo di iniziare con un matrimonio.”

Si alzò in piedi, aspettando che il clamore calasse, con le varie fazioni dell’Assemblea che urlavano una contro l’altra. I monarchici erano contenti ed esultavano a sostegno, gli anti-monarchici si lagnavano dello spreco di denaro. I membri militari immaginavano che li stesse ignorando, mentre coloro che venivano da più lontano nel regno volevano sapere cosa questo potesse significare per la loro gente. La vedova non disse nulla fino a che non fu sicura di avere la loro attenzione.

“Ma sentitevi, blaterate come bambini spaventati,” disse. “I vostri tutori e le vostre governanti non vi hanno insegnato la storia della nostra nazione? Quante volte gli avversari stranieri sono venuti a pretendere le nostre terre, gelosi della loro bellezza e ricchezza? Devo farvi l’elenco? Devo raccontarvi dei fallimenti della flotta da guerra di Havvers, dell’invasione dei Sette Principi? Anche nelle nostre guerre civili, gli avversari che sono venuti dal niente sono sempre stati respinti. Sono passati mille anni da quando qualcuno ha conquistato questa terra, e ora andate nel panico perché una manciata di nemici hanno scavalcato la nostra prima linea di difesa?”

Si guardò attorno nella stanza, facendoli vergognare come bambini.

“Non posso dare molto alla nostra gente. Non posso comandare senza il vostro supporto, e va bene così.” Non voleva che si mettessero a discutere del suo potere qui e adesso. “Posso dare loro speranza, però, che è il motivo per cui oggi, in questa Assemblea, desidero annunciare un evento che offre speranza per il futuro. Desidero annunciare le imminenti nozze di mio figlio Sebastian con Lady d’Angelica, Marchesa di Sowerd. Qualcuno di voi cercherà di sollevare obiezioni sulla questione?”

Non lo fecero, anche se lei sospettava che fosse più che altro perché erano stupiti dall’annuncio. Alla vedova non interessava. Uscì dalla stanza, decidendo che i suoi preparativi erano più importanti di qualsiasi affare si fosse concluso in sua assenza.

C’era ancora così tanto da fare. Doveva assicurarsi che le figlie dei Danse fossero state fermate, doveva andare avanti con i preparativi del matrimonio…

La crisi di tosse la colse all’improvviso, sebbene se la fosse aspettata per la maggior parte del suo discorso. Quando ritirò il fazzoletto macchiato di sangue dalla bocca, la vedova capì di aver esagerato per quella giornata. E poi le cose stavano procedendo più rapidamente di quanto avrebbe mai voluto.

Avrebbe terminato le cose qui. Avrebbe assicurato il regno per i suoi figli, contro ogni minaccia, interna ed esterna. Avrebbe visto la continuazione della sua linea. Avrebbe fatto eliminare i pericoli.

Ma prima di tutto questo, c’era qualcuno che doveva vedere.



***



“Sebastian, mi spiace così tanto,” disse Angelica, e poi si fermò con la fronte accigliata. Non andava bene. Doveva provare di nuovo. “Sebastian, mi spiace così tanto.”

Meglio, ma non ancora bene. Continuò a provare mentre percorreva i corridoi del palazzo, sapendo che quando fosse giunto il momento di dirlo davvero sinceramente, avrebbe dovuto apparire perfetto. Doveva far capire a Sebastian che sentiva il suo dolore, perché quel genere di empatia era il primo passo per entrare in possesso del suo cuore.

Sarebbe stato più facile se avesse provato qualcosa di diverso dalla gioia al pensiero di Sofia morta. Solo il ricordo del coltello che le scivolava dentro le portava un sorriso che non poteva mostrare davanti a Sebastian quando fosse tornato.

Non mancava molto. Angelica era arrivata a casa prima di lui cavalcando velocissima, ma non aveva alcun dubbio che Rupert, Sebastian e tutto il resto sarebbero presto tornati. Doveva essere pronta quando fossero arrivati, perché non aveva senso levare di mezzo Sofia se non poteva approfittare del vuoto rimasto.

Per ora però Sebastian non era il membro di quella famiglia di cui lei doveva preoccuparsi. Si trovava fuori dalle stanze della vedova, e fece un profondo respiro mentre le guardie la osservavano. Quando aprirono le porte in silenzio, Angelica preparò il suo sorriso più radioso e si avventurò all’interno.

“Ricorda che hai fatto quello che voleva,” disse a se stessa.

La vedova la stava aspettando, seduta su una comoda sedia mentre beveva un qualche genere di tè d’erbe. Angelica ricordò il suo profondo inchino questa volta, e sembrò che la madre di Sebastian non fosse dell’umore giusto per fare giochetti.

“Per favore alzati, Angelica,” disse con un tono che era sorprendentemente mite.

E comunque aveva senso che fosse contenta. Angelica aveva fatto tutto ciò che le era stato richiesto.

“Siedi qui,” disse la donna indicando un posto accanto a sé. Era meglio che doversi inginocchiare davanti a lei, anche se ricevere ordini a quel modo era pur sempre un piccolo pezzo di sabbia abrasiva che le grattava contro l’anima. “Bene, raccontami del tuo viaggio a Monthys.”

“È fatta,” disse Angelica. “Sofia è morta.”

“Ne sei sicura?” chiese la vedova. “Hai controllato il corpo?”

Angelica si accigliò di fronte alla nota inquisitoria presente nella voce della vedova. A quella donna non andava mai bene niente?

“Sono dovuta fuggire prima, ma l’ho pugnalata con uno stiletto impregnato del più potente veleno che avevo,” disse. “Nessuno avrebbe potuto sopravvivere.

“Bene,” disse la vedova. “Spero tu abbia ragione. Le mie spie dicono che è arrivata sua sorella?”

Angelica sentì gli occhi che si dilatavano leggermente davanti a quell’affermazione. Sapeva che Rupert non era ancora tornato, quindi come faceva la vedova ad aver sentito così tanto e così rapidamente? Magari aveva inviato un uccello messaggero.

“Sì,” rispose. “È salpata insieme al cadavere di sua sorella, su una barca diretta a Ishjemme.”

“Diretta verso Lars Skyddar, non c’è dubbio,” mormorò la vedova. Fu un altro piccolo shock per Angelica. Come potevano mai delle paesane come Sofia e sua sorella conoscere qualcuno come il governatore di Ishjemme?

“Ho fatto quello che volevate,” disse Angelica. Anche a lei il tono parve sulla difensiva.

“Ti aspetti un premio?” chiese la vedova. “Magari una ricompensa? Un qualche inutile titolo da aggiungere alla tua collezione, magari?”

Ad Angelica non piaceva che le si rivolgessero a quel modo. Aveva fatto tutto ciò che la vedova le aveva chiesto. Sofia era morta, e Sebastian sarebbe stato presto a casa, pronto ad accettarla.

“Ho appena annunciato le vostre nozze all’Assemblea dei Nobili,” disse la vedova. “Pensavo che sposare mio figlio fosse una ricompensa sufficiente.”

“Più che sufficiente,” disse Angelica. “Ma questa volta Sebastian accetterà?”

La vedova allungò una mano e Angelica dovette sforzarsi di non rabbrividire mentre la donna le accarezzava una guancia.

“Sono certa di aver detto che questo era parte del tuo lavoro. Distrailo. Inginocchiati davanti a lui e imploralo se devi. I miei resoconti dicono che è avvolto nel dolore mentre viene a casa. Il tuo lavoro sarà di fargli dimenticare tutto. Non il mio lavoro, ma il tuo. Fai un buon lavoro, Angelica.” La vedova scrollò le spalle. “E ora esci. Ho delle cose da fare. Devo assicurarmi che tu abbia effettivamente finito Sofia, tanto per cominciare.”

Il congedo fu tanto improvviso da potersi considerare maleducato. Con chiunque altro, sarebbe stato sufficiente per chiedere una retribuzione. Con la vedova, non c’era nulla che Angelica potesse fare, e questo rendeva solo peggiori le cose.

Lo stesso avrebbe fatto quello che la vecchia donna chiedeva. Avrebbe fatto Sebastian suo non appena fosse tornato a casa. Sarebbe presto diventata una dei reali sposandolo, e quella salita sociale sarebbe stata più che una ricompensa.

Nel frattempo l’incertezza della vedova sulla sorte di Sofia la angustiava. Angelica l’aveva uccisa, ne era certa, ma…

Ma non avrebbe fatto alcun male vedere cosa poteva apprendere degli eventi a Ishjemme, giusto per esserne certa. Del resto aveva almeno un amico lì.




CAPITOLO SEI


Sofia poteva sentire lo sciabordio lento della nave da qualche parte sotto di sé, ma era qualcosa di lontano, al limite della sua coscienza. A meno che non si concentrasse, era difficile ricordarsi di essere mai stata su una nave. Di certo non riusciva a metterla a fuoco, anche se era l’ultimo posto in cui ricordava di essere stata.

Le sembrava invece di essere in un posto oscuro, pieno di nebbia che mutava e si gonfiava, con una luce intermittente che filtrava apparendo più come il fantasma del sole che veramente esso. Nella nebbia Sofia non sapeva da quale parte significasse andare avanti, o dove avrebbe dovuto dirigersi.

Poi udì il grido di un bambino che squarciava la nebbia più chiaramente della luce del sole. In qualche modo, un qualche istinto le disse che quel bambino era suo, e che lei doveva andare da lui. Senza esitare, partì in mezzo alla nebbia, si mise a correre.

“Sto arrivando,” disse per rassicurare il bimbo. “Ti troverò.”

Il piccolo continuava a piangere, ma ora la nebbia contorceva il suono, facendolo arrivare da ogni direzione allo stesso tempo. Sofia scelse una direzione e si lanciò in avanti di nuovo, ma sembrava che ogni via scelta fosse quella sbagliata, perché non gli si avvicinava mai.

La nebbia brillò e delle scene parvero formarsi attorno a lei, disposte così perfettamente da sembrare spettacoli sul palcoscenico. Sofia vide se stessa mentre piangeva nel dare alla luce il bambino, sua sorella che le teneva la mano mentre portava quella vita nel mondo. Vide se stessa che teneva tra le braccia suo figlio. Si vide morta, con un medico accanto a lei.

“Non è stata abbastanza forte dopo l’aggressione,” disse l’uomo a Kate.

Ma non poteva essere vero. Non poteva essere vero, se lo erano le altre scene. Poteva accadere.

“Magari niente di tutto questo è vero. Forse è solo la mia immaginazione. O forse sono possibilità e nulla è deciso.”

Sofia riconobbe all’istante la voce di Angelica. Si girò, vedendo l’altra donna lì in piedi, con un pugnale insanguinato in mano.

“Non sei qui,” le disse. “Non può essere.”

“Ma può il tuo bambino?” ribatté.

Allora fece un passo avanti e pugnalò Sofia. L’agonia la attraversò come fuoco. Sofia gridò… e si trovò da sola, in piedi in mezzo alla nebbia.

Sentiva un bambino che piangeva da qualche parte in lontananza, e partì in quella direzione perché capì di istinto che era il suo bambino, sua figlia. Corse cercando di raggiungerla, anche se aveva la sensazione di averlo già fatto prima…

Trovò attorno a sé le scene della vita di una ragazza. Una bambina che giocava, sana e salva e felice, Kate che rideva insieme a lei perché avevano entrambe trovato un buon nascondiglio sotto le scale e Sofia non poteva trovarle. Una bambina tirata fuori dal castello giusto in tempo, Kate che lottava contro una decina di uomini, ignorando la lancia nel suo fianco in modo che Sofia potesse scappare con lei. La stessa bambina da sola in un salone vuoto, senza nessun genitore.

“Cosa c’è?” chiese Sofia.

“Solo tu potresti chiedere il significato di una cosa del genere,” disse Angelica uscendo ancora dalla nebbia. “Non puoi solo essere in un sogno, deve essere pieno di portenti e segni.”

Si fece avanti e Sofia alzò una mano per tentare di fermarla, ma questo significò solo che il coltello le si conficcò sotto al braccio, piuttosto che finire di netto nel petto.

Era in mezzo alla nebbia, il pianto di un bambino che le risuonava accanto…

“No,” disse Sofia scuotendo la testa. “Non continuerò ad andare in giro a questo modo. Non è reale.”

“È abbastanza reale perché tu sia qui,” disse Angelica, la sua voce che riecheggiava dalla nebbia. “Come ci si sente ad essere una cosa morta?”

“Non sono morta,” insistette Sofia. “Non può essere.”

La risata di Angelica riecheggiò come aveva fatto prima il pianto del suo bambino. “Non puoi essere morta? Perché sei così speciale, Sofia? Perché il mondo ha così tanto bisogno di te? Lascia che te lo ricordi.”

Uscì dalla nebbia, e ora non si trovavano più nella nebbia, ma nella cabina della barca. Angelica venne avanti, l’odio sul suo volto piuttosto ovvio mentre piantava la lama nel cuore di Sofia ancora una volta. Sofia sussultò per il colpo, poi cadde, crollando nel buio mentre sentiva Sienne che attaccava Angelica.

Allora si trovò ancora nella nebbia, in piedi là in mezzo mentre quella foschia scintillava attorno a lei.

“Allora questa è la morte?” chiese, sapendo che Angelica stava sicuramente ascoltando. “Se è così, cosa ci fai qui?”

“Magari sono morta anche io,” disse Angelica. Si riportò in vista. “Magari ti odio così tanto che ti ho seguita. O magari sono tutto quello che tu odi nel mondo.”

“Io non ti odio,” insistette Sofia.

Sentì allora Angelica che rideva. “No? Non odi che io sono cresciuta al sicuro mentre tu ti trovavi nella Casa degli Indesiderati? Che tutti mi accettino a corte mentre tu sei dovuta scappare? Che io avrei potuto sposare Sebastian senza nessun problema, mentre tu sei dovuta andare via di corsa?”

Fece un altro passo avanti, ma questa volta non pugnalò Sofia. Le passò oltre, andandosene nella nebbia. La foschia parve rimodellarsi dopo il passaggio di Angelica, e Sofia capì che quella non poteva essere una persona reale, perché la vera Angelica non si sarebbe stancata tanto rapidamente di assassinarla.

Sofia la seguì, cercando di trovare il senso a tutto.

“Lascia che ti mostri qualche altra possibilità,” disse Angelica. “Penso che queste ti piaceranno.”

Solo il modo in cui lo disse fece capire a Sofia quanto poco le sarebbero piaciute in realtà. Lo stesso la seguì nella nebbia, non sapendo cos’altro fare. Angelica scomparve rapidamente alla vista, ma Sofia continuò a camminare.

Ora si trovava in mezzo a una stanza dove stava seduto Sebastian, evidentemente intento a provare di trattenere le lacrime che gli cadevano dagli occhi. Angelica era lì con lui, e allungava le braccia verso di lui.

“Non devi trattenere le tue emozioni,” diceva, con tono di perfetta empatia. Lo abbracciò e lo tenne stretto. “È giusto portare il lutto per i defunti, ma ricorda che i vivi sono qui per te.”

Guardò fissa Sofia negli occhi mentre stringeva Sebastian, e Sofia poté scorgere l’espressione di trionfo nel suo sguardo. Sofia andò verso di lei colma di rabbia, intenzionata a staccargli Angelica di dosso, ma la sua mano non arrivava neanche a toccarli. Passò loro attraverso senza alcun contatto, lasciandola lì a fissarli, niente più che un fantasma.

“No,” disse Sofia. “No, non è reale.”

Non reagirono. Era come se lei non fosse lì. L’immagine mutò, e ora Sofia si trovava al centro di una specie di matrimonio che mai avrebbe osato immaginare per se stessa. Era in una sala con il soffitto che sembrava raggiungere il cielo, nobili riuniti in tale quantità da far addirittura apparire piccolo il salone.

Sebastian stava aspettando vicino a un altare insieme a una sacerdotessa della Dea Mascherata con le vesti che proclamavano il suo rango superiore alle altre dell’ordine. C’era anche la vedova, seduta su un trono d’oro mentre guardava sul figlio. La sposa avanzò, coperta dal velo e vestita di bianco. Quando la sacerdotessa tirò indietro il velo mostrando il volto di Angelica, Sofia gridò…

Si trovò in una stanza che riconosceva dalla sua memoria, la disposizione delle cose di Sebastian immutata dalle notti che aveva trascorso lì con lui, la cascata della luce della luna sulle lenzuola che la riportava ai ricordi del tempo trascorso insieme. C’erano dei corpi aggrovigliati in quelle lenzuola, e stretti tra loro. Sofia poteva udire le loro risate e la loro gioia.

Vide la luce della luna illuminare il volto di Sebastian, colto in un’espressione di puro bisogno, e quello di Angelica che non mostrava altro che trionfo.

Sofia si girò e si mise a correre. Corse alla cieca nella nebbia, non volendo vedere nient’altro. Non voleva restare in quel luogo. Doveva scappare da lì, ma non riusciva a trovare l’uscita. Peggio ancora, sembrava che ogni direzione prendesse riportasse ad altre immagini, e anche quelle di sua figlia le facevano male, perché Sofia non aveva modo di sapere quali potessero essere vere e quali fossero lì solo per farle del male.

Doveva trovare un modo per uscire, ma non ci vedeva abbastanza bene da trovarlo. Rimase ferma lì, sentendo il panico crescere dentro di sé. In qualche modo sapeva che Angelica l’avrebbe seguita di nuovo, dandole la caccia nella nebbia, pronta a conficcarle in corpo la lama ancora una volta.

Poi vide la luce che brillava attraverso la nebbia.

Crebbe lentamente, partendo come qualcosa che si faceva appena strada attraverso le tenebre, poi diventando pian piano qualcosa di più grande, qualcosa che bruciava la nebbia eliminandola nello stesso modo in cui il sole poteva asciugare la rugiada al mattino. La luce portava con sé del calore, dando vita alle sue membra, agli arti che prima le erano sembrati di piombo.

Si riversò su Sofia, e lei lasciò che il potere le scorresse dentro, portando con sé immagini di prati e fiumi, monti e foreste, un intero regno contenuto in quel tocco di luce. Anche il ricordo del dolore proveniente dalla ferita sembrava scomparire davanti a quel potere. Per istinto Sofia si mise una mano sul fianco e la ritrasse bagnata di sangue. Poteva vedere la ferita adesso, ma si stava chiudendo, la carne si stava ricomponendo sotto il tocco di quell’energia.

Quando la nebbia si sollevò, Sofia poté vedere qualcosa in lontananza. Le ci volle qualche altro secondo prima di poter vedere una scala a chiocciola che conduceva verso un punto luminoso, così lontano in alto, che raggiungerlo pareva impossibile. Sofia in qualche modo sapeva che l’unico modo di andarsene da quell’incubo apparentemente senza fine era di raggiungere quella luce. Partì diretta verso la scala.

“Pensi di potertene andare?” chiese Angelica alle sue spalle. Sofia si voltò di scatto e riuscì per un pelo ad abbassare in tempo le mani mentre Angelica la colpiva con il suo coltello. Sofia la spinse indietro di istinto, poi si girò e si mise a correre verso le scale.

“Non te ne andrai mai da qui!” gridò Angelica, e Sofia udì i suoi passi che la seguivano.

Accelerò: non voleva essere pugnalata un’altra volta, e non solo per evitare il dolore. Non sapeva cosa sarebbe successo se quel posto fosse mutato ancora, o quanto sarebbe durata quell’apertura lì in alto. In nessun caso poteva permettersi di correre il rischio, quindi scattò verso le scale, ruotando quando le raggiunse per dare un calcio ad Angelica respingendola in tempo prima che la colpisse.

Sofia non si fermò a lottare contro di lei, ma salì di corsa le scale, facendo due gradini alla volta. Poteva sentire Angelica dietro di sé, ma questo non importava. Tutto ciò che contava era scappare. Continuò a salire, arrampicandosi sempre più su.

Le scale continuavano a salire, sembravano infinite. Sofia continuò a percorrerle, ma sentiva che stava iniziando a stancarsi. Ora non stava più facendo i gradini due alla volta, e un’occhiata alle spalle le fece vedere la versione da incubo di Angelica che ancora la seguiva, dandole la caccia con un truce senso di inevitabilità.

L’istinto di Sofia era di continuare a salire, ma una parte più profonda di lei iniziava a pensare che la cosa fosse stupida. Questo non era il mondo normale, non aveva le stesse regole, né la stessa logica. Questo era un posto dove pensiero e magia contavano più che la pura abilità di continuare ad andava avanti.

Questo pensiero bastò a far fermare Sofia e a portarla a immergersi più a fondo in se stessa, tentando di raggiungere il filo di potere che era sembrato connetterla all’intero paese. Si girò per affrontare l’immagine di Angelica. Ora capiva.

“Tu non sei reale,” disse. “Tu non sei qui.”

Mandò fuori un sussurro di potere, e l’immagine della sua potenziale assassina si dissolse. Si concentrò e la scala a chiocciola scomparve, lasciando Sofia su un pavimento piatto. La luce ora non era in alto sopra di lei, ma si trovava a solo uno o due passi di distanza, e formava una soglia che pareva dare sulla cabina di una nave. La stessa cabina in cui Sofia era stata pugnalata.

Facendo un profondo respiro, Sofia vi passò attraverso, e si svegliò.




CAPITOLO SETTE


Kate sedeva sul ponte della nave mentre solcava il mare, la stanchezza che le impediva di fare molto altro. Anche con il tempo che era passato da quando aveva guarito la ferita di Sofia, era come se non si fosse pienamente ripresa dallo sforzo.

Di tanto in tanto i marinai la controllavano al loro passaggio. Il capitano, Borkar, era particolarmente attento, e le veniva accanto con una frequenza e deferenza che sarebbero apparse divertenti se non fosse stato così completamente sincero.

“State bene, mia signora?” le chiese per quella che le parve la centesima volta. “Vi serve qualcosa?”

“Sto bene,” lo rassicurò Kate. “E non sono la signora di nessuno. Sono Kate e basta. Perché continuate a chiamarmi così?”

“Non è il mio ruolo quello di dirlo, mia… Kate,” insistette il capitano.

Non era solo lui. Tutti i marinai sembravano girare attorno a Kate con un livello di deferenza che tendeva all’ossequioso. Non vi era abituata. La sua vita era stata fatta della brutalità della Casa degli Indesiderati, seguita dal cameratismo degli uomini di Lord Cranston. E c’era stato Will, ovviamente…

Sperava che Will fosse al sicuro. Quando se n’era andata, non era stata capace di salutarlo, perché Lord Cranston non l’avrebbe mai lasciata andare se l’avesse fatto. Avrebbe dato qualsiasi cosa per averlo potuto salutare a dovere, o ancora meglio, portarlo con sé. Avrebbe probabilmente riso per gli uomini che le si inchinavano davanti, sapendo quanto quell’educazione ingiustificata la scocciasse.

Forse era qualcosa che Sofia aveva fatto. Dopotutto aveva ricoperto il ruolo della nobile prima. Forse le avrebbe spiegato tutto non appena si fosse svegliata. Se si fosse svegliata. No, Kate non poteva pensare a quel modo. Doveva sperare, anche se erano passati ormai più di due giorni da quando aveva rimarginato la ferita di sua sorella.

Kate entrò nella cabina. Il gatto della foresta di Sofia sollevò la testa quando la vide, guardandola con sguardo protettivo. Da dove si trovava sdraiato ai piedi di Sofia, sembrava una coperta di pelliccia. Con sorpresa di Kate, il gatto quasi non si era mosso dal fianco di sua sorella in tutto il tempo che la nave era stata in viaggio. Le permise di grattargli le orecchie quando arrivò al capezzale di Sofia.

“Stiamo sperando tutti e due che si svegli, vero?” disse.

Si sedette vicino a sua sorella e la guardò mentre dormiva. Sofia aveva un aspetto così pacifico adesso, non più deturpata dalla ferita di stiletto, non più grigia del pallore della morte. Poteva essere addormentata, eccetto per il fatto che era addormentata da così tanto tempo che Kate stava iniziando a preoccuparsi che potesse morire di sete o di fame prima di svegliarsi.

Poi Kate vide la leggera vibrazione sulle palpebre di Sofia, un movimento minimo delle mani contro le coperte. Fissò sua sorella, osando sperare.

Sofia aprì gli occhi e la fissò, e Kate non poté trattenersi. Si lanciò in avanti, abbracciando sua sorella e tenendola stretta a sé.

“Sei viva. Sofia, sei viva.”

“Sono viva,” la rassicurò Sofia, tenendosi a Kate che la stava aiutando a mettersi a sedere. Anche il gatto della foresta parve contento, e andò a leccare entrambi i loro volti con una lingua che sembrava la raspa di un fabbro.

“Piano, Sienne,” disse Sofia. “Sto bene.”

“Sienne?” chiese Kate. “Si chiama così?”

Vide Sofia annuire. “L’ho trovato lungo la strada verso Monthys. È una storia lunga.”

Kate aveva il sospetto che ci fossero molte storie da raccontare. Si ritrasse da Sofia, aspettando di sentire tutto, e Sofia si lasciò ricadere sul letto.

“Sofia!”

“Va tutto bene,” disse. “Sto bene. Almeno credo. Sono solo stanca. Potrei anche bere qualcosa.”

Kate le passò una borraccia, e la guardò bere profondamente. Chiamò i marinai, e con sua sorpresa il Capitano Borkar in persona arrivò di corsa.

“Di cosa avete bisogno, mia signora?” chiese, poi fissò Sofia. Con stupore di Kate, l’uomo si inginocchiò. “Vostra altezza, siete sveglia. Eravamo tutti così preoccupati per voi. Dovete avere una fame. Prendo subito qualcosa da mangiare!”

Partì di corsa, e Kate poté percepire la gioia che trapelava da lui come fosse fumo. Però aveva un’altra preoccupazione.

“Vostra altezza?” disse, fissando Sofia. “I marinai mi hanno trattata in modo strano da quando hanno capito che sono tua sorella, ma questo? Mi stai dicendo che appartieni a una famiglia reale?”

Sembrava un gioco pericoloso da fare, fingere di essere regale. Sofia stava forse facendo leva sul suo fidanzamento con Sebastian, fingendo di appartenere a una famiglia reale straniera, o c’era dell’altro?

“Niente di tutto questo,” disse Sofia. “Non sto fingendo nulla.” Prese il braccio di Kate. “Kate, ho scoperto chi sono i nostri genitori!”

Quella era una cosa su cui Sofia non avrebbe scherzato. Kate la fissò, quasi incapace di credere alle implicazioni. Si sedette sul bordo del letto, desiderosa di capire tutto.

“Racconta,” disse, incapace di contenere lo shock. “Pensi veramente… pensi che i nostri genitori fossero dei reali?”

Sofia fece per mettersi a sedere. Quando la vide fare fatica, Kate la aiutò.

“I nostri genitori si chiamavano Alfred e Christina Danse,” disse Sofia. “Vivevano, noi vivevamo, in una proprietà a Monthys. La nostra famiglia era quella dei re e delle regine prima che la famiglia della vedova li mettesse da parte. La persona che mi ha spiegato questo ha detto che avevano una sorta di… connessione con la terra. Non solo la governavano: ne erano parte.”

Kate rimase immobile al sentire quelle parole. Aveva sentito quella connessione. Aveva sentito il paese che si dipanava davanti a lei. Aveva raggiunto il potere contenuto in esso. Era stato in quel modo che aveva potuto guarire Sofia.

“E questo è reale?” disse. “Non è una specie di storia? Non sto diventando matta?”

“Non me lo inventerei mai,” la rassicurò Sofia. “Non lo farei a te, Kate.”

“Hai detto che i nostri genitori erano queste persone,” disse Kate. “Sono… sono morti?”

Fece del suo meglio per nascondere il dolore che le scorreva dentro a quel pensiero. Poteva ricordare l’incendio. Poteva ricordare di essere scappata. Non poteva ricordare cosa fosse successo ai suoi genitori.

“Non lo so,” disse Sofia. “Pare che nessuno sappia cosa sia loro successo dopo quel fatto. Tutto questo… il piano era di andare da nostro zio, Lars Skyddar, e sperare che lui sappia qualcosa.”

“Lars Skyddar?” Kate aveva sentito quel nome. Lord Cranston aveva parlato delle terre di Ishjemme, e di come fossero riusciti a tenere a bada gli invasori usando una combinazione di tattiche astute e difese naturali che venivano dai loro fiordi ghiacciati. “È nostro zio?”

Era troppo da concepire. Tutto d’un colpo Kate era passata dal non avere alcuna famiglia oltre a sua sorella, ad avere una famiglia che aveva dato re e regine, che governava in almeno una terra lontana. Era troppo, e troppo in fretta.





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L’immaginazione di Morgan Rice non ha limiti. In un’altra serie che promette di intrattenerci come le precedenti, UN TRONO PER DUE SORELLE ci presenta il racconto di due sorelle (Sofia e Kate), orfane, che lottano per sopravvivere nel mondo crudele ed esigente dell’orfanotrofio. Un successo immediato. Non vedo l’ora di mettere le mani sul secondo e terzo libro! Books and Movie Reviews (Roberto Mattos) Dall’autrice di best-seller numero #1 Morgan Rice arriva un’indimenticabile nuova serie fantasy. In UN LAMENTO FUNEBRE PER PRINCIPI (Un Trono per due Sorelle – Libro Quattro), Sofia, 17 anni, lotta per la sua vita, cercando di riprendersi dalla ferita infertagli da Lady D’Angelica. I nuovi poteri di sua sorella Kate saranno sufficienti a riportarla indietro?La nave naviga con le due sorelle fino alle lontane ed esotiche terre di loro zio, la loro ultima speranza e unico collegamento conosciuto ai loro genitori. Ma il viaggio è pericoloso, e anche se arrivano a destinazione, le sorelle non sanno se la loro accoglienza sarà calorosa od ostile. Kate, vincolata alla strega, si trova in una situazione sempre più disperata, fino a che incontra una maga che potrebbe svelarle il segreto per la sua libertà. Sebastian ritorna a corte con il cuore spezzato, disperato di sapere se Sofia sia viva. Anche se sua madre lo vuole costringere a sposare Lady D’Angelica, lui sa che è giunto il momento di rischiare tutto. UN LAMEN TO FUNEBRE PER I PRINCIPI (Un Trono per due Sorelle – Libro Quattro) è il quarto libro di una stupefacente nuova serie fantasy, dilagante di amore, cuori spezzati, tragedia, azione, magia, stregoneria, destino e suspense da far battere il cuore. Un libro di cui è impossibile non girare le pagine, è pieno di personaggi che vi faranno innamorare, e di un mondo che non dimenticherete mai. Il libro #5 della serie è di prossima pubblicazione. [UN TRONO PER DUE SORELLE è un] potente inizio per una serie [che] produrrà una combinazione di esuberanti protagonisti e circostanze impegnative per coinvolgere pienamente non solo i giovani, ma anche gli adulti amanti del genere fantasy e che cercano storie epiche alimentate da potenti legami o inimicizie. Midwest Book Review (Diane Donovan)

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