Книга - Prima Che Faccia Del Male

a
A

Prima Che Faccia Del Male
Blake Pierce


Un Mistero di Mackenzie White #14
Da Blake Pierce, autore di successo del libro IL KILLER DELLA ROSA (un best-seller con più di 1200 recensioni da cinque stelle), è in arrivo il volume #14 della serie di gialli mozzafiato di Mackenzie White.



PRIMA CHE FACCIA DEL MALE è il volume #14 nella serie dei misteri di Mackenzie White, che inizia con PRIMA CHE UCCIDA (Libro #1), un best-seller con più di 600 recensioni da cinque stelle che potete scaricare gratuitamente.



Delle giovani donne appartenenti a una comunità di poligami fondamentalisti vengono trovate morte nello Utah. Riuscirà Mackenzie White a penetrare i loro ranghi serrati per scoprire chi potesse volerle morte? E sarà in grado di entrare nella mente del killer per fermarlo prima che sia troppo tardi?



Thriller-noir psicologico dalla suspense mozzafiato, PRIMA CHE FACCIA DEL MALE è il libro #14 in una nuova, avvincente serie—con un nuovo, irresistibile personaggio— che vi terrà incollati alle pagine fino a tarda notte.





Blake Pierce

PRIMA CHE FACCIA DEL MALE




P R I M A   C H E   F A C C I A   D E L   M A L E




(UN MISTERO DI MACKENZIE WHITE – LIBRO 14)




B L A K E   P I E R C E




TRADUZIONE DI


VALENTINA SALA



Blake Pierce

Blake Pierce è l’autore statunitense oggi campione d’incassi della serie thriller RILEY PAGE, che include diciassette. Blake Pierce è anche l’autore della serie mistery MACKENZIE WHITE che comprende quattordici libri; della serie mistery AVERY BLACK che comprende sei libri;  della serie mistery KERI LOCKE che comprende cinque libri; della serie mistery GLI INIZI DI RILEY PAIGE che comprende cinque libri; della serie mistery KATE WISE che comprende sette libri; dell’emozionante mistery psicologico CHLOE FINE che comprende sei libri; dell’emozionante serie thriller psicologico JESSE HUNT che comprende sette libri (e altri in arrivo); della seria thriller psicologico RAGAZZA ALLA PARI, che comprende tre libri (e altri in arrivo); della serie mistery ZOE PRIME, che comprende tre libri (e altri in arrivo); della nuova seria thriller ADELE SHARP e della nuova serio di gialli VIAGGIO IN EUROPA.



Un avido lettore e da sempre amante dei generi mistery e thriller, Blake ama avere vostre notizie, quindi sentitevi liberi di visitare il suo sito www.blakepierceauthor.com (http://www.blakepierceauthor.com/) per saperne di più e restare informati.








Copyright © 2020 di Blake Pierce. Tutti i diritti riservati. Ad eccezione di quanto consentito dalla Legge sul Copyright degli Stati Uniti del 1976, nessuna parte di questa pubblicazione può essere riprodotta, distribuita o trasmessa in qualsiasi forma o con qualsiasi mezzo, né archiviata in un database o un sistema di recupero senza aver prima ottenuto il consenso dell’autore. La licenza di questo e–book è concessa solo ad uso personale. Questo e–book non può essere rivenduto o ceduto a terzi. Se si desidera condividere il libro con altre persone, si prega di acquistare una copia per ciascun destinatario. Se state leggendo questo libro senza averlo acquistato, oppure senza che qualcuno lo abbia acquistato per voi, siete pregati di restituire questa copia e acquistarne una. Vi ringraziamo per il rispetto nei confronti del lavoro dell’autore. Questa è un’opera di fantasia. Nomi, personaggi, aziende, società, luoghi, eventi e fatti sono frutto dell’immaginazione dell’autore, oppure sono utilizzati in modo fittizio. Qualsiasi somiglianza a persone reali, in vita o decedute, è puramente casuale. Copyright immagine di copertina Robsonphoto, concessa su licenza di Shutterstock.com.



LIBRI DI BLAKE PIERCE

LA SERIE THRILLER DI ADELE SHARP

NON RESTA CHE MORIRE (Libro #1)

NON RESTA CHE SCAPPARE (Libro #2)

NON RESTA CHE NASCONDERSI (Libro #3)



THRILLER DI ZOE PRIME

IL VOLTO DELLA MORTE (Volume#1)

IL VOLTO DELL’OMICIDIO (Volume #2)

IL VOLTO DELLA PAURA (Volume #3)



LA RAGAZZA ALLA PARI

QUASI SCOMPARSA (Libro #1)

QUASI PERDUTA (Libro #2)

QUASI MORTA (Libro #3)



THRILLER DI ZOE PRIME

IL VOLTO DELLA MORTE (Libro #1)

IL VOLTO DELL’OMICIDIO (Libro #2)

IL VOLTO DELLA PAURA (Libro #3)



I THRILLER PSICOLOGICI DI JESSIE HUNT

LA MOGLIE PERFETTA (Libro #1)

IL QUARTIERE PERFETTO (Libro #2)

LA CASA PERFETTA (Libro #3)

IL SORRISO PERFETTO (Libro #4)

LA BUGIA PERFETTA (Libro #5)

IL LOOK PERFETTO (Libro #6)



I GIALLI PSICOLOGICI DI CHLOE FINE

LA PORTA ACCANTO (Libro #1)

LA BUGIA DI UN VICINO (Libro #2)

VICOLO CIECO (Libro #3)

UN VICINO SILENZIOSO (Libro #4)

RITORNA A CASA (Libro #5)

FINESTRE OSCURATE (Libro #6)



I GIALLI DI KATE WISE

SE LEI SAPESSE (Libro #1)

SE LEI VEDESSE (Libro #2)

SE LEI SCAPPASSE (Libro #3)

SE LEI SI NASCONDESSE (Libro #4)

SE FOSSE FUGGITA (Libro #5)

SE LEI TEMESSE (Libro #6)

SE LEI UDISSE (Libro #7)



GLI INIZI DI RILEY PAIGE

LA PRIMA CACCIA (Libro #1)

IL KILLER PAGLIACCIO (Libro #2)

ADESCAMENTO (Libro #3)

CATTURA (Libro #4)

PERSECUZIONE (Libro #5)



I MISTERI DI RILEY PAIGE

IL KILLER DELLA ROSA (Libro #1)

IL SUSSURRATORE DELLE CATENE (Libro #2)

OSCURITA’ PERVERSA (Libro #3)

IL KILLER DELL’OROLOGIO (Libro #4)

KILLER PER CASO (Libro #5)

CORSA CONTRO LA FOLLIA (Libro #6)

MORTE AL COLLEGE (Libro #7)

UN CASO IRRISOLTO (Libro #8)

UN KILLER TRA I SOLDATI (Libro #9)

IN CERCA DI VENDETTA (Libro #10)

LA CLESSIDRA DEL KILLER (Libro #11)

MORTE SUI BINARI (Libro #12)

MARITI NEL MIRINO (Libro #13)

IL RISVEGLIO DEL KILLER (Libro #14)

IL TESTIMONE SILENZIOSO (Libro #15)

OMICIDI CASUALI (Libro #16)

IL KILLER DI HALLOWEEN (Libro #17)



UN RACCONTO BREVE DI RILEY PAIGE

UNA LEZIONE TORMENTATA



I MISTERI DI MACKENZIE WHITE

PRIMA CHE UCCIDA (Libro #1)

UNA NUOVA CHANCE (Libro #2)

PRIMA CHE BRAMI (Libro #3)

PRIMA CHE PRENDA (Libro #4)

PRIMA CHE ABBIA BISOGNO (Libro #5)

PRIMA CHE SENTA (Libro #6)

PRIMA CHE COMMETTA PECCATO (Libro #7)

PRIMA CHE DIA LA CACCIA (Libro #8)

PRIMA CHE AFFERRI LA PREDA (Libro #9)

PRIMA CHE ANELI (Libro #10)

PRIMA CHE FUGGA (Libro #11)

PRIMA CHE INVIDI (Libro #12)

PRIMA CHE INSEGUA (Libro #13)

PRIMA CHE FACCIA DEL MALE (Libro #14)



I MISTERI DI AVERY BLACK

UNA RAGIONE PER UCCIDERE (Libro #1)

UNA RAGIONE PER SCAPPARE (Libro #2)

UNA RAGIONE PER NASCONDERSI (Libro #3)

UNA RAGIONE PER TEMERE (Libro #4)

UNA RAGIONE PER SALVARSI (Libro #5)

UNA RAGIONE PER MORIRE (Libro #6)



I MISTERI DI KERI LOCKE

TRACCE DI MORTE (Libro #1)

TRACCE DI OMICIDIO (Libro #2)

TRACCE DI PECCATO (Libro #3)

TRACCE DI CRIMINE (Libro #4)

TRACCE DI SPERANZA (Libro #5)




CAPITOLO UNO


Praticamente scivolava ad ogni passo, con i piedi che slittavano nei sandali aperti mentre correva attraverso il campo fradicio. Era notte, ormai, e piccoli sbuffi di nebbia ricoprivano il terreno dove quel pomeriggio era caduta una pioggia leggera. Non sembrava nulla di che, ma lei non poté fare a meno di chiedersi se quel poco di umidità sotto i sandali sarebbe stata la causa della sua morte.

L'avevano trovata. Non aveva idea di come avessero fatto, ma l'avevano trovata.

L'unica possibilità che aveva di superare viva quella notte era arrivare da Amy. Secondo i suoi calcoli, aveva ancora circa tre chilometri da fare. Se fosse riuscita a superare quello stupido campo, il quartiere di Amy era a tre chilometri di distanza.

Irritata dal continuo scivolare, si fermò giusto il tempo necessario per togliersi i sandali. Se avesse avuto più tempo per prepararsi, si sarebbe messa le scarpe da ginnastica, ma era successo tutto così in fretta…

Tenne i sandali nella mano destra e riprese a correre. Era un po' più facile, ora, anche se i suoi piedi morbidi cominciarono a soffrire all'istante per il terreno duro sotto l'erba. Ignorò il dolore e corse più forte che poté. Doveva raggiungere Amy.

Guardò dietro di sé e vide solo il profilo irregolare del bosco, con gli alberi che si alzavano e si abbassavano nell'oscurità, come uno strano grafico. Se c'era qualcuno che la seguiva, non riusciva a vederlo. Ma non era così ingenua da pensare che non le fossero addosso. Sicuramente qualcuno la stava cercando, per assicurarsi che non lo raccontasse a nessuno.

Il campo terminò bruscamente e, all'improvviso, si ritrovò a saltare oltre un fosso e a imboccare una strada a due corsie. Quando atterrò sulla strada, sbandò leggermente, a causa dell'impatto dei suoi talloni sull'asfalto. Guardò alla sua destra e vide il bagliore dei lampioni in lontananza. Amy era lì, da qualche parte in mezzo a tutto quel bagliore. Questa consapevolezza le fece spingere ancora di più sulle gambe, anche se urlavano dal dolore per i diversi chilometri che aveva già percorso attraverso la foresta e i campi per arrivare lì.

Corse lungo la strada, immaginando che ci fosse almeno un chilometro tra lei e quelle luci splendenti. Pensò al suo cellulare, perso da qualche parte nella foresta, e pensò a quanto sarebbe stato facile chiamare. Avrebbe voluto piangere per la frustrazione.

Mentre correva, si concesse di piangere. Corse singhiozzando e gonfiando i polmoni per il suo prossimo respiro.

In qualche modo, arrivò nel quartiere. Le gambe le sembravano di gelatina ed era così a corto di fiato che vedeva piccoli fuochi d'artificio neri esplodere nel suo campo visivo. Ma andava bene così, perché c’era quasi. Sarebbe arrivata da Amy. Amy avrebbe saputo cosa fare. Non era sicura che valesse la pena provare a contattare la polizia, ma forse non importava. Tutto quello che doveva fare era mettersi in contatto con Amy. Quel pensiero era un sollievo.

Per poco non cominciò a gridare il nome di Amy, mentre si avvicinava a casa sua. Solo altre quattro o cinque case e sarebbe stata al sicuro. I lampioni erano piuttosto fiochi, a causa della foschia dovuta alla recente pioggia, e l'intero quartiere sembrava uscito da un film dell'orrore, ma la casa di Amy era lì da qualche parte come un faro.

Si stava concentrando così tanto sulla forma delle case che non sentì il rumore del motore dietro di lei. Quando finalmente sentì la macchina, si guardò alle spalle. Quando la vide lanciata verso di lei a fari spenti, cercò di scartare verso destra, ma non servì a molto.

L'auto la colpì violentemente sul fianco destro. Si sentì tutta intorpidita per un attimo, mentre faceva una mezza capriola a un metro di altezza. Ma il dolore si abbatté su di lei come una furia scatenata quando impattò contro l’asfalto. La testa rimbalzò contro il selciato e il mondo si fece tutto nero.

Per questo non riuscì a vedere il volto della persona che parcheggiò l'auto in mezzo alla strada, scese e le puntò un coltello contro.

Sapeva che le stava tagliando la gola, ma il dolore alla testa e alla schiena mascherò beatamente quel dolore.

La vita iniziò ad abbandonare il suo corpo mentre l'assassino tornava alla sua auto.

L'assassino e la macchina erano entrambi scomparsi quando lei esalò l'ultimo respiro sulla strada bagnata dalla pioggia.




CAPITOLO DUE


L'appartamento profumava di rosmarino e limone, mentre la cena cuoceva sui fornelli; la prima bottiglia di vino era stata aperta, e su Spotify c'era una canzone dei The Cure. A qualsiasi visitatore casuale, poteva sembrare che Mackenzie White stesse passando un pomeriggio splendido. Ma quello che non vedevano era la lotta interiore e l'ansia che le metteva i nervi e lo stomaco a dura prova.

Il pollo era pronto e gli asparagi erano nel forno. Mackenzie sorseggiò un bicchiere di vino rosso, cercando di trovare qualcosa da fare. Ellington era sul pavimento del soggiorno con Kevin, intento a leggergli un libro. Sollevò lo sguardo su di lei e alzò gli occhi al cielo. Quando arrivò a un punto della storia adatto per fermarsi, ovvero quando Poky il cagnolino era ancora una volta scivolato sotto il recinto, tirò su Kevin tra le braccia ed entrò in cucina.

"È solo tua madre" le disse. "Ti comporti come se stessimo per ricevere una visita dalla Finanza o qualcosa del genere."

"Tu non la conosci."

"Ti somiglia, per caso?"

"A parte la storia dell'abbandono, sì."

"Allora sono sicuro che sia a posto. Dimmi solo quanto fascino devo sfoderare."

"Non troppo. Non capirà le tue battute."

"Mi rimangio tutto, allora. Odio già quella donna." Baciò Kevin sulla fronte e scrollò le spalle. "Però ha il diritto di conoscere suo nipote. Non sei per niente contenta che voglia essere coinvolta?"

"Vorrei esserlo. Ma è difficile per me fidarmi di lei".

"Lo capisco. Neanch'io sono entusiasta quando si tratta di mia madre".

"Sì, ma almeno lei si è fatta viva quando hai avuto un figlio, no?"

"Questo sì. Ma non diamo per scontato che sia una cosa positiva. Potrebbero passare anni prima che ci rendiamo conto dell'impatto traumatico che questo ha avuto su Kevin".

"Non sto scherzando, E. Quella donna è tossica. È così…"

Lasciò la frase in sospeso, non sapendo come concluderla. Lei è così come? Egoista sarebbe stata una parola appropriata. Anche immatura. Quella donna si era essenzialmente chiusa in se stessa, dopo che il marito era stato ucciso e, di conseguenza, Mackenzie e sua sorella erano rimaste senza una grande figura materna.

"È tua madre" concluse Ellington. "E sono entusiasta di conoscerla."

"Ti ricorderò queste parole un'ora dopo il suo arrivo".

Si scambiarono un bacio ed Ellington tornò in salotto per continuare a leggere le disavventure di Poky il cagnolino. Mackenzie ascoltò mentre sorseggiava di nuovo il suo vino e cominciò ad apparecchiare la tavola. Diede un’occhiata all'orologio, notando che mancavano solo sei minuti all'arrivo di sua madre. Doveva ammettere che la cena aveva un profumo delizioso e Kevin era più adorabile che mai. Stava crescendo troppo, per i suoi gusti. Adesso si tirava su e se ne andava in giro; si aspettavano che da un giorno all'altro muovesse i primi passi.

Era un buon promemoria di quanto tempo era passato dall'ultima volta che aveva visto sua madre. Suo figlio stava per camminare e sua madre non aveva…

Un colpo alla porta interruppe i suoi pensieri. Lanciò a Ellington uno sguardo sorpreso, e per tutta risposta lui sorrise, riprese Kevin in braccio, e stese la mano libera verso di lei. Era da circa una settimana che si era tolto il gesso, ed era bello vederlo usare entrambe le braccia tranquillamente.

Lei prese la sua mano e lui la tirò a sé. "Ti ricordo che sai affrontare le persone peggiori che la nostra società ha da offrire. Sicuramente ce la puoi fare anche ad affrontare tutto questo".

Lei annuì e andarono insieme verso la porta. Quando la aprirono, Mackenzie dovette prendersi un momento per raccogliere i propri pensieri.

Sua madre era bellissima. Si era presa cura di se stessa, nei mesi passati dall'ultima volta che l'aveva vista; Mackenzie pensò che dovesse essere passato quasi un anno, ma non ne era del tutto sicura. Sembrava in salute e felice. I suoi capelli erano ben acconciati e sembrava più giovane di dieci anni rispetto ai suoi cinquantatré.

"Ciao, mamma. Mi sembri in forma".

"Anche tu." Spostò lo sguardo da Mackenzie a Ellington, che aveva Kevin in braccio. "Scusa. Non ci siamo ancora presentati ufficialmente".

Vedere sua madre e Ellington stringersi la mano fu oltremodo surreale. E quando Mackenzie vide Kevin studiare la strana donna sulla soglia di casa loro, il cuore le si strinse un po'. Aveva rivolto una specie di invito aperto a sua madre, poco meno di un anno prima, quando era andata in Nebraska a dirle che sarebbe diventata nonna. E le ci era voluto così tanto tempo per accettarlo. Almeno doveva riconoscerle che aveva rifiutato l'offerta di Mackenzie di pagare il biglietto aereo.

"Entra, mamma."

Patricia White entrò nell'appartamento di sua figlia come se stesse entrando in una specie di cattedrale, ovvero con riverenza e rispetto. Appena la porta si chiuse dietro di lei, guardò Kevin e poi, con le lacrime agli occhi, tornò a guardare Mackenzie.

"Posso tenerlo in braccio?"

"Sei sua nonna", disse Mackenzie. "Certo che puoi."

Quando Ellington le consegnò Kevin, lo fece senza alcuna esitazione. Guardava l'espressione di soggezione e gratitudine della suocera con la stessa attenzione di Mackenzie. Mentre Mackenzie era contenta di vedere sua madre tenere in braccio Kevin, c'era certamente qualcosa di surreale in tutto questo.

"Ti assomiglia tantissimo", disse Patricia a sua figlia.

"È una buona cosa" commentò Ellington con una risatina.

Mackenzie fece strada a sua madre in soggiorno. Si sedettero insieme, e Mackenzie ed Ellington si scambiarono un’occhiata mentre si sistemavano. Lo sguardo di Ellington sembrava comunicare te l'avevo detto, e Mackenzie replicò aggrottando le sopracciglia.

"Non hai già preso una stanza in hotel, vero?" Chiese Mackenzie.

"In realtà sì. Ho già lasciato lì la mia roba". Non staccò mai lo sguardo da Kevin mentre parlava. Mackenzie non era sicura di aver mai visto sua madre sorridere così tanto in vita sua.

"Non dovevi farlo, mamma. Ti ho detto che sei la benvenuta qui".

"Lo so", disse, distogliendo finalmente lo sguardo dal nipote mentre lo faceva saltellare sulle ginocchia. "Ma voi due avete entrambi un lavoro molto impegnativo e io non volevo essere d'intralcio. Inoltre, ho una vasca idromassaggio in camera per stasera, e un po' di visite turistiche in programma per domani. Non sono mai stata a Washington prima d'ora, quindi…".

Si interruppe, come se questo ponesse fine a tutta la conversazione. E per quanto riguardava Mackenzie, era così.

"Beh, la cena è quasi pronta", disse Mackenzie. "Ancora qualche minuto. La tavola è già apparecchiata, se vogliamo accomodarci".

E fu proprio quello che fecero. Patricia portò Kevin con sé, mentre Ellington avvicinava il seggiolone di Kevin al bordo del tavolo da pranzo. Mentre tutti si sistemavano, Ellington versò del vino per sé e per Patricia, mentre Mackenzie portava la cena in tavola poco a poco. Aveva sempre avuto un certo talento per la cucina, ma doveva attenersi alle cose semplici. Il menù di stasera prevedeva del semplice pollo al rosmarino e limone con patate e asparagi. Patricia parve sorpresa anche da questo.

"Sai cucinare?"

"Più o meno. Non sono eccezionale".

"Sta facendo la modesta", disse Ellington.

"Lo è sempre stata."

E così cominciò la cena. La conversazione fu un po' impacciata, ma non penosa. Ellington passò la maggior parte del tempo a parlare, facendo sapere a Patricia più cose su di lui: dove era cresciuto, da quanto tempo era un agente e la sua versione di come era iniziata la sua relazione con la figlia. Mackenzie rimase anche sorpresa di quanto fossero importanti per lei i complimenti della madre per la sua cucina. Per tutto il tempo, Kevin rimase seduto sul seggiolone, mangiando pezzettini di pollo che Mackenzie gli aveva tagliato. Stava diventando piuttosto bravo a mangiare da solo con le mani, ma una buona quantità di cibo finiva comunque sul pavimento.

Quando il piatto di tutti fu pulito e la bottiglia di vino vuota, Mackenzie si rese conto che c'era una buona probabilità che non sarebbe stato il disastro che temeva. A cena finita, Ellington sistemò Kevin e gli diede dello yogurt liquido, prima di sparecchiare. Mackenzie si sedette di fronte a sua madre mentre sentiva Ellington caricare la lavastoviglie in cucina.

"Immagino che tu non abbia parlato con tua sorella, ultimamente?" chiese Patricia.

"No. L'ultima volta che ci siamo parlate, hai detto che era a Los Angeles, giusto?"

"Sì, e se la situazione è cambiata, non mi ha contattata per dirmelo. Giuro che sembra ancora più distante, da quando hai chiuso il caso di vostro padre. Non ho mai capito come…"

Fu interrotta da qualcuno che bussava alla porta dell'appartamento… il che era singolare, perché era raro che lei ed Ellington ricevessero visite.

"Tesoro, puoi rispondere tu?" chiamò Ellington dalla cucina. "Sono immerso fino al gomito nei piatti sporchi".

"Un secondo, mamma", disse Mackenzie, alzandosi dal tavolo. Mentre passava, diede a Kevin un pizzicotto giocoso sul naso. Era sorpresa di quanto la visita della madre stesse andando bene. Forse poteva addirittura dire che le stava piacendo. Il pomeriggio stava andando straordinariamente bene.

Andò ad aprire la porta con passo più spensierato. Eppure, quando aprì, la spensieratezza svanì e la realtà tornò prepotentemente davanti a lei.

"Ciao, Mackenzie", disse la donna alla porta.

Mackenzie provò a sfoderare un sorriso finto che non le si addiceva affatto. "Ehi, E", gridò sopra le sue spalle. "C'è tua madre".




CAPITOLO TRE


Mackenzie onestamente non aveva nulla contro Frances Ellington. Era stata una specie di manna dal cielo quando Mackenzie era tornata al lavoro, facendosi avanti e badando a Kevin per loro. Inoltre, non guastava che Kevin amasse molto Nonna E. Ma l'idea di avere entrambe le nonne nello stesso posto e nello stesso momento era incredibilmente sconvolgente. Mackenzie sentiva di conoscere entrambe le donne abbastanza bene da sapere che era come spingere una polveriera giù da una collina verso un violento incendio.

Lentamente, timidamente, Mackenzie condusse Frances nella sala da pranzo. Nel momento in cui Kevin la vide, il suo viso si illuminò e spalancò le braccia. Dietro di loro, Ellington entrò nella stanza con un'espressione sbalordita.

"Mamma… cosa ci fai qui?"

"Ero nei paraggi e ho pensato di passare per portarvi fuori a cena, ma sembra che sia arrivata un po' tardi".

"Lo avresti saputo, se avessi chiamato".

Frances ignorò il figlio, vide Patricia seduta a tavola e sfoderò un enorme sorriso. "Sono Frances Ellington, a proposito".

"E io sono Patricia White. È un piacere conoscerti."

Ci fu un silenzio incredibilmente teso, che tutti potevano percepire. Sembrò che persino Kevin fosse rimasto sconcertato, guardandosi intorno per vedere se qualcosa non andasse. I suoi occhi si posarono infine su Mackenzie e quando lei gli fece un gran sorriso, per lui quella sembrò la fine della questione.

"Beh, visto che siamo tutti qui, tanto vale che tiri fuori il dolce", disse Ellington. "Non è molto, solo una torta gelato che ieri al supermercato mi ispirava".

"Perfetto", disse Frances mentre si sedeva sulla sedia accanto a Kevin. Kevin le rivolse la sua totale attenzione, la nuova nonna ormai completamente dimenticata.

"Frances ce lo tiene d'occhio di tanto in tanto", spiegò Mackenzie a sua madre. Sperava che quella semplice affermazione fosse innocua, perché all'orecchio di Mackenzie sembrava quasi un'accusa. Lo tiene perché lei ha scelto di far parte della sua vita fin dall'inizio. Così suonava a Mackenzie.

Ellington portò la torta e iniziò ad affettarla. Quando ne diede un pezzetto a Kevin, lui reagì sbattendo prontamente la mano sulla torta e ridacchiando. Questo suscitò la risata di entrambe le nonne, il che, a sua volta, provocò un altro attacco alla torta da parte di Kevin.

"Ehi, un momento!" esclamò Patricia. "Non è troppo piccolo per una torta del genere?"

"No" replicò Mackenzie. "Kevin ama il gelato".

"Non ricordo di averti mai dato un gelato a quell'età."

Mackenzie pensò, anche se non osava dirlo a voce: Mi sorprende che ricordi qualcosa della mia infanzia.

"Oh sì", disse Frances. "Ama soprattutto il gelato alla fragola. Ma non il cioccolato. Dovresti vedere le facce schifate che fa questo ometto quando assaggia qualcosa al cioccolato".

Mackenzie guardò il volto di sua madre e vide il fantasma della donna che era stata un tempo. In volto le si leggevano delusione e imbarazzo. Raddrizzò subito la postura, mettendosi sulla difensiva, e Mackenzie capì immediatamente che le cose si sarebbero complicate se avessero proseguito su quella strada.

"Non preoccuparti, però, mamma. Mangia anche un sacco di cose genuine".

"Non lo stavo mettendo in dubbio, ero solo… curiosa. È passato un po' di tempo da quando ho cresciuto un bambino…"

"Non è strano?" disse Frances. "Pensi di aver chiuso con la magia dei bambini quando i tuoi escono di casa e poi… bam! Sei nonna".

"Immagino di sì", disse Patricia, guardando Kevin. Allungò una mano e lui la afferrò, ricoprendole il dito di gelato alla vaniglia.

"Come vedi," proseguì Frances, "è anche bravo a condividere".

Patricia ridacchiò, guadagnandosi un gran sorriso da parte di Kevin. Mackenzie vide le lacrime negli occhi di sua madre, ma continuava a ridere. E quando la sua risata si fece ancora più acuta, Kevin si mise a ridere insieme a lei, come se si fossero appena raccontati una barzelletta.

"Immagino che abbia preso il senso dell'umorismo dalla tua parte della famiglia", disse Frances. "I miei figli non hanno mai amato molto ridere".

"Ehi" saltò su Ellington. "Si dà il caso che molte persone pensino che io sia divertente! Vero, Mac?"

"Non saprei. Ne ho mai conosciuta qualcuna?"

Lui alzò gli occhi al cielo, mentre le loro madri ridevano a sue spese. Kevin si unì di nuovo all'ilarità degli ospiti, continuando a schiaffeggiare la torta gelato mentre se ne ficcava un po' in bocca.

È come una zona grigia, pensò Mackenzie mentre osservava la scena. Le loro madri stavano andando d'accordo. E non era qualcosa di forzato. Certo, erano stati solo pochi momenti, ma sembrava una cosa naturale. Sembrava una cosa bella.

Era sicura di stare fissando le due donne, ma non poteva farne a meno. E chissà per quanto tempo avrebbe continuato a fissarle, se il telefono non avesse squillato, interrompendo le sue riflessioni. Colse al volo l'occasione per allontanarsi dalla tavola, correndo verso il telefono sul bancone della cucina senza nemmeno chiedersi chi potesse essere.

Tutto cambiò quando vide il nome del direttore McGrath sul display. Erano le cinque del pomeriggio passate e, ogni volta che McGrath chiamava a quell'ora, di solito significava che la aspettavano giorni impegnativi. Alzò il telefono e guardò attraverso l'ingresso della sala da pranzo, sperando di incrociare lo sguardo di Ellington. Lui però stava parlando con sua madre, pulendo un po' di gelato dalle mani e dal viso di Kevin.

"Sono l'agente White."

"Ehi, White". La voce di McGrath era cupa come sempre. Era difficile distinguere il suo stato d'animo da quelle due semplici parole. "Credo di avere un caso che potrebbe essere fatto su misura per voi. Però sarebbe una cosa un po' precipitosa. Dovreste prepararvi stasera e prendere un aereo domattina presto, diretti nello Utah".

"Va bene, ma perché non ci sono agenti locali che se ne occupino?"

"È una circostanza speciale. Vi spiegherò tutto quando arriverete nel mio ufficio. Quando potete arrivare, lei ed Ellington?"

Era un po' delusa da se stessa per essere così sollevata di avere una via di fuga facile, una scusa valida per allontanarsi da quella situazione strana con sua madre e Frances.

"A dire il vero, molto presto. Al momento si può dire che non abbiamo problemi di babysitter."

"Eccellente. Tra mezz'ora va bene?"

"È perfetto." Terminò la chiamata e poi, fissando ancora la sala da pranzo e cercando di dare un senso a tutto quello, chiamò: "Ehi, E? Puoi venire qui un secondo?"

Forse fu il tono della sua voce, o la semplice deduzione che nessuno li chiamava mai se non le persone con cui lavoravano, ma Ellington arrivò subito, con un sorriso sulle labbra.

"Lavoro?"

"Sì".

"Fantastico. Perché, francamente, qualsiasi cosa stia succedendo di là è proprio strana".

"Vero?"

Poi, come a sottolineare il tutto, entrambe le madri si misero a ridere per qualcosa in sala da pranzo, subito seguite dalle risate vivaci del nipotino.




CAPITOLO QUATTRO


Nonostante fosse strano lasciare Kevin con entrambe le nonne, Mackenzie non poteva negare che le faceva piacere sapere che sua madre stava finalmente passando un po' di tempo con suo nipote. L'unica sua paura era che il lato testardo e piuttosto egoista della madre sarebbe saltato fuori e si sarebbe messa sulla difensiva appena avesse capito che Kevin e Frances avevano già formato una sorta di legame. Mentre lei e Ellington si facevano strada tra le sale vuote del quartier generale dell'FBI verso l'ufficio di McGrath, Mackenzie rifletteva su quanto fosse sbalorditivo che non ci fossero state difficoltà per la situazione attuale.

Quando entrarono, capirono che McGrath aveva concluso la giornata lavorativa. Stava sistemando alcune cartelle nella sua valigetta e sembrava essere di umore piuttosto allegro.

"Grazie per essere venuti con così poco preavviso."

"Nessun problema", disse Ellington. "In realtà, ci ha fatto una specie di favore".

"Ah, davvero?"

"Questioni di parentado", disse Mackenzie.

"Non sono affari miei, allora. Quindi sarò breve e conciso. Abbiamo una donna morta nello Utah. Il bureau è stato chiamato in causa perché, per quanto ne sanno le forze dell'ordine locali, la donna non è identificabile. Nessun documento, nessun numero di previdenza sociale, nessun certificato di nascita, nessun indirizzo conosciuto, niente".

"E perché chiamare agenti da Washington per gestire le indagini, piuttosto che agenti sul campo a Salt Lake City?" Chiese Mackenzie.

"Non conosco tutti i dettagli, ma l'ufficio operativo laggiù è un po' in difficoltà. A causa di alcune questioni passate con certi soggetti protetti, la sede di Salt Lake City deve essere incredibilmente attenta a come gestisce le indagini nella zona".

"È piuttosto vago" commentò Ellington.

"Beh, è tutto quello che ho per voi al momento. Posso anche aggiungere che esisteva un conflitto di interessi e che, dopo che la questione è finita in tribunale, il Bureau ne è uscito male. Così i capi di Salt Lake City ci hanno chiamato oggi per sapere se potevamo mandare degli agenti di Washington a investigare con discrezione. E, data la natura dell'omicidio, mi è sembrata una cosa che voi due potreste risolvere piuttosto facilmente. Andate laggiù, scoprite chi è e chi l'ha uccisa. E perché. Poi passate il caso alla polizia locale e tornate a casa".

"E qual è la natura dell'omicidio?" volle sapere Ellington.

"Vi farò mandare via e-mail i rapporti completi. Ma sembra che questa giovane donna stesse scappando da qualcuno a notte fonda. L'ipotesi più plausibile è che sia stata investita da un veicolo mentre scappava e che poi le sia stata tagliata la gola. Aveva anche una striscia di nastro adesivo sulla bocca, ma il medico legale pensa che sia stato messo dopo la morte".

Mackenzie rifletté che era proprio un caso adatto a loro. Non sapeva bene come sentirsi a riguardo.

"Quando vuole che partiamo?" Chiese Ellington.

"C'è un volo prenotato per entrambi alle cinque e quindici di domani mattina. Vorrei che lo prendeste e che foste sulla scena del crimine entro domani a mezzogiorno. So che la custodia di vostro figlio potrebbe essere un problema, per un caso come questo, ma…".

"Per una volta, penso che abbiamo già risolto" replicò Ellington.

"Aspetta, non so se…"

"È la storia del parentado a cui accennavate?" fece McGrath. Aveva finito di raccogliere le sue cose, e guardava con impazienza la porta.

"Sì, signore".

"Come ho detto prima, allora, non sono affari miei. Se avete un problemi con la custodia del bambino e solo uno di voi può partire, fatemelo sapere".

E, detto questo, indicò loro la porta.


***

"Sarò sincera", disse Mackenzie tornando all'appartamento. "Non ero troppo a mio agio all' idea che tua madre tenesse Kevin l'ultima volta che ci siamo occupati di un caso. Per qualche ora, d'accordo. Mi sta bene. Ma per diversi giorni…"

"Oh, ti capisco. Ma, visto che stiamo parlando francamente, neanche il pensiero di lasciarlo con tua madre per qualche giorno mi fa stare tranquillo".

"Oh Dio, no."

"Se ti dà fastidio l'idea che mia madre lo tenga, posso fare il marito premuroso e restare a casa. Sembra un caso piuttosto semplice e…"

"No. McGrath in realtà ha chiesto ad entrambi di occuparcene. Come una squadra. Tre mesi fa, pensava che lasciarci in coppia fosse una cattiva idea, quindi forse stiamo facendo qualcosa di giusto. Se ci sta dando questa possibilità, penso che dobbiamo coglierla".

"Sono d'accordo."

"Allora, cosa facciamo?"

Per un momento rimasero in silenzio, poi Ellington parlò. Quando lo fece, parlò lentamente, come per assicurarsi di usare le parole giuste o forse per essere convinto di quello che stava per dire. "Quali sono le probabilità che siano qui nello stesso momento? Davvero, pensaci. Le probabilità sono incredibilmente scarse. E se nessuno di noi due si fida delle nostre madri prese singolarmente…"

"Intendi dire che vuoi che facciano da babysitter in coppia?"

"Potrebbe funzionare. Hai visto come andavano d'accordo. E cielo, Kevin sembrava che fosse nel paradiso delle nonne".

"Tua madre si offenderà?"

"Ne dubito. La tua?"

"No. Accidenti, sarà lusingata che io le chieda una cosa del genere. Hai visto la sua espressione quando le ho detto che io e te dovevamo andare a un incontro veloce e che ci saremmo fidati che lo tenessero d'occhio loro?"

"Sì, l'ho notata." Ci pensò per un po', mentre giungevano all'incrocio dove avrebbero girato a sinistra per raggiungere il loro appartamento. "Allora… se vediamo che la casa non è andata a fuoco, vogliamo chiederlo a tutte e due?”

Mackenzie andò nel panico al pensiero, solo per un istante. Ricordava il breve incontro che aveva avuto con sua madre mesi prima – come sua madre avesse finalmente iniziato a rimettersi in piedi e ad agire in modo responsabile. Forse la sua visita e il desiderio di vedere finalmente suo nipote erano stati il punto di svolta. E se Mackenzie poteva fare in modo che la madre continuasse a muoversi nella giusta direzione, non spettava a lei, in quanto figlia, assicurarsi che ciò accadesse? Certamente, un paio di giorni con il nipotino di tredici mesi sarebbero stati d'aiuto.

Mentre salivano sull'ascensore del loro palazzo, Mackenzie prese la mano di Ellington. "A te sta bene? Sei sicuro?"

Lui fece un'espressione confusa, annuendo. "Sì. So che è strano, ma ne sono sicuro. Penso che andrà tutto bene. Tu?"

"Anch'io."

Entrarono nell'appartamento, di ritorno dopo circa ottanta minuti da quando se n'erano andati. Trovarono Frances che puliva il bancone della cucina mentre Patricia era seduta sul pavimento a giocare con Kevin. Al momento stavano giocando con la Ruota Parlante degli Animali, uno dei suoi giocattoli preferiti. Vedere sua madre sul pavimento che giocava con lui le riscaldò il cuore in un modo che non si aspettava. Diede una spintarella a Ellington appena varcata la porta, indicando che doveva essere lui a parlare.

"Allora… mamma? Signora White?"

"Oh, no, chiamami Patricia, ti prego."

"Ok… Mamma e Patricia. Allora, Mackenzie ed io abbiamo appena avuto l'opportunità di lavorare insieme su un caso. L'abbiamo già fatto, naturalmente, ma da quando ci siamo sposati, il Bureau è sempre stato un po' restio ad assegnarci casi in coppia. Ma stavolta è quello che ci è stato chiesto".

"Beh, è meraviglioso" disse Frances.

"Lo è. Solo che il caso è nello Utah. E dobbiamo essere su un aereo verso le cinque del mattino".

Patricia sollevò lo sguardo su di loro per la prima volta da quando erano entrati; la sua attenzione era rimasta per tutto il tempo su Kevin. "Si tratta di qualcosa di pericoloso?"

"Non più del solito", disse Mackenzie. "Ma ne stiamo parlando ad entrambe perché sappiamo quanto sia insolito che siate entrambe qui. Quindi, mamma… avevi programmato di rimanere in città per due giorni, giusto?"

"Sì, proprio così."

"E tu", disse Ellington, rivolto a sua madre, "ti sei presentata senza preavviso, il che mi fa pensare che tu non abbia impegni nell'immediato. Ci ho visto giusto?"

"Avevo previsto di tornare a casa domani, ma non ho nessun impegno, no".

"Mamma, c'è la possibilità di disdire la tua prenotazione in hotel e ottenere un rimborso?"

Patricia sembrò capire dove volesse andare a parare. Guardò Kevin con un sorriso smagliante, poi tornò a guardare la figlia con un po' di apprensione. "Mackenzie… non saprei. Naturalmente voglio farlo. Certo che lo voglio. Ma tu sei sicura?"

"Ci sareste entrambe", disse Mackenzie. "Se Frances se la sente. Due o tre giorni al massimo, credo. Siete d'accordo tutte e due?"

Le lacrime che spuntarono dagli occhi di sua madre erano la risposta di cui Mackenzie aveva bisogno. Eppure, Patricia annuì e si alzò in piedi. Quando si avvicinò e abbracciò sua figlia, Mackenzie a stento sapeva cosa fare. Ricambiò il gesto, senza capire bene cosa significasse il fatto che sembrasse un po' forzato e impacciato. Era davvero passato così tanto tempo da quando si erano abbracciate spinte dalle emozioni, piuttosto che da una esigenza sociale?

"Contate anche su di me", disse Frances. "Ho solo vestiti a sufficienza per un giorno o due, ma posso fare il bucato".

"Mackenzie, non so nemmeno da dove cominciare" disse Patricia. "È passato così tanto tempo da quando mi sono presa cura di un bambino e…"

"È come andare in bicicletta", le assicurò Frances. “E il piccolo Kevin è un angelo. Non dà affatto problemi".

"E vi lasceremo scritti i suoi orari" aggiunse Mackenzie.

"Oltre ai numeri del medico, dei vigili del fuoco e del centro antiveleni" scherzò Ellington.

Quando nessuno rise, fece una smorfia e uscì lentamente dalla stanza. Kevin, seduto sul pavimento, fu l'unico a reagire, allungando il collo per vedere dove stava andando il suo papà.

"Pensi di potercela fare, piccolino?" Chiese Mackenzie, chinandosi al suo livello.

L'unica risposta fu il suo solito sorriso e i suoi occhioni luminosi che guardavano la madre e le due donne più anziane dietro di lei.




CAPITOLO CINQUE


A metà del loro volo verso lo Utah, Mackenzie era alla seconda tazza del caffè amaro offerto dalla compagnia aerea, quando i primi segnali di preoccupazione iniziarono a manifestarsi. Guardò nel finestrino la luce dell'alba all'orizzonte, poi si voltò verso Ellington.

"Ti senti ancora tranquillo?"

"Io sì. Perché? Stai cambiando idea?"

"No. È solo che conosco mia madre. Voglio dire, è evidente che sta cambiando la sua vita in meglio e spero che passare un po' di tempo con Kevin contribuisca ad accelerare questi cambiamenti. Ma la conosco. So quanto può essere testarda. So quanto può mettersi sulla difensiva. Non posso fare a meno di chiedermi se le la convivenza tra le nostre madri finirà per trasformarsi in un incontro di wrestling".

"Basta che tengano Kevin al sicuro, e a me sta bene. A proposito, io scommetterei su tua madre".

Mackenzie capiva che era un po' preoccupato, ma stava cercando di fare il marito forte su cui lei potesse contare. Durante il loro matrimonio e gli anni di convivenza, lui aveva imparato quando assumere quel ruolo e quando fare un passo indietro e lasciare che fosse lei quella forte. Stava diventando molto bravo a fare entrambe le cose e sapeva quale ruolo ricoprire al momento opportuno. Mackenzie sospirò, si voltò a guardare fuori dal finestrino e gli prese la mano.

"Ehi, Mac? Va tutto bene, davvero. Andrà tutto bene. Questo fa parte dell'essere una famiglia, sai? Suoceri, parenti, tutto quanto."

"Lo so. Ma oggi è mia madre. E se domani all'improvviso mia sorella volesse mettersi a fare la zia?"

"Allora dovresti lasciarla fare. O, almeno, lasciarla provare".

"Oh, ma tu non conosci Stephanie…"

"E non conoscevo tua madre, fino a ieri. Eppure eccoci qui, in cielo, mentre lei e mia madre sono giù, a prendersi cura di nostro figlio. Posso dirti una cosa in tutta onestà…?"

"Certo."

"Penso che tu sia preoccupata perché non sei preoccupata. Tu ed io siamo stati entrambi sconvolti da quanto sia stato naturale. Forse dobbiamo solo andare avanti e concentrarci su questo caso. Le nostre madri ci hanno cresciuti e alla fine siamo venuti su bene".

"Sicuro?" fece lei con un sorrisetto.

"Beh, abbastanza bene".

Mackenzie continuò a sorseggiare il suo caffè e fece esattamente quello che aveva suggerito Ellington, allontanando i suoi pensieri dalla situazione sorprendente che avevano lasciato a casa e rivolgendoli al caso.


***

Noleggiarono un'auto e percorsero venticinque chilometri fuori da Salt Lake City, con l'obiettivo di battere di quasi un'ora la previsione di McGrath, che aveva previsto il loro arrivo a mezzogiorno. Il paese dove la donna senza identità era stata uccisa era un grazioso posticino chiamato Fellsburg. Era una cittadina piuttosto elegante, probabilmente il tipo di città che prosperava solo perché era così vicina a Salt Lake City. Mackenzie immaginava che quasi tutti gli abitanti facessero i pendolari ogni giorno, lavorando in città e poi tornando a casa in uno dei numerosi quartieri di Fellsburg.

Seguendo le annotazioni e le istruzioni contenute nelle informazioni inviate via e-mail da McGrath, Ellington guidò fino a un quartiere chiamato Plainsview. Aveva lo stesso aspetto degli altri due quartieri che avevano dovuto attraversare per arrivarci: case a due piani che sembravano fatte con lo stampino, giardini ben curati, lampioni ogni trenta metri.

Ma non dovettero avventurarsi molto lontano, a Plainsview. Dopo appena quattro case, videro un'auto della polizia parcheggiata sul lato della strada. Era l'agente con il quale Mackenzie aveva organizzato l'incontro quando aveva chiamato dall'aeroporto per annunciare il loro arrivo. Stava già scendendo dalla sua auto di pattuglia, quando Ellington accostò dietro di lui.

I tre si incontrarono tra le auto, facendo un giro di presentazioni. Il distintivo e la spilla che indossava sul petto indicavano che si trattava dello Sceriffo Burke.

"Agenti", disse Burke. "Grazie per essere venuti. Sono lo sceriffo Declan Burke."

Mackenzie ed Ellington gli diedero i loro nomi, stringendogli la mano. Mackenzie supponeva che Burke avesse una cinquantina d’anni. Aveva una folta barba che aveva bisogno di una spuntatina e un viso duro. Gli occhi erano nascosti dietro un paio di occhiali da sole modello aviatore, anche se la mattinata non era affatto luminosa.

"È qui che è stato scoperto il corpo?" Chiese Mackenzie.

"È così. Proprio lì". Burke indicò un punto leggermente a destra del centro della carreggiata.

"Secondo il rapporto, non aveva niente con sé, tranne la patente di guida, giusto?"

"Quella, e un paio di sandali. Erano bagnati dalla poca pioggia che c'era stata quel giorno. Ma non li aveva ai piedi, i sandali. All'inizio ho pensato che li avesse persi nell'impatto con la macchina, ma il medico legale mi ha fatto notare che aveva dei tagli e delle abrasioni ai piedi che suggerivano che se li era tolti nella speranza di correre più veloce".

"Ha idea di quanto abbia corso?" Chiese Ellington.

"Non ne siamo molto sicuri. C'è un campo, a circa due chilometri e mezzo da qui, che presenta segni del passaggio di qualcuno quella stessa notte. Ma con tutte quelle erbacce è impossibile dire con certezza se si trattasse di questa donna – o di un essere umano. Potrebbe essere stato un cervo o qualcosa del genere".

"E nessuno ha visto niente da queste parti?" Chiese Mackenzie. Guardò le belle abitazioni in fondo alla strada, che saliva in una leggera pendenza. C'erano un sacco di lampioni. Era difficile credere che nessuno avesse visto niente.

"Io e i miei uomini abbiamo interrogato tutti i proprietari che abitano su questa strada. Una persona che era ancora sveglia sostiene di aver visto una vecchia auto attraversare il quartiere con i fari spenti. Ma non ha preso il numero di targa".

"E la ragazza?" disse Ellington. "Non si sa nulla della sua identità?"

"Non abbiamo scoperto niente. La patente di guida era falsa. E anche dannatamente credibile. Naturalmente le abbiamo preso le impronte digitali e le abbiamo prelevato il sangue. Non corrispondono a nessuno nel sistema."

"Non ha senso", commentò Ellington.

"Ed è per questo che vi abbiamo chiamati. Avete visto le foto del corpo sulla scena, presumo?"

"Sì", disse Mackenzie. "Nastro adesivo nero sulla bocca". Il medico legale ritiene che sia stato messo dopo la morte".

"È così. Abbiamo controllato il nastro in cerca di impronte, ma non abbiamo trovato nulla".

Mackenzie aveva studiato per un po' quella striscia di nastro adesivo nelle fotografie, la sera prima e quella mattina sull'aereo. Riteneva che potesse essere simbolica, un modo per l'assassino di far sapere alla donna che anche da morta doveva stare zitta. Ma perché? Che cosa aveva da dire?

"Senza un'identità, immagino che sia stato praticamente impossibile individuare amici o familiari", disse Ellington.

"Esatto. Non abbiamo niente. Quindi ora vi passo volentieri il testimone. Volete che faccia qualcosa per voi?"

"In realtà, sì", disse Mackenzie. "Non sono state trovate impronte sulla patente di guida?"

"Solo quelle della ragazza."

"Com'è il laboratorio della scientifica della vostra stazione di polizia?"

"Non certo all'avanguardia, ma è migliore rispetto a quelli della maggior parte delle città di queste dimensioni".

"Chieda a quelli della scientifica di esaminare meglio quella patente. Devono controllarla al microscopio con una luce ultravioletta. Alcuni falsari appongono una firma o un marchio sul loro lavoro. È sempre ben nascosto, ma a volte c'è. Una specie di dito medio rivolto a gente come noi".

"Lo farò", disse Burke. "C'è altro?"

Mackenzie stava per chiedere a Ellington cosa ne pensasse, ma fu interrotta dal suo cellulare. Era in modalità silenziosa, ma tutti potevano sentirlo vibrare da dentro la tasca della sua giacca. Si girò e tirò fuori il telefono dalla tasca. Era irritata e un po' allarmata nel vedere che era sua madre. Fu tentata di ignorare la chiamata, ma il pensiero che lei e Frances stessero badando a Kevin la spinse a rispondere.

Si allontanò di qualche passo e rispose, temendo già le notizie che l'attendevano.

"Ciao, mamma. Va tutto bene?"

"Sì, tutto va bene. Kevin sta benissimo".

"Allora perché hai chiamato? Lo sai che sono proprio all'inizio delle indagini, vero?"

"Certo. Ma voglio solo sapere una cosa. Frances è sempre così autoritaria?"

"Che cosa intendi dire?"

"Solo che è un po' prepotente. So che ha frequentato Kevin più di me, ma si comporta come se conoscesse ogni singolo dettaglio di lui, e mette in discussione tutto quello che faccio io".

"E mi chiami per questo?"

"Sì, mi dispiace, Mackenzie, io…"

"Siete entrambe donne adulte. Troverete un modo per lavorare insieme. Ora devo andare. Per favore, mamma… non chiamarmi più, a meno che non sia urgente".

"D'accordo." C'erano dolore e delusione nella sua voce, ma Mackenzie li ignorò.

Riagganciò e tornò da Ellington e Burke. Burke la guardò quasi in segno di scuse mentre tornava alla sua auto di pattuglia. "Stavo giusto dicendo al suo collega che abbiamo preparato un ufficio per voi alla stazione di polizia. Io devo occuparmi di qualcos'altro ora, ma voi accomodatevi pure. E non esitate a chiamarmi subito se salta fuori qualcosa di urgente".

Sembrava sollevato di uscire di scena, mentre saliva in macchina. Rivolse loro un rapido cenno prima di partire, lasciandoli a osservare il tratto di strada dove la donna misteriosa era stata uccisa.

"Chiamata importante?” Chiese Ellington.

"Era mia madre".

"Oh? Tutto bene?"

"Sì, mi ha chiamato solo per farmi sapere che l'incontro di wrestling è ufficialmente iniziato".




CAPITOLO SEI


La prima cosa che Mackenzie fece quando arrivarono alla centrale fu esaminare i documenti fisici per poter vedere le foto reali della scena del crimine, piuttosto che quelle digitali che erano state date a lei e a Ellington. Le distribuì sul grande tavolo che occupava quasi tutto il loro ufficio e si chinò sopra di esse per qualche istante. Mentre le studiava, Ellington cominciò a prendere appunti sul suo cellulare.

La ragazza era piuttosto giovane. Mackenzie dubitava che avesse più di vent'anni. Era bionda e aveva un viso che molti avrebbero considerato carino. Ma aveva qualcosa, visibile persino sul volto morto e senza emozioni, che dava a Mackenzie l’idea che potesse essere una ragazza scappata di casa o una vagabonda. Oppure che avesse subito un trauma di recente. Il pallore della sua pelle sembrava raccontare di una vita dura e pesante. “Nessuna identità", disse, parlando più a se stessa che a Ellington. "Mi chiedo se facesse parte della Protezione Testimoni".

"Protezione testimoni? È un’ipotesi azzardata. Soprattutto con una patente falsa".

"Beh, non ha documenti veri e propri e stava scappando da qualcuno. Se facesse parte della protezione testimoni e fosse stata in fuga, questo ci darebbe almeno un punto di partenza. Forse qualcuno del suo passato l'ha trovata".

"Ecco perché ti amo. Preferisci analizzare a fondo una teoria senza capo né coda, piuttosto che ammettere di non avere un punto di partenza".

"C'è sempre un punto di partenza", replicò Mackenzie, guardando ancora le foto. "È solo che a volte è proprio la parte più difficile".

Tirò fuori il cellulare, guardando alternativamente i suoi contatti e le foto della ragazza morta sul tavolo.

"Chi vuoi chiamare?"

"Mi farò mettere in contatto da Washington con l'ufficio degli US Marshals per vedere se mi possono procurare una lista".

Ellington, chiaramente sorpreso dalla sua idea, annuì comicamente. "Certo, buona fortuna".

Mentre rispondevano al telefono e la mettevano in attesa per poi metterla finalmente in comunicazione con l'ufficio dei Marshal, lei continuò a osservare le foto. Le ferite provocate dal veicolo che l'aveva colpita non erano lampanti nelle immagini, ma il netto taglio sulla gola era evidente. Il selciato nelle foto era leggermente bagnato e luccicante, rendendo quasi surreale il rosso scuro che le usciva dal collo.

"Sono il vice direttore Manning", disse una voce roca dall'altra parte del telefono. "Chi parla?”

"Sono l'agente speciale Mackenzie White, dell'FBI. Sto lavorando a un caso a Salt Lake City che credo possa coinvolgere una giovane donna della Protezione Testimoni. Non abbiamo nessun identificativo. Le sue impronte non sono in nessun database e la patente trovata sul suo corpo è contraffatta. Sto facendo un salto nel buio, sperando che sia nel vostro sistema".

"Agente White, sa che non posso darle l'identità delle persone coinvolte nel nostro programma. Significherebbe infrangere almeno una decina di leggi e normative".

"Ne sono consapevole. Ma se le mandassi una foto? Usando il riconoscimento facciale, forse potrebbe venirle in mente qualcosa e…".

"Mi perdoni, ma anche se sospetta solo che potrebbe essere parte della Protezione Testimoni, mandare una foto infrangerebbe ancora più regole".

"Dato che si tratta di una foto della scena del crimine, penso che sia lecito", sbottò Mackenzie. "È stata investita da un veicolo e poi le hanno tagliato la gola. Quindi non è che le manderei una foto frivola".

Manning emise un profondo sospiro che indicava che Mackenzie stava per ottenere ciò che voleva. "Mi mandi la foto e incaricherò qualcuno di eseguire una ricerca con il riconoscimento facciale. Naturalmente non posso promettere nulla. Ma vedrò cosa possiamo fare".

"Grazie".

"La contatteremo appena possibile". Le disse dove mandare la foto, poi riagganciò.

Ellington aveva esaminato il rapporto del medico legale mentre lei parlava con Manning. "Hai vinto tu, eh?"

"Avevi dei dubbi?"

Scosse la testa e le consegnò il rapporto del medico legale. "Questo è l'ultimo, fresco di stampa, di circa cinque ore fa. Interessante, non trovi?"

Mackenzie scorse il rapporto, tralasciando le parti più ovvie e arrivando agli aggiornamenti più recenti. Quello che trovò sembrava davvero interessante. Secondo gli ultimi aggiornamenti del coroner, sembrava che la vittima in passato avesse subito la rottura di diverse ossa che non erano guarite correttamente. Due costole, il polso sinistro e una frattura al braccio destro. Secondo gli appunti del medico legale, le ossa del polso sinistro sembravano non essere mai state correttamente sistemate.

"Pensi a maltrattamenti domestici?" Chiese Mackenzie.

"Stava scappando da qualcuno e aveva parecchie vecchie fratture non sistemate. Quindi sì… penso ad abusi domestici e forse anche qualcosa di più oscuro. Mi chiedo se magari sia stata tenuta prigioniera. Non aveva esattamente un aspetto sano. Secondo il rapporto, pesava solo cinquantadue chili. E poi il suo volto nelle foto… ha un che di… non so…".

"Temprato", completò Mackenzie per lui.

"Sì, è il termine giusto."

"Quindi forse era tenuta prigioniera ed è riuscita a scappare dal suo aguzzino. E quando l'ha raggiunta, ha pensato che sarebbe stato più facile ucciderla, piuttosto che catturarla di nuovo".

"Ma il fatto che il suo carceriere l'abbia uccisa così senza tanti problemi, significa che sapeva che non aveva un'identità".

Era una giusta osservazione, ed entrambi rimasero in silenzio per rimuginarci sopra individualmente. Mackenzie pensò a una ragazza che forse aveva attraversato un campo umido e poi si era messa a correre su una strada bagnata dalla pioggia. Era scalza, apparentemente con i sandali in mano. La scena presentava due interrogativi, ma non era sicura di quale fosse il più importante.

Il primo era: da cosa stava scappando?

Il secondo, riflettendoci, iniziava a sembrare più pressante. "Dove stava andando?” Mackenzie chiese ad alta voce. “Non può essere una coincidenza che abbia scelto quel quartiere. So che non ci sono prove che sia stata lei ad attraversare il campo, come ha spiegato lo sceriffo Burke, ma se fosse stata davvero lei? Avrebbe potuto andare in qualsiasi direzione e scegliere qualsiasi quartiere. Allora perché proprio quello?"

Ellington sorrise annuendo, cogliendo il motivo del suo entusiasmo. "Perché non andiamo a scoprirlo?"




CAPITOLO SETTE


Erano fortunati che fosse sabato e quasi tutte le auto del quartiere fossero parcheggiate nei vialetti o nei garage aperti. Arrivarono nel quartiere di Plainsview alle 15:10, e parcheggiarono nello stesso punto in cui avevano incontrato lo sceriffo Burke. Era un pomeriggio di marzo soleggiato, non esattamente freddo, ma certo nemmeno caldo. In ogni caso, Mackenzie non pensava che avrebbero avuto problemi a trovare persone con cui parlare.

"Tu prendi la destra, io la sinistra", disse Ellington mentre scendevano dall'auto.

Mackenzie annuì, consapevole che la maggior parte degli agenti in coppia sceglieva di non separarsi. Lei ed Ellington tuttavia si fidavano l'uno dell'altro a un livello tale da permettere un approccio di questo tipo. Non solo per il loro solido rapporto lavorativo, ma anche per il legame dato dal matrimonio. Si separarono senza tanto clamore e imboccarono i rispettivi lati della strada.

La prima casa dal lato di Mackenzie fu un gioco da ragazzi, dato che la madre e la figlia si trovavano nel giardino anteriore. La figlia doveva avere sei anni e pedalava su un triciclo su e giù per il marciapiede. La madre era seduta sul portico, intenta a guardare il cellulare. Quando Mackenzie si avvicinò, alzò lo sguardo e le rivolse un sorriso.

"Posso aiutarla?" chiese. Il suo tono indicava che non ne aveva alcuna intenzione, soprattutto se Mackenzie era lì per vendere qualcosa.

Mackenzie si allontanò un po' dalla bambina, prima di tirare fuori il distintivo e presentarsi. "Sono l'agente Mackenzie White, dell'FBI. Io e il mio partner stiamo perlustrando il quartiere per vedere se riusciamo a trovare qualche informazione sul pirata della strada di due notti fa".

"No. L'ho già detto ai poliziotti. Da quello che mi hanno detto, ritengono che l'incidente sia avvenuto dopo la mezzanotte, e a casa mia andiamo tutti a dormire entro le undici".

"Per caso sa chi ha trovato il corpo?"

"Non con certezza. Circolano voci di ogni tipo e non so a quali credere. Dopo un po', ho smesso di prestar loro attenzione, capisce?"

"Tra queste voci, qualcuna proviene da una persona che ritiene affidabile?"

"Temo di no".

"Beh, grazie per il suo tempo."

Si voltò e salutò la bambina con la mano, mentre si dirigeva verso la casa accanto. Bussò tre volte, senza però ricevere risposta. Ottenne lo stesso risultato alla terza casa. Alla quarta casa il risultato fu diverso. La porta fu aperta appena suonò il campanello.

Mackenzie si ritrovò di fronte una signora che doveva avere poco meno di sessant'anni. Aveva in mano un detergente per i vetri e un piumino per spolverare. Alle sue spalle si sentiva della musica rock anni Settanta; Peter Frampton, se la sorprendente conoscenza musicale di Mackenzie non sbagliava. Era stata chiaramente distolta dalle sue pulizie, ma salutò comunque Mackenzie con un sorriso.

"Mi dispiace di averla disturbata. Sono l'agente White, FBI". Mostrò il suo distintivo e la donna la fissò come se Mackenzie avesse appena eseguito un trucco di magia. "Sto perlustrando il quartiere in cerca di qualsiasi informazione utile sul pirata della strada che ha investito una ragazza su in questa strada due sere fa".

"Oh, certo", disse la donna. E così, le sue pulizie furono dimenticate. "Avete trovato il colpevole?"

"Non ancora. Per questo siamo qui, per cercare di trovare qualche pista. Per caso ha visto o sentito qualcosa, quella notte?"

"No. E credo che nessuno abbia visto o sentito qualcosa. E questa è la cosa più spaventosa".

"In che senso?"

"Beh, questo è un quartiere molto tranquillo. Ma siamo anche in mezzo al nulla. Certo, Salt Lake City è a meno di trenta chilometri di distanza, ma come può vedere, qui non si ha la sensazione di essere in una grande città".

"Che tipo di pettegolezzi circolano?"

"Nessuno, che io sappia. È una cosa troppo orribile per parlarne". Fece un passo oltre la porta, avvicinandosi a Mackenzie in modo da poter parlare in tono cospiratorio. "Ho la sensazione che quasi tutti in questo quartiere credano che, non parlandone, l'intera faccenda sparirà, che tutti se ne dimenticheranno".

Mackenzie annuì. Aveva lavorato a diversi casi in cittadine come quella. Tuttavia, sapeva anche che era proprio in piccole Comunità che le dicerie tendevano a piantare le proprie radici e a crescere.

Tuttavia, proseguendo lungo la strada, non era così sicura che fosse il caso di Plainsview. Aveva riscontrato due atteggiamenti principali tra i residenti: quelli che erano irritati dalla visita dell'FBI perché avevano già parlato con la polizia, e quelli che erano sinceramente preoccupati per il loro quartiere, ora che era coinvolto il Bureau.

L'ottava abitazione a cui giunse era piuttosto insignificante. Non c'erano fiori nelle aiuole, solo del terriccio ormai scolorito. Nonostante ci fossero dei mobili sul portico, erano in cattivo stato, una delle sedie ricoperta di ragnatele. Si trovava a due case di distanza dal primo incrocio del quartiere, e non spiccava molto, ma Mackenzie intuì che alcuni dei proprietari più anziani potessero disapprovare quella casa.

Bussò alla porta e sentì un leggero fruscio di passi all'interno. Passarono altri dieci secondi prima che qualcuno aprisse. La porta fu aperta solo di uno spiraglio.

Una giovane donna sbirciò fuori, scrutando Mackenzie con occhi scuri che suggerivano fosse una persona diffidente.

"Sì?" chiese la giovane donna.

Mackenzie mostrò il suo distintivo e il tesserino, riflettendo che quella ragazza le faceva una strana impressione. Tutti gli altri avevano spalancato la porta, mentre lei sembrava usare la sua come uno scudo. Forse faceva parte del gruppo di cittadini che aveva reagito con assoluto terrore davanti all'omicidio.

"Sono l'agente White, dell'FBI. Speravo di poter fare qualche domanda sull'investimento avvenuto qui due notti fa".

"A me?" chiese quella, confusa.

"No, non solo a te. Io e il mio partner stiamo andando porta a porta facendo domande a tutti i residenti. Scusa se te lo chiedo, ma mi sembri parecchio giovane. I tuoi genitori sono in casa?".

Un lampo di irritazione attraversò il volto della ragazza. "Ho vent'anni. Vivo qui con le mie due coinquiline."

"Oh, chiedo scusa. Allora… ricordi qualcosa di interessante di quella notte?"

"No, insomma, da quanto ho capito, è successo molto tardi. Di solito mi addormento alle dieci o alle undici".

"E non hai sentito niente?"

"No."

La ragazza continuava a non aprire la porta. Parlava anche abbastanza velocemente. Mackenzie non pensava che nascondesse qualcosa, ma si comportava in un modo che le dava da pensare.

"Come ti chiami?"

"Amy Campbell".

"Amy, le tue coinquiline sono in casa?"

"Una sì. L'altra è fuori a fare commissioni".

"Sai se hanno visto o sentito qualcosa di strano, la notte dell'incidente?"

"Non sanno niente. Ne abbiamo parlato tra noi, cercando di capirci qualcosa. Ma quella notte dormivamo tutte, alle dieci e mezza".

Mackenzie stava per chiedere di entrare in casa, ma decise di non farlo. Amy era chiaramente terrorizzata dalla situazione e non aveva senso peggiorare le cose. Mentre quel momento di tensione passò tra di loro, Mackenzie colse del movimento dietro ad Amy. Un'altra donna stava camminando lungo il corridoio, per poi girare a sinistra in un'altra stanza. Sembrava avere circa l'età di Amy e aveva un viso spigoloso. I suoi capelli, che sembravano castani, erano raccolti in uno chignon disordinato. Mackenzie era tentata di chiedere chi fosse, ma intuì che se l'avesse fatto, avrebbe potuto rovinare l'equilibrio che aveva costruito con Amy.

"Come hai saputo dell'omicidio?"

"Dalla polizia. Quella mattina sono passati, facendo esattamente quello che sta facendo lei ora".

"E hai detto loro esattamente quello che stai dicendo a me?"

"Sì, sinceramente non ho visto niente. Non ho sentito nulla. Vorrei potervi aiutare perché è terribile… ma stavo dormendo".

In quel commento Mackenzie percepì una certa emozione. Amy era triste, oppure disperata per qualcosa, il che aveva perfettamente senso, visto quello che era successo proprio nella sua strada appena due sere prima. Eppure, si comportava in modo molto più strano di chiunque altro con cui aveva parlato. Mackenzie infilò la mano nella tasca interna della giacca e tirò fuori uno dei suoi biglietti da visita. Quando lo consegnò ad Amy, la ragazza lo prese velocemente.

"Per favore, chiamami se a te o alle tue coinquiline viene in mente qualcosa, o se senti anche solo qualche vicino di casa parlare di qualcosa di strano. Puoi farlo?"

"Sì. Buona fortuna, agente."

Amy Campbell chiuse rapidamente la porta, lasciando Mackenzie da sola sul portico sudicio. Scese lentamente i gradini, riflettendo su alcune cose.

Una ventenne che prende in affitto una casa in un quartiere come questo… è un po' strano. Ma se ha dei coinquilini, potrebbe essere che siano studentesse universitarie di qualche college di Salt Lake City. Forse è una sistemazione più economica di un alloggio nel campus.

Anche se tutta la faccenda le sembrava un po' strana, dovette ricordare a se stessa che su quella strada era avvenuto un brutale omicidio. Le persone affrontavano la cosa in modo diverso, soprattutto ragazze in età universitaria che sapevano che la vittima aveva più o meno la loro età.

Mackenzie rifletteva su questa conclusione mentre tornava verso la strada. Così facendo, passò davanti a due macchine ferme sul vialetto asfaltato di Amy Campbell. Erano entrambe piuttosto vecchie, una delle quali era una Pontiac del 2005 che sembrava potesse sfasciarsi alla prima buca.

Prima di proseguire lungo la strada. Mackenzie prese il cellulare. Digitò il nome di Amy e l'indirizzo, nel caso le fosse servito in futuro. Era solo un'intuizione, ma il più delle volte le intuizioni di Mackenzie alla fine si rivelavano esatte.

Rimise il telefono in tasca e proseguì lungo la strada per bussare ad altre porte.




CAPITOLO OTTO


Otto minuti e tre case dopo, il viaggio di Mackenzie nel quartiere di Plainsview fu interrotto da una telefonata. All' altro capo del telefono era lo sceriffo Burke, con la voce in qualche modo più roca. Aveva una di quelle voci inespressive che rendevano praticamente impossibile capire di che umore fosse.

"Ho appena ricevuto una chiamata dal laboratorio della scientifica. Con la lampada a raggi UV non hanno trovato alcun tipo di firma nascosta. Ma hanno scoperto un'impronta parziale del pollice che non apparteneva alla ragazza".

"Ne è venuto fuori qualche risultato?"

"Sì, l'ho appena controllato. L'impronta appartiene a un tizio di nome Todd Thompson. Uno dei miei agenti sta effettuando una ricerca su di lui proprio ora".

"Quindi, nessuna firma… il che significa che ci sono buone possibilità che la patente sia stata rilasciata in modo regolare."

"Ma non ha comunque alcun senso. Il nome sulla patente non corrisponde a nessuno di quelli presenti nei nostri registri. Nemmeno le impronte digitali. Se la foto sulla patente non fosse praticamente identica a lei, direi che l'ha rubata da qualche parte".

"Suppongo che potremmo condurre una ricerca tra le donne che hanno denunciato la perdita del portafoglio o della patente nell'ultimo mese".

"L'abbiamo già fatto il primo giorno. Non è venuto fuori niente. Abbiamo anche cercato di… Aspetti, c'è l'agente con i risultati su Todd Thompson. La metto in vivavoce, agente White."

Ci fu un fruscio, un clic, e poi si udì un'altra voce. Era una voce femminile, severa come quella di Burke, ma con più emozione. Nel suo tono c'era eccitazione, perché forse sospettava che quello che stava per dire avrebbe potuto benissimo condurli verso la conclusione del caso.

"Una semplice ricerca nei registri statali mostra che Todd Thompson è originario di Salt Lake City. Ha cinquantatré anni e… senta questa, lavora alla motorizzazione".

Il collegamento con la motorizzazione sicuramente gettava nuova luce sulla strana patente di guida. Mackenzie poteva quasi sentire il rumore degli ingranaggi mettersi in moto nella sua testa, mentre ogni pezzo andava al suo posto.

"Ha il suo indirizzo di casa?"

"Sì. Esaminerò il rapporto e glielo invierò non appena riattacchiamo".

"Perfetto".

Finirono la telefonata e Mackenzie guardò in fondo alla strada, da dove era arrivata. Il luogo dell'omicidio non era più visibile, circa sei case più giù e in un altro isolato. Si guardò intorno e vide che Ellington era una casa davanti a lei. In quel momento stava parlando con un signore anziano davanti all'ingresso. Era abbastanza sicura che sarebbe stato più che felice di terminare quel giro porta a porta.

Si precipitò dall'altra parte della strada per dargli gli ultimi aggiornamenti, mentre una fredda brezza pomeridiana soffiava nel quartiere.


***

Secondo il rapporto che Burke e la sua agente avevano inviato, Todd Thompson aveva qualche piccolo precedente sulla sua fedina penale. Due multe per divieto di sosta non pagate (il che Mackenzie trovava alquanto buffo, considerato il suo mestiere), e una denuncia per furto con scasso di quasi trent'anni prima. A parte questo, Todd Thompson sembrava pulito. Eccetto per il fatto che l'impronta del suo pollice era stata rilevata sulla patente presumibilmente falsa di una donna che sembrava non avere un'identità.

Mackenzie raccontò tutto questo a Ellington mentre lui guidava verso la città. Gli raccontò anche il suo singolare incontro con Amy Campbell. A quanto pareva, era stata la visita più interessante tra le diciannove che avevano effettuato. Ellington era d'accordo che l'umore di Amy potesse essere semplicemente dovuto al fatto che una ragazza della sua età fosse stata uccisa a meno di trecento metri dalla porta di casa sua.

Mentre entravano in città diretti alla residenza di Todd Thompson, entrambi pensavano che quello avrebbe potuto essere l'incontro che avrebbe risolto il caso. Mackenzie non lo disse ad alta voce, ma era ansiosa di tornare a casa. Quella singola telefonata di sua madre l'aveva turbata più di quanto fosse disposta ad ammettere e si sentiva improvvisamente stupida a pensare che sua madre sarebbe stata in grado di occuparsi di un bambino senza mettersi al centro di tutto.

La notte iniziava a calare sulla città quando Ellington parcheggiò l'auto davanti al condominio di Thompson. Viveva in una delle zone più belle della città, e il palazzo si trovava su un angolo che si affacciava su un parchetto e su una piazza dove sembrava che nel fine settimana venissero allestiti mercati contadini e fiere dell'artigianato. Quando entrarono, alcuni venditori stavano finendo di imballare la merce al termine della giornata.

Quando Mackenzie bussò alla porta dell'appartamento al secondo piano, si chiese a quante porte avesse bussato quel giorno. Undici? Dodici? Non era sicura.

"Un minuto", disse un'allegra voce maschile dall'altra parte. Quando la porta finalmente si aprì, furono accolti non solo da un uomo afroamericano di mezza età, ma anche dal profumo di cibo thailandese.

"Lei è il signor Todd Thompson?" Chiese Ellington.

"Sono io", disse. All'inizio parve confuso, ma quando vide entrambi gli agenti prendere il distintivo, sul suo viso si diffuse la comprensione. Vedendo quell'espressione, Mackenzie si rese conto che il signor Thompson si aspettava questa visita da un bel po' di tempo.

"Siamo dell'FBI", disse Mackenzie. "Stiamo indagando sull'omicidio di una giovane donna a una trentina di chilometri a nord da qui. Dato che le sue impronte digitali sono state rilevate sulla sua patente, le sarei grato se ci facesse entrare".

Thompson annuì, si fece da parte e li fece entrare. Ora più che mai, Mackenzie fu certa che sapesse che quel giorno sarebbe arrivato. Stranamente, non sembrava spaventato più di tanto. A ulteriore conferma di questo, dopo aver chiuso la porta dietro di loro, Thompson andò immediatamente al tavolo della cucina e si sedette davanti al suo cibo da asporto thailandese.

"Mi perdoni se glielo dico," disse Mackenzie, "ma lei non sembra così sconvolto dal fatto che l'FBI si presenti alla sua porta".

"Con le prove che lei ha toccato la patente di una donna ora morta", aggiunse Ellington.

"Quando è stata uccisa?" Chiese Thompson. Sembrava triste, e il suo sguardo si fece sempre più distante, man mano che consumava la cena.

"Davvero non sa di chi stiamo parlando?".

"No, ma so delle patenti."

"Le patenti, al plurale?" Chiese Mackenzie.

Thompson prese un ultimo boccone, poi lasciò cadere la forchetta di plastica nel cibo e allontanò il piatto da sé. Fece un profondo sospiro e guardò gli agenti con occhi tristi. "Sì. Probabilmente ce ne sono un bel po' in giro".

"Le sue parole non hanno senso, signor Thompson", disse Mackenzie. "Perché non ci dice come mai l'impronta del suo pollice è apparsa sulla patente falsa di una donna morta?"

"Perché l'ho fatta io. Anche se quando le produco della polvere che in teoria dovrebbe evitare di lasciare le mie impronte digitali. Avete usato gli UV?"

"Esatto".

"Merda. Beh, sì… l'ho fatta io la patente."

"Alla motorizzazione, presumo?" Chiese Mackenzie.

"Sì".

"La ragazza l'ha pagata? Il nome sulla patente era Marjorie Hikkum".

"No, è sempre la stessa signora che mi paga".

Mackenzie cominciava ad irritarsi per il modo in cui Thompson spiegava le cose. A giudicare dal modo in cui Ellington serrava la mascella, anche lui si stava spazientendo.

"Signor Thompson, la prego di spiegarci di cosa diavolo sta parlando".

"Lo faccio da circa tre anni, ormai. Questa signora arriva, fa finta di avere bisogno di un consulto e mi passa del denaro. Cinquecento dollari per ogni documento. Una settimana dopo, le do quello che mi ha chiesto".

"Capisce quanto tutto ciò sia estremamente illegale, vero?" Chiese Ellington.

"Certo. Ma questa donna… sta cercando di fare del bene. Si procura quei documenti perché sta cercando di aiutare quelle ragazze".

"Quali ragazze?" chiese Ellington, quasi sbraitando.

Thompson li guardò, confuso. Ci mise un attimo a capire cosa stesse succedendo poi rivolse loro uno sguardo di scuse. "Accidenti. Mi dispiace. Visto che siete venuti qui a chiedermi della patente e di una ragazza morta, immaginavo che sapeste già tutto. I documenti che fabbrico sono per le donne che riescono a scappare da quella folle fattoria dall'altra parte di Fellsburg".

"Quale folle fattoria?" Chiese Mackenzie.

A quella domanda Thompson sembrò davvero preoccupato per la prima volta da quando avevano bussato alla sua porta. Fece una leggera smorfia e scosse leggermente la testa. "Non mi sembra giusto parlarne. Ci sono poteri troppo forti in gioco, capite?".

"No, non capiamo." Anche se ricordava che McGrath aveva dichiarato che c'era una specie di Comunità religiosa in zona, il che era uno dei motivi per cui gli agenti del posto si erano buttati a capofitto sul caso.

"Beh, signor Thompson, odio comportarmi in questo modo", disse Ellington, "ma lei ha già confessato di aver falsificato dei documenti. Se volessimo, potremmo arrestarla per questo e assicurarci che passi almeno sei mesi in una prigione federale. E potrebbe andare anche peggio, in base a chi li ha venduti". Tuttavia, se ci racconta delle donne a cui sono destinate questi documenti d'identità e ci aiuta nelle indagini, allora potremmo in parte passarci sopra. Ci limiteremmo ad assicurarci che lei smetta di creare documenti falsi in una sede governativa come la motorizzazione".

Thompson sembrava un po' imbarazzato per essere caduto in quella trappola. L'espressione afflitta sul suo volto si tramutò in un sorriso di resa. "Potete tenere fuori il mio nome?".

"A meno che non ci siano circostanze aggravanti, non vedo perché no", disse Mackenzie. "Teme che qualcuno possa provare a vendicarsi?"

"Con queste persone, non lo so proprio". Quando vide che gli agenti non capivano ancora bene di cosa stesse parlando, sospirò di nuovo e proseguì. "Questa donna entra e compra i documenti. Se li procura per le donne che cercano di fuggire dalla Comunità". Li usano per ricominciare, è solo una piccola cosa che può aiutarle a iniziare una nuova vita. Una vita normale".

"Cos'è la Comunità?" Chiese Ellington.

"Una Comunità religiosa venticinque chilometri oltre Fellsburg, a circa quaranta minuti di distanza da qui. Molte persone lo sanno, ma nessuno ne parla veramente". Quando lo fanno, è in maniera scherzosa o come quando si raccontano storie paurose in campeggio".

"Sa come mai le donne che entrano in questa Comunità dovrebbero volerne poi fuggire?

Thompson si strinse nelle spalle. "Non lo so con certezza. Ed è la verità. Sinceramente, di quel posto non so molto di più di qualcuno a caso che potreste interpellare per strada. Mi limito a fabbricare e vendere quei documenti".

"Non sa nulla di ciò che praticano?".

"Si dice che sia una specie di culto poligamo. Dicono che alcuni uomini abbiano tre o quattro mogli. Dovrebbero essere molto religiosi – roba da Antico Testamento".

"E che mi dice di questa donna che compra i documenti da lei? Cosa sai di lei?"

"Non molto. Quando è venuta da me e mi ha chiesto se volevo prendere parte a tutto questo, una delle cose che ha detto è che non potevo fare domande. Ho pensato che scherzasse, poi però mi ha dato cinquecento dollari. E sentite… ho quasi sessant'anni e sono ancora pieno di debiti. Non posso rinunciare a quei soldi".

"Non sa nemmeno il suo nome?". Chiese Ellington.

"No, mi dispiace".

"Può descriverla?"

"E' piuttosto giovane. Avrà tra i venticinque e i trent'anni, se dovessi tirare a indovinare. Attraente. Capelli castani, porta gli occhiali."

"Le viene in mente altro?" Chiese Mackenzie. "Qualsiasi cosa".

"Una volta ho intravisto la sua macchina. Era venuta solo tre volte. La seconda volta, mi sono precipitato nell'atrio anteriore qualche secondo dopo di lei. L'ho vista uscire attraverso la vetrata. Si è affrettata ad attraversare il parcheggio ed è salita in macchina. Una vecchia auto rossa, una berlina, credo".

"Programma i vostri incontri?" Chiese Ellington.

"No".

Continuarono a parlare, ma Mackenzie sentì solo alcune parti. Era rimasta colpita da qualcosa che Thompson aveva detto. Una vecchia auto rossa, una berlina, credo.

C'era un'auto rossa vecchio modello nel vialetto di Amy Campbell. Una Pontiac. Solitamente, Mackenzie l'avrebbe definita una pura e semplice coincidenza. Ma Amy si era comportata in modo strano, spaventata e sospettosa. Valeva certamente la pena di andare a farle un'altra visita.

"Signor Thompson, grazie mille per il suo tempo", disse Mackenzie. "Lasceremo correre la fabbricazione dei documenti falsi, ma deve smettere di farli".

"Avete detto che una ragazza è morta, giusto? E che aveva una delle mie patenti?".

"Così sembra."

"Allora ho chiuso. Non esiste somma di denaro per cui valga la pena essere coinvolti in una cosa del genere".

Mackenzie ed Ellington si diressero verso la sua porta. Ellington diede a Thompson uno dei suoi biglietti da visita raccomandandosi di contattarli se avesse visto di nuovo quella donna o se avesse cercato di mettersi in contatto con lui in qualche modo. Questo sembrò turbarlo, forse perché rifletteva che l'unico oggetto in possesso della ragazza morta era uno dei documenti falsi che lui aveva creato.

"Allora, cos'è che hai realizzato?" chiese Ellington mentre tornavano velocemente alla macchina. "Hai concluso la conversazione in fretta e avevi quell'espressione sul viso".

"Quale espressione?".

"Quella che hai anche adesso, l'espressione di un bambino che ha appena visto un altro regalo nascosto sotto l'albero di Natale".

"La sua descrizione della macchina. Una vecchia berlina rossa. Ce n'era una parcheggiata nel vialetto di una delle case che ho visitato. Quella di Amy Campbell… ed era nervosa. Era molto sospetto e non ha nemmeno accennato a invitarmi a entrare".

"Sembra che potremmo avere la nostra prima pista".

"Forse", disse Mackenzie.

Sembrava la cosa giusta, ma vista la natura del caso e il modo in cui Amy si era comportata, pensò che dovessero prendere qualche precauzione in più per assicurarsi che non si trattasse solo di una coincidenza. Odiava perdere tempo in quel modo, ma nella sua testa ricordò a se stessa che c'era la possibilità che la Comunità fosse coinvolta.

Anche se non aveva un'esperienza diretta, aveva letto fascicoli di altri casi in cui la presenza di un gruppo religioso nelle indagini aveva reso il tutto una bomba a orologeria. E se poteva evitarlo, Mackenzie era più che disposta a fare qualche passo in più, anche se avrebbe richiesto tempo.




CAPITOLO NOVE


Tornarono alla stazione di polizia di Fellsburg, che brulicava di attività poiché era il momento del cambio di turno degli agenti. Erano quasi le otto di sabato sera, un orario frenetico per qualsiasi dipartimento di polizia, indipendentemente da dove fosse situato. Burke non si trovava da nessuna parte, così si diressero verso la loro postazione di lavoro sul retro dell'edificio. Erano tentati di trovare un motel e di andare a dormire, ma entrambi sapevano che avrebbero avuto un accesso più rapido ai registri e ad altre informazioni necessarie restando in centrale.

La prima cosa che fecero fu cercare nel database della polizia qualsiasi informazione su Amy Campbell. La sua fedina penale era immacolata, senza nemmeno una multa per divieto di sosta. Vedendo che evidentemente non avrebbero trovato nulla di utile lì, Ellington telefonò all' ufficio risorse di Washington, chiedendo una verifica sul passato di Amy Campbell, residente a Fellsburg, Utah.

Fatto questo, rivolsero la loro attenzione al misterioso gruppo religioso noto come Comunità. Non fu difficile trovare informazioni, dato che una semplice ricerca su Google dava numerosi riscontri. L'unico problema era che i risultati erano tutti ripetitivi. Tutto quello che potevano dire con certezza era che c'era una Comunità religiosa nascosta nelle foreste tra Fellsburg e la piccola città di Hoyt.

Si credeva che ci fossero tra le 1.200 e le 1.500 persone che vivevano nella Comunità. Occupavano un piccolo appezzamento di terreno nel bosco, organizzati in piccole abitazioni simili a baracche e vialetti pedonali che collegavano tutte le case, la chiesa e gli altri edifici.

"Guarda qui", disse Ellington, picchiettando sul suo portatile.

Era entrato nel database della polizia e aveva trovato due foto. Una era una vista aerea, scattata da un velivolo a bassa quota. Mostrava l'intero territorio della Comunità. Ricordava a Mackenzie quello che aveva visto delle Comunità di Amish o Mennoniti. C'erano dei campi di grano all'estrema destra del terreno, e dall'altra parte si vedevano forse delle capre al pascolo (era difficile a dirsi da lontano).

La seconda immagine era in bianco e nero, e piuttosto sfocata. Era stata chiaramente scattata da qualcuno di nascosto, dopo essersi introdotto nel territorio attraverso la foresta. Le immagini mostravano due edifici che Mackenzie supponeva fossero delle case, e quattro persone: due bambini e due donne. Le donne erano vestite con abiti piuttosto semplici e i capelli raccolti a coda di cavallo.

Mackenzie tornò alla ricerca di altre informazioni sul luogo, ma non c'era molto altro. La Comunità esisteva dalla fine degli anni Settanta ed era rimasta nascosta, senza mai apparire nei notiziari, al di fuori di qualche articolo di cronaca locale. Al di là delle probabili convinzioni religiose eccessivamente rigide, sembrava che si trattasse di una normale popolazione di credenti isolati. Il fatto che praticassero la poligamia rendeva il tutto un po' più oscuro, ma Mackenzie sapeva bene che ciò non significava automaticamente che si dovesse indagare su di loro in modo più approfondito. Agenti molto più abili ed esperti di lei erano caduti in quella sgradevole trappola.

Mentre cercava altre informazioni sulla Comunità, il suo cellulare vibrò sul tavolo accanto a lei. Riconobbe il prefisso di Washington, ma non il numero. "Sono l'agente White", rispose.

"Agente White, sono il vice capo Manning, dell'ufficio dei Marshal. Abbiamo fatto analizzare quella foto e abbiamo verificato. L'angolazione dal lato sinistro ci ha fornito un'ottima inquadratura. L'abbiamo inserita nel database del Programma di protezione testimoni, ma senza risultati. C'è il novantanove per cento di possibilità che la vostra ragazza non fosse nel programma".

La delusione fu intensa ma passeggera. In ogni caso, non era del tutto sicura che fosse una ricerca promettente. Ma se si fosse rivelato vero, avrebbe reso il caso molto più semplice.

"Grazie lo stesso", disse Mackenzie terminando la telefonata. Si rivolse a Ellington e disse: "La nostra donna misteriosa non faceva parte della Protezione Testimoni".

"Questo rende le cose un po' più complicate".

Mackenzie annuì e richiuse il portatile. Aveva letto circa venticinque articoli sulla Comunità e le informazioni cominciavano a ripetersi. Guardò Ellington e disse: "Non c'è stato un solo arresto o un caso di disordine pubblico legato alla Comunità?

"Non nel database della polizia, che va indietro fino a vent'anni fa."

"Mi chiedo se Burke conosca storie o anche solo voci di corridoio che potremmo sfruttare".

Prima che potessero continuare la conversazione, il cellulare vibrò di nuovo. Questa volta non era una telefonata, ma un messaggio. Lo riprese e si infuriò all'istante quando vide che era da parte di sua madre.

Non ero sicura se fosse troppo tardi per te, recitava il messaggio. Puoi chiamarmi?

"E… ucciderò mia madre".

"Se qualcuno farà domande, dirò che ho cercato di dissuaderti. Ma… quando lo fai?"

Alzò gli occhi al cielo per fargli sapere che non era il momento di scherzarci sopra. Aveva quasi deciso di ignorare il messaggio; aveva già abbastanza di cui preoccuparsi. Ma sapeva che se non avesse risposto, sua madre avrebbe continuato a mandare messaggi fino a quando Mackenzie non avesse ceduto. Inoltre, c'era la remota possibilità che potesse avere qualcosa da chiederle riguardo alle esigenze di Kevin.

Chiamò sua madre, spingendosi lontano dal tavolo. Anche quella poca distanza tra lavoro e casa la faceva sentire un po' come una madre.

Non si stupì quando Patricia White rispose subito al telefono. Quando parlò, la sua voce era sommessa. Mackenzie riusciva a immaginarsela rintanata nello studio di Ellington o nella stanza degli ospiti, in modo che Frances non la sentisse.

"Grazie per aver chiamato", disse Patricia.

"Kevin sta bene?

"Sì."

"L'appartamento è ancora tutto intero?

"Certo… naturalmente. Mackenzie-"

"Allora cosa c'è adesso, mamma?"

Ci fu un momento di silenzio dall'altra parte del telefono, che fu presto interrotto dal tono addolorato di sua madre. "Non capisco. Ieri abbiamo passato un pomeriggio così bello. Siamo state bene insieme, abbiamo mangiato un ottimo pasto, e ho avuto la sensazione che io e te ci fossimo in qualche modo riavvicinate".

"Anch'io ho avuto la stessa sensazione. Ma è la seconda volta che mi chiami mentre cerco di lavorare. E giuro che se è solo per lamentarti di qualcosa che ha fatto Frances…".

"Beh, cosa dovrei fare? Mette in discussione ogni singola cosa che dico o faccio. Ed è già abbastanza spiacevole il fatto che Kevin preferisca lei…"

"La preferisce perché la conosce bene. E mamma, sei sicura che ti metta in discussione, oppure ti sta solo dando consigli e suggerimenti su come compiacere un bimbo che conosce meglio di te?".

"Forse è stato uno sbaglio".

"Cosa? Venire finalmente a conoscere tuo nipote?"

"In parte. Ma non soltanto quello. E' solo…"

A Mackenzie non dispiaceva per sua madre… per niente. Ma sapeva anche che se sua madre avesse ricominciato a prendere decisioni sbagliate finendo nei luoghi oscuri che avevano definito l'ultimo decennio della sua vita, non ci sarebbe stato ritorno. Perciò si trovava in difficoltà: doveva dire a sua madre quello che voleva sentirsi dire, o doveva calmarla?

Per quanto Mackenzie detestasse la cosa, pensò di doverla calmare.

"Mamma, te lo chiedo come favore. Ho bisogno che tu tenga duro e rimanga lì. Resisti finché non torniamo. Anzi, sai cosa? Non farlo per me. Fallo per Kevin. Vuoi che sia in confidenza con te? Allora restagli vicino. Dagli un motivo per ricordarsi di te".

Dall'altra parte del telefono si sentì una risatina nervosa. "Hai ragione. È stato stupido da parte mia volare fin qui solo per rinunciare per una sciocchezza del genere e tornare in albergo".

"L'hai detto tu, non io".

"Scusa se ti ho disturbato."

"Non fa niente… cerca solo di non telefonare e di non mandare messaggi, a meno che non ci sia qualcosa che non va".

"D'accordo. Buonanotte, Mackenzie."

Terminarono la chiamata e Mackenzie ricacciò in gola diverse emozioni che sembravano voler emergere tutte contemporaneamente. Rabbia, tristezza e pietà. Non riusciva a decidere cosa provare, così optò per una calma indifferenza.

"È già morta una delle due?" Chiese Ellington.

"No, non ancora". Guardò verso il tavolo, dove si trovavano i computer portatili e i verbali della polizia, e si alzò in piedi. "Vuoi uscire di qui?"

"Certo."

Riordinarono la postazione, presero i loro portatili e si diressero verso l'atrio. All'uscita, vennero nuovamente interrotti da un cellulare. Questa volta quello di Ellington. Lui rispose mentre attraversavano la porta d'ingresso e si dirigevano verso il parcheggio. Mackenzie ascoltò quello che diceva, non capendo bene chi fosse o di cosa parlassero.

Non riattaccò finché non furono in macchina, e Mackenzie si sistemò al volante, visto che Ellington era impegnato. Quando terminò la chiamata, aveva uno sguardo perplesso mentre rimetteva il telefono in tasca.

"Credo di sapere perché non c'era nulla su Amy Campbell."

"Perché?"

"Perché stando ai risultati delle indagini del Bureau sul suo passato, sembra che non esista". Ci sono, naturalmente, numerose Amy Campbell, ma nessuna corrisponde alla descrizione che ho fornito. Nessuna. Proprio come la nostra signorina del mistero, Marjorie Hikkum, Amy Campbell sembra inesistente".





Конец ознакомительного фрагмента. Получить полную версию книги.


Текст предоставлен ООО «ЛитРес».

Прочитайте эту книгу целиком, купив полную легальную версию (https://www.litres.ru/bleyk-pirs/prima-che-faccia-del-male/) на ЛитРес.

Безопасно оплатить книгу можно банковской картой Visa, MasterCard, Maestro, со счета мобильного телефона, с платежного терминала, в салоне МТС или Связной, через PayPal, WebMoney, Яндекс.Деньги, QIWI Кошелек, бонусными картами или другим удобным Вам способом.



Da Blake Pierce, autore di successo del libro IL KILLER DELLA ROSA (un best-seller con più di 1200 recensioni da cinque stelle), è in arrivo il volume #14 della serie di gialli mozzafiato di Mackenzie White.

PRIMA CHE FACCIA DEL MALE è il volume #14 nella serie dei misteri di Mackenzie White, che inizia con PRIMA CHE UCCIDA (Libro #1), un best-seller con più di 600 recensioni da cinque stelle che potete scaricare gratuitamente.

Delle giovani donne appartenenti a una comunità di poligami fondamentalisti vengono trovate morte nello Utah. Riuscirà Mackenzie White a penetrare i loro ranghi serrati per scoprire chi potesse volerle morte? E sarà in grado di entrare nella mente del killer per fermarlo prima che sia troppo tardi?

Thriller-noir psicologico dalla suspense mozzafiato, PRIMA CHE FACCIA DEL MALE è il libro #14 in una nuova, avvincente serie—con un nuovo, irresistibile personaggio— che vi terrà incollati alle pagine fino a tarda notte.

Как скачать книгу - "Prima Che Faccia Del Male" в fb2, ePub, txt и других форматах?

  1. Нажмите на кнопку "полная версия" справа от обложки книги на версии сайта для ПК или под обложкой на мобюильной версии сайта
    Полная версия книги
  2. Купите книгу на литресе по кнопке со скриншота
    Пример кнопки для покупки книги
    Если книга "Prima Che Faccia Del Male" доступна в бесплатно то будет вот такая кнопка
    Пример кнопки, если книга бесплатная
  3. Выполните вход в личный кабинет на сайте ЛитРес с вашим логином и паролем.
  4. В правом верхнем углу сайта нажмите «Мои книги» и перейдите в подраздел «Мои».
  5. Нажмите на обложку книги -"Prima Che Faccia Del Male", чтобы скачать книгу для телефона или на ПК.
    Аудиокнига - «Prima Che Faccia Del Male»
  6. В разделе «Скачать в виде файла» нажмите на нужный вам формат файла:

    Для чтения на телефоне подойдут следующие форматы (при клике на формат вы можете сразу скачать бесплатно фрагмент книги "Prima Che Faccia Del Male" для ознакомления):

    • FB2 - Для телефонов, планшетов на Android, электронных книг (кроме Kindle) и других программ
    • EPUB - подходит для устройств на ios (iPhone, iPad, Mac) и большинства приложений для чтения

    Для чтения на компьютере подходят форматы:

    • TXT - можно открыть на любом компьютере в текстовом редакторе
    • RTF - также можно открыть на любом ПК
    • A4 PDF - открывается в программе Adobe Reader

    Другие форматы:

    • MOBI - подходит для электронных книг Kindle и Android-приложений
    • IOS.EPUB - идеально подойдет для iPhone и iPad
    • A6 PDF - оптимизирован и подойдет для смартфонов
    • FB3 - более развитый формат FB2

  7. Сохраните файл на свой компьютер или телефоне.

Книги серии

Книги автора

Аудиокниги серии

Аудиокниги автора

Рекомендуем

Последние отзывы
Оставьте отзыв к любой книге и его увидят десятки тысяч людей!
  • константин александрович обрезанов:
    3★
    21.08.2023
  • константин александрович обрезанов:
    3.1★
    11.08.2023
  • Добавить комментарий

    Ваш e-mail не будет опубликован. Обязательные поля помечены *