Книга - Il Ritorno

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Il Ritorno
Morgan Rice


“MESSAGGI DALLO SPAZIO è avvincente, inaspettato e fermamente radicato in forti profili psicologici supportati da elementi fantascientifici e pregni di suspense: cos’altro potrebbero desiderare i lettori? (Solo la rapida pubblicazione del secondo libro, L’arrivo.)”--Midwest Book ReviewDalla scrittrice di Libri fantasy numero #1 al mondo, Morgan Rice, arriva il libro #3 di una serie fantascientifica da tempo attesa. Con il pianeta Terra distrutto, cosa ne sarà dei tredicenni Kevin e Chloe sulla navicella madre?Gli alieni li ridurranno in schiavitù? Cosa vogliono? Ci sono speranze di fuga?E Kevin e Chloe torneranno mai sulla Terra?“Pieno zeppo d’azione …. Lo stile della Rice è consistente e le premesse sono intriganti.”–Publishers Weekly, parlando di Un’impresa da eroi“Un fantasy superiore… Un libro vincitore, raccomandato per coloro che amano lo stile epic fantasy alimentato da giovani protagonisti potenti e credibili.”–Midwest Book Review, parlando de L’ascesa dei Draghi“Un fantasy pieno zeppo d’azione che di sicuro piacerà ai fan dei precedenti romanzi di Morgan Rice, insieme agli amanti di opere come IL CICLO DELL’EREDITÀ di Christopher Paolini…. I fan della fiction per ragazzi divoreranno quest’ultima opera della Rice e imploreranno di averne ancora.”–The Wanderer, A Literary Journal (parlando de L’ascesa dei draghi)Sono disponibili anche i libri di Morgan Rice delle molte serie di genere fantasy, incluso UN’IMPRESA DA EROI (LIBRO #1 IN L’ANELLO DELLO STREGONE), un libro da scaricare gratuitamente, con oltre 1.300 recensioni a cinque stelle!







IL RITORNO



(Le cronache dell’invasione -- libro 4)



MORGAN RICE



TRADUZIONE ITALIANA

A CURA DI



ANNALISA LOVAT


Morgan Rice



Morgan Rice è l’autrice numero uno e campionessa d’incassi della serie epic fantasy L’ANELLO DELLO STREGONE che comprende diciassette libri; della serie campione d’incassi APPUNTI DI UN VAMPIRO che comprende dodici libri; della serie campione d’incassi LA TRILOGIA DELLA SOPRAVVIVENZA, un thriller post-apocalittico che comprende tre libri; della serie epic fantasy RE E STREGONI che comprende sei libri; della nuova serie epic fantasy DI CORONE E DI GLORIA che comprende 8 libri; e della nuova serie epic fantasy UN TRONO PER DUE SORELLE, che comprende otto libri (ed è in prosecuzione); della nuova serie di fantascienza LE CRONACHE DELL’INVASIONE che comprende quattro libri e della nuova serie fantasy OLIVER BLUE E LA SCUOLA DEGLI INDOVINI, che comprende tre libri (ed è in prosecuzione). I libri di Morgan sono disponibili in formato audio o cartaceo e ci sono traduzioni in 25 lingue.



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Cosa dicono di Morgan Rice



“Se pensavate che non ci fosse più alcuna ragione di vita dopo la fine della serie L’ANELLO DELLO STREGONE, vi sbagliavate. In L’ASCESA DEI DRAGHI Morgan Rice è arrivata a ciò che promette di essere un’altra brillante saga, immergendoci in un mondo fantastico fatto di troll e draghi, di valore, onore e coraggio, magia e fede nel proprio destino. Morgan è riuscita di nuovo a creare un forte insieme di personaggi che ci faranno tifare per loro pagina dopo pagina… Consigliato per la biblioteca permanente di tutti i lettori amanti dei fantasy ben scritti.”

--Books and Movie Reviews

Roberto Mattos



“Un fantasy pieno zeppo di azione che sicuramente verrà apprezzato dai fan dei precedenti romanzi di Morgan Rice insieme ai sostenitori di opere come il CICLO DELL’EREDITÀ di Christopher Paolini... Amanti del fantasy per ragazzi divoreranno quest'ultima opera della Rice e imploreranno di averne ancora.”

--The Wanderer, A Literary Journal (Parlando de L'Ascesa dei Draghi)



“Un meraviglioso fantasy nel quale si intrecciano elementi di mistero e intrigo. Un’impresa da eroi parla della presa di coraggio e della realizzazione di uno scopo di vita che porta alla crescita, alla maturità e all’eccellenza… Per quelli che cercano corpose avventure fantasy: qui i protagonisti, gli stratagemmi e l’azione forniscono un vigoroso insieme di incontri che ben si concentrano sull’evoluzione di Thor da ragazzino sognatore e giovane che affronta l’impossibile pur di sopravvivere… Solo l’inizio di ciò che promette di essere una serie epica per ragazzi.”

--Midwest Book Review (D. Donovan, eBook Reviewer)



“L’ANELLO DELLO STREGONE ha tutti gli ingredienti per un successo immediato: intrighi, complotti, mistero, cavalieri valorosi, storie d’amore che fioriscono e cuori spezzati, inganno e tradimento. Una storia che vi terrà incollati al libro per ore e sarà in grado di riscuotere l’interesse di persone di ogni età. Non può mancare sugli scaffali dei lettori di fantasy.”

--Books and Movie Reviews, Roberto Mattos



“In questo primo libro pieno zeppo d’azione della serie epica fantasy L’Anello dello Stregone (che conta attualmente 14 libri), la Rice presenta ai lettori il quattordicenne Thorgrin “Thor” McLeod, il cui sogno è quello di far parte della Legione d’Argento, i migliori cavalieri al servizio del re… Lo stile narrativo della Rice è solido e le premesse sono intriganti.”

--Publishers Weekly


Libri di Morgan Rice



OLIVER BLUE E LA SCUOLA DEGLI INDOVINI

LA FABBRICA DELLA MAGIA (Libro #1)

LA SFERA DI KANDRA (Libro #2)

GLI OSSIDIANI (Libro #3)



LE CRONACHE DELL’INVASIONE

MESSAGGI DALLO SPAZIO (Libro #1)

L’ARRIVO (Libro #2)

L’ASCESA (Libro #3)

IL RITORNO (Libro #4)



COME FUNZIONA L’ACCIAIO

SOLO CHI LO MERITA (Libro #1)

SOLO CHI È VALOROSO (Libro #2)



UN TRONO PER DUE SORELLE

UN TRONO PER DUE SORELLE (Libro #1)

UNA CORTE DI LADRI (Libro #2)

UNA CANZONE PER GLI ORFANI (Libro #3)

UN LAMENTO FUNEBRE PER PRINCIPI (Libro #4)

UN GIOIELLO PER I REGNANTI (LIBRO #5)

UN BACIO PER LE REGINE (LIBRO #6)

UNA CORONA PER GLI ASSASSINI (Libro #7)

UN ABBRACCIO PER GLI EREDI (Libro #8)



DI CORONE E DI GLORIA

SCHIAVA, GUERRIERA, REGINA (Libro #1)

FURFANTE, PRIGIONIERA, PRINCIPESSA (Libro #2)

CAVALIERE, EREDE, PRINCIPE (Libro #3)

RIBELLE, PEDINA, RE (Libro #4)

SOLDATO, FRATELLO, STREGONE (Libro #5)

EROINA, TRADITRICE, FIGLIA (Libro #6)

SOVRANA, RIVALE, ESILIATA (Libro #7)

VINCITORE, VINTO, FIGLIO (Libro #8)



RE E STREGONI

L’ASCESA DEI DRAGHI (Libro #1)

L’ASCESA DEL PRODE (Libro #2)

IL PESO DELL’ONORE (Libro #3)

LA FORGIA DEL VALORE (Libro #4)

IL REGNO DELLE OMBRE (Libro #5)

LA NOTTE DEI PRODI (Libro #6)

L’ANELLO DELLO STREGONE

UN’IMPRESA DA EROI (Libro #1)

LA MARCIA DEI RE (Libro #2)

DESTINO DI DRAGHI (Libro #3)

GRIDO D’ONORE (Libro #4)

VOTO DI GLORIA (Libro #5)

UN COMPITO DI VALORE (Libro #6)

RITO DI SPADE (Libro #7)

CONCESSIONE D’ARMI (Libro #8)

UN CIELO DI INCANTESIMI (Libro #9)

UN MARE DI SCUDI (Libro #10)

REGNO D’ACCIAIO (Libro #11)

LA TERRA DEL FUOCO (Libro #12)

LA LEGGE DELLE REGINE (Libro #13)

GIURAMENTO FRATERNO (Libro #14)

SOGNO DA MORTALI (Libro #15)

GIOSTRA DI CAVALIERI (Libro #16)

IL DONO DELLA BATTAGLIA (Libro #17)



LA TRILOGIA DELLA SOPRAVVIVENZA

ARENA UNO: MERCANTI DI SCHIAVI (Libro #1)

ARENA DUE (Libro #2)

ARENA TRE (Libro #3)



VAMPIRO, CADUTO

PRIMA DELL’ALBA (Libro #1)



APPUNTI DI UN VAMPIRO

TRAMUTATA (Libro #1)

AMATA (Libro #2)

TRADITA (Libro #3)

DESTINATA (Libro #4)

DESIDERATA (Libro #5)

PROMESSA (Libro #6)

SPOSA (Libro #7)

TROVATA (Libro #8)

RISORTA (Libro #9)

BRAMATA (Libro #10)

PRESCELTA (Libro #11)

OSSESSIONATA (Libro #12)


Sapevate che ho scritto tantissime serie? Se non le avete lette tutte, cliccate sull’immagine qua sotto e scaricate il primo libro di una di esse!






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Copyright © 2019 by Morgan Rice. All rights reserved. Except as permitted under the U.S. Copyright Act of 1976, no part of this publication may be reproduced, distributed or transmitted in any form or by any means, or stored in a database or retrieval system, without the prior permission of the author. This ebook is licensed for your personal enjoyment only. This ebook may not be re-sold or given away to other people. If you would like to share this book with another person, please purchase an additional copy for each recipient. If you’re reading this book and did not purchase it, or it was not purchased for your use only, then please return it and purchase your own copy. Thank you for respecting the hard work of this author. This is a work of fiction. Names, characters, businesses, organizations, places, events, and incidents either are the product of the author’s imagination or are used fictionally. Any resemblance to actual persons, living or dead, is entirely coincidental.

Jacket image Copyright By Sergey Nivens, used under license from Shutterstock.com.


INDICE



CAPITOLO UNO (#u633d7869-d683-5b1d-b06e-1c981cfeb522)

CAPITOLO DUE (#u091775d8-3c6f-59ed-aea9-f080042298dd)

CAPITOLO TRE (#uea5b6470-4371-5b40-9ff4-c7971f846461)

CAPITOLO QUATTRO (#u3bc3eb92-fba2-5443-85a8-4a0726c6b4d7)

CAPITOLO CINQUE (#u4c067287-f145-5c92-b369-9c935a8d5b36)

CAPITOLO SEI (#litres_trial_promo)

CAPITOLO SETTE (#litres_trial_promo)

CAPITOLO OTTO (#litres_trial_promo)

CAPITOLO NOVE (#litres_trial_promo)

CAPITOLO DIECI (#litres_trial_promo)

CAPITOLO UNDICI (#litres_trial_promo)

CAPITOLO DODICI (#litres_trial_promo)

CAPITOLO TREDICI (#litres_trial_promo)

CAPITOLO QUATTORDICI (#litres_trial_promo)

CAPITOLO QUINDICI (#litres_trial_promo)

CAPITOLO SEDICI (#litres_trial_promo)

CAPITOLO DICIASSETTE (#litres_trial_promo)

CAPITOLO DICIOTTO (#litres_trial_promo)

CAPITOLO DICIANNOVE (#litres_trial_promo)

CAPITOLO VENTI (#litres_trial_promo)

CAPITOLO VENTUNO (#litres_trial_promo)




CAPITOLO UNO


Per il lunghissimo tempo durante il quale rimase nell’oscurità che lo circondava, Kevin fu convinto di essere morto. In un certo senso gli sembrava giusto. Tutti gli avevano comunque detto che non gli restava molto da vivere, e poi c’era stata la navicella spaziale che andava alla deriva nel vuoto, l’aria che finiva poco alla volta. Dopo tutto questo, non era forse ammissibile che ci dovesse essere la fine di tutto?

“Kevin,” chiamò la voce di Chloe da qualche parte nello spazio oltre il buio. “Apri gli occhi.”

“Va’ via, sono morto,” bofonchiò Kevin, perché una parte di lui non voleva fare altro che tornare a dormire. Voleva lasciarsi andare e rilassarsi, permettere all’oscurità di travolgere tutto. Stava così comodo che… Sussultò sentendosi punto da qualcosa. “Ahi!”

Aprì gli occhi di scatto e vide un luogo che decisamente non era la navicella con cui erano andati alla deriva, indifesi. Quello non era un velivolo rubato all’Alveare dove loro due stavano lentamente morendo dopo essere stati urtati da una navicella degli Ilari e da ciò che restava del mondo di questi ultimi. Questo spazio era più ampio, e assomigliava quasi a…

“È un ospedale,” ipotizzò Kevin. Ora sapeva benissimo come fossero fatti gli ospedali. Aveva passato così tanto tempo tra ospedali e laboratori e altri posti del genere, che gli era impossibile non riconoscerne uno, anche se sembrava un ospedale in un certo qual modo alieno, senza nessun dispositivo che assomigliasse a quelli cui lui era abituato.

“Allora sei sveglio,” disse Chloe dal posto in cui si trovava in piedi, accanto al suo letto. Sembrava soddisfatta dei suoi sforzi per svegliarlo e sorrideva sotto i baffi in un modo che suggeriva che l’avrebbe rifatto molto volentieri.

“Mi hai fatto male,” si lamentò Kevin, ma poi gli venne in mente un pensiero. “Sei ferita, tu? Stai bene?”

“Sto bene,” lo rassicurò Chloe, ora con tono serio. “Hanno curato i lividi più grossi quando ci hanno portati qui.”

Kevin la guardò comunque dalla testa ai piedi, giusto per essere sicuro, preoccupato che stesse tentando di nascondere quanto invece fosse ferita e dolorante. Qualcuno le aveva dato una specie di divisa argentata da indossare al posto dei suoi soliti vestiti. Assomigliava un po’ alle squame argentate di un pesce e rifletteva la luce in modi diversi a seconda di come lei si muoveva. Abbassando lo sguardo, Kevin si accorse di avere indosso la stessa cosa.

“E tu?” chiese Chloe con ovvia preoccupazione. “Sei ferito?”

“No,” le rispose. “Penso di no.”

Di certo non si sentiva peggio del solito, o almeno di quanto si fosse sentito prima che l’Alveare avesse deciso di renderlo uno di loro. Sentiva il dolore che gli scorreva lungo il corpo, e lo stordimento che minacciava di metterlo al tappeto quando si muoveva troppo velocemente, ma erano sensazioni che conosceva. Erano così familiari che gli sembravano quasi dei vecchi amici a questo punto, ormai. Non sentiva niente di simile a forti dolori derivati da qualcosa di rotto.

Chloe si chinò su di lui e lo abbracciò con forza. “Sono così contenta che tu sia sano e salvo.”

Kevin si aggrappò a quell’abbraccio, anche se non aveva la sensazione di meritarselo in quel momento. Era colpa sua se erano arrivati a quel punto. Se non fosse stato per lui, Chloe non si sarebbe trovata rinchiusa in una cella, sottoposta a degli esperimenti. Non avrebbe avuto quella strana cosa che sembrava viva attaccata al braccio, stretta come una seconda pelle, la sua superficie ossuta da insetto completamente fuori posto sulla morbidezza della sua pelle liscia.

Era talmente bello che fosse sana e salva che per un momento o due Kevin non pensò neanche a chi non era lì con loro.

“Dov’è Ro?” chiese poi, guardandosi attorno alla ricerca dell’ex membro dell’Alveare. “È…”

“Bene, sei sveglio,” disse una nuova voce. “Kevin si girò verso il punto in cui la porta si stava aprendo, rivelando una donna degli Ilari dalla pelle blu con indosso un’uniforme scura con un marchio militare sopra. Kevin riconobbe il generale s’Lara dalla trasmissione video che aveva fatto tentando di imbrogliare lei e tutti i suoi simili. Solo il pensiero bastava a dargli la certezza che quello dovesse essere solo un orribile sogno.

“Generale, è stata lei a salvarci?” chiese Kevin. “Ma io… io ho tentato di ingannarvi.” Eppure non era la cosa peggiore. “Ho… ho contribuito a far saltare per aria il vostro mondo.”

Il senso di colpa lo pervase al pensiero di tutto ciò che aveva fatto, mentre vedeva l’espressione del generale assumere una connotazione di rabbia.

“Hai anche contribuito a metterci in guardia,” disse. “Questo ti fa guadagnare un po’ di considerazione da parte nostra e… beh, non vogliamo abbandonare coloro che hanno bisogno. Noi non siamo come l’Alveare.”

“Questo è…” Kevin non trovava le parole. “Grazie.”

“Non ringraziarmi ancora,” disse il generale s’Lara. Alzò lo sguardo verso il soffitto e parve ascoltare qualcosa che solo lei poteva sentire. “La mia Intelligenza Artificiale dice che gli altri sono pronti per decidere cosa fare di voi. Voi e quel cosiddetto ‘Puro’ che avete portato qui. Seguitemi per favore.”

“Kevin è ancora debole,” disse Chloe contrariata. “Ha bisogno di riposo.”

“Potrà riposare tutto il tempo che vuole quando il processo sarà finito. Ora venite con me.” La donna generale era chiaramente abituata ad essere obbedita quando ordinava qualcosa, e stava già uscendo, senza aspettare per vedere se gli altri l’avrebbero seguita.

Kevin guardò Chloe, che scrollò le spalle. Sapevano che nessuno di loro due aveva effettivamente una possibilità di scegliere. Affrettandosi per tenere il passo, seguirono il generale fuori dalla camera d’ospedale e si trovarono a percorrere una serie di corridoi contorti le cui pareti avevano immagini brillanti che davano loro l’illusione di ampi spazi aperti. Qua e là passarono accanto a finestre che davano vedute dello spazio.

“Siamo su una navicella vero?” chiese Kevin. Non assomigliava alle navicelle dell’Alveare. Questa non aveva la perfetta stabilità dei regolatori della gravità, ma era pur sempre una qualche specie di navicella.

“Questa è l’ammiraglia della flotta usata per fuggire,” disse il generale s’Lara. “La mia Intelligenza Artificiale vi è integrata.”

“Quindi ogni millimetro di questo posto è… lei?” chiese Chloe.

“Penso che si possa dire così,” rispose il generale. “La mia Intelligenza Artificiale si connetterà agli altri per il vostro processo.”

“Come nell’Alveare?” chiese Kevin, capendo all’istante, dall’espressione sul volto del generale, di aver detto la cosa sbagliata.

“Noi non siamo per niente somiglianti all’Alveare,” disse il generale s’Lara con tono severo. “Loro si lanciano di forza contro i mondi che poi distruggono, contro la gente che poi trasformano in parte di loro. La sofferenza e le scelte degli altri non significano nulla per loro. Noi ci uniamo alle nostre Intelligenze Artificiali, ma continuiamo a scegliere ciò che facciamo, e non andiamo a caccia di conquista. Ci mettiamo dietro a degli scudi perché non vogliamo massacrare gli altri, anche se questo ci è costato dei mondi.”

Kevin sentì un’altra ondata di senso di colpa crescere in lui. Era stato lui a dare una mano per abbattere quegli scudi e rendere vulnerabile il loro pianeta davanti all’attacco successivo. Era stato lui ad aiutare l’Alveare a distruggere il loro mondo e a prendere il suo. Con sua sorpresa, però, Chloe fu più diretta.

“Avreste potuto battervi contro di loro e non l’avete fatto?” disse. “Vi siete nascosti a loro quando avreste potuto fermarli?”

“Chloe…” tentò di dire Kevin, ma a quanto pareva Chloe non aveva finito.

“No, Kevin,” disse. “Se sta dicendo che avrebbero potuto fare di più, che avrebbero potuto batterli prima che arrivassero sulla Terra, allora avrebbero potuto risparmiarci tutto questo. Avrebbero potuto salvarci.”

“Non siamo neanche riusciti a salvare noi stessi,” disse il generale s’Lara, ora con tono addolorato. “Non abbiamo i mezzi per fermare l’Alveare. Possiamo ucciderli, abbiamo la tecnologia necessaria per distruggere le loro navicelle, eppure loro continuano ad attaccare.” Parve ascoltare ancora qualche cosa. “No, lo so. Ad ogni modo siamo qui.”

Indicò una serie di porte. Kevin e Chloe vi passarono attraverso e si trovarono in un ampio spazio pieno di gente. Come con i corridoi, le immagini si dipanavano sulle pareti, ma queste sembravano più astratte e Kevin poté distinguervi degli schemi. In qualche modo capì che si trattava delle Intelligenze Artificiali che comunicavano tra loro.

Ro si trovava in piedi su un cerchio vuoto del pavimento, sopraelevato rispetto al resto. Kevin corse dall’alieno per assicurarsi che stesse bene, mentre Chloe fu ancora più veloce e andò ad abbracciarlo. La gente presente li fissò. Kevin ne vide tantissimi, sia Ilari che altri alieni che avevano trovato rifugio tra loro. Erano talmente numerosi che era difficile distinguere dei singoli volti. Lo stesso, aveva la consapevolezza che stavano fissando loro tre senza distogliere lo sguardo, tentando di decidere il da farsi.

“Ro, stai bene?” gli chiese. L’amico non sembrava ferito, ma era comunque scosso.

“Non lo so,” ammise l’alieno. “Sto provando così tante emozioni. Colpa, e paura, e… come fa la gente a gestirle?”

Kevin gli posò una mano sulla spalla. Chloe gli mise un braccio attorno alle spalle.

“Lo facciamo,” gli promise. “E continuiamo a farlo.”

“Questi tre individui sono stati salvati da una navicella alla deriva,” disse il generale s’Lara, ovviamente rivolgendosi all’assemblea. “Potete vedere che uno di loro è un ‘Puro’ dell’Alveare. Degli altri due, uno e il ragazzo che li ha aiutati ad accedere al nostro mondo, mentre la ragazza è stata modificata diventando una delle loro creazioni.”

Kevin odiava la sensazione che gli dava quella descrizione di sé e dei suoi amici. La parte peggiore, però, era che non poteva negare ciò che stavano dicendo di loro.

“Ci stiamo dirigendo verso un altro avamposto,” disse il generale s’Lara. “La nave mi dice che la nostra flotta è inseguita, quindi dobbiamo decidere cosa vogliamo fare con i nostri nuovi ospiti. Possiamo correre il rischio di tenerli a bordo? Siamo in maggiore pericolo avendoli qui? Sono quello che sembrano? C’è qualcuno che vuole parlare del primo di loro? La ragazza?”

Vi fu un vorticare di immagini e lettere sulle pareti mentre le Intelligenze Artificiali comunicavano tra loro. Se si concentrava, Kevin aveva la sensazione di poter cogliere il senso della conversazione, dato che i segnali emessi venivano trasformati per lui attraverso lo stesso talento che gli aveva permesso di tradurre tutti gli altri messaggi.

… non colpevole…

… una vittima, non un avversario…

… però il dispositivo sul braccio…

Due individui si alzarono in piedi.

“Si è deciso che parlerò io per lei,” disse un uomo. “Ci pare ovvio che è stata una prigioniera dell’Alveare, una loro vittima e non una di loro. Dovremmo concederle protezione in qualità di rifugiata.”

L’altra a prendere la parola era donna. “Si è deciso che io prenderò posizione contro di lei,” disse. “Anche se siamo comprensivi nei confronti della sua difficile situazione, non sappiamo cosa le abbiano fatto gli alieni. L’oggetto che ha al braccio potrebbe essere un rischio, perché l’Alveare non progetta nulla di sicuro. Dovremmo rinchiuderla o distruggerla, per la sicurezza degli altri.”

Il generale s’Lara fece cenno a Chloe. “Hai niente da dire?”

“Cosa volete che dica?” rispose seccata Chloe. Kevin poteva vedere che era sull’orlo di perdere la pazienza, e probabilmente questo era principalmente dovuto alla paura che stava provando.

“Allora parlo io,” disse il generale. “Non siamo soliti uccidere perché potrebbe esserci una minaccia. La qui presente Chloe è praticamente una come noi, o come uno qualsiasi di quelli che sono venuti dagli Ilari in cerca di aiuto. Credo che dovrebbe essere la benvenuta tra noi, e forse nel tempo saremo in grado di annullare ciò che le è stato fatto. C’è qualcun altro che desidera parlare? No? Allora discutiamo degli altri.”

Kevin sentì lo sguardo del generale posarsi su di lui e poi su Ro.

“Le discussioni che riguardano gli altri sono più complesse,” disse. “Uno ci ha avvisato dell’attacco, ci ha aiutato, ma è anche lo stesso che ha eliminato i nostri scudi. L’altro è uno dei Puri dell’Alveare, e quindi un nostro avversario. So che il nostro popolo è pacifico, ma ho difficoltà a provare qualcosa di diverso dalla rabbia di fronte a questa situazione.”

Kevin guardò le pareti, vedendo che ora le scritte vi apparivano sopra meno simili a lucciole, ma più come api furiose. Le discussioni sembravano molto più complesse e il suo talento per la traduzione gli consentiva di cogliere solo qualche brandello del discorso, che era quindi impossibile da seguire in toto.

… dove inizia la responsabilità…

… dove finisce…

… se è uno di loro, è uno di loro…

… distrutto un mondo intero!

Kevin era così occupato a lasciare che quelle discussioni lo travolgessero che quasi non sentì la prima persona alzarsi in piedi.

“Parlo io in difesa del ragazzo,” disse una donna con tono gentile. “Sento che sebbene abbia creato grosso danni, l’abbia fatto solo perché controllato dall’Alveare. Una volta libero, ha cercato di aiutarci. Ci ha avvertiti. Si è liberato e non dovremmo ricompensarlo nuocendogli. Dovremmo accoglierlo come abbiamo fatto con la sua amica.”

“Io mi oppongo,” disse un uomo. “Qualsiasi sia la verità, lui era uno dell’Alveare. Sono un popolo che ha massacrato più individui di quanti potremmo riuscire a contarne con le nostre Intelligenze Artificiali, e lui li ha aiutati. Dovrei guardarlo mentre se ne va in giro liberamente, mentre i nostri cari non possono farlo perché sono già morti? Ora ci mettiamo a perdonare l’imperdonabile?”

“Io parlo per il Puro,” disse un uomo più anziano. “Loro sono parte di un intero, dal quale lui si è staccato. È stato contorto dalla sua precedente identità, ma ora non è più quella creatura. Se ha avuto il coraggio di liberarsi da loro, dovremmo festeggiare questo evento, non denunciarlo.”

“Nessuno si libera,” disse con tono secco e deciso un altro degli Ilari, e la rabbia era palpabile nella sua voce. “È ovvio che è una specie di trucco. Hanno già tentato di ingannarci in passato. Sono passati attraverso i nostri scudi. Hanno assassinato la nostra gente. Hanno distrutto il nostro mondo. Questa cosa è stata una parte di ciò, entrambi lo sono stati! Dovremmo distruggerlo prima che ci faccia dell’altro male!”

Kevin poteva sentire l’emozione nelle sue parole, una cosa completamente diversa da come si era sentito nell’Alveare. Loro avrebbero preso decisioni puramente razionali, mentre questo… questo era in qualche modo più reale.

“Volete dire qualcosa?” chiese il generale s’Lara guardando lui e Ro.

Kevin sapeva che avrebbe dovuto, ma non era sicuro di cosa dire. La colpa che provava sembrava ancora pervadere tutto, seppellendo ogni parola. Sapeva di dover provare, ma la verità era che non voleva provarci in quel momento.

“Non voglio dire niente a mia discolpa,” disse, scuotendo la testa. “Non me lo merito, e la verità è che… comunque sto morendo. Non importa cosa mi farete, fintanto che gli altri siano salvi.” Gli parve quasi uno shock dire una cosa del genere, ma era la verità. Era più importante che fossero salvi Chloe e Ro piuttosto che lui. “Ho dato un contributo per distruggere un mondo. Non merito… non merito niente. Ma Ro si è liberato dell’Alveare. Questo dovrebbe contare qualcosa.”

Ro scosse la testa. “Ho… ho paura, lo ammetto, ma non scapperò da quello che ho fatto. Ho commesso un orrore dopo l’altro. Ho fatto cose malvage. Una volta ero un Puro, ma ora non sono neanche quello. Sono impuro. È Kevin che dovreste salvare. Lo abbiamo reso uno di noi contro la sua volontà. Non aveva altra scelta.”

“C’è sempre una scelta!” disse l’uomo che si era scagliato contro Ro, parlando a voce alta da qualche parte in fondo alla stanza.

Kevin non sapeva cosa dire. Sembrava però che Chloe lo sapesse, perché gridò per farsi sentire da tutti, guardando dritto in faccia l’uomo che aveva appena parlato.

“Pensi che Kevin abbia scelto di essere preso dagli alieni?” chiese con tono che sarebbe bastato di per sé a far indietreggiare chiunque. “Pensi che ne avesse il controllo? Gli hanno fatto accettare che mi venisse fatto del male in ogni genere di modo, e lo stesso io non lo biasimo, perché non è stato lui. Era un lui senza emozioni, senza nessuna compassione. E se non hai compassione, non sei certo meglio dell’Alveare!”

Si prese un momento per guardarsi attorno e osservare gli alieni, e per un attimo Kevin pensò che avesse finito, ma poi continuò la sua tirata, puntando il dito contro tutta la gente che li circondava.

“Siete tutti lì in piedi a prendere decisioni su di noi, ma non avete neanche provato a cercare di capirci. Kevin… ha attraversato il nostro paese tentando di salvare il nostro mondo. È andato nello spazio perché stava cercando di fermare l’Alveare. Lo hanno preso solo perché stava tentando di fermarli. Per quanto riguarda Ro, ha lottato contro le uniche cose che ha sempre conosciuto. È un segno che il controllo dell’Alveare può essere spezzato, e voi volete… cosa, ucciderlo? Dovrete uccidere me se volete farlo!”

Stava lì in piedi guardandoli furente, quindi il generale s’Lara alzò una mano per richiamare l’ordine.

“Non parlerò di questo,” disse. “I miei pensieri sono troppo in conflitto. La logica richiede una cosa, l’emozione un’altra. Ma mi chiedo, siamo esseri di pura logica? Siamo come loro? Non lo so. È ora che ci dividiamo.”

Abbassò la testa e tra loro Kevin vide delle luci danzanti che baluginavano intorno, come se le Intelligenze Artificiali parlassero e discutessero, probabilmente cercando un equilibrio tra le emozioni degli Ilari e le necessità dettate dalla logica. Agli occhi di Kevin sembravano sciami di api arrabbiate che volavano attorno, spostandosi e dividendosi, poi ricombinandosi in diversi gruppi man mano che il dibattito tra loro proseguiva.

Da dove si trovava, Kevin non riusciva a capire esattamente in che modo stesse andando la discussione. Poteva coglierne dei pezzetti qua e là se ci provava, ma c’erano così tanti diversi frammenti che era impossibile anche solo iniziare a tentare di capire la direzione del tutto.

Alla fine parve che stesse succedendo qualcosa. Kevin ebbe la sensazione che le Intelligenze Artificiali si stessero spostando, disponendosi in formazioni, creando gruppi man mano che prendevano le loro decisioni. Sulla superficie delle pareti attorno alla stanza apparvero due blocchi, uno rosso e uno blu. I gruppi sembravano vicini, così vicini che Kevin non poteva contarli, e neanche capire quale fosse più grande. Poteva vedere che alcune Intelligenze Artificiali vibravano ancora svolazzando in giro, rivedendo i fatti o discutendone con coloro a cui erano connessi. Lentamente, però, i gruppi si stabilizzarono.

Neanche allora, però, Kevin riuscì capire quale potesse essere il risultato.




CAPITOLO DUE


Kevin guardava fuori da una delle finestre della navicella mentre lo spazio scorreva veloce, senza poter distinguere nulla, allungato e piegato per permettere al velivolo di passarvi attraverso con il potere dei suoi scudi. Lui, Ro e Chloe erano seduti insieme in una stanza che era aperta e ariosa, e quasi vuota. Con sua sorpresa, anche il generale s’Lara era lì.

Kevin tornò con la memoria al momento in cui il generale s’Lara gli aveva messo una mano sulla spalla dopo il processo.

“Abbiamo preso la nostra decisione. Pare che… pare che avrete tutti il permesso di stare tra noi. Verrete portati al nostro mondo di avamposto, e insieme cercheremo un modo per fermare l’Alveare. Spero solo che troveremo un modo per farlo.”

Kevin non poteva credere quanto fossero andati vicini alla morte. Si risvegliò dai suoi pensieri e si guardò attorno.

“Non avete bisogno di… non so,” disse, “di controllare la navicella?”

“Come se la mia navicella mi permettesse di dirle cosa fare,” rispose lei. “Noi lavoriamo con le nostre Intelligenze Artificiali. Non le soggioghiamo. Quello è un pensiero da Alveare.”

“Kevin e Ro non sono l’Alveare,” disse Chloe con tono accalorato, forse un po’ troppo.

“Non ho mai detto questo,” rispose il generale s’Lara. Però sembrava che li stesse osservando con attenzione.

Kevin pensava di poter capire. “Sta cercando di capire di più dell’Alveare, vero?”

Il generale esitò, ascoltando in quel modo che diceva che si trovava ancora in comunicazione con la sua Intelligenza Artificiale.

“Sì,” ammise. “Tu e il Puro… scusate, Ro, ne siete stati parte. Avete avuto accesso alla sua struttura ed essenza. Potete aiutarci a comprenderlo meglio. Potreste veramente essere in grado di aiutarci a batterli.”

“Non sono sicuro che si possano battere,” disse Ro. “Mi spiace, mi sento… senza speranze.”

“Ma sei riuscito a liberarti,” disse il generale s’Lara.

“Con l’aiuto di Chloe,” rispose Ro.

Kevin annuì. Senza Chloe, nessuno di loro sarebbe stato in grado di scappare.

“Voglio comunque sapere tutto quello che sarete in grado di dirci,” disse il generale. “Com’è essere parte dell’Alveare?”

Kevin non era certo di avere le parole per spiegarlo. Lo stesso voleva provare. “È come… c’è questa rete di connessioni, e ciascuna di esse è una cosa viva. È come essere parte di qualcosa di più grande, con la sensazione che niente conti se non l’intero.”

“È bellissimo,” aggiunse Ro. “Ma non abbiamo alcun modo per sentire quella bellezza. Non sentiamo nulla. Nessuna coscienza, nessuna felicità. L’Alveare è tutto.”

“Bene, questo significa che la negoziazione è esclusa,” disse il generale s’Lara. “Però ci potrebbe comunque essere qualcosa. Molto presto saremo arrivati.”

“Dove?” chiese Kevin. Non aveva idea di dove fossero diretti, e non aveva neppure considerato che stessero andando da qualche parte.

Lei fece un cenno e una delle pareti mutò, fornendo l’immagine di un pianeta. Sembrava piccolo sullo schermo, ma era un punto di colore luminoso in una veduta dello spazio altrimenti in bianco e nero. Era per lo più verde, in un modo che appariva strano se messo a confronto con il blu della Terra.

“Questo è Xarath,” disse il generale come spiegazione. “La maggior parte della sua acqua è sottoterra, ma la vita delle piante sboccia in superficie. Abbiamo una piccola base lì. Non abbiamo mai pensato che diventasse una casa per tutti noi, ma dovremo adattarci. Dicono che sia bellissimo.”

“Quanto ci vorrà per raggiungerlo?” chiese Kevin. Non aveva una reale comprensione di quanto velocemente si stesse muovendo la navicella. Era veloce come i velivoli dell’Alveare? Di più?

“Ancora qualche minuto. Abbiamo piegato lo spazio per avvicinarci, ma la maggior parte del ritardo è dovuto al tentativo di seminare le forze dell’Alveare che ci stanno inseguendo. Avremo bisogno di arrivare tra i primi sulla superficie. Venite con me, dovremmo andare a uno dei dispositivi di atterraggio.”

Per la seconda volta, il generale fece loro strada attraverso gli spazi interni della navicella. La gente si girava a fissarli mentre passavano, e mentre qualcuno sembrava essere in attesa di ordini da parte del generale, altri stavano decisamente guardando Kevin, Chloe e Ro. Non sembravano tutti amichevoli.

“Pare che non tutti siano d’accordo con il processo,” disse Chloe. A Kevin sembrava che fosse pronta a scagliarsi contro chiunque li guardasse troppo a lungo, o nel modo sbagliato. Vide che stringeva la mano del braccio modificato, come pronta a tirare un pugno.

“La gente ha la possibilità di non essere d’accordo,” disse il generale s’Lara. “Non siamo l’Alveare, dove tutti devono obbedire. Possono pensare quello che vogliono, ma abbiamo preso una decisione nel modo più onesto possibile, e dubito che qualcuno possa agire contro di essa.”

Kevin non aveva l’impressione che ne fosse del tutto convinta, ma del resto come poteva? Aveva ragione. A meno che non controllassero lì tutte le menti come faceva l’Alveare, non ci sarebbe mai stata perfetta armonia. Kevin preferiva che ci fossero persone che lo guardavano in modo strano che dover vivere senza i propri pensieri e le proprie scelte.

Lui e gli altri seguirono il generale fino a un hangar dove si trovavano un certo numero di navicelle più piccole, simili a frecce che aspettavano di essere sputate dalla bocca gigante della navicella. Il generale s’Lara li condusse verso una che era in parte annerita dal fuoco.

“Ecco. La mia navicella personale. Vi faccio vedere il pianeta. Andiamo”

L’interno della navicella era più strano dell’interno. Era come se fosse stato rattoppato e ricostruito così tante volte che non restava quasi niente di originale.

“Ci ho lavorato io stessa,” disse il generale s’Lara, e poi distolse ancora una volta lo sguardo, ascoltando. “Sì, va bene. Ci abbiamo lavorato noi. Sedetevi, che voliamo giù.”

C’erano sedie che sembravano più poltroncine che il genere di panche o posti a sedere che Kevin si sarebbe aspettato da un velivolo militare. Gli sembrava strano avere una tale comodità nella navicella di un generale.

“Com’è essere collegati a un’intelligenza artificiale?” chiese.

“È come essere due metà di un intero,” rispose il generale. “Possono darti più informazioni, reagire più velocemente e capire le cose che da sola non potrei mai comprendere, ma noi ci mettiamo l’emozione e l’intuito. Funziona.”

Kevin provava a immaginarlo, ma non ci riusciva. La cosa più simile che riusciva a pensare era la connessione all’Alveare, ma quella non era stata per niente simile a ciò che il generale s’Lara aveva descritto. Gli dava più l’idea di una perfetta amicizia, come quella che avevano lui e Luna sulla Terra, ciascuno che colmava le debolezze dell’altro, ciascuno che stava attento all’altro senza porre domande.

In quel momento sentiva talmente la mancanza di Luna da provarne dolore.

“Tenetevi forte,” disse il generale s’Lara, ma in verità il movimento della navicella era lineare e fluido e il velivolo uscì dal mezzo più grande scivolando verso la superficie.

Mentre scendevano verso il mondo sottostante, Kevin vide il verde della vegetazione davanti a loro, così grandioso che sembrava avvolgere ogni cosa. Per i primi secondi gli parve una gigantesca marea verde, ma poi iniziò a distinguere le diverse sfumature e trame all’interno. C’erano zone che sembravano essere distese d’erba, e molte altre che assomigliavano a interminabili foreste. C’erano macchie di verde più scuro, simili ad abeti e altri che assomigliavano a palme tropicali.

Quando furono ancora più bassi, Kevin iniziò ad avere la concezione delle proporzioni. Molti degli alberi sembravano di dimensioni normali, ma ce n’erano altri che erano alti come cattedrali, con fogliame che si allargava a coprire larghi spazi di terreno, cosicché il suolo di sotto sembrava quasi come una cosa di secondaria importanza.

“È un posto bellissimo,” disse il generale s’Lara. “Così tanta vita qui, ma mai pensato come mondo per noi. È troppo selvaggio, e troppe specie diverse ne disturberanno l’equilibrio.”

Portò la navicella in basso, e Kevin iniziò a vedere degli edifici annidati tra gli alberi, così ben nascosti che per alcuni secondi fu difficile scorgerli tra la vegetazione. Pendevano come grossi frutti, o stavano in equilibrio sui rami, così meravigliosamente costruiti da poter sembrare una componente naturale della foresta.

“Quante persone avete qui?” chiese Kevin.

“Qualche migliaio. Non abbastanza per una vera civilizzazione,” rispose il generale. “Anche con tutta la gente che abbiamo portato con noi… siamo un’ombra di ciò che eravamo.”

Dei veicoli sfrecciavano tra gli alberi, muovendosi rapidamente, sollevati dal terreno. Altri si spostavano più lentamente a livello del suolo, mascherati da mutevoli campi di colore che cambiavano a seconda della luce.

“Avete armi qui?” chiese Kevin. Voleva sperare che avessero qualcosa che potesse essere in grado di distruggere l’Alveare.

“Qualcosa,” disse il generale s’Lara. “Ci piace essere capaci di difendere i luoghi dove abbiamo delle basi, ma la difesa principale che abbiamo è la segretezza. Questo avrebbe sempre dovuto essere un posto nascosto.”

“Ma ora stiamo venendo qui,” sottolineò Chloe.

“Siamo disperati,” disse il generale s’Lara. “Siamo a corto di persone, a corto di posti, a corto di qualsiasi cosa, eccetto questo. Ci nasconderemo qui fintanto che potremo.”

“E se l’Alveare ci trova?” chiese Kevin.

Il generale s’Lara scosse la testa. “Li abbiamo seminati quando abbiamo iniziato a piegare lo spazio. Neanche loro possono rintracciarci a quelle velocità. A meno che tu sappia qualcosa che noi non sappiamo?”

Non c’era alcuna nota di sospetto nella domanda del generale, ma Kevin si sentì come se la donna non si fidasse pienamente di lui. Guardò verso Ro, che scosse la testa.

“L’Alveare ha rubato molte tecnologie prima, ma non sono in grado di rintracciare gli Ilari. È per questo che hanno avuto bisogno di te per trovare i loro segnali. Senza di te…”

“Senza di me non sarebbero mai stati capaci di distruggere il mondo in cui si sono imbattuti,” disse Kevin.

Il generale s’Lara scosse la testa. “Ci saranno anche altri che ti biasimeranno per questo, ma io no. Eri controllato, e ora siamo salvi.”

Volarono più avanti, in mezzo agli alberi, con le navicelle che trovavano spazio tra i tronchi per poi andare ad atterrare su grandi piattaforme che sporgevano dal lato di edifici costruiti in mezzo al verde. Così da vicino, Kevin vide che avevano davanti un’intera città.

La navicella toccò terra e loro scesero. All’interno della navicella di atterraggio, circondati dalle strette pareti, non c’era stato un vero senso dello spazio, ma ora Kevin poteva vedere la vera altezza di tutto quanto. Era così alto che l’aria sembrava rarefatta e gli faceva venire mal di testa, rendendolo frastornato e facendolo barcollare, leggermente instabile. Aveva il cervello sconvolto da quell’altezza.

“Andiamo,” disse il generale s’Lara. “Avevo annunciato il nostro arrivo mentre ci avvicinavamo, e la gente vuole conoscervi. Sono eccitati all’idea di persone che potrebbero liberarci dall’Alveare, e pensano che tu, Kevin, sia speciale.”

“Ora mi sento esclusa,” disse Chloe, ma non sembrava che lo intendesse sul serio.

Kevin le mise una mano sulla spalla. “Io penso che tu sia speciale.”

“Lo sei,” la rassicurò il generale s’Lara. “Se permetterete ai nostri scienziati di studiarvi tutti, avremo la potenzialità di imparare moltissimo.”

Chloe parve preoccupata. “Ne ho abbastanza di essere studiata, fino alla fine della mia vita.”

“Non vi costringeremo,” disse il generale s’Lara, e c’era una nota di comprensione nel suo tono. “Sarà una tua scelta. Ora andiamo. Vi mostro la base.”

All’interno era in tutto e per tutto impressionante come Kevin l’aveva considerata da fuori. I corridoi avevano le stesse scene impossibili che decoravano l’interno delle navicelle, ogni parete trasformata in una tela che pareva poter essere manipolata dalle Intelligenze Artificiali degli Ilari, dato che Kevin vide un alieno dalla pelle blu che armeggiava con il muro trasformandolo in una sorta di opera astratta mentre passavano. L’individuo si girò a guardarli e fece un inchino al generale.

“Oh, piantala Cler, sai che dovrei essere io quella che si inchina a te,” disse il generale.

Continuarono a camminare, e il generale iniziò a spiegare gli edifici in cui passavano man mano che procedevano.

“In teoria la gente prende le stanze di cui hanno bisogno per fare qualsiasi cosa stiano tentando, e ridanno loro forma per adattarle, ma tendono ad esserci anche delle aree comuni,” disse. “Ci sono spazi abitabili da ogni parte qui, in capsule che si diramano dal corridoio principale. Questi spazi sembrano vuoti. Potete avere questi.”

Era davvero tutto così casuale? Avevano bisogno di uno spazio e quindi ne prendevano uno? Il generale fece loro strada fino a un grande soggiorno open-space con divani e letti disposti attorno. L’intero spazio era vuoto e silenzioso, ma non sembrava sterile come Kevin aveva percepito per esempio l’Istituto, e gli mancava la precisa opulenza delle torri dorate dell’Alveare. Era invece comodo e accogliente, dando l’impressione di poter tranquillamente diventare la casa di qualcuno.

“Quindi entriamo così e prendiamo una stanza?” chiese Kevin, mentre si appoggiava a un divano sentendo una breve ondata di stanchezza.

“Come altro faresti?” chiese il generale, sinceramente confusa che ci potessero essere altri modi per fare le cose. Indicò un’apertura vuota sulla parete. “Qui è dove prendiamo il cibo. Sarà un po’ più lento per voi, dato che non avete le Intelligenze Artificiali, ma posso sempre occuparmi io di chiedervi quello che volete. Permettete.”

Si fermò un momento davanti all’apertura e… apparve un vassoio colmo di cibo. C’erano dei fili blu fumanti contornati da quelle che sembravano bacche rosse.

“La mia Intelligenza Artificiale dice che il laxatha dovrebbe andare bene per voi, ed è uno dei miei preferiti,” disse. “Ecco, assaggiate.”

Glielo porse e si sedette accanto a loro in un modo che sembrava strano per un generale. Chloe fu la prima a provare il piatto, e la sorpresa espressione di piacere sul suo volto fece capire tutto.

“Questo cibo è… dire buono non basta. È fantastico. Devi assaggiare, Kevin.”

Kevin prese un morso con fare esitante, restando stupefatto da quanto fosse buono il miscuglio di sapori. C’era solo una domanda nella sua mente, che andava ad aggiungere una nota un po’ strana al pasto mentre lo consumavano.

“Generale s’Lara,” disse, “perché ci sta servendo del cibo?”

“Perché siete nostri ospiti,” rispose lei.

“Ed è molto gentile da parte sua, ma avrebbe potuto mandare qualcun altro a farlo. Lei non ha riunioni o cose da dover fare?” Kevin aveva conosciuto alcune persone importanti, e non se le poteva immaginare a fare una cosa del genere. “Perché lei?”

Il generale s’Lara annuì. “Devo ammettere che ci sono un sacco di incontri che dovrei avere, ma la mia Intelligenza Artificiale si sta occupando di alcuni di essi. E poi stare qui con voi potrebbe essere uno dei compiti più importanti a cui dedicarmi in questo momento.”

Kevin per un momento non capì, ma poi si impensierì un momento. “Per tutto quello che potremmo sapere?”

“Non vi racconterò bugie,” disse il generale s’Lara. “Penso che voi tre possiate avere la chiave per questa faccenda. Siamo stati in grado di sconfiggere membri singoli dell’Alveare, possiamo farlo facilmente quando siamo in parità numerica, ma non siamo mai in egual numero. Loro continuano sempre ad arrivare, e peggio ancora non se ne curano. Ci lanciano addosso le loro creature senza preoccuparsi che muoiano o meno. Come si fa a sconfiggere qualcosa a cui non interessa di morire?”

Kevin non era sicuro di poter rispondere. Aveva usato lo stesso sistema contro gli Ilari quando avevano combattuto. Aveva lanciato loro addosso delle navicelle, considerando il loro desiderio di vivere come una debolezza da sfruttare.

“È la maggior forza dell’Alveare,” disse Ro.

“Il fatto che tu li conosca e sia stato capace di liberartene, potrebbe farci capire come effettivamente sconfiggerli. Potremmo essere realmente in grado di vincere questa guerra.”

“Ma non sappiamo nulla,” disse Kevin.

“Potresti non sapere ciò di cui sei a conoscenza,” disse il generale. “Per cominciare, cosa sai di questa tua abilità?”

Kevin scosse la testa. “Quasi niente. Sento dei segnali e posso tradurli. Vedo cose che devono essere tradotte e il mio cervello lo fa in automatico.”

“E questa cosa lo sta uccidendo,” si intromise Chloe con tono cupo. Le sue parole bastarono a rattristare Kevin riguardo alla prospettiva del conto alla rovescia che era ripartito nel suo corpo.

“Cosa intendi dicendo che ti sta uccidendo?” chiese il generale s’Lara.

Kevin fece per rispondere e nel frattempo si alzò in piedi. Il dolore lo colpì quasi all’istante e lui si rese conto che le cose che stava provando quando erano atterrati non erano stati solo i sintomi di ciò che l’aveva inseguito da quando era uscito dall’Alveare.

Si era abituato a ignorarli e l’aveva fatto anche quando il suo corpo aveva tentato di avvisarlo che c’era qualcosa che non andava. Ora sembrava che tutto lo colpisse all’improvviso. Lo stordimento lo travolse, facendolo ruotare su se stesso e portandolo a crollare sul pavimento, inizialmente stendendo le mani in avanti per cercare di sostenersi, ma cedendo poi a una fitta che sembrò contorcergli ogni angolo del corpo.

Insieme arrivò il dolore che gli fece esplodere la testa in una supernova di agonia. Era come se qualcosa gli si spezzasse dentro, e Kevin avrebbe gridato se avesse avuto ancora il controllo sulla propria bocca. Aveva già sentito quella perdita di controllo sul proprio corpo quando altri segnali l’avevano attraversato, ma questo era diverso. Questo non conteneva la promessa di un messaggio o di una risposta: l’unica promessa sembrava quella del buio che c’era al di là, che lo minacciava di sorgere e travolgere tutto.

Kevin poteva vedere Chloe, Ro e il generale s’Lara accanto a sé, le loro labbra che si muovevano mentre parlavano. Sembrava che Chloe stesse gridando qualcosa verso di lui, ma Kevin non sentiva nulla. Era come se si trovasse dall’altra parte di una tenda, dalla quale si allontanava secondo dopo secondo.

Stava morendo, e non c’era nulla che potesse fare per evitarlo.




CAPITOLO TRE


Luna si svegliò sbattendo le palpebre alla luce, e anche quello fu una sorpresa. Quando si era addormentata, si era aspettata di scivolare nel buio e non svegliarsi più, completamente consumata dai nanobot alieni che si stavano lentamente impossessando del suo corpo. Invece poteva ancora ricordare chi era, dove si trovava e tutti gli orrori che avevano colpito il mondo.

Fu solo quando il suo corpo si alzò senza che lei ci pensasse che si rese conto che qualcosa non andava.

“No!” gridò, ma l’urlo le uscì dalle labbra solo come uno sbuffo che si rifiutava di dare risposta ai suoi comandi. Ad ogni modo non erano suoi, per niente. Qualcun altro stava tirando i fili che la controllavano.

Si guardò attorno nel complesso in cui avevano combattuto contro tutti i trasformati e gli alieni, e Luna ebbe la sensazione di non essere lei sola a guardarsi in giro in quel momento. C’erano altre cose che stavano guardando attraverso i suoi occhi, prendendo decisioni per suo conto e dando comandi senza pensare a cosa ciò potesse procurarle.

Luna cercò di opporsi con più forza possibile a quei comandi, ma non fece nessuna differenza, come non aveva fatto nessuna differenza l’ultima volta che si era trovata ad essere controllata. Si alzò invece come una prigioniera nella sua stessa carne, mentre il suo corpo iniziava a camminare verso gli altri, costretta da pareti che erano costituite dai suoi stessi muscoli. Afferrò un lungo pezzo di metallo che era affilato come un machete o un coltello. Se così facendo si tagliò le mani, non se ne accorse.

Luna non capiva. Prima i trasformati aveva afferrato gente alla cieca cercando di convertirli, intontiti dalla mancanza di un diretto controllo. Questo però… le sembrava che qualcuno la stesse usando per qualcosa di molto più concentrato, qualcosa di molto più pericoloso.

Avanzò a grandi passi, e fu solo così facendo che si rese conto di dove era diretta. Ignazio, Lupetto, Barnaby e Leon erano davanti a lei: tutti coloro di cui aveva bisogno la resistenza. Gli alieni avevano intenzione di usarla come coltello da piantare nel cuore della loro organizzazione, con lo scopo di uccidere le sole persone che veramente sapevano come poter fermare ciò che gli alieni avevano fatto. Se gli alieni fossero riusciti a ucciderli, allora chi altro avrebbe saputo come far funzionare la cura?

Luna tentò di gridare un avvertimento, ma non ebbe alcun effetto. Non uscì nessun suono, e anche se il cambiamento dei suoi occhi ora era sicuramente ovvio per chiunque la guardasse, nessuno stava guardando. Erano tutti troppo occupati a riprendersi dopo la battaglia, sistemando le ferite e tentando di trovare del cibo per la gente che per settimane non aveva provato fame o sete.

Poi Bobby, il cane da pastore, corse verso di lei ringhiando e la morse.

Luna non sentì niente, perché a quello stadio della trasformazione non poteva provare nessuna sensazione. Abbassò lo sguardo sul cane e tirò indietro una gamba, pronta a tirargli un calcio. Sapeva che l’avrebbe fatto, nonostante tutto il suo sforzo per trattenersi. Bobby arretrò, ringhiando e digrignando i denti come un lupo aizzato contro un gregge. Luna avanzò verso di lui sollevando ora il grosso pezzo di metallo.

“Bobby, cosa stai facendo?” chiese Lupetto avvicinandosi.

Luna si girò verso di lui, facendo roteare l’arma che teneva in mano e riuscendo a fargli un taglio sulla pelle anche se lui indietreggiò con un salto. Ricordava quel genere di velocità e quel genere di forza, ma non aveva mai avuto la possibilità di usarle per colpire qualcuno prima d’ora. Non si era resa conto di quanto fosse potenzialmente pericolosa.

“Luna, che succede?” chiese Lupetto, schivando un altro colpo. Luna lo vide mentre la fissava. “Oh no. No!”

Luna si lanciò contro di lui e gli altri con tutta la sua nuova velocità, esalando il vapore anche se sapeva che non avrebbe fatto nulla alle persone a cui era già stato iniettato l’antidoto. Un uomo le si parò davanti e lei lo colpì con il suo pezzo di metallo, spingendo nel contempo un’altra persona che era davanti a lei.

“Si è trasformata!” gridò Lupetto nel caos.

Poi fece l’impensabile e portò la mano alla pistola.

Luna si stava già lanciando addosso a lui e lo spinse indietro, facendogli cadere la pistola dalla mano, così veloce da non riuscire quasi a credere alla rapidità con cui si stava muovendo.

“Prendetela!” urlò Ignazio nella confusione.

Luna tirò un colpo verso di lui, sentendo che la necessità di obbedire all’Alveare aveva la meglio su ogni suo tentativo di opporre resistenza. Dentro di sé stava gridando, ma non ne veniva fuori che un debole sibilo. Una dozzina di altre persone le furono addosso in quel momento. Luna ne spinse via una, lanciandola con più forza di quanta avrebbe mai potuto credere possibile. Poi cercò di colpirne un’altra.

Lo stesso, sempre più gente le si ammassò contro, e per quanto lei sentisse la forza e la ferocia della propria condizione, si trovò bloccata tra loro. Erano troppi per poterli combattere. Soffiò fuori il vapore, nella vana speranza di poter trasformare alcune di quelle creature, di quegli umani… e mentre ci pensava si interruppe. Lei non era ciò che gli alieni volevano che lei fosse. Non avrebbe perso il collegamento con se stessa.

“È cambiata,” disse Lupetto scuotendo la testa. “È andata. Abbiamo perso Luna.”

Aveva ancora la pistola in mano, e il braccio sembrava tremare adesso, come se stesse lottando contro una decisione da prendere. Luna capiva perfettamente quale fosse quella decisione, e la odiava.

“Non dire così,” disse Leon. “Potrebbe ancora essere là dentro.”

Luna avrebbe voluto urlare che lei era là dentro. Voleva che Lupetto vedesse che lei c’era ancora, che… beh, non sapeva cosa sarebbe successo poi.

Invece vide Lupetto sollevare la pistola.

“So come si sta quando si diventa una di quelle cose. Anche se Luna è là dentro, non ci resterà ancora a lungo. Quegli esseri ti succhiano via la tua identità.”

“Ma adesso è lì!” disse Leon. “Possiamo ancora salvarla. L’esplosione…”

“L’esplosione ha convertito tutta la gente che c’era nei paraggi durante la battaglia, ma non ha salvato Luna,” disse Lupetto. Luna poteva vedergli le lacrime negli occhi ora. “L’abbiamo persa, e ora devo fare… devo fare l’unica cosa che si può…”

Luna sapeva a cosa stava pensando: che era la stessa cosa che con suo padre, Orso; che non c’era altra scelta, che le stava risparmiando un destino peggiore della morte. Lo stesso, le stava puntando contro la pistola, e lei non lo sopportava. Come poteva farle una cosa del genere? Come poteva pensare, anche solo per un momento, che fosse la cosa giusta da fare?

“Aspetta!” gridò Ignazio, che era l’ultima persona che Luna si sarebbe aspettata di vedere mettersi in mezzo tra lei e la pistola. Il chimico ed ex produttore di droga non era altro che un codardo.

“Levati di mezzo,” disse Lupetto con tono secco.

“Possiamo ancora salvarla,” insistette Ignazio.

“Se non è stata salvata nel momento dell’esplosione…”

“Perché si trovava nel mezzo. Nell’occhio del ciclone!” disse Ignazio. Non si spostò. Luna non si sarebbe aspettata che lui, tra tutti, affrontasse quel genere di pericolo. “Non significa che non possiamo salvarla. Abbiamo solo bisogno di …”

“Cosa? Di ricreare l’esplosione?” chiese Lupetto, e Luna avrebbe voluto poter asciugare le lacrime che gli vedeva negli occhi, se non altro per il motivo che le generava. “Ricreare un’esplosione casuale di energia aliena, modificata nella corretta frequenza di quando ha colpito i cristalli? Pensi che non stessi ascoltando quello che dicevi, Ignazio? Se avessi pensato che ci fosse un modo…”

Tirò il grilletto della pistola e Luna vide la polvere sollevarsi vicino ai suoi piedi. Il suo corpo controllato non sussultò, non mostrando la minima reazione.

“Questo era un avvertimento, Ignazio,” disse Lupetto, e Luna poté sentire la sicurezza nella sua voce. “Spostati.”

Luna cercò di muovere il proprio corpo in modo che Ignazio non fosse nella linea del fuoco, ma era imprigionata nella propria carne oltre che dalle mani di coloro che la trattenevano. Loro volevano che questo accadesse. Volevano essere sicuri che i trasformati venissero eliminati.

“L’esplosione ci ha permesso di travolgere i nanobot che hanno contribuito alla trasformazione di centinaia di persone,” disse Ignazio, “ma possiamo ancora trovare una cura per una persona alla volta. Abbiamo solo bisogno di elaborarla.”

Luna vide Lupetto esitare davanti a quell’affermazione. Sembrava essere l’unica cosa ad avere quell’effetto su di lui.

“Puoi davvero farlo?” chiese.

“Non qui,” ammise Ignazio. “I danni procurati dalla battaglia sono ingenti, ma tutto ciò che mi serve è un laboratorio con la giusta attrezzatura, e qualche pezzo di macchinario specifico.”

“E nel frattempo dovremo stare tutti qui a tenere ferma Luna per evitare che ci ammazzi?” chiese Lupetto.

“Possiamo costruire qualcosa per rinchiuderla,” disse Barnaby. Sembrava che ci stesse già lavorando, sollevando pezzi di metallo dai resti di un trailer per motociclette come se potesse già vedere nella sua testa come assemblarli.

“E lei attirerà qui tutti gli alieni che si trovano anche a centinaia di chilometri da qui,” disse Lupetto.

Luna capiva quello che intendeva dire. Le creature che la controllavano avrebbero visto tutto attraverso i suoi occhi. Avrebbero saputo dove mandare rinforzi.

“Faremo tutto da soli,” disse Ignazio. “Glielo dobbiamo, Lupetto, e ti prometto che possiamo riportarla tra noi.”

Lupetto rimase fermo, ma Luna aveva visto che ormai aveva deciso. Forse avrebbe dovuto essere riconoscente che non intendesse ucciderla. Forse avrebbe dovuto provare della pietà per le dure decisioni che aveva già dovuto prendere. Invece tutto quello a cui poteva pensare mentre lo vedeva lì era che aveva avuto intenzione di ucciderla. Poco prima era stato davvero sul punto di ucciderla.

“Va bene,” disse Lupetto arretrando. “Va bene.”

Luna continuava a sbattere i denti e ringhiare, incapace di contenersi, contro la gente che la teneva ferma. Era in tutto e per tutto ciò che Lupetto temeva, ma era anche di più. Solo non aveva modo di farlo sapere alla gente. Poco più in là, Barnaby stava lavorando al serraglio progettato per contenerla. Sembrava una specie di gabbia, fatta con parti trafugate dal caos generato dalla battaglia.

Prese forma lentamente, con attenzione, un pezzo dopo l’altro. Man mano che la cella veniva preparata, Luna si sentì gradualmente andare a pezzi. Sentiva i ricordi che scivolavano via nei meandri del suo essere in un modo che le suonava fin troppo familiare. Lo aveva provato prima, la prima volta che era stata trasformata, con frammenti di sé che si perdevano non appena si concentrava su qualcos’altro, impossibili da afferrare, impossibili da trattenere, come pesci scivolosi che sfrecciavano via e le scivolavano tra le dita.

I ricordi dei suoi genitori si riversarono in una sorta di vaga consapevolezza, con Luna che era incapace di ricordare un solo momento con loro, un singolo istante passato a ridere a casa o a discutere per le faccende domestiche, o addirittura solo seduti insieme a mangiare. Luna sapeva quali fossero i fatti della sua vita, ma non riusciva a richiamarli alla memoria. Non riusciva a ricordare sul serio come fosse stato essere a scuola, o stare seduta a guardare la TV, o stare fuori, o…

… le venne in mente il volto di Kevin, così netto e perfetto da poter essere scambiato per una fotografia, e Luna si tenne stretta a quell’immagine con più forza possibile, come avrebbe potuto stare aggrappata a un palo durante un uragano. Non avrebbe perso Kevin, non si sarebbe lasciata sfuggire un singolo frammento del suo ricordo. Non avrebbe perduto i momenti trascorsi con lui. Quegli istanti sembravano essere scolpiti in lei, da quando era stata insieme a lui nell’Istituto della NASA, alla fuga nel bunker per sfuggire all’ondata di vapore, al tentativo di sconfiggere insieme gli alieni.

In qualche modo, c’era qualcosa di più luminoso in quei momenti, confronto al resto. Si stagliavano indelebili nella mente di Luna, e lei riuscì ad aggrapparvisi, tenendosi stretta ai pensieri di Kevin e di tutte le cose che provava per lui. Quel bisogno e quell’affetto sembravano come un faro nel buio che minacciava di avvolgerla.

“Portatela da questa parte,” esclamò Barnaby, e Luna sollevò lo sguardo vedendo che aveva completato la sua cella di contenimento. Era stato così veloce che questo bastò a ricordarle il suo talento quando si trattava di costruire qualcosa. Sembrava una struttura piuttosto grezza, ma il metallo era grosso e gli spazi tra le sbarre tanto piccoli che Luna non sarebbe riuscita a passarvi attraverso.

La portarono verso la gabbia, e il suo corpo continuò a lottare anche se la sua mente sperava che la gabbia fosse abbastanza resistente da contenerla. Sentì un suo piede che andava a sbattere contro la mandibola di un uomo, un gomito che sbatteva contro lo stomaco di qualcun altro. I colpi erano tanto forti da procurare di sicuro dei lividi o addirittura da rompere qualche osso, ma parve non sortire alcuna differenza. La maggior parte delle persone impegnate nel trasporto ora non erano membri dei Sopravvissuti, o almeno Luna non pensava che lo fossero. Avevano invece l’aspetto cencioso di chi era stato prima un trasformato. Sembravano desiderosi di darle una mano, anche se altri avevano paura.

La sollevarono e la lanciarono dentro alla gabbia. Luna non sentì l’impatto con il suolo. Si alzò invece subito in piedi e corse alla porta, ma neanche la sua sfrenata velocità le fu sufficiente per arrivarvi prima che il metallo sbattesse andando a chiudere la cella e i Sopravvissuti la chiudessero in modo sicuro.

Luna si scagliò contro le sbarre, testandone la forza. Le pulsanti istruzioni dell’Alveare le dicevano di liberarsi e uccidere, di fare quanti più danni potesse prima che loro la eliminassero, ma il metallo non cedette sotto le sue mani, neanche quando lei lo colpì tanto forte da far sanguinare le dita. Avrebbe dovuto sentire dolore, ma come tutto il resto, in quanto trasformata sembrava che ogni cosa accadesse come in un sogno, come se succedesse a qualcun altro.

L’unico problema era che quel qualcun altro era lei, e questo le avrebbe fatto male sul serio se Ignazio aveva ragione nel dire che l’avrebbe riportata indietro.

“Dove andiamo ad elaborare quello che abbiamo trovato?” chiese Leon ad Ignazio e Barnaby. “Ci serve solo un laboratorio, giusto?”

Luna tentò di distogliere lo sguardo. Non pensava che gli alieni stessero traendo conoscenze sui Sopravvissuti da lei, ma non aveva modo di saperlo per certo. Lupetto su quello aveva ragione: lei era una minaccia per tutti per ogni cosa che poteva vedere e sentire. Poteva attirare lì, come un faro, orde di controllati.

“Non basta un laboratorio qualsiasi,” disse Ignazio. “Ci servono attrezzature speciali. L’Università di sicuro le aveva, ma con l’attacco temo che possano essere sparite.”

“Allora dove?” chiese Leon.

Luna vide Ignazio scrollare le spalle e in quel momento capì che non c’era nessuna certezza. Ignazio aveva fatto intendere che il processo per riportarla indietro era semplice, ma ovviamente non sapeva effettivamente dove trovare quello che stavano cercando. Nessuno di loro ne aveva idea, e in qualche modo Luna sospettava di avere solo un tempo molto limitato prima che tutta se stessa scomparisse per sempre. Anche in quel momento poteva sentire il peso dell’infezione aliena che la opprimeva, cercando di schiacciare la sua essenza. Era come se dietro ci fosse nascosta una mano che si chiudeva lentamente su di lei per far succedere questa cosa.

“Ci sono dei posti che potrebbero avere ciò che ci serve,” disse Barnaby, indicando verso la città come una guida turistica. “Ci sono degli edifici industriali da quella parte, e se riusciamo a trovare un impianto chimico, lì ci sarà tutto quello che ci serve. Oppure possiamo andare da quella parte e vedere negli edifici più accademici. Oppure possiamo esplorare meglio l’interno dell’università e sperare che qualcosa sia sopravvissuto.”

Leon pensò per un momento o due. Luna sapeva cosa avrebbe scelto lei, optando per l’opzione più vicina, anche se era la meno probabile. Voleva che facessero questa cosa il prima possibile, e non solo perché non voleva stare più del necessario nella condizione in cui si trovava. Sapeva anche che ogni secondo che lei passava in quello stato era una grossa minaccia per gli altri.

Sembrava però che Leon la pensasse in modo diverso, perché indicò verso le fabbriche.

“Quelle sono la nostra migliore possibilità,” gridò ai Sopravvissuti che lo circondavano. “Ignazio e Barnaby vi diranno esattamente ciò che stanno cercando. Ci serve la giusta attrezzatura per salvare Luna, e per salvare altri trasformati che potremmo trovare.”

Il gruppo si riunì attorno a loro. Erano così tanti adesso, praticamente un esercito, anche se in quel caso ci sarebbe dovuta essere della disciplina, piuttosto che quell’avanzare liberamente in avanti, tutti insieme. Marciarono verso le fabbriche, andando ora a piedi, dato che l’autobus non avrebbe potuto muoversi tra le macerie dovute alla battaglia. Trascinarono Luna con il trailer che la conteneva, le ruote che cigolavano a ogni giro, la struttura della gabbia che sobbalzava sul terreno irregolare. Le sembrava di essere un reperto in mostra in un museo, o forse un prigioniero in una qualche antica guerra, messa in mostra prima della morte.

Non morirò, disse a se stessa, tentando di convincersene e di crederci. Si teneva aggrappata al pensiero di poter rivedere Kevin, l’unico punto saldo e certo mentre tanti altri elementi e ricordi le scivolavano via.

La processione andò dritta in direzione delle fabbriche e Luna doveva solo sperare che sarebbero arrivati in tempo, prima che lei perdesse ogni pezzo di sé e non potesse più stare aggrappata ai pensieri di Kevin.




CAPITOLO QUATTRO


Kevin stava camminando in mezzo a posti che conosceva, posti in cui era stato. Vi stava girovagando in strane combinazioni che non avevano senso, passando da un luogo all’altro con facilità. Stava camminando sulla navicella madre dell’Alveare su cui era stato, e le strade mutavano trasformandosi in quelle di Mountain View, dove era cresciuto. Passò attraverso una porta e si trovò nella foresta pluviale colombiana, circondato da militari pronti a combattere per il diritto di controllare la capsula dell’Alveare.

Ogni passo lo portava in un momento diverso, mutando e cambiando, cosicché era difficile tenere traccia di tutti. Passò dai momenti nella sala dei segnali, dove decifrava messaggi inviati alla Terra, al primo istante in cui aveva visto la gente trasformata in mostri, quando aveva capito che era troppo tardi per fermare l’invasione…

… all’istante in cui il dottore gli aveva detto che stava morendo.

Kevin divenne allora meno cosciente del proprio corpo: si sentiva così lontano che era come se vi stesse fluttuando sopra. Poteva sentire il dolore alla testa, così forte che pareva fargliela esplodere. Il tremore del corpo sembrava essersi impossessato di lui completamente, e gli pareva impossibile essere capace di muoversi in tutti quei posti.

Non poteva essere, lo sapeva. Stava sognando, stava ricordando, e stava morendo.

Non si dovrebbe dire a un ragazzo di tredici anni che sta morendo. Ricordò di averlo pensato allora, quando tutto questo aveva avuto inizio, nello studio dello specialista. Ora nessuno glielo stava dicendo: Kevin lo sapeva e basta, come sapeva anche cosa significasse un segnale lontano, o la voce di Luna.

Poteva sentire la malattia progredire dentro di lui. Era stata frenata per un breve periodo quando si era trovato parte dell’Alveare, ma era subito ricomparsa quando si era liberato.

Altri momenti attraversarono i suoi sogni: la traversata lungo la costa con Chloe e Luna, il tempo passato nel bunker, insieme in un angolo del dormitorio per quella breve notte in cui erano stati al sicuro. Kevin non era sicuro se fosse solo un sogno o quella cosa che aveva sentito, di quando la vita ti passava davanti agli occhi prima della morte, o qualcosa del genere.

Altro dolore lo pervase, questa volta come una morsa al cuore, una pressione che lo schiacciava e lo teneva fermo, tanto che Kevin non ne poté più sentire il battito. Era un genere di dolore che non avrebbe mai creduto possibile, il genere di dolore che sembrava avvolgere ogni cosa contemporaneamente.

C’erano così tante immagini nei suoi sogni, così tante cose che aveva fatto e che forse non avrebbe mai avuto l’occasione di fare se il mondo fosse stato un posto diverso. Se non avesse avuto il suo potere, l’Alveare sarebbe comunque arrivato? Lui sarebbe stato in tutti quei posti, avrebbe visto tutte quelle cose?

Per quante cose Kevin avesse fatto, non era stato abbastanza. Lui non voleva morire. Non avrebbe mai voluto morire. Non era giusto.

“Dai, dovete fare qualcosa!”

Le parole sembrarono giungere da molto lontano, era come se la voce di Chloe passasse attraverso un sottile velo, comunque troppo spesso per permetterle di arrivare pienamente a lui.

“Ci stiamo provando,” rispose una voce, e anche se Kevin non poté riconoscere di chi fosse, capì che si trattava di uno degli Ilari. “Se avessimo avuto il tempo per studiare ciò che gli stava succedendo…”

“Non c’è tempo,” disse il generale s’Lara. “Fate quello che bisogna fare.”

“Aspettate,” tentò di dire Kevin, ma le parole non gli uscirono di bocca. “Cosa intendete dire?”

Il dolore lo colpì, e se prima pensava di sapere cosa volesse dire dolore, questo era cento volte peggiore. Sembrava scorrere contemporaneamente in ogni singola cellula, come se bruciasse e congelasse allo stesso tempo, come se tirasse e schiacciasse. Gli sembrava che lo stesse facendo a pezzi, atomo per atomo, ricomponendolo poi un pezzo alla volta. Ogni cellula era leggermente diversa, leggermente modificata, e ora sentì un’ondata fresca pervaderlo, trasformandolo al suo passaggio.

L’oscurità sorse nuovamente in lui, ma questa volta non assomigliava a quella della morte. Era invece calmante, delicata e pura. Avvolse Kevin come una coperta, e alla fine lui poté nuovamente percepire il proprio corpo.

“Ora puoi aprire gli occhi, Kevin,” disse il generale s’Lara.

Kevin sentiva gli occhi pesanti e come incollati. Si sentiva stanco…

“Kevin,” disse Chloe con tono molto meno gentile. “Svegliati.”

Kevin aprì gli occhi di scatto e vide la stanza attorno a sé, le pareti bianche e l’aspetto accogliente. Attorno a lui c’erano alieni dalla pelle blu, con uniformi immacolate che gli parevano familiari. Gli ci volle solo un momento per rendersi conto che si trovava in un altro ospedale. Stava passando un po’ troppo tempo in questi posti. C’era anche il generale s’Lara, e lo guardava con ovvia preoccupazione. Allo stesso modo lo fissava Ro, ed era strano vedere quell’espressione sul volto di una specie aliena che normalmente non provava emozioni.

Poi c’era Chloe. Era vicino a lui e Kevin vide che aveva pianto, anche se adesso le sue lacrime sembravano essere di gioia piuttosto che di dolore. Allungò le mani verso di lui.

“Kevin, pensavo che fossi morto!” disse. “Pensavo che…”

“Anche io pensavo di essere morto,” disse Kevin, cercando di scherzarci sopra, anche se non c’era molto da ridere. Pensava ancora al dolore che gli aveva stritolato il cuore, così schiacciante e pericoloso, praticamente letale. Aveva davvero creduto che sarebbe morto. Aveva pensato a tutte le cose che aveva fatto, a tutte le cose che avrebbe perso.

Mentre Kevin guardava Chloe, però, provò un’ondata di vergogna, perché non era a lei che aveva pensato nel momento in cui era stato certo di trovarsi sul punto di perdere ogni cosa. Era stata Luna a venirgli in mente. Erano stati i tempi passati con Luna che erano apparsi tra i suoi pensieri quando aveva riportato alla memoria ciò che era stato più importante nel suo passato. Era stato al ricordo di Luna che si era aggrappato, tenendoselo stretto nel momento in cui stava per morire. Era stata Luna, e non Chloe, che aveva temuto di perdere. Solo guardando Chloe adesso si sentiva un traditore, anche se non era una cosa che potesse evitare.

“Kevin, cosa c’è?” chiese Chloe. Ovviamente se n’era accorta.

“Niente,” disse Kevin, cacciando quel pensiero. Si alzò invece in piedi e fece un giro della stanza, cercando di valutare le sue sensazioni, pronto a sentire il corpo debole e vicino al collasso per il semplice sforzo di aver tentato di muoversi. In effetti fu un po’ sorpreso che il personale medico gli permettesse di farglielo fare, ma forse anche loro volevano testare la sua condizione.

E invece di cadere si sentì… bene. Kevin non era certo di essersi mai sentito così in salute in nessun momento della sua vita. Respirava senza difficoltà e non aveva male alla testa, nessuna pressione al petto. Con tutti i malanni ora scomparsi dal suo corpo, adesso era davvero in grado di capire quanto spiacevole fosse stata prima la sua condizione.

Era come se prima d’ora non ci fosse mai stato un singolo giorno in cui lui fosse stato veramente bene, perché questo benessere pareva quasi alieno se paragonato a tutto ciò che aveva provato prima.

“Sei sicuro di stare bene?” gli chiese Chloe, e Kevin annuì. Non era sicuro di come poterlo descrivere.

“Non penso di essermi mai sentito così bene in vita mia,” disse. Si voltò a guardare il generale s’Lara e il personale medico. Tutti sembravano guardarlo come se stessero tentando di controllare che le cose funzionassero come avrebbero dovuto. “Cos’avete fatto?”

“Ti abbiamo curato,” rispose il generale. “Abbiamo scansionato il tuo corpo alla ricerca degli schemi difettosi e poi abbiamo usato la nostra tecnologia di cura per riscrivere gli stessi schemi con qualcosa di nuovo. Il tuo cervello è stato stabilizzato, in modo che la tua malattia non possa progredire.”

“E la mia capacità di tradurre i segnali?” chiese Kevin, e poi capì la risposta a quella domanda prima ancora che qualcuno degli altri potesse dire qualcosa. Gli Ilari non parlavano la sua lingua, ma lui li poteva comunque capire, e poteva percepire i segnali delle Intelligenze Artificiali che comunicavano tra loro, riuscendo a tradurre i messaggi quando diventavano più forti.

… sembra essersi ripreso del tutto…

… può essere necessario…

“La procedura non dovrebbe aver influenzato null’altro che la tua malattia,” disse il generale s’Lara dando un’occhiata a uno dei medici, che annuì. Kevin poté vedere il sollievo del generale di fronte a quella conferma.

Kevin avrebbe dovuto provare gioia per quella notizia. Provava gioia, ma c’era anche dell’altro. Si sentiva come se in qualche modo le cose avessero dovuto essere più complicate. Dopo tutto il lavoro che gli scienziati avevano fatto sulla Terra tentando di stabilizzarlo e guarirlo, gli sembrava impossibile che questi alieni lo potessero far stare bene con un così minimo sforzo.

“Voi… mi avete guarito,” disse. “Perché? Perché mi avete guarito? Sapete quello che ho fatto. Sapete che sono responsabile della distruzione del mondo in cui vi nascondevate.”

“E ti abbiamo messo a processo per questo,” disse il generale s’Lara. “Abbiamo concordato di farti restare. Pensi che avremmo evitato la tua guarigione pur avendo la possibilità di aiutarti? Non siamo fatti così. Non è una cosa giusta.”

La bontà e benevolenza di quel gesto travolse Kevin. Come potevano questi alieni essere così buoni? Sembrava impossibile che qualcuno potesse essere tanto generoso con una persona che aveva tentato di fare loro del male. Dopo tutto quello che lui aveva fatto…

“Non è stata colpa tua, Kevin,” disse Chloe.

Kevin avrebbe voluto poterci credere. Ma il massimo che poteva fare era provare un’enorme gratitudine per essere trattato a quel modo.

“Grazie,” disse al generale. “Io… non so cosa dire.”

Gli avevano ridato la sua vita. Lo avevano guarito laddove nessun altro era stato in grado di farlo, e l’avevano fatto quando lui era certo che non avessero alcun motivo per farlo.

“Non serve che tu dica niente,” disse il generale s’Lara. “Noi aiutiamo coloro che ne hanno davvero bisogno. Cerchiamo la pace dove la si può trovare. Perdoniamo.”

Sembrava impossibile da credere. Kevin non era sicuro che sarebbe mai stato capace di perdonare l’Alveare. Se avesse avuto la possibilità di distruggerlo, l’avrebbe fatto. Eppure… si voltò a guardare Ro. Kevin non lo odiava. Si fidava addirittura di lui, eppure l’ex Puro era stato tra coloro che avevano tentato di distruggere il suo pianeta.

“Ho così tanto da imparare,” disse Kevin.

Guardò verso Chloe e di nuovo provò quella sensazione di colpa per aver pensato a Luna e non a lei quando era in punto di morte. C’era stata Chloe con lui sulla navicella spaziale dell’Alveare. Era stata lei ad aiutarlo a fuggire. Lui sapeva ciò che lei provava per lui, e sentiva anche lui qualcosa… ma era il volto di Luna che gli appariva nella mente quando chiudeva gli occhi, era a Luna che pensava in ogni momento tranquillo, anche se probabilmente ora era perduta nella massa dei trasformati.

“Ti è stato donato un nuovo inizio,” disse il generale s’Lara, gentilmente, come se avesse capito l’enormità di tutto ciò che gli stava accadendo. “La domanda è cosa intendi farne.”

Kevin in quel momento non poteva stare nella stanza. Era troppo. Non era solo il fatto che non sapesse cosa dire o cosa pensare, ma voleva respirare un po’ di aria aperta. Voleva ricordare a se stesso cosa volesse dire realmente essere vivo. Che poteva davvero potenzialmente avere un futuro.

C’erano porte che dall’infermeria portavano a una specie di balconata che sembrava essere cresciuta dall’albero stesso. Si curvava attorno al tronco come una specie di grosso fungo cresciuto lì, sufficientemente grande da sostenere lui e una dozzina di altre persone. Kevin vi si portò, trovandosi circondato dall’albero, con la bellezza del mondo dispiegata sotto di sé. Qua e là piccole navicelle sfrecciavano tra gli alberi, agili come uccelli, cantando melodie che riempivano lo spazio di musica, mentre le piante rampicanti pendevano dai rami arrivando quasi a toccare terra, e creature pelose grandi la metà di Kevin salivano e scendevano da esse.

L’aria era dolce, e non solo per il muschio e i fiori della foresta o la vegetazione rigogliosa, sebbene quel contesto fosse certamente di aiuto. Era il fatto che ora Kevin poteva respirare a pieni polmoni senza provare dolore, e stare lì in piedi senza lo stordimento che gli derivava dalla leucodistrofia che minacciava di travolgerlo. Era così strano starsene lì a quel modo, e più Kevin vi rimaneva, più era certo che tutta la sua vita fosse stata influenzata dalla sua malattia. Aveva pensato che si fosse presentata nella sua vita solo pochi mesi prima, ma con un solo respiro aveva capito che invece l’aveva avuta da sempre, da subito lì in agguato e in attesa, e lui se n’era accorto solo quando si era fatta più invasiva.

Rimase fermo lì ad ammirare l’enormità e la bellezza del mondo che lo circondava, e l’emozione gli parve semplicemente travolgente. Gli erano successe così tante cose, e adesso si sentiva più in forma che mai. Lo stesso aveva la percezione di essere piccolo in proporzione a tutto ciò che gli stava attorno. Era come se ci fossero troppe cose che lui ancora non sapeva, troppe cose che doveva ancora imparare e capire. Aveva tutta la sua nuova vita da trascorrere, e c’erano così tante cose da fare e imparare, che non sapeva proprio da che parte cominciare.

“Kevin, stai bene?” chiese Chloe uscendo dietro di lui.

Per un momento o due Kevin avrebbe voluto nascondersi dietro alla stranezza di tutta quella situazione che aveva vissuto. Avrebbe voluto dirle che era solo lo shock di ciò che era successo, o quell’improvvisa guarigione. Avrebbe voluto fingere che tutto andasse bene. Avrebbe voluto mentire, anche se Chloe era una persona che non meritava bugie.

Ma sapeva di non poterlo fare.

“Io… Chloe, devo dirti una cosa.”

“Sei innamorato di Luna,” disse lei. Rimase ferma lì, immobile come una statua, senza dire niente, ovviamente aspettando che fosse Kevin a decidere di prendere la parola. Gli ci volle qualche secondo, semplicemente per lo shock di aver sentito Chloe svelargli quella cosa prima di lui.

Annuì. “Io… siamo amici da sempre. Penso a lei tutto il tempo. Vorrei… vorrei poter provare questo per te, ma non è così.”

Chloe rimase ferma lì per quella che gli parve un’eternità, e Kevin si trovò a desiderare di non averle inflitto quel genere di dolore, anche se sapeva che non ci sarebbe stata altra scelta. Non voleva farle del male, ma non voleva neanche mentirle. Kevin si aspettava che esplodesse, che gli gridasse contro, che reagisse con quel genere di emozioni che sempre la riempivano fino all’orlo. Invece lei rimase ferma come una statua.

“Sì,” disse alla fine. “Lo so.”

“Lo sai,” disse Kevin. “Tutto qui?”

“Cosa vuoi che dica?” ribatté lei più dura, e Kevin percepì il dolore nella sua voce. “Fa male, ovvio che fa male, ma nell’Alveare ho visto quanto peggio potessero andare le cose. Ho visto quanto sia malvagio tentare di forzare quello che si prova nelle persone. Ho…”

Kevin vide le lacrime che iniziavano a salirle agli occhi e automaticamente le mise un braccio attorno alle spalle, stringendola a sé per confortarla. Era piuttosto sicuro che se uno diceva a qualcun altro che non lo amava, non avrebbe dovuto offrirsi di confortarlo, ma non poteva farne a meno.

“Mi spiace,” disse. “Vorrei…”

“Cosa vorresti, Kevin?” chiese Chloe. “Che niente di tutto questo fosse successo? Non desiderarlo. Io non lo vorrei.”

Una parte di Kevin lo desiderava, nonostante tutto. Desiderava che l’invasione degli alieni non ci fosse mai stata. Desiderava non aver aperto la capsula che avevano inviato, o di essere stato capace di fare qualcosa per fermare i danni che erano stati causati. Non poteva neanche contare il numero delle persone cui era stato fatto del male, o peggio, a causa dei ciò che era successo. Se avesse potuto riportare indietro quelle cose, l’avrebbe fatto, semplicemente perché odiava l’idea che nell’universo ci fosse del dolore generato da lui. Eppure se tutto questo non fosse successo, lui non avrebbe mai incontrato Chloe. E non avrebbe mai fatto neanche la metà delle cose strabilianti che aveva compiuto.

Kevin allora capì che Chloe aveva ragione: non dovevano desiderare che le cose fossero andare in modo diverso. Ad ogni modo continuava a pensare a come risponderle quando vide il cielo che iniziava a farsi più scuro, con una forma fin troppo familiare che si posizionava sopra al mondo.

“No,” sussurrò. “No…”

La navicella madre dell’Alveare si mise in posizione come una specie di scherzo visivo: un momento la si vedeva e l’attimo dopo no. Stava sospesa sopra al mondo degli Ilari, ne dominava l’orizzonte e delle navicelle da atterraggio già iniziavano ad uscirne, dando l’impressione che muovere una cosa così grande e terrificante fosse una bazzecola.

Kevin vide il generale s’Lara accorrere sul balcone con lo stesso orrore che provava lui in quel momento. Avevano pensato di essere salvi. Avevano pensato per lo meno di avere tempo.

“Com’è possibile?” chiese. “Come hanno fatto a trovarci quando li avevamo seminati?”

Guardò Kevin e Chloe, poi si voltò verso Ro, che si trovava ancora all’interno dell’infermeria. I suoi sospetti erano ovviamente per Kevin, ed era difficile non condividerli. Non che Kevin pensasse che Ro avesse potuto fare qualcosa del genere apposta, ma era forse possibile che in lui ci fossero dei residui di connessione con l’Alveare? E se invece stavano seguendo le tracce di Kevin e non di Ro?

Stava ancora pensando quando Chloe si fece avanti, tendendo il braccio.

“Sta… sta pulsando. Penso… penso che lo stiano tracciando. Levatemelo. Levatelo!”

Kevin non sapeva davvero cosa dire. Sopra di loro la navicella madre stava ferma in posizione, sputando fuori navicelle più piccole che promettevano nient’altro che morte. Kevin sollevò lo sguardo verso di esse. Gli sembrava tutto così ingiusto. Gli Ilari lo avevano appena salvato, gli avevano appena concesso una possibilità di vivere il resto della sua vita.

Ora l’Alveare era lì, e Kevin non capiva in che modo sarebbero potuto scampare alla morte.




CAPITOLO CINQUE


Luna era… Luna era. Doveva cercare di ricordarselo. Doveva ricordare che lei esisteva, ed era reale, e non era solo… solo… il ricordo e le parole le stavano scivolando via anche se lei e il resto dei… i Sopravvissuti, ecco, stavano andando verso le fabbriche che avevano scelto come posto dove avrebbero trovato con maggiore probabilità quello di cui avevano bisogno.

Luna era furiosa all’interno della gabbia, tirava le sbarre d’acciaio come se le sue mani potessero essere in grado di strapparle. Ora vedeva il sangue su quelle sbarre, e non ricordava da dove venisse. Era per i suoi attacchi al metallo o era qualcos’altro? Cercava di trattenersi, ma non aveva alcun controllo sul proprio corpo. Gli alieni che la comandavano volevano che lei trovasse un modo per uscire da lì, per uccidere, senza pensare a quanto questo potesse nel frattempo danneggiarla.

“Tieni duro, Luna,” disse Ignazio. Anche lui sembrava preoccupato ora. “Troveremo un modo per elaborare la cura. Ti riporteremo a quello che eri prima. Tornerai te stessa.”

Ma non era a se stessa che Luna pensava adesso. Stava pensando a Kevin. Kevin era l’unico ricordo al quale lei si riuscisse a tenere, come uno scalatore si sarebbe tenuto a una roccia per paura di precipitare. Stava aggrappata alla sua immagine, ma ora anche i ricordi di lui stavano iniziando a sbiadirsi, sempre più sbrindellati ai confini, come un… come un… non ricordava neanche cosa. Ricordava di aver viaggiato con lui per il paese. Ricordava i momenti divertenti prima che tutto questo avesse inizio, quando erano due amici, ma anche tante di quelle cose avevano cominciato a scivolarle via. Ad ogni modo Luna si teneva stretta a Kevin con tutta la forza possibile, e così facendo le parve di poter trattenere anche parte del resto. Riconosceva il cane Bobby che correva in mezzo al gruppo, il più vicino possibile a lei. Ora non stava ringhiando, ma forse era perché capiva che in quella condizione non poteva fare del male a nessuno.

Si stavano avvicinando alle fabbriche adesso, e Luna vide gli altri che si guardavano attorno con quel genere di ovvia cautela che veniva dalle troppe brutte esperienze vissute. Erano così tanti adesso, praticamente un esercito, e una parte di Luna disse a se stessa che avrebbe dovuto trasformarli in cose come lei. Soffiò fuori altro vapore contro di loro, sebbene non sortisse alcun effetto, grazie alla cura.

Alcuni di loro la guardavano con paura mentre camminavano, come se si aspettassero che lei facesse loro del male da un momento all’altro. Alcuni sfiorarono le armi che avevano, insicuri se usarle o meno. Ricordava una di quelle persone, ricordava che si chiamava Lupetto, ma in quel momento non ricordava nient’altro di lui, né capiva perché le facesse così male che lui in particolare tenesse la mano stretta sull’impugnatura della pistola.

“Pare che questo posto sia stato sede di qualche battaglia,” disse Ignazio, rivolgendosi a Leon. “Sei sicuro che troveremo qui quello che ci serve per elaborare la cura?”

Leon rispose con una scrollata di spalle, che non fu per niente confortante per Luna. “Non sono sicuro di niente. Si sono sentiti rumori di battaglia nella zona industriale, e i trasformati potrebbero aver saccheggiato il posto. Non sappiamo cosa ci sia qui.”

Luna non sapeva cosa pensare al riguardo. In verità, riusciva a malapena a pensare, arrivata a questo punto. Nonostante le riserve di Leon, il gruppo avanzò comunque con cautela tra i resti degli edifici, guardandosi attorno come se fossero alla ricerca di eventuali tracce di nemici. L’intero luogo sembrava un cimitero con quelle carcasse di enormi creature di metallo, porzioni di pareti danneggiate o addirittura crollate nel corso dei combattimenti che si dovevano essere svolti lì.

La trascinarono nella sua gabbia su ruote fino a un punto dove si trovava l’insegna di una società chimica, che penzolava in un angolo e sembrava poter cadere a terra da un momento all’altro. Entrarono, e ovunque Luna guardasse c’erano vasche e contenitori, alcuni tanto grandi da essere attraversate da passerelle di metallo perforato. Alcune vasche sembravano vuote, il contenuto tolto intenzionalmente, o colato da delle perdite o semplicemente evaporato, ma altre contenevano prodotto chimici che si muovevano e ribollivano qua e là in un modo che prometteva morte a qualsiasi sfortunato ci cadesse dentro. Il suolo era cosparso di detriti ed era difficile camminarci sopra. C’erano travi che sembravano essere cadute dal soffitto e scatole sparpagliate qua e là che sembravano essere state aperte e rovistate per controllarne il contenuto.

I Sopravvissuti si sparpagliarono attorno a Luna e iniziarono a perquisire la fabbrica, muovendosi tra le pile di macerie e prendendo ciò che era rimasto, presumibilmente nella speranza che una delle scatole contenesse qualcosa di utile.

“Cosa stiamo cercando?” chiese uno di loro.

Fu Barnaby a rispondere. “Ci serviranno macchinari per la lavorazione dei prodotti chimici, in modo da assemblarli e trasformarli in una qualche forma utilizzabile. Cercate bene.”

Tutto ciò che Luna poteva fare era aspettare e sperare, e l’attesa era odiosa. Parte di lei la odiava perché significava che non avrebbe potuto uccidere la gente che le stava attorno, ma sapeva che quella parte non era realmente lei, ma solo la parte che era controllata. La più grossa preoccupazione era che più tempo passava e più difficile era ricordare. Non poteva aspettare, perché non c’era tempo per aspettare.

“Qui!” gridò Leon da dietro un mucchio di cianfrusaglie. C’era una nota di speranza nella sua voce, ma Luna non osò condividerla in quel momento. “Barnaby, Ignazio, venite a vedere questo.”

Luna vide i due scomparire dietro al mucchio. I secondi passarono, poi i minuti.

“Portate Luna,” gridò Ignazio, e la sua speranza parve ancora più solida e presente nella voce, perché lui poteva per certo sapere che era quello che stavano cercando.





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“MESSAGGI DALLO SPAZIO è avvincente, inaspettato e fermamente radicato in forti profili psicologici supportati da elementi fantascientifici e pregni di suspense: cos’altro potrebbero desiderare i lettori? (Solo la rapida pubblicazione del secondo libro, L’arrivo.)”–Midwest Book ReviewDalla scrittrice di Libri fantasy numero #1 al mondo, Morgan Rice, arriva il libro #3 di una serie fantascientifica da tempo attesa. Con il pianeta Terra distrutto, cosa ne sarà dei tredicenni Kevin e Chloe sulla navicella madre?Gli alieni li ridurranno in schiavitù? Cosa vogliono? Ci sono speranze di fuga?E Kevin e Chloe torneranno mai sulla Terra?“Pieno zeppo d’azione …. Lo stile della Rice è consistente e le premesse sono intriganti.”–Publishers Weekly, parlando di Un’impresa da eroi“Un fantasy superiore… Un libro vincitore, raccomandato per coloro che amano lo stile epic fantasy alimentato da giovani protagonisti potenti e credibili.”–Midwest Book Review, parlando de L’ascesa dei Draghi“Un fantasy pieno zeppo d’azione che di sicuro piacerà ai fan dei precedenti romanzi di Morgan Rice, insieme agli amanti di opere come IL CICLO DELL’EREDITÀ di Christopher Paolini…. I fan della fiction per ragazzi divoreranno quest’ultima opera della Rice e imploreranno di averne ancora.”–The Wanderer, A Literary Journal (parlando de L’ascesa dei draghi)Sono disponibili anche i libri di Morgan Rice delle molte serie di genere fantasy, incluso UN’IMPRESA DA EROI (LIBRO #1 IN L’ANELLO DELLO STREGONE), un libro da scaricare gratuitamente, con oltre 1.300 recensioni a cinque stelle!

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