Книга - Lo Scettro di Fuoco

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Lo Scettro di Fuoco
Morgan Rice


“Un potente inizio per una serie produrrà una combinazione di protagonisti esuberanti e circostanze impegnative che coinvolgeranno non solo i giovani, ma anche gli adulti che amano il genere fantasy e che cercano storie epiche colme di amicizie potenti e tremendi avversari.--Midwest Book Review (Diane Donovan) (riguardo a Un trono per due sorelle)“L’immaginazione di Morgan Rice non ha limiti!”--Books and Movie Reviews (riguardo a Un trono per due sorelle)Dall’autrice di best seller numero #1, ecco una nuova serie per giovani lettori, ma anche per adulti! Siete amanti di Harry Potter e Percy Jackson? Non cercate oltre!In LO SCETTRO DI FUOCO: OLIVER BLUE E LA SCUOLA DEGLI INDOVINI (LIBRO QUATTRO), il dodicenne Oliver Blue viene inviato in un’importante missione per salvare la Scuola degli Indovini. Deve tornare nella Firenze del 1592 per trovare l’unico manufatto capace di salvarli tutti.Ma il segreto è sorvegliato da niente meno che Galileo stesso.Mentre cerca uno dei più grandi scienziati e inventori di tutti i tempi, l’uomo che ha inventato il telescopio e che ha scoperto i pianeti, Oliver non può fare a meno di chiedersi: è un indovino anche lui? E quali altri segreti tiene con sé?Suo fratello Chris, più potente che mai, rimane determinato a uccidere Oliver una volta per tutte. Oliver si rende presto conto che si tratta di una corsa contro il tempo, dato che c’è in ballo il destino della scuola, e di tutto il mondo.Un fantasy edificante, LO SCETTRO DI FUOCO è il libro #4 di una serie affascinante piena di magia, amore, umorismo, strazio, tragedia, destino e scioccanti colpi di scena. Ti farà innamorare di Oliver Blue, spingendoti a leggere fino a notte fonda.Anche il libro #5 della serie sarà presto disponibile!“Qui ci sono gli inizi di qualcosa di notevole.” --San Francisco Book Review (riguardo a Un’impresa da eroi)







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S C E T T R O



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F U O C O



(OLIVER BLUE E LA SCUOLA DEGLI INDOVINI—LIBRO QUATTRO)



MORGAN RICE



VERSIONE ITALIANA

A CURA DI

ANNALISA LOVAT


Morgan Rice



Morgan Rice è l’autrice numero uno e campionessa d’incassi della serie epic fantasy L’ANELLO DELLO STREGONE che comprende diciassette libri; della serie campione d’incassi APPUNTI DI UN VAMPIRO che comprende dodici libri; della serie campione d’incassi LA TRILOGIA DELLA SOPRAVVIVENZA, un thriller post-apocalittico che comprende tre libri; della serie epic fantasy RE E STREGONI che comprende sei libri; della nuova serie epic fantasy DI CORONE E DI GLORIA che comprende otto libri; e della serie epic fantasy UN TRONO PER DUE SORELLE, che comprende otto libri; della nuova serie di fantascienza LE CRONACHE DELL’INVASIONE che comprende quattro libri; della nuova serie fantasy OLIVER BLUE E LA SCUOLA DEGLI INDOVINI, che comprende quattro libri e della serie fantasy COME FUNZIONA L’ACCIAIO, che comprende quattro libri (ed è in prosecuzione). I libri di Morgan sono disponibili in formato audio o cartaceo e ci sono traduzioni in 25 lingue.

Morgan ama ricevere i vostri messaggi e commenti, quindi sentitevi liberi di visitare il suo sito www.morganricebooks.com (http://www.morganricebooks.com/) per iscrivervi alla sua mailing list, ricevere un libro in omaggio, gadget gratuiti, scaricare l’app gratuita e vedere in esclusiva le ultime notizie. Connettetevi a Facebook e Twitter e tenetevi sintonizzati!


Cosa dicono di Morgan Rice



“Se pensavate che non ci fosse più alcuna ragione di vita dopo la fine della serie L’ANELLO DELLO STREGONE, vi sbagliavate. In L’ASCESA DEI DRAGHI Morgan Rice è arrivata a ciò che promette di essere un’altra brillante saga, immergendoci in un mondo fantastico fatto di troll e draghi, di valore, onore e coraggio, magia e fede nel proprio destino. Morgan è riuscita di nuovo a creare un forte insieme di personaggi che ci faranno tifare per loro pagina dopo pagina… Consigliato per la biblioteca permanente di tutti i lettori amanti dei fantasy ben scritti.”

--Books and Movie Reviews

Roberto Mattos



“Un fantasy pieno zeppo di azione che sicuramente verrà apprezzato dai fan dei precedenti romanzi di Morgan Rice insieme ai sostenitori di opere come il CICLO DELL’EREDITÀ di Christopher Paolini... Amanti del fantasy per ragazzi divoreranno quest'ultima opera della Rice e imploreranno di averne ancora.”

--The Wanderer, A Literary Journal (Parlando de L'Ascesa dei Draghi)



“Un meraviglioso fantasy nel quale si intrecciano elementi di mistero e intrigo. Un’impresa da eroi parla della presa di coraggio e della realizzazione di uno scopo di vita che porta alla crescita, alla maturità e all’eccellenza… Per quelli che cercano corpose avventure fantasy: qui i protagonisti, gli stratagemmi e l’azione forniscono un vigoroso insieme di incontri che ben si concentrano sull’evoluzione di Thor da ragazzino sognatore e giovane che affronta l’impossibile pur di sopravvivere… Solo l’inizio di ciò che promette di essere una serie epica per ragazzi.”

--Midwest Book Review (D. Donovan, eBook Reviewer)



“L’ANELLO DELLO STREGONE ha tutti gli ingredienti per un successo immediato: intrighi, complotti, mistero, cavalieri valorosi, storie d’amore che fioriscono e cuori spezzati, inganno e tradimento. Una storia che vi terrà incollati al libro per ore e sarà in grado di riscuotere l’interesse di persone di ogni età. Non può mancare sugli scaffali dei lettori di fantasy.”

--Books and Movie Reviews, Roberto Mattos



“In questo primo libro pieno zeppo d’azione della serie epica fantasy L’Anello dello Stregone (che conta attualmente 14 libri), la Rice presenta ai lettori il quattordicenne Thorgrin “Thor” McLeod, il cui sogno è quello di far parte della Legione d’Argento, i migliori cavalieri al servizio del re… Lo stile narrativo della Rice è solido e le premesse sono intriganti.”

--Publishers Weekly


Libri di Morgan Rice



OLIVER BLUE E LA SCUOLA DEGLI INDOVINI

LA FABBRICA DELLA MAGIA (Libro #1)

LA SFERA DI KANDRA (Libro #2)

GLI OSSIDIANI (Libro #3)

LO SCETTRO DI FUOCO (Libro #4)



LE CRONACHE DELL’INVASIONE

MESSAGGI DALLO SPAZIO (Libro #1)

L’ARRIVO (Libro #2)

L’ASCESA (Libro #3)

IL RITORNO (Libro #4)



COME FUNZIONA L’ACCIAIO

SOLO CHI LO MERITA (Libro #1)

SOLO CHI È VALOROSO (Libro #2)

SOLO CHI È DESTINATO (Libro #3)

SOLO CHI È CORAGGIOSO (Libro #4)



UN TRONO PER DUE SORELLE

UN TRONO PER DUE SORELLE (Libro #1)

UNA CORTE DI LADRI (Libro #2)

UNA CANZONE PER GLI ORFANI (Libro #3)

UN LAMENTO FUNEBRE PER PRINCIPI (Libro #4)

UN GIOIELLO PER I REGNANTI (LIBRO #5)

UN BACIO PER LE REGINE (LIBRO #6)

UNA CORONA PER GLI ASSASSINI (Libro #7)

UN ABBRACCIO PER GLI EREDI (Libro #8)



DI CORONE E DI GLORIA

SCHIAVA, GUERRIERA, REGINA (Libro #1)

FURFANTE, PRIGIONIERA, PRINCIPESSA (Libro #2)

CAVALIERE, EREDE, PRINCIPE (Libro #3)

RIBELLE, PEDINA, RE (Libro #4)

SOLDATO, FRATELLO, STREGONE (Libro #5)

EROINA, TRADITRICE, FIGLIA (Libro #6)

SOVRANA, RIVALE, ESILIATA (Libro #7)

VINCITORE, VINTO, FIGLIO (Libro #8)



RE E STREGONI

L’ASCESA DEI DRAGHI (Libro #1)

L’ASCESA DEL PRODE (Libro #2)

IL PESO DELL’ONORE (Libro #3)

LA FORGIA DEL VALORE (Libro #4)

IL REGNO DELLE OMBRE (Libro #5)

LA NOTTE DEI PRODI (Libro #6)

L’ANELLO DELLO STREGONE

UN’IMPRESA DA EROI (Libro #1)

LA MARCIA DEI RE (Libro #2)

DESTINO DI DRAGHI (Libro #3)

GRIDO D’ONORE (Libro #4)

VOTO DI GLORIA (Libro #5)

UN COMPITO DI VALORE (Libro #6)

RITO DI SPADE (Libro #7)

CONCESSIONE D’ARMI (Libro #8)

UN CIELO DI INCANTESIMI (Libro #9)

UN MARE DI SCUDI (Libro #10)

REGNO D’ACCIAIO (Libro #11)

LA TERRA DEL FUOCO (Libro #12)

LA LEGGE DELLE REGINE (Libro #13)

GIURAMENTO FRATERNO (Libro #14)

SOGNO DA MORTALI (Libro #15)

GIOSTRA DI CAVALIERI (Libro #16)

IL DONO DELLA BATTAGLIA (Libro #17)



LA TRILOGIA DELLA SOPRAVVIVENZA

ARENA UNO: MERCANTI DI SCHIAVI (Libro #1)

ARENA DUE (Libro #2)

ARENA TRE (Libro #3)



VAMPIRO, CADUTO

PRIMA DELL’ALBA (Libro #1)



APPUNTI DI UN VAMPIRO

TRAMUTATA (Libro #1)

AMATA (Libro #2)

TRADITA (Libro #3)

DESTINATA (Libro #4)

DESIDERATA (Libro #5)

PROMESSA (Libro #6)

SPOSA (Libro #7)

TROVATA (Libro #8)

RISORTA (Libro #9)

BRAMATA (Libro #10)

PRESCELTA (Libro #11)

OSSESSIONATA (Libro #12)


Sapevate che ho scritto tantissime serie? Se non le avete lette tutte, cliccate sull’immagine qua sotto e scaricate il primo libro di una di esse!






(http://www.morganricebooks.com/book/return/)


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Copyright © 2018 by Morgan Rice. All rights reserved. Except as permitted under the U.S. Copyright Act of 1976, no part of this publication may be reproduced, distributed or transmitted in any form or by any means, or stored in a database or retrieval system, without the prior permission of the author. This ebook is licensed for your personal enjoyment only. This ebook may not be re-sold or given away to other people. If you would like to share this book with another person, please purchase an additional copy for each recipient. If you’re reading this book and did not purchase it, or it was not purchased for your use only, then please return it and purchase your own copy. Thank you for respecting the hard work of this author. This is a work of fiction. Names, characters, businesses, organizations, places, events, and incidents either are the product of the author’s imagination or are used fictionally. Any resemblance to actual persons, living or dead, is entirely coincidental.

Jacket image Copyright Tithi Luadthong, used under license from Shutterstock.com.


INDICE



PROLOGO (#uc1aab3aa-6fd9-58c7-a0e2-3ee19ef7a97c)

CAPITOLO UNO (#ufec8fef9-fc1f-5dab-aac8-986cd270a43a)

CAPITOLO DUE (#u759a0174-7534-5cd0-81c1-482f5f124252)

CAPITOLO TRE (#u804e3391-688d-547d-bd6d-9c9a8eacdf50)

CAPITOLO QUATTRO (#u63a36b93-2811-52b2-8413-3de71d554a24)

CAPITOLO CINQUE (#uea7bf1e5-396a-54e1-a94a-7e61641d4c86)

CAPITOLO SEI (#u388cb069-9376-5178-894f-51da5237df02)

CAPITOLO SETTE (#u55d9212d-4c07-543c-b137-91c29d528ee9)

CAPITOLO OTTO (#u5a88dca3-f408-5dfa-ace1-4cbaf75a8253)

CAPITOLO NOVE (#u3ae23c85-d46f-51db-8900-f3458edbab28)

CAPITOLO DIECI (#litres_trial_promo)

CAPITOLO UNDICI (#litres_trial_promo)

CAPITOLO DODICI (#litres_trial_promo)

CAPITOLO TREDICI (#litres_trial_promo)

CAPITOLO QUATTORDICI (#litres_trial_promo)

CAPITOLO QUINDICI (#litres_trial_promo)

CAPITOLO SEDICI (#litres_trial_promo)

CAPITOLO DICIASSETTE (#litres_trial_promo)

CAPITOLO DICIOTTO (#litres_trial_promo)

CAPITOLO DICIANNOVE (#litres_trial_promo)

CAPITOLO VENTI (#litres_trial_promo)

CAPITOLO VENTUNO (#litres_trial_promo)

CAPITOLO VENTIDUE (#litres_trial_promo)

CAPITOLO VENTITRÉ (#litres_trial_promo)

CAPITOLO VENTIQUATTRO (#litres_trial_promo)

CAPITOLO VENTICINQUE (#litres_trial_promo)

CAPITOLO VENTISEI (#litres_trial_promo)

CAPITOLO VENTISETTE (#litres_trial_promo)

CAPITOLO VENTOTTO (#litres_trial_promo)

CAPITOLO VENTINOVE (#litres_trial_promo)

CAPITOLO TRENTA (#litres_trial_promo)

CAPITOLO TRENTUNO (#litres_trial_promo)




PROLOGO


Oliver fissava incredulo gli occhi di Esther. Sembravano diventare sempre più verdi a ogni secondo che passava, mentre il potere dell’Elisir le ridonava la salute.

“Mi hai salvato, Oliver,” disse lei con le lacrime agli occhi.

Si ritrasse dal suo abbraccio e fece per alzarsi in piedi. Oliver fece lo stesso, fissandola come se fosse un fantasma. Solo pochi giorni prima si era trovata sulla soglia della morte. Ora stava in piedi, dritta e forte, più bella e radiosa che mai. In effetti sembrava quasi che brillasse.

“Esther?” esclamò Ralph.

“Wow…” mormorò Walter.

“Stai brillando,” balbettò Simon, gli occhi azzurro chiaro rotondo come due lune.

“Cosa c’era in quella cosa?” esclamò Hazel, guardando la boccetta di vetro ora distrutta in cui avevano trasportato l’Elisir.

Prima che Oliver riuscisse a trovare la propria voce, un improvviso scossone simile a un terremoto lo riportò in se stesso.

Improvvisamente ricordò che erano tornati nella Scuola degli Indovini e che per motivi che non capiva l’intero edificio sembrava tremare violentemente e andare a pezzi attorno a loro.

Lanciò un’occhiata in fondo al corridoio, in direzione dell’atrio centrale. C’erano centinaia di studenti indovini che correvano affannosamente, feriti o ricoperti di detriti a causa dei muri che stavano crollando. La dottoressa Ziblatt stava cercando di raccoglierli mandandoli verso il professor Ametisto.

Fu a quel punto che Oliver si rese conto di ciò che stava accadendo. Il professor Ametisto aveva attivato il portale nascosto per i viaggi nel tempo all’interno del kapoc e al centro dell’albero si era formato un grosso vortice. Gli studenti indovini vi stavano entrando in fretta e furia, scomparendo chissà dove.

Stavano evacuando la scuola.

“Questo è l’ultimo!” gridò la dottoressa Ziblatt, il camice bianco da laboratorio sporco e striato di terra. “La scuola è vuota.”

“Allora andate!” esclamò il professor Ametisto.

Lei lo guardò con le lacrime che le luccicavano negli occhi. Gli strinse la mano con forza. “Buona fortuna, signore! Spero di rivederla dall’altra parte.”

Il vecchio preside annuì. Poi la dottoressa Ziblatt saltò nel vortice e scomparve.

Oliver stentava a credere a ciò che stava succedendo. Sapeva che l’attivazione dell’Elisir avrebbe avuto risultati imprevedibili, ma mai neanche tra un milione di anni avrebbe pensato che potesse portare la sua adorata scuola ad autodistruggersi! La Scuola degli Indovini doveva essere indistruttibile! O almeno lui l’aveva sempre percepita come tale. Ma il suo continuo intromettersi nelle linee temporali e nel corso della storia per salvare la vita di Esther aveva chiaramente avuto un impatto devastante quanto inaspettato. Aveva salvato Esther, ma a che costo?

In quel momento il professor Ametisto li scorse nel corridoio. “Veloci!” gridò, facendo segno a Oliver e ai suoi amici da dove si trovava accanto al vortice nel kapoc.

Oliver si girò a guardare i suoi amici che aspettavano dietro di lui: Walter, Simon, Hazel e Ralph, i migliori amici che un ragazzo avrebbe mai potuto desiderare.

“La scuola sta crollando,” balbettò, la gola stretta dall’incredulità. Non la Scuola degli Indovini. Non il suo rifugio. “Dobbiamo evacuare.”

“Andiamo,” disse Hazel, lottando per stare dritta in piedi nonostante la forza degli scossoni.

Le pareti tremavano e continuavano ad essere scosse mentre il gruppo si faceva strada barcollando verso il professor Ametisto. Il terremoto era così violento che era così difficile che sembrava di annaspare in mezzo alla melassa.

Un pezzetto alla volta, il gruppo ridusse la distanza tra loro e la possibilità di fuga verso la salvezza.

Ma erano ad appena un metro dall’albero quando ci fu un fortissimo schianto dall’alto.

Oliver sussultò e portò lo sguardo in su di scatto. Uno degli enormi rami del kapoc si era staccato dall’albero e stava cadendo, dritto verso Esther!

Senza fermarsi a pensare neanche un nanosecondo, Oliver si tuffò in avanti spingendo Esther da parte. Andarono a sbattere sul pavimento con un doloroso schianto e Oliver le cadde sopra con forza. Il ramo atterrò accanto a loro, portando con sé detriti che caddero a pioggia su di loro.

Esther tossì e sbirciò tra le braccia con cui si era coperta il volto. “Grazie,” disse con voce roca. Poi tossì ancora, sommersa dalla polvere fine che si era sollevata dal crollo delle pareti.

In quel momento Oliver sentì il professor Ametisto gridare: “NO!”

Oliver sollevò lo sguardo e nella nube di polvere vide che il vortice era sparito. Al suo posto c’era un enorme crepa zigzagante che tagliava a metà l’intero tronco del kapoc. Il portale temporale era andato distrutto.

E adesso? pensò Oliver disperatamente mentre si rimetteva in piedi.

Se fossero riusciti ad arrivare alla sesta dimensione, forse avrebbero avuto una possibilità, ma quella si trovava nella parte più alta della scuola, al piano terra, e loro adesso erano in fondo, cinquanta piani sottoterra.

Oliver si sentiva devastato.

Il professor Ametisto li raggiunse di corsa. “Veloci. Venite. Venite subito,” disse, facendo loro segno di seguirlo.

Oliver non aveva mai visto il preside così agitato. Così spaventato. Questo non faceva che rendere ancora più chiara la situazione in cui realmente si trovavano.

La banda si fece avanti insieme al professor Ametisto. L’anziano preside li condusse lungo un corridoio contrassegnato da una X, una zona vietata agli studenti. Oliver non aveva idea di dove li avrebbe portati o di quale fosse ora il piano del professor Ametisto. Ma si fidava sempre del preside. Il suo mentore non li aveva mai delusi fino ad ora.

Corsero lungo il corridoio, e le scosse erano così intente che Oliver sentiva i propri denti che tremavano. Era come trovarsi vicino a un trapano pneumatico. Ne poteva sentire le vibrazioni in ogni fibra del suo corpo.

Alla fine riuscirono a raggiungere la fine del corridoio. Davanti a loro c’era una porta. Sembrava molto simile a quella attraverso la quale avevano viaggiato per tornare qui dal laboratorio di Leonardo da Vinci, dove lui li aveva aiutati a creare il prezioso Elisir che avevano usato per curare Esther. Lo stesso Elisir, pensò Oliver con amarezza, che ora aveva innescato quella disastrosa reazione.

Il professor Ametisto aprì la porta con forza. Una folata di vento sembrò risucchiare Oliver verso l’esterno. Lui afferrò istintivamente la mano di Esther. Guardò a destra e a sinistra per assicurarsi che i suoi amici si tenessero l’uno all’altro: Walter e Simon, Simon e Ralph, e così via, in una catena che permetteva di combinare le loro forze per resistere alla potenza battente del vento.

“Dovete saltare!” gridò il professor Ametisto.

Oliver guardò attraverso la porta aperta. Tutto quello che vi poteva vedere era il buio.

“Dove ci porterà?” chiese.

Il vento gli sferzava i capelli biondi spettinandoglieli e coprendogli gli occhi. Si rese conto che stava tremando. Esther stringeva la sua mano con forza.

“Andate e basta!” gridò il preside.

Oliver lanciò una rapida occhiata ai suoi amici. Si rese conto che stavano aspettando che lui dicesse loro cosa fare. Che fosse lui a saltare per primo. Che fosse coraggioso e mostrasse loro come si faceva.

Oliver deglutì e cercò di calmarsi. Lasciò andare la mano di Esther e di Ralph e si lanciò nel buio.




CAPITOLO UNO


Nel nero vuoto del niente, Christopher Blue avvertì una specie di sferzata, come delle calamite che vengono attratte tra loro. Era una sensazione orribile, una sensazione alla quale si era dolorosamente abituato: la sensazione dei suoi atomi che si ricomponevano tra loro tornando a unirsi. Sapeva cosa sarebbe successo poi, una volta riprese le proprie sembianze umane: quel sentirsi tirare, dividere, schiacciare, fare a pezzi, atomo per atomo. Quante volte ormai aveva vissuto quest’esperienza? Cento? Un milione? Erano giorni o anni che si trovava, qui incastrato in questo cerchio misero e infinito? Non c’era modo di saperlo. Tutto quello che sapeva riconoscere era il continuo spingere e tirare del vuoto, la sensazione di un odio che lo consumava, e il nome Oliver.

Oliver. Suo fratello. L’oggetto del suo intenso odio. Il motivo per cui era finito qui.

Non c’era nient’altro nel vuoto. Nessun rumore. Nessuna luce. Solo quella terribile sensazione di atomi incastrati in un continuo essere fatto a pezzi per venire poi rimesso insieme. Ma Chris aveva ancora i suoi ricordi, ed essi si ripetevano con la stessa frequenza della lacerazione degli atomi. Ricordava Oliver. Il suo momento di codardia nell’Italia antica, quando si era reso conto di non poterlo uccidere. E ricordava i portali che si chiudevano su di lui, facendolo a pezzi arto per arto e spedendolo in questo posto in mezzo al tempo. Si soffermava sui suoi ricordi mentre passava un doloroso ciclo dopo l’altro.

Poi, all’improvvisò, qualcosa cambiò. Ci fu la luce.

Luce? pensò Chris.

Si era quasi scordato dell’esistenza di una cosa del genere.

E invece eccolo qui. Un chiarore. Un bagliore. Una sorta di luce accecante che gli faceva male agli occhi. Da quanto non vedeva la luce? Venti secondi? Vent’anni? Entrambe le risposte sembravano a Chris del tutto plausibili.

La luce sembrava farsi ancora più chiara, fino a che Chris capì che si trovava ovunque. L’oscurità che era stata la sua realtà era ora sostituita da un’improvvisa luce. E poi, con una specie di ventata che sembrava venire da tutte le direzioni, Chris si trovò improvvisamente da qualche parte. Non più in nessun luogo, ma da qualche parte. In un qualche posto con un pavimento ricoperto da lastre di pietra – fredde a contatto con la sua pancia – e un odore nell’aria che faceva pensare a un vecchio e umido castello. L’odore, come la luce, era una cosa che Chris aveva del tutto dimenticato. Anche il tatto. Eppure adesso tutte quelle sensazioni erano lì.

Il pavimento contro il suo stomaco era duro a confronto con la carnosità del suo corpo. L’aria era fresca e Chris poteva sentire una leggera brezza accarezzargli la pelle.

Corpo! pensò. Pelle!

Ridendo si abbracciò il busto, muovendo le mani ovunque, sentendo le costole e le clavicole, e tutta la sua morbida carne. Rise ancora mentre capiva con certezza che non si trovava più nel vuoto del nulla, fluttuando qua e là scomposto nei suoi minimi componenti. Si ritrovava invece tutto intero, un unico pezzo solido. E quell’unico pezzo solido era tornato nella realtà.

Ora doveva solo capire che realtà fosse.

Si tirò su mettendosi a sedere e si guardò attorno. La stanza gli era familiare. Pareti rosse come sangue fresco. Un grande trono in legno. Un tavolo da conferenze fatto in legno di quercia. Un alto soffitto a volta. Un armadietto di vetro pieno di fiale di pozioni e armi. Una finestra da cui filtrava luce grigia.

Si alzò in piedi su gambe barcollanti e andò alla finestra. Si affacciava su un grande prato erboso che si dispiegava fino alla linea di alberi di una foresta, sagome nere all’orizzonte.

Erba! pensò Chris deliziato. Alberi!

Aveva dimenticato tutto di questi dettagli. E vederli adesso gli faceva scorrere nel corpo scariche di piacere. La sua risata si trasformò in qualcosa di isterico.

“Christopher Blue,” disse una fredda voce femminile.

Con un sussulto Chris ruotò su se stesso. C’era una donna nella stanza. Una donna accigliata con indosso un lungo mantello nero che toccava il pavimento. Aveva le braccia incrociate sul petto.

Il suo nome tornò alla mente di Chris con improvvisa ferocia: Madama Ossidiana.

Si sentì pervadere da una scossa di terrore. Barcollò all’indietro andando a sbattere contro la parete di pietra, dopodiché non ebbe altro spazio dove potersi ritrarre.

“Lei…” balbettò. “È lei che mi ha torturato!”

Ora gli stava tornando tutto alla mente.

“Quella era la tua punizione,” disse Madama Ossidiana senza neanche il minimo cenno di rimorso. “Per aver deluso le mie aspettative. Per essere andato contro i miei espliciti comandi. Posso rifartelo di nuovo. Tutte le volte che voglio.”

Chris scosse la testa. Si sentiva sull’orlo della pazzia. Solo sapere di poter essere rispedito in quel posto di tormento e infinita agonia era sufficiente a farlo andare fuori di testa.

“No, la prego,” la implorò cadendo in ginocchio. “La prego, non mi rimandi lì.”

“Alzati, lagnoso miserabile,” disse Madama Ossidiana. “Implorare non ti salverà.”

“E allora cosa devo fare?” chiese lui con disperazione, tirandosi nuovamente in piedi. “Cosa posso fare per essere sicuro di non tornare più in quel posto?”

“Segui le mie istruzioni,” rispose la donna. “E uccidi Oliver Blue.”

Oliver…

Quel nome era stato tutto ciò che aveva fatto compagnia a Chris durante il tempo che aveva trascorso nel vuoto. Oliver, il suo fratello minore. L’aveva odiato per anni. Non aveva desiderato altro che fargli del male e farlo soffrire. E poi, per motivi che non capiva, si era tirato indietro all’ultimo istante. Proprio quando aveva avuto Oliver in pugno, aveva cambiato idea e l’aveva lasciato andare.

Ma ora Chris si rese conto che non avrebbe cambiato idea un’altra volta. Non era rimasta in lui la minima traccia di compassione. Di certo non per Oliver. Per nessuno. Il tempo passato nel vuoto sembrava aver cancellato ogni sentimento positivo ci fosse mai stato nel suo animo, lasciando lì solo rabbia, paura e odio.

“Non la deluderò un’altra volta,” disse Chris a Madama Ossidiana. “Ucciderò Oliver Blue.”




CAPITOLO DUE


Lo stomaco di Oliver sembrava stringersi e attorcigliarsi. Odiava la sensazione che gli dava il portale temporale. Non importava quante volte ormai ci fosse passato: era sempre spiacevole.

I lampi di luce viola lo accecavano. Le ondate di rumore assordante gli facevano male alle orecchie. E per tutto il tempo non faceva che guardarsi ansioso alle spalle per vedere che i suoi amici fossero lì, desiderando disperatamente una prova che anche loro avessero saltato, che lo avessero seguito nel portale e fossero scappati dalla Scuola degli Indovini prima che crollasse.

Proprio in quel momento scorse di sfuggita i capelli color caramello di Hazel e provò un improvviso sollievo. Si stava dimenando nel vortice, spinta qua e là come un pezzo di detrito galleggiante nella corrente. Poi apparse anche Ralph, i capelli neri che volavano ovunque, le sue lunghe gambe e braccia che si muovevano come se lui stesse tentano di nuotare alla meno peggio, tentando disperatamente di stare sopra alla superficie.

Oliver vide Ralph che riusciva a raggiungere Hazel, e poi i due si prendevano per mano. Gli fecero venire in mente due paracadutisti sincronizzati. Senza paracadute ovviamente, alla mercé degli elementi esterni, sbattuti qua e là come piume risucchiate in un tornado.

Per quanto Oliver fosse sollevato di vedere Hazel e Ralph, ancora non c’era segno di Walter, Simon o Esther. Oliver pregò che avessero fatto in tempo ad attraversare il portale. Soprattutto Esther. Sarebbe stato un colpo troppo crudele da parte dell’Universo se gliel’avesse portata via adesso, dopo tutto quello che avevano appena passato per salvarle la vita.

“Hazel!” gridò Oliver a gran voce, al di sopra del rumore del vento. “Ralph! Da questa parte!”

In qualche modo, nonostante le folate fortissime, la voce di Oliver fu in grado di arrivare fino ai suoi amici. Entrambi guardarono verso di lui e il sollievo baluginò per un momento nei loro occhi altrimenti colmi di paura.

“Oliver!” gridò Hazel con voce pregna di sollievo.

Oliver era sorpreso di poterla sentire così forte e chiaro. Aveva immaginato che la sua voce sarebbe stata inghiottita dal vento, come generalmente accadeva durante i viaggi attraverso il portale temporale. Si chiese come mai non stesse accadendo lo stesso qui. Magari si trattava di un portale di tipo diverso rispetto a quelli che aveva usato altre volte per viaggiare. Dopotutto il professor Ametisto lo aveva creato in condizioni difficili.

Usando le braccia, Oliver cercò di nuotare verso i suoi amici. Si aggrappò a loro, e tutti e tre si tennero stretti l’uno con l’altro.

“Dove sono gli altri?” gridò Ralph guardandosi furtivamente attorno.

Oliver scosse la testa, mentre il vento gli faceva svolazzare i capelli biondo scuro negli occhi. “Non lo so. Non li vedo.”

Allungò il collo cercando tra i vortici di luce nera e viola per vedere se ci fosse qualche segno di Walter, Simon o Esther. Nulla. Non li vedeva per niente e la cosa lo riempiva di paura. Erano almeno saltati nel portale? Potevano essere rimasti incastrati nella scuola che andava in pezzi? Non poteva sopportare il pensiero di aver salvato la vita di Esther con l’Elisir e di averla persa solo qualche attimo dopo nel crollo della scuola. Perché non le aveva tenuto la mano quando aveva saltato?

“Oliver, puoi sentirmi?” La voce del professor Ametisto giunse all’improvviso dal nulla.

Oliver fu colpito dallo shock. Sgranò gli occhi per la sorpresa. Si guardò attorno dappertutto, ma non riuscì a vedere il preside. Era come se il professor Ametisto gli stesse parlando da un’altra dimensione.

Preoccupato di avere le traveggole, si voltò verso gli altri. “Avete sentito anche voi?” chiese, mentre il vento gli sferzava contro.

“Sì,” annaspò Hazel. “È il professor Ametisto. Ma come fa a parlarci?”

“Non ne ho idea,” balbettò Oliver come risposta.

“Ascolta,” continuò la voce del preside che sembrava venire simultaneamente da ogni punto. “È molto importante.” Parlava frettolosamente, con tono urgente e insistente. “La Scuola degli Indovini sta crollando e c’è solo un modo per salvarla. Devi trovare lo Scettro di Fuoco.”

Lo Scettro di Fuoco? pensò Oliver, scervellandosi per cercare nella propria mente qualche informazione al riguardo. Ma non trovò nessun indizio. Non aveva mai sentito parlare dello Scettro di Fuoco.

“Cos’è?” chiese parlando da dentro il vortice. Non sapeva da che parte proiettare la voce, perché non aveva idea di dove si trovasse effettivamente il professor Ametisto. “Dove lo troviamo?”

Questa volta, quando il professor Ametisto parlò, la sua voce apparve distorta. Era come se parlasse attraverso un telefono cellulare con scarsa connessione. Le parole andavano e venivano gracchiando. “Perso nel tempo…”

“Scusi, cos’ha detto?” chiese Oliver, gridando disperato.

Ci fu silenzio.

“Professore?” tentò ancora Oliver. “Non sento quello che dice!”

Ma improvvisamente l’attenzione di Oliver fu distolta da Ralph. L’amico gli stava tirando furiosamente il braccio.

“Oliver, guarda,” gli disse.

Oliver girò la testa dietro la spalla. E quello che vide riempì di sollievo tutto il suo corpo. Erano Esther, Walter e Simon. Finalmente!

I tre si tenevano stretti tra loro, proprio come stavano facendo Oliver, Ralph e Hazel. Oliver si sentì travolto dal sollievo nel vedere che erano usciti dalla scuola e che ora sarebbero nuovamente stati tutti quanti insieme. Qualsiasi cosa fosse questa impresa…

Oliver stava proprio per chiedere ad Hazel e Ralph se potevano tentare di ‘nuotare’ verso gli altri, quando la voce del preside risuonò ancora.

“Oliver?” chiese il professor Ametisto. “Puoi sentirmi?”

“Sì!” gridò Oliver. “La sento! Mi dica dello Scettro di Fuoco!”

“È andato perduto,” disse il preside. “Non so dove. Non so quando.”

Oliver sentì crescere la tensione. Se il professore non sapeva dove né quando si trovasse lo Scettro di Fuoco, allora dove e quando li stava portando questo portale? Forse era per questo che non si stava comportando come un portale temporale normale. Perché ancora non aveva una destinazione finale!

Il pensiero era preoccupante. Ma proprio come faceva generalmente quando le cose sembravano pericolose, Oliver ricordò a se stesso che il professor Ametisto era immensamente saggio. Oliver si fidava ciecamente del suo mentore. Sapeva che il preside non lo avrebbe mai messo in una situazione di inutile pericolo.

“Come facciamo a trovarlo?” chiese Oliver al professor Ametisto, che ora ipotizzò trovarsi ancora all’interno della Scuola degli Indovini, intento a proiettare la propria voce nel vortice che li teneva attualmente intrappolati tra tempo e spazio, piuttosto che trasportarli oltre.

“Sono sceso a due possibilità,” gridò il professore. “La prima…”

La sua voce venne interrotta.

Oliver si sentiva ansioso. Doveva sapere dove stava andando! Doveva sapere il perché! Aveva bisogno della guida del suo mentore se voleva avere anche una minima possibilità di trovare lo Scettro di Fuoco e salvare la Scuola degli Indovini!

“Professore!” gridò nel vorticante vuoto. “Professore? Professore!”

Ma ancora una volta le sue richieste trovarono risposta nel silenzio.

Sollevò lo sguardo verso Hazel e Ralph, che ancora stavano aggrappati alle sue braccia. Avevano entrambi un’espressione preoccupata.

Oliver iniziò a sentir crescere nello stomaco un senso di inutilità. Come avrebbe mai potuto trovare lo Scettro di Fuoco se non sapeva neanche dove stava andando e dove avrebbe dovuto dirigersi?

Ma poi lo colpì un pensiero improvviso. La bussola di bronzo che il professor Nightingale gli aveva dato all’Università di Harvard era ancora nella grande tasca della sua tuta da lavoro. Era un antico pezzo di tecnologia indovina, una delle tantissime invenzioni create dagli indovini per avere aiuto nel loro compito di proteggere l’universo dai Malvagi che viaggiavano nel tempo. Magari quella gli avrebbe dato qualche indizio, aiutandolo a guidarlo in questa impresa.

Oliver infilò la mano nella grande tasca centrale e sentì le dita che venivano a contatto con il freddo metallo della bussola. Quindi tirò fuori lo strumento che era grande come il palmo della sua mano. Sebbene fosse tremendamente scosso dalla forza del vento, Oliver vide che la grossa lancetta principale puntava verso il simbolo di una fiamma.

“Oh no!” gridò improvvisamente Hazel.

Oliver sollevò gli occhi dalla bussola e vide che i gradi occhi grigi dell’amica erano sgranati e pieni di ansia. Guardò quindi davanti a sé e vide la cosa più strana che mai gli fosse capitata. Il portale si stava dividendo in due gallerie diverse!

Oliver sussultò. Non aveva mai visto una cosa del genere prima d’ora. I portali per i viaggi nel tempo erano già di per sé un’esperienza complicata per la mente, e vedere addirittura il tunnel che si divideva a metà non poteva che creare ulteriore confusione. Si stava destabilizzando? Andando a pezzi proprio davanti a loro occhi?

Ma no. Oliver mise insieme i tasselli nella sua mente. Il professor Ametisto aveva detto che c’erano due luoghi dove forse era possibile trovare lo Scettro di Fuoco. Ora, lui, Ralph e Hazel erano lanciati verso uno dei due tunnel, mentre Esther, Simon e Walter erano diretti verso l’altro.

“Oh,” gridò Oliver, il petto stretto da una dolorosa consapevolezza. “Il professor Ametisto ci sta dividendo!”

Accadde tutto molto velocemente. Prima che Oliver avesse il tempo di capire del tutto la stranezza degli eventi, le gallerie furono a ridosso e loro si trovarono a sfrecciare attraverso l’ingresso: lui, Hazel e Ralph da una parte; Esther, Simon e Walter dall’altra. Lui sarebbe finito in qualche punto del tempo insieme ad Hazel e Ralph, mentre gli altri tre sarebbero capitati da qualche altra parte. Un tempo diverso. Un posto diverso. Magari addirittura una dimensione diversa.

Il pensiero era troppo da sopportare per Oliver. Aveva appena riavuto indietro Esther e ora lei gli veniva strappata via un’altra volta. Provò un improvviso senso di rabbia nei confronti del professor Ametisto per averlo infilato in quel tormento non necessario.

Agendo d’istinto per proteggere la ragazza che amava, Oliver lanciò la bussola verso il tunnel alla sua destra. Ebbe appena il tempo di vederla scomparire nel vuoto, seguita dalle figure vorticanti di Esther, Simon e Walter, prima di volare diretto nel tunnel di sinistra, scomparendo alla vista.

Dove stanno andando? pensò Oliver con ansia. E adesso che ci penso: dove stiamo andando noi?

Non c’era modo di saperlo. Come non c’era modo neanche per sapere se avrebbe mai più rivisto Esther, Simon e Walter. Una squadra aveva il compito di trovare lo Scettro di Fuoco. Per quanto riguardava l’altra, Oliver poteva solo fare delle ipotesi.

Tutto quello di cui poteva essere sicuro era che lo Scettro di Fuoco era la chiave per salvare la Scuola degli Indovini. E che in qualsiasi luogo e tempo sarebbe finito, in qualsiasi punto della storia il portale l’avrebbe sputato fuori, lui sarebbe stato senza Simon e Walter.

E sarebbe stato senza Esther.




CAPITOLO TRE


Gridando, Esther si sentì catapultata fuori dal vortice, volando nel vuoto. Andò a colpire con forza il suolo e rotolò, sollevando in aria una nuvola di polvere.

“Ahi,” esclamò quando finalmente riuscì a fermarsi.

Confusa, ammaccata e un po’ frastornata, si mise a sedere e si guardò attorno. Era una giornata calda ed estremamente soleggiata. Si trovava in una specie di deserto, con ben poco attorno a sé, se non qualche arbusto rinsecchito qua e là.

Guardando in lontananza, notò che a due o tre chilometri di distanza da dove il portale l’aveva sputata fuori, c’erano i segni di una florida cittadina, dalle torrette di un castello alle guglie di una sinagoga. Dietro al centro abitato si trovavano grandi montagne e una foresta di pini.

Prima di potersi cimentare nel capire quando (e dove) potesse trovarsi, udì delle grida alle sue spalle, sempre più forti man mano che si avvicinavano.

Si voltò e vide Simon che veniva scagliato a tutta velocità fuori dal vortice. Walter era subito dietro di lui.

Entrambi volarono in aria e andarono a sbattere contro il terreno secco e desertico. Esther sussultò vedendoli rotolare entrambi sulla terra dura.

“Ohi!” grugnì Walter.

Alla fine si fermarono, sollevando anche loro una nuvola di polvere.

Esther balzò in piedi e corse loro incontro. Mentre la nube polverosa che avevano alzato si disperdeva, i loro corpi apparvero come un mucchio aggrovigliato di braccia e gambe.

Esther li raggiunse e cercò di afferrare una mano. Trovò quella di Simon e diede uno strattone. I due ragazzi riuscirono a liberare le gambe e, con l’aiuto di Esther, Simon si mise a sedere.

“Perbacco!” disse ansimando. “È stato un viaggio piuttosto duro.”

Walter estrasse il proprio braccio da sotto Walter. “Puoi dirlo.”

Si massaggiò la testa, poi guardò verso il portale. Esther fece lo stesso e vide che i crepitanti lampi di luce viola erano cessati. Poi, con una specie di zip il portale si chiuse. Calò il silenzio.

Walter sbatté rapidamente le palpebre e un’espressione di paura gli apparve sul volto. “Dove sono gli altri?” chiese.

“Oh!” disse Esther, ricordando improvvisamente il momento in cui aveva visto Oliver, Hazel e Ralph infilarsi dritti nella diramazione sinistra del portale, un attimo prima che lei e gli altri scomparissero a destra. Sentì un dolore nel profondo del cuore. “Sono andati dall’altra parte.”

Simon e Walter si scambiarono uno sguardo comprensivo.

Ma Esther non voleva la loro pietà. E non ne aveva neppure bisogno. Da quando aveva preso l’Elisir, si sentiva meglio che mai. Aveva la mente più attenta, i sensi più allerta. Si sentiva più in salute di quanto fosse mai stata e l’ultima cosa che voleva fare era crogiolarsi nella negatività.

Si spolverò i vestiti e si guardò attorno. “Giusto. Dobbiamo andare avanti. Il professor Ametisto ha detto che uno dei portali ci avrebbe portati allo Scettro di Fuoco. Non c’è tempo da perdere.”

“Beh, aspetta un momento,” disse Simon con il suo tono di voce vittoriano. “Perché non ci prendiamo un attimino per recuperare?”

Esther poteva sentire la preoccupazione nella sua voce. Sapeva che non era dovuta alla corsa turbolenta attraverso il portale. Simon si stava riferendo all’esperienza che da poco l’aveva portata così vicina alla morte, e all’Elisir che aveva dovuto bere per tornare in salute. Ma lei non aveva davvero voglia di parlarne adesso. Non voleva neanche pensarci. Non ora che si trovavano nel mezzo di una missione per salvare la scuola.

“Non hai sentito quello che ha detto il preside?” rispose a Simon. “Dobbiamo trovare lo Scettro di Fuoco.”

I ragazzi si scambiarono un altro sguardo preoccupato.

“Abbiamo sentito,” disse Walter. “E capisco che tu voglia buttarti a capofitto nella missione.”

“Ma hai appena passato una vera e propria odissea,” aggiunse Simon.

“E se per caso hai bisogno di tempo…” continuò Walter.

“O di qualcuno con cui parlare…”

“O di una spalla sulla quale piangere…”

Esther scosse la testa e sollevò le mani per fermarli. “Ragazzi. Sto bene. Non dovete guardarmi come se fossi fatta di porcellana e potessi spezzarmi da un momento all’altro. Sto bene. Sto meglio che mai. Sono viva. E ora voglio trovare questo Scettro e salvare la scuola. Possiamo farlo? Per favore?”

Non voleva pensare troppo intensamente al fatto che Oliver le era stato strappato via di nuovo. Che proprio appena si era ricongiunta a lui, il destino li aveva separati un’altra volta. Non voleva pensare al fatto che gli doveva la vita, e neanche al fatto che era il ragazzo del quale si era innamorata. Ci sarebbe stato tempo più tardi per pensarci. Ma adesso, se avesse speso anche solo un secondo a rimuginarci sopra, sapeva che sarebbe crollata e scoppiata in lacrime.

Simon e Walter si scambiarono un’ultima occhiata, poi scrollarono tutti e due le spalle, rendendosi chiaramente conto che non aveva senso discutere con quella testa dura di Esther.

“E allora dove siamo?” chiese Walter.

“Non ne ho idea,” rispose Esther osservando quel paesaggio così poco familiare.

“E come ci muoviamo per trovare questo Scettro di Fuoco?” chiese Simon.

Di nuovo Esther si trovò senza parole. “Non lo so.”

Proprio in quel momento Esther vide qualcosa volare in aria, diretto verso di lei. Sembrava una palla da cricket e stava viaggiando a folle velocità verso il suo volto.

Affidandosi alle sue abilità nello Switchit, Esther allungò le mani e afferrò la palla di metallo. Era talmente veloce che la fece barcollare all’indietro. L’impatto le fece vibrare le braccia.

Dopo essersi presa un momento per riprendersi dallo shock, Esther abbassò lo sguardo sull’oggetto che aveva tra le mani. Era la bussola magica di Oliver.

“Come ci è finita qui…?” balbettò.

Niente era come avrebbe dovuto. Il preside aveva parlato a loro attraverso il vortice. Il portale si era diviso in due. La bussola era arrivata a lei. Per dei motivi che non comprendeva appieno, il portale attraverso cui avevano viaggiato era stato diverso dal solito, e chiaramente non vi si applicavano le consuete regole.

“La bussola può guidarci!” disse con tono eccitato, sollevando lo sguardo dall’antico strumento di bronzo e osservando gli altri.

“Come funziona?” chiese Simon.

“Mostra il futuro,” disse Esther. “Quindi, se interpretiamo correttamente i simboli, ci guiderà dove dobbiamo andare.”

Walter si accigliò. “Dove dobbiamo andare?” chiese. “O magari semplicemente dove andremo?”

Esther esitò considerando la sua osservazione. Se il gruppo di Oliver aveva imboccato la galleria corretta ed era arrivato nel posto e nel tempo che li avrebbe portati allo Scettro di Fuoco, allora qualsiasi fosse il futuro che attendeva Esther e la sua squadra sarebbe stato decisamente diverso. Però, lo stesso, qualsiasi futuro mostrasse la bussola, era loro destino seguirlo. Anche se non li avesse condotti allo Scettro, li avrebbe portati a qualcosa, e questo per ora le bastava.

Esther decise di non rimuginarci troppo sopra. Non c’era modo di sapere quale squadra fosse atterrata nel posto in cui si era perduto lo Scettro di Fuoco, fino a che non lo avessero stretto in pugno.

Si mise a osservare i simboli. La lancetta principale stava indicando la piccola immagine di un sole. Un’altra indicava un’ancora. Una terza mostrava quella che sembrava essere una figura astratta che lanciava un giavellotto.

Esther si grattò la testa confusa e sollevò lo sguardo verso la desolata area sabbiosa alla ricerca di indizi. Dovette schermarsi gli occhi dalla luce accecante del sole, dato che non c’era nulla che potesse fornire un po’ di ombra, se non qualche albero allampanato e alcune magre capre che stavano pascolando.

“Allora?” chiese Walter. “Dove siamo?”

“Non lo so,” confessò lei.

“Vedo il mare,” disse Simon indicando in lontananza, dove una striscia argentata luccicava all’orizzonte. Strizzò gli occhi. “Sembra un porto pieno di barche. Magari siamo su un’isola? Un qualche centro commerciale?”

“Oh, sì!” esclamò Esther, con la mente che iniziava a mettere insieme qualche tassello. “Questo spiegherebbe l’ancora. Cos’altro abbiamo?”

“Quelli sono degli aranceti?” chiese Simon, indicando una zona più popolata di alberi che erano carichi di arance grosse e brillanti.

Esther annuì. C’era un simbolo corrispondente anche sulla bussola, una macchia arancione, come uno spruzzo di vernice. “Penso che potremmo trovarci da qualche parte nel Mediterraneo,” suggerì.

“In Grecia magari? Questo potrebbe spiegare questo simbolo di qualcuno che lancia un giavellotto. Potrebbe essere connesso all’Olimpo.”

Simon parve animarsi alquanto sentendo nominare la Grecia. “Oh, eccellente lavoro di investigazione, Esther. Allora potremmo essere in Grecia. In che era?”

Ma prima che Esther potesse rispondergli, gli occhi castani di Walter si dilatarono per la paura, mentre lui puntava un dito tremante davanti a sé.

“Cosa… Cosa… Cos’è quello?” gridò.

Con il cuore che batteva forte in petto, Esther si girò di scatto e vide qualcosa di molto grosso e luccicante sotto al sole lucente, che si muoveva su grandi ruote di legno a velocità molto sostenuta, e dritto verso di loro.

“Quella,” disse Esther, non credendo ai propri occhi, “è una biga d’oro!”

C’era un cavallo che tirava la biga, i suoi zoccoli che sbattevano rumorosamente contro il terreno duro. Le grandi ruote di legno cigolavano mentre giravano, spingendo la biga verso di loro a enorme velocità.

Nel giro di un secondo scarso i ragazzi reagirono. Saltarono in direzioni opposte, Esther da una parte e Walter e Simon dall’altra.

Esther atterrò in un canale di scolo. La biga trainata dal cavallo sfrecciò oltre, sollevando una sottile nebbia di polvere tutt’attorno a lei.

Quando il rumore degli zoccoli al galoppo e lo scricchiolio delle ruote iniziarono ad attenuarsi, Esther si sollevò dal suo riparo, scuotendosi e guardando Walter e Simon dall’altra parte della strada. Quando la polvere sollevata dalla biga si fu abbassata, poté vedere che i due erano nuovamente finiti in un ammasso contorto di corpi.

“Levati!” gridò Walter, cercando di spingere via Simon.

“Mi stai pestando la mano!” contestò Simon, spingendo a sua volta.

“Ragazzi!” gridò Esther, balzando in piedi e correndo verso di loro. “Fate silenzio. Penso di sapere dove ci troviamo.”

Guardò lungo il sentiero, fissando la biga dorata che scompariva in lontananza, quasi non credendo a ciò che stava per dire.

“Non siamo semplicemente in Grecia,” annunciò mentre i due ragazzi finalmente si liberavano dal groviglio dei loro stessi corpi e si portavano vicino a lei. “Siamo nella Grecia Antica.”

“La Grecia Antica?” chiese Walter. “Intendi dire…”

“Intendo dire,” disse Esther, voltandosi a guardarli, “che abbiamo viaggiato indietro nel tempo di oltre duemila anni. Siamo nell’a.C.”




CAPITOLO QUATTRO


Oliver cadde fuori dal portale. Hazel gli andò a sbattere contro la schiena. Un attimo dopo, arrivò anche Ralph, colpendoli entrambi.

“Ahi!” sussultarono tutti mentre si ammassavano uno sull’altro.

“State tutti bene?” chiese Oliver, preoccupato per i suoi amici.

Hazel annuì, strofinandosi il gomito con il quale aveva sbattuto contro Ralph. “Sì, ma dove siamo?”

Si guardò attorno. Ralph nel frattempo si stava massaggiando la pancia, il punto dove il gomito di Hazel l’aveva colpito

“Ehi!” disse sgranando gli occhi. “Siamo già stati qui!”

Confuso, Oliver si accigliò e si guardò attorno osservando gli edifici. Erano tutti di tre o quattro piani, ammassati uno all’altro, con facciate piatte e tetti di color terra d’ombra bruciata. C’era la cupola di una cattedrale che incombeva dietro ad essi, gettando la sua ombra su tutto e dominando con la sua presenza. Ralph aveva ragione. C’era qualcosa di familiare in quel posto.

Poi Oliver sussultò quando capì. “Siamo tornati a Firenze.”

Hazel sgranò gli occhi. “Firenze? Dev’essere un errore. Pensi che il professor Ametisto ci abbia mandato di nuovo per sbaglio fino al portale di Leonardo?”

Oliver scosse la testa. “Non penso. I portali di Da Vinci erano rossi. Quelli del professor Ametisto sono viola.”

“Beh, allora forse siamo qui perché Leonardo ci aiuterà di nuovo?” suggerì Ralph. “Magari sa dove si trovi lo Scettro di Fuoco? O può fermare il tempo di nuovo in modo che possiamo trovarlo?”

Ma mentre si guardava attorno, Oliver si rese conto di una cosa. “No. Ci sono molti più edifici di quando siamo venuti a trovare Leonardo. Potrà anche essere lo stesso posto, ma è un’epoca diversa. Non siamo qui per avere l’aiuto di Leonardo. Siamo qui per trovare qualcun altro.”

Per qualche motivo sembrava ancora più strano trovarsi in un posto dove già erano stati prima. Avevano percorso queste strade nella loro missione con Leonardo da Vinci solo poche ore prima. Ma ora si trovavano nelle stesse strade, solo che anni – se non decenni – più tardi. C’era qualcosa di davvero strabiliante e complicato in questo.

“Non può essere tanto dopo, però,” considerò Hazel, picchiettandosi il mento. “Ci sono più edifici, ma sono tutti dello stesso stile architettonico. Non penso che siamo arrivati tanto più in là di un centinaio di anni rispetto a quando siamo stati qui l’ultima volta. Quali altri strabilianti italiani ci ha inviato a trovare il professor Ametisto?”

“Beh, oltre a Da Vinci e Michelangelo,” iniziò Oliver, “c’è ovviamente…”

Ma non riuscì a finire la sua frase, perché in quel momento qualcuno arrivò di corsa da dietro l’angolo e gli andò a sbattere dritto addosso.

“Scusa!” gridò il giovane.

Oliver si rialzò e si lisciò i vestiti stropicciati. “Sto bene, non ti preoccupare.”

Hazel sussultò. “Oliver, stai parlando italiano!”

“Davvero?” chiese Oliver.

Prima che potesse avere una risposta di conferma, il giovane che gli era andato addosso continuò a parlare.

“Sono in ritardo per la mia lezione all’Accademia delle Arti del Disegno,” disse. “È la lezione del professor Galilei.” Poi corse via.

Oliver si voltò verso i suoi amici. “Quel tizio parlava italiano?”

Entrambi annuirono.

“Sì!” disse Ralph. “E anche tu!”

Oliver scosse la testa. “Ma non capisco. Come?”

Poi ricordò. Lucia Moretti, l’insegnante che avevano incontrato nella loro ultima avventura, aveva instillato alcuni dei suoi poteri nella mente di Oliver. Forse una delle cose che gli aveva donato era la lingua italiana?

“Aspettate,” disse Oliver improvvisamente. “Ha detto che stava andando a una lezione di Galileo.”

Hazel sgranò gli occhi. “Certo. Galileo è uno dei fiorentini che sono venuti dopo Da Vinci. Dobbiamo essere nell’Italia del sedicesimo secolo.”

“Dovremmo seguirlo,” disse Ralph.

Oliver annuì, d’accordo con lui, e tutti partirono di gran carriera dietro al giovane che era scappato di corsa.




CAPITOLO CINQUE


“Quindi ci troviamo nell’Antica Grecia,” disse Walter. “E adesso?”

Esther si guardò attorno, schermandosi gli occhi per il sole accecante. “Dovremmo andare verso la città,” disse.

I ragazzi furono d’accordo con lei e tutti insieme si diressero verso il punto da cui era arrivata la biga, seguendo i solchi che aveva lasciato nel terreno.

C’erano molte strutture interessanti in città. Templi fatti di enormi blocchi di pietra. Giganteschi teatri aperti dalla forma circolare con spettacoli drammatici in pieno svolgimento all’interno. Da un vicino stadio provenivano un sacco di rumore e grida. Videro un castello con enormi colonne e un grandissimo ponte levatoio che doveva essere alto almeno quindici metri. Passarono accanto a una grande struttura quadrata costituita da diverse colonne che sostenevano un tetto e che a Esther sembrava un palazzo. Del resto i Greci erano famosi per il loro stile architettonico, e vedere tutto di persona era quasi ipnotico.

Arrivarono a un piccolo ma trafficato mercato, pieno di bancarelle di legno che vendevano tanti tipi diversi di cibo, come arance fresche e bottiglie di olio d’oliva. Tra le bancarelle erano appese delle stoffe che fornivano l’ombra necessaria.

“È davvero notevole,” commentò Simon.

“Sarà anche notevole,” disse Walter. “Ma la gente del posto non sembra tanto amichevole.

Esther si guardò attorno. Walter aveva ragione. Le persone li guardavano con cautela e sospetto.

Esther rabbrividì, sentendosi pervadere da una sensazione di incombente pericolo.

“Dobbiamo trovare dei vestiti per mimetizzarci meglio,” disse, improvvisamente consapevole che aveva ancora indosso la camicia da notte dell’ospedale, e che avrebbe voluto veramente vedere com’era fatto il retro di quell’indumento.

“Come facciamo?” chiese Simon con tono canzonatorio mettendosi le mani sui fianchi. “Non abbiamo denaro per comprare dei vestiti.”

Esther si morse il labbro costernata. Non avevano soldi, aveva ragione. Ma di certo non potevano continuare ad andare in giro vestiti così. Walter aveva indosso una maglietta con un personaggio dei fumetti degli anni Ottanta sul davanti, disegnato con colori sgargianti, e un paio di scarpe da ginnastica bianche. Simon aveva un gilet di tweed marrone e un paio di pantaloni della stessa guisa. Ed Esther indossava la sua camicia da notte azzurrina dell’ospedale. Erano ben lungi dal non dare nell’occhio. Ma rubare era sbagliato e lei lo sapeva bene. Doveva esserci un altro sistema.

“Guardate, di qua,” disse, indicando un mucchio di spazzatura.

Si avvicinarono tutti. Sembravano esserci vasellame rotto, cibo marcio, piante morte, rami d’albero e altri tipi di vegetazione. Ma la cosa più importante per loro era che c’era anche una gamma di abiti stracciati, stoffe, toghe, sandali e cose simili. Anche se i vestiti erano evidentemente molto sporchi e lisi, era sempre molto meglio di ciò che avevano indosso ora.

“Tombola!” gridò Esther.

Simon sembrava disgustato. “Vi aspettate davvero che mi metta a rovistare in un mucchio di spazzatura?”

Esther incrociò le braccia. “Hai idee migliori?”

Simon parve abbacchiato. Arricciando il naso si avvicinò al cumulo di immondizie e iniziò a spostare cautamente gli oggetti di lato. Walter nel frattempo ci si buttò senza problemi e si trovò a tempo di record una toga e un paio di sandali. Indossò tutto e sorrise soddisfatto.

“Quanto fico vi sembro adesso?” disse, il sorriso in volto e le mani sui fianchi. “Lasciando perdere le macchie, ovviamente.”

Esther si mise su un’altra toga. “Cioè, è un po’ grande,” disse, guardando le fasce di stoffa che ora la avvolgevano. “E ad essere onesti assomiglia molto alla mia camicia dell’ospedale! Ma mi piace. Più o meno.”

Soprattutto, sapeva di stare molto meglio con quella toga che con il vecchio e puzzolente abito di ospedale, che così avrebbe dato meno nell’occhio e si sarebbe quindi meglio confusa con il resto.

In quel momento Simon emerse da dietro il mucchio. Aveva ancora un’espressione del tutto disgustata in volto. Era riuscito a trovare solo un piccolo pezzo di stoffa che si era avvolto attorno alla vita come un gonnellino. L’unica cosa che portava sul busto era una cintura fatta di corda, che si era messo attorno alla spalla destra e che gli attraversava diagonalmente il petto.

Walter scoppiò a ridere. Addirittura Esther, di solito così seria e contenuta, ridacchiò un poco.

Simon fece una smorfia. “Mi scotterò di sicuro con questo. Sarà meglio trovare dell’ombra. E velocemente.”

Ma Esther strinse i denti determinata. Non era dell’umore giusto per stare ad ascoltare le lamentele di Simon riguardo alle scottature da esposizione al sole.

“Ci troviamo in missione,” gli ricordò. “Una missione molto importante per salvare la Scuola degli Indovini. Così importante che il professor Ametisto ci ha divisi in due squadre.” Sentì un nodo che le si formava nella gola al pensiero di Oliver, al fatto che lui si trovava da qualche altra parte nell’universo, in un tempo e in uno spazio completamente diversi. “Quindi piantala di lamentarti.”

Simon sospirò. “Sì, mi sa che hai ragione. La missione è molto più importante di quanto stupido io sembri e del fatto che la mia pelle estremamente chiara si scotti facilmente facendomi assomigliare a un’aragosta. Un’aragosta nuda.”

“Grazie,” rispose Esther, scegliendo di ignorare il suo sarcasmo. “Ora la missione deve avere inizio. Troviamo lo Scettro di Fuoco e salviamo la Scuola degli Indovini.”




CAPITOLO SEI


Edmund stava sdraiato, piangente, nella piccola stanza buia. Niente era andato secondo i suoi piani. Aveva fatto del male a Esther, era stato usato da Madama Ossidiana, e ora non sarebbe mai più stato capace di tornare alla Scuola degli Indovini. Se il professor Ametisto avesse mai scoperto quello che aveva fatto, lo avrebbe di sicuro espulso.

Improvvisamente si sentì bussare alla porta. Edmund si mise a sedere, asciugandosi le lacrime. “Sì?”

La porta si aprì e una ragazza dai capelli rossi guardò all’interno. “Madama Ossidiana ha chiesto di te.”

Edmund si sentì stringere il petto. Non aveva nessun altro posto dove andare. Dopo il suo tradimento della scuola, di Esther, si era svegliato e aveva trovato l’intera struttura che tremava violentemente. Poi Madama Ossidiana gli era apparsa e gli aveva offerto un posto alla sua scuola. Non aveva avuto altra scelta che accettare.

Si alzò, tutto il corpo come piombo, e seguì la ragazza dai capelli rossi fuori dalla stanza.

“Comunque io sono Madeleine,” disse la ragazza mentre gli faceva strada lungo i bui corridoi.

Ma Edmund era talmente abbacchiato da non poter neanche rispondere.

“Ti abituerai a questo posto,” gli disse lei tentando di incoraggiarlo. “È una scuola fantastica.”

“Sicuro,” bofonchiò lui, ma sapeva che non sarebbe successo.

La Scuola degli Indovini di Madama Ossidiana era un posto orribile. La sua vecchia scuola era stata luminosa e moderna, ma questo era come un antico e umido castello. Era freddo. Sapeva di muffa. Era qui solo da una notte e già lo odiava.

Madeleine si fermò vicino a una grande porta di legno e bussò.

“Avanti,” disse una voce dall’interno.

Edmund riconobbe subito la voce. Madama Ossidiana. La donna che lo aveva ingannato tradendo il suo amore, Esther.

Madeleine aprì la porta e fece cenno ad Edmund di seguirla all’interno.

Dentro c’era una stanza che assomigliava a un ufficio. C’era un grande tavolo con molti posti a sedere, ciascuno occupato da uno studente ossidiano. Su un grande trono sedeva Madama Ossidiana stessa.

Edmund osservò uno per uno gli studenti nella sala. C’era un ragazzo dall’aspetto molto strano, con i capelli neri e i lineamenti ossuti, la pelle così pallida che lo faceva assomigliare a un teschio con gli occhi. Gli occhi però erano di un blu molto intenso, una cosa mai vista. Accanto a lui sedeva una ragazza alta con il trucco scuro, le braccia incrociate in un modo che la faceva apparire davvero perfida. Accanto a lei c’era un ragazzo grassoccio con capelli scuri e occhi completamente neri che stavano fissi sul piano del tavolo. Era come se avesse appena vissuto un qualche terribile trauma.

Madeleine, la ragazza dai capelli rossi, si accomodò nell’unico posto libero accanto al ragazzo dall’aspetto equivoco, lasciando Edmund lì in piedi da solo.

“Questo è Edmund,” annunciò Madama Ossidiana, sorridendo in quel suo modo freddo. “Il mio informatore interno. La mia straordinaria spia.”

Edmund sentì lo stomaco che gli si aggrovigliava. Come osava fingere che lui fosse stato d’accordo con il suo piano. Come se non lo avesse ingannato inducendolo a lavorare per lei.

“Pensavo che sarebbe carino se tu spiegassi a tutti quello che è successo alla Scuola degli Indovini,” continuò la preside. “Dato che il tuo ruolo è stato così determinante per la missione.”

Edmund strinse i denti. Rabbrividì ricordando il modo in cui la scuola si era messa a tremare. A come le sue pareti avevano cominciato a crollare. A come i rami del kapoc si erano spezzati, facendo crollare le passerelle a terra. A come i suoi insegnanti e compagni di classe – e suoi amici – avevano dovuto fuggire attraverso il trasportatore di emergenza.

“È stata evacuata,” mormorò, tenendo la testa bassa per la vergogna.

“E perché è stata evacuata?” insistette Madama Ossidiana.

Chiaramente si stava divertendo. Edmund provò una fitta di odio nei suoi confronti, più forte dell’odio che aveva mai provato per il suo vecchio rivale d’amore, Oliver.

“Perché stava crollando,” annunciò, tutta l’amarezza provata che traspariva nel tono di voce.

Tutt’attorno alla stanza gli studenti ossidiani applaudirono. Sembravano emozionati mentre si scambiavano esclamazioni sussurrando l’uno con l’altro. L’intera faccenda lo faceva stare male e lo lasciava pieno di vergogna.

Madama Ossidiana, d’altro canto, sembrava completamente deliziata. “La Scuola degli Indovini di Ametisto sta affrontando la rovina,” annunciò con gioia. “Quindi adesso è il momento perfetto per mandare una squadra d’assalto.”

Edmund sussultò. “No. per favore, lasciatela stare! Cos’altro c’è da prendere dalla scuola? Non avete già ottenuto tutto quello che volevate?”

Madama Ossidiana fece un ghigno. “Edmund, Edmund, Edmund. Caro, stupido ragazzo. La Scuola degli Indovini contiene alcuni degli artefatti più importanti conosciuti da quelli come noi. Il professor Ametisto ha tenuto rinchiusi e protetti così tanti documenti e testi, così tanti archivi. Detiene tanta di quella conoscenza. Si reputa un guardiano, capisci. Crede che solo lui e un piccolo numero di indovini sparpagliati per la storia possano essere considerati affidabili nella conservazione dei segreti degli indovini. Ma io credo nella condivisione delle informazioni. Desidero liberare la conoscenza che lui ha preservato per se stesso per tutti questi secoli.”

Attorno al tavolo Edmund vide tutti gli studenti indovini che annuivano concordi. Quindi quella era la bugia che Madama Ossidiana aveva propinato loro, pensò. Laddove aveva usato l’amore che lui provava per Esther per convincerlo a seguire i suoi ordini, stava nel contempo intessendo un falso racconto anche per i suoi studenti. Tutti pensavano al professor Ametisto come a un uomo terribile che teneva per sé tutti i segreti degli indovini. Ma Edmund sapeva la verità. Sapeva che il professor Ametisto era il miglior indovino dell’universo. Che aveva accettato un grosso fardello sulle proprie spalle. Che il suo cuore era puro e che tutto ciò che voleva era insegnare ai suoi studenti le cose giuste, in modo che insieme potessero tenere l’universo al sicuro.

Edmund capì di aver tradito il miglior mentore che mai avesse avuto il privilegio di avere. Che la scuola che amava era spacciata. E che lui aveva la colpa di tutto. Si sentiva annientato. Senza speranze. Desolato.

Negli occhi di Madama Ossidiana lampeggiò una luce malefica. La donna batté le mani sonoramente. Improvvisamente apparve un vorticante portale dall’altra parte della stanza.

Il vento soffiò nella stanza. Edmund sussultò, sentendo l’aria che gli sferzava gli abiti e i capelli.

Madama Ossidiana si alzò lentamente dal suo trono e sorrise, le luci del portale che si riflettevano nei suoi occhi.

“Madeleine. Natasha. Malcom,” disse. La maligna ragazza con i capelli neri e il giovane con il viso da teschio scattarono in piedi al suo comando, come anche Madeleine. Madama Ossidiana guardò il ragazzo paffuto. “E Christopher.”

Anche lui si alzò in piedi. C’era qualcosa che non andava in lui, pensò Edmund. Qualcosa che non era del tutto umano. Sembrava perseguitato, come se avesse subito un terribile trauma. E sembrava cattivo, come se fosse alla ricerca di vendetta.

“Voi siete la mia squadra,” annunciò Madama Ossidiana. “I miei migliori e più brillanti studenti.”

Edmund guardò, lo stomaco strizzato dalla vergogna, mentre i quattro studenti ossidiani si dirigevano verso il portale per mettere fine una volta per tutte alla distruzione della Scuola degli Indovini, un processo che lui stesso aveva messo in moto nell’istante in cui aveva assecondato i desideri di Madama Ossidiana.

“È giunta l’ora,” gridò la donna con voce ruggente, agitando il pugno verso il cielo. “È ora di rivelare i segreti degli indovini una volta per tutte!”

I quattro ragazzi scomparvero attraverso il portale ed Edmund sentì le proprie spalle afflosciarsi. La Scuola degli Indovini era spacciata.




CAPITOLO SETTE


Oliver, Ralph, e Hazel corsero dietro al ragazzo, seguendolo tra le vie di Firenze. Oliver stentava a credere che fossero arrivati ai tempi di Galileo. Aveva incontrato talmente tanti dei suoi eroi viaggiando nel tempo, e non ci stava più dietro con la testa. Se qualcuno gli avesse detto, mentre leggeva un tempo il suo libro degli inventori, che un giorno avrebbe incontrato alcune delle persone di cui si parlava al suo interno, non ci avrebbe mai creduto!

Davanti a loro apparve una fila di edifici terrazzati di colore beige. Erano alti dai quattro ai sei piani, e ciascun livello era dotato di una serie di piccole finestre quadrate e ordinate. Il ragazzo che stavano seguendo entrò di corsa da un portone in legno intagliato che dava accesso a uno degli edifici di quattro piani. Quando furono più vicini, Oliver vide che accanto al grosso portone c’era una placca di pietra intagliata che riportava le parole Accademia delle Arti e del Disegno.

“È molto più piccola di quanto mi aspettassi,” commentò Ralph.

Hazel accarezzò con le dita le lettere incavate, come a volere assorbire parte della loro storia. “Sapete che anche il nostro amico Michelangelo ha studiato qui?” commentò.

“Amico?” scherzò Ralph. “Non penso che incontrare una persona una volta la renda automaticamente un amico.”

“Ci ha aiutato a salvare la vita di Esther,” rispose Hazel corrugando la fronte. “Di certo questo non lo fa diventare un nostro avversario!”

“Ragazzi,” li interruppe Oliver. “Adesso non è il momento di mettersi a bisticciare. Su, entriamo.”

Spinse il grosso portone di legno che si aprì cigolando. Oliver si sentiva come se si stesse introducendo in qualche posto segreto. Era una sensazione che spesso provava quando gironzolava per il passato. Era difficile accettare sul serio che, in quanto indovino in missione, l’universo gli concedesse di trovarsi in un certo posto e tempo. Si aspettava sempre che qualche insegnante severo saltasse fuori e gli dicesse di andarsene.

L’Accademia delle Arti del Disegno era piuttosto fresca all’interno, grazie in parte al pavimento in marmo e alle piccole finestre che lasciavano entrare ben poco del calore del sole. Il contesto scuro era accentato anche dai pannelli in legno che ricoprivano le pareti per metà della loro altezza e da una serie di travi dello stesso colore che percorrevano la larghezza del soffitto sopra di loro. Lungo il corridoio si trovavano, disposte a intervalli regolari, delle imponenti statue di pietra che completavano così l’atmosfera di grandiosità e soggezione.

Quando entrarono, i loro passi riecheggiarono. Oliver guardò in fondo al corridoio, a sinistra e poi a destra.

“Eccolo lì!” gridò, vedendo il ragazzo scomparire attraverso una porta.

Lo seguirono di corsa ed entrarono anche loro.

Si ritrovarono in un’ampia aula che portò a Oliver il doloroso ricordo della classe della dottoressa Ziblatt. Aveva lo stesso ferro di cavallo fatto di panche e un palco al centro, ma invece di essere bianca, moderna e splendente, questa era in legno. E invece di un grande schermo per le proiezioni, c’era una lavagna sulla quale era riportata una scritta in gesso bianco che diceva: L’arte della prospettiva è di natura tale da rendere in rilievo ciò che è piatto e piatto ciò che è in rilievo.

Con trepidante entusiasmo, Oliver si rese conto di conoscere la citazione. Provò uno strano rimestio nella mente mentre gli ingranaggi si mettevano in moto. Poi riuscì a capire di chi fossero quelle parole. Le aveva dette Leonardo da Vinci. E Oliver non se ne ricordava per averle lette in un libro di testo o per averle sentite durante una conversazione, ma le aveva prese direttamente dalla propria mente. Quella sensazione era data dal suo cervello che accedeva alle conoscenze di Leonardo da Vinci, conoscenze che erano state impiantate nella sua mente durante la loro ultima missione in Italia.

Lo shock fu travolgente. Nel caos del salvataggio di Esther e del salto attraverso il portale, Oliver non aveva per niente dimenticato i ricordi di Leonardo che gli erano stati impiantati. Non solo possedeva gli immensi poteri da indovino della preside Moretti, insieme alla sua intelligenza, che stava ora silenziosa nella materia grigia della sua mente, ma possedeva anche nient’altro che quella di Leonardo da Vinci! E proprio come le doti linguistiche della Moretti erano improvvisamente apparse quando ne aveva avuto bisogno, allo stesso modo pareva che le conoscenze di Leonardo gli si stessero presentando ora. Si chiese quali altri doti potesse aver acquisito, le circostanze necessarie per accedervi e la situazione nella quale avrebbe potuto avere bisogno di utilizzarle. Parlare italiano avrebbe sicuramente dato loro un buon vantaggio per il resto del tempo che avessero trascorso in Italia.

Oliver riportò la sua attenzione al giovane Galileo, che si trovava sul palco davanti a lui. Sembrava avere una ventina d’anni. Allora di certo era prima che facesse tante delle sue grandi scoperte. Ripensando al capitolo del suo libro degli inventori, Oliver ricordò come Galileo avesse superato i quarant’anni quando aveva elaborato la legge della caduta dei corpi e le traiettorie paraboliche, studiato la meccanica, il moto, il pendolo e altre formule matematiche. Era oltre i cinquanta quando aveva fatto le sue grandiose scoperte astronomiche – montagne sulla Luna, le lune di Giove – sfidando la convinzione di lunga data che la Terra fosse il centro dell’universo, una dichiarazione che lo aveva fatto condannare dalla Chiesa.

Oliver perlustrò le proprie nozioni, cercando di ricordare cosa facesse il giovane Galileo a vent’anni. Doveva essere un periodo di negatività, quando aveva lasciato l’Università di Pisa senza laurearsi, dopo essere passato da medicina a matematica a filosofia. Si chiese perché il professor Ametisto li avesse mandati a incontrare Galileo a un punto della storia in cui non aveva ancora scoperto nulla di importante.

Oliver, Ralph e Hazel scivolarono nella fila posteriore. Quando Galileo iniziò la sua lezione, Ralph si piegò verso Oliver.

“Non capisco una sola parola di quello che dice.”

“È Italiano,” sussurrò Oliver in risposta.

Ralph incrociò le braccia. Hazel mise il broncio.

“Non è giusto,” disse. “Mi piacerebbe un sacco sapere cosa sta dicendo. Non puoi tradurre?”

Ma Oliver le disse di fare silenzio. “Non posso tradurre se non riesco a sentire quello che dice, no?”

Hazel si accigliò e si appoggiò allo schienale, adottando la stessa posa con le braccia incrociate che aveva Ralph. A Oliver spiaceva che dovessero passare un’ora di quella che doveva per forza essere una lezione affascinante, senza poterne capire una sola parola.

“Come possiamo vedere qui,” stava dicendo Galileo indicando un dipinto che raffigurava una donna con un abito blu e rosso che teneva in braccio una piccola creatura, “la figura è stata posizionata diagonalmente all’interno dello spazio, la testa ruotata verso la spalla sinistra, che è più vicina allo spettatore. Quindi la sua nuca e la spalla destra sono in ombra. Invece la mano destra, appoggiata sul fianco dell’ermellino, e per forza l’ermellino stesso, come anche il naso, il volto e la spalla sinistra di lei, sono stati illuminati. In questo modo l’artista ha dato l’impressione della luce che si diffonde. Questo ci fornisce una comprensione della distanza, della posizione in relazione alla luce.”

La Dama con l’ermellino, pensò Oliver, e il nome del dipinto si mostrò nella sua mente dal nulla.

Hazel si avvicinò a lui. “Quello è uno dei dipinti di Da Vinci,” disse.

Ovvio.

Di nuovo il ricordo arrivò da uno di quelli che Da Vinci aveva instillato nella sua mente. Ma questa volta era qualcosa di più viscerale, come se portasse con sé non solo informazioni, ma una sensazione. Una fitta di malinconia pulsò nel petto di Oliver mentre si rendeva conto che, in questa linea temporale, l’uomo di cui possedeva conoscenze, ricordi ed emozioni era morto. E anche se Oliver sapeva che tutto il tempo esisteva all’unisono, che non era lineare, si sentiva comunque triste pensando che in questo punto della storia il brillante Leonardo non c’era più. Che la sua mente meravigliosa viveva solo all’interno dei recessi di quella di Oliver.

Una mano posata sulla sua lo riportò al momento presente. Oliver si voltò e vide i sinceri occhi grigi di Hazel.

“Sei preoccupato per Esther?” gli sussurrò con tono gentile.

Oliver emise una risatina malinconica. “Adesso sì.”

“Ops, scusa,” rispose Hazel, rendendosi conto del proprio errore. Poi corrugò la fronte. “A cosa stavi pensando allora, se non a lei? Avevi uno sguardo così triste.”

Oliver arricciò le labbra. Non voleva dare nessun peso ad Hazel, ma sapeva anche che gli avrebbe fatto male, nel tempo, continuare a tenere per sé quel segreto.

“A Da Vinci,” sussurrò, tenendo la voce bassa in modo da non disturbare gli studenti concentrati che sedevano attorno a loro. “Lo posso percepire,” spiegò dandosi un colpetto alla testa. “Qua dentro.”

Hazel sgranò gli occhi. “Intendi dire le sue conoscenze?”

“Le sue conoscenze. I suoi ricordi.” Oliver spostò la mano posandosela sul cuore. “I suoi sentimenti.”

“Oddio,” rispose Hazel con espressione scioccata.

In quel momento Ralph si chinò verso di loro. “Di costa state confabulando?” chiese con voce ben più alta rispetto agli altri due.

Diversi studenti seduti sulla panca davanti alla loro si girarono guardandoli storto e portandosi il dito alle labbra: “Shh!”

Ralph arrossì per l’imbarazzo e sprofondò nel suo posto. Incrociò le braccia e mise il broncio per non essere stato reso partecipe del segreto.

I tre amici rimasero per l’intera lezione. Hazel passò tutto il tempo seduta con la schiena dritta e il volto raggiante. Ralph d’altro canto sembrava annoiato a morte. A un certo punto si appisolò quasi.

Ma Oliver si sentiva riempire di un misto di sensazioni. Ricordi e sentimenti che appartenevano a Leonardo venivano risvegliati in lui mentre Galileo discuteva le sue teorie sulla prospettiva nell’arte, spiegandole agli studenti. Era qualcosa di a dir poco particolare, e Oliver fu sollevato quando la lezione finalmente terminò.

Mentre gli studenti uscivano, i tre amici si diressero dalla parte opposta, scendendo i gradini e avvicinandosi a Galileo.

“Mi scusi,” disse Oliver, trovandosi senza sforzo a proprio agio parlando con naturalezza italiano. “Il signor Galilei?”

“Sei un po’ giovane per prendere parte alle mie lezioni, no?” disse Galileo squadrandolo dalla testa ai piedi.

“Non siamo studenti del suo corso,” gli disse Oliver. “Siamo indovini.”

Decise di mostrare direttamente tutte le carte in tavola. Il professor Ametisto li aveva mandati in quest’epoca e in quel luogo per un qualche motivo, e ogni grandioso inventore che avevano incontrato durante le missioni precedenti si era rivelato essere un indovino, o qualcuno che era in contatto con essi. Non aveva tanto senso stare a menare il can per l’aia.

Vide un lampo di comprensione negli occhi del giovane uomo, ma Galileo non assecondò il suo gioco.

“Non ho idea di cosa stiate parlando,” disse, raccogliendo le sue carte.

“Io penso di sì,” insistette Oliver. Siamo stati mandati a Firenze. Dal professor Ametisto. Forse lo conosce? Guida la Scuola degli Indovini. Siamo in missione per trovare lo Scettro di Fuoco. Ne ha sentito parlare, per caso?”

Dal modo in cui Galileo stava infilando nella borsa le sue carte, Oliver poteva dire che la risposta era affermativa. Di certo sapeva qualcosa. Qualcosa con cui, per motivi sconosciuti, non si sentiva a proprio gio.

“Non ne ho mai sentito parlare,” affermò, evitando di guardare Oliver negli occhi.

Oliver nutriva il forte sospetto che Galileo stesse mentendo, anche se non sapeva il perché. Forse non era un indovino. Ma di certo c’era qualcosa di insolito in lui.

Decise di fare il coraggioso. “Veniamo dal futuro,” disse.

“Oh, davvero?” disse Galileo. Smise di trafficare con la borsa. “Allora, per darmene la prova, ditemi qualcosa che non è ancora stato scoperto.”

Oliver esitò. Sapeva come tutto fosse equilibrato in maniera precisa e accurata. Sapeva che dovevano essere molto cauti per non sbilanciare le cose. Sapeva che un passo falso anche minimo poteva causare una reazione catastrofica.

“Non posso,” disse.

“A-a,” rispose Galileo. “Proprio come pensavo. State mentendo.”

“No,” disse Oliver. “Mi sfidi in qualcos’altro. Qualcosa che solo Leonardo da Vinci potrebbe sapere.”

Hazel gli diede un colpetto al gomito. “Oliver, cosa stai facendo?”

“Non ti preoccupare, ho tutto sotto controllo,” le disse Oliver, parlandole di sbieco.

“Bene allora,” disse Galileo picchiettandosi il mento, pensieroso. “Il duca di Valentinois ha commissionato a Da Vinci il disegno di una mappa della città di Imola. In che anno?”

Oliver cercò nella sua mente tra i ricordi di Da Vinci. “Nel 1502,” rispose.

Galilei si accigliò. “Fortunato.”

“Me ne faccia un’altra,” insistette Oliver. “E vi darò prova che non ho tirato a indovinare.”

“Va bene,” disse Galileo. “Magari una domanda relativa alla geometria. Dimmi dei cinque termini dei matematici.” Sorrise con autocompiacimento, come se fosse convinto che non ci fosse alcun modo in assoluto che Oliver fosse in grado di rispondere correttamente.

Ancora una volta Oliver ricorse alla parte della sua mente che gli era stata riempita da Da Vinci. “Il punto, la linea, l’angolo, le superfici e il solido.”

Galilei apparve stupefatto, ma anche impressionato. “E cosa c’è di unico nel punto?”

“Beh,” disse Oliver, “non ha né altezza, né larghezza, né lunghezza, né profondità, per cui lo si considera invisibile e privo di dimensioni nello spazio.”

Stava citando direttamente Da Vinci adesso, attingendo alle parole precise dell’inventore, prendendole dai recessi della propria mente. Hazel aveva un’espressione stupefatta. Ralph invece sembrava piuttosto sconcertato che Oliver potesse avere accesso a tali conoscenze, e che sembrasse capace di esporle in modo così immediato.

Ma non era questo il punto, pensò Oliver. Guardava Galileo per vedere se l’uomo si fosse convinto. Di certo pareva che stesse valutando i tre giovani che aveva davanti.

Alla fine guardò Oliver con intensità. “E perché hai detto di essere venuto qui a cercarmi?”

“Siamo indovini,” disse Oliver. “Dal futuro. Crediamo che lei ci possa aiutare a trovare una cosa che si chiama Scettro di Fuoco.”

Galileo fece una pausa un momento, corrugando le sopracciglia. “Forse allora dovreste venire con me,” disse.




CAPITOLO OTTO


Il professor Ametisto si trovava nella scuola che tremava e cadeva a pezzi. Era stata evacuata completamente e ora rimaneva solo lui. Ma non poteva scappare e basta. La sesta dimensione era piena di documenti e libri di testo, artefatti e armi. Prima di potersene andare, doveva mettere in sicurezza la stanza e chiuderla. Se qualche particolare tecnologia indovina fosse finita nelle mani sbagliate, sarebbe stata la fine per il mondo.

Però c’era un grossissimo problema. Il professor Ametisto aveva esaurito quasi tutti i suoi poteri. Dalla creazione del condotto spazio temporale nel tronco del kapoc per far evacuare i suoi insegnanti e studenti, al secondo portale creato per Oliver e i suoi amici, e infine lo sforzo per proiettare la propria voce nel vortice temporale e dividere i due percorsi: ora l’anziano preside si sentiva svuotato. E a causa dei violenti scossoni che la scuola stava subendo ora che stava per crollare, l’ascensore – supersonico, proprio come l’aveva inventato lui – ora era rotto. Il professor Ametisto, che era abituato a farsi tutti i cinquanta piani in una manciata di secondi, avrebbe dovuto accontentarsi di prendere le scale. Avrebbe dovuto salire i cinquanta piani per arrivare alla sesta dimensione. Non aveva idea di come le sue vecchie e fragili ginocchia avrebbero preso la cosa. Ma non c’era altra scelta. Doveva assicurarsi che nessuna delle armi e invenzioni finissero mai nelle mani di qualcun altro.

Iniziò la sua ascesa. Ma era solo arrivato al primo pianerottolo quando udì un rumore orribile provenire dall’atrio sotto di lui.

Corse alla balconata e guardò in basso, verso il piano sottostante. Molti dei rami del kapoc si erano già rotti, come anche le passerelle che prima avevano sostenuto, e i detriti giacevano sparpagliati sul pavimento. Ma lì, in mezzo a pezzi di intonaco, cemento e legno, il professor Ametisto vide una luce baluginante.

“Un portale,” disse a voce alta.

Sapeva cosa significava. C’erano solo pochi indovini al mondo con tali poteri, e gliene veniva in mente solo uno che avrebbe potuto voler fare irruzione nella scuola.

Il grande portale si allargò sempre di più, fino a che fu tanto grande da permettere a un gruppo di studenti di passarvi attraverso. Indossavano tutti la riconoscibile divisa nera della Scuola degli Indovini di Madama Ossidiana.

Il professor Ametisto socchiuse gli occhi furioso. Magdalena Ossidiana era stata, molti anni prima, la sua migliore studentessa. Aveva una mente potente e senza limiti. Una mente capace di rivaleggiare con la sua. Un’intelligenza pari solo a quella di Newton. Di Da Vinci. Di Oliver Blue. Aveva voluto metterla alla prova, ma la missione in cui l’aveva inviata l’aveva indotta a montarsi la testa. Aveva voluto più conoscenza, più accesso, più artefatti, e aveva voluto prendere tutta la conoscenza del futuro per applicarla al passato.

All’inizio la sua impresa era stata ammirevole: usare la conoscenza del futuro per risparmiare all’umanità gli errori del passato. A dire il vero, quasi tutti i giovani indovini che erano stati allievi del professor Ametisto gli avevano chiesto la stessa cosa: “Perché non si può cambiare il passato?” Ma laddove la maggior parte di essi accettava che il dovere di un indovino era quello di seguire la guida dell’universo, di riparare le crepe e le fessure nell’ordine delle cose, Magdalena Ossidiana aveva rifiutato di accettarlo. Nella sua mente idealizzata, tali eventi dovevano essere riscritti, che l’universo l’avesse deciso o meno.

“Il compito di un indovino è di mantenere il mondo sulla via della minore distruzione,” ricordava di averle detto una volta nel suo ufficio, mentre stavano seduti accanto al caminetto e lei era solo una ragazzina di dodici anni. “Non possiamo cancellare Hitler, ma possiamo impedire che ottenga una bomba nucleare. Non possiamo fermare le grandi guerre mondiali, ma possiamo cercare di ridurre le morti.”

Ma la ragazza aveva confutato le sue affermazioni. Aveva rifiutato di seguire i suoi insegnamenti, aveva rifiutato di accettare che un indovino non doveva deviare del tutto il corso della storia. E quando aveva scoperto di essere un’indovina cobalto e aveva iniziato a leggere di tutti i maggiori cobalto, beh, la sua mente si era oscurata. Alla fine aveva scelto il suo devastante percorso, era diventata una malvagia e aveva avviato una sua ‘scuola’, trovando studenti indovini prima che lo facesse il professor Ametisto, e aveva corrotto le loro menti impressionabili.

Ametisto non aveva avuto altra scelta che proteggere la scuola con un incantesimo protettivo che le impedisse di entrarvi. Non che una cosa del genere potesse fermare Magdalena Ossidiana. Ora si limitava a mandare gli studenti a eseguire i suoi ordini, o manipolava le leggi delle dimensioni per i suoi scopi. Sapeva quello che aveva fatto con Edmund. Aveva contorto la sua mente proiettando se stessa attraverso le dimensioni, una cosa estremamente pericolosa che lui stesso aveva fatto solo una volta, per disperazione, per dire a Oliver che doveva trovare lo Scettro di Fuoco. Sapeva anche che la donna mandava i suoi studenti attraverso il tempo, che aveva addirittura convocato l’esercito oscuro. Lei non si sporcava mai le mani in prima persona. Il professor Ametisto aveva passato diverse ore a pensare al perché. Era arrivato a concludere che Magdalena sapeva che se avesse mai rivisto il suo vecchio mentore negli occhi, avrebbe dovuto affrontare la realtà della situazione. Avrebbe dovuto accettare che si sbagliava. Che era diventata una malvagia. Che non aveva lasciato al suo passaggio nient’altro che distruzione e caos.

Improvvisamente il professor Ametisto sentì i passi degli studenti ossidiani che iniziavano a salire i gradini verso di lui. Raddoppiò i propri sforzi per salire. Ma sentiva le ginocchia che cedevano. Le sue ossa e i suoi muscoli non erano abbastanza forti per questo. Dopotutto Ametisto aveva migliaia di anni. Anche il suo corpo aveva i suoi limiti.

Avrebbe dovuto combattere contro di loro.

L’ultima cosa che il professor Ametisto voleva fare era combattere contro dei ragazzi, soprattutto se avevano subito il lavaggio del cervello da parte di Magdalena Ossidiana. Ma d’altro canto, ogni minuto che gli studenti ossidiani passavano nella Scuola degli Indovini era un momento in più che non si trovavano all’inseguimento di Oliver o Esther nella loro impresa di localizzare lo Scettro di Fuoco. Magari sarebbe riuscito a guadagnare del tempo per i due gruppi, creando un po’ di distrazione qui.

Proprio in quel momento sentì i passi che raggiungevano il pianerottolo alle sue spalle. Ruotò su se stesso. Quattro ragazzi erano davanti a lui: una ragazza con le trecce rosse, una seconda con capelli e unghie neri, un ragazzo pallido con gli zigomi spigolosi e un lungo naso sottile da stregone, e infine un ragazzo dalla corporatura pesante, con le spalle larghe come un armadio e occhi neri come il carbone.

“Ah,” disse il professor Ametisto con tono gioioso ai quattro giovani. “Benvenuti. Siete futuri studenti? Temo che la scuola stia subendo una sorta di trasformazione al momento. Sta uscendo dal tempo. Pertanto vedo come improbabile la possibilità di accogliere nuovi studenti fino a che questo ribaltone non sarà risolto.”

I quattro si guardarono tra loro, confusi, le espressioni malvage e concitate. Il professor Ametisto poteva solo provare pena per loro, per non essere riuscito a trovarli prima di Magdalena Ossidiana, e per le boriose personalità che lei aveva infuso in loro.

“Di che stai blaterando, vecchio?” chiese il ragazzo robusto.

Quello dai capelli neri si girò verso di lui facendo una smorfia. Con voce malevola disse: “Non sai chi è? Questo è il professor Ametisto.”

Il preside andò avanti con la sua strategia di distrazione. Si mise una mano sul petto. “Oh! Sono famoso?”

Ma i ragazzi avevano esaurito la loro pazienza. Lo guardarono con espressioni torve, i denti digrignati come creature feroci, e iniziarono ad avanzare.

Il professor Ametisto sentì un nodo formarsi in gola. Era arrivato il momento di combattere.




CAPITOLO NOVE


“Cosa ci sta dicendo adesso la bussola?” chiese Simon ad Esther.

Lei guardò lo strumento di bronzo che teneva in mano. Tutti i simboli che mostrava sembravano essere connessi con l’oceano: barche, pesci, e ancora l’ancora.

“Penso che dovremmo andare verso il porto,” disse.

Il sole batteva sulle loro teste mentre percorrevano lo stretto sentiero che conduceva verso il mare scintillante. Si vedevano gli alberi maestri di molte imbarcazioni che ondeggiavano su e giù ed Esther li guardò meravigliata. Avevano un design davvero antico. Erano così vecchi che non le veniva in mente nessun relitto che fosse sopravvissuto all’epoca moderna e che si potesse vedere nei musei, quindi vedere una cosa del genere dal vivo era davvero sorprendente.

Quando raggiunsero il porto, lo trovarono trafficato come il mercato che avevano visto prima. C’erano uomini che indossavano mantelli di cotone che issavano reti colme di pesce fresco, come anche barche da cui venivano scaricati preziosi carichi provenienti da terre lontane. Esther si rese conto che chiaramente si trattava di un fulcro commerciale molto importante.

Fortunatamente, grazie a come erano vestiti, non richiamarono quasi nessuna attenzione e riuscirono a muoversi qua e là, cercando indizi riguardanti l’epoca, il luogo e dove avrebbero potuto trovare lo Scettro di Fuoco.

“Rodi,” disse Simon tutt’a un tratto. “Siamo a Rodi.”

“Davvero?” gli chiese Esther, sgranando gli occhi per la sorpresa.

Rodi era una delle isole che appartenevano all’impero greco. Si chiese perché il professore li avesse voluti mandare lì, piuttosto che sulla terraferma. Si scervellò tentando di ricordare quali antichi filosofi greci risiedessero a Rodi prima di Cristo.

“Come fai a saperlo?” chiese Walter a Simon.

Simon indicò delle lettere stampate su un cartello vicino al porto. Non era il loro solito alfabeto, ma era anzi completamente diverso. Walter fece una faccia sorpresa.

“Come fai a leggere Rodi lì?” chiese. “Per me è arabo!”

Simon ruotò gli occhi al cielo. “La mia educazione scolastica nella Londra vittoriana è stata molto approfondita. Abbiamo studiato sia latino che greco antico. Onestamente, non c’è modo migliore di leggere gli antichi filosofi che nella loro lingua originale.”

Mentre i ragazzi bisticciavano, Esther tentò di capire in che data potessero essere arrivati. Ricordava il Colosso di Rodi, la grande statua costruita accanto all’oceano, una delle antiche meraviglie del mondo. Ma tutto quello che se ne poteva vedere adesso erano le due colonne di pietra sulle quali una volta si erano trovati i suoi piedi. Quindi dovevano essere arrivati dopo il suo crollo, avvenuto nel 226 a.C.

Questo restringeva un poco le possibilità. Ma c’era ancora tanto da capire per arrivare a una soluzione concreta.

“Dato che sai così tanto dei filosofi greci,” disse Esther a Simon, “hai idea di quali siano vissuti qui a Rodi?”

“Beh, c’è Andronico di Rodi,” disse Simon, “che è vissuto qui attorno al 60 a.C.”

Proprio in quel momento Esther fu attratta da un uomo anziano seduto da solo su una cassa capovolta, intento a fissare il mare. Qualcosa del suo volto le sembrava familiare, anche se non era in grado di dirne il motivo. Il modo in cui fissava davanti a sé in quel modo così assorto lo faceva davvero spiccare in mezzo a tutta la gente che correva avanti a indietro attorno a lui. I suoi abiti lo facevano apparire ricco e importante. Il modo in cui guardava il mare, immerso nei suoi pensieri, gli dava l’aria di uno studioso. Teneva anche una pila di carte appoggiate in grembo, ed Esther vide che erano piene di appunti e bozzetti.

Chiunque fosse quell’uomo, sembrava essere qualcuno di davvero importante. Uno studioso. Forse addirittura un filosofo. E considerato il fatto che la maggior parte degli studiosi del passato si erano rivelati essere indovini, o collegati in qualche modo ad essi, decise che quello poteva essere un buon punto d’inizio.

“È lui?” chiese Esther, interrompendo il monologo di Simon sui filosofi e indicano l’uomo.

Simon strizzò gli occhi e si schermò il volto dal sole con la mano. “Beh, non saprei. Non penso ci siano ritratti esistenti di Andronico di Rodi.”

Walter scrollò le spalle. “Mah. A me sembra un filosofo. Potremmo comunque andare a salutarlo.”

Partì diretto verso l’uomo. Simon ed Esther si scambiarono un’occhiata e una scrollata di spalle, poi seguirono il loro amico deciso e imperturbato.

Ma mentre si avvicinavano, Esther si rese conto di dove aveva visto il volto dell’anziano prima. Era stato nelle aule di storia della Scuola degli Indovini! La scuola aveva un sacco di busti in mostra raffiguranti famosi scienziati, matematici, filosofi, politici e personaggi del genere. Quel volto, sebbene ora fosse segnato dalle rughe, era quello di Posidonio, il filosofo stoico di cui erano andati per lo più perduti gli insegnamenti.

Esther allungò un braccio e afferrò Simon per il polso. “Penso di sapere chi è.”

Simon stava annuendo, dato che chiaramente anche lui aveva fatto due più due proprio come lei.

“Posidonio!” esclamarono entrambi contemporaneamente.

L’uomo sollevò lo sguardo di colpo e vide Walter che gli stava davanti e che, nonostante la sua toga e i sandali, aveva ancora un aspetto del tutto diverso, con la sua pelle scura rispetto a quella bronzea dei Greci. Poi lo sguardo dell’uomo passò a Esther e Simon, scrutandoli dalla testa ai piedi. Parve estremamente sorpreso dal pallore di Simon con i suoi abiti messi insieme alla meno peggio.

Si accigliò, chiaramente confuso dai tre giovani che aveva davanti, che in qualche modo conoscevano il suo nome e che l’avevano esclamato con tale entusiasmo.





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“Un potente inizio per una serie [che] produrrà una combinazione di protagonisti esuberanti e circostanze impegnative che coinvolgeranno non solo i giovani, ma anche gli adulti che amano il genere fantasy e che cercano storie epiche colme di amicizie potenti e tremendi avversari.–Midwest Book Review (Diane Donovan) (riguardo a Un trono per due sorelle)“L’immaginazione di Morgan Rice non ha limiti!”–Books and Movie Reviews (riguardo a Un trono per due sorelle)Dall’autrice di best seller numero #1, ecco una nuova serie per giovani lettori, ma anche per adulti! Siete amanti di Harry Potter e Percy Jackson? Non cercate oltre!In LO SCETTRO DI FUOCO: OLIVER BLUE E LA SCUOLA DEGLI INDOVINI (LIBRO QUATTRO), il dodicenne Oliver Blue viene inviato in un’importante missione per salvare la Scuola degli Indovini. Deve tornare nella Firenze del 1592 per trovare l’unico manufatto capace di salvarli tutti.Ma il segreto è sorvegliato da niente meno che Galileo stesso.Mentre cerca uno dei più grandi scienziati e inventori di tutti i tempi, l’uomo che ha inventato il telescopio e che ha scoperto i pianeti, Oliver non può fare a meno di chiedersi: è un indovino anche lui? E quali altri segreti tiene con sé?Suo fratello Chris, più potente che mai, rimane determinato a uccidere Oliver una volta per tutte. Oliver si rende presto conto che si tratta di una corsa contro il tempo, dato che c’è in ballo il destino della scuola, e di tutto il mondo.Un fantasy edificante, LO SCETTRO DI FUOCO è il libro #4 di una serie affascinante piena di magia, amore, umorismo, strazio, tragedia, destino e scioccanti colpi di scena. Ti farà innamorare di Oliver Blue, spingendoti a leggere fino a notte fonda.Anche il libro #5 della serie sarà presto disponibile!“Qui ci sono gli inizi di qualcosa di notevole.” –San Francisco Book Review (riguardo a Un’impresa da eroi)

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