Книга - Il Ventottesimo Libro

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Il Ventottesimo Libro
Guido Pagliarino






Copyright © 2018 Guido Pagliarino

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Guido Pagliarino

Il Ventottesimo Libro

Una storia prima del Nuovo Testamento

Romanzo

Pubblicato e distribuito da Tektime

Seconda edizione in formato cartaceo ed elettronico

Copyright © Guido Pagliarino



Tutti i diritti, letterari, cinematografici, televisivi, radio, internet e connessi a qualsiasi altro mezzo di diffusione e i diritti di traduzione sono dell’autore, in tutto il mondo.



La prima edizione dell’opera, conforme a questa seconda, si è classificata Finalista al “Premio Mario Pannunzio 2017”



La copertina è stata realizzata elettronicamente dall’autore


Indice



PREFAZIONE (#ulink_dcae5743-f772-5b49-a383-0424fd0652c9)

RICHIAMO EPIGRAFICO (#ulink_da9532c2-57e8-5712-a80c-028bd6c5da2b)

VANGELO IN ARAMAICO SECONDO LEVI MATTEO (#ulink_45318be0-3eeb-51dd-b78e-a49e230c2fc5)

Parte prima (#ulink_3b42721c-1c20-56b9-96cc-df613931e91b)

Parte seconda (#ulink_a7dc14b0-3c32-51d1-8d1f-2afb1d9f4acd) (#ulink_a7dc14b0-3c32-51d1-8d1f-2afb1d9f4acd)

Parte terza (#litres_trial_promo)

Parte quarta (#litres_trial_promo)

Parte quinta (#litres_trial_promo)

Parte sesta (#litres_trial_promo)

POSTFAZION (#litres_trial_promo)E di Guido Pagliarino (#litres_trial_promo)


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PREFAZIONE (#ulink_a2eb7ff5-ab1a-5e03-8c78-700ddf380b1b)





Sono passati quasi cinque anni dal nostro ritrovamento e finalmente, non senza emozione, presento oggi questa mia volgarizzazione dall’aramaico all’italiano d’un documento storico primario che si credeva perduto:

Durante la nostra ultima spedizione in India, mentre si studiava un sito archeologico, io e miei collaboratori ci siamo imbattuti in un cunicolo che custodiva i papiri del primo vangelo di cui si avesse notizia, andato presto smarrito dopo la sua stesura; si tratta del vangelo in aramaico di Matteo, scritto durante il I secolo dell’era cristiana, secondo quanto porta a credere il suo supporto papiraceo sottoposto a prova d’anzianità col metodo di radiodatazione al carbonio 14, e più precisamente, stando all’analisi testuale, steso nel corso degli anni 28-50 dello stesso secolo. L’opera si presenta ben conservata, benché scritta sopra una base facilmente deteriorabile come il foglio di papiro, grazie a particolarissime condizioni d’assenza d'aria nel loco in cui giaceva. Giudico, secondo verosimiglianza, che sia completa, a differenza della maggior parte delle circa 5200 copie di libri neotestamentari finora a nostra disposizione, peraltro del II e III secolo al più presto; infatti la più antica in nostro possesso era, sin ad ora, il "Papiro Rylands" dell'anno 120 circa. Prima di pubblicare ho voluto avere ragionevole certezza che proprio di quel documento, citato anticamente da Papia di Gerapoli, Ireneo di Lione ed Eusebio di Cesarea, si trattasse. Sono giunto infine alla conclusione che si tratti davvero di quel vangelo, anzi come si può dedurre dall’analisi testuale, del protovangelo in ordine di stesura. I miei collaboratori si sono chiesti non senza entusiasmo: la Chiesa lo inserirà un giorno nel Nuovo Testamento, portando così a ventotto i libri neotestamentari e, in essi, aumentando a cinque il numero dei vangeli canonici? Personalmente non lo credo: sebbene la sua autenticità sia, a mio parere, provata, resta il fatto che, come si può raccogliere da qualsiasi esperto di Storia della Chiesa, il canone neotestamentario non derivò da proclamazioni di vescovi o di sommi pontefici ma dall’uso, fin dai primi secoli, da parte di tutte le chiese, dei ventisette libri, mentre apocrifi furono e sono universalmente considerati i testi letti solo da alcune di quelle chiese, vale a dire mancanti della cosiddetta “approvazione ecclesiastica” consistente nella convinzione dell’intero popolo cristiano che quei libri accolgono la Parola di Dio. Comunque la scoperta è sicuramente straordinaria, tanto per la Storia del Cristianesimo quanto per i credenti della stessa religione. Anticipo che una gran parte dell’opera fu scritta prima della crocifissione di Cristo. Si può parlare d’un diario tenuto dall’apostolo Levi Matteo. Risulta chiaro dalle parole di questo redattore che, per molto tempo, egli non aveva affatto pensato che Gesú fosse Dio. L'aveva ritenuto un messia politico, di cui aspirava a divenire ministro. Solo nelle ultime parti del libro, stese anni dopo e in cui è testimoniata la risurrezione di Cristo, appare l'illuminazione, e solo allora Matteo definisce il Risorto tanto Dio quanto uomo dal corpo glorioso e spirituale.

Ho premesso allo scritto un richiamo epigrafico agli antichi testi che forniscono generica notizia di questo perduto e adesso ritrovato evangelo.

Ho diviso il documento in parti considerando, secondo l’analisi testuale, il probabile ordine di stesura.

Ho inserito alcune note storico-sociali in calce, ritenendole utili al lettore non specialista.



P.G.


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RICHIAMO EPIGRAFICO (#ulink_a2eb7ff5-ab1a-5e03-8c78-700ddf380b1b)










“Matteo raccolse nella lingua dei giudei i detti del Signore e ciascuno li tradusse come era capace”.

(Lettera di Papia vescovo di Gerapoli, discepolo di un Giovanni – Giovanni l’evangelista? – e morto presumibilmente fra il 120 e il 130 d.C.)



“Matteo scrisse un vangelo presso gli ebrei nella sua lingua materna”.

(Ireneo di Lione, morto verso il 200 d.C., discepolo di Policarpo di Smirne a sua volta discepolo di Giovanni apostolo: "Adversus haereses")



“Si dice che Panteno andò nelle Indie e pure che trovò ch’era stato preceduto dal vangelo di Matteo presso alcuni indigeni del paese i quali conoscevano Cristo. A costoro Bartolomeo, uno degli apostoli, aveva predicato e lasciato in caratteri ebraici l'opera di Matteo”.

(Eusebio di Cesarea, morto presumibilmente nel 339 o 340 d.C. "Historia Ecclesiae, V, 9,1; 10,1")









VANGELO IN ARAMAICO SECONDO LEVI MATTEO (#ulink_a2eb7ff5-ab1a-5e03-8c78-700ddf380b1b)


Parte prima (#ulink_a2eb7ff5-ab1a-5e03-8c78-700ddf380b1b)



Mi son prefisso d’annotare i detti e i fatti di Rabbì Gesú


. Ne ho informato il Maestro, che non s'è mostrato contrario: "So che conosci Torah, Nebi'im e Ketubim


, che hai notizie di storia e scrivi per diletto poesie e novelle", m'ha detto in un sorriso dopo aver approvato col capo.



Da pochissimo tempo sono stato chiamato. Ero, fino a pochi giorni or sono, un pubblicano, incassavo tasse per conto dell’occupante Roma e parte ne trattenevo per la mia borsa, non solo la percentuale stabilita, ma un poco di più, falsificando la contabilità: è prassi. La pecunia dunque non mi mancava e non m'importava proprio nulla del disprezzo dei miei compatrioti; oltretutto, quelle stesse persone non disdegnavano di venire segretamente da me per farsi imprestare denari, quando ne avevano bisogno per la semina o un matrimonio; e io ricambiavo il loro disprezzo caricando gl’interessi.

Sono Levi Matteo Bar


Alfeo, peccatore.

Quella mattina, mentre ero al mio banco in piazza a Cafarnao


, intento come al solito a controllare e a registrare i movimenti delle merci e a incassarne le tasse, ecco una gran folla venire dal Giordano. Alla sua testa stava Gesú di Nazareth. Sapevo di lui fin da bambino, essendo anch’io nazareno. M’era sempre apparso una persona comunissima, così l’avevo dimenticato finché, mesi fa, era giunto qui. Non l'avevo avvicinato. Sentendone dire da gente sulla piazza, l’avevo giudicato un pigro che non aveva voluto continuare l’attività di costruttore del padre e s’era dedicato, come tanti altri falsi profeti, a elemosinare, ricambiando con massime di minuta saggezza e trucchi da magonzolo. È pur vero che la gente pensava operasse veri miracoli, ma si sa bene che gl’ignoranti son creduloni. Appunto, i tanti che in quel momento l’accompagnavano stavano dicendo, a gran voce, che aveva appena guarito un paralitico; ma non così uno di loro, un dotto scriba, che taceva e scuoteva la testa con espressione nient’affatto amichevole.

Gli scribi son gente da cui è meglio guardarsi, assai influenti, che se prendono a malvolere qualcuno possono fargli assai male. Vivono accanto ai sacerdoti quali ascoltati interpreti della Legge. Di norma appartengono alla setta dei farisei, cui sono accomunati dallo zelo meticoloso per le forme. Tanti secoli fa, al tempo dell’esilio babilonese, gli scribi avevano custodito il patrimonio letterario religioso israelita, tramandandolo ai discepoli di generazione in generazione, finché nel loro àmbito, or son cinque o sei secoli, era stata messa per iscritto la Legge. Erano dunque diventati i depositari ufficiali delle antiche tradizioni dei padri entrando, parte di loro, nell’assemblea giuridica e religiosa d’Israele, il sinedrio. Almeno in teoria, possono essere di qualunque stato sociale, salendo grazie allo studio, com'è in genere per i farisei, classe dei teologi divisa in sette scuole di cui due principali, quella di Hillel, che prèdica la misericordia, e quella di Shammai, che disprezza chi non è fariseo. Un altro gruppo di potenti, anzi il più potente, è quello dei sadducei. Si proclamano i discendenti dell’antico gran sacerdote Saduc. Sono gli aristocratici d'Israele e, per diritto di nascita, appartengono alla casta sacerdotale; ma sono interessati più alla politica che alla religione; infatti, a differenza dei farisei, non credono alla vita dopo la morte. Come ho saputo da condiscepoli, in poco tempo il Maestro s’è messo contro tutti e tre i gruppi.

Ecco che, fermatosi proprio accanto a me, quello scriba ha esclamato a gran voce, rivolto a Gesú e ai suoi: "Bestemmia! Quel peccatore ha detto al paralitico: Ti sono rimessi i tuoi peccati. Bestemmia! Egli, semplice uomo, s’atteggia come l’Altissimo". Io, del tutto in sintonia, ho sorriso compiaciuto. Il Maestro ha lasciato allora il suo gruppo e s’è avvicinato a noi. Pensavo volesse litigare con lo scriba, invece l’ha ignorato e, ormai prossimo, ha guardato me negli occhi. "Come?" ho pensato preoccupandomi, "non se la prende con lui che l'ha attaccato pubblicamente, ma con me per un semplice sorrisino?!". Egli però non mi ha affatto rimproverato; mi ha ordinato, con voce dolce: "Matteo, seguimi". Ebbene, non riesco ancora a capacitarmene, io, uomo d’affari abituato a comandare, non ho potuto che obbedire: il mio cuore ha ragionato solo più di lui e i miei reni sono stati presi da enorme entusiasmo


. Poiché era quasi l'ora del pranzo, emozionato e felice ho incaricato il mio aiutante di gestire il banco delle tasse e ho invitato Gesú e i suoi a casa mia, lì vicino.

Quand'eravamo già a tavola sotto il porticato della mia dimora, sono giunti alcuni ospiti, mercanti della piazza che approvvigionano la locale centuria romana, considerati dunque, come noi esattori, traditori e peccatori imperdonabili. Da tempo ero solito ospitarli, dietro mercede: la mia casa è prospiciente la piazza e dal porticato potevano gettare un occhio sui loro banchi durante la pausa per il pasto. Avevo da sempre l'abitudine a pranzi grassi, come tutti i benestanti e diversamente dalle persone non abbienti che solo per cena assumono un pasto un po’ più sostanzioso. Le gran mangiate sono una delle cose della vita più piacevoli e, in verità, adesso mi mancano. Anche quel giorno erano in tavola, fra l'altro, carni pregiate di bove e d'agnello e vino eccellente a otri; non come per le mense comuni che non vedono quasi mai la costosa carne ma solo pane, pesce, erbe, zuppe, latte e formaggio, e dove il vino è bevuto con parsimonia. Gesú e i discepoli giungevano da un lungo disagiato viaggio, erano stanchi e avevano fame; dunque, non appena si sono accomodati sulle stuoie, hanno reso onore alla tavola. Tuttavia, dopo non molto, siamo stati interrotti dallo scriba di prima ch’è passato con alcuni dei suoi davanti alla casa, secondo il Maestro con intenzione: "Già, eccolo di nuovo", ci ha detto abbozzando un sorriso, non appena l'ha visto arrivare. Lo scriba, un volta accanto, ha esclamato, ma senza guardarci e tirando diritto: "Come mai egli mangia e beve in compagnia dei pubblicani e degli altri peccatori?!" ma Gesú dietro a lui, lasciato il sorriso: "Non i sani hanno bisogno del medico ma gli ammalati! Non i giusti ma i peccatori hanno bisogno di misericordia! Imparate cosa significa il detto dei Libri: Misericordia io voglio e non sacrifici


; e io non sono venuto a chiamare i giusti ma i peccatori. Medicina è lo Spirito dell’Altissimo che induce al perdono e indirizza al bene, pota i tralci maligni della pianta, raddrizza l'albero storto, incide e libera dagli umori cattivi". Quei brutti musi si sono apertamente scandalizzati, mentre si allontanavano è venuto da loro: "Si dice messaggero dell’Altissimo! Bestemmia!"; e proseguendo, si mormoravano cose negli orecchi e, ogni tanto, qualcuno di essi si voltava indietro per un momento, guardandoci con espressione corrucciata: non ho potuto afferrare i cattivi propositi che, sicuramente, stavano pronunciando.

Era previsto dall’Altissimo che quel pranzo non fosse tranquillo. Dopo non molto, sono giunti davanti al mio porticato alcuni discepoli particolarmente fanatici del profeta Giovanni detto il battezzatore, stretti osservanti della Legge , i quali, come corre voce, fanno ormai gruppo a sé. Li ho riconosciuti subito, infatti le loro figure sono ben note in paese, sempre in giro a scocciare tutti per un nonnulla. Qualcuno doveva averli informati del mio invito. Anch'essi se la sono presa col nostro pasto: "Come!" hanno rimproverato Gesú per bocca d'uno di essi, tutti indirizzandoci sguardi durissimi: "In questi giorni sacri noi digiuniamo santamente e i tuoi discepoli non digiunano?!". Fosse stato per me, avrei semplicemente lanciato a quel cretino e ai suoi compari: "Fatevi gli affaracci vostri, brutti imbecilli!" invece il Maestro, sorridendo tranquillo, ha replicato mite: "Non è possibile che gl’invitati a nozze siano in lutto mentre lo sposo è con loro. Digiuneranno quando lo sposo sarà loro tolto. Chi mai mette un pezzo di stoffa grezza su di un vecchio vestito?! I vostri usi sono come un vecchio abito ormai logoro. Il rattoppo con stoffa nuova squarcerebbe il vestito procurando uno strappo peggiore. Neppure si mette il vino nuovo negli otri vecchi e ormai consunti, se no questi si rompono per la residua fermentazione, vanno perduti e il vino si versa. Invece, si mette il vino nuovo in forti otri nuovi e così anche i vecchi si conservano". "Nella Legge non c'è nulla di simile!" ha replicato duro un altro di quei noiosi. Se ne sono andati con espressioni indignatissime.

Noi abbiamo in seguito discusso sulle parole di Gesú, concludendo ch'egli portava sì un messaggio nuovo, ma che pure il vecchio meritava d'essere conservato. Invece, ancora ci chiediamo cosa significasse che lo sposo non sarà più con gl’invitati. Gesú si riferiva a sé? Farà un viaggio da solo? Si sposerà e ci abbandonerà? Perché, almeno con noi, non si spiega chiaramente?!

Proprio farraginose quelle mie prime ore da discepolo! Mentre s'era solo alla metà del pasto, è giunto affannato il capo della sinagoga di Cafarnao, Giàiro, s’è inginocchiato dietro al Maestro e gli ha detto ansimando a testa bassa e mani giunte: "Mia figlia è moribonda, ma se tu vieni e imponi la tua mano su di lei, vivrà". Suppongo avesse avuto notizia della guarigione del paralitico. Tuttavia, proprio in quel momento è sopraggiunto qualcuno di corsa gridando, in verità senz’alcuna delicatezza: "È morta!". Giàiro è balzato in piedi lanciando un urlo; tuttavia, memore della propria alta carica, s’è subito ricomposto e… ha detto a Gesú una cosa che m'è apparsa del tutto assurda: "Se tu vuoi, ella rivivrà!". Ridare la vita è enormemente di più che sanare un male: ho pensato che il Maestro si trovasse davvero in grave imbarazzo. Invece, tranquillamente s’è alzato dal desco ed è andato via con Giàiro; noi dietro, curiosissimi. Non bastava. Sulla via, una donna che soffriva notoriamente d'emorragia ininterrotta all'utero da dodici anni, ed era dunque esclusa dalla comunità di preghiera perché impura come tutte le femmine durante i mestrui, gli s'è avvicinata alle spalle, passando fra i molti che avevano preso a seguirlo, e gli ha toccato il mantello. Senza voltarsi il Rabbì ha chiesto, ma con un viso che non esprimeva vera interrogazione: "Chi m'ha toccato?". Doveva aver già intravisto quella disgraziata. S'è girato e le ha detto, semplicemente: "Coraggio, figlia mia, la tua fede t’ha sanata"; e lei è guarita davvero: "Sì, ha smesso!" ha urlato piena di gioia. "Vai subito a lavarti", le ha raccomandato il Maestro, "poi presentati a un sacerdote coniugato e non vedovo e fatti visitare da sua moglie, per avere da lui la dichiarazione ufficiale di purità ed essere riammessa alla preghiera nel tempio". Siamo giunti dopo una buona mezz'ora alla casa del capo della sinagoga, piuttosto distante. Con mia delusione, Gesú ha preso con sé solo Simone, Giacomo e Giovanni e, entrando, ha chiesto a noi altri d'aspettarlo sul retro, davanti all'uscio secondario; perciò quanto segue m’è stato raccontato da quei condiscepoli dopo ch'erano usciti. Vedendo in casa flautisti appena convocati per accompagnare le preghiere funebri e udendoli lanciare le alte grida di dolore che sono nell'uso, il Maestro ha ordinato loro: "Ritiratevi perché la fanciulla è viva e soltanto sta dormendo". Quelli, persone abituate ai lutti e per nulla coinvolte se non per mercede, lo hanno deriso: "È arrivato il gran medico!"; "…ma guarda tu che arcitonto!"; "Capisce le cose al volo, eh? l'intelligentone!". È intervenuto Giàiro che ha mandato via con malagrazia quei villanzoni e pure i propri famigliari e servi che s'erano accalcati attorno a Gesú e creavano confusione; poi l'ha di nuovo scongiurato di risuscitare la figlia, una ragazza che, mi è stato detto, dimostrava una dozzina d'anni. Senz’indugio il Maestro ha preso la mano della morta, le ha ordinato di alzarsi e... lei si è alzata! Ha comandato di darle da mangiare e, subito dopo, senza fermarsi almeno ad ascoltare i ringraziamenti e le lodi di Giàiro, è uscito per la porta secondaria, che dà sull'orto dove noi altri lo si aspettava. Io, saputo che la ragazza era di nuovo viva, son rimasto esterrefatto. Se n’è sparsa immediata fama attorno alla casa, anche se il nostro Rabbì, come ormai ho capito, non vuole gli entusiasmi d'una folla avida solo di sensazionale; benché il Maestro fosse uscito discretamente dal retro, è stato intravisto dall'accompagnatore di due ciechi che immediatamente ci ha seguito coi suoi assistiti, i quali hanno preso a urlare con voci assordanti: "Figlio di Davide, abbi pietà di noi!" così che hanno attirato tutta l’altra gente. Quando abbiamo fatto per risederci alla mia mensa, sempre seguiti da quel codazzo molesto, i ciechi hanno finalmente osato accostarsi. Il Maestro ha chiesto loro: "Credete che io possa guarirvi?". Gli hanno risposto di getto: "Sì, Signore"; e Gesú: "Sia fatto secondo la vostra fede", ed essi hanno veduto. Poi ha chiesto alla folla d'allontanarsi e ai due di non diffondere oltre il fatto, ma non erano ancora lontani che già gridavano a squarciagola la notizia a tutti quelli che incontravano. Così sono arrivate nuove persone che, senza lasciarci continuare il pranzo appena ripreso, hanno presentato a Gesú un indemoniato muto; e il Maestro, nuovamente impietosito, scacciando il demòne di quel male ha dato la parola al poveretto; però alcuni farisei shammaiani, che s'erano avvicinati per spiare, hanno sparso voce, davanti alla casa, che fosse stato il Diavolo ad aiutarlo: altri gran guastafeste gli shammaiani, fanatici del rigore! Fatto sta che, arrabbiatissimo per l’attacco al Maestro e, forse, pure perché aveva fame e voleva finire il pranzo tranquillo, il discepolo Simone Bar Giona, uomo robusto che porta sempre con sé un lungo bastone per tenere a bada la folla, ha chiesto veementemente a Gesú se dovesse andare "a legnarli tutti quanti sul loro dannato groppone". Il Maestro lo ha calmato: "Otterresti di farti imprigionare e fustigare per aggressione, non di porre freno alle calunnie; anzi, direbbero ch’è stato il Diavolo a picchiarli perché erano nella verità: no, Simone, non è con la violenza che si convertono i peccatori". Finalmente s’è terminato il pasto in pace; immediatamente il Rabbì ha annunciato ai suoi discepoli che con loro avrebbe lasciato la città il dì seguente e io ho scelto, lì per lì, di seguirlo, lasciando ai miei parenti l'amministrazione della dimora e la tutela di mia moglie. Ho preso parte della pecunia che avevo in casa, per metterla a disposizione della comunità. Mia moglie mi ha quasi urlato: "Quel mago ti ha ipnotizzato per averti come servo e farsi regalare i nostri soldi! Tutti quei falsi ciechi e paralitici sono suoi complici; e la ragazzina morta, poi…ah, che babbeo sei! Giàiro e la sua famiglia erano d'accordo, non l'hai capita?! Se no, perché quel furbastro non avrebbe voluto che tu entrassi in casa, eh?". Credo che, prima di conoscere il Maestro, l’avrei presa a botte, ma l’incontro con Gesú m’ha addolcito e così, semplicemente, non ho risposto a Sara e sono uscito: senza neppure sbattere la porta. Ormai da gran tempo non andavo più d'accordo con mia moglie, tanto che stavo quasi pensando al ripudio; oltretutto, Sara è terra sterile, non m'ha dato neppure un figlio; ma ora che sono via io, non sarà più necessario mandar via lei. Ho raggiunto il Maestro e i suoi nella casa dei fratelli pescatori Simone e Andrea, dove tutti hanno base. La mattina dopo, siamo partiti.



Ho avuto qualche notizia su parenti di Gesú. Il mio condiscepolo Giacomo Bar Cleofa mi ha detto d’essere egli stesso congiunto del Maestro: fu seminato in Maria moglie di Cleofa il quale era parente del defunto Giuseppe di Nazareth padre del Maestro. Ha aggiunto che Cleofa e Maria ebbero anche un altro figlio, Giuseppe il giovane, che a differenza di Giacomo ha preferito non seguire il Rabbì e a Nazareth gestisce la bottega che fu di Gesú e, prima di lui, di suo padre Giuseppe il vecchio. Altri parenti di Gesú sono Simone e Giuda, figli di Taddeo ed Emeria la quale è congiunta di Anna, la mamma di Maria di Nazareth, e perciò è parente del Maestro. Anche Giuda Bar Taddeo è discepolo di Gesú mentre ho saputo che Simone, come il giovane Giuseppe Bar Cleofa, non ne subisce affatto il fascino ed entrambi lo considerano uno stravagante e sparlano di lui.



Abbiamo girato per città e villaggi. Ieri il Rabbì ha guarito una certa Maria che aveva i sette diavoli della lussuria nel ventre, per cui doveva congiungersi ogni giorno con molti uomini e senza mai averne soddisfazione. Era stata ripudiata dal marito che, sapendola assatanata, per compassione non ne aveva chiesto la condanna a morte per adulterio e l'aveva scacciata segretamente. Viveva da girovaga, coi doni che le facevano i maschi con cui peccava, e il suo nome era famigerato. Ieri sera s'è presentata inaspettatamente a Gesú, mentre si cenava. Il Maestro era, con alcuni di noi, sotto il portico della casa d'un certo Simone, un fariseo shammaiano che l’aveva invitato, d’accordo con altri della propria setta, per capire meglio cosa pensasse di loro e che, subito, l'ha compreso molto bene: Gesú, rispondendo a una precisa domanda del padrone di casa, senza esitare gli ha detto: "Vi credete santi perché praticate le forme di culto, e per voi tutti quelli che non sono farisei sono peccatori, gente della terra li chiamate, perché dite che solo voi risorgerete e tutti gli altri resteranno sepolti nella morte eterna;


ma io vi dico che il peccatore che si pente è enormemente maggiore di voi che non vi pentite e che l’infero della morte vi aspetta eternamente, se non cambiate mentalità".

Il nostro Rabbì ha idee chiarissime. Non l'ho sentito una sola volta predicare o rimproverare premettendo dei forse e dei mi pare, frequenti nel parlare comune. Non ha vezzo alcuno, non teme il giudizio e le reazioni di coloro che bolla, il suo pensiero è fermo e il suo insegnamento è così alto che è impossibile, per un uomo in buona fede, stupirsi delle sue certezze e della forza della sua parola.

Proprio allora la peccatrice, che doveva averlo visto entrare, s’è intrufolata e s’è buttata in ginocchio davanti al Maestro, bagnandogli i piedi con le lacrime. Li ha asciugati coi propri capelli e ha iniziato a cospargerli di un olio profumato che aveva portato con sé. Simone il fariseo ha avuto un’espressione di disgusto: per lui, quella donna era tra le peggiori della terra. Ha parlato negli orecchi a due scribi della sua setta, che erano stesi sulle stuoie ai suoi lati. Costoro hanno guardato Gesú e hanno tentennato la testa. Com’egli ci ha poi spiegato, dovevano aver pensato che non sapesse distinguere una peccatrice da una donna onesta e, dunque, passasse ingiustamente per un maestro. Il nostro Rabbì l'ha interpellato con severità: "Simone, osserva bene questa donna. Io sono entrato ospite da te e, per disprezzo nei miei riguardi, non m’hai dato la rituale acqua per i piedi e il panno per rasciugarli; lei me li ha lavati con le lacrime e me li ha asciugati coi capelli, cioè con tutta sé stessa. Men che mai tu hai ordinato ai servi di cospargermi il capo con olio profumato, lei m’ha asperso sui piedi il profumo che ha comprato apposta per me con tutte le sue sostanze. Poiché ha molto amato, le sono perdonati tutti i suoi peccati ed è liberata dai demòni del furore dei sensi. È invece a chi ama poco che poco si perdona". Qui, aprendosi al sorriso s’è rivolto alla donna: "Maria, ti sono perdonati i tuoi peccati. Per la tua fede, sei salva. Va' in pace". Quei bacchettoni dei commensali, ovviamente, si sono scandalizzati: "Chi crede mai d'essere quello là, per perdonare i peccati?" ha fatto un primo, steso in prossimità del padrone di casa; "Si pensa forse l’Altissimo in persona, ’sto peccatore?!" ha calcato un secondo, più vicino al nostro Rabbì; "Bestemmia! Bestemmia!" è venuto da molti altri. L’ospite ha congedato assai rudemente Gesú, noi e la donna: spintonati dai servi, ci siamo trovati in istrada. Quella Maria, non appena fuori, assolutamente calma come se non avesse appena subito oltraggi e violenza, ha baciato le mani al Maestro e gli ha chiesto se poteva seguirlo. Le ha risposto Gesú, a sua volta serenissimo ben diversamente da noi: "È ancora troppo presto per le donne, ma tra un anno potrai raggiungermi a Cafarnao, se lo vorrai ancora".



Quasi tutto il popolo crede da secoli alla venuta del Messia dell’Altissimo. Ormai soltanto i sadducei e i farisei vicini al tempio e al sinedrio, coi loro seguaci, accolgono la tradizione sacerdotale per la quale il cielo


sostiene Israele solo se obbedisca alla lettera alle norme mosaiche, che i sacerdoti hanno il dovere di far rispettare con assoluto rigore, fino all’implacabilità, tradizione secondo la quale i sacerdoti stessi sono i capi d’Israele. Tutti gli altri seguono la più pietosa tradizione messianica per la quale l’Altissimo ha fatto a suo tempo un patto col re Davide, promettendogli protezione per la sua discendenza fino a suscitare l’ultimo, più grande e più magnanimo dei re, il Messia. Diverse persone pensano che proprio il nostro Rabbì sia l'Unto promesso dalle Scritture, il re che guiderà Israele a dominare il mondo e fonderà l'universale regno di pace senza fine, e anch'io la penso così. Ecco perché i due ciechi lo avevano chiamato figlio di Davide e Signore. C’è tuttavia parecchio da fare prima del trionfo; ieri ci ha detto: "C'è molta messe ma pochi sono gli operai. Pregate dunque il padrone della messe perché mandi operai". Evidentemente ha voluto farci notare che non abbiamo ancora un esercito per conquistare il potere. Così abbiamo pregato. Gesú ci farà suoi ministri? Che salto sarebbe, da disprezzato pubblicano a ministro del re! Immagino la faccia basita che farebbe quella cretina violenta di mia moglie nel saperlo! Da altri, s’intende, ché certamente non me la terrei accanto, quella scema arrogante. Quando ho parlato cogli altri discepoli della conquista del regno e della nostra nomina a ministri, sono apparsi sui loro volti sorrisi di gran soddisfazione; non su tutti però, non su quello del condiscepolo Giovanni; il giovanetto, anzi, ci ha guardati con un certo compatimento, poi ha detto: "Il Maestro conquista nella pace". Strano ragazzo, devo dire; e poi a quell'età, non dovrebbe permettersi di guardarci così!


Parte seconda (#ulink_a2eb7ff5-ab1a-5e03-8c78-700ddf380b1b)









Il Rabbì è a Gerusalemme con alcuni di noi per pregare nel tempio. Ne approfitto per riportare, come m’ero ripromesso, precedenti fatti e detti pubblici di Gesú Bar Giuseppe, secondo quanto mi hanno raccontato miei condiscepoli.



Come sapevo qual suo concittadino


, fino ai ventitré anni è stato d'aiuto al padre Giuseppe di Betlemme, costruttore


. A causa del pochissimo lavoro nella piccola Nazareth, la gran parte dell'attività dei due s'è svolta a Sepphoris, a un'ora e mezzo di cammino, città già distrutta dai romani durante la conquista della nostra terra e che, un quarto di secolo fa, il tetrarca di Galilea Erode Antipa aveva deciso di far ricostruire, secondo le norme architettoniche greco-romane, fornendo gran lavoro agli artigiani. È oggi una grande città, che continua ad ampliarsi, con un teatro da seimila posti, riferimento culturale per tutta la Galilea, botteghe, negozi, edifici pubblici, banchi di prestito, bagni purificatori per noi ebrei, terme per i gentili. Poiché a Sepphoris si parla, normalmente, il greco, Gesú ha avuto modo d'impararlo bene


.

Mi hanno detto che il Maestro ha iniziato la sua vita pubblica trentatreenne, una trentina d’anni dopo la morte del re Erode


, nel quindicesimo anno dell’impero di Tiberio Cesare


e nel terzo dalla nomina di Ponzio Pilato a governatore di Giudea


. Aveva abbandonato il suo lavoro dieci anni prima, dopo la morte del proprio padre. Nel pregare l’Altissimo, come faceva continuamente, aveva sentito in cuore la voce divina comandargli di lasciare Nazareth e andare a Gerusalemme per aumentare la propria cultura. Aveva dunque affidato Maria la madre e la gestione della bottega a Giuda Bar Taddeo e a Giuseppe e Giacomo Bar Cleofa, già garzoni di suo padre. Per un decennio, aveva studiato nella città santa presso la famosa scuola farisaica fondata dal misericordioso rabbì Hillel che, com’è ben noto, prèdica non solo di non fare il male a nessuno, ma di fargli tutto il bene possibile, a parte i nemici ovviamente e, fra questi, i samaritani e gli occupanti romani


.

Circa sei mesi fa, seguendo un'altra ispirazione, Gesú s’è unito al gruppo del profeta Giovanni detto il battezzatore il quale, lasciato un suo eremitaggio nel deserto, aveva preso a predicare al popolo e gli ha impartito il battesimo di penitenza. Giovanni battezza secondo gli usi degli esseni di Qumran sul Mar Morto tra i quali era stato da giovanissimo, sebbene non appartenga più a quella congregazione a causa di varie divergenze, anzitutto sul tempo dell’avvento del Messia e sulla sua figura: per gli esseni sono addirittura tre gli Unti che verranno, uno sacerdote, uno re e uno profeta, e non, come sempre s'è creduto, un Messia solo. C'erano stati inoltre duri contrasti su come considerare il prossimo onesto: per quelli di Qumran, l’essenziale è essere nella setta e quando se ne sia al di fuori, anche se galantuomini, si è figli del male. Fanatici! In generale, essi hanno usi estremamente rigorosi, fino alla spietatezza, e pure eccentrici; ad esempio, a chi si fa adepto il matrimonio viene proibito, diversamente dall'uso d'Israele per il quale ogni uomo si sposa, di solito entro i vent'anni; e se è vero che i già coniugati possono esser ammessi a Qumran, essi vengono tuttavia considerati meno nobili degli altri. Presso gli esseni poi, chi ha difetti fisici è considerato un peccatore o un figlio di peccatori, egli è visto, per questo solo fatto, come un maligno: in ciò gli esseni seguono, estremizzandola, la tradizione religiosa conservata dai farisei scribi: è un atteggiamento opposto a quelli del nostro Rabbì e di Giovanni i quali, uscendo in questo caso dagli usi, non vedono nei difetti fisici e nelle malattie marchi di peccato. In breve, la dottrina e la liturgia essene portano all'estremo le norme di purità fisica praticate dai farisei che, a loro volta seguono le orme di quei giudei i quali, secoli or sono, in opposizione alla dominazione del re straniero Antioco Epifane e dei suoi successori, si appartarono dal resto del popolo; ma per quelli di Qumran, i farisei sono comunque condannati dal cielo perché, essi dicono, non sono abbastanza rigorosi e, inoltre, perché vogliono guidare il popolo con insegnamenti, invece di starsene orgogliosamente separati come gli stessi esseni; e dire che Gesú sgrida invece certi farisei proprio per la ragione contraria, ritenendoli troppo formalisti e con poco amore per il prossimo! Sì, c'è un'enorme differenza tra l'amoroso Gesú e quegli odiatori esseni. Quanto a Giovanni, mi pare ch'egli sia in una posizione di mezzo, essendo giusto e desideroso di giustizia come il nostro Maestro ma un po' meno misericordioso verso i peccatori che, comunque, ritiene perdonabili qualora si pentano. Come Gesú aveva riferito ai miei condiscepoli, quelli di Qumran, diversamente da tutti noi ebrei che solo a Pasqua teniamo la cena in ricordo della liberazione del nostro popolo dalla schiavitù d'Egitto, praticano ogni giorno la cena solenne con benedizione del pane e del vino. Peraltro presso gli esseni di Qumran, seguendo in questo caso gli usi antichi per i quali, in ogni gruppo religioso, il rabbì raccoglie attorno a sé dodici consiglieri-collaboratori, gli assistenti del gran maestro sono appunto dodici: dodici come le tribù d'Israele, se non si conta quella di Levi che, a differenza delle altre, non aveva ricevuto, a suo tempo, territorio in amministrazione ma, in paga, aveva avuto dignità sacerdotale. Gli esseni, poi, credono nella predestinazione, a differenza di Gesú e di Giovanni i quali richiamano all'impegno e sgridano chi non ami il prossimo. È assurdo credere d’essere predestinati! Che merito avrebbero coloro che amano, che colpa avrebbero coloro che odiano? Per gli esseni, figuriamoci un po', è un merito nonché un indizio della loro predestinazione divina alla salvezza l’amarsi soltanto tra essi stessi, rigorosamente, e l’odiare, altrettanto con rigore, chiunque non sia dei loro; essi pronunciano, tra altre maledizioni ai non esseni considerati tutti figli di Satana, addirittura la seguente: Quando alzi le tua grida, Dio non ti usi misericordia, né ti perdoni cancellando le tue iniquità. Impiegano nei discorsi e negli scritti le espressioni figli della luce e figli delle tenebre, e se è vero che si tratta di espressioni simboliche presenti in tutte le culture, come imparai su testi che raccolsi in passato nella mia biblioteca domestica, ben diverso è, in merito, il sentire della setta rispetto al nostro: per gli esseni tutti, a parte essi stessi, sono figli delle tenebre, quindi anche i seguaci di Giovanni e noi discepoli di Gesú, noi che, diversamente, consideriamo figlio delle tenebre non chiunque appartenga a un altro gruppo ma solo chi, realmente, faccia il male; ma tant'è, per quei fanatici conta solo l'appartenenza, non le intenzioni buone o cattive del cuore. Giovanni, diversamente dai suoi antichi compagni di Qumran, non aspetta affatto un finale Giorno dell'Odio in cui tutti i non esseni saranno massacrati dall’Altissimo, né lancia maledizioni contro i peccatori, solo inveisce, in verità aspramente, contro di loro, a qualunque categoria essi appartengano, invitandoli a pentirsi e a darne il segno nel battesimo. Quella setta infine, diversamente da noi e dai seguaci del battezzatore, pratica divinazione, astrologia e magia: Gesú aveva saputo da Giovanni e riferito ai miei condiscepoli che gli esseni conservano fra i testi della loro enorme biblioteca, in Qumran, le famigerate opere di carattere magico-divinatorio Peana per il re Jonathan, Brontologion, Formula contro gli spiriti maligni da un amuleto, Testo fisiognomico, L’era della luce sta venendo e, addirittura, il libro Egli amò le sue emissioni corporali!


Peraltro, degli esseni Giovanni ha mantenuto lo stesso rigore di vita conducendo un'esistenza di rinunce, anzi il battezzatore è persino più severo di loro, tanto che la sua dieta radicalizza il divieto di Mosè di mangiare sangue fino al punto ch'egli rifiuta carni d'animali, anche se sgozzati e liberati così dalla linfa di vita donata dall’Altissimo: egli mangia cavallette, cibo purissimo secondo il Levitico perché del tutto privo di sangue. C'è chi afferma che tali bestioline siano anche gradevoli al gusto, specialmente se abbrustolite; sarà, io non ho mai provato ad assaggiarle e cercherò di farne sempre a meno perché, in verità, mi schifano assai.

Gesú è stato battezzato dal parente nel fiume Giordano, in un momento in cui c'era gran folla: me l'hanno riferito Giuda di Qerijoth, Andrea e Giovannino, anch’essi in quei giorni discepoli di Giovanni. Un momento prima, inaspettatamente per tutti, il battezzatore aveva affermato a gran voce, rivolto al nostro Rabbì: "Tu non hai peccato mai! Non hai bisogno d’acqua di penitenza. Io dovrei essere battezzato da te e tu, invece, vieni da me?!". Il battesimo è avvenuto esclusivamente perché Gesú ha insistito: "Lascia che sia così per ora, in quanto occorre che adempiamo ogni giustizia". Secondo Andrea, con ‘giustizia’ ha inteso ‘osservanza del piano dell’Altissimo’: pensa che quel battesimo sia stato per il Maestro come un'unzione a Messia. Dice infatti d’aver sentito nella mente, e come lui il battezzatore e tutti i presenti, una tonante voce scendere come se stesse planando dal cielo, così come fa una colomba quando cala per posarsi a terra, ed esprimere un richiamo al profeta Isaia: "Questi è il mio figlio prediletto, nel quale mi sono compiaciuto"


. Il parente di Gesú ha pronunciato quanto stava udendo, così che la sua parola ha fatto eco a quella che risonava nella mente d'ognuno. "Per questo segno", m'ha detto Andrea, "quando, tempo dopo, Gesù è venuto a chiamarmi come suo discepolo, mi son unito a lui, insieme al mio parente Simone". "Anch'io", s'è aggiunto Giovannino. Sì, penso che Gesú sia l'Unto promesso, il re che libererà Israele e porterà la nostra gente alla conquista della terra. Giuda di Qerijoth ne è sicuro: per certe sue parole, io suppongo che questo condiscepolo aspiri a divenire il primo ministro del nuovo regno. Il giovane Giovanni ha una sua opinione sul battesimo di Gesú, e sono d'accordo con lui: "Sì", mi ha detto, "il battesimo può essere stato come un'unzione, ma ha avuto pure un altro scopo, manifestare al mondo l'umiltà del nostro Maestro: un Messia colmo di splendida umiltà". Un re umile e mite non s’è mai visto in tutta la storia d'Israele. Sarebbe magnifico.



Ho saputo questa mattina da Andrea che il battezzatore è figlio di un certo Zaccaria e di una certa Elisabetta figlia della defunta Emeria che era parente stretta della madre di Maria la mamma del nostro Maestro; dunque questi è a sua volta parente prossimo di Giovanni Bar Zaccaria. Si racconta che Elisabetta avesse concepito essendo ormai molto vecchia, sui quarant’anni, essendo sposa da oltre venticinque e non avendo avuto alcun figlio prima di Giovanni profeta; e che solo per un miracolo del Signore fosse rimasta incinta. Certuni, ma non noi discepoli, pensano che il Messia non sia Gesú ma quel suo parente: in neppure un anno di vita pubblica, il battezzatore ha acquistato gran fama presso il popolo. Si dice che sia un uomo imperioso, con tutta la forza di volontà d'un vero re, sebbene vesta poveri pelli di cammello trattenute da una cintura di cuoio da poco prezzo: pare che li indossi per dimostrare di non essere più esseno, dato che per questa setta si tratta di abiti impuri. Giuda, Andrea e Giovannino testimoniano che una volta, prima che Gesú entrasse nel movimento giovanneo, il suo parente, mentre stava battezzando presso Betània, aveva visto superbi sadducei e pomposi farisei scribi venire al Giordano ed era divenuto violaceo in volto, quindi aveva inveito a pieno fiato contro di loro, benché persone potentissime: "Razza di vipere! Chi vi ha suggerito di sottrarvi all'ira imminente dell’Altissimo? Fate invece frutti di conversione e non crediate che sia verità quanto fra voi affermate: Abbiamo Abramo per padre. Vi dico che l’Altissimo può far sorgere figli d'Abramo da queste pietre. Già la scure è pronta presso la radice degli alberi e ogni albero che non produce frutti sarà tagliato e gettato nel fuoco!". "Perché battezzi?" gli avevano domandato quelli, senza scomporsi, quando gli erano stati innanzi, e avevano aggiunto a beffa: "Sei il Messia, o Elia tornato in terra, o un altro profeta? Rispondici, ché possiamo riferire a chi ci ha inviato a interrogarti". Giovanni allora, mostrando di non aver colto l’ironia e placando il tono: "Sono solo la voce di uno che grida nel deserto: Preparate le vie del Signore, come profetò Isaia…"; "…ma perché battezzi, se non sei né il Messia, né Elia, né un profeta? Come osi?!" gli era stato rilanciato con tono sprezzante. Il battezzatore era tornato all'istante paonazzo e aveva gridato, spruzzandoli di saliva viscosa: "Io battezzo con acqua per il pentimento di conversione, ma colui che viene dopo di me ed era prima di me è già in mezzo a voi ed è più potente di me: io non son degno di calzare i suoi sandali o anche solo di scioglierne i legacci.


Sono venuto a battezzare con acqua soltanto per far conoscere il suo nome. Egli battezzerà nella Ruah


, il Vento dell’Altissimo, e nel suo fuoco. Ha in mano il vaglio e con questo monderà la sua aia, raccoglierà il grano nel granaio e brucerà la pula con un fuoco inestinguibile!". Quei loschi se n’erano andati soffiando velate minacce: "Riferiremo, riferiremo: sta' pur certo che riferiremo così come hai detto". M'è parso chiaro che Giovanni intendesse che il vero Messia è il nostro Maestro, ma mi sono chiesto qual fosse il significato preciso di fuoco: che chi non sarà col re Unto sarà bruciato sul rogo? e perché il fuoco anche nel benigno battesimo? Il battezzato si scotterà? Ne ho parlato ai condiscepoli. "No, Matteo", ha commentato il giovane Giovanni, "non si scotterà: le stesse Scritture paragonano l’Altissimo al fuoco che illumina e scalda, e quel fuoco battesimale è certo un simbolo del suo ardente amore". Ha ragione, il paragone è nell'Esodo, nel Deuteronomio e in Ezechiele: questo giovane ha più cultura di quanto pensassi! Comunque, è certo che per i nemici non si tratta d’un fuoco benigno; eh, no; no davvero.

Dopo aver ricevuto il battesimo, il nostro Maestro s’è ritirato, soffrendo la fame, a meditare e pregare nel deserto. Non sapevano precisarmi per quanti giorni, ma mi hanno riferito ch’erano assai numerosi, per cui si può dire, come nell’uso, per quaranta giorni, così com’è convenzione dire per quarant'anni a proposito del molto tempo passato da Israele nel deserto fra la fuga dall’Egitto e la conquista della nostra terra. Di sicuro, mangiare locuste, miele selvatico e radici, e per di più solo dopo il tramonto


, non sazia lo stomaco. Ho saputo da Giovannino, Gesú stesso gliene aveva parlato, che durante quel ritiro il Maestro è stato molto tentato dal maligno che gli ha promesso cibo in abbondanza e, ben più, potere regale e gloria, chiedendogli però sottomissione. Secondo il mio buon senso, doveva essere un emissario di Cesare, a parte che sicuramente aveva il Diavolo dentro: a quanto penso, Roma teme il Messia e vuol farselo amico promettendogli un regno fantoccio come quello d’Erode Antipa. Figuriamoci un po' se il re Unto dall’Altissimo potrebbe render conto all'imperatore bestemmiatore sacrilego, e immaginiamoci se può averne paura! No, invece abbatterà quell'impero del male, e io con lui; e sarò suo ministro! Per scrupolo voglio anche annotare che, secondo il mio giovane condiscepolo, il demonio avrebbe addirittura condotto, per magia, Gesú su un monte altissimo, mostrandogli tutti i regni del mondo e promettendoglieli in dono se il Maestro l'avesse adorato. Mi sembra un'esagerazione, continuo a pensare che gli abbia solo promesso il regno pupazzo del tetrarca di Galilea. Riferisco le risposte che Gesú, sempre secondo il giovane Giovanni, ha dato a quel maligno. Per quanto riguarda la tentazione che faceva leva sulla fame, gli ha risposto sdegnosamente: "Non di solo pane vive l'uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca dell’Altissimo!". È chiaro che solo uno sciocco poteva pensare che una tempra come Gesú cedesse per fame. Altra risposta al maligno servo dell’imperatore: "Sta scritto: Ai suoi angeli darà ordini al tuo riguardo, ed essi ti sorreggeranno con le loro mani, perché non abbia a urtare contro un sasso il tuo piede": il condiscepolo m’ha riferito che il maledetto aveva condotto il Maestro sul pinnacolo del tempio di Gerusalemme, sfidando poi Gesú a buttarsi giù per mostrare a tutti il suo potere di Messia: infatti, avrebbe detto quel maligno con un ghigno, sicuramente gli angeli interverranno a sostenerti. "Voleva far leva sulla superbia del Maestro", ha commentato il giovane Giovanni, "ma gli è andata male, perché Gesú è umile". Alla fine l'emissario di Roma deve avergli proposto di adorare l'imperatore per esserne fatto re, perché ha ricevuto in risposta: "Adora l’Altissimo e a lui solo rendi culto!". Preciso che, secondo Giovannino, il Diavolo, com'egli lo chiama, avrebbe chiesto a Gesú d’adorarlo direttamente; ma è evidente che si riferiva all'imperatore, in quanto il prostrarsi al messo sarebbe stato un simbolo di sottomissione a Cesare. Comunque, poiché il nostro Rabbì ha una personalità fortissima, l'altro s'è rassegnato ad andarsene. Secondo il discepolo Filippo, ebreo ellenizzato che conosce la filosofia e uomo assai razionale, il racconto dell’incontro di Gesú con quel brutto figuro era simbolico, indicava allegoricamente le tentazioni entrate nel suo cuore durante il ritiro nel deserto e non solo, ma pure quelle subite nel corso della vita e che sempre ha saputo superare. "Dopo qualche tempo", ha aggiunto Filippo, "dev'essere passata una carovana e, essendo trascorso il periodo di digiuno che s'era ripromesso, Gesú ha potuto saziare la sua fame". Veramente Giovannino mi ha raccontato che, secondo il Maestro, si trattava di angeli dell’Altissimo. Per Tommaso, persona dal carattere assai pratico, potrebbero avere ragione tanto lui che Filippo: "Infatti, anche se fossero stati carovanieri ispirati dal cielo perché passassero di là a sfamare Gesú, si sarebbe trattato, di fatto, di messaggeri


dell’Altissimo". Ho chiesto ai compagni: "Visto che sa fare portenti, perché mai, quand'è scaduto il termine, non s'è sfamato con un miracolo, invece d'aspettare i messaggeri del cielo?". Simone Bar Giona m'ha risposto: "In quel tempo non lo conoscevo ancora, posso però dire che, da quando sono con lui, l'ho visto miracolare sempre e solo gli altri. A volte ha sofferto malanni, come quando ha preso una storta posando male un piede, ma non s'è sanato, ha atteso che la guarigione venisse da sola, col passare dei giorni".

Gesú, lasciato il deserto, s'è diretto al lago di Cafarnao, da altri detto di Tiberiade dal nome della capitale del tetrarca Antipa Bar Erode, dedicata all’imperatore Tiberio suo protettore, e da altri ancora, con un certo eccesso, chiamato mar di Galilea. Qui, lungo la riva, ha incontrato due parenti prossimi figli degli stessi genitori, i miei condiscepoli Simone e Andrea, semi di Giona


, che coi garzoni stavano gettando le loro reti nel lago per pescare. Ha loro ordinato: "Venite con me e vi farò pescatori di uomini" e i due, così com'è poi avvenuto per me, l'hanno seguito senz'altro; hanno affidato l’azienda al socio Zebedeo. Poco più in là, ha chiamato altri due pescatori, Giacomo e il giovane Giovanni, figli del medesimo Zebedeo, che hanno piantato padre, garzoni, barche e reti e gli sono andati dietro. Il genitore ha urlato loro, come un indiavolato, di non perdere tempo, ché Giovannino ne aveva già perduto fin troppo col battezzatore ed era pazzesco che addirittura entrambi i figli lo abbandonassero e, per di più, adesso che aveva anche le barche di Simone e Andrea da gestire; ha loro intimato, minacciando di diseredarli, di riprendere subito a lavorare. Inutile, se ne sono andati lasciandolo là che gridava: "Come farò ad affidarmi ai soli dipendenti? Ci deruberanno! Ci deruberanno!".

Usciti da Cafarnao, sulla via hanno incrociato un filosofo che Gesú aveva frequentato a Gerusalemme, Filippo di Betsàida. Dopo essersi riconosciuti e salutati, l'uomo gli ha confidato d'essere rimasto deluso dai propri maestri e che se ne stava tornando per sempre a casa propria. Gli ha precisato: "Nei primi tempi sembrava tutto coerente con quanto già sapevo, ma i vertici tenevano segreta la loro vera dottrina e quando, dopo l'iniziazione, ce l'hanno finalmente rivelata, ho capito che non corrispondeva interamente alla Torah di Mosè


. Per loro, il mondo era stato creato da un demiurgo, un arconte dell’Altissimo che gli aveva disobbedito, forse Satana anche se non lo chiamavano così, perché Colui che cammina sulla sfera di cristallo del firmamento


non aveva nessuna intenzione di creare il mondo materiale; e ci hanno insegnato che il peccato non viene dalla libertà dell'uomo, come si legge invece per Adamo che scelse di peccare, ma è nella materia stessa. Eppure sappiamo da Mosè che l’Altissimo contemplò quanto aveva creato e vide ch'era buono! I nostri maestri ci avevano insegnato che non bisogna procreare, perché ogni corpo umano è male, ma il Santissimo disse ai primi due sposi del mondo: Crescete e moltiplicatevi! Poi ci avevano addirittura introdotti alla magia, che la Legge condanna, insegnandoci a mescolare spiritualmente acqua, aria, terra, fuoco per trarne un'ineffabile quintessenza e quindi salire fino all'estasi per sentirci noi stessi parte dell'eterna luce divina; ma Mosè dice che l’Altissimo insufflò in noi lo spirito della sua vita solo quando ci creò, qui nel mondo, dunque che prima non eravamo, non che già vivevamo come parti di lui prima d'essere cacciati nei nostri corpi per la nefanda iniziativa del demiurgo. Una cosa sola di quell'insegnamento esoterico m'aveva commosso, l'idea della futura venuta d'un benigno rivelatore divino che ci avrebbe infine interamente illuminati, consentendoci di raggiungere la gioia". Gesú gli ha detto: "Se vuoi conoscere la vera parola del Creatore, segui me: io sono colui che doveva venire". Filippo, senza commenti, come guidato da forza divina s'è aggiunto al gruppo.

Proprio Filippo mi ha riferito che, di seguito, sono andati a Nazareth, circa un giorno di cammino, a prendere la madre del Rabbì, Maria, perché lei e il figlio erano invitati alla festa di nozze d'un cananeo loro parente.

Tre giorni dopo, entrati in Cana, il nuovo discepolo ha visto un amico che, con gli abiti delle feste, stava uscendosene di casa, invitato a sua volta al matrimonio, il rabbino Natanaele Bar Tolomeo, un uomo di grande idealismo. Dopo averlo abbracciato, Filippo gli ha detto con entusiasmo: "Troverai finalmente colui che cerchi: il Messia di cui parlano Mosè e i profeti è Gesú di Nazareth, figlio di Giuseppe!". "Forse che da quel paese può venire qualcosa che valga?" ha commentato Natanaele con disinteresse. "Parlagli, e vedrai!" ha insistito Filippo, e prendendolo sottobraccio l’ha presentato a Gesú. Allora il Maestro: "Bar Tolomeo, sei un israelita sincero che cerca sempre di tutto cuore la verità. So che, prima che noi giungessimo, tu stavi riposando sotto un fico". "Rabbì", s’è illuminato l’amico di Filippo, "poiché tu vedi anche dove non sei, tu sei davvero il Messia che attendevamo e io vengo con te". "Assisterai a fatti ben maggiori, amico mio".

M'ha raccontato Giovannino che, com’è nell'uso, sul far del mezzogiorno lo sposo, alla guida d'un corteo di amici, compreso Gesú, e accompagnato da suonatori, s'è recato dalla sposa. Questa intanto, con l'aiuto delle amiche e delle parenti, tra cui Maria, aveva fatto il bagno, s'era profumata e vestita d'una candida tunica stretta da una cintola alla vita e d'un velo bianco lungo dalla testa ai piedi e coronato di mirto. Dieci sue compagne vergini, vestite di bianco, con lampade accese sono andate incontro allo sposo e l'hanno condotto alla casa del padre della sposa. Qui i due promessi si sono seduti sotto un baldacchino. S'è posto il Telo della Preghiera sul loro capo. Il padre ha preso la mano destra della figlia e l'ha posta nella destra del promesso, pronunciando: "Il Signore di Abramo, Isacco e Giacobbe sia con voi e vi unisca in matrimonio. Faccia scendere la sua benedizione su di voi e vi consenta di vedere i figli e i nipoti sino alla quarta generazione". Quindi è andato dietro ai novelli coniugi, ha levato al cielo un calice di fragile vetro a benedizione loro e di tutti i parenti e l'ha passato alla coppia perché ne bevesse il vino. Il marito ha gettato quindi il calice a terra, infrangendolo, e ha giurato fedeltà alla moglie "sino a quando i frammenti non si ricomporranno da soli". Infine Gesú, Maria, i discepoli e tutti gli altri hanno preso a girare attorno agli sposini gettando loro orzo e grano ad augurio di fecondità e ricchezza. Verso il tramonto il marito, alla guida del corteo nuziale, ha condotto la moglie e gl'invitati alla propria casa, dov'era pronto il solenne pranzo di nozze offerto dal padre dello sposo; mi ha detto Giovannino: "Il banchetto è stato magnifico, pieno d’allegria, soprattutto quand’è venuto il momento di lanciare frizzi allo sposo. Gesú è stato il più brillante e, a differenza di altri, ha avuto molto garbo. Verso la fine però, la gioia degl’invitati ha rischiato di spegnersi, perché è terminato il vino. Allora il Maestro ha trasformato in un nettare squisito della semplice acqua, così che il padrone di casa non rimanesse mortificato e gl’invitati delusi". Mi ha precisato Giacomo: "È stata la sua mamma a chiederglielo, lui le ha risposto che non era ancora giunta l’ora di manifestarsi, ma alla fine ha accondisceso". Ha puntualizzato Giovannino: "Al suo diniego, Maria ha ordinato ai servi, come se il figlio avesse acconsentito, di fare quanto avrebbe loro comandato lui e Gesú, udendo queste parole, ha ceduto e obbedito a sua madre, perché le vuole molto bene. Fatta attingere acqua dal pozzo, s’è avvicinato alle giare e ha ordinato di mescerla nelle brocche di servizio; ebbene, via, via che l’acqua era versata, si trasformava istantaneamente in vino. Il maestro di cerimonia l'ha assaggiato, com'è suo dovere, ed è rimasto estasiato; è andato dal padre dello sposo a complimentarsi perché aveva serbato il meglio al termine, a differenza dell’uso di mescere vino scadente quando gl’invitati sono ormai brilli. L’altro, non sapendo, s’è mostrato del tutto compiaciuto: Modestamente, ha esclamato tirando indietro la testa e socchiudendo gli occhi, a casa nostra c’è sempre il meglio! Gesú, la madre e noi discepoli abbiamo udito, perché eravamo vicini, e non siamo riusciti a trattenerci dal ridere divertiti; il padrone di casa non ne ha capito la ragione, deve aver pensato a un qualche frizzo tra di noi, perché s’è allontanato raggiante proclamando ad alta voce, con un gran sorriso: Altre bevute squisite per la compagnia a spese mie, alla salute degli sposi!". L'avrà saputo in seguito, suppongo, dato che i suoi servi avevano assistito al miracolo".

"Sì", s’è intromesso a questo punto Simone Bar Giona che, seduto non lontano a riparare una rete, aveva ascoltato tutto, "è per quella trasformazione dell’acqua in vino che abbiamo definitivamente creduto in Gesú. Alla fine della cena il Maestro ci ha detto che, con quell’evento apparentemente incredibile, aveva voluto darci un segno d’un futuro evento meraviglioso che avrebbe avuto lui a protagonista e sarebbe accaduto per il bene di tutto il mondo; altro non ha aggiunto e noi non abbiamo osato chiedere precisazioni


; comunque, quella trasformazione a noi basta e avanza per credere in lui e seguirlo". Noi condiscepoli chiamiamo Simone L’entusiasta: cerca sempre di sapere ogni cosa per poter essere utile al Maestro e vuol sempre essere il primo ad aiutarlo, con una foga tale che, a volte, combina pasticci. In questi giorni è un po’ triste perché, stavolta, il Rabbì non l’ha scelto per accompagnarlo.

Tornato coi sei seguaci nella zona del lago, il Maestro ha iniziato a predicare. Ha guarito ammalati liberandoli dai demòni delle loro malattie e ha reso liberi pazzi furiosi dagli spiriti maligni che li possedevano


. Altri discepoli si erano intanto aggiunti: Simone di Cana, di famiglia farisaica ma libero girovago idealista, Giuda Taddeo, carpentiere e parente del Maestro, Giuda detto Tommaso


, geometra e costruttore, Giacomo di Alfeo, carpentiere e anch’egli parente di Gesú, e Giuda di Qerijoth di Giudea, l'Iscariota, l'unico non galileo, in passato mio impiegato al banco del tributo e che m’aveva lasciato per seguire Giovanni il battezzatore: parla continuamente di politica e corre voce che, da giovanissimo, fosse uno zelota, ma egli nega, forse per prudenza, ché si sa bene cosa fanno i romani a chi, anche solo, sia sospettato d'essere un partigiano! Per la stessa ragione, immagino, Gesú raccomanda a tutti di tacere i miracoli che compie, e non solo perché è infastidito dalle acclamazioni: se la notizia ch’è il Messia arriva agli occupanti prima ch’egli abbia raccolto un esercito, lo arrestano e lo crocifiggono. M'ha riferito Giacomo Bar Zebedeo che un sabato, mentre il Maestro stava leggendo e commentando la Torah in sinagoga, "con gran fascino", m'ha precisato, "altro che gli scribi!" un pazzo ha rimproverato Gesú: "Che c'entri tu con noi, tu che sei di Nazareth? Sei venuto a rovinarci? Io so chi sei tu: l'Unto dell’Altissimo". "Taci!" ha imposto il Maestro contrariato, quindi ha ordinato: "Esci da quell'uomo!" e uno spirito immondo ne è sortito. Sì, anche i diavoli hanno paura dell'Unto. Secondo Giovannino ‘sotutto’, l’Altissimo aveva predisposto tale situazione pure come un simbolo sul quale meditare: il giovane condiscepolo afferma che l’indemoniato si potrebbe vedere come chiunque sia legato soltanto alla Legge, del tutto soggetto ai sacerdoti e agli scribi, e non attenda più il Messia liberatore del popolo annunciato dai profeti, così come ormai non pochi oggigiorno in Israele, persone cui un qualche Diavolo ha tolto le speranze. Mah, non saprei, mi sembra un pensiero degno sì d’un ragazzo brillante come Giovannino, ma un po' troppo arzigogolato. Comunque sia, certo è che, per il momento, Gesú fa bene ad avere prudenza e a nascondere ch’egli è l’Unto dei cieli. Tuttavia, tante volte gli è impossibile evitare voci. Dopo aver cacciato quel demonio, ritiratosi coi suoi a casa di Simone e di Andrea, come Simone stesso m'ha raccontato, il Rabbì gli ha guarito la madre della moglie, che quella mattina s'era ammalata, e l'ha guarita così bene che la donna s’è unita alle consorti dei due figli di Giona per servire gli uomini di casa. Il Maestro l’ha fatto per bontà, ma pure perché di sabato nessun maschio può svolgere il benché minimo lavoro mentre la donna, se è vero che di sabato non può rassettare né cucinare e dunque prepara i cibi prima del tramonto del giorno precedente, nel giorno di riposo può però, anzi deve servire a tavola gli uomini di famiglia e quelli ospitati; e i convitati erano veramente tanti. Io, veramente, ricordavo d'aver sentito narrare quell'episodio solo qualche tempo dopo, da gente di piazza, ma è possibile che la memoria m’inganni e, d'altronde, Simone era presente. La madre di sua moglie, dopo il pranzo, dev'essere andata a raccontare alle vicine come fosse guarita miracolosamente, perché quasi mezza contrada, per così dire, tramontato il sole del sabato e scaduto il precetto del riposo, s'è riunita davanti alla porta conducendo infermi e inoltre, ben legati, due indemoniati furiosi. Gesú li ha guariti tutti, mostrando pure il potere di far tacere i diavoli della pazzia che cercavano di dirgliene d’ogni sorta. Con loro c'è riuscito, ma con la gente chiacchierona no: da quel momento le notizie sul Maestro non hanno smesso di passare di bocca in bocca.

Giorni dopo, seguito ormai da una folla, è salito coi discepoli sulla cima d’una collinetta che sorge nella nostra campagna, che alcuni chiamano montagna, ma con una certa forzatura visto che è alta poco più di trecento cubiti


, s’è messo a sedere fra i suoi e ha meditato, gli occhi chiusi. Dopo un certo tempo, illuminato, s'è levato in piedi, lo sguardo all'orizzonte, e ha proclamato ad alta voce, ché tutti udissero:



"Beati i poveri in spirito,

perché di essi è il regno dei cieli.

Beati gli afflitti,

perché saranno consolati.

Beati i miti,

perché erediteranno la terra.

Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia,

perché saranno saziati.

Beati i misericordiosi,

perché troveranno misericordia.

Beati i puri di cuore,

perché vedranno l’Altissimo.

Beati gli operatori di pace,

perché saranno chiamati figli dell’Altissimo.

Beati i perseguitati per causa della giustizia,

perché di essi è il regno dei cieli".



Qui s'è rivolto ai discepoli e ha aggiunto qualcosa d'inaspettato: "Beati tutti voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate perché grande è la vostra ricompensa nei cieli. Così infatti hanno perseguitato i profeti prima di voi. Voi siete il sale della terra; ma se il sale non avesse più il sapore, come si potrebbe restituirglielo? Potrebbe solo essere buttato via e calpestato. Voi siete la luce del mondo. Una città sopra a un monte non può restare nascosta. Neppure si accende una lucerna per metterla sotto il moggio


dell’orzo; si pone invece sul lucerniere perché illumini tutta la casa. Così risplenda davanti agli uomini la vostra luce, affinché vedendo le vostre opere buone gli uomini rendano gloria al vostro Padre celeste".

Nel ritorno, Giuda Iscariota, sconcertato, ha detto a bassa voce ai compagni vicini: "Chi mai potrebbe perseguitare i seguaci del re Unto protetto dall’Altissimo? Suvvia! e poi, ditemelo voi: conquistare un regno con quelle idee?! No, penso che voglia mettere a prova la nostra lealtà". Giovannino s'è intromesso: "Secondo me, non c'entrano i regni terreni"; ma è stato zittito dall’Iscariota con le parole: "…e cosa, se no? I diabolici regni marini


?". "No, Giuda, egli ha parlato dei cieli", ha insisito il giovinetto; "…e via! cosa vuoi capirne tu che sei poco più d’un bambino?". È intervenuto Giuda figlio di Taddeo: "Io penso che Gesú abbia voluto avvertirci che la conquista del regno sarà un'azione lunga, densa di pericoli, e che dovremo fare attenzione a non perdere la vita: in guerra è sempre così, c'è chi muore e c'è chi sopravvive per godersi la vittoria". "Sì", s'è aggiunto Filippo, "lo immagino anch'io; però abbiamo capito che creerà un regno di totale pace, e d'altronde non è forse promesso dalle Scritture?". Quando i condiscepoli m’hanno riferito quelle parole del Maestro, ho riflettuto anch'io, e penso d'aver capito almeno questo: Gesú vuol avere le folle dalla sua prima di prendere il potere. Assicurare la giustizia è di certo il modo migliore per ingraziarsele: chi, essendo un poveraccio, non seguirebbe colui che lo comprende e gli promette giustizia?! Penso che, inoltre, abbia voluto far sapere che sarà un re mite. Una cosa è comunque certa, che Gesú è il Messia: quello stesso giorno, mentre stavano per arrivare a casa, ha detto ai discepoli: "Non pensiate che io sia venuto ad abolire la Torah o i profeti; non sono venuto per questo ma per dare compimento, perché si capisca che la giustizia non viene dall'osservanza di formalità e nemmeno, soltanto, dal seguire i comandamenti, come fanno certi farisei che s'illudono d'essere santi, ma viene dal perdonare gratuitamente. A che serve pregare l’Altissimo se non si perdona?! A che serve non rubare se si odia qualcuno?! Non bisogna rubare e neppure bisogna odiare. Ordina il Signore nel Levitico: Desidera per il tuo prossimo quello che desideri per te, e l’Altissimo non dice solo per il prossimo amico; e nei Proverbi ci dice: Se il tuo nemico ha fame, dagli da mangiare, se ha sete dagli da bere; così voi dovete fare il bene a tutti, anche agli avversari". È chiaro che Gesú ha inteso proclamarsi ufficialmente il re Unto, il Messia promesso dalle Scritture, ché dopo pochi passi ha aggiunto: "Vi dico in verità: finché non siano passati il cielo e la terra, non passerà neppure il più piccolo segno dell'alfabeto della Legge, neppure il puntino dello jod, o un trattino, senza che tutto quanto ho detto sia compiuto. Chi trasgredirà uno solo dei miei precetti d’amore, anche minimi, e insegnerà agli altri a fare lo stesso sarà considerato minimo nel regno dei cieli": egli ha detto "miei precetti", miei per evidenziare ch’egli è senz’altro il Messia del Signore che parla come sua voce. Ha continuato: "Chi invece li osserverà e li insegnerà agli uomini sarà considerato grande nel regno dei cieli. Vi dico che se la vostra giustizia non supererà quella solo formale degli scribi e di quei farisei ipocriti che ruotano attorno al sinedrio, non entrerete nel regno dei cieli". Ho capito che noi discepoli dobbiamo essere concretamente giusti per ingraziarci il popolo, altrimenti non saremo nominati ministri del regno o, peggio ancora, ne saremo esclusi. Chi sa perché lo chiama "dei cieli"? Sarà questo il nome che gli darà? Poiché l’Altissimo non può essere mai chiamato col suo vero nome, cielo oppure regno dei cieli è da sempre una delle espressioni che lo designano. Sarebbe dunque come chiamare il nuovo regno: l’Altissimo. D'altra parte, essendo Gesú il suo Messia, forse proprio questo vuole l’Altissimo, un regno dove venire lui stesso a passeggiare, come faceva nell'Eden; anzi, che in qualche modo coincida con lui: il pensiero m’è venuto proprio spontaneo, anche se non mi è chiaro.

Giacomo Bar Zebedeo m’ha raccontato che, giorni dopo il discorso sull’altura, e questo lo sapevo anch'io perché la notizia era corsa, uno zelota ha tagliato la gola a tradimento a un soldato d’una decuria di ronda, isolatosi un momento per un suo bisogno corporale; l’uomo non ha fatto in tempo a fiatare prima di morire e accasciarsi sul suo sterco, ma l’assassino è stato visto, benché circospetto, allontanarsi tra i cespugli dal decurione, che s’è insospettito e l’ha fatto catturare. Poco dopo s’è scoperto il cadavere e i superstiti hanno caricato di legnate il partigiano. Il Maestro l’ha poi visto percorrere sanguinante in mezzo ai soldati la via centrale della città, in catene, verso la caserma dove sarebbe stato processato e condannato alla crocifissione; il suo cadavere sarebbe stato lasciato in pasto ai rapaci per tre giorni, prima d’essere calato dalla croce. Intanto, nel vederlo passare Gesú ha avuto per lui, che pesto com’era si trascinava con enorme fatica e grave dolore, un'espressione di gran compatimento. Quando l'uomo e i militi non sono più stati alla vista, il Maestro ha rivolto lo sguardo ai suoi discepoli e ha detto loro: "Sapete ch’è antico precetto di non assassinare e che chi ha ucciso dev’essere processato. Io dico di più: chiunque si arrabbia col prossimo sarà sottoposto a giudizio, o chi lo diffama dicendolo falsamente stupido, oppure pazzo, così danneggiandolo nei quotidiani rapporti umani


; e il reo sarà condannato alla Geenna". Penso che con Geenna abbia inteso pena di morte. Sappiamo infatti, dal libro di Geremia, che il luogo era usato anticamente dai pagani per i sacrifici umani a Moloc, il principe delle mosche. Oggi, com’è noto, è l'immondezzaio di Gerusalemme e vi si bruciano le cose inutili, così che finiscano per sempre nel nulla. Invero c'è chi dice che il fumo non è il nulla, ma comunemente la gente intende così. I condannati a morte dal re Unto saranno bruciati in quel luogo pestifero e fatti cadere per sempre nel nulla?


Certo che essere bruciati solo per un insulto, e per di più tra le immondizie...! Forse questo non piacerà al popolo: vorrei dirlo a Gesú, ma non oso. Il Maestro, e questa me l'ha riferita Giovannino, ha aggiunto: "…dunque, se mentre presenti l'offerta all'altare ti ricordi che uno ha qualcosa contro di te, lascia il dono, riconciliati e poi torna a offrire il dono: è inutile pregare se non si cerca prima la pace col prossimo, perché il cielo non ascolta. Se sei inadempiente, chiunque sia il tuo creditore accordati con lui in qualche modo non appena lo incontri per via, così ch’egli non ti denunci e il giudice non ti faccia incarcerare da una guardia, poiché nessuno esce di prigione sino a che non abbia pagato fin all'ultimo spicciolo del suo debito". Forse non a tutti i creditori piacerà d’accordarsi per una cifra minore di quella loro spettante ma, per me, è meglio una parte dei soldi e il debitore libero piuttosto che il debitore in prigione e nessun pagamento: il Maestro ha molto buon senso. Secondo il giovane Giovanni però, Gesú non s'è riferito tanto ai debiti pecuniari quanto, in generale, a qualunque obbligazione, anche morale, ha inteso cioè dire del perdono.

Un sabato, mentr’era in sinagoga, Gesú ha udito Zebedeo padre di Giacomo e Giovanni giurare davanti ai rotoli della Torah a un certo Geremia, carpentiere, che gli avrebbe pagato puntualmente il prezzo se gli avesse costruito una barca nuova. All'uscita il Maestro ha colto l'occasione per ammaestrare i discepoli così: "Avete inteso che fu detto dagli antichi di non spergiurare e di mantenere i giuramenti davanti all’Altissimo; però io vi dico di non giurare affatto, né per il cielo né per la terra né per Gerusalemme, e neppure sul vostro capo, ché neppure un suo capello vi appartiene. Invece il vostro parlare sia sì, sì; no, no. Il resto viene dal maligno". Gli ha domandato Giovannino con dispiacere: "Mio padre è stato ispirato da Satana?". "No, solo d’ora in poi ha da essere così. Prima non era stato rivelato. La rivelazione dell’Altissimo è progressiva e io sono venuto a completarla. Ascolta, Giovanni: più tardi va' col tuo parente a casa del vostro babbo e, quando nessun altro ascolta, perché non sia umiliato, ditegli da parte mia che l’Altissimo non vuole si giuri". Ahi loro! I due poveracci sono ritornati dal Maestro doloranti per le botte che Zebedeo aveva loro comminato sul groppone gridando: "Tornate qui a lavorare invece d'insegnare a vostro padre, imbecilli pelandroni presuntuosi!". "Quell'uomo ancora non sceglie di salvarsi", ha commentato tristemente Gesú, "eppure, un genitore dovrebbe volere la libertà dei figli adulti, non il proprio orgoglio e il proprio tornaconto; ma io pregherò l’Altissimo per lui".

Tempo dopo, com’è ben noto in tutto il paese, s’è acceso un duello tra due vignaioli che lavoravano presso lo stesso padrone. L'uno, un certo Amos, s’era invaghito della sposa dell’altro, chiamato Saulo, e quel cattivo giorno, dopo che il marito era uscito per la fatica quotidiana, invece d'andare egli pure al lavoro è entrato nella loro casa, ha legato e imbavagliato la donna, di nome Giuditta, e se l’è caricata sul suo asino per portarsela in un altro paese. Qualcuno però, di lontano, l'ha visto partirsene con la prigioniera ed è corso ad avvisare il marito che, ottenuto dal padrone un cavallo, s’è lanciato all’inseguimento. Raggiunto il rapitore ha visto che la moglie era liberissima e procedeva con l’uomo di propria volontà: evidentemente era stata una messa in scena per salvare, in paese, l’onore della donna se qualcuno li avesse visti partire. Come poi avrebbe raccontato davanti all’assemblea dei concittadini, colmo d’ira il tradito ha estratto il coltello. L’altro non s’è fatto intimidire, tanto più che lei l’ha incitato a ucciderle lo sposo: ha cavato la sua sica e ha cercato di colpire il rivale alla gola. Questi è riuscito in parte ad abbassarsi, così che il fendente gli ha accecato un occhio invece d’ammazzarlo. Nonostante l’atroce ferita, in risposta lui ha trafitto il rapitore, prendendolo in pieno petto e uccidendolo; poi, sulla base del principio antico dell’occhio per occhio, ha appunto cavato un occhio al cadavere, l'ha buttato in terra e l'ha schiacciato sotto un piede; quindi ha rincorso la moglie che stava scappando, l'ha agguantata, l'ha picchiata, l'ha legata e se l’è ripresa. Tornato in paese, Saulo il guercio, come da allora viene chiamato, ha accusato pubblicamente la sposa d’adulterio e, ottenuta l’approvazione dei compaesani, insieme con alcuni di loro, che tenevano ferma la donna, l’ha strozzata


. In base alla Legge anche tutti i suoi atti contro il defunto Saul erano stati leciti e non ha avuto noie. Conosciuto il fatto però, come Andrea m’ha raccontato, Gesú ha detto ai miei condiscepoli: "Quando quell’uomo ha capito che la donna era consenziente, doveva cercare di convincerla a tornare, invece d’estrarre l’arma; e se sua moglie non ne voleva proprio sapere, doveva lasciar andar via i due peccatori: nel loro stesso peccato avevano già condanna davanti all’Altissimo. Anche se fu detto occhio per occhio e dente per dente, io vi dico: d'ora in poi non opponetevi al malvagio. La perfezione è questa, che se uno vi schiaffeggia sulla guancia destra, voi porgiate la sinistra per un nuovo schiaffo..." "Dobbiamo farci riempire di botte dai nemici, Maestro?!" l'ha interrotto preoccupatissimo l'impetuoso Simone. Pazientemente, Gesú gli ha risposto: "Capisco che non conosci appieno la nostra simbologia. No, quanto ho detto significa, al di là del simbolo, che non dovete prendervi vendetta giammai e che dovete essere disposti a ricevere ancora male dall’aggressore, sempre senza farlo pagare. Se dunque vi chiamano ingiustamente in giudizio per togliervi la tunica, voi date subito anche il mantello, o se pretendono il mantello, voi donate pure la tunica; se poi vi si vuole costringere a fare un pezzo di strada, come fanno i soldati romani quand’ordinano ai passanti di portare i loro fardelli, fatene il doppio; se ne avete i mezzi e vi chiedono un prestito, datelo, invece d'allontanarvi. Voi dovete imparare ad amare gli avversari e i vostri persecutori e a pregare per loro. Così, Giacomo e Giovanni devono pregare per Zebedeo loro padre che, nella sua superbia, li odia". "Maestro, qual è il miglior modo di pregare?" gli ha chiesto Giovannino. "Pregando, non usate tante parole, perché non sono le tante parole che piacciono all’Altissimo. Egli sa di cosa abbisognate prima che apriate bocca. Ecco dunque come dovete pregare il Padre vostro che è l’Altissimo:



Padre nostro che sei nei cieli,

sia santificato il tuo nome;

venga il tuo regno;

sia fatta la tua volontà,

come in cielo così in terra.

Dacci oggi il nostro pane quotidiano

e rimetti a noi i nostri debiti

come noi li rimettiamo ai nostri debitori

e non ci abbandonare alla tentazione,

ma liberaci dal male.



Se voi infatti perdonerete agli uomini le loro colpe, il Padre celeste perdonerà anche voi; se invece non perdonerete, neppure voi sarete perdonati dal Padre. Affidatevi alla paternità dell’Altissimo: avrete l'aiuto del suo amore e riuscirete a perdonare. Molti uomini non sono buoni padri, ma l’Altissimo è sempre il perfetto padre amoroso. Perdonate ogni cosa a ciascuno, anche se non domanda perdono, e perdonate subito, senza lasciar tramontare il sole, e facendo di tutto per cacciare nel profondo il ricordo delle offese, anche se dimenticare appieno non si può, ché la capacità di scordare per sempre i peccati è solo dell’onnipotente. Non perdonate solo a parole ma coi fatti: fate il bene a chi vi fa il male, restituendogli la vostra fiducia anche se non ha mostrato di meritarla. Voi siete giudici di voi stessi, con la misura d'amore con cui misurate gli altri, sarete misurati". "Maestro", gli ha chiesto Simone di Cana, "posso avere un consiglio?". "Puoi". "Ebbene, da ragazzo ero amico di uno che pensavo amico. Mio padre era ricco, aveva terre, mentre il suo era bracciante. Così lo si invitava sovente alla nostra buona tavola, perché avesse a godere del nostro, e finì ch'egli girasse per la casa come se fosse della famiglia, venendo e andando come voleva, trattato dai miei quasi come un figlio e dai servi quasi come un padrone. Fui anche capo del corteo alle sue nozze. Come poi seppi, in tutti quegli anni, per invidia, egli era andato calunniando, di nascosto da noi, i miei genitori e me. Diceva che si era voluto umiliarlo mettendo in mostra con lui il nostro benessere e affermava, con falsa indignazione, ogni altra sorta di male. Nel frattempo era salito socialmente, riuscendo a comprarsi un pezzo di terra, e insieme era montato in superbia. Un giorno, conosciute finalmente le sue calunnie, lo affrontai pubblicamente all'osteria, ed egli ribadì pomposo innanzi a tutti le sue diffamazioni, con improntitudine assoluta, e mi lanciò in viso altre accuse e molti insulti; anzi, attribuì a me quanto di male aveva fatto lui, dicendosi mia vittima e mostrando grande sdegno. Non ci fu modo di fargli ammettere che mentiva. Recitò così bene che tutti credettero a lui e presero a tenergli le parti e a insultarmi. Profondamente mortificato e adirato, scappai fuori a piangere e mai più tornai all'osteria: l'avrei ucciso; ma riuscii a trattenermi, perché il Santo


ce lo vieta. Tante altre volte ebbi occasione di vederlo, ché il nostro paese è piccolo, e in ciascuna ricevetti da lui almeno uno sgarbo. Pensando che così volesse il cielo, non reagivo e me ne andavo per non fargli del male, ed egli ogni volta calcava le dosi, certo pensandomi un vigliacco. Cercai dunque d'evitarlo: mi muovevo con circospezione, se lo vedevo di lontano cambiavo strada, se lo incontravo all'improvviso, poche parole, una scusa, e tiravo via. Ebbene: per questo mio fuggirlo, gli tolsi la mia fiducia e peccai contro la carità?". "Pregavi per il suo bene?". "No, Maestro". "In questo certo mancasti. D'ora in poi fallo, ché l’Altissimo lo converta. Sfuggendolo,ci fu in te la prudenza d'evitare che il male aumentasse, non il desiderio di fargli del male. Il peccato è nel non volere il bene del nemico, nel non aiutarlo se ti chiede aiuto o se vieni a sapere che ne abbisogna, e nel non pregare per lui. Per quanto riguarda l'essere considerati vili perché non ci si vendica, questo è il giudizio del mondo, ch’è peccatore, ma quello del Padre è il solo che conta. Prega per quell'uomo e sta' in pace". S'è rivolto a Giacomo e Giovannino: "Quanto a voi, andate da vostro padre e, non appena lo vedete, dategli la vostra benedizione e augurategli la pace". Sono andati. Al ritorno, hanno riferito con gioia a Gesú che Zebedeo invitava a pranzo lui e i suoi: grazie alle preghiere del nostro Rabbì, s'era convertito al rispetto della libertà dei figli.

Per la Festa della Capanne


Gesú s’è recato coi suoi a Gerusalemme, ospite d’un amico, Giuseppe, che è un membro del sinedrio, originario d’Arimatea. a suo tempo suo compagno di studi presso la scuola di Hillel. È l’unico potente che segua il Maestro, ma segretamente, per non avere noie. Gesú è andato al tempio coi discepoli e ha insegnato in pubblico. I presenti si sono di molto stupiti. Prima, vedendo il suo povero abbigliamento, l’avevano creduto un ignorante; e pensare che anche il grande rabbì Hillel vestiva poveramente e si manteneva come taglialegna; ma, si sa, la gente più semplice guarda solo alle apparenze. Uno di coloro ha affermato: "Come mai uno così conosce tanto bene le Scritture?" e un altro: "Non sarà forse quello là che gira di paese in paese e che i farisei avversano?"; un terzo: "Quello che si proclama falsamente Messia? Eppure sta parlando nel tempio e nessun sacerdote gli dice di smettere. Che l’abbiano riconosciuto come il vero Unto?!" e un quarto: "No, conosco un servo di chi lo ospita e so che quell’uomo è della Galilea; ma nessun profeta può venire da là. Quando il Messia si manifesterà, nessuno saprà da quale luogo provenga"; un quinto: "Sbagli, la profezia dice precisamente che verrà da Betlemme e sarà stirpe di Davide, dunque, non si tratta certo di quel nazareno". Allora Gesú: "Sì, sapete che sono galileo, ma non sapete che non da me sono venuto: chi m’ha inviato l’ha fatto in verità ed egli è l’inconoscibile.


Solo io lo conosco, perché m’ha mandato". S'è levato un putiferio. Hanno gridato in coro d’arrestarlo per bestemmia e il Maestro è uscito in fretta dall'area del tempio, prima che giungessero le guardie del sinedrio. "Non è ancora l’ora ch’io sia arrestato", ha detto ai suoi, "devo diffondere ancora la parola dell’Altissimo e non posso lasciarmi fermare; ma vedo ch’è troppo presto perché qui a Gerusalemme capiscano; dunque, usciamo in fretta dalla città". Sulla via per la Galilea, più volte, ha pregato ad alta voce il Padre celeste perché lo illuminasse ancora di più.

Giorni dopo il suo ritorno a Cafarnao, mentre stava avviandosi coi discepoli alla collinetta detta monte per raccogliersi in preghiera essendo accompagnato da una folla, il Maestro ha visto passare un ricco superbo assieme al seguito, e sul viso gli è comparso un sorriso triste. Ha detto ai discepoli: "Quell'uomo, che ha grandi ricchezze, vuole ancora aumentarle e in questo momento sta pensando: Userò i miei averi per seminare e mietere e piantare alberi e molto di più riempirò i miei granai di raccolto così che non mancherò di nulla. Così ragiona nel suo cuore; ma questa stessa notte, morirà. Chi ha orecchi per intendere, intenda". "Abbiamo capito, Maestro", ha detto Giovannino per tutti. Allora Gesú ha esortato: "Sì, non accumulate tesori sulla terra dove tignola e ruggine li consumano e ladri vengono per rubarli, ma accumulateli nel vostro cuore davanti all’Altissimo che li conserva incorruttibili in eterno e senza che possano essere rubati. Come l'occhio è la lucerna del corpo e se è accecato la luce non entra, così la luce che è in te non sia ottenebrata dal male che acceca. È impossibile nello stesso tempo per un solo uomo cavalcare due cavalli o tendere due archi. Non si possono servire due padroni, non il bene e il male, non la ricchezza spirituale dell’Altissimo e la ricchezza materiale: se uno serve due padroni tra loro avversi, ne ama uno e odia e disprezza l'altro. Servite l’Altissimo e non mammona". Io mi chiedo: i potenti del regno dell'Unto saranno poveri? Ho lasciato la mia professione e i miei beni sperando d'averne non solo il potere ma anche maggiore ricchezza, e dovremo invece donare tutto agli altri? Se fosse così, unica consolazione resterebbe che, se non altro, saremmo potenti. Mi hanno riferito che il Maestro, immediatamente dopo, ha aggiunto: "Non preoccupatevi per il cibo e per le bevande e neppure per i vestiti, perché la vostra vita vale più degli alimenti e delle vesti e il Padre la conserva finché non sia giunto il momento di perderla. Gli uccelli non seminano e non raccolgono né accumulano nei granai, ma il Santo li nutre. Voi contate certo più di loro; e la lunghezza della vostra vita dipende solo dall’Altissimo. Neppure per il vestito affannatevi, guardate come la veste dei gigli, che il Padre ha loro donato, è più sontuosa di quella di Salomone. Eppure, qualunque erba diviene infine secca e viene bruciata; dunque il cielo non farà forse molto di più per voi, che siete ben maggiori?! Lasciate che i pagani si preoccupino del mangiare, bere e vestire. Cercate l’Altissimo e la sua giustizia, e il resto vi sarà dato in più. Non affannatevi per il domani: basta a ciascun giorno la sua pena": magra soddisfazione davvero sarebbe il solo fatto di non morir di fame e non girare ignudi! Spero proprio che avremo anche ricchezza! Poco dopo Gesú è giunto in cima all’altura e, dopo aver pregato a lungo il Padre perché gli desse luce, ha annunciato alla folla quant’altro gli era nato nel cuore, che riporto come mi è stato riferito:

"La coscienza di ognuno non appartiene a nessun altro e solo il Santo può giudicare. Non giudicate o sarete giudicati, e avrete lo stesso giudizio con cui avete giudicato, con la stessa misura con cui avete misurato. Perché mai tu osservi la pagliuzza nell'occhio del prossimo e non t'accorgi della trave ch'è nel tuo? Come potrai dirgli: Lascia che ti tolga la pagliuzza se prima non hai tolto dal tuo occhio la trave? Non essere ipocrita. Togli la trave dal tuo occhio per vedere bene, e così potrai togliere la pagliuzza dall'occhio del prossimo: tante volte la tua colpa è più grave della sua!".

"Non bisogna scherzare con ciò ch’è sacro e chi lo farà avrà a soffrire a causa della sua stessa azione; né bisogna rispondere a chi vi domanda per celia di parlargli del bene: non date ai cani cose sante e non gettate perle ai porci perché non le calpestino e poi non si voltino per sbranarvi!".

"Sappiatelo: pregare l’Altissimo è rivolgersi all'assoluto amore e nessuno che lo chiami sarà rifiutato, fosse pure il peggiore dei peccatori. Chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto. Siate certi che se chiederete al Padre ch’è nei cieli riceverete, così come io ricevo. Se cercherete, troverete e se busserete alla porta del regno dell’Altissimo, vi si aprirà. Chi infatti al figlio che chiede pane dà una pietra, o una serpe se gli domanda pesce?! Se dunque gli esseri umani, che sono cattivi, sanno dare cose buone ai figli, quanto più il Padre darà cose buone a coloro che gliele chiedono!".

"Non limitatevi a non fare il male: non basta! Tutto quanto di bene volete che gli altri facciano a voi, fatelo a loro: è questa infatti l'essenza dei testi della Legge e di quelli dei profeti, quanto cioè dei Libri dovete prendere in considerazione nei vostri rapporti cogli altri essere umani".

"Entrate per la porta stretta. La porta e la via che conducono alla perdizione sono larghe, spaziose. Molti entrano purtroppo dalla porta larga. Nel regno dei cieli si entra solo dalla porta difficile, ma sono in pochi a trovarla e varcarla: il Padre non vuole che si sia schiavi dei propri pensieri, paure, abitudini, impulsi, ma che si scelga il rigore, secondo la via da lui indicata".

"Ci sono impostori che sfruttano i sentimenti religiosi a vantaggio proprio. Solo il comportamento d’una persona è testimone del suo vero sentire, non le sue parole se non corrispondono al suo agire. Guardatevi dai falsi profeti che vi si presentano travestiti da pecore miti ma sono lupi rapaci. Non si raccoglie uva dalle spine e fichi dai cespugli di rovi; ogni albero buono dà buoni frutti e ogni cattivo ne dà di cattivi, e il contrario non è possibile. L'albero che produce cattivi frutti viene tagliato e bruciato. È dai frutti che potrete riconoscere i veri e i falsi profeti. Non chiunque dice: Signore Signore entra nel regno dei cieli ma solo chi fa la volontà del Padre ch'è nei cieli. Saranno in molti a dirmi, chiedendo d'entrare nel regno: Noi abbiamo profetato e cacciato demòni e compiuto molti miracoli nel tuo nome; io però dirò loro: Non vi ho mai conosciuti, allontanatevi da me, operatori di male".

"Io testimonio con la mia vita le mie parole. Dunque ascoltatele. Chi le ascolta e le mette in pratica si può dire simile a un uomo saggio che ha costruito sulla roccia la propria casa. Cade la pioggia, straripano i fiumi, soffiano i venti e si abbattono su quella casa, ma essa non cade perché è fondata su roccia. Chi invece, sentendo le mie parole, non le mette in pratica è simile a chi costruisce la sua casa sulla sabbia, così che quando cade la pioggia e i fiumi straripano e il vento si abbatte sulla dimora, questa cade con grande rovina".

La folla è rimasta ammirata. Tutti lo hanno elogiato, esclamando: "Insegna con autorità, non come gli scribi!".

Non c'è dubbio che sia così, anche se a volte dice cose troppo alte, onde noi non le si comprende appieno. Certo è ch’egli mostra la sua autorità morale con continui segni. Lo fa con assoluta semplicità, senza evocare niente che sappia di magico: sembra che sia per lui la cosa più naturale del mondo fare meraviglie, non qualcosa di straordinario e macchinoso. È chiaro che non vuole far mostra di personale potenza e che sa che è l’Altissimo che agisce in lui perché si comprenda che il tempo è venuto e ch’è lui il Messia; non vuole strabiliare la gente, a differenza di quanto fanno i maghi. Elenco i miracoli che, secondo quanto mi hanno narrato condiscepoli, egli ha compiuto quel giorno per dare più forza alle sue parole e, come al solito, senza esibizionismi. Disceso dal monte, gli s'è avvicinato un lebbroso, bandito dalla comunità come prescrive la Legge. I suoi si sono bloccati per paura del contagio, Gesú invece è andato incontro al poveretto. Non appena sono stati l'uno davanti all'altro, il lebbroso s'è prostrato al Maestro dicendogli: "Signore, se vuoi, tu puoi sanarmi" e Gesú s’è commosso. Con gesto inusitato l’ha toccato, e gli ha detto: "Lo voglio. Sei sanato". La lebbra è scomparsa. Il Maestro ha raccomandato al guarito di non raccontarlo a nessuno, ma semplicemente di mostrarsi al sacerdote per ottenere la dichiarazione ufficiale di sanità, per essere riammesso fra la gente. Gli ha chiesto di presentare a Mosè l'offerta prescritta per i guariti, così che i sacerdoti avessero testimonianza che grazie al bene era avvenuta la guarigione, non per opera del maligno. Ecco l’inaspettato commento del giovane Giovanni, subito dopo avermi raccontato l'episodio: "Quell'uomo, inginocchiandosi, ha voluto mostrare al Maestro d'adorarlo: in lui ha sicuramente riconosciuto il cielo stesso!". Stava per aggiungere altro ma io, esterrefatto, l'ho zittito prima che qualcuno potesse udirlo e accusarlo di bestemmia. Non abbiamo, dopo secoli e secoli, ritenuto divini neppure Abramo, Mosè ed Elia, i più grandi di noi! I più grandi ma pur sempre semplici uomini! Gesú, è vero, perdona i peccati, e questo è prerogativa dell’Altissimo, ma certo lo fa in nome e col benestare del cielo, essendo suo Messia, non credendosi lui stesso l’Altissimo. Possibile che Giovannino sia così impulsivo da pensare che Gesú sia Colui che cammina sulla sfera di cristallo del firmamento? Egli è l'Unto, ma può forse essere considerato maggiore di Mosè? e se pure lo fosse, quale abisso, comunque, rispetto all'Incommensurabile! Giovannino è ancora un ragazzo, lo capisco, ma dovrebbe studiare a fondo la Torah e avere un po' più di prudenza. M'ero proprio sbagliato nel pensare che avesse una buona cultura religiosa.

Entrando in Cafarnao, Gesú s'è visto venire incontro il centurione che comanda la caserma locale, un uomo che io conosco bene perché a lui consegnavo le imposte riscosse. Ormai quasi anziano, di origine plebea, ha fatto tutta la carriera nella nostra terra, iniziando dai ranghi. È vedovo e ha perso in battaglia l’unico figlio. È noto come uomo comprensivo, sebbene non si sottragga al dovere di castigare i suoi uomini che sbagliano e di combattere gli zeloti che attentano alla sicurezza della sua centuria. Non s’è convertito alla nostra religione ma è affascinato dall’idea d’un unico Creatore e Signore. Un paio di volte ne aveva discorso con me in piazza sapendo che conosco la Torah. La fama del Maestro doveva essergli giunta. Lo ha dunque implorato: "Signore, un servo che m’è caro giace in casa paralizzato, soffrendo terribilmente! L’avevo accolto tanti anni fa, piccino, in casa mia, essendo divenuto orfano di entrambi i genitori. Aveva fatto amicizia col mio unico bambino, giocavano assieme. Mio figlio mi è morto cinque anni fa combattendo al comando d’una decuria e quel servitore suo amico è divenuto per me interamente come un altro figlio. Sciaguratamente, da giorni non può più camminare, è debolissimo e temo sia rivolto egli pure alla morte. Mia moglie non c’è più, non lasciare ch’io resti del tutto solo". Il Maestro s'è detto subito disposto a recarsi a casa sua, ma il centurione ha risposto di no, perché non si sentiva degno di lasciar entrare Gesú sotto il proprio tetto; però sarebbe di certo bastata una sua parola, ha aggiunto, e il suo servo sarebbe guarito, così come lui centurione, pur essendo solo un ufficiale inferiore, se dava ordini veniva obbedito, e se diceva a uno dei suoi va', questi andava, o se gli ordinava vieni, l'altro veniva, oppure se gli diceva fa', faceva. Gesú è rimasto ammirato e ha esclamato: "Vi dico in verità che non ho mai trovato in Israele una fede così grande! Vi dico che molti gentili verranno dall'oriente e dall'occidente convertendosi, e saranno a mensa nel regno dei cieli con Abramo, Isacco e Giacobbe; ma aggiungo addolorato che parte dei figli d'Israele sarà nelle tenebre con sofferenza, in pianto". Quindi, al centurione: "Va', e sia fatto secondo la tua fede". S'è poi saputo che, proprio nello stesso tempo, il servo era guarito. Ho chiesto ai condiscepoli: "Cosa voleva dire Gesú affermando che non tutti i figli d'Israele saranno nella luce? ". Il solito Giovannino ‘sotutto’ m’ha risposto: "Voleva dire che non tutti gli ebrei accetteranno Gesú come Messia".

Ecco, io ricordavo che solo a quel punto il Maestro, giunto a casa, avesse guarito la suocera di Simone. Infatti, proprio lo stesso giorno avevo saputo, dalla gente del mercato, del servo appena sanato e della guarigione della donna. Però, e l’avevo già annotato, è assai probabile che Simone si ricordi meglio di me, visto ch’era presente. Forse m'avevano parlato, insieme, d'un fatto appena accaduto e d’uno precedente.

Due settimane dopo Gesú ha chiesto ai discepoli di passare con lui all'altra riva del Giordano per andare laddove non era ancora conosciuto, nella regione dei Gadareni; ma solo nel caso che si fossero sentiti pronti a sacrificarsi. Uno scriba ch’era divenuto suo seguace gli s'è avvicinato promettendogli che avrebbe continuato a seguirlo ovunque. Il Maestro ha voluto però metterlo in guardia da facili illusioni, fargli capire che seguirlo avrebbe voluto dire fornire un impegno totale: "Persino le volpi


", gli ha detto, "hanno le loro tane e gli uccelli i loro nidi, ma il Figlio dell'uomo non ha dove posare il capo". Lo scriba ha desistito: "Continuerò a servire l’Altissimo in sinagoga". Gesú ha approvato. Al contrario, un altro discepolo gli ha chiesto di non seguirlo fin a quando fosse stato vivo il proprio padre, dicendogli nel nostro colorito linguaggio: "Permettimi prima di seppellire mio padre". In questo caso, evidentemente conoscendo la sua vigorosa fibra, Gesú lo ha esortato a lasciare il genitore e a seguirlo, rispondendogli con altrettanto colore: "Seguimi e lascia i morti seppellire i morti".

Partito dunque coi discepoli più robusti e passato il fiume, Gesú ha percorso la strada che, per un certo tratto, costeggia il lago sull'altra sponda. Faceva assai caldo e si sono fermati presso un pescatore amico di Giacomo e Giovanni, per dissetarsi con la fresca acqua del suo pozzo. Visto che l’uomo aveva una barca con l’albero per la vela rotto, il Maestro gli ha chiesto se gliel’avrebbe imprestata, insieme a una piccola rete, nel caso lui gliel’avesse messa a posto. La strada a quel punto finisce e il terreno è accidentato, per cui sul lago si procede più speditamente. Sapendolo carpentiere provetto, il padrone ha subito accettato. Simone ha voluto aiutare Gesú, ma non essendo uno del mestiere, più che altro è stato d’ostacolo. Finalmente hanno salpato. In un buon punto, Andrea ha lanciato la rete e, dopo non molto, il Maestro ha detto: "C’è quanto basta" e l’ha recuperata egli stesso. In effetti, ce n'era una quantità grande, e dopo che hanno buttato in acqua il pesce impuro perché non squamato, è rimasto cibo puro più che bastante per tutti, che avrebbero consumato una volta approdati. Dopo un poco Gesú s'è addormentato; ed ecco che il cielo s’è fatto improvvisamente scuro di nuvoli, come tante volte succede sul nostro lago, ed è scoppiata una tempesta terribile; ma lui ha continuato a dormire. Così i discepoli, certo ispirati dall’Alto, l'hanno scosso implorandolo: "Salvaci tu, o siamo perduti!". S'è guardato per un attimo intorno, poi ha detto: "Perché avete paura, uomini di poca fede?". S'è alzato in piedi e, sgridando i venti e il lago ha ottenuto bonaccia. Tutti si sono meravigliati: "Chi è mai costui a cui addirittura i venti e il lago obbediscono?". È evidente che, pur avendo spontaneamente chiesto aiuto a Gesú, di fede non dovevano averne avuta molta. Finalmente sono sbarcati nel paese pagano dei Gadareni. Hanno cotto e mangiato il pesce, poi si sono avviati. Dopo poche centinaia di cubiti, da un sepolcreto dov'erano nascosti sono sbucati inaspettatamente due indemoniati completamente ignudi che, dopo essersi messi a saltellare sul posto, movendo su e giù le braccia come ali d’uccellaccio e con gli attributi virili che ballonzolavano in ogni direzione, sono scattati di corsa verso la compagnia urlando con voci stridule: "Merda! Culo! Che cosa abbiamo in comune con te, figlio dell’Altissimo? Sei venuto a tormentarci prima del tempo? Merda! Merda! Culo! Culo!". Immediatamente il Maestro ha fatto per scacciare la legione di diavoli della pazzia chiusa in quei poveretti, ma gli spiriti immondi, per bocca d’uno degli ossessi, l'hanno implorato: "Se vuoi scacciarci, mandaci almeno in quella mandria di porci ch’è là sull’altura, dove potremo rimanere comodi". Gesú ha acconsentito. I demòni, usciti dai corpi degl'insani son dunque entrati nei maiali, che immediatamente hanno preso a mordersi fra di loro; dopo un poco, hanno iniziato a saltare tutti assieme, in sincrono, su e giù, a ogni salto divaricando le zampe per quant’è possibile a quelle bestiacce, così come prima quei due uomini avevano fatto con le braccia; intanto grugnivano senza interruzione le parole umane: "Merda! Culo! Merda! Culo!". Ovviamente il guardiano dei porci s’è disperato; ma non era finita: improvvisamente tutta la mandria s'è precipitata giù verso il lago e le bestiacce, nessuna esclusa, son cadute nei flutti e sono morte. M'ha riferito Giuda Iscariota, ridendo forte, che a quel punto il guardiano, strabuzzando gli occhi, s'è strappato ciuffi della barba e poi s'è preso a schiaffi. Quanto agli ex indemoniati, forse temendo d’essere chiamati a rispondere del danno, se la sono data a gambe. "Devo dire", ha sottolineato il mio condiscepolo, "che Gesú ha un notevole senso dell'umorismo". Mah! Forse, ma io penso che il Maestro abbia voluto testimoniare una cosa seria ed essenziale: poiché quella di maiale è carne immonda, credo che abbia voluto non solo punire i diavoli con lo scherno, ma pure dare una lezione ai pagani di quei luoghi, guardiano ed ex indemoniati compresi, invitandoli alla purezza. L’ho detto agli altri discepoli. "Essenzialmente alla purezza dello spirito", ha voluto puntualizzare Giovannino, e ha aggiunto: "Uno dei guariti, dopo l’impulsiva fuga deve averci riflettuto, fatto è che è tornato da noi e ha chiesto di seguirci; ma il Maestro gli ha ordinato di testimoniare l’accaduto nella propria zona dove, ha detto, sarebbe stato più utile. Del secondo guarito, invece, non abbiamo più saputo niente". Dispiace dire che, quella volta, Gesú non ha quasi raggiunto lo scopo. Fatto è che il porcaro, precedendo lui e i suoi, s’è precipitato in paese a raccontare l'accaduto e subito l'intera popolazione è venuta incontro al gruppo brandendo randelli. Il Maestro, vedendoli giungere, ha pregato l’Altissimo e ha ottenuto da lui che i Gadareni, non appena hanno incontrato il suo sguardo, si sono calmati, anzi, hanno assunto un atteggiamento intimidito. Hanno solo osato chiedergli d’andarsene da un'altra parte. Gesú non s'è opposto. Tornati alla barca, egli e i discepoli hanno salpato. Una volta restituita l’imbarcazione al proprietario, hanno passato a guado il Giordano e sono tornati a Cafarnao. Dice Giuda l’Iscariota: "Meglio così, i nemici si combattono, non si convertono". Secondo il giovane Giovanni, ch’è sempre il solito eccentrico e si rivela sempre più incosciente, Gesú aveva invece previsto ogni cosa per mostrare ai discepoli, con quell'avventura, ch'egli è l’Altissimo, sedando la tempesta, e che rispetta la libertà d'ognuno di sceglierlo o di rifiutarlo: "Perciò non ha tentato di convertire i Gadareni". Sarà, ma noi altri la vediamo diversamente e Giovannino dovrebbe fare un po' più d’attenzione: chi adora un uomo confondendolo con l’Altissimo viene lapidato.





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Per un insieme di circostanze favorevoli è stato ritrovato, da una spedizione archeologica che ricercava tutt'altro genere di reperti, uno scritto in aramaico, su papiro, che alla radio datazione col metodo del carbonio 14 è risultato antico di venti secoli…

Al romanzo, che si svolge prevalentemente lungo la falsariga di quel documento, segue una postfazione con attinenti osservazioni storico-critiche. L'opera è munita inoltre di molte note storico_sociali sull'ambiente e sui costumi ebraici di 2000 anni fa, ai tempi di Gesù di Nazareth sotto l'occupazione romana.

Romanzo storico: Per un insieme di circostanze favorevoli è stato ritrovato, da una spedizione archeologica che ricercava tutt'altro genere di reperti, uno scritto in aramaico, su papiro, che alla radio datazione col metodo del carbonio 14 è risultato antico di venti secoli. Da quasi altrettanti giaceva in India entro un cunicolo privo d'aria e per questo è giunto pressoché intatto al nostro tempo, nonostante l'estrema fragilità di tutti i supporti papiracei. Ma come mai quel papiro si trovava in India visto che, stando all'analisi testuale, si tratta d'un componimento redatto in Galilea e Giudea, nel corso degli anni 28-50 dello I secolo? Precisamente d'un diario tenuto da Levi Matteo, componente il gruppo itinerante di Gesù di Nazareth? E come sarebbe mai giunto quasi subito nell'induista e buddista penisola indiana? Non solo: quel documento potrebbe essere il testo evangelico perduto di cui aveva scritto, al principio del II secolo, il vescovo Papia di Gerapoli in una lettera dove, oltre a richiamare vangeli in greco che sarebbero stati riconosciuti canonici dal “Canone Muratoriano” e dal documento d'Ireneo “Contro le eresie” attorno all'anno 180, il prelato citava un vangelo redatto “nella lingua dei giudei”, cioè in ebraico o in aramaico. Non era stato d'altronde solo il vescovo Papia a parlare di quel testo perduto, ne avevano scritto anche gli antichi studiosi Ireneo di Lione ed Eusebio di Cesarea. Al romanzo, che si svolge prevalentemente lungo la falsariga di quel documento, segue una postfazione con attinenti osservazioni storico-critiche. L'opera è munita inoltre di molte note storico-sociali sull'ambiente e sui costumi ebraici di 2000 anni fa, ai tempi di Gesù di Nazareth sotto l'occupazione romana.

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