Книга - Prima Che Brami

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Prima Che Brami
Blake Pierce


Un Mistero di Mackenzie White #3
Da Blake Pierce, autore di successo del libro IL KILLER DELLA ROSA (un best-seller con più di 600 recensioni da cinque stelle), è in arrivo il volume #3 della serie di gialli mozzafiato di Mackenzie White. In PRIMA CHE BRAMI (Un Mistero di Mackenzie White Mystery – Libro 3), Mackenzie White, fresca di diploma all’Accademia dell’FBI di Quantico, è appena diventata un’agente, ma si trova subito coinvolta in un caso di serial killer. Delle donne in campeggio in un remoto parco nazionale della West Virginia vengono ritrovate morte. Il parco però è molto vasto e non sembra esserci un nesso tra le vittime. Nel frattempo, Mackenzie riceve una telefonata dal Nebraska che la invita a tornare a casa al più presto. Dopo molti anni è spuntato un indizio sull’omicidio di suo padre. Adesso che il caso è stato riaperto, Mackenzie ha il disperato bisogno di risolverlo. Tuttavia, il killer ricercato dall’FBI torna in azione e non c’è spazio per le distrazioni. Altre donne scompaiono e inizia un gioco psicologico in stile gatto col topo. Questo assassino è più diabolico – e furbo – di quello che immaginava Mackenzie. Avventurandosi lungo una strada che la spaventa – nei meandri della sua mente – si imbatte in una svolta che non si sarebbe mai aspettata. Thriller-noir psicologico dalla suspense mozzafiato, PRIMA CHE BRAMI è il libro #3 in una nuova, avvincente serie – con un nuovo, irresistibile personaggio – che vi terrà incollati alle pagine fino a tarda notte. Il libro#4 della serie I Misteri di Mackenzie White sarà presto disponibile. Di Blake Pierce è anche disponibile il best-seller IL KILLER DELLA ROSA (Un Mistero di Riley Paige – Libro #1) !







P R I M A C H E B R A M I



(UN MISTERO DI MACKENZIE WHITE—LIBRO 3)



B L A K E P I E R C E



TRADUZIONE DI

VALENTINA SALA


Blake Pierce



Blake Pierce è l’autore della serie di successo dei misteri di RILEY PAGE, che si compone (al momento) di sei libri. Blake Pierce è anche autore della serie dei misteri di MACKENZIE WHITE, composta (al momento) da tre libri; della serie dei misteri di AVERY BLACK, composta (al momento) da tre libri; della nuova serie dei misteri di KERI LOCKE.

Avido lettore e appassionato da sempre di gialli e thriller, Blake riceve con piacere i vostri commenti, perciò non esitate a visitare la sua pagina www.blakepierceauthor.com (http://www.blakepierceauthor.com) per saperne di più e restare in contatto con l’autore.



Copyright © 2016 di Blake Pierce. Tutti i diritti riservati. Ad eccezione di quanto consentito dalla Legge sul Copyright degli Stati Uniti del 1976, nessuna parte di questa pubblicazione può essere riprodotta, distribuita o trasmessa in qualsiasi forma o con qualsiasi mezzo, né archiviata in un database o un sistema di recupero senza aver prima ottenuto il consenso dell’autore. La licenza di questo e-book è concessa solo ad uso personale. Questo e-book non può essere rivenduto o ceduto a terzi. Se si desidera condividere il libro con altre persone, si prega di acquistare una copia per ciascun destinatario. Se state leggendo questo libro senza averlo acquistato, oppure senza che qualcuno lo abbia acquistato per voi, siete pregati di restituire questa copia e acquistarne una. Vi ringraziamo per il rispetto nei confronti del lavoro dell’autore. Questa è un’opera di fantasia. Nomi, personaggi, aziende, società, luoghi, eventi e fatti sono frutto dell’immaginazione dell’autore, oppure sono utilizzati in modo fittizio. Qualsiasi somiglianza a persone reali, in vita o decedute, è puramente casuale. Copyright immagine di copertina andrey_l, concessa su licenza di Shutterstock.com.


LIBRI DI BLAKE PIERCE



I MISTERI DI RILEY PAIGE

IL KILLER DELLA ROSA (Libro #1)

IL SUSSURRATORE DELLE CATENE (Libro #2)

OSCURITA’ PERVERSA (Libro #3)

IL KILLER DELL’OROLOGIO (Libro #4)

KILLER PER CASO (Libro #5)

CORSA CONTRO LA FOLLIA (Libro #6)



I MISTERI DI MACKENZIE WHITE

PRIMA CHE UCCIDA (Libro #1)

UNA NUOVA CHANCE (Libro #2)

PRIMA CHE BRAMI (Libro #3)

PRIMA CHE PRENDA (Libro #4)



I MISTERI DI AVERY BLACK

UNA RAGIONE PER UCCIDERE (Libro #1)

UNA RAGIONE PER CORRERE (Libro #2)

UNA RAGIONE PER NASCONDERSI (Libro #3)



I MISTERI DI KERI LOCKE

UNA TRACCIA DI MORTE (Libro #1)


INDICE



PROLOGO (#ube9b6c8e-543b-5360-b570-63ed4b184810)

CAPITOLO UNO (#u236d56ad-7cbf-5ed0-b9dd-e5990b35b9a0)

CAPITOLO DUE (#u16d5c4ad-11bd-58a3-8f60-ae08023b8db0)

CAPITOLO TRE (#u67fb4746-74e0-58da-849f-b99cf5b416d9)

CAPITOLO QUATTRO (#u0b30354b-7013-5937-b446-9f3eb2f0cf95)

CAPITOLO CINQUE (#ub7cca11b-6252-548b-8a63-ddf9abe20f87)

CAPITOLO SEI (#u9b3e19f5-6e45-5226-8392-533947efe59e)

CAPITOLO SETTE (#litres_trial_promo)

CAPITOLO OTTO (#litres_trial_promo)

CAPITOLO NOVE (#litres_trial_promo)

CAPITOLO DIECI (#litres_trial_promo)

CAPITOLO UNDICI (#litres_trial_promo)

CAPITOLO DODICI (#litres_trial_promo)

CAPITOLO TREDICI (#litres_trial_promo)

CAPITOLO QUATTORDICI (#litres_trial_promo)

CAPITOLO QUINDICI (#litres_trial_promo)

CAPITOLO SEDICI (#litres_trial_promo)

CAPITOLO DICIASSETTE (#litres_trial_promo)

CAPITOLO DICIOTTO (#litres_trial_promo)

CAPITOLO DICIANNOVE (#litres_trial_promo)

CAPITOLO VENTI (#litres_trial_promo)

CAPITOLO VENTUNO (#litres_trial_promo)

CAPITOLO VENTIDUE (#litres_trial_promo)

CAPITOLO VENTITRE’ (#litres_trial_promo)

CAPITOLO VENTICINQUE (#litres_trial_promo)

CAPITOLO VENTISEI (#litres_trial_promo)

CAPITOLO VENTISETTE (#litres_trial_promo)

CAPITOLO VENTOTTO (#litres_trial_promo)

CAPITOLO VENTINOVE (#litres_trial_promo)

CAPITOLO TRENTA (#litres_trial_promo)

CAPITOLO TRENTUNO (#litres_trial_promo)

CAPITOLO TRENTADUE (#litres_trial_promo)

CAPITOLO TRENTATRE’ (#litres_trial_promo)

CAPITOLO TRENTAQUATTRO (#litres_trial_promo)

CAPITOLO TRENTACINQUE (#litres_trial_promo)

CAPITOLO TRENTASEI (#litres_trial_promo)

CAPITOLO TRENTASETTE (#litres_trial_promo)




PROLOGO


Pam si sedette sul tronco caduto al margine dell’accampamento e si accese una sigaretta, piena di energia dopo il sesso. Dietro di lei, la tenda di Hunter pareva una cupola ammaccata. Poteva sentirlo russare leggermente all’interno. Persino lì nel bosco le cose non erano cambiate; eccola lì, sveglia e piena di energie dopo aver fatto l’amore, mentre lui dormiva profondamente. Lì nel bosco, però, non la infastidiva più di tanto.

Scavò una piccola buca nel terreno per la cenere della sigaretta, ben consapevole che fumare nel bosco durante quell’autunno secco era piuttosto imprudente. Volse lo sguardo al cielo, osservando le stelle. Era una notte decisamente fredda, adesso che l’autunno aveva rivendicato la costa orientale facendo precipitare le temperature, e lei si abbracciò le spalle per proteggersi. Le sarebbe piaciuto che la tenda di Hunter avesse uno di quei tetti a rete, che ti permettevano di guardare fuori, ma non era stata così fortunata. Eppure, c’era qualcosa di romantico in tutto quello – andarsene di casa, stare soli nella foresta. Era la cosa più vicina all’abitare insieme che lei avrebbe permesso finché l’idiota non si fosse deciso a farle la proposta. Se pensava al cielo notturno, al tempo perfetto e al loro pazzo affiatamento, era stata una delle serate più belle della sua vita.

Voleva tornare nella tenda e scaldarsi vicino a lui, ma prima doveva andare in bagno. Si inoltrò nel bosco e si prese un momento per orientarsi. Adesso che era buio non era semplice capire dove fosse diretta; le stelle e la luna piena per metà fornivano un po’ di luce, ma non abbastanza. Studiò l’ambiente intorno a sé ed era piuttosto certa di dover soltanto tagliare verso sinistra per trovare l’area dei bagni.

Avanzò di qualche passo in quella direzione, per circa trenta secondi. Quando si voltò, non riuscì a scorgere la tenda.

“Dannazione” mormorò, iniziando ad agitarsi.

Datti una calmata, si disse continuando a camminare. La tenda è ancora lì e...

Col piede sinistro incappò in qualcosa e, prima di rendersi conto di cosa stava succedendo, stava cadendo a capofitto. All’ultimo secondo riuscì a distendere le mani davanti a sé, evitando di colpire il suolo con la faccia. L’aria le uscì dai polmoni in un sussulto. Si rialzò subito, imbarazzata.

Si voltò verso il tronco in cui era inciampata, fissandolo con stizza. Al buio, la sagoma pareva strana e quasi astratta. Una cosa però era sicura: non si trattava di un tronco.

Doveva essere la notte che le giocava brutti scherzi. Doveva essere uno strano gioco di ombre nel buio.

Eppure, mentre una gelida paura le strisciava addosso, lo riconobbe per quello che era. Impossibile negarlo.

Una gamba umana.

E da quello che riusciva a capire, era solo quello. Non sembrava esserci un corpo attaccato. La gamba stava lì per terra, parzialmente coperta dal fogliame. Il piede era infilato in una scarpa da ginnastica e un calzino intriso di sangue.

Pam lanciò un urlo. E anche mentre si voltava e si rimetteva a correre nell’oscurità della notte, non smise mai di gridare.




CAPITOLO UNO


Mackenzie sedeva sul sedile passeggero della berlina in dotazione all’FBI, con in mano una Glock, anch’essa in dotazione – un’arma che stava diventando per lei familiare come la propria pelle. Quel giorno però era diverso. Dopo quel giorno, tutto sarebbe stato diverso.

Ci volle la voce di Bryers per riscuoterla dalla sua piccola trance. Lui era al posto di guida e la guardava con uno sguardo che Mackenzie trovò simile a quello di un padre dispiaciuto.

“Sai... non devi farlo” disse Bryers. “Nessuno penserà male di te se rinunci.”

“Io credo di doverlo fare. Di doverlo a me stessa.”

Bryers sospirò e guardò fuori dal parabrezza. Davanti a loro, un immenso parcheggio era illuminato nella notte da deboli lampioni posizionati ai margini e al centro. C’erano tre macchine e Mackenzie riusciva anche a scorgere le sagome di tre uomini che camminavano avanti e indietro nervosamente.

Allungò la mano e aprì la portiera.

“Andrà tutto bene” disse.

“Lo so” disse Bryers. “Però... cerca di stare attenta. Se ti dovesse succedere qualcosa e le persone sbagliate venissero a sapere che io ero qui con te...”

Lei non aspettò. Scese dall’auto e si chiuse la portiera alle spalle. Tenne la Glock puntata verso il basso, camminando con disinvoltura nel parcheggio verso i tre uomini in piedi alle macchine. Sapeva che non aveva motivo di essere nervosa, ma lo era comunque. Anche quando vide tra loro il viso di Harry Dougan, aveva ancora i nervi a fior di pelle.

“Dovevi proprio farti accompagnare da Bryers?” le chiese uno degli uomini.

“Si preoccupa per me” disse. “Nessuno di voi gli va particolarmente a genio.”

Tutti e tre gli uomini si misero a ridere, poi guardarono verso l’auto da cui Mackenzie era appena scesa. Salutarono Bryers con un cenno in perfetta sincronia. Per tutta risposta, Bryers sfoderò un falso sorriso e mostrò il dito medio.

“Quindi ancora non gli piaccio, eh?” chiese Harry.

“Già, mi spiace.”

Gli altri due uomini guardarono Harry e Mackenzie con lo stesso sguardo di rassegnazione a cui ormai erano abituati da settimane. Anche se non erano esattamente una coppia, ci erano abbastanza vicini da causare qualche tensione tra i colleghi. L’uomo più basso si chiamava Shawn Roberts e l’altro, un energumeno alto due metri, era Trent Cousins.

Cousins fece un cenno in direzione della Glock in mano a Mackenzie, quindi estrasse la sua dalla fondina che teneva in vita.

“Allora, iniziamo?”

“Già, probabilmente non abbiamo molto tempo” disse Harry.

Si guardarono intorno nel parcheggio con aria cospiratoria. L’eccitazione si fece palpabile fra loro e in quel momento Mackenzie realizzò improvvisamente qualcosa: si atava divertendo. Per la prima volta da quando era molto piccola, era eccitata per qualcosa.

“Al tre” disse Shawn Roberts.

Iniziarono a ondeggiare e saltellare sui piedi mentre Harry dava inizio al conto alla rovescia.

“Uno... due... tre!”

In un lampo, partirono tutti e quattro. Mackenzie scattò verso sinistra, diretta verso una delle tre macchine. Alle sue spalle, sentiva già il delicato suono degli spari delle pistole degli altri. Le pistole erano naturalmente delle imitazioni... pistole a vernice create per somigliare il più possibile a un’arma vera. Quella non era la prima volta che Mackenzie aveva preso parte a un’esercitazione con armi finte, però era la prima volta che ne affrontava una senza un istruttore – e senza protezioni di alcun tipo.

Alla sua destra, una macchia di vernice rossa esplose sull’asfalto a non più di quindici centimetri dal suo piede. Si riparò dietro la macchina e rapidamente raggiunse il cofano. Si mise carponi e vide i piedi di due persone più avanti, una delle quali stava andando dietro un’altra auto.

Mackenzie aveva studiato la zona dove si trovavano in quel momento. Sapeva che il punto migliore in cui trovarsi in quel parcheggio era alla base del pilastro di cemento sul quale si ergeva il lampione centrale. Come tutto il resto nella Hogan’s Alley, anche quel parcheggio era stato allestito nel modo più casuale possibile, ma i tirocinanti dell’accademia ne dovevano trarre un insegnamento. Tenendo conto di questo, Mackenzie sapeva che ci doveva sempre essere una zona chiave per il successo in ogni simulazione. In quel parcheggio, era la colonna di quel lampione. Non era riuscita ad andarci subito perché c’erano già due degli uomini davanti quando Harry aveva contato fino a tre. Adesso però doveva capire come arrivarci senza essere colpita.

Avrebbe perso il gioco se fosse stata colpita. E in ballo c’erano cinquecento dollari. Si domandò da quanto tempo fosse rispettato quel piccolo rituale pre-diploma e come avesse fatto a diventare una specie di leggenda nota soltanto ai migliori di ogni classe.

Mentre questi pensieri le attraversavano la mente, notò Harry e Cousins impegnati in una sparatoria nella zona laterale del parcheggio. Cousins era dietro una della macchine, mentre Harry stava appiattito contro il fianco di un cassonetto.

Con un sorrisetto, Mackenzie mirò a Cousins. Era ben nascosto e in realtà non poteva colpirlo da dove si trovava, ma poteva spaventarlo. Mirò all’angolo superiore dell’auto e fece fuoco. Uno schizzo di vernice blu esplose quando il suo colpo colpì il bersaglio con precisione. Vide Cousins fare uno scatto indietro, distraendosi. Harry nel frattempo ne approfittò e sparò due colpi.

Sperò che stesse tenendo il conto. Il punto della loro piccola esercitazione notturna non autorizzata era rimanere l’unico a non essere colpito. Ogni partecipante aveva la stessa arma – una pistola che sparava proiettili di vernice – e ognuno di loro aveva a disposizione soltanto il numero di proiettili standard per la Glock, l’arma che le loro pistole imitavano. Questo significava che ognuno di loro aveva solo quindici proiettili. A Mackenzie adesso ne restavano quattordici ed era abbastanza sicura che i tre uomini ne avessero sparati almeno tre o quattro a testa.

Con Harry e Cousins occupati, rimaneva solo Shawn da affrontare. Ma non aveva idea di dove fosse.

Con attenzione si mise in ginocchio e sporse la testa dalla fiancata della macchina, in cerca di Shawn. Non riusciva a vederlo, ma sentì lo sbuffo di una pistola che sparava lì vicino. Si tirò indietro nello stesso istante in cui un proiettile di vernice colpì il paraurti dell’auto. Un po’ di vernice verde le macchiò la mano mentre si ritirava, ma non contava come colpo.

Per essere eliminato, dovevi essere colpito ad un braccio, una gamba, alla schiena o al torace. L’unica cosa che non era ammessa era sparare alla testa. Anche se i proiettili erano piccoli e di plastica sottile, era risaputo che potevano causare commozioni cerebrali. E se venivi colpito all’occhio, potevi rimanere permanentemente cieco. Era uno dei motivi per cui quella piccola esercitazione non era vista molto di buon occhio all’interno dell’FBI. Sapevano che si svolgeva ogni anno, ma di solito lasciavano agli studenti quel piccolo divertimento segreto e chiudevano un occhio.

Il colpo però diede a Mackenzie una buona idea di dove si nascondesse Shawn. Era accucciato dietro il pilastro di cemento. E, proprio come aveva pensato di fare lei, adesso aveva praticamente tutti sotto tiro. Volse le spalle a Mackenzie e fece fuoco rapidamente verso Harry. Il colpo lo mancò, andando a colpire la parte superiore del cassonetto, qualche centimetro sopra la testa di Harry, il quale si abbassò quando Cousins e Shawn iniziarono a sparare nella sua direzione.

Mackenzie tentò di colpire Shawn e quasi lo prese alla spalla. Invece lui si abbassò proprio mentre sparava, facendo andare il colpo a vuoto. Contemporaneamente, sentì Cousins gridare per la frustrazione e il dolore.

“Sono fuori” disse Cousins, camminando lentamente verso il margine del parcheggio. Si mise a sedere su una panchina, dove gli eliminati dovevano starsene in silenzio. Mackenzie vide una macchia di vernice gialla sulla caviglia, dove Harry era riuscito a colpirlo.

Harry approfittò di quella distrazione e si precipitò fuori dal suo nascondiglio dietro il cassonetto. Stava andando in direzione della terza macchina parcheggiata con la sua solita velocità.

Mentre correva, Shawn uscì dal suo nascondiglio con una capriola. Prima sparò a Mackenzie per farla restare nascosta, poi si dedicò a Harry. Sparò contro di lui, colpendo il suolo a pochi centimetri dal suo piede sinistro, proprio mentre Harry balzava dietro l’auto.

Mackenzie colse l’occasione per spostarsi verso il retro dell’auto, pensando di a far uscire allo scoperto Shawn. Sparò a sinistra del pilastro di cemento, nello stesso punto a cui aveva mirato quando era davanti al cofano. Quando il proiettile colorato esplose, lui attese un attimo poi si sporse guardando verso il muso dell’auto. A quel punto, Mackenzie balzò fuori dalla parte posteriore e si avvicinò, rapida e in silenzio. Quando ebbe una buona angolazione, sparò un colpo che lo prese direttamente nel fianco. La vernice verde esplose sui pantaloni e sulla camicia. Rimase così scioccato dall’attacco che cadde all’indietro sul sedere.

“Sono fuori” gridò Shawn, rivolgendo a Mackenzie un’occhiataccia.

Si era appena incamminato verso il margine del parcheggio per raggiungere Cousins, che Mackenzie vide un movimento alla propria sinistra.

Astuta carogna, pensò.

Si abbassò, accucciandosi dietro il pilastro di cemento. La luce splendeva intensa sopra la sua testa, come un faro. Però sapeva che poteva giocare a suo favore quando il suo assalitore era in ombra. La luce sarebbe stata per lui troppo intensa, facendogli sbagliare leggermente mira.

Appena poggiò la schiena al cemento, sentì un proiettile di vernice colpire il pilastro, dal lato opposto. Nel silenzio che seguì, sentì Cousins e Shawn sghignazzare dalla panchina.

“Sarà uno spettacolo divertente” commentò Cousins.

“Più che divertente” disse Shawn, “io direi doloroso.”

Mackenzie non riuscì a trattenere un sorriso per quella situazione. Sapeva che Harry non avrebbe esitato a spararle; tra loro non c’era una relazione del tipo che lui scodinzolava per lei e l’avrebbe lasciata vincere. Erano entrambi nella stessa barca: il giorno seguente si sarebbero diplomati e sarebbero diventati agenti.

Tuttavia, avevano passato molto tempo insieme, sia in situazioni accademiche che in ambiti più amichevoli. Mackenzie lo conosceva bene e sapeva cosa doveva fare per beccarlo. Sentendosi quasi in colpa, Mackenzie si sporse lentamente e sparò, colpendo la ruota dell’auto dietro la quale si nascondeva.

Lui emerse subito dal riparo, balzando sul tettuccio. Lei fece una finta verso destra, come per tornare dietro il pilastro. Come era prevedibile, Harry sparò in quel punto. Mackenzie allora cambiò direzione e rotolò verso sinistra. Si mise a pancia sotto, sollevò la pistola e fece fuoco.

Il proiettile colpì Harry sul lato destro del petto. La vernice gialla spiccava come un sole se paragonata alle ombre in cui si nascondeva.

Harry abbassò le spalle e lanciò la pistola a terra. Uscì da dietro la macchina e scosse la testa, stupito.

“Sono fuori.”

Mackenzie si rialzò e inclinò il capo, guardandolo accigliata.

“Arrabbiato?” lo stuzzicò.

“Affatto. È stata una bella mossa.”

Dietro di loro, Cousins e Shawn applaudivano. Dietro loro, Bryers uscì dall’auto per unirsi a loro. Mackenzie sapeva che si era preoccupato per lei ma che era anche onorato di averla accompagnata. Parte della tradizione di quell’esercitazione prevedeva la presenza di un agente esperto, nel caso in cui qualcosa andasse storto. A volte accadeva. A quello che aveva sentito Mackenzie, un ragazzo era stato colpito dietro al ginocchio nel ’99 e si era dovuto diplomare in stampelle.

Bryers si unì a loro mentre si radunavano alla panchina. Poi mise la mano in tasca ed estrasse i cinquecento dollari, di cui ognuno aveva versato una parte. Li consegnò a Mackenzie e disse:

“Avevate per caso dei dubbi, ragazzi?”

“Bel lavoro, Mac” disse Cousins. “Avrei preferito essere eliminato da te piuttosto che da uno di questi idioti.”

“Grazie, credo” disse Mackenzie.

“Odio sembrare un vecchio” disse Bryers, “ma è quasi l’una di notte. Andatevene a casa e riposatevi. Tutti quanti. Non osate presentarvi alla cerimonia del diploma esausti.”

Quella bizzarra sensazione di felicità si diffuse di nuovo in Mackenzie. Questo era il suo gruppo di amici – un gruppo di amici che aveva imparato a conoscere bene da quando era tornata a una vita più o meno normale, dopo il piccolo esperimento di McGrath nove settimane prima.

L’indomani, tutti loro si sarebbero diplomati dall’accademia e, se tutto fosse andato come doveva, sarebbero diventati agenti la settimana seguente. Mentre Harry, Cousins e Shawn non si illudevano di iniziare la carriera con casi eclatanti, Mackenzie aveva qualcosa di meglio che la aspettava... ovvero, il gruppo di agenti speciali cui McGrath le aveva accennato nei giorni dopo l’ultimo caso. Non aveva ancora idea di cosa ciò comportasse, ma era comunque eccitata.

Mentre il gruppetto si scioglieva e ognuno andava per la sua strada, Mackenzie avvertì qualcos’altro che non provava da tempo. La sensazione di avere ancora davanti il suo futuro, alla sua portata. E per la prima volta da molto tempo, sentì di avere su di esso un controllo quasi totale.



*



Mackenzie guardò il livido sul petto di Harry e, anche se sapeva che la sua prima emozione avrebbe dovuto essere la compassione, non riuscì a trattenersi dal ridere. Il punto in cui l’aveva colpito era rosso fuoco, e l’irritazione si allargava di circa cinque centimetri in ogni direzione. Sembrava proprio una puntura di ape, e sapeva che doveva fare anche più male.

Erano nella cucina di Mackenzie, che gli stava avvolgendo del ghiaccio in un panno. Glielo passò e lui lo tenne sul petto, comicamente. Era chiaramente in imbarazzo, ma anche colpito che lo avesse invitato da lei per controllare che stesse bene.

“Mi dispiace” gli disse sincera. “Però magari ti posso offrire un caffè, dato che ho vinto.”

“Che sia un caffè dannatamente buono” disse Harry. Allontanò il ghiaccio dal petto e fece una smorfia quando abbassò lo sguardo.

Mentre Mackenzie lo osservava, si rese conto che anche se Harry era stato nel suo appartamento più di una decina di volte e si erano baciati in diverse occasioni, quella era la prima volta che era lì a torso nudo. Ed era anche la prima volta, dopo Zack, che vedeva un uomo seminudo così da vicino. Forse era l’adrenalina scatenata dalla vittoria, oppure per il diploma che la attendeva, ma si sentiva attratta da lui.

Fece un passo verso di lui e gli poggiò una mano sul lato non ferito del petto, sul cuore.

“Ti fa ancora male?” gli chiese, avvicinandosi ancora di più.

“Non in questo momento” disse lui, sorridendo nervoso.

Lentamente spostò la mano sul segno e lo toccò con attenzione. Poi, seguendo soltanto il suo istinto femminile, che aveva ormai soffocato e rimpiazzato con obbligo e noia, si avvicinò e lo baciò. Subito sentì Harry farsi teso. Con la mano gli cinse il fianco, avvicinandolo. Gli baciò la clavicola, poi la spalla, poi il collo. Lui sospirò e la strinse di più.

Come succedeva spesso, si ritrovarono a baciarsi prima ancora di accorgersene. Fino ad allora era successo soltanto altre quattro volte, ma tutte le volte era stata come una forza della natura, qualcosa di non pianificato e senza aspettative.

Dopo meno di dieci secondi, Harry la stava spingendo leggermente contro il bancone della cucina. Lei gli esplorò il petto con le mani, mentre Harry le infilò una mano su per la maglietta. Il cuore le martellava in petto e ogni muscolo del suo corpo le diceva che lo voleva, che era pronta.

Ci erano andati vicini già una volta – anzi, due. In entrambe le occasioni, però, si erano interrotti. In realtà era stata lei a interrompere. La prima volta aveva smesso proprio quando lui aveva iniziato ad armeggiare col bottone dei pantaloni. La seconda volta, lui era quasi ubriaco, e lei fin troppo sobria. Nessuno dei due l’aveva detto apertamente, ma l’esitazione di andare a letto insieme era dovuta al reciproco rispetto che provavano l’uno per l’altra e all’incertezza del futuro. Inoltre, teneva troppo a Harry per usarlo come sfogo sessuale. Si sentiva sempre più attratta da lui, ma il sesso era sempre stata una questione molto privata. Prima di Zack c’erano stati soltanto due ragazzi, e con uno dei due si era trattato più di un’aggressione che di sesso.

Mentre baciava Harry ripensando a tutto questo, si accorse che le sue mani erano scese molto più in basso del petto. Anche lui se ne era accorto, infatti si fece di nuovo teso e inspirò bruscamente.

Mackenzie tirò indietro le mani improvvisamente, interrompendo il bacio. Abbassò lo sguardo sul pavimento, temendo di scorgere la delusione nei suoi occhi.

“Aspetta” gli disse. “Harry... scusa... non posso...”

“Lo so” disse lui, chiaramente frustrato e un po’ giù di morale. “Lo so che...”

Mackenzie fece un profondo respiro poi si allontanò da lui. Si voltò, incapace di sostenere la confusione e il dolore nei suoi occhi. “Non possiamo. Non ci riesco. Scusa.”

“Va tutto bene” disse lui, ancora accaldato. “Domani è un gran giorno ed è già tardi. Adesso me ne vado, prima di avere tempo di rimuginare ancora sul fatto di essere stato colpito da te.”

Lei si voltò e annuì. Non le dispiacevano le frecciatine. Se le meritava.

“Sì, penso che sarebbe meglio” disse.

Harry si rinfilò la maglietta, ancora macchiata di vernice, e lentamente si diresse verso la porta. “Stasera hai fatto un bel lavoro” disse andandosene. “Non c’erano dubbi che la vincitrice saresti stata tu.”

“Grazie” disse Mackenzie senza molto trasporto. “E, Harry... davvero, mi dispiace. Non so cos’è che mi blocca.”

Lui si strinse nelle spalle aprendo la porta. “Non fa niente” disse. “Però... non ce la farò ancora a lungo così.”

“Lo so” disse lei, triste.

“Buonanotte, Mac.”

Chiuse la pota e Mackenzie rimase da sola. Rimase in piedi in cucina, osservando l’orologio. Era l’una e un quarto e non era nemmeno lontanamente stanca. Forse la piccola esercitazione nella Hogan’s Alley aveva immesso troppa adrenalina nelle sue vene.

Tentò ugualmente di mettersi a letto, ma passò tutta la notte a girarsi e rigirarsi tra le lenzuola. In uno stato di semi-coscienza, fece dei sogni che ricordava a malapena, ma la costante in ognuno di essi era il volto sorridente di suo padre, orgoglioso che ce l’avesse fatta fino a lì, che l’indomani si sarebbe diplomata dall’accademia.

Eppure, nonostante quel sorriso, c’era un’altra costante nei sogni, qualcosa a cui si era abituata da tempo, che la perseguitava ogni volta che le luci si spegnevano e sopraggiungeva il sonno: lo sguardo morto nei suoi occhi e tantissimo sangue.




CAPITOLO DUE


Nonostante avesse puntato la sveglia alle otto, Mackenzie fu destata dalla vibrazione del suo cellulare alle 6:45. Si svegliò lamentandosi. Se questo è Harry che si scusa per qualcosa che non ha nemmeno fatto, lo uccido, pensò. Ancora mezza addormentata, afferrò il cellulare e lesse il display con gli occhi annebbiati.

Fu sollevata nel vedere che non si trattava di Harry, bensì di Colby.

Perplessa, rispose. Colby non era tradizionalmente una tipa mattiniera ed era da più di una settimana che non si sentivano. Rompipalle fino al midollo, Colby probabilmente stava dando di matto per il diploma e per l’incertezza del futuro. Colby era l’unica amicizia femminile che Mackenzie aveva lì a Quantico, perciò aveva fatto tutto quello che poteva per accertarsi che l’amicizia reggesse – anche se questo significava rispondere a una telefonata all’alba il giorno del diploma, dopo che Mackenzie era riuscita a farsi soltanto quattro ore e mezza di sonno la notte prima.

“Ehi, Colby” disse. “Che succede?”

“Stavi dormendo?” chiese Colby.

“Già.”

“Oddio, scusa. Credevo che fossi in piedi all’alba stamattina, con tutto quello che sta succedendo.”

“È solo il diploma” disse Mackenzie.

“Ah! Magari fosse solo quello” disse Colby con voce leggermente isterica.

“È tutto a posto?” chiese Mackenzie, mettendosi lentamente a sedere sul letto.

“Lo sarà” disse Colby. “Senti... credi che ci potremmo incontrare allo Starbucks in Fifth Street?”

“Quando?”

“Prima che puoi. Io sto uscendo in questo momento.”

Mackenzie non voleva andarci – in realtà non voleva nemmeno scendere dal letto. Però non aveva mai sentito Colby in quello stato. E in una giornata importante come quella, pensò che avrebbe dovuto sforzarsi per la sua amica.

“Dammi una ventina di minuti” disse Mackenzie.

Con un sospiro, scese dal letto e si preparò facendo solo le cose essenziali. Si lavò i denti, infilò una felpa con cappuccio e pantaloni da tuta, legò i capelli in una coda e uscì di casa.

Mentre percorreva a piedi i sei isolati che la separavano da Fifth Street, iniziò a percepire il peso di quella giornata. Quel giorno si sarebbe diplomata dall’accademia dell’FBI, appena prima di mezzogiorno, piazzandosi nel cinque percento dei migliori della sua classe. Al contrario della maggior parte dei compagni che aveva conosciuto nelle ultime venti settimane, per lei non ci sarebbe stato nessun famigliare ad attenderla per celebrare insieme quel traguardo. Sarebbe stata sola, come lo era stata per quasi tutta la sua vita, da quando aveva sedici anni. Cercava disperatamente di convincersi che non le importasse, invece le importava eccome. Non le provocava tristezza, ma una strana sorta di angoscia, così antica che aveva gli angoli smussati.

Mentre raggiungeva lo Starbucks, notò che anche il traffico era più intenso del solito – probabilmente a causa di famigliari e amici dei diplomati. Cercò di lasciarsi scivolare tutto addosso. Aveva passato gli ultimi dieci anni della sua vita cercando di fregarsene di quello che sua madre e sua sorella pensavano di lei, quindi perché iniziare ora?

Quando entrò da Starbucks, vide che Colby era già arrivata. Stava sorseggiando da una tazza, osservando pensierosa fuori dalla vetrina. Davanti a lei c’era un’altra tazza; Mackenzie immaginò che fosse per lei. Prese posto di fronte a lei e non nascose quanto fosse stanca, stringendo gli occhi in un’espressione scontrosa mentre si accomodava.

“Questa è mia?” chiese Mackenzie, afferrando la seconda tazza.

“Sì” disse Colby. Aveva l’aria stanca, triste e scontrosa.

“Allora, che c’è che non va?” chiese Mackenzie, troncando ogni possibile tentativo di Colby di girare intorno alla questione.

“Io non mi diplomo” disse Colby.

“Che?” chiese Mackenzie, sinceramente sorpresa. “Credevo che avessi superato tutti i test a pieni voti.”

“È così. Solo che... non so. Stare in accademia mi ha consumato.”

“Colby... non puoi dire sul serio.”

Il tono di voce le era uscito un po’ forte, ma non ci badò. Quella non era la solita Colby. Quella decisione era arrivata dopo una profonda introspezione. Non era una farsa, non era la messinscena melodrammatica di una donna sull’orlo di una crisi di nervi.

Come può lasciar perdere?

“Sono seria, invece” disse Colby. “Sono almeno tre settimane che non ci metto più passione. Certi giorni me ne andavo a casa a piangere da sola perché mi sentivo in trappola. Non ne posso più.”

Mackenzie era attonita; non sapeva proprio cosa dire.

“Be’, prendere una decisione del genere il giorno del diploma è da pazzi.”

Colby si strinse nelle spalle e guardò fuori dalla vetrina. Sembrava abbattuta. Sconfitta.

“Colby... non puoi ritirarti. Non farlo.” Quello che era sulla punta della lingua ma che non disse era: Se ti ritiri adesso, le ultime venti settimane non avranno alcun significato. Diventerai una perdente.

“In realtà non mi ritirerò” disse Colby. “Oggi verrò alla cerimonia di diploma. Devo farlo. I miei genitori arrivano dalla Florida, quindi sono obbligata, in un certo senso. Ma dopo oggi, basta.”

Quando Mackenzie aveva iniziato l’accademia, gli istruttori li avevano avvisati che la percentuale di abbandono tra i potenziali agenti durante la sessione dell’accademia di venti settimane era circa del venti percento – e in passato era arrivata anche al trenta. Ma pensare che Colby facesse parte di quella percentuale non aveva senso.

Colby era troppo forte – troppo determinata. Come accidenti poteva prendere una decisione del genere così alla leggera?”

“E cosa farai?” chiese Mackenzie. “Se ti lasci tutto questo alle spalle, che lavoro pensi di fare?”

“Non lo so” disse. “Forse lavorerò nella sezione per la prevenzione della tratta di esseri umani. Ricerca e sviluppo, o altro. Insomma, non devo diventare un’agente, no? Ho tante altre opzioni. Non voglio essere un’agente.”

“Quindi sei seria” disse Mackenzie asciutta.

“Sì. Volevo solo fartelo sapere adesso perché dopo il diploma i miei mi saranno sempre appiccicati.”

Oh, poverina, pensò Mackenzie sarcastica. Dev’essere terribile.

“Io non capisco” disse Mackenzie.

“Non mi aspetto che tu capisca. Tu sei bravissima. A te piace questo mestiere. Secondo me sei nata per questo, sai? Io invece... non lo so. Sono un disastro.”

“Dio, Colby... mi dispiace.”

“Non devi” disse. “Una volta che avrò rispedito mamma e papà in Florida, tutta questa pressione svanirà. Dirò loro che non ero tagliata per gli incarichi che mi volevano affibbiare. Poi potrò fare quello che voglio, immagino.”

“Be’... buona fortuna, allora” disse Mackenzie.

“Oh, ti prego” disse Colby. “Ti stai per diplomare tra i migliori oggi. Non azzardarti a sentirti giù di morale a causa mia. Sei stata una buona amica, Mac. Volevo che lo imparassi da me, piuttosto che notare la mia assenza tra qualche settimana.”

Mackenzie non fece nulla per nascondere la propria delusione. Detestava ricorrere ad espedienti infantili, ma rimase comunque in silenzio, sorseggiando il suo caffè.

“E tu?” chiese Colby. “Ci sarà qualcuno della tua famiglia o degli amici?”

“Nessuno” disse Mackenzie.

“Oh” disse Colby, un po’ in imbarazzo. “Scusa, non sapevo...”

“Non c’è bisogno che ti scusi” disse Mackenzie. Adesso era il suo turno di guardare fuori dalla vetrina con sguardo perso. Poi aggiunse: “Credo di preferire così.”



***



La cerimonia non fece né caldo né freddo a Mackenzie. Non era altro che una versione più formale del diploma delle superiori, ma non elegante e formale quanto lo era stata quella della sua laurea. Mentre attendeva di essere chiamata, ebbe parecchio tempo per ripensare a quelle cerimonie e a come la sua famiglia era sembrata svanire sempre più dopo ognuna.

Si ricordò di come fosse stata sul punto di piangere mentre saliva sul palco per il diploma di scuola superiore, rattristata per il fatto che suo padre non l’avrebbe mai vista crescere. Lo aveva saputo durante tutta l’adolescenza, ma quel fatto la colpì come una pietra in mezzo agli occhi mentre saliva a ritirare il diploma. Durante l’università invece non ne era più così turbata. Quando era salita sul palco per ritirare la laurea, non c’era nessun membro della sua famiglia tra il pubblico. Adesso si rese conto che era stato quello il momento della svolta, quello in cui aveva deciso una volta per tutte che preferiva affrontare i vari aspetti della vita da sola. Se la sua famiglia non mostrava alcun interesse per lei, allora anche a lei non sarebbe importato di loro.

La cerimonia giunse al termine senza tanto clamore e, quando fu finita, vide Colby che si scattava fotografie in compagnia della madre e del padre, dall’altro lato dell’ampio atrio dove i diplomati e gli ospiti si erano riversati. Da quello che poteva vedere Mackenzie, Colby stava facendo un ottimo lavoro a celare il proprio malcontento ai genitori, i quali erano raggianti d’orgoglio.

Sentendosi impacciata e senza niente da fare, Mackenzie iniziò a chiedersi quanto ci avrebbe messo a uscire dalla riunione, andare a casa, sfilarsi l’abito da cerimonia e aprire la prima di una serie di birre per quel pomeriggio. Appena si avviò verso le porte, sentì una voce familiare alle spalle, che la chiamava.

“Ehi, Mackenzie” disse la voce maschile. Seppe all’istante di chi si trattava – non soltanto dalla voce, ma dal fatto che in quell’ambiente erano poche le persone che la chiamavano Mackenzie, invece che solamente White.

Era Ellington. Indossava un completo e pareva a disagio almeno quanto Mackenzie. Ciononostante, il sorriso che le rivolgeva era fin troppo sicuro. Eppure in quel momento non le dispiacque.

“Salve, Agente Ellington.”

“Credo che in una situazione del genere tu possa chiamarmi Jared.”

“Preferisco Ellington” disse rivolgendogli a sua volta un sorriso.

“Come ti senti?” le chiese.

Lei si strinse nelle spalle, accorgendosi di quanto desiderasse andarsene. Poteva raccontare a se stessa tutte le bugie che voleva, ma il fatto che lì con lei non ci fossero né famigliari né amici iniziava a pesarle.

“Tutto qui? Una scrollata di spalle?” fece Ellington.

“Be’, come mi dovrei sentire?”

“Realizzata. Orgogliosa. Emozionata. Tanto per fare qualche esempio.”

“Mi sento tutte quelle cose” disse lei. “È solo che... Non lo so. La cerimonia è troppo per me.”

“Ti capisco” disse Ellington. “Dio, quanto odio indossare un completo.”

Mackenzie stava per replicare che l’abito gli stava proprio bene, quando vide McGrath arrivare alle spalle di Ellington. Anche lui le rivolse un sorriso, ma al contrario di Ellington, il suo pareva quasi forzato. Le tese la mano e lei la strinse, stupendosi di quanto fosse fiacca la sua stretta.

“Mi fa piacere che ce l’abbia fatta” disse McGrath. “So che ha una carriera brillante e promettente davanti.”

“Non per fare pressioni, eh?” commentò Ellington.

“Nella fascia dei migliori” disse McGrath, senza lasciare a Mackenzie l’occasione di spiccicare parola. “Davvero un ottimo lavoro, White.”

“Grazie, signore” disse lei, sorpresa di quell’insolita manifestazione di supporto.

Lui sorrise, le strinse ancora una volta la mano, quindi si dileguò rapidamente tra la folla.

Una volta che McGrath se ne fu andato, Ellington le rivolse uno sguardo perplesso e un gran sorriso.

“Era di buon umore. Credimi, non accade molto spesso.”

“Sai com’è, oggi immagino che sia un gran giorno per lui” disse Mackenzie. “Adesso ha un bel gruppo di nuovi talenti dal quale attingere.”

“È vero” convenne Ellington. “Comunque, a parte gli scherzi, quell’uomo sa come impiegare al meglio i nuovi agenti. Tienilo a mente quando andrai a parlare con lui lunedì.”

Tra loro scese un silenzio impacciato; era un silenzio al quale si erano abituati e che era alla base della loro amicizia – o comunque si potesse definire il rapporto che li legava.

“Allora” disse Ellington. “Volevo solo congratularmi con te. E dirti che puoi chiamarmi in ogni momento se le cose si fanno troppo reali. So che sembra una cosa stupida da dire, ma arriverà un momento in cui persino Mackenzie White avrà bisogno di qualcuno con cui sfogarsi. Le cose ti possono travolgere in un attimo.”

“Grazie” disse lei.

Poi, all’improvviso, voleva chiedergli di restare lì con lei. Non in senso romantico, ma solo per avere un volto familiare al suo fianco. Lo conosceva relativamente bene e, anche se i sentimenti che provava per lui erano contrastanti, voleva che le stesse accanto. Detestava ammetterlo, ma iniziava a sentire di dover fare qualcosa per festeggiare quel giorno e quel momento della sua vita. Anche se si fosse trattato di passare qualche ora di imbarazzo con Ellington, sarebbe sempre stato meglio (e forse più produttivo) che starsene a bere da sola autocommiserandosi.

Invece non disse niente. E anche se avesse trovato il coraggio, non sarebbe servito; Ellington la salutò rapidamente con un cenno del capo, poi, come McGrath, tornò a disperdersi nella folla.

Mackenzie rimase lì ferma un momento, facendo del proprio meglio per scacciare la sensazione di essere completamente sola.




CAPITOLO TRE


Quando Mackenzie si presentò al primo giorno di lavoro il lunedì, non riusciva a scacciare dalla mente le parole di Ellington, che si ripetevano come un mantra: Quell’uomo sa come impiegare al meglio i nuovi agenti. Tienilo a mente quando andrai a parlare con lui lunedì.

Cercò di sfruttare quel consiglio per prepararsi psicologicamente, anche perché doveva ammettere di essere nervosa. Non l’aiutò che la giornata iniziò con uno degli uomini di McGrath, Walter Hasbrook, adesso supervisore del suo dipartimento, che l’accompagnava all’ascensore come se fosse una bambina. Walter sembrava sulla sessantina ed era in sovrappeso di una decina di chili. Era un uomo senza personalità e, anche se Mackenzie non aveva nulla contro di lui, non le piaceva il modo in cui le spiegava ogni cosa come se fosse stupida.

Lo fece anche mentre l’accompagnava al terzo piano, dove un labirinto di postazioni si dipanava come uno zoo. In ogni postazione c’era un agente, alcuni che parlavano al telefono, altri che digitavano al computer.

“E questa è la sua” disse Hasbrook, indicando una postazione al centro di una delle file esterne. “Questo è il centro di Ricerca e Sorveglianza. Riceverà delle e-mail che le forniranno l’accesso ai server e la lista dei contatti di tutto il dipartimento.”

Mackenzie entrò nella postazione, sentendosi un po’ delusa ma ugualmente nervosa. No, quello non era il caso eccitante con cui sperava di iniziare la carriera, però era comunque il primo passo verso tutto ciò per cui aveva lavorato fin da quando era uscita dalla scuola superiore. Tirò a sé la sedia con le rotelle e ci si afflosciò sopra.

Il portatile che aveva davanti ora era suo. Era uno degli oggetti che le aveva elencato Hasbrook. La scrivania era sua, la postazione era sua, tutto quello spazio. Non era esattamente esaltante, ma era il suo spazio.

“Nelle e-mail troverà anche i dettagli del suo primo incarico” disse Hasbrook. “Se fossi in lei, inizierei subito. Le conviene chiamare l’agente supervisore del caso per coordinare il lavoro, ma ad ogni modo entro oggi dovrà essere già al lavoro.”

“D’accordo” disse lei, voltandosi verso il computer. Una parte di lei era ancora arrabbiata per essere stata relegata al lavoro d’ufficio. Lei voleva agire sul campo. Dopo tutto quello che le aveva detto McGrath, era quello che si aspettava.

Non importa quanto sia brillante il tuo passato, si disse, non puoi aspettarti di partire da fuoriclasse. Forse questo è il modo in cui devi pagare i tuoi debiti – oppure è il modo in cui McGrath ti mostra chi comanda e qual è il tuo posto.

Prima che Mackenzie potesse dire altro in risposta alle istruzioni secche e monotone di Hasbrook, lui si era già voltato per andarsene. Si diresse verso l’ascensore in fretta, come se fosse contento di aver concluso quel minuscolo compito.

Una volta sola nella sua postazione, Mackenzie accese il computer e si domandò perché fosse tanto nervosa.

È perché è arrivato il momento, pensò. Ho lavorato sodo per arrivare qui e adesso ci sono. Ho tutti gli occhi puntati addosso, non posso fallire – nemmeno se si tratta solo di un lavoro d’ufficio.

Controllò la posta elettronica e inviò le dovute risposte che le avrebbero permesso di iniziare l’incarico. Nel giro di un’ora, aveva tutti i documenti e le risorse necessari. Era determinata a fare del proprio meglio, per far capire a McGrath che era sprecata dietro una scrivania.

Analizzò mappe, tabulati telefonici e dati del GPS per individuare due potenziali sospettati coinvolti in un giro di traffico sessuale. Dopo un’ora che era immersa nel lavoro, si scoprì coinvolta e dedicata. Il fatto che non si trovasse in strada a dare attivamente la caccia a quei tizi non la infastidiva in quel momento. Era concentrata e aveva un obiettivo in mente, ed era tutto ciò che le serviva.

Vero, era un compito misero e quasi noioso, ma non avrebbe permesso che ciò intralciasse il proprio lavoro. Fece una pausa per il pranzo poi si rimise all’opera, lavorando con fervore per ottenere risultati. Quando la giornata stava per finire, inviò per e-mail quello che aveva scoperto al supervisore del dipartimento e se ne andò. Non aveva mai avuto un lavoro d’ufficio prima, ma quell’impiego pareva proprio così. L’unica cosa che mancava era il cartellino da timbrare.

Quando raggiunse l’auto, si permise di crogiolarsi nella delusione. Un lavoro d’ufficio. Bloccata dietro un computer e intrappolata tra le pareti di un cubicolo. Non era quello che si era immaginata.

Nonostante ciò, era orgogliosa di essere arrivata lì. Non avrebbe permesso al suo ego o alle sue alte aspettative di distogliere la sua attenzione dal fatto che adesso era un’agente dell’FBI. Però non riusciva a non pensare a Colby. Si chiese dove fosse adesso e cos’avrebbe detto se avesse scoperto che Mackenzie aveva esordito nella carriera con un lavoro d’ufficio.

E una piccola parte di Mackenzie non poté fare a meno di chiedersi se Colby, avendo deciso di andarsene, non fosse stata la più furba tra le due.

Sarebbe rimasta relegata a quella scrivania per anni?



***



Mackenzie si presentò il giorno seguente decisa a passare una bella giornata. Il giorno prima aveva fatto ottimi progressi sul suo caso e sentiva che se fosse riuscita ad ottenere risultati rapidi ed efficienti, McGrath se ne sarebbe accorto.

Subito scoprì che le era stato appioppato un caso diverso. Stavolta riguardava una frode sui permessi di soggiorno. Gli allegati delle e-mail contenevano più di trecento pagine di testimonianze, documenti governativi e gergo legale come risorsa. Sembrava incredibilmente noioso.

Furente di rabbia, Mackenzie guardò il telefono. Aveva accesso ai server, il che significava che poteva ottenere il numero di McGrath. Si domandò come avrebbe reagito se lo avesse chiamato per chiedergli il motivo di quella punizione.

Invece si dissuase dal farlo e procedette a stampare tutte le pagine degli allegati e suddividere i fogli in varie pile sulla scrivania.

Dopo venti minuti di quell’attività soporifera, udì qualcuno bussare all’ingresso della sua postazione. Quando si voltò e vide McGrath in piedi sulla soglia, rimase di stucco per un attimo.

McGrath le sorrise allo stesso modo che aveva fatto durante la cerimonia del diploma. Qualcosa in quel sorriso le diceva che davvero lui non avesse idea che lei si potesse sentire umiliata bloccata dietro una scrivania.

“Mi dispiace di averci messo così tanto a contattarla” disse McGrath. “Sono passato per vedere come se la cava.”

Lei trattenne la sfilza di risposte che aveva in mente. Fece una scrollata di spalle incerta e disse: “Bene, solo che... be’, sono un po’ confusa.”

“Come mai?”

“Be’, in più di un’occasione mi aveva detto di non vedere l’ora che diventassi un’agente attiva. Non credevo che questo implicasse starmene seduta ad una scrivania a stampare documenti sui permessi di soggiorno.”

“Oh, lo so, lo so. Ma si fidi di me, c’è una valida ragione per tutto questo. Si limiti a procedere con la testa bassa. Arriverà il suo momento, White.”

Nella mente sentì ancora la voce di Ellington. Quell’uomo sa come impiegare al meglio i nuovi agenti.

Se lo dici tu, pensò.

“Ci metteremo in contatto con lei presto” disse McGrath. “Fino ad allora, abbi cura di sé.”

Come Hasbrook il giorno prima, anche McGrath pareva avere una gran fretta di allontanarsi da quelle postazioni. Lo osservò allontanarsi, domandandosi che genere di lezione o abilità si aspettava che lei imparasse. Odiava credere di sapere tutto, ma Dio...

Quello che Ellington aveva detto di McGrath... davvero doveva crederci? A proposito di Ellington, si chiese se lui sapesse a cosa stava lavorando. Poi pensò a Harry, sentendosi in colpa per non averlo chiamato negli ultimi giorni. Harry se n’era rimasto in silenzio perché sapeva che lei non amava le pressioni. Era uno dei motivi per cui continuava a uscire con lui. Nessun uomo prima era mai stato tanto paziente con lei. Persino Zack era arrivato al limite e l’unica ragione per cui erano durati così a lungo come coppia era perché ormai erano abituati l’uno all’altra e non volevano affrontare la seccatura del cambiamento.

Mackenzie terminò di impilare i fogli a mezzogiorno. Prima di immergersi in quel mare caotico di moduli e appunti, pensò di andare a pranzare e prendersi una bella tazzona di caffè.

Attraversò il corridoio per andare all’ascensore. Quando l’ascensore arrivò e le porte si aprirono, si stupì di vedere Bryers. Anche lui pareva sorpreso di vederla, ma le rivolse un gran sorriso.

“Che ci fai qui?” gli domandò.

“In realtà stavo venendo a trovarti. Ho pensato che ti andasse di andare a mangiare qualcosa.”

“Proprio quello che stavo per fare. Perfetto.”

Scesero insieme con l’ascensore e si sedettero al tavolo di una piccola rosticceria un isolato più avanti. Mentre si accomodavano con i sandwich, Bryers le rivolse una domanda impegnativa.

“Come vanno le cose?” chiese.

“Be’... vanno. Sono bloccata dietro una scrivania, intrappolata in un cubicolo a leggere infinite scartoffie. Non è esattamente quello che avevo in mente.”

“Se a dirlo fosse un qualunque altro nuovo agente, potrebbe suonare presuntuoso” disse Bryers. “Invece si dà il caso che sia d’accordo con te. Sei sprecata. Ed ecco perché sono qui: sono venuto a salvarti.”

Lei lo guardò, pensierosa.

“In che modo?”

“Con un altro caso” rispose Bryers. “Naturalmente capirò se preferirai restare sul tuo attuale caso a studiare frodi sull’immigrazione. Tuttavia, credo di avere qualcosa che si addice di più ai tuoi interessi.”

Mackenzie sentì il cuore accelerare.

“Riusciresti a togliermi dal mio caso così facilmente?” gli chiese sospettosa.

“Certo che posso. Al contrario dell’altra volta, adesso hai il pieno appoggio di tutti. McGrath mi ha chiamato mezz’ora fa. Non è esattamente entusiasta all’idea che tu ti butti subito in azione, ma io ho insistito.”

“Sul serio?” chiese lei, sentendosi sollevata e, proprio come aveva detto Bryers, un po’ presuntuosa.

“Se vuoi posso mostrarti il mio registro delle chiamate. Voleva telefonarti per dirtelo di persona, ma gli ho chiesto come favore di lasciare che fossi io a comunicartelo. Credo che sapesse già da ieri che saresti stata coinvolta, ma volevamo essere certi di avere un caso solido.”

“E lo avete?” gli chiese. L’eccitazione iniziò a crescerle dentro.

“Sì. Abbiamo rinvenuto un cadavere in un parco a Strasburg, in Virginia. Somiglia molto ad un cadavere che abbiamo trovato nella stessa zona circa due anni fa.”

“E credi che le due morti siano collegate?”

Lui ignorò la domanda e addentò il sandwich.

“Te ne parlerò per strada. Per ora mangiamo. Goditi questo silenzio finché puoi.”

Lei annuì e piluccò il sandwich, anche se improvvisamente non aveva più tanta fame.

Provava eccitazione, ma anche terrore e tristezza. Qualcuno era stato assassinato.

E sarebbe toccato a lei sistemare le cose.




CAPITOLO QUATTRO


Lasciarono Quantico subito dopo pranzo. Mentre Bryers guidava, diretto a sud-ovest, Mackenzie sentì di stare scampando alla noia, solo per essere portata dritta verso il pericolo.

“Allora, cosa puoi dirmi di questo caso?” chiese infine.

“Un corpo è stato rinvenuto a Strasburg, in Virginia. Il cadavere era in un parco statale, in condizioni molto simili a quelle del corpo scoperto più o meno nella stessa zona circa due anni fa.”

“Credi che i casi siano collegati?”

“Dev’essere così, se vuoi la mia opinione. Stessa zona, stessa brutalità. Se vuoi darci un’occhiata, i dossier sono nella mia cartellina, sul sedile posteriore.”

Mackenzie si allungò verso il sedile posteriore e recuperò la cartellina a soffietto che Bryers aveva sempre con sé quando c’erano delle indagini da svolgere. Ne estrasse un fascicolo, facendo intanto altre domande.

“Quando è stato scoperto il secondo cadavere?” chiese.

“Domenica. Finora non abbiamo nessuna traccia che ci indichi come proseguire. Non abbiamo una pista come l’altra volta. Abbiamo bisogno di te.”

“Perché proprio di me?” chiese lei, curiosa.

Lui ricambiò lo sguardo.

“Adesso sei un’agente, e sei anche brava” disse. “La gente parla già di te; persone che non sanno chi fossi prima di arrivare a Quantico. Anche se non è comune che un nuovo agente sia assegnato a un caso del genere, be’, tu non sei esattamente un tipico agente, no?”

“È una buona o una cattiva cosa?” chiese Mackenzie.

“Dipende dai risultati che otterrai, immagino” disse lui.

Mackenzie lasciò cadere il discorso, rivolgendo la propria attenzione al fascicolo. Bryers la sbirciò un paio di volte mentre esaminava i contenuti – per vedere come reagiva, o per vedere a che punto fosse arrivata. Mentre scorreva i fogli, le raccontò del caso.

“Ci sono volute solo poche ore prima di essere praticamente certi che l’omicidio fosse collegato ad un altro cadavere scoperto a circa cinquantacinque chilometri di distanza, due anni fa. Le foto che vedi in quel fascicolo sono di quel corpo.”

“Due anni fa” disse Mackenzie sospettosa. Nella foto, vide un corpo orrendamente mutilato. Era così terribile che dovette distogliere lo sguardo per un momento. “Cosa vi ha permesso di collegare con tanta facilità i due omicidi con l’enorme lasso di tempo intercorso tra loro?”

“Entrambi i corpi sono stati ritrovati nello stesso parco statale, ed entrambi erano mutilati. E lo sai cosa pensiamo delle coincidenze all’FBI, no?”

“Che non esistono?”

“Esattamente.”

“Strasburg” disse Mackenzie. “Non lo conosco affatto. È un paesino, giusto?”

“Mh, più un paese di medie dimensioni. La popolazione si aggira sui seimila abitanti. Una di quelle cittadine del sud ancora aggrappata alla Guerra Civile.”

“E c’è un parco statale lì?”

“Eh già” disse Bryers. “Anch’io mi sono stupito. Non poco. Il Parco Statale di Little Hill. All’incirca centodieci chilometri di terra in tutto. È proprio al confine con il Kentucky. È molto popolare per pescare, fare campeggio e arrampicate. Ci sono molte foreste inesplorate.”

“Come sono stati scoperti i corpi?” chiese Mackenzie.

“Un campeggiatore ha trovato il secondo sabato notte” disse Bryers. “Invece nel caso del primo cadavere, la scena era piuttosto raccapricciante. Il corpo è stato rinvenuto a settimane di distanza dall’omicidio. Era già in putrefazione e gli animali selvatici ne avevano mangiato alcune parti, come puoi vedere nelle foto.”

“C’è qualche indizio chiaro su come siano state uccise le vittime?”

“Non siamo riusciti a trovarne. I corpi hanno subito troppe mutilazioni. Il primo, quello di due anni fa, aveva la testa quasi del tutto recisa, tutte e dieci le dita delle mani mancanti e mai trovate, e la gamba destra mozzata all’altezza del ginocchio. Il cadavere più recente era un po’ sparso dappertutto. La gamba sinistra è stata trovata a sessanta metri di distanza dal resto del corpo. La mano destra era mozzata e non l’abbiamo ancora ritrovata.”

Mackenzie sospirò, sopraffatta per un momento dalla crudeltà che esisteva nel mondo.

“Che brutalità” commentò piano.

Lui annuì.

“Già.”

“Hai ragione” gli disse. “Le analogie sono troppo inquietanti da ignorare.”

Bryers non rispose e tossì forte, coprendosi la bocca con l’incavo del gomito. Era una tosse profonda e secca, come quelle che uno si trascina dopo un brutto raffreddore.

“Stai bene?” gli chiese.

“Sì, sì. È l’autunno che si avvicina. Le mie stupide allergie si risvegliano in questo periodo tutti gli anni. Tu, piuttosto? Stai bene? Adesso che sei diplomata e sei ufficialmente un’agente, hai il mondo nelle tue mani, come si suol dire. Questo ti eccita o ti spaventa?”

“Un po’ entrambe le cose” disse lei sinceramente.

“È venuto qualcuno dei tuoi a vederti sabato?”

“No” disse lei. E, prima che lui avesse il tempo di fare un’espressione triste o dire che gli dispiaceva, aggiunse: “Ma va bene così. La mia famiglia non è mai stata molto unita.”

“Sì, l’avevo sentito dire” disse. “Per me è stato lo stesso. I miei genitori erano brave persone, ma quando sono diventato adolescente e ho iniziato a comportarmi come tale, mi hanno in pratica lasciato perdere. Non ero abbastanza cristiano per loro. Mi piacevano troppo le ragazze. Cose così.”

Mackenzie non disse nulla perché era rimasta sbalordita. Da quando lo conosceva non aveva mai raccontato così tanti dettagli su di sé, e gli ultimi dodici secondi di confidenze erano completamente inaspettati.

Prima di rendersene conto, Mackenzie riprese a parlare. Le parole che le uscirono di bocca le sembrò di averle vomitate.

“Anche mia madre ha fatto più o meno la stessa cosa con me” disse. “Io ero cresciuta e lei si accorse di non essere più in grado di controllarmi. E, se non poteva controllarmi, allora non voleva avere niente a che fare con me. Quando però perse il controllo che aveva su di me, perse anche quello che aveva su tutto il resto.”

“Ah, non sono fantastici i genitori?” commentò Bryers.

“Già, come solo loro sanno esserlo.”

“Che mi dici di tuo padre?” le chiese Bryers.

La domanda le trafisse il cuore ma con sua sorpresa gli rispose. “È morto” disse brusca. Una parte di lei però avrebbe voluto raccontargli della morte di suo padre e di come fosse stata lei a scoprirne il cadavere.

Anche se il tempo che avevano trascorso separati sembrava aver migliorato il loro rapporto lavorativo, non si sentiva ancora del tutto pronta a riaprire quelle ferite davanti a Bryers. Eppure, nonostante la sua fredda risposta, Bryers adesso sembrava molto più aperto e disposto a chiacchierare. Si domandò se fosse semplicemente per il fatto che adesso lavoravano insieme con il benestare dei suoi superiori.

“Mi dispiace” le disse, facendole capire che aveva colto che lei non ne voleva parlare. “I miei... non capivano perché desiderassi questo lavoro. Erano dei cristiani estremamente rigidi. Quando a diciassette anni dissi loro che non credevo in Dio, in pratica mi hanno abbandonato. Adesso sono morti entrambi. Mio padre ha tenuto duro per sei anni dopo la morte di mia madre. Io e lui eravamo riusciti a fare pace in quel periodo. Andavamo nuovamente d’accordo, poi però lui morì di cancro ai polmoni nel 2013.”

“Almeno hai avuto l’occasione per recuperare il rapporto con lui” disse Mackenzie.

“Vero” disse lui.

“Ti sei mai sposato? Hai figli?”

“Sono stato sposato per sette anni. Ho avuto due figlie da mia moglie. Una adesso frequenta l’università in Texas, l’altra è da qualche parte in California. Ha smesso di parlarmi dieci anni fa, dopo aver lasciato la scuola superiore ed essere rimasta incinta del suo fidanzato ventiseienne.”

Lei si limitò ad annuire, non sapendo come continuare la conversazione. Era strano che si aprisse così tanto con lei, ma lo apprezzava. Quello che le aveva detto aveva senso. Bryers era un uomo piuttosto solitario e questo si accordava con i rapporti tesi che aveva avuto con in genitori.

Invece il fatto che avesse due figlie delle quali non parlava quasi mai era stata una grossa rivelazione. Adesso capiva perché con lei fosse così aperto e perché sembrasse piacergli lavorare con lei.

Nelle due ore successive parlarono poco, per lo più a proposito del caso e del periodo che Mackenzie aveva trascorso nell’Accademia. Era bello avere qualcuno a cui parlare di queste cose, e si pentì di non essersi confidata con lui quando le aveva chiesto di suo padre.

Passò un’altra ora e un quarto prima che Mackenzie vide i cartelli che segnalavano l’uscita per Strasburg. Mackenzie poteva praticamente sentire l’atmosfera nella macchina cambiare, mentre entrambi lasciavano da parte le questioni personali per concentrarsi unicamente sull’incarico.

Sei minuti più tardi, Bryers imboccò l’uscita. Quando entrarono nel paese, Mackenzie iniziò a sentirsi tesa. La tensione però era positiva – quel tipo di tensione che aveva provato la notte prima del diploma, entrando nel parcheggio con la pistola a proiettili di vernice in mano.

Era arrivata. Non solo a Strasburg, ma in una fase della sua vita che fino ad allora aveva solo sognato, fin dal suo primo avvilente incarico in Nebraska.

Oddio, pensò. Davvero è stato soltanto cinque anni e mezzo fa?

Era proprio così. E adesso che era stata letteralmente accompagnata verso la realizzazione dei suoi sogni, i cinque anni che separavano quel lavoro d’ufficio dal momento presente, sul sedile passeggero di Bryers, sembravano una specie di barriera che separava due versioni diverse di sé. E a Mackenzie andava bene così. Il suo passato non aveva fatto altro che ostacolarla, e adesso che se ne era finalmente liberata, era ben contenta di lasciarselo alle spalle.

Vide il cartello del Parco Statale di Little Hill e il cuore le accelerò in petto. Era il momento. L’inizio del suo primo caso ufficiale come agente. Tutti gli occhi sarebbero stati puntati su di lei, lo sapeva.

Era giunto il momento.




CAPITOLO CINQUE


Quando Mackenzie scese dall’auto nel parcheggio del Parco Statale di Little Hill, si preparò, avvertendo immediatamente la tensione dell’omicidio nell’aria. Non capiva come, ma riusciva a percepirla. Era una sorta di sesto senso che a volte avrebbe preferito non avere. Nessuno di quelli con cui aveva lavorato finora pareva averlo.

In un certo senso, realizzò, erano fortunati. Era un dono, ma anche una maledizione.

Attraversarono il parcheggio e raggiunsero il centro visitatori. Anche se l’autunno non aveva ancora una salda presa sulla Virginia, si era fatto sentire in anticipo. Le foglie tutto intorno stavano cambiando colore, virando sul rosso, il giallo e l’oro. Dietro al centro c’era un gabbiotto della vigilanza, e una donna dall’aria annoiata rivolse loro un cenno dalla cabina.

Il centro poteva solo definirsi come una banale trappola per turisti. Degli espositori mettevano in mostra magliette e bottigliette d’acqua. Su un piccolo scaffale sul lato destro poggiavano delle cartine della zona e degli opuscoli sulla pesca. Al centro stava una donna in età da pensione, che sorrideva da dietro un bancone.

“Voi siete quelli dell’FBI, giusto?” chiese la donna.

“Esatto” disse Mackenzie.

La donna annuì brevemente e sollevò la cornetta del telefono che c’era dietro il bancone. Digitò un numero da un pezzo di carta di fianco al telefono. Mentre aspettavano, Mackenzie si voltò, imitata da Bryers.

“Non hai parlato direttamente con la Polizia di Strasburg, vero?” gli chiese.

Bryers scosse la testa in segno negativo.

“Saremo accolti come amici o come un intralcio?”

“Immagino che lo scopriremo presto.”

Mackenzie annuì e si voltò verso il bancone. La donna aveva appena riagganciato e li stava guardando.

“Lo sceriffo Clements arriverà tra una decina di minuti. Potete aspettarlo fuori, al gabbiotto della vigilanza.”

Tornarono fuori e raggiunsero il gabbiotto. Mackenzie si ritrovò ancora una volta quasi ipnotizzata dai colori degli alberi. Camminò lentamente, godendosi la visuale.

“Ehi, White” disse Bryers. “Tutto a posto?”

“Sì, perché lo chiedi?”

“Stai tremando. Sei pallida. Come agente esperto dell’FBI, direi che sei nervosa – parecchio nervosa.”

Lei strinse forte le mani, accorgendosi che effettivamente tremavano leggermente. Sì, era nervosa, ma sperava di essere stata brava a nasconderlo. Invece a quanto pareva non ci era riuscita.

“Ascolta, adesso si fa sul serio. È normale che ti senta nervosa. Ma devi sfruttare la tensione. Non combatterla o nasconderla. So che sembra un controsenso, ma devi fidarti di me.”

Lei fece un cenno con la testa, in imbarazzo.

Proseguirono senza dire altro, con i colori degli alberi intorno a loro che parevano farsi sempre più vicini. Mackenzie guardò il gabbiotto davanti a sé, notando la sbarra che chiudeva la strada. Anche se sembrava una cosa ridicola, non poté fare a meno di pensare che il suo futuro l’aspettasse al di là di quella sbarra, e si sentì al tempo stesso intimidita e impaziente di superarla.

Dopo pochi secondi, entrambi udirono il rumore di un piccolo veicolo. Quasi immediatamente dopo, avvistarono un’auto da golf che sbucava dalla curva. Sembrava andare a tutta velocità e l’uomo al volante era tutto curvo in avanti, come se in quel modo potesse far andare la macchina più veloce.

Il veicolo sfrecciò e Mackenzie guardò l’uomo che immaginò essere lo sceriffo Clements. Era sulla quarantina e sembrava un tipo tosto, uno che non aveva avuto una vita facile. I capelli erano leggermente brizzolati sulle tempie e l’ombra di barba che gli velava il viso era probabilmente sempre lì.

Clements parcheggiò l’auto, guardò distrattamente la guardia nel gabbiotto e andò incontro a Mackenzie e Bryers.

“Agenti White e Bryers” disse Mackenzie tendendo la mano.

Clements la strinse passivamente, poi fece lo stesso con Bryers, prima di voltarsi verso il vialetto dal quale era arrivato.

“Ad essere onesto” disse Clements “anche se naturalmente apprezzo l’interesse dell’FBI, non sono sicuro che ci serva il vostro aiuto.”

“Be’, ormai siamo qui, perciò ci permetta di capire se possiamo essere d’aiuto” disse Bryers in tono amichevole.

“Bene, allora saltate su e scopriamolo” disse Clements. Mackenzie stava facendo del suo meglio per cercare di inquadrarlo, mentre montavano sull’auto da golf. La sua preoccupazione principale fin dall’inizio era cercare di capire se Clements era semplicemente molto stressato oppure se fosse uno stronzo di suo.

Si mise sul posto davanti, di fianco a Clements, mentre Bryers salì dietro. Clements non disse una parola. Sembrava proprio che cercasse di far loro capire che era una seccatura doverli accompagnare in giro.

Dopo un minuto circa, giunti ad un bivio, Clements imboccò il vialetto di destra. La strada ora non era più asfaltata, ed era così stretta da permettere a malapena il passaggio della piccola auto.

“Che istruzioni sono state date alla guardia nel gabbiotto?” chiese Mackenzie.

“Non deve passare nessuno” disse Clements. “Nemmeno se si tratta di ranger o sbirri. Prima devono avere il mio permesso. Ci sono già troppe persone a cazzeggiare qui intorno, rendendo le cose ancora più difficili.”

Mackenzie afferrò la frecciatina non troppo velata, ma la ignorò. Non aveva intenzione di mettersi a discutere con Clements prima che lei e Bryers avessero avuto l’occasione di vedere la scena del crimine.

Circa cinque minuti più tardi, Clements arrestò il veicolo, scendendo prima ancora che si fosse fermato completamente. “Forza” disse, come se stesse parlando a dei bambini. “Da questa parte.”

Mackenzie e Bryers scesero dall’auto. La foresta incombeva tutto intorno a loro. Era molto bella, ma aleggiava un silenzio pesante che a Mackenzie parve una sorta di presagio – un segnale che fosse accaduto qualcosa di terribile.

Clements li condusse tra gli alberi, procedendo a passo svelto. Non c’erano sentieri da seguire, soltanto vecchie impronte sparse qua e là tra la vegetazione. Senza nemmeno rendersene conto, Mackenzie superò Bryers per cercare di restare al passo con Clements. Di tanto in tanto doveva schivare un ramo basso o togliersi fili di ragnatela dalla faccia.

Dopo qualche minuto che camminavano, iniziò a sentire delle voci, poi rumori vari di gente che si muoveva. Cominciò a comprendere di cosa parlava Clements; ancora prima di vedere la scena del crimine, Mackenzie sapeva che sarebbe stata affollata.

Il suo sospetto venne confermato meno di un minuto dopo, quando giunsero sul posto. I sigilli delimitavano una zona triangolare nella foresta. Mackenzie contò otto persone, incluso Clements. Con lei e Bryers, in totale sarebbero stati in dieci.

“Visto cosa intendo?” chiese Clements.

Bryers affiancò Mackenzie e sospirò. “Che gran caos.”

Prima di farsi avanti, Mackenzie cercò di studiare al meglio la scena. Degli otto uomini, quattro erano della polizia locale, com’era facilmente intuibile dall’uniforme. Altri due indossavano un’uniforme diversa – probabilmente erano della polizia statale, immaginò Mackenzie. Senza lasciarsi distrarre, si concentrò sulla scena in sé, più che sulle persone.

Il luogo sembrava casuale. Non c’erano punti di particolare interesse, nessun oggetto che potesse essere visto come un simbolo. Era una sezione di foresta come tante, per quel che capiva Mackenzie. Calcolò che si trovava ad un paio di chilometri dal sentiero centrale. Gli alberi non erano particolarmente fitti, ma tutto intorno a lei percepiva un senso di isolamento.

Mackenzie spostò la sua attenzione sugli uomini che discutevano. Alcuni sembravano agitati, un paio arrabbiati. Due di loro non indossavano alcun tipo di divisa che permettesse di riconoscerne la professione.

“Chi sono i tizi senza uniforme?” chiese Mackenzie.

“Non saprei” disse Bryers.

Clements si voltò con espressione corrucciata. “Ranger” disse. “Joe Andrews e Charlie Holt. Capita una cosa del genere e si credono di essere poliziotti.”

Una delle guardie gli lanciò uno sguardo al vetriolo. Mackenzie era abbastanza sicura che Clements avesse indicato lui quando aveva fatto il nome di Joe Andrews. “Attento a come parli, Clements. Questo è un parco statale” disse Andrews. “Qui la tua autorità vale meno di un moscerino.”

“Già, può darsi” disse Clements. “Ma sai bene anche tu che mi basta una sola telefonata al distretto per farti sbattere via di qui in meno di un’ora. Perciò fa’ quel che devi fare, poi porta il tuo culo fuori di qui.”

“Presuntuoso figlio di...”

“Avanti” disse un terzo uomo. Era uno della polizia di stato, una montagna d’uomo con occhiali da sole che lo facevano sembrare il cattivo di un film d’azione anni ’80 di serie B. “Io ho l’autorità di buttarvi fuori di qui tutti e due. Quindi piantatela di comportarvi da mocciosi e fate il vostro lavoro.”

L’uomo si accorse solo in quel momento di Mackenzie e Bryers. Si avvicinò e fece un cenno del capo quasi a mo’ di scusa.

“Mi dispiace che abbiate assistito a una scena del genere” disse. “Sono Roger Smith, della polizia di stato. Avete visto che scena del crimine abbiamo qui?”

“Siamo qui per quello” disse Bryers.

Smith si voltò verso le altre sette persone e disse con voce tonante: “Fatevi indietro e lasciate che i federali facciano il loro lavoro.”

“E che mi dici del nostro lavoro?” domandò il secondo ranger. Charlie Holt, rammentò Mackenzie. Guardava Mackenzie e Bryers con aria sospettosa. Mackenzie pensò che sembrasse addirittura timido e timoroso per la loro presenza. Quando Mackenzie lo guardò, lui abbassò lo sguardo a terra, chinandosi a raccogliere una ghianda. Si mise a giocherellarci passandola da una mano all’altra, poi iniziò a staccare la parte superiore.

“Voi avete avuto abbastanza tempo” disse Smith. “Adesso fatevi un attimo da parte, ok?”

Tutti fecero come richiesto. I ranger sembravano i più risentiti. Per migliorare la situazione, Mackenzie immaginò che sarebbe stato meglio cercare di coinvolgerli il più possibile, per tenere a bada gli animi.

“Che tipo di informazioni servono a un guardaparco in casi come questo?” chiese ai due mentre si chinava per oltrepassare i sigilli, iniziando a guardarsi attorno. Vide evidenziato il punto in cui era stata trovata la gamba. Parecchio distante c’era la sagoma del resto del corpo.

“Intanto dobbiamo sapere per quanto tempo tenere chiuso il parco” disse Andrews. “Anche se può sembrare da egoisti, questo parco rappresenta una bella fetta del reddito proveniente dal turismo.”

“Hai ragione” si intromise Clements. “È proprio da egoisti.”

“Be’, secondo me possiamo essere egoisti ogni tanto” disse Charlie Holt sulla difensiva. Poi guardò Mackenzie e Bryers con disprezzo.

“Come mai?” volle sapere Mackenzie.

“Avete forse un’idea di quello che dobbiamo sopportare?” domandò Holt.

“In effetti no” disse Bryers.

“Adolescenti che fanno sesso” disse Holt. “A volte vere e proprie orge. Rituali di stregoneria. Ho addirittura beccato dei tizi ubriachi che se la facevano con un tronco – e intendo proprio che avevano le mutande calate. La polizia di stato si limita a farsi una bella risata quando sente queste storie, mentre la polizia locale le sfrutta per fare scherzi il fine settimana. Così... Sì, ogni tanto cerchiamo di far valere la nostra autorità.”

La foresta si fece silenziosa, tranne per uno dei poliziotti che sogghignando commentò: “Certo. L’autorità. Come no.”

I ranger lo fissarono con sguardi carichi di odio. Andrews fece un passo avanti, apparentemente sul punto di esplodere dalla rabbia. “Fanculo” disse semplicemente.

“Ho detto basta con queste stronzate” disse l’agente Smith. “Fatemelo ripetere di nuovo e vi sbatto fuori tutti. Chiaro?”

A quanto pareva, funzionò. La foresta si fece nuovamente silenziosa. Bryers oltrepassò i sigilli per raggiungere Mackenzie e, una volta che gli altri si furono fatti da parte alle loro spalle, si chinò verso di lei. Mackenzie avvertiva lo sguardo di Charlie Holt su di sé, e questo le fece venire voglia di prenderlo a pugni.

“Le cose potrebbero mettersi male” sussurrò Bryers. “Facciamo di tutto per andarcene il prima possibile, che ne dici?”

Mackenzie si mise subito al lavoro, scandagliando la scena e prendendo mentalmente nota di tutto. Bryers si era allontanato dalla scena del crimine e stava tossendo appoggiato ad un albero. Cercò di non lasciarsi distrarre da lui. Tenne gli occhi puntati a terra, studiando le foglie, il terriccio, gli alberi. La cosa che aveva meno senso secondo lei era che un cadavere in pessime condizioni avesse potuto essere trovato in quel luogo. Era difficile stabilire quanto tempo prima fosse avvenuto l’omicidio, o quando il corpo fosse stato gettato lì; sul terreno non vi erano tracce che il brutale omicidio fosse avvenuto lì.

Osservò i cartellini che segnavano deve erano state rinvenute le parti del corpo. Erano troppo distanziate tra loro perché si fosse trattato di un incidente. Se qualcuno si era sbarazzato di un cadavere mutilato spargendo i pezzi così lontano, l’aveva fatto di proposito.

“Agente Smith, sa se il corpo presentasse morsi di animali selvatici?” domandò.

“Se c’erano, erano così minuscoli che non sono stati rilevati ad un primo esame. Naturalmente ne sapremo di più quando avremo i risultati dell’autopsia.”

“E nessuno dei suoi uomini o della polizia locale ha spostato il corpo o gli arti mozzati?”

“No.”

“Idem” disse Clements. “Ranger, voi che mi dite?”

“No” disse Holt con una smorfia. Sembrava che si offendesse per ogni cosa.

“Posso chiedere perché è importante per scoprire il colpevole?” le chiese Smith.

“Be’, se il killer avesse ucciso qui, ci sarebbe un sacco di sangue” spiegò Mackenzie. “E se anche fosse successo da molto, ce ne sarebbero comunque almeno delle tracce in giro. Ma io non ne vedo. Dunque l’altra possibilità è che si sia liberato del corpo qui. Ma in quel caso, perché la gamba si troverebbe così lontano dal corpo?”

“Non la seguo” disse Smith. Mackenzie vide Clements, dietro di lui, che ascoltava con attenzione senza darlo a vedere.

“Mi viene da pensare che il killer abbia effettivamente abbandonato il corpo qui e che abbia separato le parti apposta.”

“E perché?” chiese Clements, non riuscendo più a fingere di non ascoltarli.

“Potrebbero esserci varie ragioni” spiegò lei. “Potrebbe essere stato semplicemente per un macabro divertimento, lasciare i pezzi in giro come giocattoli una volta finito di giocare. Per attirare la nostra attenzione. Oppure potrebbe esserci un motivo preciso – per la distanza, oppure per il fatto che sia una gamba, o altro.”

“Capisco” disse Smith. “Be’, alcuni dei miei uomini hanno già stilato un rapporto con la distanza tra il corpo e la gamba. Abbiamo tutte le misurazioni che vuole.”

Mackenzie si guardò attorno ancora una volta – osservando il gruppo di uomini e la foresta apparentemente pacifica – poi si fermò. Non c’era motivo di scegliere quel luogo. Questo le faceva pensare che la scelta fosse stata casuale. Eppure il fatto che il sentiero principale fosse tanto distante indicava il contrario. Indicava che il killer conosceva quei boschi – e forse anche il parco – piuttosto bene.

Cominciò a camminare per la scena del crimine, in cerca di tracce di sangue secco. Tuttavia non ne trovò. Più passavano i minuti, più era sicura della sua teoria.

Si rivolse ai ranger: “Non c’è modo di ottenere i nomi delle persone che frequentano il parco? Mi interessa chi viene spesso e conosce bene la zona.”

“Non credo” disse Joe Andrews. “Al massimo possiamo fornire una lista delle persone che hanno fatto donazioni di denaro.”

“Non è necessario” rispose Mackenzie.

“Ha una teoria da provare?” indagò Smith.

“L’omicidio è stato perpetrato da qualche altra parte, poi il corpo è stato lasciato qui” disse ragionando ad alta voce. “Ma perché proprio qui? Siamo a un chilometro di distanza dal sentiero centrale e non sembra esserci nulla di significativo qui. Ecco perché mi viene da pensare che chiunque sia stato conosca il parco molto bene.”

Mentre dava la sua spiegazione, ottenne solo qualche cenno del capo in risposta; la sensazione era che non le credessero, oppure che non gli importasse.

Mackenzie si voltò verso Bryers.

“Tu hai finito qui?” gli chiese.

Bryers annuì.

“Grazie, signori.”

Tutti la guardarono in silenzio. Clements la stava squadrando.

“Forza, andiamo allora” disse Clements alla fine. “Vi riaccompagno alla vostra auto.”

“No, non ce n’è bisogno” disse Mackenzie un po’ brusca. “Preferisco camminare.”

Mackenzie e Bryers si avviarono nel bosco verso il sentiero attraverso il quale Clements li aveva condotti lì.

Mentre si inoltravano tra la vegetazione, lasciandosi alle spalle i poliziotti, Clements e i ranger, Mackenzie si rese conto della vastità della foresta. Era inquietante pensare alle infinite possibilità che esistevano là fuori. Ripensò a quello che avevano detto i guardaparco, ai tanti reati che avvenivano tra quegli alberi, e sentì la schiena percorsa da un brivido gelido.

Se qualcuno era capace di ammazzare delle persone riducendole come quella rinvenuta sulla scena del crimine e aveva anche una buona conoscenza della foresta, non c’erano virtualmente limiti alla minaccia che poteva costituire.

E lei sentiva che avrebbe certamente colpito ancora.




CAPITOLO SEI


Mackenzie arrivò in ufficio alle sei passate, quel pomeriggio, esausta dopo la lunga giornata. Riordinò gli appunti per prepararsi a fare rapporto, come aveva richiesto mentre tornavano da Strasburg.

Qualcuno bussò alla sua porta e vide che si trattava di Bryers, anche lui con un’aria spossata. In una mano reggeva una cartellina, nell’altra una tazza di caffè. Sembrava che volesse mascherare la propria stanchezza e improvvisamente Mackenzie ripensò a come non avesse fatto molto al parco, lasciandola sola alle prese con Clements, Smith, Holt e gli altri. Rammentando anche la sua brutta tosse, si domandò se si stesse ammalando.

“Tutto pronto per il rapporto” disse lui.

Mackenzie si alzò e lo seguì nella sala conferenze in fondo al corridoio. Una volta dentro, vide i vari agenti ed esperti che formavano la squadra per il caso del Parco Statale di Little Hill. In tutto erano sette persone e pensò che fossero fin troppe, considerando che il caso era solo agli inizi. Tuttavia non stava a lei decidere, era compito di Bryers, quindi era ben felice di andare avanti per quella strada. Era molto meglio che studiare le leggi di immigrazione e annegare in un mare di scartoffie.

“È stata una giornata impegnativa oggi” esordì Bryers, “perciò cominciamo con un veloce riepilogo.”

Se prima di entrare le era parso esausto, adesso non lo dava a vedere. Mackenzie rimase in silenzio ad ascoltare rapita mentre Bryers riferiva alle sette persone nella stanza quello che lui e Mackenzie avevano scoperto nella foresta del Parco Statale di Little Hill. Gli altri prendevano appunti, alcuni con carta e penna, altri su tablet e smartphone.

“Vorrei aggiungere una cosa” disse uno degli agenti. “Circa quindici minuti fa sono stato informato che il caso è finito sui notiziari locali. Hanno già ribattezzato il colpevole il Killer del Campeggio.”

Nella stanza calò il silenzio per un attimo e Mackenzie sospirò dentro di sé. Questo avrebbe reso le cose molto più difficili a tutti loro.

“Che velocità” commentò Bryers. “Dannati media. Come accidenti hanno fatto a scoprirlo così in fretta?”

Nessuno rispose, ma Mackenzie credeva di saperlo. Un piccolo paese come Strasburg era pieno di persone che amavano sentire nominare la propria cittadina nei notiziari – anche se si trattava di brutte notizie. Le vennero in mente alcuni poliziotti e guardaparco che rispecchiavano quella descrizione.

“Ad ogni modo” proseguì Bryers imperterrito, “le ultime informazioni a nostra disposizione arrivano dalla polizia di stato. Hanno passato i dettagli della scena del crimine alla Scientifica. Ora sappiamo che la gamba era precisamente a un metro di distanza dal copro. Naturalmente non abbiamo idea se questo particolare abbia qualche significato, ma indagheremo. Inoltre...”

Fu interrotto da qualcuno che bussava alla porta. Un agente si precipitò dentro e passò una cartellina a Bryers. Gli bisbigliò qualcosa con fare concitato, poi se ne andò.

“Abbiamo il rapporto del medico legale sul cadavere” disse Bryers aprendo la cartellina e tirando fuori i documenti. Li esaminò rapidamente, poi passò i tre fogli al resto della squadra. “Come potete leggere nel rapporto, il corpo non presenta morsi di animali selvatici, però ci sono lividi sulla schiena e sulle spalle. Si pensa che la gamba e la mano destra siano state recise con un coltello smussato, o comunque una grossa lama. Le ossa sembrano più rotte che segate. Questo particolare è diverso rispetto al caso di due anni fa, ma potrebbe essere semplicemente dovuto al fatto che l’assassino non si prende cura dei suoi attrezzi.”

Bryers lasciò a tutti il tempo di leggere il rapporto. Mackenzie si limitò a darci un’occhiata, già soddisfatta del resoconto di Bryers. Ormai si fidava di lui e, anche se riconosceva l’importanza di verbali e dossier scritti, per lei non c’era niente di meglio che un resoconto verbale.

“Conosciamo anche il nome della vittima: Jon Torrence, ventidue anni. Era disperso da quattro settimane e l’ultima volta che è stato visto era in un bar a Strasburg. Ad alcuni di voi toccherà lo spiacevole compito di parlare con la sua famiglia oggi. Abbiamo anche recuperato alcune informazioni sulla vittima di due anni fa. Agente White, ci pensi tu a riferirle?”

Mackenzie aveva letto il documento inviato dall’Agente Smith durante il viaggio di ritorno da Strasburg a Quantico. Aveva memorizzato i dettagli in dieci minuti, quindi non ebbe problemi a ripeterli alla squadra.

“La prima vittima era Marjorie Leinhart. La testa era staccata quasi completamente dal corpo. Il killer le ha amputato tutte le dita delle mani e la gamba destra, all’altezza del ginocchio. Nessuno degli arti recisi è stato mai ritrovato. Al momento della sua morte, la donna aveva ventisette anni. L’unico famigliare in vita era la madre, poiché Marjorie era figlia unica e il padre era morto in Afghanistan nel 2006. Tuttavia, la signora Leinhart si è tolta la vita una settimana dopo il ritrovamento del cadavere della figlia. Dopo intense ricerche si è riusciti a risalire soltanto ad un altro famigliare – un lontano zio che vive a Londra – il quale però non sa nulla della famiglia. Marjorie non aveva un fidanzato e i pochi amici che aveva sono stati tutti interrogati. Insomma, non c’è assolutamente nessuno che possiamo interrogare.”





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Da Blake Pierce, autore di successo del libro IL KILLER DELLA ROSA (un best-seller con più di 600 recensioni da cinque stelle), è in arrivo il volume #3 della serie di gialli mozzafiato di Mackenzie White. In PRIMA CHE BRAMI (Un Mistero di Mackenzie White Mystery – Libro 3), Mackenzie White, fresca di diploma all’Accademia dell’FBI di Quantico, è appena diventata un’agente, ma si trova subito coinvolta in un caso di serial killer. Delle donne in campeggio in un remoto parco nazionale della West Virginia vengono ritrovate morte. Il parco però è molto vasto e non sembra esserci un nesso tra le vittime. Nel frattempo, Mackenzie riceve una telefonata dal Nebraska che la invita a tornare a casa al più presto. Dopo molti anni è spuntato un indizio sull’omicidio di suo padre. Adesso che il caso è stato riaperto, Mackenzie ha il disperato bisogno di risolverlo. Tuttavia, il killer ricercato dall’FBI torna in azione e non c’è spazio per le distrazioni. Altre donne scompaiono e inizia un gioco psicologico in stile gatto col topo. Questo assassino è più diabolico – e furbo – di quello che immaginava Mackenzie. Avventurandosi lungo una strada che la spaventa – nei meandri della sua mente – si imbatte in una svolta che non si sarebbe mai aspettata. Thriller-noir psicologico dalla suspense mozzafiato, PRIMA CHE BRAMI è il libro #3 in una nuova, avvincente serie – con un nuovo, irresistibile personaggio – che vi terrà incollati alle pagine fino a tarda notte. Il libro#4 della serie I Misteri di Mackenzie White sarà presto disponibile. Di Blake Pierce è anche disponibile il best-seller IL KILLER DELLA ROSA (Un Mistero di Riley Paige – Libro #1) !

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