Книга - Tramutata

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Tramutata
Morgan Rice


Appunti di un Vampiro #1
TRAMUTATA è il primo libro della prima serie campione di incassi APPUTNI DI UN VAMPIRO, che comprende - al momento - dieci libri. In TRAMUTATA (Primo libro di Appunti di un Vampiro), la diciottenneCaitlinPainesi trova sradicata dalla confortevole cittadina dove viva e costretta a frequentare una malavitosa scuola superiore di New York in seguito allennesimo trasferimento di sua madre. Lunico raggio di sole in questo nuovo contesto è Jonah, un compagno di classe che prova per lei unimmediata simpatia. Ma prima che la loro storia possa sbocciare, Caitlin scopre che sta cambiando. Si trova pervasa da una forza sovrumana, da una particolare sensibilità alla luce, da uno strano desiderio di nutrirsi, da sentimenti che lei stessa non riesce a comprendere. Cerca delle risposte a ciò che le sta accadendo, e la sua nuova brama la conduce nel posto sbagliato nel momento sbagliato. I suoi occhi le svelano un mondo nascosto, che si trova proprio sotto i suoi piedi, insediato nei sotterranei di New York. Si trova intrappolata tra due covi pericolosi, proprio nel bel mezzo di una guerra tra vampiri. È a questo punto che Caitlin incontra Caleb, un vampiro forte e misterioso che la salva dalle forze oscure. Lui ha bisogno di lei perché lo aiuti a raggiungere un leggendario oggetto perduto. E lei ha bisogno da lui di risposte e di protezione. Insieme dovranno rispondere a una domanda cruciale: chi era il vero padre di Caitlin? Ma Caitlin si trova incastrata tra due uomini e qualcosa di nuovo sta sorgendo tra loro: un amore proibito. Un amore tra diverse razze che metterà a rischio la vita di entrambi e che li costringerà a decidere se rischiare il tutto e per tutto per il loro futuro… "TRAMUTATA è una storia ideale per giovani lettori. Morgan Rice ha fatto un grande lavoro tessendo un intreccio interessante su quello che sarebbe potuto essere semplicemente un tipico racconto di vampiri. Rinfrescante e unico, TRAMUTATA possiede i classici elementi che si ritrovano in molte storie paranormali per ragazzi. Il primo libro della Serie Appunti di un Vampiro ruota attorno a una ragazza… una ragazza straordinaria! TRAMUTATA è semplice da leggere, ma ha un ritmo veramente incalzante. Raccomandato per tutti coloro che amano leggere storie paranormali leggere e non troppo impegnative. Classificato PG." --The Romance Reviews "TRAMUTATA ha rapito la mia attenzione fin dallinizio e non ho più potuto smettere… Questa storia è unavventura sorprendente, dal ritmo incalzante e densa di azione già dalle prime pagine. Non vi si trovano momenti morti. Morgan Rice ha compiuto un lavoro strepitoso portando il lettore direttamente allinterno del racconto. Ci ha fatti anche affezionare subito a Caitlin, facendoci desiderare che riesca a trovare la verità… Non vedo lora di leggere il secondo libro della serie." --Paranormal Romance Guild







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(libro #1 in I Appunti di un Vampiro)



Morgan Rice



Traduzione italiana a cura di

Annalisa Lovat


COSA HANNO DETTO DI TRAMUTATA



“TURNED - TRAMUTATA è una storia perfetta per giovani lettori. Morgan Rice ha fatto un lavoro eccellente creando un intreccio interessante … TRAMUTATA è rinvigorente e unico, possiede i classici elementi che si ritrovano in molte storie paranormali per ragazzi. TRAMUTATA è di facile lettura, ma estremamente veloce e incalzante… Lo raccomando a chiunque ami leggere piacevoli romanzi paranormali. Classificato PG.”

--The Romance Reviews



“TRAMUTATA mi ha preso fin dall’inizio e non ho più potuto smettere…. Questa storia è un’avventura sorprendente, incalzante e piena d’azione fin dalle prime pagine. Non esistono momenti morti. Morgan Rice ha fatto un lavoro eccellente, trasportando il lettore nella storia. È inoltre riuscita a farci affezionare a Caitlin, facendoci desiderare fortemente che lei riesca a trovare la verità… Non vedo l’ora di leggere il secondo libro della serie.”

--Paranormal Romance Guild



“TRAMUTATA è una lettura dark piacevole e semplice, da poter affrontare tra un libro e l’altro, data la sua brevità… L’interesse è assicurato!”

--books-forlife.blogspot.com



"TRAMUTATA è un libro che può competere con TWILIGHT e VAMPIRE DIARIES, uno di quelli che vi vedrà desiderosi di continuare a leggere fino all’ultima pagina! Se siete tipi da avventura, amore e vampiri, questo è il libro che fa per voi!”

--Vampirebooksite.com



“Rice fa un bel lavoro nel trascinarvi nella storia fin dall’inizio, utilizzando una grande qualità descrittiva che trascende la mera colorazione d’ambiente… Ben scritto ed estremamente veloce da leggere, TRAMUTATA è un buon inizio per una nuova serie sui vampiri, con la certezza di diventare il top per lettori che cercano una storia leggera ma allo stesso tempo interessante.”

--Black Lagoon Reviews


Chi è Morgan Rice



Morgan è l’autrice della serie fantasy Bestseller L’ANELLO DELLO STREGONE, che comprende dieci libri.



Morgan Rice è l’autrice Bestseller di APPUNTI DI UN VAMPIRO, una serie per ragazzi che comprende dieci libri, è stata tradotta in sei lingue ed inizia con TRAMUTATA (Libro 1), da scaricare GRATUITAMENTE!



Morgan è anche autrice dei Bestseller ARENA ONE e ARENA TWO, i primi due libri di THE SURVIVAL TRILOGY, un thriller post-apocalittico ambientato nel futuro.



A Morgan piace ricevere i vostri commenti, quindi sentitevi liberi di visitare il suo sito http://www.morganricebooks.com (http://www.morganricebooks.com/) per tenervi in contatto con lei.


Libri di Morgan Rice



L’ANELLO DELLO STREGONE

UN’IMPRESA DA EROI (Libro #1)

LA MARCIA DEI RE (Libro #2)

A FEAST OF DRAGONS (Libro #3)

A CLASH OF HONOR (Libro #4)

A VOW OF GLORY (Libro #5)

A CHARGE OF VALOR (Libro #6)

A RITE OF SWORDS (Libro ook #7)

A GRANT OF ARMS (Libro #8)

A SKY OF SPELLS (Libro #9)

A SEA OF SHIELDS (Libro #10)



THE SURVIVAL TRILOGY

ARENA ONE: SLAVERSUNNERS (Libro #1)

ARENA TWO (Libro #2)



APPUNTI DI UN VAMPIRO

TRAMUTATA (Libro #1)

AMATA (Libro #2)

BETRAYED (Libro #3)

DESTINED (Libro #4)

DESIRED (Libro #5)

BETROTHED (Libro #6)

VOWED (Libro #7)

FOUND (Libro #8)

RESURRECTED (Libro #9)

CRAVED (Libro #10)













Ascolta (http://itunes.apple.com/WebObjects/MZStore.woa/wa/viewAudiobook?id=489725251&s=143441) la serie APPUNTI DI UN VAMPIRO in formato audiolibro!



Ora disponibile su:

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Copyright © 2011 by Morgan Rice



All rights reserved. Except as permitted under the U.S. Copyright Act of 1976, no part of this publication may be reproduced, distributed or transmitted in any form or by any means, or stored in a database or retrieval system, without the prior permission of the author.



This ebook is licensed for your personal enjoyment only. This ebook may not be re-sold or given away to other people. If you would like to share this book with another person, please purchase an additional copy for each recipient. If you’re reading this book and did not purchase it, or it was not purchased for your use only, then please return it and purchase your own copy. Thank you for respecting the hard work of this author.



This is a work of fiction. Names, characters, businesses, organizations, places, events, and incidents either are the product of the author’s imagination or are used fictionally. Any resemblance to actual persons, living or dead, is entirely coincidental.


“Che gli giovi alla salute

starsene a passeggiare seminudo,

esposto all’umidore del mattino?

Bruto è malato, e si toglie, furtivo,

dal salutare tepore del letto

per andare ad esporre le sue membra

al corrotto contagio della notte?”

--William Shakespeare, Giulio Cesare


Capitolo Uno (#uab5462f7-bcf8-5921-b10c-ed4a937b9f07)

Capitolo Due (#u53983d86-8fa5-5251-8501-963997cff77c)

Capitolo Tre (#u399d0ee8-86d4-5633-bece-d4fc079023fb)

Capitolo Quattro (#litres_trial_promo)

Capitolo Cinque (#litres_trial_promo)

Capitolo Sei (#litres_trial_promo)

Capitolo Sette (#litres_trial_promo)

Capitolo Otto (#litres_trial_promo)

Capitolo Nove (#litres_trial_promo)

Capitolo Dieci (#litres_trial_promo)

Capitolo Undici (#litres_trial_promo)

Capitolo Dodici (#litres_trial_promo)

Capitolo Tredici (#litres_trial_promo)

Capitolo Quattordici (#litres_trial_promo)

Capitolo Quindici (#litres_trial_promo)

Capitolo Sedici (#litres_trial_promo)

Capitolo Diciassette (#litres_trial_promo)




Capitolo Uno


Caitlin Paine temeva sempre il suo primo giorno in una nuova scuola. C’erano grandi cose, come incontrare nuovi amici e i nuovi insegnanti, imparare a conoscere nuovi corridoi. E c’erano piccole cose, come prendere possesso di un armadietto nuovo, sentire l’odore di un posto diverso e udirne i rumori. Quello che temeva di più erano gli sguardi. Si sentiva come se tutti, in un posto nuovo, guardassero lei. Tutto ciò che desiderava era passarte inosservata. Ma sembrava che non potesse mai succedere.

Caitlin non riusciva a capire perché tutti la notassero. Il suo metro e sessantacinque non la rendeva particolarmente alta, e i suoi capelli e occhi castani (insieme ad un peso normale) la facevano sentire nella media. Non era certo bellissima come certe altre ragazze. Aveva diciotto anni ma questo non bastava a farla emergere.

C’era qualcos’altro. C’era qualcosa di lei che faceva voltare le persone una seconda volta a guardarla. Sapeva, dentro di lei, di essere diversa. Ma non era certa di capire in che cosa.

Se c’era qualcosa di peggio del primo giorno, era cominciare il primo giorno all’inizio del secondo quadrimestre, dopo che tutti gli altri avevano già avuto il tempo di ambientarsi. Oggi era proprio quel giorno di inizio quadrimestrer, alla metà di marzo, e sarebbe stato di sicuro uno dei peggiori. Già se lo sentiva.

Nella sua più sfrenata immaginazione, però, non avrebbe mai creduto che sarebbe andata così male. Niente che avesse mai visto – e ne aveva viste tante – l’aveva preparata a questo.

Caitlin era in piedi fuori dalla sua nuova scuola, una grande scuola pubblica di New York, in quella fredda mattina di marzo, e si chiedeva Perché io? Era vestita poco, solo leggings e felpa, e neanche lontanamente preparata alla chiassosa confusione che la accolse. C’erano centinaia di ragazzi lì, che strepitavano, gridavano e si spintonavano. Sembrava il cortile di una prigione.

Era tutto troppo rumoroso. Quei ragazzi ridevano troppo forte, dicevano troppe parolacce, si spingevano con troppa forza. Avrebbe pensato che si trattasse di una zuffa di massa se non avesse colto qualche sorriso e qualche risatina canzonatoria. Avevano solo troppa energia e lei, esausta, congelata e con ore di sonno perso sulle spalle, non poteva capire da dove la prendessero. Chiuse gli occhi e sperò che tutto scomparisse.

Mise la mani in tasca e sentì qualcosa: il suo i-pod. Sì. Si mise gli auricolari e lo accese. Aveva bisogno di coprire tutto il rumore che la circondava.

Ma non successe nulla. Abbassò lo sguardo e vide che la batteria era scarica. Perfetto.

Controllò il telefono, sperando di trarne un po’ di distrazione, ma niente. Nessun nuovo messaggio.

Sollevò lo sguardo. Guardando quel mare di facce nuove si sentì sola. Non solo perché era l’unica ragazza bianca, a dire il vero era meglio così. Alcuni dei migliori amici che aveva avuto nelle altre scuole erano di colore – spagnoli, asiatici, indiani – mentre alcuni dei peggiori erano bianchi. No, non era quello il motivo. Si sentiva sola perché era in città. Era in piedi sul cemento. Una forte campanella era suonata per permettere loro l’accesso a questa “area ricreativa”, e aveva dovuto passare attraverso larghi cancelli di metallo. Ora era in gabbia, circondata da enormi cancellate sovrastate da filo spinato. Le sembrava di essere in prigione.

E il guardare quell’enorme scuola, le sbarre e le inferriate ad ogni finestra, non la faceva sentire meglio. Si adattava sempre con facilità a una nuova scuola, grande o piccola che fosse, ma quelle che aveva frequentato erano tutte scuole di periferia. Avevano tutte erba, alberi e cielo. Qui invece non c’era altro che città. Le toglieva il respiro. La terrorizzava.

Un’altra campanella risuonò forte e lei si diresse, insieme a centinaia di altri ragazzi, verso l’ingresso. Una grossa ragazza la urtò con forza e fece cadere il suo diario. Lei lo raccolse e poi sollevò lo sguardo aspettandosi delle scuse. Ma la ragazza non era più lì, essendosi già confusa con la folla. Sentì la sua risata, ma non poteva dire se fosse rivolta a lei.

Tenne stretto il diario, l’unica cosa che la rassicurava. Era stato con lei ovunque. In ogni luogo andasse ci prendeva appunti e ci faceva disegni. Era una mappa della sua infanzia.

Raggiunse infine l’ingresso e dovette schiacciarsi contro gli altri per passare attraverso alla porta. Era come entrare in un treno nell’ora di punta. Sperava di trovare un po’ di tepore una volta all’interno, ma le porte aperte alle sue spalle le facevano soffiare sulla schiena una brezza gelida, rendendo ancora più intenso il freddo.

Due grosse guardie giurate stavano all’ingresso, affiancate da due poliziotti di New York, tutti in uniforme, con le pistole ben visibili ai fianchi.

“MUOVETEVI!” ordinò uno di loro.

Non riusciva a capire perché due poliziotti armati dovessero sorvegliare l’ingresso di una scuola superiore. La sua sensazione di panico si intensificò. E la situazione peggiorò quando, sollevando lo sguardo, realizzò che sarebbe dovuta passare attraverso un metal detector, di quelli che si trovano negli aeroporti.

Altri quattro poliziotti armati si trovavano ai due lati del detector, insieme ad altre due guardie.

“SVUOTATE LE TASCHE!” disse brsucamente la guardia.

Caitlin notò che altri ragazzi riempivano dei sacchettini di plastica con ciò che avevano in tasca. Fece velocemente lo stesso anche lei, inserendo nel sacchetto il suo i-pod, il portafoglio e le chiavi.

Passò lentamente sotto il detector e l’allarme suonò.

“TU!” disse seccamente la guardia. “Di lato!”

Ovvio.

Tutti la guardavano mentre le facevano alzare le braccia e la guardia le faceva passare lo scanner manuale lungo il corpo.

“Hai addosso dei gioielli?”

Lei si passò le mani sui polsi, poi attorno al collo, e di colpo ricordò. La croce.

“Toglila,” disse rudemente la guardia.

Era la collana che sua nonna le aveva regalato prima di morire: una piccola croce d’argento, con incisa un’iscrizione latina che non aveva mai tradotto. La nonna le aveva detto che le era stata data a sua volta da sua nonna. Caitlin non era religiosa e non capiva veramente che significato avesse, ma sapeva che aveva centinaia di anni ed era per certo la cosa più preziosa che possedesse.

Caitlin la sollevò fuori dalla maglietta tenendola alta, ma senza sfilarla.

“Preferirei di no,” rispose.

La guardia la fissò con occhi freddi come il ghiaccio.

Di colpo vi fu un improvviso trambusto. Si udirono delle urla mentre un poliziotto afferrava un ragazzo alto e magro e lo spingeva contro il muro, requisendogli un coltellino dalla tasca.

La guardia si avvicinò per dare una mano e Caitlin colse l’occasione per scivolare tra la folla, portandosi verso l’atrio.

Benvenuta alla scuola pubblica di New York, pensò Caitlin. Fantastico.

Già contava i giorni che mancavano agli esami.



*

I corridoi erano i più larghi che avesse mai visto. Non poteva credere che potessero venire riempiti di gente, eppure in qualche modo erano completamente gremiti, con tutti i ragazzi ammassati spalla contro spalla. Dovevano esserci migliaia di ragazzi in quei corridoi, una marea di volti che si dispiegava all’infinito. Il rumore là dentro era ancora peggio, rimbalzava contro le pareti, condensato. Avrebbe voluto tapparsi le orecchie. Ma non c’era lo spazio neanche di un gomito per sollevare la braccia. Provava un senso di claustrofobia.

La campanella suonò e l’energia aumentò.

Già in ritardo.

Si guardò in giro alla ricerca del cartellino della sua aula e finalmente la scorse in lontananza. Tentò di attraversare il mare di corpi, ma non riusciva ad andare da nessuna parte. Alla fine, dopo diversi tentativi, capì che doveva solo essere più aggressiva. Iniziò a sgomitare e spintonare in risposta ai colpi degli altri. Sorpassando un corpo alla volta, oltrepassò tutti i ragazzi, attraverso l’ampio corridoio e spinse la pesante porta della sua classe entrando.

Si tenne forte mentre tutti la guardavano, lei, la ragazza nuova che era arrivata in ritardo. Pensava che l’insegnante l’avrebbe rimproverata per aver interrotto il silenzio. Ma si rese conto con stupore che non era proprio il caso. Quell’aula, ideale per trenta persone ma contenente una cinquantina, era stipata. Alcuni sedevano sulle sedie, altri camminavano lungo le corsie gridando e chiamandosi l’un l’altro. Era un manicomio.

La campanella era suonata da cinque minuti buoni eppure l’insegnante, tutto scompigliato e con indosso abiti spiegazzati, non aveva neanche iniziato la lezione. Anzi, stava seduto con i piedi sulla scrivania a leggere il giornale, ignorando tutti.

Caitlin gli si avvicinò mettendo la sua nuova carta d’identità sulla scrivania. Rimase lì in piedi aspettando che lui sollevasse lo sguardo, ma ciò non avvenne.

Alla fine decise di schiarirsi la voce.

“Mi scusi.”

Lui abbasso di malavoglia il giornale.

“Sono Caitlin Paine. Sono nuova. Credo di doverle consegnare questa.”

“Sono solo un supplente,” rispose lui e risollevò il giornale chiudendo il discorso.

Lei rimase lì, confusa.

“Allora,” chiese, “… lei non segna le presenze?”

“Il tuo insegnante torna lunedì,” disse seccato. “Se ne occuperà lui.”

Capendo che la conversazione era terminata, Caitlin si riprese la carta d’identità.

Si voltò e diede uno sguardo alla stanza. Il caos non si era interrotto. Se c’era un aspetto positivo, era che almeno lei non era al centro dell’attenzione. Nessuno lì sembrava curarsi di lei, né addirittura accorgersi della sua presenza.

D’altro canto, guardare quella stanza piena zeppa era esasperante: sembrava non fosse rimasto alcun posto per sedersi.

Si fece forza e, tenendo stretto il suo diario, tentò di camminare lungo una delle corsie, trasalendo un paio di volte mentre procedeva tra ragazzi turbolenti che si gridavano contro. Quando raggiunse il fondo della stanza, poté finalmente avere una visione dell’intera aula.

Non una sedia libera.

Rimase lì in piedi, sentendosi un’idiota, e percepì anche che gli altri ragazzi iniziavano a notarla. Non sapeva cosa fare. Non aveva certo intenzione di rimanere lì tutto il tempo, ma sembrava che al supplente non potesse importare di meno. Si voltò nuovamente a guardare, cercando senza speranze.

Sentì una risata provenire da un paio di corsie più in là, ed ebbe la certezza che fosse rivolta a lei. Non era vestita come quei ragazzi e non assomigliava per niente a loro. Le guance le arrossirono mentre iniziava a sentirsi veramente sotto gli occhi di tutti.

Proprio mentre si stava decidendo ad uscire dalla stanza, e forse anche dalla scuola, udì una voce.

“Qui.”

Si voltò.

Nell’ultima fila, accanto alla finestra, un ragazzo alto si alzò dal suo banco.

“Siediti,” disse. “Per favore.”

La stanza si fece un po’ più silenziosa, mentre gli altri aspettavano di vedere come lei avrebbe reagito.

Gli si avvicinò. Cercò di non guardarlo dritto negli occhi – grandi, verdi e luccicanti – ma non poté farne a meno.

Era bellissimo. Aveva pelle liscia e olivastra – non riusciva a capire se fosse nero, spagnolo, bianco, o magari una qualche combinazione – ma non aveva mai visto una pelle così liscia e soffice combinata con una mascella così ben modellata. Aveva i capelli corti e castani ed era magro. C’era qualcosa in lui, un qualcosa di completamente fuori luogo lì. Sembrava fragile. Un artista, forse.

Non era da lei rimanere colpita da un ragazzo. Aveva sempre visto le sue amiche prendere delle cotte, ma non aveva mai veramente capito. Fino ad ora.

“E tu? Dove ti siedi?” gli chiese.

Tentò di controllare la propria voce, ma non risuonò convincente. Sperò che lui non percepisse il suo nervosismo.

Le rivolse un largo sorriso, mettendo in luce denti perfetti.

“Proprio qui,” disse, e si spostò verso il largo davanzale della finestra che si trovava lì accanto.

Lei lo guardò e lui ricambiò lo sguardo con occhi completamente paralizzanti. Lei si impose di distogliere lo sguardo, ma non ci riuscì.

“Grazie,” disse, e si sentì improvvisamente furiosa con se stessa.

Grazie? È tutto quello che sei capace di dire? Grazie!?

“Giusto, Barack!” gridò una voce. “Da’ il tuo posto a quella ragazza bianca così carina!”

Seguì una risata e il rumore nella stanza si impennò di nuovo, poi tutti ripresero a ignorarli.

Caitlin lo vide abbassare la testa imbarazzato.

“Barack?” chiese. “Ti chiami così?”

“No,” rispose lui arrossendo. “È solo come mi chiamano loro. Da Obama. Dicono che gli somiglio.”

Lo guardò con attenzione e si rese conto che davvero gli assomigliava.

“È perché sono mezzo nero, parte bianco e parte portoricano.”

“Beh, credo sia un complimento,” disse lei.

“Non nel modo in cui loro lo dicono,” rispose.

Lo osservò mentre si sedeva sul davanzale, mortificato, e capì che era un ragazzo sensibile. Addirittura vulnerabile. Non centrava niente con quel gruppo. Era una follia, ma si sentiva addirittura protettiva nei suoi confronti.

“Io sono Caitlin,” disse, allungando la mano e guardandolo negli occhi.

Lui sollevò lo sguardo, sorpreso, e le ritornò il sorriso.

“Jonah,” rispose.

Le strinse la mano con forza. Un brivido le corse lungo il braccio quando sentì il contatto di quella pelle morbida sulla sua mano. Si sentì sciogliere. Lui tenne la presa un secondo in più, e lei non poté fare a meno di sorridergli.

*

Il resto della mattinata fu una totale confusione e Caitlin aveva fame quando raggiunse la mensa. Aprì la doppia porta e rimase sbalordita dall’enormità della stanza, dall’incredibile rumore di migliaia di ragazzi urlanti. Era come entrare in una palestra. Eccetto che ogni venti metri tra le corsie c’era una guardia giurata che sorvegliava con attenzione.

Come al solito non aveva idea di dove andare. Perlustrò la grande stanza e finalmente trovò una pila di vassoi. Ne prese uno e si infilò in quella che credette essere la fila per il pranzo.

“Non passarmi davanti, troia!”

Caitlin si voltò e vide una grossa ragazza sovrappeso, alta una decina di centimetri più di lei, che la guardava torva in volto.

“Mi spiace, non sapevo…”

“La fila è là dietro!” disse rudemente un’altra ragazza, facendo segno con il pollice.

Caitlin guardò e vide che la fila si allungava di almeno altri cento ragazzi. A colpo d’occhio c’era da aspettare venti minuti.

Quando iniziò a dirigersi verso la fine della fila, un ragazzo ne spinse un altro, e quello volò andando a cadere dritto di fronte a lei, colpendo violentemente il pavimento.

Il primo ragazzo saltò sopra a quello steso a terra e iniziò a prenderlo a pugni in faccia.

La mensa eruppe in un boato di eccitazione, e decine di ragazzi si raccolsero attorno a loro.

“COMBATTI! COMBATTI!”

Caitlin fece diversi passi indietro, guardando con orrore la violenta scena ai suoi piedi.

Finalmente quattro guardie arrivarono e divisero i due ragazzi insanguinati, portandoli poi fuori dalla stanza. Non sembravano avere la minima fretta.

Dopo che Caitlin ebbe finalmente preso il suo pranzo, osservò la stanza sperando di vedere Jonah. Ma non era da nessuna parte.

Camminò lungo una corsia, passando oltre i tavoli, tutti gremiti di ragazzi. C’erano pochi posti liberi, e quelli vuoti non sembravano poi così invitanti, accanto a grandi combriccole di amici.

Alla fine decise per una sedia ad un tavolo vuoto verso la fine della stanza. C’era solo un ragazzo ad una estremità, un ragazzo cinese basso e mingherlino, con l’apparecchio e abiti poveri, che teneva la testa bassa e rimaneva concentrato sul suo cibo.

Si sentì sola. Abbassò lo sguardo e controllò il telefono. C’erano un po’ di messaggi su Facebook dagli amici dell’ultima cittadina dove aveva vissuto. Volevano sapere se il posto nuovo le piaceva. Non se la sentiva di rispondere. Le sembravano così lontani.

Caitlin mangiò appena: un vago senso di nausea da primo giorno la accompagnava ancora. Cercò di far cambiare direzione ai propri pensieri. Chiuse gli occhi. Pensò al suo nuovo appartamento, al quinto piano di uno sporco condominio senza ascensore nella 132a Strada. La nausea peggiorò. Respirò profondamente, volendo costringersi a pensare a qualcos’altro, qualsiasi cosa ci fosse di positiva nella sua vita.

Suo fratello più piccolo. Sam. 14 anni. Sam non sembrava mai ricordare di essere il più giovane: si comportava sempre come il più vecchio. Era cresciuto duro e irrobustito da tutto quel continuo trasferirsi, dal fatto che loro padre li aveva lasciati, dal modo in cui loro madre li trattava entrambi. Capiva che questa cosa lo irritava e vedeva anche che lui stava iniziando a isolarsi. Le sue frequenti risse scolastiche non la sorprendevano. Temeva solo che le cose potessero peggiorare.

Ma quando si trattava di Caitlin, Sam la amava incondizionatamente. E lei provava lo stesso per lui. Era l’unico punto fermo nella sua vita, l’unico di cui si potesse fidare. Sembrava che lui conservasse un posto nel suo cuore riservato solo a lei. E lei era determinata a fare del suo meglio per proteggerlo.

“Caitlin?”

Lei fece un salto.

In piedi di fronte a lei, vassoio in una mano e borsa del violino nell’altra, c’era Jonah.

“Ti spiace se mi metto qui?”

“Sì… cioè, no!” disse lei presa alla sprovvista.

Idiota, pensò. Piantala di essere così nervosa.

Jonah dispiegò quel suo sorriso e poi si sedette di fronte a lei. Stava seduto con la schiena dritta, in una postura perfetta. Appoggiò con cura il violino accanto a sé. Pose sul tavolo il suo pranzo con altrettanta delicatezza. C’era qualcosa in lui che lei non riusciva a cogliere completamente. Era diverso da qualsiasi altra persona avesse mai incontrato. Era come se provenisse da un altro tempo. Non apparteneva assolutamente a quel luogo.

“Come sta andando il tuo primo giorno?” le chiese.

“Non come me lo aspettavo.”

“So cosa intendi dire,” confermò lui.

“È un violino quello?”

Caitlin fece un cenno verso lo strumento. Lui lo teneva vicino a sé, con una mano sopra, come temesse che qualcuno potesse rubarglielo.

“Veramente è una viola. È solo un po’ più grande, ma il suono è totalmente diverso. Più caldo.”

Lei non aveva mai visto una viola, e sperava che lui la mettesse sul tavolo per fargliela vedere. Invece non fece una mossa, e lei non voleva fare la ficcanaso. Lui teneva ancora la mano sullo strumento, sembrava protettivo, come se quell’oggetto fosse qualcosa di personale e privato.

“Ti eserciti molto?”

Jonah scrollò le spalle. “Qualche ora al giorno,” disse distrattamente.

“Qualche ora!? Devi essere bravissimo!”

Lui diede un’altra scrollata di spalle. “Sono ok, credo. Ci sono un sacco di musicisti che suonano molto meglio di me. Ma spero che questo sia il mio biglietto per andarmene da questo posto.”

“Io ho sempre voluto suonare il pianoforte,” disse Caitlin.

E perché non lo fai?”

Stava per dire Non ne ho mai avuto uno, ma si fermò. Scrollò invece le spalle e riabbassò lo sguardo sul suo pranzo.

“Non c’è bisogno di avere un piano,” disse Jonah.

Lei risollevò lo sguardo, sorpresa che lui le avesse letto nei pensieri.

“C’è una sala prove qui a scuola. Per quanto qui faccia schifo, almeno c’è una cosa positiva. Danno lezioni gratuite. Tutto quello che devi fare è iscriverti.”

Caitlin sgranò gli occhi.

“Davvero?”

“C’è un foglio per le iscrizioni fuori dalla sala di musica. Chiedi della signorina Lennox. Dille che sei mia amica.”

Amica. A Caitlin piaceva il suono di quella parola. Sentì che lentamente una certa felicità le cresceva dentro.

Fece un grande sorriso. I loro occhi si fissarono per un momento gli uni negli altri.

Guardando quegli occhi verdi e brillanti lei si sentì ardere dal desiderio di fargli un milione di domande: Hai la ragazza? Perché sei così carino con me? Ti piaccio sul serio?

Ma si morse invece la lingua e non disse nulla.

Temendo che il tempo da trascorrere insieme si esaurisse troppo in fretta, scandagliò la propria mente alla ricerca di qualcosa da chiedergli, così da poter prolungare la loro conversazione. Tentò di pensare a qualcosa che potesse assicurarle che l’avrebbe rivisto. Ma si innervosì e si bloccò.

Alla fine aprì la bocca, ma proprio in quel momento suonò la campanella.

La stanza eruppe in rumore e movimento e Jonah si alzò prendendo la sua viola.

“Sono in ritardo,” disse, raccogliendo il vassoio.

Guardò il vassoio di Caitlin. “Posso prendere anche il tuo?”

Lei abbassò lo sguardo, rendendosi conto si averlo dimenticato, e scosse la testa.

“Ok,” disse lui.

Rimase lì in piedi, improvvisamente intimidito, non sapendo cosa dire.

“Bene… ci vediamo.”

“Ci vediamo,” rispose lei fiaccamente, con la voce poco più che un sussurro.

*

Al termine del suo primo giorno di scuola Caitlin uscì dall’edificio in un soleggiato pomeriggio di marzo. Sebbene soffiasse un discreto vento, non aveva più freddo. Sebbene tutti i ragazzi attorno a lei stessero gridando mentre si riversavano fuori, non era più infastidita dal rumore. Si sentiva viva, e libera. Il resto della giornata era proseguito in un caos, non riusciva a ricordare il nome di nessuno dei nuovi insegnanti.

Non riusciva a smettere di pensare a Jonah.

Si chiese se in mensa si fosse comportata da idiota. Aveva incespicato nelle proprie parole, non gli aveva quasi fatto domande. Tutto quello che le era venuto in mente di chiedere erano informazioni su quella stupida viola. Avrebbe dovuto chiedergli dove viveva, da dove veniva, dove avrebbe fatto il college.

E più di tutto se aveva una ragazza. Uno come lui doveva per forza stare insieme a qualcuno.

Proprio in quel momento una ragazza ispanica ben vestita passò accanto a Caitlin sfiorandola. Caitlin la guardò dall’alto in basso e si chiese per un momento se potesse essere lei.

Caitlin girò nella 134a Strada e per un secondo dimenticò dove stava andando. Non era mai tornata a casa a piedi da scuola, e per un momento non ricordò dove si trovasse il loro nuovo appartamento. Rimase ferma all’angolo, disorientata. Una nuvola coprì il sole e il vento iniziò a soffiare più forte. Improvvisamente ebbe freddo di nuovo.

“Ehi, amiga!”

Caitlin si voltò e si rese conto di essere di fronte ad una sporca drogheria d’angolo. Quattro uomini squallidi erano seduti su sedie di plastica davanti a lei, apparentemente noncuranti del freddo, e le sorridevano come se lei fosse il loro prossimo pasto.

“Vieni qui, bambola!” gridò un altro.

Lei ricordò.

132a strada. Ecco.

Si voltò velocemente e camminò a passo svelto imboccando un’altra strada laterale. Controllò dietro di sé un po’ di volte per vedere se quegli uomini la stessero seguendo. Fortunatamente non li vide.

Il vento freddo le punse le guance e la risvegliò, mentre la cruda realtà del suo nuovo quartiere cominciava ad apparire. Guardò le auto abbandonate lì attorno, le pareti ricoperte di graffiti, il filo spinato, le inferriate alle finestre, e improvvisamente si sentì molto sola. E molto spaventata.

C’erano solo tre altri isolati prima di arrivare al suo appartamento, ma le sembrava lontanissimo. Desiderò avere un amico al proprio fianco – ancor meglio Jonah – e si chiese se sarebbe stata capace di percorrere quel tragitto da sola ogni giorno. Un’altra volta provò rabbia per sua madre. Come poteva continuare a spostarla di qua e di là, mettendola in posti sempre nuovi e che odiava? Quando sarebbe finito tutto ciò?

Rumore di vetro rotto.

Il cuore di Caitlin iniziò a battere più velocemente quando vide del movimento più avanti sulla sinistra, dall’altra parte della strada. Camminò velocemente, cercando di tenere la testa bassa, ma quando fu più vicina, udì delle grida e una risata grottesca, e non poté fare a meno di notare cosa stava accadendo.

Quattro ragazzi belli grossi – forse di 18 o 19 anni – stavano in piedi attorno a un altro ragazzo. Due di loro gli tenevano le braccia, mentre il terzo lo prendeva a pugni in pancia e il quarto lo colpiva al volto. Il ragazzo, forse di diciassette anni, magro e indifeso, cadde al suolo. Due degli aggressori si fecero avanti e gli diedero dei calci in faccia.

Caitlin non poté fare a meno di fermarsi a guardare. Era disgustata. Non aveva mia visto una cosa del genere.

Gli altri due ragazzi fecero qualche passo attorno alla loro vittima, poi sollevarono i loro stivali e li calarono violentemente su di lui.

Caitlin temeva che lo avrebbero colpito a morte.

“NO!” gridò.

Vi fu un orrendo scricchiolio quando i loro piedi si abbatterono su di lui.

Ma non era il suono di ossa rotte, piuttosto rumore di legno. Legno che scricchiolava. Caitlin vide che stavano calpestando uno strumento musicale. Guardò meglio e vide dei pezzi e frammenti di una viola sparsi ovunque sul marciapiede.

Sollevò la mano a coprirsi la bocca per l’orrore.

“Jonah!?”

Senza pensare Caitlin attraversò la strada, dritta verso il gruppo di ragazzi che stavano giusto iniziando a notare la sua presenza. La guardarono e i loro sorrisi malvagi si allargarono, mentre sgomitavano l’uno con l’altro.

Lei raggiunse la vittima e vide che effettivamente si trattava di Jonah. Aveva la faccia sanguinante e piena di lividi ed aveva perso conoscenza.

Sollevò lo sguardo verso i ragazzi, la rabbia ben più potente della paura, e si risollevò in piedi tra Jonah e loro.

“Lasciatelo in pace!” gridò al gruppo.

Il ragazzo nel mezzo, almeno un metro e novanta di muscoli, rise.

“Altrimenti?” chiese con voce molto greve.

Caitlin sentì che il mondo accelerava attorno a lei e si rese conto che qualcuno l’aveva appena spinta da dietro. Sollevò i gomiti quando colpì l’asfalto, ma questo bastò appena ad attutire l’impatto. Con la coda dell’occhio poté vedere un diario che volava, perdendo fogli che si sparpagliarono ovunque.

Sentì delle risate. Poi dei passi che le si avvicinavano.

Il cuore le batteva nel petto e l’adrenalina le diede lo slancio. Riuscì a rotolare e saltare in piedi proprio un attimo prima che la raggiungessero. Partì a gambe levate lungo il vicolo, correndo per la propria vita.

Loro la seguirono standole alle calcagna.

Presso una delle tante scuole, ancora al tempo in cui Caitlin pensava di avere un lungo futuro da qualche parte, aveva iniziato a fare atletica, rendendosi conto di essere brava. La migliore della squadra, a dire il vero. Non sulla lunga distanza, ma nei 100 metri. Riusciva addirittura a superare la maggior parte dei maschi. E ora quella potenza le scorreva dentro di nuovo.

Correva per salvarsi e i ragazzi non riuscivano a prenderla.

Caitlin diede un’occhiata alle proprie spalle e vide quanto indietro li aveva lasciati. Si sentì ottimista, pensando di poterli battere tutti. Doveva solo fare le mosse giuste.

Il vicolo terminava in una T e lei aveva la possibilità di svoltare a destra o a sinistra. Non avrebbe avuto tempo per cambiare una volta presa una decisione, se voleva mantenere il vantaggio, e doveva scegliere velocemente. Però non poteva vedere cosa ci fosse dietro ogni svolta. Alla cieca, girò a sinistra.

Pregò perché fosse la scelta giusta. Dai. Ti prego!

Il cuore le si fermò quand fece una virata secca a sinistra e vide la via senza uscita davanti a sé.

Mossa sbagliata.

Un vicolo cieco. Corse fino al muro, cercando un’uscita, una qualsiasi uscita. Rendendosi conto che non ce n’erano si voltò per guardare i suoi aggressori che si avvicinavano.

Senza fiato li vide svoltare e avvicinarsi. Poté vedere, al di sopra delle loro spalle, che se avesse girato a destra sarebbe arrivata a casa sana e salva. Ovviamente. La sua solita fortuna.

“Bene bene, troietta,” disse uno di loro, “adesso ti sistemiamo noi.”

Rendendosi conto che la loro vittima non aveva via di scampo i ragazzi camminarono lentamente verso di lei, col fiato lungo, sorridendo e assaporando la violenza che stavano per mettere in atto.

Caitlin chiuse gli occhi e respirò profondamente. Cercò di desiderare che Jonah si svegliasse, apparisse all’angolo, sveglio e forte, pronto a salvarla. Ma quando riaprì gli occhi lui non era lì. C’erano solo i suoi aggressori. Sempre più vicini.

Pensò a sua madre, a quanto la odiava, a tutti i posti in cui era stata costretta a vivere. Pensò a suo fratello Sam. Pensò a come sarebbe stata la sua vita dopo quella giornata.

Pensò a tutta la sua vita, a come era sempre stata trattata, a come nessuno la capisse, a come niente andasse mai come lei voleva. E qualcosa scattò. In un modo o nell’altro ne aveva abbastanza.

Io non merito tutto questo. NON merito tutto questo!

E poi, improvvisamente, lo sentì.

Era un’onda, qualcosa che non aveva mai provato. Era un’ondata di rabbia, che le scorreva dentro facendole vorticare il sangue. Partiva dallo stomaco e da lì si diffondeva ovunque. Sentiva i piedi radicati a terra, come se lei e l’asfalto fossero un tutt’uno, e percepì una sorta di forza primordiale che la pervadeva, scorrendole nei polsi, lungo le braccia fino alle spalle.

Caitlin emise un primo ringhio che sorprese e spaventò lei stessa. Quando il primo ragazzo si avvicinò e le prese il polso con la sua mano nerboruta, lei vide la propria mano reagire da sola, afferrando il polso del proprio aggressore e girandolo all’indietro ad angolo retto. Il volto del ragazzo si contorse scioccato mentre il polso e l’intero braccio si spezzavano a metà.

Cadde in ginocchio, urlando.

Gli altri tre ragazzi sgranarono gli occhi per la sorpresa.

Il più grosso dei tre caricò dritto contro di lei.

“Tu fot…”

Prima che riuscisse a finire, lei era saltata in aria e gli aveva piantato entrambi i piedi nel petto, facendolo volare all’indietro per tre metri abbondanti e mandandolo a sbattere contro alcuni bidoni metallici per la spazzatura.

Il ragazzo rimase lì senza muoversi.

Gli altri due si guardarono scioccati. E sinceramente spaventati.

Caitlin si fece avanti: percepiva una forza inumana scorrerle dentro e udì se stessa ringhiare mentre prendeva i due ragazzi (ciascuno di loro era il doppio di lei), sollevandoli di parecchio da terra con una mano sola.

Mentre stavano appesi e ciondolavano nell’aria, lei li fece oscillare indietro e poi uno contro l’altro, facendoli sbattere tra loro con forza incredibile. Entrambi collassarono a terra.

Caitlin rimase lì, respirando e schiumando di rabbia.

I quattro ragazzi non si muovevano.

Non si sentiva sollevata. Al contrario, voleva di più. Più ragazzi con cui battersi. Più corpi da lanciare.

E voleva anche qualcos’altro.

Improvvisamente ebbe una visione chiara e cristallina e fu in grado di mettere a fuoco dettagli dei loro colli scoperti. Poteva vedere da vicino, come fosse a un millimetro di distanza, e da dove si trovava scorse le vene che pulsavano. Voleva mordere. E nutrirsi.

Senza capire cosa le stesse succedendo, scosse la testa indietro ed emise un grido sovrumano, che riecheggiò in mezzo agli edifici e per il quartiere. Era un primordiale grido di vittoria e di rabbia non ancora sedata.

Era il grido di un animale che voleva di più.




Capitolo Due


Caitlin era in piedi davanti alla porta del suo nuovo appartamento, con gli occhi fissi, e improvvisamente si rese conto di dove si trovava. Non aveva idea di come fosse arrivata lì. L’ultima cosa che ricordava era che si trovava nel vicolo. In qualche modo era tornata a casa.

Eppure rammentava ogni singolo momento di ciò che era accaduto nel vicolo. Tentò di cancellarlo dalla propria mente, ma non ci riuscì. Abbassò gli occhi a guardarsi mani e braccia, aspettandosi di vederle diverse, ma erano normali. Proprio come erano sempre state. La rabbia le era scorsa dentro, trasformandola, poi si era velocemente dileguata così com’era venuta.

Ma gli effetti rimanevano: si sentiva svuotata, impotente. Intorpidita. E provava qualcos’altro. Non riusciva a capirlo bene. Le immagini continuavano a lampeggiarle nella mente, immagini dei colli scoperti di quei bulli. Delle loro pulsazioni. E sentì appetito. Un desiderio ardente.

Caitlin non aveva veramente voglia di tornare a casa. Non voleva avere a che fare con sua madre, in particolare oggi; non voleva avere a che fare con un posto nuovo, con le valigie da disfare. Se non fosse stato per Sam che era lì, si sarebbe probabilmente girata e se ne sarebbe andata. Dove, non ne aveva idea, ma almeno si sarebbe messa in marcia.

Fece un respiro profondo e mise la mano sul pomolo della porta. O quella maniglia era calda oppure la sua mano era fredda come il ghiaccio.

Caitlin entrò in quell’appartamento troppo luminoso. Fiutò la presenza di cibo sui fornelli, o più probabilmente nel microonde. Sam. Lui tornava sempre a casa presto e si preparava la cena. Loro madre non sarebbe tornata se non ore più tardi.

“Non ha l’aspetto di essere stato un buon primo giorno.”

Caitlin si voltò, scioccata dal suono della voce di sua madre. Era seduta lì, sul divano, a fumare una sigaretta, e già guardava Caitlin dall’alto al basso con disprezzo.

“Che è, hai rovinato già quella maglia?”

Caitlin abbassò lo sguardo e notò per la prima volta le macchie: probabilmente si era sporcata andando a sbattere contro l’asfalto.

“Perché sei a casa così presto?” chiese Caitlin.

“È il primo giorno anche per me, sai,” disse seccamente. “Non esisti solo tu. Poco lavoro. Il capo mi ha mandato a casa presto.”

Caitlin non sopportava il tono maligno di sua madre. Non quella sera. Faceva sempre l’arrogante con lei, e quella sera Caitlin ne aveva abbastanza. Decise di risponderle a tono.

“Fantastico,” disse in modo tagliente. “Significa che ci trasferiremo di nuovo?”

Sua madre scattò in piedi all’istante. “Bada a come parli!” gridò.

Caitlin sapeva che sua madre stava proprio aspettando una scusa per poterle urlare contro. Pensò fosse meglio limitarsi a stuzzicarla e poi piantarla.

“Non dovresti fumare attorno a Sam,” rispose Caitlin freddamente, poi entrò nella piccola camera da letto e sbatté la porta alle sue spalle, chiudendola a chiave.

Sua madre diede subito un colpo alla porta.

“Vieni qui, piccola mocciosa! Che modi sono questi di parlare a tua madre! Chi è che porta il pane a casa…”

Quella sera Caitlin, così distratta dagli eventi di poco prima, riuscì ad annullare la voce di sua madre. Iniziò invece a passare in rassegna nella sua mente le cose successe quel giorno. Il suono delle risate di quei ragazzi. Il battito del suo cuore che le martellava nelle orecchie. Il rumore del suo ruggito.

Cos’era successo esattamente? Da dove le era arrivata quella forza? Era stata una semplice vampata di adrenalina? Una parte di lei desiderava che fosse così. Ma un’altra parte di lei sapeva che non lo era. Cos’era lei?

I colpi alla porta continuavano, ma Caitlin li sentiva a malapena. Il suo cellulare era appoggiato sulla scrivania e vibrava continuamente, illuminandosi per messaggi, e-mail, conversazioni in Facebook, ma non si curava neanche di quello.

Si portò accanto alla finestrella della sua stanza e guardò in basso, verso l’angolo di Amsterdam Avenue, e un nuovo suono sorse nella sua mente. Era il suono della voce di Jonah. L’immagine del suo sorriso. Una voce sommessa, profonda, rassicurante. Riportò alla mente quanto fosse delicato, quanto fragile sembrasse. Poi lo rivide steso a terra, insanguinato, il suo prezioso strumento in pezzi. Una nuova ondata di rabbia crebbe in lei.

La rabbia si trasformò in preoccupazione: avrebbe voluto sapere se stava bene, se se n’era andato, se ce l’aveva fatta a tornare a casa. Lo immaginò mentre la chiamava. Caitlin. Caitlin.

“Caitlin?”

Una nuova voce era fuori dalla porta. Una voce di ragazzo.

Confusa, si riscosse dai suoi pensieri.

“Sono Sam. Lasciami entrare.”

Andò alla porta e vi appoggiò la testa.

“Mamma se n’è andata,” disse la voce dall’altra parte. “È scesa a prendere le sigarette. Dai, lasciami entrare.”

Lei aprì la porta.

Lì c’era Sam che la fissava, con la preoccupazione stampata in faccia. A quasi quindici anni sembrava più vecchio della sua età. Era cresciuto in fretta, era alto quasi un metro e ottanta, ma non si era ancora irrobustito ed era quindi goffo e allampanato. Con i capelli neri e gli occhi castani aveva colori simili ai suoi. Si capiva che erano parenti. Poteva scorgere la preoccupazione sul suo volto. Lui le voleva bene più di ogni altra cosa.

Lo lasciò entrare, chiudendo velocemente la porta dietro di lui.

“Scusa,” disse. “Proprio non ce la faccio con lei stasera.”

“Cosa vi è successo?”

“Il solito. Mi è saltata addosso appena sono entrata.”

“Penso abbia avuto una giornata pesante,” disse Sam cercando di mettere pace tra loro, come sempre. “Spero non la licenzino un’altra volta.”

“Chi se ne frega? New York, Arizona, Texas… Che importa quale sarà la prossima? Il nostro trasferirsi non avrà mai fine.”

Sam si accigliò mentre si sedeva sulla scrivania, e lei si sentì subito male. Aveva spesso la lingua tagliente, parlava senza pensare, e avrebbe voluto rimangiarsi quello che aveva detto.

“Com’è andato il tuo primo giorno?” chiese, cercando di cambiare argomento.

Lui scrollò le spalle. “Bene, mi pare.” Toccò la sedia con la punta del piede.

Sollevò lo sguardo. “Il tuo?”

Lei scrollò le spalle. Doveva esserci qualcosa nella sua espressione, perché lui non distolse gli occhi da lei. Continuò a guardarla.

“Cos’è successo?”

“Niente,” disse lei sulla difensiva, e si voltò andando vicino alla finestra.

Sentiva che la stava guardando.

“Sembri… diversa.”

Esitò, chiedendosi se lui sapesse, chiedendosi se il suo aspetto esteriore mostrasse dei cambiamenti. Deglutì.

“Come?”

Silenzio.

“Non lo so,” rispose lui alla fine.

Caitlin guardò fuori dalla finestra, osservando distrattamente un uomo alla drogheria d’angolo che passava a un tipo una bustina con della roba.

“Odio questo posto,” disse lui.

Lei si voltò a guardarlo.

“Anch’io.”

“Stavo addirittura pensando di…” abbassò la testa, “…andarmene.”

“Cosa intendi dire?”

Lui scrollò le spalle.

Lei lo guardò. Sembrava veramente depresso.

“Dove?” gli chiese.

“Magari… a rintracciare papà.”

“E come? Non abbiamo la più pallida idea di dove sia.”

“Potrei tentare. Potrei trovarlo.”

“Come?”

“Non lo so… ma potrei provare.”

“Sam. Potrebbe essere morto per quanto ne sappiamo.”

“Non dirlo neanche!” gridò e il volto gli si fece rosso.

“Scusa,” disse Caitlin.

Lui si acquietò.

“Ma hai mai considerato che, anche se lo trovassimo, lui potrebbe pure non volerci vedere? Del resto se n’è andato. E non ha mai cercato di mettersi in contatto con noi.”

“Può essere che mamma non glielo permetta.”

“Oppure può essere che non gliene freghi niente di noi.”

Sam si accigliò ancora di più e toccò ancora la sedia con la punta del piede. “L’ho cercato in Facebook.”

Caitlin sgranò gli occhi per la sorpresa.

“Lo hai trovato?”

“Non ne sono sicuro. C’erano quattro persone con il suo nome. Due di loro avevano un profilo privato, e senza foto. Ho mandato un messaggio ad entrambi.”

“E?”

Sam scosse la testa.

“Nessuna risposta.”

“Papà non è tipo da Facebook.”

“Questo non puoi saperlo,” rispose, ancora una volta sulla difensiva.

Caitlin sospirò ed andò al letto per sdraiarvisi sopra. Fissò il soffitto ingiallito, con il colore che si scrostava, e si chiese come potessero essere tutti giunti a quel punto. C’erano state città nelle quali erano vissuti felicemente, addirittura periodi in cui loro madre sembrava quasi allegra. Come quando si vedeva con quel tipo. Sufficientemente felice, tanto almeno da lasciare Caitlin in pace.

C’erano città, come l’ultima nella quale erano stati, dove sia lei che Sam si erano fatti degli amici, dove era sembrato che sarebbero potuti restare sul serio, almeno abbastanza a lungo per diplomarsi nello stesso posto. E poi tutto sembrava cambiare così in fretta. Di nuovo a preparare le valigie. A salutare. Era troppo chiedere un’infanzia normale?

“Potrei tornare a Oakville,” disse Sam all’improvviso, interrompendo il corso dei suoi pensieri. La loro ultima città. Era sorprendente come lui sapesse sempre con esattezza a cosa lei stava pensando. “Potrei andare a stare da degli amici.”

Si sentiva sopraffatta da quella giornata. Era troppo e basta. Non riusciva a pensare chiaramente, e nella sua frustrazione sentiva che anche Sam si stava preparando ad abbandonarla, che non gli interessava più veramente di lei.

“E allora vai!” disse alla fine bruscamente, senza veramente volerlo. Era come se qualcun altro avesse pronunciato quelle parole. Sentì la durezza nelle proprie parole e subito se ne pentì.

Perché doveva sempre incasinare le cose a quel modo? Perché non era capace di controllarsi?

Se avesse avuto un umore migliore, se fosse stata più calma e non le avessero gettato contro tutto quello che era successo, non avrebbe detto una cosa del genere. O sarebbe stata più gentile. Avrebbe detto qualcosa come So che quello che stai cercando di dire è che non te ne andresti mai da questo posto, non importa quanto schifo faccia, perché non mi lasceresti mai da sola ad arrangiarmi in tutto questo. Ed è per questo che ti adoro. E neanche io ti abbandonerei mai. In questa nostra infanzia incasinata, almeno siamo uniti. Invece il suo umore era peggiorato ancor più. Invece lei aveva agito egoisticamente e aveva parlato in maniera brusca.

Si tirò su a sedere e poté vedergli il dolore stampato in faccia. Avrebbe voluto ritirare tutto, chiedere scusa, ma era troppo sopraffatta dai sentimenti. In un modo o nell’altro non fu in grado di aprire bocca.

Nel silenzio Sam si alzò lentamente dalla sua scrivania ed uscì dalla stanza, chiudendo delicatamente la porta alle sue spalle.

Idiota, pensò Caitlin. Sei proprio un’idiota. Perché devi trattarlo allo stesso modo in cui mamma tratta te?

Si stese nuovamente, fissando il soffitto. Si rese conto che c’era un altro motivo per cui era esplosa. Lui aveva interrotto il flusso dei suoi pensieri, e l’aveva fatto proprio nel preciso attimo in cui stavano cambiando per il peggio. Un pensiero oscuro le aveva attraversato la mente, e lui l’aveva interrotto prima che lei potesse avere la possibilità di portarlo a compimento.

L’ex compagno di sua mamma. Tre città prima. Era stata quella volta in cui sua madre era veramente sembrata felice. Frank. Cinquant’anni. Basso, tarchiato, quasi calvo. Tozzo come un tronco. Sapeva di colonia scadente. Lei aveva sedici anni.

Lei si trovava nella piccola lavanderia a ripiegare i propri vestiti quando Frank era comparso sulla porta. Era un tale verme, sempre lì a fissarla. Allungò la mano e afferrò un paio di mutandine, e lei si sentì arrossire di imbarazzo misto a rabbia. Lui le tenne sollevate con un sorrisino stampato in faccia.

“Ti sono cadute queste,” disse con un ghigno. Lei gliele avrebbe strappate dalle mani.

“Cosa vuoi?” gli aveva risposto seccamente.

“È questo il modo di parlare al tuo nuovo patrigno?”

Si avvicinò di mezzo passo.

“Tu non sei il mio patrigno.”

“Ma lo sarò… presto.”

Lei tentò di tornare ai suoi vestiti da piegare, ma lui si avvicinò di un altro mezzo passo. Un mezzo passo di troppo. Il cuore le batteva nel petto.

“Penso sia ora che noi iniziamo a conoscerci un pochino meglio,” disse lui, togliendosi la cintura. “Non credi?”

Disgustata, cercò di defilarsi passandogli accanto per uscire dalla porta dello stanzino, ma quando si mosse lui le bloccò la strada e la afferrò rudemente sbattendola contro la parete.

Fu a quel punto che accadde.

Una sorta di rabbia le era scorsa dentro. Una rabbia diversa da qualsiasi cosa avesse mai provato. Sentì che il corpo le si riscaldava, come fosse in fiamme, dalla punta dei piedi alla testa. Mentre lui le si avvicinava lei saltò in aria e gli diede un calcio, piantandogli entrambi i piedi nel petto.

Nonostante lei fosse un terzo di lui, l’uomo volò all’indietro attraverso la porta, scardinandola dallo stipite, e continuò a volare per oltre tre metri fino alla stanza attigua. Fu come se una palla di cannone lo avesse spinto da un capo all’altro della casa.

Caitlin era rimasta lì tremante. Non era mai stata una persona violenta, non aveva mai colpito qualcuno così forte. E per di più non era lei stessa così grande, o forte. Come aveva fatto a dargli un calcio così potente? Come aveva potuto avere la forza per fare una cosa del genere? Non aveva mai visto nessuno – né tantomeno un uomo adulto – volare in aria e buttare giù una porta. Da dove le era venuto quell’impulso?

Gli si era avvicinata ed era rimasta in piedi accanto a lui.

Era privo di conoscenza, steso sulla schiena. Si chiese se l’avesse per caso ucciso. Ma in quel momento, con la rabbia che ancora la pervadeva, non le importava così tanto. Era più preoccupata per se stessa, per chi – o cosa – lei veramente fosse.

Non vide Frank mai più. Lui lasciò sua madre il giorno dopo e non tornò. Sua madre aveva sospettato che fosse successo qualcosa fra loro due, ma non disse mai nulla. Tuttavia diede a Caitlin la colpa della rottura e la biasimò per aver rovinato l’unico momento felice della sua vita. E da allora non aveva ancora smesso di darle la colpa.

Caitlin sollevò lo sguardo verso il suo soffitto screpolato, con il cuore che le batteva dappertutto un’altra volta. Ripensò alla furia di quel giorno e si chiese se i due episodi fossero collegati. Aveva sempre pensato che Frank fosse stato un incidente isolato e folle, una sorta di strano scatto d’ira. Ma ora si chiedeva se fosse qualcosa di più. C’era una sorta di potere dentro di lei? Era forse lei una persona strana?

Chi era lei?




Capitolo Tre


Caitlin correva. I bulli le erano alle calcagna e la inseguivano lungo il vicolo. Davanti a lei la fine senza uscita, un muro enorme, ma lei continuò a correre. Mentre correva, prendeva velocità, una velocità inaudita, e gli edifici le scorrevano accanto in una massa indistinta. Poteva sentire il vento che le scompigliava i capelli.

Quando fu vicina al muro, saltò e in un singolo balzo si ritrovò in cima, a dieci metri d’altezza. Ancora un salto e volò nuovamente in aria per dieci metri, cinque, fino ad atterrare sul cemento senza perdere un passo, sempre di corsa, di corsa. Si sentiva forte, invincibile. La velocità aumentò ancor di più e lei si sentì come se potesse volare.

Abbassò lo sguardo e davanti ai suoi occhi il cemento divenne erba, erba alta, ondeggiante, verde. Correva in un prato, il sole brillava e ricordò quel luogo come la casa della sua prima infanzia.

A distanza poteva percepire che suo padre stava all’orizzonte. Mentre correva sentiva che si stava avvicinando a lui. Lo vide apparire e iniziò a metterlo a fuoco. Stava in piedi, con un grande sorriso e le braccia aperte. Lei desiderò di rivederlo. Corse più forte che poteva. Ma quando gli era più vicina, lui appariva più distante.

All’improvviso stava cadendo.

Un grande portone medievale si aprì e lei entrò in una chiesa. Camminò lungo una navata appena illuminata, con torce che bruciavano su entrambe le parti. Di fronte a un pulpito c’era un uomo in ginocchio che le dava le spalle. Quando si fu avvicinata lui si alzò in piedi e si voltò.

Era un prete. La guardò e il suo volto si riempì di paura. Lei sentì il sangue che le scorreva nelle vene, e si guardò mentre si avvicinava all’uomo, incapace di fermarsi. Lui sollevò una croce davanti al suo volto, spaventato.





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TRAMUTATA è il primo libro della prima serie campione di incassi APPUTNI DI UN VAMPIRO, che comprende – al momento – dieci libri. In TRAMUTATA (Primo libro di Appunti di un Vampiro), la diciottenneCaitlinPainesi trova sradicata dalla confortevole cittadina dove viva e costretta a frequentare una malavitosa scuola superiore di New York in seguito allennesimo trasferimento di sua madre. Lunico raggio di sole in questo nuovo contesto è Jonah, un compagno di classe che prova per lei unimmediata simpatia. Ma prima che la loro storia possa sbocciare, Caitlin scopre che sta cambiando. Si trova pervasa da una forza sovrumana, da una particolare sensibilità alla luce, da uno strano desiderio di nutrirsi, da sentimenti che lei stessa non riesce a comprendere. Cerca delle risposte a ciò che le sta accadendo, e la sua nuova brama la conduce nel posto sbagliato nel momento sbagliato. I suoi occhi le svelano un mondo nascosto, che si trova proprio sotto i suoi piedi, insediato nei sotterranei di New York. Si trova intrappolata tra due covi pericolosi, proprio nel bel mezzo di una guerra tra vampiri. È a questo punto che Caitlin incontra Caleb, un vampiro forte e misterioso che la salva dalle forze oscure. Lui ha bisogno di lei perché lo aiuti a raggiungere un leggendario oggetto perduto. E lei ha bisogno da lui di risposte e di protezione. Insieme dovranno rispondere a una domanda cruciale: chi era il vero padre di Caitlin? Ma Caitlin si trova incastrata tra due uomini e qualcosa di nuovo sta sorgendo tra loro: un amore proibito. Un amore tra diverse razze che metterà a rischio la vita di entrambi e che li costringerà a decidere se rischiare il tutto e per tutto per il loro futuro… «TRAMUTATA è una storia ideale per giovani lettori. Morgan Rice ha fatto un grande lavoro tessendo un intreccio interessante su quello che sarebbe potuto essere semplicemente un tipico racconto di vampiri. Rinfrescante e unico, TRAMUTATA possiede i classici elementi che si ritrovano in molte storie paranormali per ragazzi. Il primo libro della Serie Appunti di un Vampiro ruota attorno a una ragazza… una ragazza straordinaria! TRAMUTATA è semplice da leggere, ma ha un ritmo veramente incalzante. Raccomandato per tutti coloro che amano leggere storie paranormali leggere e non troppo impegnative. Classificato PG.» –The Romance Reviews «TRAMUTATA ha rapito la mia attenzione fin dallinizio e non ho più potuto smettere… Questa storia è unavventura sorprendente, dal ritmo incalzante e densa di azione già dalle prime pagine. Non vi si trovano momenti morti. Morgan Rice ha compiuto un lavoro strepitoso portando il lettore direttamente allinterno del racconto. Ci ha fatti anche affezionare subito a Caitlin, facendoci desiderare che riesca a trovare la verità… Non vedo lora di leggere il secondo libro della serie.» –Paranormal Romance Guild

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  • константин александрович обрезанов:
    3★
    21.08.2023
  • константин александрович обрезанов:
    3.1★
    11.08.2023
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