Книга - Il Giardino Dei Rododendri

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Il Giardino Dei Rododendri
Andrea Calo'


La delusione per i segreti riguardanti la propria vita e scoperti solo molto tardi, una carriera rincorsa per tanti anni e distrutta in un attimo e l'invito tanto inatteso quanto misterioso di una cara zia che vive in un cottage in Cornovaglia riportano Lynda in quella terra dalla quale era rimasta lontana per molto tempo.

L'incontro con un uomo e con la sua vita ancora avvolta dalle ombre di avvenimenti del passato, un viaggio a Milano e l'incontro con un'affermata stilista di moda italiana, il ritrovamento di un caro amico della sua infanzia e un vero talento dimostrato negli anni per la preparazione di dolci e confetture di frutta cambieranno la vita di Lynda per sempre.





Andrea Calò

IL GIARDINO DEI RODODENDRI




ROMANZO



Prima Edizione – Gennaio 2014





Questo libro è un’opera di fantasia. Personaggi e situazioni sono invenzioni dell’autore o hanno lo scopo di conferire veridicità alla narrazione. Qualsiasi analogia con fatti, eventi, luoghi e persone, vive o scomparse, è assolutamente casuale.

La stilista Sonia Galiano è invece un personaggio reale. I suoi lavori sono disponibili sul sito internet: www.soniagaliano.com (http://www.soniagaliano.com)




© Copyright 2014 – Andrea Calò

ISBN: 9788873042884

@ e-mail: andrea.calo_ac@libero.it (mailto:andrea.calo_ac@libero.it)



Edizioni TEKTIME


A mia moglie Sonia, l’amore della mia vita.

Per sempre.







RINGRAZIAMENTI


Scrivere un libro è sempre un’avventura, sembra di partire per un viaggio. Si fanno le valige, si parte da un punto preciso e si procede cercando di raggiungere il punto d’arrivo, la meta tanto desiderata. Ma come a volte accade durante un viaggio, le insidie, gli errori, le paure e gli imprevisti sono lì pronti a sorprenderci, a frenarci, a volte al punto di farci desistere dal proseguire. Con l’aiuto delle persone che ci stanno accanto o di quelle incontrate lungo la strada, si riesce tuttavia a venirne fuori, a volte con facilità, altre con estrema pena; ma non ci si siede mai sull’errore, per non perdere l’investimento fatto. Durante il mio viaggio ho avuto diverse persone al mio fianco che mi hanno spronato e incoraggiato a continuare il cammino, a realizzare il sogno che da tanti anni tenevo chiuso in un cassetto, il mio progetto.



Grazie ai miei genitori, che mi hanno donato la vita, mi hanno cresciuto e istruito, permettendo che tutto questo si trasformasse in realtà.

Un grazie particolare alla stilista Sonia Galiano, un personaggio reale che prende vita in questo romanzo, per aver prestato gentilmente il suo nome e quello dei suoi lavori. Li potrete trovare sul suo sito internet ufficiale: www.soniagaliano.com.

E infine, ma non da ultimo, grazie a te Elena, per aver istruito il mio cuore e guidato la mia mente durante tutto questo percorso: qui dentro c’è davvero una grossa parte di te.




1


La sveglia suonò facendola sobbalzare. Erano già le sette e mezza del mattino e quell’orrendo suono non le lasciava alcuna scelta, le perforava il cervello come se fosse un semplice ammasso di gelatina. Appena svegliati, tutti i rumori sembrano amplificati a dismisura. Ancora assonnata, Lynda allungò la mano per premere il tasto e far tacere finalmente quella macchinetta infernale, e per un attimo sperò fosse per sempre. Si rigirò nel letto avvolta nel suo caldo piumone e fu lì per riaddormentarsi, quando sentì sul suo viso il fiato caldo del suo cane Puh, venuto al suo letto per incoraggiarla ad alzarsi, come faceva ogni mattina, con puntualità.

«Ciao bello mio!», esclamò anche quel giorno mentre con le mani prendeva e strapazzava il musetto morbido del cane, completamente ricoperto di pelo. Da parte sua Puh ricambiava con un dolce lamento, reclinando il capo e lasciando libero sfogo alla coda scodinzolante.

«Dai, ma che fai Lynda Grant, muoviti! Alza le chiappe dal materasso, oggi hai l’incontro con i giapponesi e ti giochi la carriera, te ne sei dimenticata forse?», si obbligò ad alta voce per convincersi prima e meglio a lasciare quelle calde lenzuola che le davano sicurezza oltre che una piacevole sensazione di benessere. Alzatasi dal letto, Puh la seguì, felice di aver compiuto il suo dovere anche quel mattino. Puh sapeva che entro pochi minuti la sua padrona lo avrebbe lasciato ancora da solo per una lunga, interminabile giornata e lui sarebbe rimasto lì ad attenderla fino a sera quando lei, rincasando, lo avrebbe fatto giocare un po’, regalandogli un po’ di quella compagnia che il cucciolone andava elemosinando ogni giorno. La seguiva ovunque per la casa, non voleva perdersi nemmeno un istante di quella sua fugace presenza.

Lynda lavorava per una multinazionale operante nel settore delle materie plastiche di ogni genere e da qualche tempo aveva avviato una grossa trattativa con un importante cliente giapponese, un produttore e distributore di giocattoli. Lynda non aveva però mai avuto l’opportunità di parlare con il signor Yamada in persona, l’avevano sempre messa in contatto con i suoi scagnozzi. Tuttavia alla fine le fu comunicato che Yamada avrebbe preso parte personalmente alla presentazione del suo progetto, presso la loro sede di New York. Si diresse in bagno con tutti i vestiti in mano, li aveva già diligentemente riposti ben stirati sulla sedia della camera la sera precedente. Si conosceva troppo bene per accettare di correre rischi quel mattino. Entrò nella cabina doccia e le luci colorate cominciarono a coprire il suo corpo con sfumature di colore che andavano dal rosso al verde, dal blu al giallo e davano alla sua pelle una parvenza metallica. Le usava per rilassarsi la sera, prima di andare a dormire. Ma quel mattino non aveva davvero nessuna voglia di starle a guardare. Doveva incontrare i giapponesi, Yamada-san in persona! E doveva ancora ripassare tutte quelle stupide regolette sull’inchino tra persone di diversa classe, età, estrazione sociale e sesso! Troppe cose da fare ancora, tutte concentrate in una sola mattina, tanto che non riuscì nemmeno a ritagliarsi un momento per un caffè veloce.

Uscì di casa intorno alle otto e un quarto, le strade erano già intasate come sempre dal traffico di pendolari diretti in ufficio, dai turisti e dai taxi fermi in coda ai semafori. Lynda ne individuò subito uno, guidato da un uomo che conosceva molto bene e che l’aveva già portata in giro parecchie volte in precedenza, fin dalla tenera età.

«Buongiorno signorina Grant!», esclamò il tassista non appena Lynda ebbe spalancata la portiera posteriore del veicolo.

«Buongiorno James», rispose, senza nemmeno guardarlo negli occhi, «Questa mattina devi volare come un razzo, mi raccomando! Sono già in ritardo pazzesco e ho un’importante riunione di lavoro che mi aspetta tra poco».

«Farò l’impossibile signorina, ma come anche lei può vedere siamo tutti qui fermi in coda. A che ora è il suo appuntamento?».

«Alle nove meno un quarto, abbiamo ben trenta minuti!», rispose Lynda, irritata dall’osservazione dell’uomo che la contrariava.

«Abbiamo solo trenta minuti, vorrà dire. Lei sa bene quanto tempo ci vuole per attraversare il centro città a quest’ora del mattino e con questo traffico. Saremo fortunati se riuscirà ad arrivare per le nove. Ma sarà già comunque in ritardo e non so se con i giapponesi è una cosa buona», rettificò James.

«Infatti non lo è. Oggi mi gioco la promozione James, quello per cui ho lavorato per anni! Senti, scendo e me la faccio a piedi, arriverò prima», esclamò mentre si apprestava ad aprire la portiera per scendere dall’auto.

«Arriverà sfinita e bagnata di sudore come un pulcino signorina. Non glie lo consiglio. Almeno non oggi. Visto che per lei è così importante, deve presentarsi in modo impeccabile! I giapponesi badano molto alle apparenze!».

«E tu come lo sai?».

«Dopo aver lavorato per tanti anni per il Senatore, suo padre, qualche cosa l’ho imparata! Forza ora andiamo».

Lynda accennò un segnale di consenso, tirò verso di se la sua valigetta in pelle contenente i cataloghi e il materiale cartaceo da distribuire quel mattino ai partecipanti e lasciò andare la testa contro il poggiatesta, per rilassarsi un po’. Il taxi procedeva lentamente, quasi a passo d’uomo, mentre i minuti correvano via senza pietà come blocchi di marmo su una lastra d’acciaio cosparsa d’olio. Arrivò l’ora dell’appuntamento e Lynda era ancora lontana dalla sede di lavoro. In quel momento squillò il cellulare, se lo aspettava.

«E’ il mio capo! E adesso che cosa gli dico?», esclamò mentre cercava il tasto per rispondere alla chiamata. Ma, trovatolo, decise di non rispondere e lasciò squillare il telefono a vuoto fino a quando non si fermò dopo parecchi interminabili secondi. L’uomo la guardava attraverso lo specchietto retrovisore, accennando un timido sorriso per la ragazza.

«Signorina, forse dovrebbe rispondere al suo capo, che ne dice? Può sempre inventare una piccola bugia, per guadagnare un po’ di tempo prezioso. Ormai non manca molto, tra quindici minuti al massimo saremo arrivati», pronunciò James con tono rassicurante, lanciando un eloquente gesto d’intesa non appena il telefono ricominciò a squillare. Lynda rispose.

«Jack! Ciao, buongiorno!», rispose Lynda con un tono quasi infantile.

«Buongiorno un corno Lynda! Dove diavolo sei finita? Yamada è già qui da cinque minuti in sala riunioni. Non un minuto, ben cinque!»

«Si Jack hai ragione. Ma vedi, ho avuto un grosso problema questa mattina! La sveglia si è rotta, mi sono alzata tardi perché ieri sera ho lavorato fino a notte fonda per mettere a punto la presentazione. Poi stamattina c’è un traffico incredibile! E per di più una signora anziana è caduta per strada, non ci crederai proprio davanti a me, non potevo non aiutarla, capisci….», ansimò Lynda senza tregua. James sorrideva, compiacendosi del fatto che Lynda avesse seguito il suo consiglio. Le strizzò un occhio ma la invitò a non esagerare con le bugie.

«Ma che cosa stai dicendo? La signora è caduta, tu sei corsa da lei per aiutarla a rialzarsi e magari l’hai anche accompagnata all’ospedale! Una signora da aiutare proprio stamattina, proprio oggi che abbiamo qui i giapponesi? Lynda, tu non sai mentire! Per favore cerca di muoverti, ti voglio qui tra cinque minuti, non uno di più! Sono stato chiaro?», sbottò il suo capo Jack, prima di riattaccare senza nemmeno attendere una risposta da parte della ragazza.

«Ha visto James? Non ha funzionato! Non mi ha creduto!»

«Ma io le avevo suggerito di inventare una piccola bugia, non una balla gigantesca come questa!», rispose James sorridendo, «Quanto tempo ha a disposizione?».

«Cinque minuti, oppure è la fine. La mia fine!».

«Ora in cinque minuti a piedi dovrebbe farcela, arriverà un po’ stanca ma tutto sommato ancora viva. Attraversi il centro Commerciale che trova qui alla sua destra, poi prosegua sempre dritto e oltrepassi l’area pedonale».

«Si è vero! Conduce direttamente alla piazza antistante l’azienda! Grazie James! Quant’è per la corsa?», chiese Lynda in segno di ringraziamento.

«Per oggi nulla, ci penserà domani quando sarà più tranquilla e meno di fretta. La prossima volta però faccia suonare prima la sveglia, ok? Forza vada ora, vada!».

«Seguirò il tuo consiglio James, grazie», rispose, inviandole un bacio con la mano che l’uomo accettò di buon grado, stimandosi per la dolce conquista.

Lynda percorse le poche centinaia di metri a piedi con passo sostenuto e a tratti accennando ad una leggera corsa. Cominciò a sudare, era appena scesa dall’auto con l’aria condizionata accesa e all’aperto la prima calura di Maggio si faceva già ben sentire. Arrivata davanti all’entrata, la porta le si spalancò davanti. Lynda entrò di corsa mentre la receptionist le veniva incontro.

«Signorina Grant, Jack Brown la sta aspettando in sala riunioni con i giapponesi, dice che siete già in ritardo!»

«Si lo so, lo so! Altrimenti secondo lei per quale motivo starei correndo? Per mantenermi in forma forse?», rispose Lynda, estremamente infastidita dall’insolenza di quella semplice receptionist che si era presa la libertà di farle un appunto per il suo ritardo.

«La sala riunioni è al quarto piano e stamattina abbiamo un problema con gli ascensori! Temo dovrà utilizzare le scale signorina Grant», gridò la ragazza mentre Lynda correva verso le rampe agitando le mani come una pazza in preda ad una crisi di nervi. Le stava andando tutto storto, come sempre quando aveva da portare a termine qualcosa di veramente importante!

Arrivata davanti alla sala riunioni rallentò, si ricompose aggiustandosi la gonna e la camicia del suo elegante tailleur. Si guardò sotto le ascelle, erano un po’ bagnate e delle chiazze di sudore si erano fatte spazio sulla stoffa ma potevano ancora andare, avrebbe evitato di alzare le braccia più dello stretto necessario. E poi, i giapponesi non sudavano? Aprì la porta ed entrò. Nella sala regnava il silenzio totale, come in chiesa alle tre del pomeriggio di una giornata lavorativa nel mese di agosto. Jack la guardò prima per un forte rimprovero e poi per accennarle un sorriso forzato e presentarla al meglio che poteva ai giapponesi, nel tentativo di rimediare ad un danno ormai fatto. Lynda diede una rapida occhiata alle persone, ne contò ben cinque con gli occhi a mandorla e la pelle gialla come la buccia di un limone andato a male. Chi di questi era Yamada?

«Yamada-san, mi permetta di presentarle la nostra Lynda Grant, con lei avete intrapreso le prime trattative e i contatti relativi al progetto che oggi lei stessa avrà il piacere di presentarvi. Linda, questo è il presidente Yamada e con lui ci sono i signori Mizuke, Koboashi, Okano e Fukura».

I giapponesi si alzarono in piedi in sequenza, come se fosse stato ordinato loro di farlo dopo essere stati chiamati per nome. La loro movenza ricordava i martelletti dei tasti di un pianoforte che si alzavano per colpire le corde tese ed emettere il loro suono. S’inchinarono e Jack rispose all’inchino. Ognuno di loro s’inchinò secondo un angolo diverso e a partire da Yamada, che aveva semplicemente piegato la testa in avanti, sembravano formare uno scivolo. In quel momento Lynda realizzò di non aver ripassato bene la lezione sull’inchino quel mattino. Cosa poteva fare? Decise di inchinarsi il più possibile, pensando che così facendo avrebbe espresso il suo massimo grado di rispetto, allineandosi all’inchino più basso rilevato tra i presenti. Jack la guardò irritato indicandole di inchinarsi di più, molto di più! Ma perché mai? Oh si, l’aveva dimenticato! Lei era una donna! Ma come poteva inchinarsi più di così se quasi toccava con il volto il piano del tavolo?

Yamada e uno dei suoi scagnozzi del quale aveva già dimenticato il nome cominciarono a parlare tra di loro in giapponese. Yamada era impassibile, immobile come un tronco di legno in una stanza chiusa e privata di aria. A malapena muoveva le labbra e i suoi occhi sembravano immobilizzati, nascosti dietro le gonfie palpebre. L’altro individuo continuava a muovere il capo in su e in giù, per indicare che ciò che gli veniva detto era da lui ben compreso. Al termine il sottoposto accennò un inchino atto a chiedere la parola e cominciò a riportare ciò che gli era stato comunicato.

«Yamada-san dice che possiamo iniziare la nostra riunione», disse indirizzando lo sguardo verso Jack il quale replicò subito in tono di approvazione con un sorriso.

«Benissimo! Quindi lascio la parola a Lynda che ora vi presenterà nel dettaglio il progetto per la produzione e…».

«Ma Yamada-san dice anche che il business è fatto dagli uomini e vuole quindi che sia un uomo a presentare oggi questo progetto».

Nella sala calò un gelido silenzio. Lynda era incredula, non riusciva a credere alle sue orecchie. Sentiva solamente freddo, tanto freddo. Forse era arrivato l’inverno, dentro di lei.

«Ma che figlio di…»

«Lynda! Per cortesia!», la sgridò Jack. Poi rivolgendosi ai giapponesi chiese un minuto per parlare con la ragazza. Uscirono dalla sala.

«Devo farti una cortesia? E per che cosa, scusa? Lo hai sentito che cosa ha detto quel bifolco? Vuole parlare con un uomo, non con me!».

«E cosa ci posso fare io Lynda, è insito nella loro cultura, dovresti saperlo! Sono giapponesi, vivono di apparenze e di regole sociali! E’ un paese dove le leggi son fatte dagli uomini, che cosa pretendi?».

«No Jack, io non so proprio nulla e nulla voglio sapere. Io sono entrata in contatto con loro, io sono la persona che ha sviluppato il progetto e io lo presenterò a questi “signori”. Che gli stia bene oppure no! Non è vero Jack?», disse Lynda fissandolo dritto negli occhi fin quando lui non li abbassò per guardarsi le scarpe. «Vero Jack? Dico bene? Ti prego Jack!», gridò Lynda con le lacrime che cominciavano a riempirle gli occhi e che a stento riusciva a trattenere.

«Lynda, gli interessi dell’azienda vengono prima di tutto e di tutti. Tu lo sai quanto ti sono amico e quanti stimi il tuo lavoro e il tuo operato qui dentro. Avrai la tua promozione comunque, non preoccuparti per questo. In fin dei conti il lavoro è comunque tutto tuo. Vogliono che sia un uomo a presentare? Un uomo avranno!».

«Ma non mi puoi fare questo! Io non voglio la tua elemosina, questa promozione me la sono cercata, ho combattuto per averla e penso di essermela meritatamente guadagnata. Voglio portare avanti tutto io fino alla fine. Jack, per favore! Fa che sia io a presentare il mio lavoro! Sono sicura che puoi convincerli», replicò Lynda, senza distogliere lo sguardo da quello dell’uomo che, però, non aveva armi a sua disposizione per difendere ed esaudire la richiesta della giovane. Riusciva a capirla perfettamente, era passato anche lui in una situazione simile e sapeva quanto fosse frustrante e difficile da accettare. Ma come lui aveva capito a suo tempo, era sicuro che anche l’intelligentissima Lynda lo avrebbe fatto. Ripensò alle parole che gli disse il suo capo in quella occasione e decise di riciclarle in quella occasione.

«Lynda, ora vai in bagno a sistemarti il viso, te lo sto chiedendo come tuo capo. Non puoi presentarti in questo stato davanti a queste persone. La presentazione del progetto la farà Gregory».

«Chi scusa? Gregory? Quel viscido verme raccomandato?».

«Lui. E’ pur sempre il nipote del Presidente della nostra società, quindi ti chiedo di mantenere un tono di rispetto quando parli di lui. Vai in bagno ora, veloce! E cerca di rientrare in aula il prima possibile, non possiamo aspettare ancora spazientire i nostri ospiti più di quanto non abbiamo già fatto», rispose Jack appoggiandole in segno amichevole una mano sulla spalla.

«Non mi toccare Jack, mi fai schifo anche tu come loro! Tutti qui dentro mi fanno schifo! Anche quelle piante vicino alla finestra, mi hanno sempre fatto schifo! Ma non ho mai detto nulla, ho sempre inghiottito il rospo in attesa di questo giorno! E ora che è arrivato sono io quella che viene tagliata fuori dai giochi, perché sono donna e non mi è permesso partecipare. Ma che scherzo è mai questo?».

«E quindi hai scelto proprio questo momento per parlare Lynda? Proprio ora che sei ad un passo dal raggiungimento del tuo obiettivo? Cos’altro vuoi dire?», replicò Jack con un leggero sorriso, nel tentativo di rassicurala. Ma Lynda non fu dello stesso avviso.

«C’è ancora una cosa che vorrei dire Jack», continuò Lynda, scura in volto, «Andate tutti a farvi fottere, tu compreso Jack. Io mi licenzio, vedetevela voi uomini qui dentro!».

«Lynda ti prego di ragionare, per favore! Non fare la bambinetta insolente! Dai vieni qui, ti aspetto dentro, muoviti! Ne parleremo meglio dopo, quando il contratto sarà stato firmato e io avrò il piacere di ufficializzare la tua promozione!», implorò Jack alla volta della ragazza che, invece di dirigersi verso i bagni per darsi una sistemata, aveva imboccato la rampa delle scale, in preda ad uno sfrenato sfogo di pianto.




2


Sentì sbattere forte la porta d’ingresso e sobbalzò, raddrizzando le orecchie e prestando la massima attenzione ad ogni singolo rumore che percepiva. Puh non si aspettava di veder rincasare la sua padroncina così presto, quando ancora la forte luce del sole filtrava attraverso le enormi vetrate dell’appartamento che dai piani alti si affacciavano sulla città. Le corse incontro abbaiando e saltando sulle quattro zampe come sempre faceva ogni giorno, pronto a giocare con lei e a ricevere le carezze dalle sue mani morbide come la seta. Ma il suo cuore di cane intuì che qualche cosa in lei non andava come al solito: smise di abbaiare, lo scodinzolio della sua coda rallentò e si accucciò, appoggiando il musetto sulle zampette unite ma senza togliere gli occhi di dosso alla sua padroncina. Immobile in quella posizione, la seguiva con gli occhi in ogni suo movimento. Lynda, ancora in preda al pianto e alla tristezza che provava nel cuore, si chinò per accarezzarlo e per ringraziarlo di quella sua complicità che le offriva senza chiedere mai nulla in cambio. Puh era davvero il suo unico, vero amico. Poco importava che si trattasse di un cane, era l’unico essere in grado di donarle un po’ di serenità.

«Caro il mio Puh! Sai, a volte invidio il tuo stato d’essere, la tua libertà. Vorrei essere come te, libero, spensierato. Vorrei poter correre felice rincorrendo una palla, come facevo da bambina quando mamma e papà mi portavano in vacanza dai nonni e dalla zia Beth, in Cornovaglia. Cara zia Beth! Insisteva nel volermi insegnare a preparare la marmellata! Ed ero diventata anche brava, sai Puh?». Le lacrime di Lynda continuavano a solcarle il viso già arrossato, deformato dai due occhi blu come l’oceano, gonfiatisi come due meloni per il troppo pianto. Una lacrima trovò un nuovo percorso sul volto di Lynda, una parte rimasta ancora stranamente asciutta, e terminò la sua corsa sul naso di Puh. Il cane la sentì, la leccò via e poi si alzò per leccare il viso della ragazza che cominciò a ridere come sempre faceva quando il suo cane la trattava in quel modo.

«Dai Puh, smettila!», diceva mentre finalmente il pianto si diradava, lasciando emergere nuovamente il suo bel sorriso.

«Ti voglio bene, mio dolce campione!», disse diretta al cane che, compiaciuto, si lasciava accarezzare la pancia ben volentieri, «Riesci sempre a tirarmi su. Come farei senza di te?». Puh rispose ancora con un timido lamento, per indicarle che aveva capito e che, fin quando gli sarebbe stato possibile, non l’avrebbe mai lasciata.

«Dai forza, scendiamo e facciamo una passeggiata all’aria aperta!». Il cane non se lo fece ripetere due volte! Non capiva il perché di quel fuori programma, ma gli piaceva e voleva approfittare di quell’irripetibile momento di fortuna.

Il sole splendeva alto nel cielo, Lynda lo notava filtrare tra un palazzo e l’altro, disegnando sull’asfalto il profilo ombrato delle anonime facciate. Non era solita passeggiare in settimana a quell’ora nelle strade della città, lei avrebbe dovuto essere in ufficio come sempre in quel momento. Invece la rabbia che l’aveva corrosa quel mattino le aveva poi suggerito di regalarsi un momento di evasione, tutto per lei e per il suo fedele Puh che zampettava felice accanto a lei. Si lasciava trafiggere dai raggi del sole, sperando di trarne beneficio per portare un po’ di calore al suo animo congelato. Com’era diversa la città vista con quegli occhi, ora che sentiva il vuoto dentro di lei accompagnare l’assenza totale di aspettative! Quella passeggiata clandestina le ricordava le volte in cui, da piccola, aveva saltato la scuola per spassarsela con le compagne al parco o nelle città vicine! Si, quando succedeva le furbacchione prendevano i mezzi pubblici e si allontanavano dalla città, per evitare di essere scoperte dal fornaio, dal lattaio o dal droghiere. Quelli si che erano tempi belli! Tempi che a Lynda sembravano ormai così lontani, come facenti parte di una vita passata e per lei ormai definitivamente conclusa. Una macchina accostò e Puh cominciò ad abbaiare.

«Signorina Lynda!».

«James!», rispose Lynda altrettanto sorpresa di vedere il fedele tassista.

«Signorina, non dovrebbe essere in ufficio con i giapponesi ora?», chiese James sorpreso nel vedere la ragazza a piedi per strada in una situazione tanto insolita. Capì che qualche cosa non doveva essere andato per il verso giusto. Ritirò quindi il suo grosso corpo all’interno dell’auto, facendo cenno a Lynda di salire in auto.

«Non posso James, non ho soldi con me. Sono uscita distrattamente e ho lasciato il mio portafogli in casa, mi devi scusare. E poi c’è il mio cucciolo Puh qui con me, non so se è il caso».

James guardò il cane e prese le sue misure ad occhio:

«Beh, son pur sempre più grosso io di lui, non ti pare? E per quanto riguarda la corsa, diciamo che sono in pausa e che quindi è gratis!», rispose per concludere il suo invito. Lynda sorrise aprì la portiera e guardò Puh che accolse l’intesa e balzò subito all’interno della vettura. Lynda si aspettava un po’ di domande da parte del suo amico James. Per lei era più di un semplice tassista. James era stato quasi come un padre per lei fin da quando era piccola. Quel padre mancato capace di ricoprire la ragazza di attenzioni e cure, dandole ciò che il suo vero padre biologico non era stato in grado di darle per via del suo attaccamento al lavoro, così morboso da avergli fatto perdere qualunque interesse per le emozioni vissute in famiglia. Forse lui le riteneva meno importanti delle gratificazioni che la sua prestigiosa carica di Senatore poteva offrirgli. E così che non visse mai gli anni leggeri e spensierati di una Lynda bambina, di quell’unica figlia arrivata per caso e alla quale non era mai stato capace di dire davvero ‘ti voglio bene piccola’. E Lynda, da parte sua, non chiedeva nulla. Non sentiva nulla sgorgare dal cuore di quell’uomo, perché mai doveva provare il desiderio di sentirsi amata come una figlia da lui? Ma, nonostante tutto, si chiedeva spesso il perché ciò non accadesse. Riceveva dalla mamma e da James tutto ciò che le serviva, l’affetto e ogni cura nei suoi confronti provenivano da loro, perché preoccuparsi quindi di quell’altro uomo che non era mai stato veramente presente in occasione delle sue decisioni, dei suoi pianti e dei suoi momenti di gioia? Dai comportamenti del padre Lynda aveva dedotto il significato di quella forma di sentimento che tutti chiamano comunemente “indifferenza”.

Ma con James era tutto diverso! James lavorava stabilmente per la loro famiglia da tanto tempo. Era la persona che ogni mattina la accompagnava a scuola e andava a riprenderla al termine delle lezioni, era la persona che per prima veniva a conoscenza degli avvenimenti accadutile durante la giornata, i voti presi nei compiti e nelle interrogazioni, le discussioni fatte con le amiche, i litigi, i primi innamoramenti. James conosceva i suoi sogni e nella sua posizione di semplice dipendente agli occhi di tutti avrebbe donato la sua anima per aiutarla a realizzarli. Un giorno dopo essere stata lasciata a scuola, qualcuno la vide allontanarsi dal cancello d’entrata con le sue solite amiche e informò il padre e la madre. Quella sera il Senatore chiamò James per chiedergli un chiarimento e per verificare se quanto gli era stato raccontato corrispondeva a realtà. Una punizione esemplare per Lynda era già pronta, la parola di James sarebbe stata quella decisiva.

«No Senatore Grant. La signorina Lynda questa mattina è andata a scuola regolarmente come fa ogni giorno. Io personalmente sono rimasto qualche minuto fermo sulla strada per assicurarmi di vederla entrare, fino alla chiusura dei cancelli. A questa età i ragazzi vanno controllati, lei mi capisce non è vero? Forse chi le ha raccontato di aver visto la signorina con le sue amiche in giro al parco deve essersi confuso con altre persone», mentì spudoratamente. La madre di Lynda lo capì subito e sorrise. Il Senatore invece, troppo impegnato per pensare alla punizione che aveva preparato, non aveva nemmeno notato che nessuno prima aveva accennato che le ragazze sarebbero state viste nel parco della città! Il Senatore rilasciò l’uomo che si diresse subito verso la porta di casa. Aprì la porta con la mano tremante mentre con l’altra riposizionava il cappello della sua divisa di autista diplomatico sopra la sua testa. Sarah, la moglie del Senatore lo anticipò, gli aprì la porta e lo ringraziò con un sorriso e con parole di riguardo mentre gli dimostrava la sua complicità.

«La prossima volta faccia più attenzione James. Lei lo sa meglio di me, fornire troppi dettagli non porta lontano! John è poco attento in queste situazioni ma non è stupido», disse accarezzando la spalla dell’uomo con la sua mano profumata e carica di gioielli.

Com’era elegante e bella quella donna! A James piaceva da sempre, fin dal primo giorno che l’aveva vista per accompagnare lei e la signorina Lynda al suo primo giorno di scuola. Le sue labbra erano ricoperte da un bel rossetto di un intenso colore rosa e i suoi vestiti rilasciavano nell’aria un delicato profumo di mughetto. Quando la donna scendeva dall’auto, l’aria nell’abitacolo rimaneva satura di quel profumo per ore e James se le godeva tutte, traendone un enorme piacere. Era la donna che amava, ma era anche la moglie del Senatore John Grant, il suo datore di lavoro! Si costrinse quindi a soffocare il suo sentimento, amando quella donna in segreto nei suoi pensieri ma anche concretamente attraverso le sue azioni e attenzioni. E amava la piccola Lynda alla follia, una bambina troppo simile alla madre e che man mano che cresceva, tendeva ad assomigliarle sempre di più.

Ma quella “prossima volta” non arrivò mai. Uno scandalo coinvolse il Senatore che fu immediatamente allontanato dal suo incarico. La sua immagine per tanto tempo coltivata e abituata a prevalere su quella degli altri fu compromessa al punto da farlo apparire ridicolo agli occhi delle persone. Il padre si rinchiuse in casa senza uscire mai e sfogava la sua rabbia sulla madre e su Lynda ogni volta che si vedeva beffeggiato in televisione, nei notiziari o nei talk show. Era riuscito ad emergere come personaggio dell’anno ma sotto una valenza estremamente negativa. Gli fu tolta la scorta ed ogni tipo di beneficio assegnato ai personaggi come lui, compresa l’auto governativa e, di conseguenza, il suo autista. James quindi li salutò, era commosso mentre lo faceva e non trattenne le lacrime quando la piccola Lynda abbracciandolo gli disse:

«Tornerai presto a trovarci zio James, vero? Io e la mamma ti aspetteremo, ci mancherai tanto». Lynda lo chiamava zio proprio perché la presenza di un padre biologico non le permetteva di chiamarlo papà, come forse lei avrebbe desiderato. Ed ogni volta James si scioglieva in lacrime come la neve al sole e assaporava la dolcezza di quella bambina fino in fondo, regalandole in cambio tenere carezze. Anche la madre lo abbracciò ricordandogli che era davvero un buon uomo e senza trattenere lacrime di commozione. Tra i due esisteva una chiara sintonia, era visibile a tutti, forse anche al Senatore. Un giorno si sarebbero incontrati nuovamente, ne erano entrambi convinti. Nel momento del saluto, la donna più che mai profumava di un’intensa fragranza di mughetto fresco.

Il Senatore John Grant si tolse la vita in una fredda mattinata d’inverno, pochi giorni dopo quello del triste saluto d’addio con James. Fu la moglie a sentire uno sparo proveniente dal salotto e quando accorse vide il corpo del marito disteso a terra, immerso in una pozza di sangue. Chiamò subito aiuto ma quando arrivarono i soccorsi era già troppo tardi, suo marito era già morto. Sul tavolo l’uomo aveva lasciato una lettera che Sarah lesse attentamente, più volte, senza poter trattenere le lacrime. Si fermò solo quando arrivò la polizia che lei aveva chiamato in precedenza. James apprese la notizia dalla televisione e chiamò Sarah per porgere le sue condoglianze e farsi comunicare quando e dove si sarebbero tenute le esequie funebri. Anche se in corrispondenza di un evento così triste, James fu felice di rivedere a distanza di poco tempo Sarah e la figlia Lynda. Si abbracciarono, ma quel giorno James non sentì profumo di mughetto provenire dal suo corpo ma solo una anonima fragranza di fiori misti, di quelle che si sentono di solito ai funerali. Sarah gli mostrò la lettera del marito. James la lesse con attenzione, poi abbassò gli occhi e abbracciò la donna e infine Lynda prima di abbandonarsi a sua volta alle lacrime.

L’anno successivo Lynda andò al college, cominciò la sua vita da piccola vera donna, scoprì le gioie che la mondanità e i suoi vizi potevano darle, i piaceri del sesso, le prime storie d’amore più o meno serie, le preoccupazioni che laceravano lo spirito. Cominciò a coltivare la sua cultura e i suoi interessi verso quella che sarebbe divenuta in futuro la sua occupazione fino ad arrivare al giorno della laurea. Aveva plasmato un carattere adatto e rivolto i suoi interessi verso il mondo degli affari, del successo economico e della realizzazione personale. Le sue innate doti di oratrice, la sicurezza che trasmetteva durante i colloqui, la sua capacità di convincere l’interlocutore a fare ciò che lei desiderava erano da sempre stati i suoi punti di forza. James le aveva insegnato a credere in se stessa e lei lo aveva capito fin da subito.

«Credi sempre in te stessa e nelle tue capacità, parla con il tuo cuore ed esprimi sempre i tuoi pensieri ma in prima persona. Mettiti in gioco, lotta in prima linea se vuoi vincere tu la battaglia. Altrimenti resterai solo una semplice pedina e morirai al servizio di altri che, forse, non sapranno mai nulla della tua esistenza. Lascia la tua firma nel mondo, la tua impronta. Tu puoi farlo! Sii te stessa e andrai sempre avanti per la strada che ti sei prefissata. Non importa se sarai una tassista o se vestirai una importante carica da qualche parte, ciò che conta è sempre e solo ciò che vedrai riflesso nello specchio quando ti guarderai, perché tu sei quello e nient’altro», le diceva spesso James mentre l’accompagnava a scuola al mattino. E Lynda spesso sbuffava, aveva sentito quella lezione troppe volte e non era incline ad annoiarsi con quella frequenza. Era pur sempre una bambina, perché non veniva considerata per l’età che aveva? Ma una volta cresciuta capì realmente quanto importanti fossero state quelle parole per la sua crescita, per la sua professione, per tutta se stessa. E in cuor suo non smise mai di ringraziare quel semplice autista, suo amico, per avergliele dette più e più volte.

Seduta sul sedile posteriore dell’auto accanto al suo Puh che si era elegantemente riposto sul tappetino, cercava di evitare gli occhi verdi di James che, nonostante l’ormai avanzata età, risplendevano sempre di una luce propria, particolare. James non parlava, si limitava a fissare il volto di Lynda attraverso lo specchietto retrovisore nell’attesa che fosse lei a cominciare il racconto, proprio come faceva ogni giorno quando, pronta a vuotare il sacco, gli raccontava tutti i dettagli dei suoi numerosi successi. Ma quel giorno il racconto sarebbe stato diverso, James l’aveva capito. Lynda si arrese, incrociò gli occhi di James che in un lampo espressero il consenso all’ascolto e la ragazza cominciò a parlare.

«Oggi non è una buona giornata James», esordì.

«E perché mai signorina Lynda? E’ primavera, spende un bel sole, lei è a passeggio con il suo bel cane. Cosa c’è che non va?», rispose James, come sempre con il suo rassicurante modo di fare paterno. Lynda gli sorrise, senza rispondere.

«Ecco signorina, così va decisamente meglio, non crede? Io sono un uomo anziano ormai, sto per ritirarmi per trascorrere in serenità gli anni che mi restano da vivere, quelli che il Signore vorrà concedermi ancora. Nei suoi occhi, signorina, vedo solo l’espressione di una bambina capricciosa. Ricorda quando era piccina e voleva a tutti i costi che le cose andassero come lei desiderava? E quando le cose andavano in modo diverso lei cominciava a piangere, come se così facendo potesse cambiarne il corso a proprio favore. A volte ci riusciva, sa? Oh si che ci riusciva! Ma a volte le cose erano giusto un poco più grandi di lei e il pianto non la aiutava per nulla. Ricorda tutto questo?». Lynda accennò un timido si con un gesto del capo, mentre manteneva gli occhi bassi. James continuò a parlare.

«E ricorda come e quando le ritornava il sorriso?», chiese l’uomo.

«No, non me lo ricordo», mentì Lynda. In realtà lei aveva già capito dove volesse arrivare l’amico.

«Oh suvvia signorina! Sono più grande di lei di un bel pezzo! Grande e grosso direi! Faccia uno sforzo, provi a ricordare!».

«James, davvero non ricordo, son passati tanti anni», mentì nuovamente ma le sue labbra cominciavano a tradire un accenno di sorriso malizioso.

«Va bene, allora se non ricorda davvero cercherò ora di darle un piccolo aiuto. Vedrà, sarà un successo!». James mise in moto l’auto e cominciò a guidare sorridendo e fischiettando una melodia che riportò Lynda indietro nel tempo, a quando era bambina e preparava le confetture con zia Beth.

“Confettura di ciliegia, per una colazione regia. Dolcetto all’albicocca porta all’estasi la bocca. Un litro di Sorbetto alla banana, non mi dura nemmeno una settimana. Confettura di pesca, se non lo hai stai fresca!”

Lynda recitò quelle parole guidata dalla melodia che usciva dalle labbra di James, scoppiando a ridere non appena quelle immagini arrivarono a ripopolarle la mente.

«Oh James, suvvia! Si si certo, mi tornava l’allegria, svanivano i pensieri cattivi. Ma durava poco perché poi quegli infami tornavano a massacrarmi le meningi», riprese Lynda mantenendo un bel sorriso sulle labbra.

«Si certo. Tornavano perché in realtà non faceva nulla per sconfiggerli definitivamente. Non è forse così?».

«Si», rispose Lynda a voce molto bassa.

«Mi scusi ma non ho colto la sua risposta, signorina!», continuò James che, invece, aveva capito benissimo.

«Ho detto si!», ripeté Lynda, questa volta con un tono decisamente più alto e rassicurante.

«Bene. Allora andiamo!», la sfidò James.

«Ma dove stiamo andando?»

«La porto in un posticino dove lei, signorina, potrà sentirsi a suo agio e potrà raccontarmi tutto quanto di brutto le è accaduto oggi e insieme proveremo a trovare una soluzione al suo problema. Ci vorrà un po’ di tempo ma ne varrà la pena. Ora si metta comoda, si rilassi e se riesce provi a riposare un po’. Si sentirà già molto meglio dopo, vedrà».

Lynda sorrise e guardò Puh che dormiva già da un po’, sdraiato comodamente sul tappetino dell’auto. Le curve sulla strada, le leggere ondulazioni e il rumore sordo del motore la cullavano. Si sentì avvolgere dalle braccia del sonno e decise di abbandonarsi ad esso. In fin dei conti era serena in quel momento e in compagnia di quel suo “mancato padre” si sentiva nuovamente bambina. La filastrocca accennata da James le risuonava nella mente, via via la sentiva sempre più lontana, più fievole, fino a spegnersi completamente quando si addormentò. Sognò una bambina che correva libera nel verde sconfinato dei prati inglesi, che raccoglieva conchiglie bianche sulle piccole spiagge nascoste tra le scogliere della Cornovaglia, vide zia Beth che, ferma sull’uscio del suo cottage, la chiamava a squarciagola mentre lei si divertiva a nascondersi tra le piante del suo giardino di rododendri. Sentì il profumo e il sapore della frutta fresca appena tagliata, quella raccolta, pulita e messa a bollire per poter essere trasformata in ottima confettura fatta in casa. Zia Beth era la maga delle confetture! Era divenuta molto famosa, le sue confetture e i suoi dolci erano così conosciuti in tutto il paese e nelle città vicine che fu praticamente costretta ad aprire una piccola pasticceria e trasformare un suo hobby in attività, per poter soddisfare tutte le richieste che le venivano fatte. Molta gente andava a trovarla con la scusa più banale per poter avere la possibilità di assaggiare ancora una volta le sue gustose ricette. E Lynda voleva imparare tutto da lei, ogni segreto, ogni esperimento, ogni ricetta. Ma le estati duravano troppo poco e ben presto arrivava il momento di ritornare a casa, in città, per dedicarsi allo studio al quale il Senatore Grant teneva tanto: avere una figlia ignorante non avrebbe affatto giovato alla sua figura di uomo diplomatico, non poteva permetterselo!

Poi nel sogno cominciarono a cadere gocce di pioggia mentre i fulmini perforavano l’aria, rischiarando a giorno il cielo divenuto via via scuro come la notte. Il verde dei campi aveva lasciato il posto alla gelida neve ghiacciata dell’inverno. La piccola correva a fatica, completamente bagnata dalla pioggia che non le dava tregua e cadeva pungente sui suoi occhi costringendola a tenerli chiusi. La bimba inciampò e rovinò a terra, cadendo nel fango denso di una pozzanghera. Alzò il volto completamente sporco di terra e guardò dritta davanti a se: vide il cottage di zia Beth privo di luce, solo la luce fioca di una candela già consumata donava un lieve barlume. Zia Beth stava in piedi sulla soglia di casa e la guardava mentre piangeva. La bimba gridava alla zia, le chiedeva aiuto. Ma zia Beth non si muoveva, continuava a piangere. Poi alzò la mano e con un cenno salutò nuovamente la bimba, per poi rientrare in casa richiudendo la porta dietro di se. La bimba piangeva e gridava a squarciagola, si sentiva sola e tradita da quella zia che tanto aveva amato e che rispettava come esempio da seguire e da emulare. Poi anche la luce della candela si spense e intorno alla bimba regnarono le tenebre. Non la luna, non una stella erano presenti in cielo per rischiarare quella notte. La bimba se ne stava lì ferma, immobile e avvolta dall’oscurità, senza poter fare nulla. Ad un tratto una voce conosciuta la ridestò: era sua madre che la chiamava restando ferma sul ciglio della strada con una candela in mano. La giovane Lynda si alzò, non provava più alcun dolore e s’incamminò verso di lei sempre più velocemente, fino a quando non vide la madre svanire nel nulla e si sentì cadere nel vuoto, come all’interno di un pozzo senza fine.




3


Lynda si svegliò di colpo. Puh la fissava immobile e in silenzio, con i suoi grossi occhi neri spalancati e puntati verso di lei. Anche James la guardava mentre parcheggiava l’auto, erano giunti a destinazione. Doveva essersi agitata parecchio durante il sonno, pensò.

«Sogni agitati signorina?», chiese James.

«Era iniziato bene, come un bel sogno, ma poi s’è trasformato in un vero incubo», replicò decisa.

«Capita spesso anche nella vita reale, non è così?»

«Purtroppo si caro James».

«Proprio come quello che è accaduto a lei questa mattina e che l’ha tanto sconvolta. Forse tra il brutto sogno che ha appena fatto e quello che le è accaduto oggi c’è un qualche tipo di legame. Sa, la mente a volte ci gioca davvero brutti scherzi».

«Non saprei che cosa dire. Forse solo la parte finale, la caduta nel vuoto mentre ci si dirige verso ciò che si credeva essere la nostra salvezza. Davvero non lo so, e non so che farci. Lascio correre, accada quel che accada».

«Molto bene signorina Lynda, siamo sulla strada giusta allora. Lasciamo al destino e al tempo la libertà di agire per conto nostro, loro sapranno consigliarci al meglio», concluse James con il suo solito sorriso tenero e rassicurante.

«James, ascolta».

«Mi dica signorina».

«Da quanti anni ci conosciamo?»

«Da quando lei ha cominciato ad andare a scuola, signorina», rispose James voltandosi verso la ragazza con una chiara espressione interrogativa impressa sul volto. Quella domanda buttata lì a freddo lo aveva molto sorpreso.

«Bene. Ora io ho trent’anni, quindi sono passati circa ventiquattro anni, giusto?»

«Oh si signorina! Come passa in fretta il tempo! Ben ventiquattro anni sono trascorsi e sembra giusto ieri il giorno in cui l’aiutai a salire per la prima volta sulla mia macchina. Sua madre era con noi, se lo ricorda?».

«Certo, ricordo benissimo! Mia madre non mi lasciava mai sola. Ma senti, è mai possibile che dopo tutti questi anni tu non abbia ancora smesso di chiamarmi “signorina”?».

«Oh beh si, signorina… Lynda. Ma vede per un uomo della mia età non è così facile concedersi questo tipo di libertà. Il Senatore Grant, suo padre, era il mio datore di lavoro e io sono stato abituato fin da piccolo a portare rispetto alle persone che mi davano il lavoro e mi permettevano di vivere dignitosamente. E quando una cosa ti entra nella testa in questo modo non è per nulla facile spazzarla via. Cuore e testa sono come due casseforti, una conserva i sentimenti, l’altra i ricordi».

«Signor James, lei sta divagando!», puntualizzò Lynda con un sorriso.

«Si, forse, ma…»

«Ha qualche obiezione da dichiarare, signor James? E’ un ordine!», imperò Lynda mantenendo una sana espressione giocosa in volto. Stava bene, era serena, e lo lasciava vedere.

«No, nessuna obiezione Lynda. Va bene se la chiamo Lynda d’ora in avanti?»

«Si, diciamo che come inizio può andare bene, vedremo i progressi strada facendo. Ma non basta. Devi darmi del tu! Eddai, potrei essere tua figlia James! Te ne rendi conto?».

James impallidì e sobbalzò in seguito a quella frase.

«Va bene Lynda, per me è un piacere!», replicò James fiducioso in ciò che stava dicendo ma anche piuttosto scosso da quella richiesta inaspettata.

«Quindi mi prometti che cancellerai dalla tua mente tutti quegli stupidi e superati formalismi ottocenteschi nei miei confronti? Suvvia, viviamo nel ventunesimo secolo!», chiese Lynda attendendo la risposta di James che rimase fermo a fissarla negli occhi per qualche interminabile istante.

«Ci proverò davvero, farò il possibile Lynda. Ma se qualche volta dovessi fallire la prego… ti prego di perdonarmi. Mi serve del tempo, sono un uomo anziano ormai. Sono cresciuto in una situazione diversa dalla sua e da quella che viviamo oggi. Anche per un dinosauro sarebbe un po’ complicato riuscire ad integrarsi adeguatamente nella nostra società. Prometto però che farò tutto quanto mi sarà possibile». Gli occhi dell’uomo non riuscivano a guardarla in quel momento. Ma il primo passo per far calare il muro del riserbo era stato fatto e Lynda aveva ottenuto ancora una volta ciò che voleva. Ma questa volta non si trattava di un capriccio.

Lynda scese dall’auto e Puh la seguì. Il cane stava nascosto dietro le gambe della ragazza, timoroso, mentre James si apprestava ad aprire la porta di una vecchia casa.

«Dove siamo James?», chiese Lynda incuriosita e affascinata dal mistero che avvolgeva quella vecchia costruzione distante solo poche miglia dalla grande città.

«Siamo a casa mia, Lynda. Questa è la mia casa di campagna, la casa dove sono nato e cresciuto. E’ tutto quello che mi ha lasciato la mia famiglia e ci vengo spesso a trascorrere i fine settimana per rilassarmi e godermi la natura. E’ piccola e molto semplice, una volta le famiglie povere come la nostra vivevano così. Prego Lynda, entriamo!», la invitò James, mentre con la mano indicava il passaggio alla ragazza.

Lynda entrò per prima e si meravigliò subito delle ridotte dimensioni della stanza d’ingresso.

«E’ davvero piccolo qui, James. In quanti vivevate qui dentro?», chiese mentre con lo sguardo curioso analizzava ogni singolo oggetto che volutamente o meno veniva a trovarsi sulla sua traiettoria visiva. Erano vecchi oggetti che portavano addosso il peso degli anni passati dal giorno che furono creati. “Quante mani li avranno toccati”, pensò la giovane. Tuttavia erano ben spolverati, James ci teneva a mantenerli sempre puliti e in ordine.

«Eravamo in cinque persone», rispose l’uomo.

«Cinque persone? Ma com’è possibile James. Non c’è spazio a sufficienza per cinque qui dentro, si soffocherebbe», chiese Lynda sorpresa da quella risposta.

«Oh si, si stava un po’ stretti, si. Ma tutto questo aveva anche i suoi vantaggi! Tanti corpi così vicini aiutavano a tenere calda la casa durante i rigidi inverni che interessavano questa zona. Non avevamo il riscaldamento, faceva tutto quel caminetto laggiù. Ma la legna da ardere costava molto e noi non potevamo permetterci di bruciarne in grande quantità», rispose l’uomo con rassegnazione, «E poi ci si voleva bene. C’era amore, unione tra di noi e con nostro padre e nostra madre. E questo ci bastava per andare avanti con il sorriso. Ovviamente si doveva anche mangiare e i nostri genitori erano ormai anziani. Quindi noi figli ci rimboccammo le maniche e decidemmo di lasciare questa casa per andare a lavorare in città. Lavorammo davvero sodo, sa? Ma era giusto così, dovevamo pur sdebitarci con nostro padre e nostra madre per averci cresciuti forti e sani, nonostante le difficoltà economiche».

Forse proprio qui era nascosto il segreto. Lynda non aveva idea di cosa significassero l’amore, l’unione e la complicità tra i componenti di una famiglia. Tutto questo lei non lo aveva mai vissuto in prima persona, come poteva saperlo? Quando a scuola la maestra chiedeva di scrivere per compito dei pensieri sulla famiglia, provava sempre una sensazione di imbarazzo e per non consegnare il foglio in bianco cominciava ad inventare, fantasticando con la sua fervida mente di bambina. Fortunatamente aveva una buona fantasia. La finzione regnava persino nelle immagini che lei stessa vedeva con la sua piccola mente creativa. Non replicò quindi all’affermazione di James, ma incassò il colpo, certa che l’uomo non lo aveva detto apposta per provocarle del dolore o dei risentimenti sull’affetto che le era stato negato.

«Quindi qui vivevate tu, tuo padre e tua madre. Chi erano gli altri due?», chiese.

«Gli altri due erano il mio povero fratello Richard, morto da parecchi anni ormai, possa Iddio conservare per sempre in pace la sua povera anima…», rispose James facendo il segno della croce prima di fermarsi per una breve pausa, «e sua moglie Beth».

L’uomo sospirò con un’espressione seria dipinta sul volto, Lynda se ne accorse immediatamente.

«Beth? Che cosa curiosa, si chiama come mia zia…», rispose la ragazza mentre sorrideva, ma piuttosto insicura delle parole che aveva appena pronunciato.

«Lynda, Beth è proprio tua zia!».

Lynda non riuscì a credere a ciò che le sue orecchie stavano sentendo! Beth, la moglie del fratello di James e sua zia Beth, sorella di sua madre, amica complice e compagna delle sue estati inglesi erano la stessa persona!

«Ma no James, non è possibile! Zia Beth vive in Cornovaglia da moltissimi anni ormai! Io trascorrevo tutte le mie estati da lei quando ero bambina, come può essere vero tutto ciò?».

«E’ tutto vero infatti. Beth ci lasciò subito dopo la morte di Richard per ritornare alle sue origini, nel suo vecchio cottage in Cornovaglia. Facendo un rapido calcolo, tu avevi circa due anni quando lei partì per non tornare mai più qui». James guardava Lynda con tenerezza mentre allontanava una sedia dal tavolo per potersi sedere. Comprendeva bene lo stato di eccitazione misto a smarrimento che una tale notizia poteva averle dato. Lynda sapeva che la famiglia di sua madre era inglese ed aveva le sue radici in Cornovaglia. Sapeva che sua madre Sarah e sua zia Beth si erano trasferite a New York da giovani a causa del lavoro del padre, un ricco industriale che aveva acceso proficui rapporti di lavoro con diverse società statunitensi. Sapeva anche che sua zia era rimasta vedova molto presto e che in seguito alla perdita del marito aveva deciso di tornare nella sua terra d’origine. Ma non era affatto al corrente dello stretto legame che si era formato tra la sua famiglia e quello di James, un semplice autista al servizio del Governo e quindi di suo padre.

«Oh mio Dio James, sembra tutto così assurdo! Sono totalmente assalita dalle domande! Quindi tu saresti una specie di zio per me!», esclamò Lynda, completamente in balia delle onde di quella burrasca che l’aveva sommersa e che non riusciva ad affrontare. James esitò qualche istante prima di rispondere.

«Un po’ alla lontana, ma diciamo di si. Una specie di zio», rispose senza però sembrare del tutto convincente agli occhi della ragazza.

Lynda seguiva i legami di parentela indicandoli con un dito come se fossero stati scritti su un albero genealogico impresso nella sua mente. Tutto aveva un senso logico, James era per lei una sorta di zio.

«E perché mia madre non mi ha mai raccontato nulla di tutto ciò?», chiese in attesa che l’uomo le rispondesse, nella speranza di dissolvere in un colpo solo tutti i suoi dubbi.

«Non lo posso dire con assoluta certezza ma penso che dietro a questa sua scelta o imposizione ci fosse la figura di tuo padre».

«Mio padre?», chiese Lynda sempre più meravigliata.

«Il Senatore Grant, esattamente».

«Scusa ma non riesco a capire. Perché avrebbe dovuto mettersi in mezzo per una cosa del genere? Si trattava solo della nostra famiglia, di rapporti di parentela tra persone. Non aveva altro a cui pensare il Senatore?»

«Oh si, certamente ne aveva. E proprio questo, io penso, fu il motivo trainante. Tuo padre aveva davanti a se una fiorente carriera politica, era ammirato e benvoluto da tutti. Era una brava persona all’inizio, mi devi credere! Ma in quell’ambiente le cose prima o poi cambiano, si sa. Si era creato una fitta rete di amicizie, alcune delle quali un po’ losche e poco raccomandabili, nella rete del quadro politico di allora. La sua immagine doveva quindi rimanere salda e ferma, legata a un quadretto di famiglia perfetto: lui, la sua cara moglie e la sua bambina. Ma intorno a questo quadretto roteavano anche altre persone. E una di queste era proprio Beth, una ragazzina un po’ troppo ribelle, con tante strane idee per la testa, così come venivano percepite dagli occhi di un personaggio benestante e importante, candidato a diventare ben presto un Senatore. Tua zia Beth s’innamorò di Richard, più giovane di me di qualche anno e legò molto con la nostra famiglia, al punto di accettare di trasferirsi qui, nella nostra casa. I miei genitori erano già molto anziani, mio padre ci lasciò per primo e mia madre lo seguì qualche anno dopo. Quindi, per un certo periodo di tempo Beth, Richard ed io vivemmo qui da soli sotto questo tetto. In casa nostra non girarono mai troppi soldi. Io lavoravo su richiesta come commesso presso piccoli negozi della zona mentre Richard, che aveva sempre mostrato una salute piuttosto cagionevole, si ammalò gravemente ai polmoni. Non poteva fare alcun tipo di sforzo. Fu durante questo periodo che Beth imparò l’arte pasticcera, in particolare la preparazione delle confetture e la lavorazione della cioccolata. Divenne una vera maestra in quel settore».

James regalò un sorriso e una carezza a Lynda ma lei non reagì. Qualche cosa ancora le sfuggiva.

«E io dov’ero?», chiese per poter individuare almeno sommariamente quel periodo nel passato al quale ci si stava riferendo.

«Tu eri appena nata. Tua zia Beth ti portò qui, in questa casa. Ma tu eri troppo piccola per ricordare. Ti teneva tra le sue braccia mentre ti cullava seduta su quella sedia laggiù cantandoti le ninna nanne inglesi che lei tanto amava. Tu chiudevi i tuoi occhietti e ti abbandonavi ai sogni. Sei sempre stata una bellissima bimba», rispose l’uomo indicando alla giovane una vecchia sedia con seduta di paglia accantonata contro la parete vicino al caminetto.

In effetti questo spiegava quella vaga sensazione di familiarità che Lynda provò entrando in quella casa fin dal primo momento.

«Mio padre e mia madre sono mai stati qui?».

«Oh no, il senatore mai!», rispose James con un sorriso.

«Per le stesse ragioni di prima?»

«Per la sua immagine, penso proprio di si! Sarebbe stato troppo compromettente per un uomo come lui mescolarsi alla gente comune e dare a vedere in pubblico che aveva legami con la gente umile».

«E quindi cosa successe dopo, come mai sei venuto a lavorare per noi?».

«Fu Beth a convincere con molta fatica tua madre perché mi trovasse un lavoro stabile. La salute di Richard andava via via peggiorando e i medici ci comunicarono che non c’erano più speranze per lui ormai, anche se non sapevano dirci con esattezza quanto gli sarebbe rimasto da vivere. “Qualche mese, forse un anno” ci dicevano. Richard se ne andò dopo circa otto mesi. Le medicine dovevamo pur comprarle e ci costavano parecchi soldi. Con le conserve e i dolci di Beth non si riusciva a vivere in tre sotto questo tetto. Quindi io dovevo, e volevo, essere d’aiuto per tutti. Dopo un bel po’ d’insistenza e di pressione da parte di Beth verso tua madre Sarah, venni assunto presso di voi come autista personale di tuo padre, ormai divenuto Senatore secondo i suoi piani».

«Quindi mio padre ha fatto una buona azione nella sua vita! Difficile da credere!».

«Infatti non crederlo. Il merito è stato tutto di quella santa donna di tua madre, Dio l’abbia sempre in gloria e in salute. Fu lei a convincere tuo padre del fatto che io sarei stato la persona giusta per voi, per via della mia personalità, della mia fisicità e della mia conoscenza delle lingue straniere. Sai, tanti anni fa ero molto più magro ed agile rispetto a quanto io non sia ora!».

Lynda sorrise.

«Quali lingue parli?»

«Il Francese, Il Tedesco, un po’ di Spagnolo e di Italiano. Conosco anche qualche frase semplice in Giapponese».

«Il Giapponese?»

«Si, sono un autodidatta».

Lynda lo guardò sorpresa e allo stesso tempo incredula per tutte le notizie che aveva ricevuto, tutte condensate in così poco tempo.

«A proposito di Giappone e giapponesi…», tentò James per fuorviare il discorso che stava diventando pericoloso.

«No James, non è il momento giusto per parlarne ora. Sono esausta e mi è venuto un forte mal di testa. Ti prego di scusarmi ma vorrei stare un po’ qui seduta per riprendermi».

«Ma certo Lynda. Fai come se fossi a casa tua, mettiti pure comoda. Io intanto esco fuori a raccogliere un po’ di frutta fresca, proprio come faceva tua zia Beth!», concluse sorridendo es uscì dalla casa.

Lynda si trovò da sola nella casa, confusa più che mai. Nascose il volto tra le mani e portò la testa a battere contro il piano del tavolo in legno massiccio, urtando il naso. Nelle cose che vedeva, nei dettagli che balzavano di volta in volta ai suoi occhi riconosceva qualche cosa di noto, di conosciuto e tutto questo piano piano la guidò, le permise di ritrovarsi in quell’ambiente. Certamente lo shock era stato forte, ma lei lo stava via via superando ed era certa che da lì a poco lo avrebbe annientato del tutto. Era ancora molto curiosa di conoscere il resto di quella storia, tante erano le domande che a tratti le venivano in mente, in modo disordinato, e che necessitavano di una risposta perché potessero essere considerate sensate. Lasciò trascorrere i minuti mentre attendeva il ritorno di zio James. “Mio zio, chi lo avrebbe mai detto?”, pensò. E permise alla sua mente di viaggiare, di costruire ipotesi anche inverosimili, quanto inverosimile le era parsa, in un primo momento, tutta quella storia.




4


James rientrò dopo qualche minuto con una cesta piena di frutta fresca.

«Ecco qui Lynda, ce n’è da divertirsi!», disse James mentre posava la cesta sul piano da lavoro, vicino al rubinetto dell’acqua. Lynda, che se ne stava seduta pensierosa su uno sgabello, si alzò per vedere da vicino i frutti freschi, ne prese alcuni tra le mani e li annusò.

«Ehy, sono buonissimi! Frutta fresca di stagione! Dove li hai presi? E cosa dovremmo fare con tutta questa frutta?», chiese Lynda, senza riuscire a chiamare zio il buon James che stava lì in piedi davanti a lei sorpreso del fatto che la donna non avesse già intuito tutti.

«I frutti crescono sugli alberi che abbiamo fatto crescere qui fuori in giardino. Faremo ancora una volta ciò che tua zia Beth sapeva fare benissimo e che ha insegnato anche a te!», rispose l’uomo. Lynda lo guardava sorpresa e anche leggermente contrariata.

«Dai, James! La marmellata! Figurati se adesso posso mettermi qui a lavare la frutta, a sbucciarla per poi farla bollire e tutto il resto che ne consegue. E poi ci vogliono anche molto zucchero, una pentola grande e un fornello molto potente!», disse Lynda ad alto volume, come se in qualche modo volesse rileggere la ricetta nella sua mente.

«Molto bene, vedo che non ci siamo dimenticati nulla! Dunque, di zucchero ce n’è in abbondanza all’interno della credenza, ora te lo prendo. Il fornello e la pentola grande pure, erano proprio quelli che usava Beth! Lasciò la pentola qui da noi quando andò via, invitandoci a preparare marmellate ogni tanto per non dimenticarci le sue favolose ricette! Diceva anche che sprecare tutta questa buona frutta sarebbe stato un vero peccato e avremmo potuto salvarla quasi tutta se avessimo preparato le conserve», rispose l’uomo strizzandole l’occhio amichevolmente.

«E tu hai seguito il suo suggerimento?».

«I primi noi tempi lo facevamo spesso, poi sfortunatamente perdemmo un po’ l’abitudine. Fortunatamente Beth non ci sgridava per questa nostra mancanza quando ci sentivamo al telefono».

«Voi chi? Da quanto mi hai detto, dopo la morte di tuo fratello Richard e la conseguente partenza di zia Beth avresti dovuto rimanere solo qui dentro».

«Avevo una validissima aiutante».

Lynda non era del tutto convinta ma in qualche modo avrebbe voluto darsi da fare. Prese altri frutti, li guardò per bene, ne tastò la durezza, il grado di maturazione e la consistenza. Poi sorrise e guardando James negli occhi acconsentì.

«Va bene James. Ma dovrai darmi una mano, ok? Ci sono un sacco di cose da fare, forza!», esclamò, mentre avvicinava la cesta al lavabo che stava già riempiendosi dell’acqua necessaria. James sorrise felice. Sentiva la commozione crescere dentro di lui e se avesse parlato probabilmente si sarebbe sentita la sua voce tremare. Lynda le vide e lo abbracciò. “Zio James” era davvero un brav’uomo!

In meno che non si dica la cesta di frutta era stata accuratamente lavata e asciugata. Insieme Lynda e James iniziarono a sbucciarla e a tagliarla in piccoli pezzi, facendo attenzione a rimuovere completamente i noccioli. Riversarono poi tutto nel pentolone in precedenza riscaldato con un po’ di acqua sul fondo, infine versarono una grossa quantità di zucchero. La frutta cominciò pian piano a bollire, rilasciando i suoi succhi mentre perdeva la sua forma iniziale, dando vita ad un impasto dolce e scuro che rilasciava un buonissimo profumo nell’aria. Dopo un po’ di tempo, il preparato era quasi pronto.

«Ora ci servirebbe l’ingrediente segreto!», esclamò Lynda, «Altrimenti questa marmellata non avrà mai il sapore speciale che zia Beth sapeva darle ogni volta e che la rese tanto famosa!».

«E’ vero. E come possiamo noi preparare una marmellata secondo la ricetta completa di zia Beth se non aggiungiamo il famoso “ingrediente segreto”?», disse James sorridendo e mostrando a Lynda un vaso contenente un liquido color ambra, denso e trasparente.

«Oh James, ma questo è il miele di zia Beth! E’ questo l’ingrediente segreto? Quindi tu lo sapevi?».

«Non so dirti se possa trattarsi o meno di un ingrediente segreto, quello che so e che Beth ne metteva sempre un bel po’ per conferire alla confettura finale una consistenza più vellutata a contatto con il palato».

«Si, hai ragione! Questo non è affatto l’ingrediente segreto! Ora ricordo, zia lo usava! E’ colpa mia se non mi sono ricordata quell’ingrediente nella ricetta. Quando zia metteva il suo “ingrediente segreto” si voltava di spalle e non mi permetteva di guardare cosa faceva».

«Allora doveva veramente tenere molto a quel segreto! Oppure semplicemente desiderava che fossi tu a scoprirlo da sola, con le tue capacità, proprio come aveva fatto lei», rispose James compiaciuto per essere riuscito a sorprendere Lynda ancora una volta.

«Ma dimmi, come fai ad averne ancora di questo miele? Son passati moltissimi anni ormai».

«Lo faccio io. Beth mi ha spiegato proprio tutto, e quando non ricordo qualche cosa o mi serve un consiglio ci sentiamo al telefono!».

«Allora siete ancora in contatto, molto bene! Sai mi piacerebbe ritornare in Cornovaglia da lei, vorrei tanto riabbracciare la mia adorata zia. Sono passati ormai tantissimi anni dall’ultima volta che la vidi, chissà com’è cambiata. Da quando mia madre è ospite nella casa di riposo, non ho più avuto occasione di andarci».

«Sai, penso che anche a tua madre farebbe piacere rivedere Beth. Io ci farei un pensierino».

«Ma mamma ora non cammina più come prima. Se ne sta sempre seduta su quella sedia davanti alla televisione in quella stanza. Le infermiere la spostano dal letto alla sedia e viceversa. Mia madre dovrebbe camminare invece, uscire fuori all’aria aperta!».

«Potresti portarcela tu! Anzi, dovresti proprio farlo Lynda! Tu madre è ancora una donna in gamba, è affascinante! Sarebbe ancora in età da marito se solo lo volesse! Aiutala a rivivere Lynda, tu puoi farlo e penso che lei non stia aspettando altro che questo».

«Ma… James! Che cosa dici! Mia madre è una donna anziana ormai!».

«Oh no signorina, ti sbagli! Tua madre è una donna abbandonata da sua figlia, non anziana. Pensaci!».

Lynda accusò il colpo. James aveva ragione, lei si era occupata troppo poco della madre a causa dei suoi impegni sul lavoro e di tutte le altre scusanti che di volta in volta era riuscita a trovare. La madre stessa aveva compreso la situazione e si era cercata un posto dove ritirarsi per non pesare ulteriormente sulla già complicata situazione della figlia.

«Il cottage di zia Beth era sempre così profumato! Quando entravo in casa, da bambina, sentivo sempre dei buonissimi profumi! Ogni stanza aveva il suo, dalla lavanda agli agrumi per non parlare del suo guardaroba! Sapeva di…»

«Mughetto!», la precedette James.

«Si, mughetto, esatto!».

«Come tua madre. Anche lei profuma di mughetto!», disse James senza guardarla mentre con il braccio mescolava il preparato di marmellata che si andava via via sempre più addensando.

«Ricordi il profumo che metteva mia madre?».

«Oh si che lo ricordo, come potrei non farlo? Ah, se la mia auto potesse parlare, quante ne direbbe!».

Lynda rimase in silenzio per un istante, poi continuò.

«Cosa pensi tu realmente di mia madre James?».

«Mia cara, di donne come tua madre ce ne sono troppo poche al mondo. Con la sua classe, la sua eleganza e la sua bellezza sapeva riempire il cuore di tutti quegli uomini che le giravano attorno. Riusciva a regalare sogni, immagini e fantasticherie che affollavano le menti di molti».

«James…», cercò Lynda di interromperlo.

«Aspetta Lynda, lasciami parlare. Non so se avrò mai più la forza e un’occasione per farlo. Una di queste menti era la mia. Vedi cara, tua madre è sempre stata per me la donna dei sogni, quell’immagine di fata irraggiungibile che ti toglie il fiato con un solo sguardo. Quando salivate in macchina, io la ammiravo ogni volta! Io vedevo solo lei, lei era nei miei pensieri sempre. Tua madre è stata l’unica donna che io abbia mai veramente amato in tutta la mia vita!», concluse l’uomo, sospirando a testa bassa.

«Ma James, mia madre era sposata!».

«Appunto. Per questo fui costretto ad amarla in silenzio per così tanto tempo. Lei era la moglie del Senatore Grant, il mio datore di lavoro! Non avrei mai potuto averla tutta per me e questo anche lei lo sapeva. E quando il Senatore si tolse la vita pensai che fosse finalmente giunta per me l’occasione giusta per confidarle tutti i miei sentimenti e convincerla a passare il resto delle nostre vite insieme. Ma non lo feci mai, non ne fui capace. Ed ora sono qui a mangiarmi le mani per le occasioni che mi son lasciato sfuggire».

«Ma James, tu sei pazzo! Mia madre amava mio padre, e tu lo sai!»

«Oh no figliola, mi dispiace deluderti ma vedi, l’amore tra tuo padre e tua madre era finito da molto tempo. Stavano insieme per salvare l’immagine di tuo padre, per una specie di contratto che prevedeva anche il mantenimento della loro figlia, cioè tu».

Lynda serrava forte i pugni battendoli incredula sul piano di lavoro. Aveva girato le spalle a James, non osava guardarlo in faccia in quel momento, timorosa di tradire le proprie emozioni. Per quanto difficile da accettare, il discorso di James aveva un senso.

«E’ stata zia Beth a raccontarti queste cose?», chiese Lynda mantenendo sempre una certa distanza dall’uomo.

«Diciamo di si, in parte. Mi sono poi state confermate da tua madre in persona».

«Tu e mia madre vi scambiavate confessioni così intime e riservate?».

«Ho visto tua madre piangere un giorno mentre stava seduta in auto e guardava attraverso i finestrini bagnati dalla pioggia. Era una fredda giornata invernale, lo ricordo ancora come se fosse accaduto ieri. Arrivati a casa vostra, accostai l’auto come facevo di solito e mentre stavo per scendere per aprirle la portiera mi fermò, chiedendomi di aspettare perché lei in quel momento non si considerava presentabile. Aveva gli occhi gonfi di lacrime, lacrime molto amare stando a ciò che da lì a pochi minuti mi avrebbe raccontato».

Il viso di Lynda s’incupì e un grosso interrogativo spuntò nella sua mente, annientando qualsiasi sua capacità di ragionare. Forse sua madre aveva scoperto un tradimento da parte del padre? Decise però di trattenere quel pensiero e di lasciar parlare James.

«Te la senti di parlarmene James?», chiese Lynda all’uomo, timorosa per un suo rifiuto.

«Certo. Ma tu piuttosto, te la senti di ascoltare senza giudicare nessuno per ciò che sentirai?».

Lynda accennò un timido si con il capo e indicò a James di iniziare il suo racconto.

«Ebbene, tua madre ha sempre dedicato la sua vita agli altri. Ha donato tutta se stessa per tuo padre e per te. All’inizio della loro storia, quando tuo padre non era ancora così esposto in pubblico, si amavano davvero tanto. La loro fu una storia davvero intensa, carica di passione, di emozioni, erano entrambi sempre alla ricerca di qualche cosa di nuovo e di eccitante, che li facesse sentire vivi. Tuo padre aveva un fratello gemello, lo sapevi?».

Il viso di Lynda pronunciò da solo la sua sentenza, non vi era alcuna necessità di una risposta più esplicita di quanto quella non lo fosse già. Quante cose non sapeva sulla sua famiglia, della sua vita, del suo passato!

«No, è evidente che non lo sapevi. Tuo padre e il suo gemello erano molto legati, al punto che molto spesso in famiglia scherzavano riguardo ad un possibile scambio di persona e si chiedevano se tua madre se ne sarebbe mai accorta. Un giorno, dopo aver bevuto qualche bicchiere di troppo, i due gemelli pensarono di mettere in atto il loro piano. Vollero mettere alla prova tua madre! Quindi i due fratelli si scambiarono i vestiti e il gemello si recò a casa vostra, al posto del Senatore. S’infilò nel letto con tua madre e si comportò esattamente come lui. Tua madre però non era una stupida, se ne accorse subito! Questa cosa non riuscì mai a digerirla e quando ne ebbe conferma dal marito si arrabbiò al punto tale da decidere di fare le valige e andarsene via da casa. Il senatore la pregò di tornare, non tanto perché ne sentisse la mancanza quanto per l’impatto che tutta la faccenda avrebbe potuto avere sulla sua immagine politica. Il gioco sarebbe dovuto finire ben prima che sua moglie e suo fratello gemello finissero a letto e lui avrebbe dovuto rivelare lo scherzo fatto. Ma non fu così, era troppo ubriaco quella sera e si addormentò nella sua macchina, sotto casa. Durante la sua lontananza da casa, Sarah si innamorò di un altro uomo, con il quale ebbe una lunga relazione che continuò anche dopo il suo ritorno a casa, costretta dal senatore che aveva minacciato nel frattempo di buttarla in mezzo alla strada. Tua madre tornò da lui, rinunciando così per sempre alla sua vita, alla sua libertà e alla felicità che l’altro uomo le avrebbe sicuramente donato. Stava male quasi tutte le mattine, si chiudeva in bagno e rimetteva. Capì che c’era qualche cosa che non andava e dopo poco tempo tutto le fu chiaro: tua madre aspettava un figlio dall’uomo che aveva amato. L’uomo suggerì a tua madre di cercare un figlio anche con il Senatore, in modo che si potesse poi attribuirne a lui la paternità. Tutto si sarebbe quindi sistemato, nessuno avrebbe mai confidato il loro segreto e l’immagine del Senatore sarebbe stata preservata dallo scandalo. Ma il Senatore non voleva avere figli in quel momento, la sua carriera politica era in piena ascesa e stava per raggiungere l’apice a lunghe falcate. Un figlio lo avrebbe frenato, non poteva e non voleva rischiare. Tuttavia non voleva nemmeno rinunciare ai piaceri del sesso con la sua compagna, quindi decise di sottoporsi ad una operazione di sterilizzazione, all’insaputa di Sarah. A cose fatte, nei giorni successivi e dopo un rapporto, lui glie lo confidò. Tua madre subì un brutto colpo e non riuscì a dormire per notti intere, pensando continuamente sul da farsi. La situazione stava degenerando, non avrebbe potuto continuare a nascondere troppo a lungo il suo ventre che andava via via ingrossandosi sempre più. Il Senatore non se ne curava, pensava che il tutto fosse strettamente legato alla forte notizia che le aveva dato e che presto o tardi le sarebbe passata. Ma tua madre aveva ben altre cose nella testa…».

James fece una pausa e guardò Lynda con attenzione. Gli occhi della donna erano immobili, vitrei e spaventati. Il suo viso era divenuto pallido, quasi assente. Capì tutto, proprio tutto… ma non parlò.

«Lynda, John Grant non era il tuo vero padre!».

Calò il gelo. Lynda sentiva il suo cuore nel petto come se fosse un pezzo di carne congelata, la salivazione era azzerata e la sua bocca non riusciva a pronunciare alcuna parola. I giapponesi, il comportamento del suo capo, tutte le cose più tristi che le erano successe quel giorno e i giorni precedenti erano poca cosa se paragonati a ciò che aveva sentito. Guardò Puh che se ne stava a terra rannicchiato, dormiva. Lo invidiava in quel momento, vedeva la vita del suo cane assai migliore della sua, più libera e spensierata. Avrebbe voluto essere volentieri al suo posto! Aveva appena scoperto di aver sempre chiamato papà una persona che non era in realtà il suo vero padre, aveva vissuto per anni senza mai esserne stata messa a conoscenza, nemmeno da parte di sua madre! Sua madre! Quale amore le aveva dato quella donna? Fu solo finzione quindi, una maledettissima recita? Questo aveva fatto per tanto tempo quella donna che ora non riusciva più nemmeno a identificare con il nome comune di madre. Una lacrima si affacciò nei suoi occhi, poi un’altra e un’altra ancora, fin quando non si abbandonò ad un forte sfogo di pianto.

«Perdonami Lynda. Ma questa è la verità. Questa è la tua storia», riprese James. Poi si fermò nuovamente, attendendo che la donna reagisse.

«Oggi non è la mia giornata fortunata James. Forse si tratta solo un brutto sogno e domani mattina mi sveglierò e scoprirò che tutto questo è stato solo frutto della mia fantasia malata…».

«No Lynda, non sarà così. Mi dispiace», concluse James, riportando la donna alla realtà.

«Perché mi hai fatto questo James, perché?», gridò Lynda alla volta del ritrovato zio.

«Perché dovevi sapere figliola. Prima o poi l’avresti comunque saputo. Vai da tua madre e parla con lei di tutto ciò. Lei ti ha sempre difeso, non ha mai pensato nemmeno per un istante di buttarti via, anche se avrebbe potuto farlo. E questo perché ti ha sempre amata, sin dal giorno del tuo concepimento!».

«Forse sarebbe stato meglio se non mi avesse mai fatto nascere».

«Non puoi dire questo, Lynda! Non è corretto nei confronti di tua madre! E’ stato tutto amore, solo amore!», replicò James.

Lynda non aveva più un colore definito sul viso, si sentiva in un altro mondo, immersa in una realtà che non le apparteneva più, come se avesse cambiato vita o pianeta in un solo momento. Sentiva la sua anima marcire lentamente come fanno le foglie immerse in una pozza d’acqua in pieno autunno.

«Cosa accadde dopo? Non si sa chi è il mio vero padre biologico e dove si trova ora? Finisci il racconto James, per favore», ordinò Lynda in tono perentorio. James raccolse le ultime forze e proseguì.

«Le settimane passavano e il ventre di tua madre cominciava a vedersi. Non c’era più molto tempo a disposizione, si doveva fare qualche cosa e in fretta. Lei e il tuo vero padre ne parlarono e decisero di affrontare la realtà così com’era. Ne avrebbero parlato con il Senatore e così fu. Puoi ben immaginare la sua reazione! Se la prese prima con tua madre. Per quanto ne so, la picchiò anche».

Una smorfia di rabbia disegnò una prima traccia sul volto inanimato di Lynda. James la notò subito, ma proseguì il racconto senza fermarsi.

«Evidentemente pensò subito all’impatto che avrebbe avuto l’abbandono di sua moglie con un figlio in grembo sulla sua carriera. Fece quindi marcia indietro, forse su consiglio dei suoi fedelissimi scagnozzi al potere. Stava giocando davvero a un gioco molto delicato e pericoloso per lui, che avrebbe portato sicuramente a disastrosi risultati. Il Senatore stava per mandare all’aria la sua carriera quando gli consigliarono di cercare di mantenere la calma e di mettere il tutto a tacere, comunque la sua paternità non gli avrebbe portato tanti svantaggi quanto quelli che avrebbe prodotto uno scandalo di quel tipo. Ma avrebbe dovuto accettare quel figlio come se fosse stato suo. Il Senatore siglò un vero e proprio contratto con tua madre, che prevedeva il silenzio forzato, pena l’allontanamento immediato dalla casa. Tua madre accettò, per amore tuo e per darti un padre, ragazza mia».

Lynda alzò lo sguardo cercando gli occhi di James. Non stava più piangendo. Il colpo ormai assestato l’aveva trascinata in uno stato di rassegnazione e di abbandono al punto tale che ogni stimolo esterno non riusciva più a provocarle alcun dolore o emozione.

«E quell’uomo, il mio vero padre, dove si trova ora?», chiese mentre si alzava in piedi cercando di recuperare le forze. Capì che il racconto stava per finire.

James abbassò gli occhi sospirando. Non rispose.

«Non mi ha mai cercata?».

«Il Senatore non gli ha mai permesso di avvicinarsi a te in libertà, alla luce del sole. Anche questo era scritto nel patto siglato con tua madre». Ci fu un attimo di silenzio durante il quale ognuno raccolse le idee.

«E’ tutto?», chiese Lynda senza espressione.

«Si Lynda, è tutto».

«Allora andiamocene via da qui ora», ordinò la donna mentre con passo deciso si dirigeva verso la porta di casa. Puh, che nel frattempo si era svegliato, la segui con un passo stanco, trascinato.

«Aspetta, non mettiamo la marmellata nei vasetti prima di andare?».

«Ma per favore James! Portami a casa ti ho detto!».

James coprì la pentola e la infilò nel portabagagli dell’auto mentre Lynda guadagnava il suo posto sul sedile posteriore, come sempre.

Il motore si avviò e James iniziò a guidare. Interminabili pensieri, lunghi come trame di film, affollavano la mente di Lynda in quel momento. Il passato che fino a quel momento aveva vissuto aveva perso ogni sua sfumatura, non aveva più alcun senso. Il futuro che aveva progettato e disegnato fin da quel mattino dopo il suono della sveglia era stato completamente demolito con colpi precisi e decisi, non esisteva più. Si sentiva in bilico, come uno spirito che aveva perso la materia alla quale era stato legato fino a quel momento. Forse era questo il significato di ciò che tutti chiamavano comunemente “morte”? Qualcuno aveva ucciso il suo futuro, qualcun altro aveva fatto altrettanto con il suo passato. Le rimaneva solo il presente, solo su quello poteva ancora agire. Forse, in questo modo, avrebbe potuto ridisegnare la sua nuova vita, il suo nuovo destino. Doveva solo calmarsi, attendere per poi rinascere.

Nei giorni seguenti Lynda si barricò in casa, rifiutando qualunque contatto con il mondo esterno. Persino Puh dovette rinunciare alle passeggiate alle quali era abituato. Trascorreva le sue giornate davanti alla televisione, guardando programmi che non le interessavano e mangiando senza controllo schifezze di ogni genere, perché non aveva alcuna voglia di andare al supermercato per fare la spesa. La sua mente era rivolta sempre al racconto di James, alle rivelazioni che aveva ricevuto. Ora riusciva a capire molte più cose, il suo passato cominciava ad assumere una nuova forma e riusciva a cogliere in pieno le radici del suo presente. Non poteva incolpare James di quanto accadutole, al contrario avrebbe dovuto esprimergli tutta la sua gratitudine! E avrebbe dovuto farlo quanto prima! Ma nonostante i buoni propositi, continuava a rimandare al giorno seguente.

«Grazie James, domani te lo dirò».

Ma quel domani sembrava davvero non voler arrivare mai.




5


Quando l’infermiera entrò nella stanza per aprire le tende alle finestre, Sarah era già sveglia da diverse ore.

«Buongiorno Sarah, come andiamo oggi?», chiese la ragazza con il suo marcato accento francese. Aveva origini marocchine e si era trasferita a New York da una decina di anni per seguire “l’amore della sua vita” che dopo poco tempo l’abbandonò. Lei decise comunque di restare, di vivere la sua vita in quel posto e continuare il suo lavoro che tanto le piaceva. Anche se fosse tornata nella sua terra non sarebbe mai più stata accettata da alcun uomo, poiché aveva violato la legge imposta dal Cornano.

«Buongiorno a lei Lynette. Come vuole che stia? Come ieri, e come starò domani!», rispose Sarah svogliatamente al consueto rituale mattutino.

La ragazza estrasse una lettera dalla tasca e la consegnò nelle mani di Sarah con un sorriso.

«Guardi che cosa le ho portato oggi! E’ una lettera che arriva dalla Cornovaglia! Vede il timbro sul francobollo?».

«Dalla Cornovaglia? Ma allora è una lettera di mia sorella Beth! Non ci scriviamo più da tantissimo tempo, ultimamente ci sentivamo solo per telefono!».

L’emozione di Sarah salì alle stelle, non vedeva l’ora di aprire la busta ma le sue mani logorate dal tempo non le permettevano di compiere agilmente quell’azione che per altri sarebbe stata banale.

«Oh accidenti! Le mie maledette mani!», esclamò nervosamente Sarah.

«La prego signora, lasci fare a me», si offrì di aiutarla Lynette. La ragazza prese la busta e con un coltellino cominciò lentamente a lacerarne la parte superiore fino ad estrarne il contenuto. All’interno c’era un semplice foglio piegato in due, riportante poche righe scritte a mano e con calligrafia incerta, quasi tremolante.

Newquay, 15 Maggio 2012

Mia cara sorella Sarah, ti scrivo queste poche righe per dirti che la mia vita sta giungendo ad una svolta. Molte cose sono cambiate e molte altre accadranno in breve tempo. Ho un forte bisogno di parlarti, di raccontarti tutto come facevamo una volta. Per questo motivo vorrei davvero rivederti, riabbracciarti, per stare insieme a te proprio come quando eravamo bambine, moltissimo tempo fa, prima che gli eventi accaduti nelle nostre vite ci separassero. Porta Lynda con te, ho ancora delle ricette da insegnarle e un grosso favore da chiederle. Vi aspetto, non tardate per favore…

La tua amata sorella Beth

Sarah rimase molto scossa da quel messaggio. Non era usuale da parte di Beth scrivere così poche righe senza accennare a qualche cosa di più preciso, in fin dei conti era sempre stata una gran chiacchierona. Cosa poteva esserle successo di così importante da spingerla a scrivere un messaggio tanto criptico? Lynette, che nel frattempo aveva portato la colazione al tavolo, notò il viso incupito della donna.

«Qualche brutta notizia signora?», chiese preoccupata la giovane, «Mi auguro di no!».

«No, o quantomeno ancora non lo so. E’ un messaggio piuttosto strano, insolito per una donna come mia sorella che in vita sua non è mai stata capace di mantenere il benché minimo segreto. Lo legga anche lei Lynette, e mi dica cosa ne pensa», rispose la donna mentre porgeva il foglio alla ragazza che lo lesse attentamente.

«Sembra non dire molto, in effetti. Ma si intuisce che c’è una grossa novità della quale vuole mettere lei e sua figlia a conoscenza. E anche con una certa fretta a quanto pare», rispose la giovane senza togliere gli occhi dalla lettera, sperando forse fino all’ultimo momento di scoprire qualche dettaglio di più ma senza successo.

«Che cosa pensa di fare signora? Pensa di partire?», chiese la ragazza.

«Non so se potrò andarci Lynette, sono quasi inferma, non vede?», replicò la donna.

«Non sarà da sola, con lei ci sarà anche sua figlia. E poi quel “quasi inferma” non significa che lei lo sia veramente! Anzi, sa che cosa penso? Muoversi un po’ e cambiare aria lontano da qui le farà davvero bene! Mi hanno raccontato che la Cornovaglia è un posto splendido, avrei fatto carte false per poterci andare anche io. Forse un giorno accadrà, chi lo può sapere!», esclamò la ragazza con tono convincente.

«Mia figlia! Mia figlia! Lei è troppo assorbita dai suoi impegni, dal suo lavoro, dalla carriera. Si figuri se può mollare tutto senza preavviso e partire con me per verso un cottage perso nella campagna inglese! E per far cosa? Per assecondare le idee bizzarre di una vecchia zia che non vede ormai da tanti anni».

«Ma qui leggo che sua sorella Beth avrebbe un grande desiderio e bisogno di vedere anche lei, di parlarle. Se ha un po’ di cuore accetterà, non crede? Io farei subito le valige e partirei con il primo volo disponibile, se solo mi fosse possibile! Le passo il telefono, la chiami e le dica tutto subito, così se avrà necessità di sistemare delle cose al lavoro potrà cominciare a farlo», replicò la giovane regalando alla donna un bel sorriso rassicurante.

«Va bene Lynette, mi hai convinta. La chiamerò. Farò un paio di telefonate. Ora, se mi vuole scusare, la pregherei di uscire e di chiudere la porta dietro di sé. La chiamerò io quando avrò finito di fare colazione».

L’infermiera acconsentì con un inchino del capo e si allontanò dalla stanza facendo esattamente ciò che Sarah le aveva chiesto di fare. Rimasta sola, Sarah cominciò a pensare a cosa avrebbe detto alla figlia, cercando di anticiparne la reazione e le possibili risposte, per pianificare di conseguenza la prossima mossa. Passarono diversi minuti e poi, decisa, cominciò a comporre il numero.

Il telefono squillò a vuoto per parecchio tempo prima che partisse il messaggio della segreteria telefonica. Ma Lynda era in casa. Sarah lasciò un messaggio che Lynda ascoltò in diretta, seduta sul suo letto in balia delle sue lacrime e della sua più totale frustrazione. Ma non reagì, non disse e non fece assolutamente nulla, come se quella telefonata non fosse mai arrivata. In quel momento non sapeva davvero che cosa fare. Le parole di James le riecheggiavano continuamente nelle orecchie, martellandole il cervello e riducendole il cuore in brandelli. Era cresciuta senza un padre. E sua madre, la donna che le aveva donato la vita e che avrebbe dovuto darle amore l’aveva tenuta all’oscuro di tutto questo. E se James non le avesse raccontato nulla? Forse il segreto più grande della sua esistenza sarebbe morto insieme a sua madre? Oppure ne sarebbe venuta comunque a conoscenza, in un modo o nell’altro? Il Senatore, colui che aveva creato la bella copertina di un libro che descriveva le storie di una “famiglia felice”, era ormai morto da parecchio tempo. Perché non raccontarle tutto quindi? L’immagine dell’uomo e del politico non sarebbero state compromesse. Non più ormai. O forse c’era dell’altro che lei ancora non sapeva e che le era stato nascosto?

Sarah non aveva dato l’impressione di essere preoccupata o in pericolo per qualche cosa nel suo messaggio. Le aveva semplicemente detto che aveva bisogno di vederla e di parlarle. Forse James era andato a farle visita e le aveva raccontato dell’accaduto per poi invitarla a chiarire tutto con la figlia? Era una possibilità da non trascurare. Ma se aveva atteso così tanto tempo per chiarire il tutto con lei, non sarebbe stato un grosso problema attendere ancora per un po’. Perché mai tutta questa fretta? Lynda non aveva proprio nessuna voglia di vedere sua madre e tantomeno di parlare con lei quel giorno. Avrebbe prima dovuto digerire tutto, e solo dopo affrontare la madre a muso duro. Il boccone era troppo amaro. Si sistemò i capelli e si vestì comoda per uscire a prendere una boccata d’aria, visto che anche Puh la implorava di farlo. Ma mentre stava per uscire sentì squillare nuovamente il telefono. Jack la stava chiamando dall’ufficio. Svogliatamente decise di rispondere.

«Che c’è?», iniziò la conversazione con maniere assai poco amichevoli.

«Lynda cara, ma dove sei finita? Ti avrò chiamato già mille volte e non mi hai mai risposto!», la riprese l’uomo.

«Ho avuto cose molto più importanti da fare».

«Più importanti del tuo lavoro? Della tua carriera? Dai Lynda, non fare la sciocca! Non rovinare tutto per un insignificante disguido!», rispose Jack in tono quasi paterno.

«Ah, ma sentilo il signorino! Il tuo motto è sempre stato “Io mi spezzo ma non mi piego”! E poi che cosa hai fatto? Non appena quell’imbecille ti ha detto di tagliarmi fuori tu lo hai fatto, ti sei piegato! E senza paure o riserve hai chiamato quell’essere viscido e infame!».

«Si chiama Gregory», s’inserì Jack per spezzare il monologo della ragazza furiosa, mai vista prima dall’ora così arrabbiata e di cattivo umore. Ma cosa aveva fatto lui di male? Aveva solo cercato di fare quanto possibile per il bene dell’azienda!

«Lo so come si chiama Jack, non prendermi per una stupida perché lo sai che non lo sono! Anche se è il nipote del presidente, per me resta sempre e comunque un viscido schifoso e raccomandato!».

«Va bene. Ora calmati Lynda, te ne prego. E’ proprio di questa cosa che vorrei parlarti, possiamo discuterne?».

«Vomita! Ti sto ascoltando!», rispose Lynda, raggelandolo.

«Lynda, non son cose da discutere al telefono, questo tu lo sai bene. Vieni qui nel mio ufficio tra un’ora e ne parliamo con calma, a quattr’occhi e in privato, ok?».

«Sarò lì tra un’ora Jack, ma ti giuro su quanto ancora mi è rimasto di caro al mondo che se solo osi sfidarmi o prendermi in giro butto all’aria l’ufficio intero. Dovrai chiamare le guardie e farmi buttare fuori, e poi potrai anche farmi licenziare!». Jack non rispose, fino alla richiesta di Lynda, «Mi sono spiegata con sufficiente chiarezza caro Jack?».

«Si Lynda, ho capito! Ho capito! Ora però ti prego di calmarti e di non venire qui così prevenuta. Ti aspetto, ciao». E riattaccò.

Lynda scaraventò il telefono sul letto, dove rimbalzò per poi cadere violentemente a terra, frantumando lo schermo. Lynda lo raccolse e lo guardò, ma senza dare troppa importanza all’accaduto. In fin dei conti funzionava ancora.

Anche se per quel lavoro e per le persone di quell’ufficio non provava più alcun sentimento di amicizia o complicità ma solo tanto odio, pensò di cambiarsi e vestirsi come sempre con il suo tailleur. Agli occhi di chi la conosceva bene, lei voleva apparire come la solita donna di sempre. Jack le avrebbe fatto ancora una volta i suoi complimenti? Ci pensò per un attimo ma realizzò subito che tutto sommato non le importava affatto. Ma voleva comunque mantenere la sua dignità.


* * *

James cominciò a preparare la valigia con estrema lentezza. La sua mente tornava continuamente alle parole dei Beth che al telefono gli chiedeva di andare da lei urgentemente, senza specificare altro. La sua voce sembrava calma, rilassata e felice, non avrebbe quindi avuto modo di preoccuparsi più di tanto. Tuttavia non si sentiva totalmente tranquillo. Era inoltre molto preoccupato per Lynda e per il modo in cui si erano lasciati il giorno prima. Sapeva di aver combinato un bel pasticcio e di aver perso la stima della giovane, ma era una cosa che si sentiva di dover fare, per il bene della ragazza e per il suo futuro lei doveva sapere come stavano le cose in realtà. Era sicuro che se la ragazza avesse scoperto quella verità per conto suo, le conseguenze sarebbero state anche più gravi. In silenzio nel suo cuore, però, le chiedeva scusa. Nel giro di due giorni si sarebbe ritrovato in Cornovaglia al cottage di Beth, con lei avrebbe discusso nel dettaglio sul da farsi. Era sicuro che lei avrebbe capito i motivi che l’avevano spinto a parlare. Il resto della storia si sarebbe spiegato da solo e lei lo avrebbe accettato, forse. Si guardò allo specchio e sorrise. Poi prese il telecomando della televisione e la accese su una trasmissione a caso. Si sedette distrattamente sul suo comodo divano e lasciò la sua mente libera di viaggiare a cavallo dei pensieri.


* * *

Lynda arrivò in azienda. La receptionist la salutò come sempre con il suo riconoscibile tono gentile. Tuttavia non si spinse oltre, aveva notato subito l’espressione cupa nel volto della giovane e la risposta distratta con un gesto di mano al suo saluto, segnale inequivocabile che c’era qualche cosa che non andava in lei. Lynda era stata sempre molto aperta ed espansiva con le persone, una sua caratteristica era proprio quel sorriso che sapeva donare a tutti, in ogni momento, anche il meno opportuno. Ma quella non era più la solita Lynda. Quella ragazza allegra e solare si era in realtà persa, proprio come il suo passato. Quella donna che aveva attraversato la hall si sentiva in bilico, come se stesse camminando sulla lama di un rasoio. Sapeva che prima o poi sarebbe caduta, si chiedeva solo da quale parte. Una donna senza un passato poteva riuscire a ricostruirsi una vita e un nuovo futuro?

Jack l’aspettava nel suo ufficio, Lynda era stata puntuale, onorando come sempre l’impegno preso.

«Ciao cara Lynda, entra pure, accomodati», disse Jack mentre Lynda già si stava sedendo anche senza il suo invito esplicito.

«Jack, per te non sono più la “cara Lynda”, ti prego di tenere un tono più adeguato e di rispetto nei miei confronti se vuoi che anche io continui a comportarmi in modo rispettoso nei tuoi. Veniamo al dunque, non ho tempo da perdere! Dimmi quello che hai da dirmi, che cosa vuoi da me e perché mi hai chiamato», rispose Lynda in tono assai scocciato, desiderosa di liberarsi quanto prima da quella scomoda situazione.

«Ok, ok. Ti racconto subito tutto. Riguarda l’incontro con Yamada», accennò Jack a testa bassa, prima di fare una lunga pausa per poi riprendere le fila del discorso, «Non è andata affatto bene come speravamo».

Lynda si abbandonò a una sonora e isterica risata. Mai come in quel momento si era sentita così bene, al punto da dimenticare per un attimo tutti i suoi problemi personali. Nella sconfitta ne stava uscendo vincitrice.

«Ahahah! Bene! E tu avevi dei dubbi? Io proprio nessun dubbio, affatto! Cosa potevi aspettarti da quel…»

«Idiota!», la interruppe Jack, tenendo sempre la testa bassa, gli occhi puntati su un foglio di carta che giaceva sulla sua scrivania, giusto di fronte a lui. Lynda s’interruppe e lo guardò, seria. Poi puntò gli occhi verso il foglio e si accorse che era stato firmato dal presidente. Jack la guardò e le allungò il foglio perché potesse leggerlo anche lei.

«Si Lynda, Gregory è un vero idiota. Leggi la lettera, poi ti spiego tutto», annunciò Jack mentre si dirigeva con le mani in tasca verso la finestra del suo ufficio, quella che offriva una splendida vista sulla città sottostante. Lynda aveva tanto desiderato un ufficio come quello e aveva pensato che lo avrebbe finalmente avuto dopo aver permesso all’azienda di concludere l’affare con Yamada. Il foglio annunciava che sarebbero stati presi seri provvedimenti disciplinari nei confronti di Lynda Grant in seguito all’increscioso comportamento tenuto durante l’incontro con uno dei più grossi e potenziali clienti per l’azienda, mettendo in seria difficoltà e cattiva luce l’operato e l’immagine di un valido e stimato collega chiamato a sopperire alle sue mancanze e senza avere a disposizione strumenti adeguati.

«Con questa lettera mi stanno licenziando?», chiese Lynda, incredula di quanto aveva appena finito di leggere.

«Non ancora Lynda. Ma sei stata penalizzata, le tue mansioni sono state pesantemente ridotte e il management aziendale ti terrà sotto stretta osservazione per tutto il prossimo anno. Ti hanno retrocessa a mansioni più semplici, di amministrazione ordinaria», rispose Jack senza nemmeno voltarsi. Temeva lo scontro con gli occhi delusi di Lynda.

«E tu non ha fatto nulla? Chi sarebbe il mio “controllore”, tu forse?», riprese la donna. Sentiva ancora una volta il mondo intero caderle sulle spalle. Era arrabbiata con Jack, sicura che nulla si sarebbe mai più sistemato. Tutto stava degenerando verso l’irreparabile, come un oggetto in caduta libera dentro un pozzo senza fine.

«Io ho raccontato al direttore quanto è accaduto, difendendo il tuo operato e il materiale da te prodotto fino alla fine. Gregory si è comportato da vero idiota e davanti a Yamada si prendeva il lusso di fare battute che solo lui poteva considerare esilaranti, ma che non lo erano affatto. Ha fatto la figura del pagliaccio di fronte al cliente, trascinando dietro di se l’immagine di questa azienda. Yamada ha espresso la sua volontà di non voler continuare la presentazione sin dalle prime battute, battezzando il progetto come non adatto alle loro necessità. E’ stato anche troppo gentile e corretto nei nostri confronti. Con la sua squadra, dopo gli inchini di rito, ha abbandonato la sala. Inutile dire che Gregory non s’è affatto preso le sue responsabilità di fronte al presidente, ha incolpato te per quanto accaduto, affermando che il progetto non era affidabile e nemmeno presentabile in quel modo, portandolo inevitabilmente al fallimento e a fargli fare una incresciosa pessima figura».

«E il presidente gli ha dato retta!», rispose Lynda.

«Non dovrei dirlo, ma come tu sai idioti e parenti si capiscono sempre al volo. Penso che in privato gli abbia dato una lavata di testa, ma in pubblico ha dovuto seguire le procedure aziendali. Tu sei scappata via Lynda, questo è stato il tuo più errore, una colpa alla quale io non ho potuto rimediare in alcun modo. Mi dispiace. Quando il presidente mi ha chiamato nel suo ufficio e mi ha consegnato quel foglio, mi ha anche detto di riferirti che sei fortunata a non essere stata licenziata e questo grazie a Gregory che, a detta sua, gli ha riferito delle tue enormi capacità nell’esecuzione delle attività più ordinarie. Ti ha fatto fuori Lynda! E purtroppo sei stata tu a servirgli la tua testa su un piatto d’argento».

Scese il silenzio. I due non parlarono per diversi minuti. Poi Jack, capita la situazione, invitò Lynda a riflettere per bene sul da farsi. Le suggerì di prendersi un periodo di ferie per cercare di lavare via la rabbia e meditare sul suo futuro in azienda. Sapeva quanto sarebbe stato insano e frustrante per lei, una ragazza energica e piena d’energia in piena corsa per la carriera, mettersi da parte e ricominciare tutto da capo, con gli occhi delle persone che inevitabilmente sarebbero finiti su di lei, insieme a tutte le chiacchiere e ai giudizi che sarebbero stati espressi ad ogni suo passaggio nei corridoi. Avrebbe perso il suo ufficio e le sarebbe stata assegnata una semplice scrivania, condivisa con altri colleghi. Lynda cominciò a vedere con gli occhi della mente quelle immagini che fino ad allora aveva visto solo nei film, persone licenziate che riempivano una scatola di cartone con i loro effetti personali per poi abbandonare l’ufficio e i colleghi. Questa volta era capitato a lei. Si, proprio lei era protagonista del film che passava nella sua mente. Lynda Grant, la donna che era stata fino a qualche giorno prima era morta, non esisteva più nemmeno sotto il profilo professionale. Si alzò e prese distrattamente la sua borsa, rimanendo ferma in piedi in attesa che Jack le confessasse che in realtà si era trattato solo di uno scherzo di cattivo gusto, per poi scoppiare a ridere e chiudere il tutto con un abbraccio come era solito fare quando scherzava amichevolmente con lei. Ma non fu così. L’unica cosa che Jack le disse fu che il foglio che teneva ancora in mano era suo e poteva tenerlo. Le disse che avrebbe atteso tutto il tempo necessario perché lei potesse fare la scelta più opportuna, per poi di comunicargli quanto deciso. Concluse infine con un sincero “mi dispiace”, quindi la congedò.

Tornata a casa prese il telefono per chiamare la madre. La giornata era già stata completamente rovinata, parlare con la madre non avrebbe potuto aggravare ulteriormente le cose. Pensò anche che forse sarebbe stato meglio morire lo stesso giorno per rinascere con il sorriso il giorno seguente. Compose il numero.

«Pronto, sono Sarah». Lynda non fiatò. «Pronto? Chi parla?».

«Sono io», rispose freddamente Lynda.

«Tesoro! Meno male che mi hai richiamato! Ho provato a telefonarti stamattina presto ma evidentemente eri già uscita per andare al lavoro, quindi ti ho lasciato il messaggio in segreteria».

«Che cosa c’è? Perché mi hai cercato?».

«Ma tesoro, che cosa c’è che non va? Ti sento molto dura nei miei confronti. E’ successo qualche cosa al lavoro?»

«Questi sono affari che non ti riguardano ora! Dimmi che cosa c’è, non ho molto tempo da perdere Sarah».

«Sarah? Ma Lynda, tesoro mio, da quando chiami tua madre per nome? Che fine hanno fatto la tua energia e il tuo sorriso?».

«Lynda è morta, o forse non è nemmeno mai nata».

«Ma tu sei impazzita! Che ti prende? Mi sto preoccupando adesso! Vuoi dirmi che cos’hai?».

«Che cosa avevi di così urgente da comunicarmi al telefono questa mattina?», replicò Lynda ripetendo nuovamente la domanda. Pensò che se la madre avesse tergiversato ancora, lei avrebbe riattaccato questa volta.

«Tua zia Beth vuole vederci, ha qualche cosa d’importante da dirci Lynda, a quanto pare. Ci ha invitate a raggiungerla a casa sua, al cottage in Cornovaglia. Non mi ha detto nulla di più di questo, ho ricevuto un suo messaggio scritto, questa mattina qui in clinica».

«Beth è tua sorella».

«Si, certo! Tua zia Beth è mia sorella, non è una novità questa».

«Sai, non ne sono più tanto sicura».

Seguirono lunghi interminabili secondi di puro silenzio. Nessuna delle due parlava, entrambe restavano immerse nei loro pensieri, cercando di trovare in fretta le prossime parole da dire.

«Lo hai saputo vero?», riprese Sarah.

«Cosa avrei dovuto sapere? Quello che ogni persona sa fin da quando nasce? O c’è dell’altro che ancora mi nascondete tu e James?».

«James! Te l’ha raccontato!».

«Evidentemente è l’unica persona che mi ha sempre voluto bene, come una figlia. E’ stato come un padre per me, ben diverso da quello finto con il quale ho condiviso il tetto di casa fino al giorno in cui ha deciso finalmente di togliersi di mezzo».

«Lynda, tesoro mio! Mi dispiace che tu ne sia venuta a conoscenza in questo modo. E’ anche colpa mia e comprendo bene il tuo dolore e la rabbia che provi in questo momento. Ma posso spiegarti tutto. Vieni a prendermi domani mattina, partiremo insieme per la Cornovaglia per andare da Beth, va bene? Riesci a liberarti con il lavoro per qualche giorno?». Alla domanda seguì un lungo silenzio che Sarah interpretò come un consenso da parte della figlia. Anche da piccola, quando era arrabbiata, reagiva allo stesso modo. Evidentemente non era mai cambiata sotto quell’aspetto.

«Non ho più un lavoro, mi sono licenziata. Sarò lì domani mattina, fatti trovare pronta e con le tue cose già sistemate nella valigia».

«Come dici? Ti sei licenziata?».

Sarah attese una risposta da parte della figlia che invece riattaccò semplicemente.

«A domani, tesoro. Perdonami se puoi», concluse la donna, in risposta al fastidioso silenzio del telefono muto. Si sarebbero viste il mattino seguente, le rimanevano tutta la sera e la notte per riorganizzare le idee e preparare un discorso sensato che potesse dimostrare alla figlia le sue buone intenzioni, sia come madre che come donna e moglie di un uomo politicamente influente nel Paese. Sarah non cenò quella sera e nel letto continuava a girarsi e rigirarsi senza riuscire a prendere sonno nemmeno quando le sembrò di aver raccolto i cocci di una spiegazione adatta al confronto con la figlia. Il sonno la sorprese solo a notte fonda e fu molto breve e agitato. Ormai le prime luci dell’alba cominciavano a filtrare attraverso le fessure larghe degli oscuranti di legno consumati dal tempo ed era ora di alzarsi per mettere tutto in ordine in attesa dell’arrivo di Lynda.




6


Beth era già alzata da diverse ore quando Charles si presentò davanti alla porta di casa sua, come faceva quasi ogni giorno da un bel po’ di tempo.

«Buongiorno Beth, posso entrare?», chiese il giovane.

«Buongiorno a te Charlie! Certo che puoi entrare, sarò da te tra un minuto», rispose la donna dal piano superiore. Il tono carico d’affanno nella sua risposta suggerì al giovane che la donna doveva essere parecchio indaffarata in quel momento e pensò di essere arrivato nel momento sbagliato.

«Beth, se per lei questo non è un buon momento posso andarmene e tornare più tardi. Non ho grossi impegni da rispettare questa mattina», replicò il ragazzo.

«No no, scendo subito non ti preoccupare».

Immediatamente un forte rumore risuonò nella casa, seguito da un tintinnio di cocci, quello di un oggetto che si rompe cadendo a terra.

«Beth! Che succede? Tutto bene?», chiese il ragazzo preoccupato.

«Si Charlie, tutto bene. Mi è solo cascato un vaso e si è rotto in mille pezzi, c’è terra sparsa ovunque. Povero il mio piccolo rododendro!», rispose tristemente la donna. Nel frattempo il giovanotto l’aveva raggiunta per aiutarla ed entrò nella camera.

«Oh no Charlie! Quante volte ti ho detto che non voglio che tu mi veda così in questo modo!».

«Ma Beth, non si deve preoccupare! Lei è bellissima come sempre, lo sa questo», rispose il ragazzo sorridendo, mentre con le mani raccoglieva la terra dal suolo avendo cura di riposare la pianta e quanta più terra possibile nella più grossa parte di vaso rimasta ancora intera.

«Ma quale bellezza! In questo stato non piaccio più a nessuno, proprio a nessuno», insistette Beth, cercando consenso attraverso gli occhi giovani e pieni di luce del ragazzo.

«Ma a me lei piace tanto, e lo posso confermare ogni giorno. Quello che possono pensare o non pensare gli altri a me non interessa, è un problema loro, non mio. Ecco, il suo bel rododendro rosso è salvo e salvo. Penso però che sarebbe bene piantarlo nel giardino insieme agli altri ora, non crede? Qui potrebbe sentirsi solo», concluse mantenendo il sorriso inalterato sulle sue giovani labbra.

«Sei tanto caro Charlie, sei davvero un bravo ragazzo! Chi non ti ha visto crescere non può nemmeno immaginare che cosa si è perso in tutto questo tempo! La tua povera mamma sarebbe fiera di saperti cresciuto così bello, educato e gentile verso il prossimo. Quando il momento sarà giunto glie lo dirò, stai tranquillo», rispose Beth mentre con la mano accarezzava la spalla del giovane. Il giovane la guardò dritto negli occhi e afferrò la sua mano, stringendola calorosamente.

«Quello che mia madre avrebbe dovuto vedere l’ha sicuramente già visto. E lei, Beth, non dovrà raccontarle proprio nulla, almeno per un bel po’ di tempo ancora!», la rincuorò Charlie. Beth lo ringraziò con un sorriso sincero e carico di ammirazione che rubava lentamente il posto alle lacrime amare sgorgate poco prima dai suoi occhi blu.

«Sei tanto caro Charlie! Ma io purtroppo sento che non sarà così. Sono una donna, questo è il mio corpo e le sensazioni che vivo e che fatico a descrivere mi suggeriscono che ormai non mi resta ancora molto tempo da vivere. Dunque, veniamo a noi! Mi hai portato la frutta che ti avevo chiesto?», domandò Beth mentre con le mani finì di sistemarsi il viso e il capo.

«E’ tutto qui fuori dalla porta, la sta aspettando! Sempre di primissima qualità, come piace a lei. Ma questa volta mi ha chiesto davvero un carico esagerato! Che cosa ha in mente?», chiese il giovanotto incuriosito. Beth gli aveva ordinato spesso carichi di frutta, ma sempre in quantità limitate. Questa volta invece sembrava dovesse sfamare un esercito intero.

«Diciamo che ci sarà un bel po’ di gente qui tra qualche giorno e avremo un bel po’ di cose da fare. E tu dovrai darci una mano, signorino! Pensi di farcela?», riprese la donna. Aveva ritrovato tutta la sua energia e il suo buonumore o quantomeno era quello che cercava di esprimere agli occhi del ragazzo, divenuti tristi in seguito alle sue ultime parole piene zeppe di rassegnazione verso il naturale decorso della vita.

«Io?», chiese Charlie. Non si aspettava un suo coinvolgimento in un progetto di Beth e ciò lo incuriosì.

«Oh si, caro ragazzotto mio! Proprio tu! Vedi forse qualcun altro qui in questa camera oltre a noi due?»

Il ragazzo alzò le spallucce. Faceva sempre così quando voleva mostrare che aveva capito, ma il motivo di quel suo coinvolgimento non gli era ancora per nulla chiaro.

«Vedrai, ci divertiremo tanto!», concluse Beth facendogli l’occhiolino.

Uscirono insieme nel giardino che circondava tutto il cottage, diversi ettari di terreno dedicati ad una sola splendida pianta, il rododendro in tutti i suoi più svariati colori e tipologie. Si poteva passeggiare tra le piante già alte che cominciavano a regalare i primi fiori colorati per via della stagione già avanzata. Ogni volta che usciva dalla porta, Beth osservava quelle piante e sorrideva. Forse con gli occhi le vedeva come figli suoi, intenti a giocare nel suo immenso giardino. Le casse di frutta erano già state ben accatastate da Charlie vicino alla porta che conduceva alle fresche cantine, nel sottosuolo.

«Forza, portiamole giù Charlie, andiamo!», esclamò Beth contenta di vedere che la qualità di quella frutta aveva soddisfaceva ancora una volta le sue aspettative. A Beth brillarono gli occhi, desiderava davvero che il suo progetto fosse un successo così che anche lei ne avrebbe assaporato l’essenza prima che fosse troppo tardi. Scacciò dalla mente i cattivi pensieri a piene mani e provò d’istinto a sollevare una cassetta di frutta ma senza riuscirci. Erano davvero molto pesanti per lei.

«Beth, lasci stare. Sono molto pesanti, ci penserò io non si preoccupi. Mi dica solo dove vuole che glie le sistemi».

«Qui sotto Charlie. Seguimi, ti faccio strada», rispose Beth con rinnovata rassegnazione, «Ormai funziono bene solamente come apriporta».

«Non dica sciocchezze. Mi vuole spiegare il perché di tutta questa negatività oggi? Non le fa mica bene sa?», rispose seccamente Charlie per darle una scossa.

«Oh Charlie, non sono affatto sciocchezze! Lo hai visto anche tu no? Non riesco a sollevare nemmeno una cassetta. Sono diventata una vecchiaccia ormai!».

«Io direi che è solo diventata più esperta e saggia».

«Oh, grazie caro! Sei il mago furbetto dalla parola dolce e molto facile! Chissà quante ragazze con il cuore infranto hai disseminato qui in giro!»

Charlie sorrise e Beth con lui.

«Sono un ragazzo difficile, complicato e anche un po’ sognatore. Le donne non mi apprezzano per quello che sono!», asserì beffardamente il giovane.

«Ecco, vedi? L’hai detta tu la vera sciocchezza del mattino. Anche per oggi sei a posto allora», lo istigò Beth.

«Oh no, non è affatto una sciocchezza. Non resisto più di qualche giorno insieme ad una ragazza. Non riesco a fingere, a nascondere i miei pensieri, i miei sentimenti, il mio modo d’essere e di agire. E quindi esco subito allo scoperto, quasi sempre. Questo generalmente alle ragazze della mia età non piace ed io mi rovino con le mie stesse mani!».

«Sei mai stato innamorato veramente?», lo provocò nuovamente Beth. Attendeva con ansia la risposta a quella domanda. Ma la risposta tardava ad arrivare.





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La delusione per i segreti riguardanti la propria vita e scoperti solo molto tardi, una carriera rincorsa per tanti anni e distrutta in un attimo e l'invito tanto inatteso quanto misterioso di una cara zia che vive in un cottage in Cornovaglia riportano Lynda in quella terra dalla quale era rimasta lontana per molto tempo.

L'incontro con un uomo e con la sua vita ancora avvolta dalle ombre di avvenimenti del passato, un viaggio a Milano e l'incontro con un'affermata stilista di moda italiana, il ritrovamento di un caro amico della sua infanzia e un vero talento dimostrato negli anni per la preparazione di dolci e confetture di frutta cambieranno la vita di Lynda per sempre.

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