Книга - Il Segreto Dell’Orologiaio

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Il Segreto Dell'Orologiaio
Jack Benton


Il secondo intrigante giallo della Serie ”I segreti di Slim Hardy”.

Un orologio nascosto contiene la chiave di un segreto pluridecennale.



Durante una vacanza - nel tentativo di sfuggire agli incubi del suo ultimo caso - John Hardy, detto Slim, soldato caduto in disgrazia, nonché attuale investigatore privato, trova qualcosa sotterrato nella Brughiera di Bodmin. Incompleto e danneggiato dalla pioggia, il vecchio orologio funziona ancora, ed è la pista principale per risolvere il caso di una persona scomparsa. Mentre inizia ad investigare nella cittadina di Penleven, in Cornovaglia, Slim viene trascinato in un vortice di bugie, pettegolezzi e segreti, parte dei quali la comunità prefirebbe rimanessero nascosti. Venticinque anni prima, un orologiaio eremita aveva lasciato il proprio laboratorio e si era incamminato per la Brughiera di Bodmin, portando con sé il suo ultimo, incompiuto orologio. Scomparse. E Slim è determinato a scoprire perché.



”Il segreto dell'orologiaio” è l'avvincente sequel dell'acclamato esordio letterario di Jack Benton, ”L'uomo in riva al mare”.









Il segreto dell'orologiaio

Jack Benton

Traduzione di Francesca Catani










Indice


disponibile e tradotto anche di Francesca Catani (#u242780ab-2841-544e-b561-83683d987aec)

Il segreto dell’orologiaio (#u5a4629bb-6311-57cd-afe7-193391f42f78)

Capitolo 1 (#u073b6edb-522e-51e6-885d-4bd079de4624)

Capitolo 2 (#u5087c99d-d55e-5290-8e8d-eb9cc6c0beef)

Capitolo 3 (#ubb3ca143-1102-5898-9ad6-6e4c7bac0ad0)

Capitolo 4 (#u3eb47388-f623-505e-8373-de0f08385e95)

Capitolo 5 (#ucdb7a820-9cb0-5036-b5ee-9ec105422c68)

Capitolo 6 (#u49151022-166d-5f2e-94cb-54c5dd8adf05)

Capitolo 7 (#uf56dc8df-2764-5530-af58-d58bd7acf4d0)

Capitolo 8 (#uef9eefbe-4120-59ef-a8c4-84bb6e1e7479)

Capitolo 9 (#u590df311-e642-59da-afa2-80b099cb0b6c)

Capitolo 10 (#uc0b3d134-66a1-5aea-8111-25a21cab76ac)

Capitolo 11 (#u97649e91-1039-57ac-b5a0-4d022bb749a5)

Capitolo 12 (#udd7e9804-3204-5095-afd5-549551875a2d)

Capitolo 13 (#u084bf451-74e3-5632-a670-0e1f942ac0b9)

Capitolo 14 (#ue5fa9140-6077-5d84-8e8e-e45c593fda3e)

Capitolo 15 (#u7af3faa3-5727-5cfc-bd13-5c139e5af40e)

Capitolo 16 (#u2b0c7dca-2dd1-5236-8579-a2ede752764e)

Capitolo 17 (#uff993044-bc06-54d4-a546-01c02946e555)

Capitolo 18 (#u795b57f0-ac3c-553f-9f1a-5dc4f69cb54f)

Capitolo 19 (#u7efaf6f4-e99c-5ffe-a952-d64483421728)

Capitolo 20 (#uc82c9b38-783e-54a0-9a71-1e82454f88ec)

Capitolo 21 (#u55787b22-4558-57d1-adbb-df5ae85cf112)

Capitolo 22 (#u25a02976-9bbb-55f0-9588-cefa6867b922)

Capitolo 23 (#u87aa1321-2c90-5fac-aa47-83ad891588b5)

Capitolo 24 (#ubc3d1d9a-d670-52f7-84f3-d4e1fae9ba88)

Capitolo 25 (#u1476dcd5-e426-5d10-8021-0bad62a7f5e8)

Capitolo 26 (#ubac41c64-5ab4-5807-b00d-2b8f862b1b27)

Capitolo 27 (#u077cd3ed-4c79-56dd-bc13-5c3e0eff35e7)

Capitolo 28 (#u0e83b704-4e55-5d4a-95ee-5baeade36f17)

Capitolo 29 (#u3900fb44-64da-5af7-a199-7ed22aa4170d)

Capitolo 30 (#u0e6df507-7c98-5955-af3f-0a971db09672)

Capitolo 31 (#u103798b9-30ce-593f-87d0-235545ac1dd0)

Capitolo 32 (#u66872051-5f9b-55ec-9be3-074d332ff064)

Capitolo 33 (#ua1b82c67-a1cd-5af0-9a33-d60d03c033cd)

Capitolo 34 (#uf97bc44d-2464-5a86-a8ed-329445a3458c)

Capitolo 35 (#u851a29b3-a634-51b6-8302-456cb748686c)

Capitolo 36 (#u598adbac-cd0b-5b45-a258-0b432bbead70)

Capitolo 37 (#ubc7fe41c-c599-5368-b9a7-ba34d2fff621)

Capitolo 38 (#uf91b8dad-035b-5e25-a824-9b13f8dbdbaf)

Capitolo 39 (#u3d7bc35e-5100-54f0-910a-94f31bad51a3)

Capitolo 40 (#uf006e5fa-e54d-5178-a8ea-e4ca1716642a)

Capitolo 41 (#u7477d40c-10ae-53db-9ea0-e520465e8412)

Capitolo 42 (#ub1fd2d30-04b8-5a5f-9930-6f63b13da5f7)

Capitolo 43 (#u23116520-06b4-5ba5-84d2-2e142edd2ee1)

Capitolo 44 (#uc8f401cc-1f3d-5ff2-b742-8c0d2130c295)

Capitolo 45 (#u32cf1705-3133-51ef-a39f-a63a9e26bbea)

Capitolo 46 (#u435eb0dd-3ff5-58e1-bb63-45ecfc55cbea)

Capitolo 47 (#ucea1a582-13a9-5f13-8d1b-395e2a6126d8)

Capitolo 48 (#u2fd0f915-5172-5276-b597-4a806e89a749)

Capitolo 49 (#u39d56e5a-d750-5905-bb27-cfc58e96a6c9)

Capitolo 50 (#ua7f9e201-f166-584a-97bb-154be1b96051)

Capitolo 51 (#u267f23a7-70d9-5d87-9c11-7d9b790d16b6)

Capitolo 52 (#uf011fae2-081f-524e-b8ea-7b858607b35a)

Capitolo 53 (#u61a6f252-d756-5538-a39c-47882a6598a3)

Capitolo 54 (#u5338254f-d3dd-5ec4-93a3-12781048a58b)

Circa l'autore (#ud30951ca-6f76-500a-8ecb-b72e91c96a26)


"Il segreto dell'orologiaio" Copyright © Jack Benton / Chris Ward 2019

Traduzione Italiana di Francesca Catani

Il diritto di Jack Benton / Chris Ward di essere identificato come l'autore di quest'opera è stato da lui rivendicato in conformità con il Copyright, Designs and Patents Act 1988.

Tutti i diritti riservati. Nessuna parte di questa pubblicazione può essere riprodotta, memorizzata in un sistema di recupero o trasmessa, in qualsiasi forma o con qualsiasi mezzo senza previa autorizzazione scritta dell'Autore.

Questa storia è un'opera di finzione ed è un prodotto dell'immaginazione dell'autore. Tutte le somiglianze con luoghi reali o con persone vive o morte sono del tutto casuali.




disponibile e tradotto anche di Francesca Catani


L'uomo in riva al mare



Il segreto dell’orologiaio




1







L’escursione non stava andando secondo i piani.

Le imponenti pile di granito di Rough Tor si erano dimostrate essere una pessima bussola, snodandosi senza sosta lungo l’orizzonte, mentre Slim Hardy provava a rimettersi sul sentiero che l’aveva condotto dal parcheggio sino in cima alla collina.

Alla sua destra, un piccolo gregge di pony di brughiera bloccava l’accesso diretto al crinale e alle pile più alte. Con sguardo provocatorio, i pony osservavano Slim in ogni suo passo, mentre li fiancheggiava e si muoveva lentamente lungo il sentiero dissestato e paludoso, facendo attenzione alle pietre in granito che spuntavano tra i ciuffi di brughiera.

Slim sospirò. Era decisamente fuori strada: il lungo crinale di Rough Tor si ergeva dritto davanti a lui e la sommità pianeggiante di Brown Willy, con la sua distesa di rocce, appariva in lontananza, oltre un’ampia e dolce vallata. Per forza dell’abitudine, allungò la mano come per prendere la fiaschetta, che non portava più con sé, così scosse la mano, come per rimproverarsi della smemoraggine, e si sedette su una roccia per riprendere fiato.

Sulla cima del crinale, gli escursionisti che aveva seguito sin dal parcheggio saltavano giù dall’ammasso di pietre e si dirigevano verso Brown Willy. Come i due si allontanarono, Slim provò un improvviso senso di solitudine. In fondo alla discesa, c’erano tre auto nel parcheggio – e quel pastrocchio rosso che chiamava bicicletta – ma degli altri escursionisti, non vi era traccia. All’infuori dei pony, non vi era nessun’altro.

Dopo aver dato un morso ad un vecchio panino e aver bevuto un sorso d’acqua, Slim alzò gli occhi alla cima, lacerato dal dubbio. Lo aspettava un’intensa pedalata, lungo tortuosi e dissestati sentieri di campagna, e la batteria del suo faretto era scarica. Come si girò, però, un raggio di sole trafisse le nuvole e, in lontananza, verso sud, La Manica iniziò a risplendere fra le colline. A nord-ovest, Slim provò ad intravedere l’Atlantico, ma un banco di nebbia aleggiava sui campi, offuscando l’intero panorama, meno un minuscolo triangolo grigio, che forse era l’oceano.

Cimentandosi in un lungo grugnito, rimise lo zaino in spalla e riprese l’escursione, ma, dopo non più di un paio di passi, il suo stivale scivolò su una roccia traballante, facendolo sprofondare fino al ginocchio in una pozza d’acqua sporca. Con una smorfia, Slim liberò il piede dal fango e barcollò fino a raggiungere un lenzuolo di terra asciutta.

Mentre toglieva e svuotava lo stivale sinistro, si lasciò sfuggire un ghigno nostalgico al ricordo di quel paio di calzini di ricambio che aveva lasciato sul letto della camera, così da far spazio al volume preso in prestito dalla libreria della pensione.

Ancora una volta le nuvole lasciarono intravedere velocemente il sole, che illuminò improvvisamente le pile di granito. Il gregge di pony si era spostato al di là della collina, lasciando aperto il passaggio per il crinale.

“Forza,” borbottò fra sé e sé. “Non sei uno che molla, vero?”

All’indossare nuovamente lo stivale, questo cominciò a cigolare, ma, nonostante tutto, dopo quindici minuti e senza perdere la smorfia sul viso, Slim finalmente raggiunse il crinale e si arrampicò sulle pile di granito, sino a raggiungere il punto più alto. La nebbia era salita e nascondeva tutto meno le pendici della collina. Le vecchie cave di caolino a sud-est non erano che fantasmi nella nebbia, avvolte da un lenzuolo grigio appeso sul mondo.

Con la sabbiolina lasciata dal fango – che tra le dita dei piedi sembrava carta vetrata – Slim si limitò a bere un sorso d’acqua prima di intraprendere la strada del ritorno. Una mite giornata primaverile si stava velocemente trasformando in una nottata d’inverno e solamente un’ora di luce lo separava dal buio completo. Anche se la nebbia non aveva ancora raggiunto ed avvolto il parcheggio con i suoi toni grigiastri – una macchia rossa accanto al muretto svelava ancora la posizione della sua bici –, questo sembrava ora più lontano di quanto non lo fosse stato prima il crinale.

Stava fissando il vuoto all’orizzonte, contando le pecore rannicchiate in una conca ai piedi della collina per distogliere la mente dalle gelide folate di vento, quando ancora una volta scivolò su qualcosa.

Cadde bruscamente sulle mani. Era caduto sullo stesso piede, ma questa volta si era slogato la caviglia e un dolore fulmineo gli percorse l’intera gamba. Si sdraiò supino, allargò lo stivale e si mise a massaggiare la caviglia per qualche minuto. Al togliere il calzino fradicio notò il formarsi di un brutto livido e il contatto diretto con l’aria fredda di febbraio lo fece rabbrividire. Perlomeno il terreno qui era asciutto, così si sedette e si mise a fissare la cima, arrabbiato e sconsolato allo stesso tempo. “Sbagliare è umano”, si ricordò di un proverbio che la sua ex-moglie ripeteva sempre, anche se si era dimenticato come finiva.

Si guardò intorno, alla ricerca della roccia su cui era inciampato, e aggrottò la fronte. Qualcosa spuntava dai ciuffi d’erba, svolazzando in aria.

L’angolino di una busta di plastica, logora e ridotta a brandelli, da tempo sbiadita in un color grigiastro. Slim esitò prima di provare a prenderla, ricordandosi che, quando era in servizio in Iraq, una cosa del genere poteva indicare la presenza di mine, essere un segnale per i militanti locali che operavano in quella zona. Qualsiasi tipo di spazzatura era un potenziale segnale di morte e, nelle periferie sporche e decadenti di alcune città, Slim non avrebbe osato fare un altro passo.

Con sua grande sorpresa, la busta oppose resistenza al suo strattone. Con le mani si addentrò nell’erba per palpare con le dita il contenuto della busta: un oggetto duro e spigoloso. Si estendeva, sotto l’erba, per almeno due spanne; il cuore gli iniziò a palpitare. Un vecchio armamento militare? L’altopiano di Dartmoor, a nord-est, veniva usato per esercitazioni militari, ma la Brughiera di Bodmin in teoria era fuori pericolo.

Premette un dito contro la superficie, che cedette leggermente. Era legno, non plastica, né metallo. Non aveva mai visto una bomba fatta di legno.

Cominciò a fare spazio nell’erba, che si piegò facilmente, e sbrogliò l’oggetto avvolto nella busta dal manto erboso. Gli angoli appuntiti e i solchi intagliati catturarono la sua attenzione. Sciolse il nodo che chiudeva la busta ed estrasse l’oggetto.

“Cosa…?”

La busta conteneva un bellissimo ed elaborato orologio a cucù. I delicati intagli del legno avvolgevano il quadrante centrale. Inaspettatamente, l’orologio funzionava ancora: dal nulla, un cuculo saltò fuori da una porticina posizionata sopra il numero 12, e il suo canto stanco si insidiò nelle orecchie folgorate di Slim.




2







“Si tratterrà un’altra settimana, Signor Hardy?”

La Signora Greyson, proprietaria dallo sguardo austero del Bed & Breakfast ‘Sul Lago’, stabilimento che teneva fede solamente a due dei servizi offerti dal nome, lo stava aspettando nel tetro ingresso, quando Slim varcò la porta. Raffreddato e dolorante per via del lungo viaggio e ancora spaventato da una Ford Escort dal motore completamente andato che, sbandando lungo la strada, l’aveva quasi ridotto in carne macinata, aveva sperato di evitare questa conversazione almeno fino a quando non avesse fatto una doccia.

“Non ho ancora deciso,” disse. “Posso farle sapere domani?”

“Ho solo bisogno di sapere se affittare la stanza o meno.”

Slim non aveva visto nessun’altro cliente occupare le altre stanze del B&B. Forzò un sorriso per la Signora Greyson, ma mentre le passò davanti dirigendosi verso le scale, si fermò.

“Non conosce, per caso, qualcuno da queste parti a cui possa chiedere una valutazione?”

“Valutazione? Di cosa?”

Slim alzò il polso, indicando l’orologio comprato al mercatino delle pulci un anno prima. “Pensavo di darlo in pegno,” disse. “Credo sia l’ora di prenderne uno nuovo.”

La Signora Greyson arricciò il naso. “Posso dirglielo io quanto vale. Nulla.”

Slim sorrise. “Non sto scherzando. Apparteneva a mio padre. È un cimelio di famiglia.”

La Signora Greyson scrollò le spalle, come se sapesse che stava imbastendo una bugia. “Sono sicura sarà una perdita di tempo, ma se davvero non sta scherzando, troverà qualcosa a Tavistock. C’è un mercatino ogni sabato. Vendono ogni tipo di ciarpame, senza dubbio troverà qualcuno disposto a prenderselo ad un costo simbolico.”

“Tavistock? Dove si trova?”

“Oltre Launceston, nella contea del Devon.” Disse, arricciando nuovamente il naso, come se trovarsi oltre il confine della Cornovaglia fosse il più atroce di tutti i crimini.

“Conosce un autobus che possa prendere?”

La Signora Greyson sospirò. “Perché semplicemente non affitta un’auto? Che genere di persona viene in Cornovaglia senza un’auto?”

Il genere che non ha più una patente, avrebbe voluto risponderle Slim, ma non lo fece. Quella donna aveva già abbastanza pregiudizi contro di lui senza sapere della sospensione per guida in stato di ebrezza.

“Gliel’ho detto, cerco di muovermi in maniera più sostenibile. Sto cercando di riconnettermi con il mio lato terreno.”

“Buon per lei.” E un altro sospiro. “Beh, l’orario degli autobus lo trova sulla porta della sua stanza, come le ho già detto.”

Slim non ricordava se gliel’avesse già detto o meno. Sì, c’era qualcosa sulla porta, ma era così sbiadito da essere illeggibile e probabilmente non veniva aggiornato da anni.

“Grazie,” disse, porgendo un sorriso.

“Sinceramente, non sa quanto è fortunato che abbiano creato una nuova linea che percorre il nord della Cornovaglia. Una volta, passava un autobus alla settimana per Camelford. Partiva alle due del pomeriggio ogni martedì e si doveva aspettare una settimana per tornare a casa. Rimanere a Camelford per una settimana? Per molti, un’ora è più che sufficiente.”

“Un posto niente male, dev’essere.”

La Signora Greyson non colse la nota di sarcasmo nella risposta di Slim. “Per anni hanno cercato di costruire una tangenziale. Almeno adesso gli autobus partono due volte al giorno. Blair, è stato lui, a risolvere tutto. Le cose sono peggiorate da quando sono tornati i Tory al governo. Ce l’avevano con la piscina sull’oceano di Bude, poi i bagni pubblici di—”

“La ringrazio, Signora Greyson,” disse Slim.

La Signora Greyson fece per tornare in cucina, continuando a borbottare, come se le parole le sgocciolassero da sole dalla bocca, che fungeva da rubinetto semichiuso, mentre smistava tra le mani una manciata di bollette, estratti conto e lettere. Slim stava iniziando a sperare che la conversazione fosse giunta al termine, quando la donna si fermò e si rigirò verso di lui. “Cenerà fuori stasera?”

L’unico alimentari di Penleven chiudeva alle sei e l’unico pub della città serviva da mangiare fino alle otto e trenta. Aveva appena mezz’ora per accaparrarsi un tavolo per uno, o l’alternativa erano dei noodle riscaldati e un panino al tonno, per la terza sera di fila. Tanti motivi lo stavano portando a dilungare il suo soggiorno in Cornovaglia, ma rinunciare ad una cena decente non era uno di questi.

Annuì. “Penso di sì,” disse.

“Beh, non dimentichi la sua chiave,” disse, come aveva ripetuto ogni sera fino ad allora. “Non mi alzerò nel bel mezzo della notte per farla entrare.”




3







Una volta salito nella sua stanza, attentamente curata e sorprendentemente grande per le dimensioni della struttura, Slim tirò fuori l’orologio impacchettato dallo zaino e lo tolse dalla busta di plastica.

Non ne sapeva nulla di orologi. Nel suo appartamento ne teneva solo uno, di plastica e da quattro soldi, che l’ultimo inquilino aveva lasciato lì. Per sapere l’ora, usava sempre il suo vecchio Nokia, o l’orologio da polso di turno, che di solito comprava ad un mercatino e usava fino a quando i graffi sul quadrante non gli impedivano di leggere l’ora.

L’orologio era composto da un rettangolo di legno, intagliato per sembrare una baita di montagna, con uno sporgente tetto a punta e un foro in basso, da cui mancava il pendolo. Il quadrante, con numeri romani in metallo leggermente rovinati, era contornato da incisioni e ghirigori: animali, alberi, simboli che forse rappresentavano il sole e la luna, oppure le stagioni. In un semicerchio sotto al quadrante, c’erano delle linee che sembravano raffigurare una luna inclinata verso l’alto, o forse un ferro di cavallo incompiuto. C’erano anche alcuni graffi indecifrabili. L’intero orologio era stato rivestito di una vernice spessa, che avrebbe dovuto essere levigata e lisciata per ultimarne il design.

Slim scosse la testa perplesso. Non si era mai imbattuto in un orologio fatto a mano prima d’ora. Se qualcuno aveva perso del tempo per creare qualcosa di così complesso, perché metterlo in una busta di plastica e sotterrarlo nella brughiera?

Paradossalmente, anche senza il pendolo, stava ancora ticchettando, anche se le lancette erano un paio d’ore avanti — stava segnando le undici — e il fondo era stato danneggiato dall’acqua nel punto in cui la busta si era rotta. Slim provò a rimuovere il retro per dare un’occhiata all’interno, ma era stato saldamente avvitato e, dal momento che non aveva i propri attrezzi con sé, non voleva disturbare la Signora Greyson di nuovo. Il legno, però emanava un forte odore di muschio di torba bruciato, così come di stantio. Non era affatto da escludere che l’orologio contasse più dei suoi quarantasei anni.

Slim prese un panno umido dal lavabo e diede una ripulita all’orologio. La vernice recuperò velocemente la sua lucentezza regale, con lo svanire di sporco e polvere. Anche gli intagli si fecero più chiari: topi, volpi, tassi ed altri emblemi della fauna inglese si nascondevano tra curve e gli archi degli alberi. Il ticchettio risoluto degli ingranaggi suggeriva che la competenza tecnica eguagliasse quella artistica e che chiunque avesse costruito questo orologio, l’avesse fatto con orgoglio e grande maestria.

Slim sistemò l’orologio sulla cassettiera accanto al letto e prese il cappotto. Era ora di uscire per la sua camminata notturna verso il pub, possibilmente arrivando in tempo per l’ultimo turno di ordini. Non se la sentiva di mangiare dei noodle di pollo e funghi per la terza notte di fila. Non gli dispiacevano i noodle riscaldati in generale, ma il mercatino locale aveva solo quel sapore. Una sera era riuscito ad accaparrarsi un barattolo di fagioli e delle salsicce, per poi scoprire che però erano andati a male da tre mesi.

Mentre camminava sotto la pioggerellina che caratterizzava la Brughiera di Bodmin e i suoi dintorni dopo il tramonto, non riusciva a smettere di pensare all’orologio.

Se al suo posto avesse trovato un sacco pieno d’oro, non ne sarebbe stato altrettanto intrigato.




4







“Comunque, chi è lei, veramente, Signor Hardy?” chiese la Signora Greyson, con la colazione in mano, come se servirla o meno dipendesse dalla sua risposta. “Insomma, si è fermato qui, nel bel mezzo del nulla, nella mia struttura per settimane, e tutti i giorni esce per camminare per la brughiera o vagare per il paese. È qui per un qualche motivo in particolare?”

Slim alzò le spalle. “Sono un ex-alcolista.”

“Che cena al Crown ogni sera?”

“È la mia penitenza,” disse Slim. “Affronto i miei demoni. In più, mi siedo nel salone, lontano dall’alcol.”

“Ma perché qui? Perché Penleven? Se non fosse per la sua incapacità di ricordare le funzioni di base, come prendere le chiavi della porta prima di uscire, penserei che sia una spia sotto copertura.”

Slim alzò le spalle. “Non potevo permettermi di andare all’estero. E la Cornovaglia mia ha sempre affascinato, soprattutto i suoi luoghi scialbi, freddi e tenebrosi che la maggior parte delle persone evita di visitare.”

“Beh, la descrizione perfetta di Penleven,” disse la Signora Greyson con aria leggermente delusa, come se avesse avuto la sua occasione per andarsene e l’avesse sprecata. “Ci sono solo un paio di centinaia di abitanti, ma almeno non siamo una di quelle cittadine fantasma durante l’inverno, come molti dei paesi sulla costa.”

“Cittadine fantasma?”

“Boscastle, Port Isaac, Padstow… hanno solo case vacanze. Prosperano in estate e sono deserte d’inverno. Forse non siamo una comunità molto attiva, ma si incontra sempre un volto amico all’alimentari o al pub.”

Le volte che si era avventurato fuori dal salone del Crown per ordinare la sua cena, Slim non aveva visto molti volti amici, ma, piuttosto, oppressi, mentre sprofondavano nelle loro birre, fissando il vuoto. Forse era l’inverno — di notte, il vento fischiava, facendo sbattere le finestre così forte da temere, alle volte, che si staccassero dal muro, ed era realmente buio sulla via che portava all’albergo, non il buio di città a cui Slim era abituato. O forse era il fatto di non avere molto di cui parlare da queste parti. Il telefono di Slim non prendeva, a meno che non camminasse per un paio di chilometri in direzione dell’A39, ma per qualcuno che aveva più cose da dimenticare rispetto a quelle da aspettarsi, era la situazione ideale.

Come arrendendosi al fatto che la caccia al pettegolezzo, che avrebbe potuto far accrescere la sua notorietà tra gli anziani membri dalla lingua lunga della sua comunità, era giunta al termine, la Signora Greyson servì a Slim la sua colazione e si mise in disparte, con le braccia conserte, ad osservarlo per qualche secondo, per poi voltarsi bruscamente e marciare verso la cucina. Slim era rimasto da solo nell’angusta sala da pranzo dell’albergo, composta da tre tavoli addossati così tanto alla parete da aver lasciato il segno sulla carta da parati, ed uno al centro della stanza, come fosse stato dimenticato lì in mezzo. La Signora Greyson, come atto di sfida contro la sfacciataggine con cui la tormentava con i suoi affari, preparava per Slim il posto peggiore di tutti ogni mattina: un tavolino infilato dietro la porta che portava all’ingresso. Il menù, di cui tre delle quattro opzioni erano state depennate, consisteva unicamente in un fritto di cavolo bollito, con un occasionale contorno di fagioli. Dava così tanto gas che Slim doveva lasciare la finestra aperta di notte.

Almeno il pane tostato era gradevole e il caffè, anche se privo di quel tocco in più che Slim avrebbe aggiunto in passato, era forte e sembrava essere stato preparato il giorno prima, proprio come piaceva a lui.

Mangiò velocemente, ringraziò la Signora Greyson con un urlo e si diresse fuori prima che questa potesse rimetterlo all’angolo. Fu accolto da un vento umido che fischiava dalla Brughiera di Bodmin per qualche chilometro ad est e che impediva alla sua giacca di mantenerlo al caldo e all’asciutto. Anche quando la brughiera era asciutta, Penleven era avvolta dalla pioggerellina di sempre, come se appartenesse ad un microcosmo a parte.

L’autobus, che arrivò con dieci ammissibili minuti di ritardo, lo condusse, dopo un interminabile serpeggiare lungo strette e tortuose stradine tra le valli boscose, alla pianura che ospitava la ridente città di Tavistock. Disposta ai margini di un tratto del fiume Tavy, si configurava come un gradevole incasso di strade storiche, rivestite di negozi sorprendentemente cosmopoliti. Cullato dall’inconsueta presenza umana, Slim ne approfittò per rimpiazzare il vecchio sapone del bagno della Signora Greyson, comprare una maglietta di H&M e pranzare in un fast-food. Tornando agli affari, dopo aver assistito alla partita di rugby su un grande schermo, individuò il mercatino vicino al fiume e chiese in giro di un commerciante di antiquariato. Tre persone consigliarono Geoff Bunce, il proprietario di una bottega nascosta all’angolo poco più avanti, vicino ad un bar ben movimentato.

“Devo far valutare un orologio,” disse Slim a Bunce, il cui girovita e barba bianca lo rendevano un Babbo Natale fuori stagione, aspetto poi accentuato dalle bretelle che gli cingevano la pancia sporgente.

“Mi faccia dare un’occhiata.”

Bunce rigirò l’orologio svariate volte, borbottando fra sé e sé con visibile soddisfazione, stringendo gli occhi di tanto in tanto per lanciare un’occhiata sospetta a Slim.

“Le dispiace se apro il retro?”

“Nessun problema.”

Mentre Bunce si mise al lavoro con il cacciavite, Slim si sedette a lato della scrivania e lasciò vagare lo sguardo verso gli scaffali e scatole colmi di cianfrusaglie. Non tanto antiquariato quanto spazzatura di un passato molto lontano.

“È un amico del vecchio Birch?” chiese Bunce all’improvviso.

“Cosa?”

Bunce mostrò una busta rovinata dall’acqua.

“Il vecchio Birch. Amos.”

Slim alzò le spalle, chiedendosi se Bunce non stesse comunicando in un qualche dialetto cornico. Poi, mosso dalla frustrazione, l’uomo ripeté, “Amos Birch. L’uomo che ha prodotto quest’orologio. Viveva a Trelee, vicino alla Brughiera di Bodmin. Aveva una fattoria. All’inizio vendeva i suoi orologi proprio qui al mercato di Tavistock, prima di diventare famoso. Era un suo amico?”

“Sì, un amico.”

“Quindi immagino che questa le appartenga,” disse, scuotendo la busta come per ricordare a Slim della sua esistenza.

Slim la prese, percependo immediatamente la delicatezza della carta invecchiata insieme all’umidità. Se avesse provato ad aprirla, la busta si sarebbe sgretolata fra le sue dita e ogni messaggio contenuto al suo interno si sarebbe perduto.

“Ah, ecco dov’era andata a finire,” disse, sfoggiando un sorriso poco convincente. “La stavo cercando.”

“Immagino, Signor—?”

“Hardy. John Hardy, ma le persone mi chiamano Slim.”

“Non oserò chiedere il perché.”

“Meglio così. Non è una storia che merita di essere raccontata.”

Bunce sospirò di nuovo. Rigirò l’orologio un’ultima volta. “È incompiuto,” disse, confermando ciò che Slim aveva già ipotizzato. “Immagino che il suo amico Birch glielo abbia lasciato come regalo? Non avrebbe potuto venderlo in queste condizioni, un uomo con la sua reputazione.”

“Sembra che lo conoscesse bene.”

“Eravamo amici ai tempi della scuola. Amos aveva due anni in più di me, ma non c’erano molti bambini. Ci conoscevamo tutti.”

“Una comunità molto affiatata.”

“Non è di qua, vero, Signor Hardy?”

Slim aveva sempre ritenuto di avere una parlata piuttosto neutra, ed era proprio questo che lo rendeva un forestiero in terre dove ci si aspettava un forte accento dell’ovest.

“Lancashire,” disse. “Ma ho trascorso molto tempo all’estero.”

“Esercito?”

“Come faceva a saperlo?”

“I suoi occhi,” disse Bunce. “Infestati da fantasmi.”

Slim fece un passo indietro. Una serie di ricordi indesiderati cominciò a passargli davanti, così se li scrollò di dosso, facendoli svanire.

“Anche lei era nell’esercito?”

“Isole Falkland. Meno ne parlo, meglio è.”

Slim annuì. Almeno avevano un punto d’incontro. “Beh, credo di averle rubato anche troppo del suo tempo—”

“Potrebbe farci qualche centinaia,” disse Bunce improvvisamente, con in mano l’orologio. “Forse qualcosa in più se riesce a metterlo all’asta. Ci sono collezionisti di orologi di Amos Birch, per quanto rari. È incompleto e ha qualche danno estetico, me è comunque un Amos Birch originale. Erano molto ricercati un tempo. Amos creò un’industria artigianale prima che iniziasse ad andare di moda.”

“Un tempo?”

Bunce aggrottò la fronte e Slim sentì le proprie bugie sgretolarsi tutto d’un tratto.

“L’interesse per Amos Birch fu scemando dopo la sua scomparsa.”

“Dopo la…?”

“Ne è al corrente, non è vero, Signor Hardy, che il suo amico risulta scomparso da oltre vent’anni?”




5







Il Crown & Lion, il malinconico pub sul confine di Penleven, emarginato dal quartiere più vicino da una fitta cortina di alberi, non era mai stato tanto invitante. Dall’unica fermata dell’autobus del paese, Slim non aveva altra scelta che passarci davanti per raggiungere il Bed & Breakfast e, anche se normalmente si sarebbe fermato per cenare nel malandato salone per famiglie, bramando un sorso di ciò che avrebbe cancellato gli ultimi tre mesi di sobrietà nel battito di ciglio di un incredulo abitante del luogo, stasera era vittima di quella vecchia tensione, quella nervosa agitazione che avrebbe potuto farlo crollare. Le persone dicono che non si smette mai di essere un alcolista e, anche se Slim sperava di potersi godere una birra di tanto in tanto un giorno, quegli anni di libertà e appagamento erano solo un lontano ricordo. Lanciò un’occhiata nostalgica alle luci del pub dalla finestra, per poi rimettersi in marcia.

La pensione era silenziosa al suo arrivo, ma oltre una porta chiusa si sentiva il suono soffocato di una tv a basso volume. Slim aprì la porta e vide la Signora Greyson addormentata sulla sua poltrona, davanti alla stufa elettrica. Il telecomando del televisore era appoggiato sul bracciolo, come se avesse abbassato il volume prevedendo di addormentarsi.

Slim si diresse di sopra. Mise l’orologio sul letto e uscì di nuovo. A poco meno di un chilometro di distanza, fuori dall’unico alimentari della città, Slim trovò una cabina telefonica.

Chiamò un amico del Lancashire. Kay Skelton era un esperto in linguistica e traduzioni, che Slim aveva conosciuto ai tempi dell’esercito e con cui aveva già collaborato. Slim gli raccontò dell’antica lettera trovata sul retro dell’orologio.

“Se c’è scritto qualcosa, devo sapere cos’è,” disse Slim.

“Inviamela come raccomandata,” disse Kay. “Non è qualcosa che io sappia fare, ma ho un amico che può aiutarti.”

Dopo aver concluso la chiamata, Slim si sorprese di trovare l’alimentari ancora aperto, quasi alle sei e un quarto.

“Sto chiudendo,” fu il benvenuto severo della commerciante, una donna anziana dal volto così amareggiato che Slim iniziò a dubitare che, anche volendo, riuscisse a sorridere.

“Ci metto solo un minuto,” disse Slim.

“Quello che dicono tutti, non è vero?” rispose con un ghigno, accompagnato da una risata sarcastica, che lasciarono Slim incapace di decifrare se stesse scherzando o essendo scortese.

Dopo aver comprato una busta, Slim scoprì che, sì, il negozio era anche l’ufficio postale del paese, e sì, inviavano anche raccomandate, nonostante una sovrattassa per il servizio fuori dall’orario di funzionamento delle poste.

“Trelee è lontana da qui?” chiese, mentre la commerciante lo stava scortando alla porta senza troppi giri di parole.

“Perché dovrebbe andarci? Non c’è molto da vedere per i turisti.”

“Ho sentito dire che è un posto alquanto misterioso.”

La commerciante alzò gli occhi al soffitto. “Ah, sta parlando di Amos Birch, l’orologiaio. Pensavo fosse acqua passata. Cosa le importa di un vecchio scomparso?”

“Sono un investigatore privato. La sua storia ha catturato il mio interesse.”

“Perché? C’è ben poco da scoprire. Qualcuno l’ha ingaggiata?”

La parola ‘ingaggiata’ fu pronunciata con tanto sdegno che Slim si chiese se la commerciante avesse avuto una brutta esperienza con un investigatore in passato.

“Sono in vacanza,” disse. “Ma sa cosa dicono — il lavoro non va in vacanza.”

“Non è proprio vero?”

“Quindi… si prende la destra o sinistra usciti dal paese?”

La commerciante alzò di nuovo gli occhi al soffitto. “A nord, sulla via di Camelford. Forse vedrà un cartello — ce n’era uno, ma la giunta comunale non taglia più le erbacce come una volta. Sono circa dieci minuti di macchina.”

“E a piedi?”

“Un’ora. Forse un po’ di più. Conoscendo il sentiero si può tagliare per la Brughiera di Bodmin e risparmiare un po’ di tempo, ma stia attento. Era una regione di miniere.”

“Grazie.”

“E si porti qualcosa da mangiare. Questo è l’unico alimentari da qui fino al benzinaio Shell sulla A29, appena fuori Camelford.”

Slim annuì. “Grazie per le informazioni.”

La commerciante scrollò le spalle. “Se vuole sapere la mia, mi risparmierei il viaggio. Non c’è nulla da vedere tranne che una vecchia fattoria, e poco altro da scoprire. Quando Amos Birch è scomparso, ha fatto in modo di non venire trovato.”




6







Il mattino seguente, Slim fu accolto dalla pioggia al suo risveglio e, ciononostante, la Signora Greyson non era mai stata così felice come quando le disse che stava uscendo.

“Non è la giornata migliore per avventurarsi nella brughiera, non crede?” disse. Quando Slim alzò le spalle, aggiunse, “Insomma, ho un ombrello che potrei prestarle, ma come farebbe ad usarlo in bicicletta? E comunque, il vento lassù lo massacrerebbe.”

Slim prese in considerazione l’idea di smascherare il suo bluff e chiedere comunque l’ombrello, ma decise di correre il rischio usando la solita giacca. La Signora Greyson gli offrì una vecchia mappa topografica della zona, ma Trelee vi appariva un come un puntino distante un paio di quadrati da Penleven, a cui era stato concesso molto più spazio di quanto quel rado ammasso di case meritasse.

La strada era esattamente quella che si aspettava di trovare in Cornovaglia, lontano dalla A30 o dalla A39: infinita, tortuosa e ampia a malapena da far passere due macchine, piena di curve cieche e bivi nascosti tra valli boscose e dolci colline che ospitavano fattorie e brughiere. Le fitte siepi di tanto in tanto si aprivano per fare spazio a bellissimi panorami frastagliati di distese nebbiose, tuttavia, camminando all’ombra degli sporgenti alberi col latrato di un cane in lontananza o il cinguettio di un uccello come unici compagni di viaggio, la fantasia di Slim iniziò a provocarlo con immagini di corpi mutilati ed annunci di persone scomparse sull’ultima pagina del giornale della domenica.

Trelee, sul punto della strada dove la mappa indicava si trovasse il paese, non era altro che una dozzina di case, scaglionate lungo un chilometro di strada pianeggiante e divise dagli ingressi ai campi con vista sulla Brughiera di Bodmin. Alcune stradine si perdevano in valli nascoste, che portavano a gruppi di fienili e granai appartati, di cui solo i tetti si intravedevano tra gli alberi spogli.

Slim legò la bicicletta ad un cancello vicino al cartello comunale che leggeva ‘TRELEE’, a caratteri cubitali, mentre l’erba intorno giaceva a terra come fosse stata colpita con un bastone, e continuò a camminare, chiedendosi se fosse stata solo una perdita di tempo. Le prime tre case erano villette moderne, lontane dalla strada principale. Nei rispettivi vialetti non vi erano auto, il che suggeriva che i proprietari fossero al lavoro, in una metropoli lontana. Avvistò altri segnali di vita umana: dei giocattoli disseminati su un vialetto e un elegante gatto sul parapetto di una finestra.

Passate le villette, c’erano alter tre casolari più rustici, con pareti di pietra e tetti in paglia, come in un documentario sui luoghi più sperduti della Cornovaglia. I primi due sembravano vuoti, dai cancelli e cassette della posta chiusi a lucchetto, mentre, nel giardino del terzo, un uomo anziano era al lavoro; per la precisione, stava svuotando i resti scheletrici di alcune piante morte in un cumulo di terriccio, per poi impilare tutti i vasi insieme.

Slim alzò il braccio in risposta ad un suo saluto cordiale.

“Mi chiedevo se potesse dedicarmi un minuto?”

L’uomo lo raggiunse. “Certo. È nuovo da queste parti?”

“Sono di passaggio. In vacanza.”

L’uomo annuì, pensoso. “Interessante. Personalmente avrei scelto un posto più vicino alla costa, ma ad ognuno il suo.”

Slim alzò le spalle. “Era economico.”

“Non mi sorprende.”

“Sto cercando qualcuno che conoscesse Amos Birch,” disse Slim, prima che potesse realmente riflettere su cosa dire. “Sono a conoscenza del fatto che sia deceduto, ma mi chiedevo se avesse una moglie o dei figli. Ho trovato qualcosa che dovrebbe appartenergli.”

Il nome di Amos rese l’uomo visibilmente nervoso. “Se sia deceduto o meno, è ancora oggetto di dibattito. Chi vuole saperlo?”

“Mi chiamo Slim Hardy. Alloggio al Bed & Breakfast ‘Sul Lago’, a Penleven.”

“E cosa ha trovato?”

Slim realizzò che non c’era motivo di nasconderlo. “Un orologio. Ho sentito dire fosse un costruttore amatoriale.”

L’uomo si mise a ridere. “Amatoriale? Chi l’ha descritto così?”

“È quello che ho sentito dire.”

“Beh, amico mio, se davvero ha trovato un orologio di Amos Birch, dovrebbe tenerselo per sé, o almeno sottochiave.”

“E perché?”

“Quegli aggeggi sono altamente richiesti. Amos Birch non era un amatore. Era un artigiano di fama nazionale. I suoi orologi valgono migliaia di sterline.”




7







Mentre sedeva dall’altro lato di un traballante tavolo rispetto all’uomo che si era presentato come Lester “ma chiamami pure Les” Coates, Slim si ritrovò a pensare senza sosta all’orologio che aveva lasciato distrattamente sul letto della pensione. Poteva valere una piccola fortuna, il che, in assenza di un caso imminente, poteva fargli comodo.

“I racconti non finivano più,” disse Les servendo un tè che, per i gusti di Slim, si rivelò essere fastidiosamente fiacco. “Si trattava letteralmente di una persona che un giorno era qui e il giorno dopo era scomparsa. Si facevano le ipotesi le più disparate: da che fosse caduto in una miniera nella Brughiera di Bodmin, a che fosse stato rapito da un gruppo terroristico. Piuttosto elaborate, si potrebbe dire.”

“Viveva qui vicino?”

“Alla Fattoria Worth. Uscendo da casa, verso nord, è la seconda stradina a sinistra. Aveva dei contadini che lavoravano alla fattoria per lui, ma non è niente di che. Si diceva che la portasse avanti solo per ottenere un’agevolazione fiscale.”

“E gli orologi?”

“Vennero dopo. Iniziò come contadino, ereditando la fattoria del padre, credo. Poi, quando l’interesse nel suo secondo lavoro iniziò a crescere, ha fatto dei tagli ad uno per poter ingrandire l’altro.”

“Eravate amici?”

Les scosse la testa. “Vicini. Nessuno era davvero amico del vecchio Birch. Non era la persona più socievole del mondo, ma abbastanza amichevole se lo incontravi per strada.”

“La famiglia?”

“Una moglie e una figlia. Mary ha resistito qualche anno più a lungo, ma dopo la sua morte Celia ha venduto la casa e si è trasferita altrove. I nuovi inquilini sono i Tinton. Persone piuttosto gentili, ma riservate. Maggie è un po’ snob, ma è una brava persona.”

“Conoscevano la storia della casa prima di comprarla?”

Les scosse la testa. “Non saprei. Non sapevo neppure Celia la stesse vendendo fino a che non ho visto arrivare i camion del trasloco. Sicuramente non c’erano cartelli a pubblicizzare che fosse in vendita. Sarebbe stato bello se qualcuno del posto l’avesse comprata, ma non ci si può fare più niente. Nessuno rimpianse l’andarsene di Celia però. Una liberazione.”

Slim aggrottò la fronte all’improvviso cambio di tono nella voce di Les. Gli ricordò la sua reazione quando aveva menzionato Amos per la prima volta. “Perché lo dice?”

Les sospirò. “Quella ragazza era una mela marcia. Il vecchio Birch aveva i soldi. Lei non ne voleva sapere. Se ne andava in giro come nessun’altro. Se ne dicevano di tutti i colori su di lei.”

“Per esempio?”

Les sembrava afflitto, faceva delle smorfie come se le parole fossero frutta marcia che non aveva altra scelta se non ingoiare.

“Le piacevano gli uomini, si diceva. Soprattutto quelli sposati. Più di un paio di case sono state vendute mentre era qui, famiglie che si separavano. Aveva solo diciotto anni quando Amos è scomparso, e molti dicevano che ne avesse abbastanza di lei.”

“Pensa che l’abbia ucciso?”

Les batté il pugno sul tavolo così forte da far indietreggiare Slim, per poi scoppiare in una risata sonora. “Oddio, no. Pensa potesse farla franca con una cosa del genere? La ragazza era furba, ma non ci sarebbe mai riuscita.”

Slim voleva chiedere a Les se sapesse il nuovo indirizzo di Celia, ma il vecchio aveva un’espressione troppo dura, assorto nel vuoto. Slim si diede un’occhiata intorno, alla ricerca di segni di una presenza femminile, e non vide nulla. Iniziò a chiedersi se le storie sullo stile di vita decadente di Celia Birch fossero più di un sentito dire.

“Grazie del suo tempo,” disse, alzandosi in piedi. “La lascio alla sua giornata.”

Les condusse Slim verso la porta. “Torni quando vuole,” disse. “Ma se vuole sapere la mia, non scavi troppo a fondo.”

“Cosa intende?”

“Da queste parti, la porta è sempre aperta ai forestieri. Ma se si mette ad investigare su cosa succede dentro casa, la porta le verrà sbattuta in faccia.”




8







Slim pranzò vicino ad una scaletta, con vista sul lontano tappeto erboso della Brughiera di Bodmin. Le impronte sul fango vicino prato suggerivano che si trattasse un sentiero famoso, ma non aveva visto passare nessuno finora.

Non si sentiva completamente a suo agio a bussare alla porta della Fattoria Worth, così, dal momento che il sentiero per raggiungere il fondo la valle affiancava il cortile sul retro della fattoria, prima di attraversare un ruscello e sbucare nella brughiera, Slim si limitò a sbirciare tra le siepi.

Un casolare introduceva un cortile in cemento, a sua volta circondato di edifici: due grandi stalle per gli animali, uno per i macchinari e altri due, di cui Slim poteva solo immaginare il contenuto; silos per il grano o per i latticini, forse. Dietro al cortile principale, un sentiero di ghiaia conduceva ad un ammasso di piccole dépendance, che sembravano venire usate a scopo personale, piuttosto che per la fattoria. Slim strizzò gli occhi tra la siepe, chiedendosi se la più grande — una casetta di pietra con due finestre per lato e un piccolo caminetto che sbucava dal tetto — fosse stata un tempo il laboratorio di Amos Birch.

Guidato dall’istinto irrefrenabile di accumulare possibili prove, dopo gli otto anni da investigatore privato, Slim tirò fuori la sua macchina fotografica digitale e scattò qualche foto della fattoria. L’aveva appena rimessa nel taschino della giacca, quando fu sorpreso dalla voce di una donna.

“È facile rimanere incastrati lì in cima.”

Slim sobbalzò, ruotando su sé stesso. Scivolò fuori dalla siepe e atterrò su una pozza di fango. Come si girò, disgustato dalla striscia marrone che gli percorreva la gamba dalla caviglia alla coscia, si ritrovò faccia a faccia con una donna anziana, che sfoggiava un completo da escursione di tweed. Appoggiandosi sul bastone da passeggio, si mise ad osservarlo, attraverso gli occhiali che portava sulla punta del naso.

Slim si rimise in piedi, scrollando il fango dai pantaloni come poteva. La donna continuò a guardarlo, con sguardo sempre più accigliato e la testa inclinata, come un’artista che esamina l’opera di un rivale.

“Ha notato qualcosa di interessante dalla sua vedetta?”

“Cosa?”

“Dal buco nella siepe,” disse, agitando il bastone verso la brughiera. “Sa, molte persone che percorrono questo sentiero guardano laggiù, verso le torri di pietra. Mi chiedevo cosa stesse trovando di tanto interessante in una fattoria nascosta dietro una siepe potata in modo tale che chiunque con un minimo di cervello colga l’implicita richiesta di riservatezza?”

Il tono di voce curioso della donna si stava tramutando in rabbia. Slim si stava stancando dei suoi modi e atteggiamenti, quando d’un tratto percepì con chi stava parlando.

“Signora Tinton? La Fattoria Worth è sua, non è vero?”

La donna annuì velocemente. “Astuto, eh? È mia, sì. E le dirò una cosa: non mi importa chi vivesse qui prima di me. Sono stanca di voi cacciatori di tesori che curiosate in giro. Sono anni che dico a Trevor che l’unico modo di tenervi lontani è una recinzione elettrica, ma lui crede che ogni guardone che sorprendiamo nella nostra proprietà, sia sempre l’ultimo. Onestamente, a volte è troppo ingenuo.”

“Sono mortificato.”

“Fa bene ad esserlo. Ora, si allontani immediatamente da quella siepe. Ha il diritto di girovagare per il sentiero, ma quella siepe fa parte della mia proprietà e metterci le mani costituisce una violazione di domicilio. Sa che può ricevere una multa fino a cinque mila sterline per violazione di domicilio, non è vero?”

Durante un’emergenza, in un caso precedente, Slim aveva consultato una guida per principianti sulle normative britanniche e non ricordava di aver visto nulla del genere, ma darle torto in questo momento non avrebbe portato nulla di buono. Allargò le braccia, sfoggiò un sorriso dispiaciuto e disse, “Non volevo nuocere a nessuno.”

“La Fattoria Worth non è un’attrazione turistica!”

Per dare enfasi alla frase, la donna infilzò il bastone nel terreno, schizzando altro fango sugli scarponi già fradici di Slim. Prese in considerazione l’idea di ribattere, ma decise di lasciar perdere. Non si era accorta della macchina fotografica, quindi era meglio svignarsela finché poteva.

“Farò meglio a tornare a casa,” disse, rimettendosi sul sentiero mentre la donna continuava ad agitare il bastone, “Di nuovo, mi scuso. Non volevo nuocere a nessuno.”

“Se ne vada!”

Slim se ne andò barcollando. Una volta raggiunti gli alberi alla fine del campo, osò lanciare un’occhiata indietro. La Signora Tinton era andata avanti sul sentiero fino alla scaletta, dove aveva ripreso il turno di guardia, appoggiata al bastone con entrambe le mani, come un soldato con un fucile.

Solamente il sentiero più lungo, che costeggiava il retro della fattoria, l’avrebbe riportato alla strada principale senza ripassarle davanti. Il cammino seguiva la stretta e insidiosa riva del fiume, a strapiombo sull’acqua. L’alta siepe che delimitava la fattoria offriva pochi rami a cui aggrapparsi, mentre una fila di alberi piantati nel cortile dei Tinton formava una ragnatela confusa di ombre sul terreno accidentato. In alcuni punti, il ruscello aveva lavato via il sentiero e una parte di siepe vicino all’angolo a sud-est della proprietà era sorretta da un muro di pietra piuttosto recente, il che suggeriva fosse stato a suo tempo eroso e sostituito.

Le prime gocce di pioggia iniziarono a picchiettargli intorno, mentre il sentiero si apriva in un campo. Dall’interno di una veranda d’altri tempi, davanti a un piatto di biscotti o addirittura ad una bottiglia di whiskey, sarebbe stato un rumore suggestivo e accogliente. Ora, però, l’unica cosa a cui Slim riusciva a pensare era il suo ritorno in bici a Penleven. Si chiese se non fosse arrivato il momento di dire addio alla Cornovaglia e dirigersi di nuovo a nord del paese, ma non avrebbe saputo resistere alla ricerca di un appartamento o alle tentazioni che lo stress poteva portare. Piuttosto, lanciò un’occhiata al cielo torbido, uscì dal riparo degli ultimi rami e si addentrò nella pioggia.

Al suo arrivo alla pensione, un’ora dopo, la Signora Greyson lo rimproverò per aver infangato lo zerbino, nonostante sembrasse piuttosto felice di vederlo tornare prima che si fosse fatto buio. Nella sua stanza, sgranocchiò delle patatine e del cioccolato, mentre caricava le foto sul portatile. Non si aspettava di trovare nulla degno di nota, ma quando ingrandì l’immagine della piccola casetta di pietra, un paio di dettagli catturarono la sua attenzione.

All’interno, tutte le finestre sembravano essere sbarrate, mentre la porta era adornata da un pesante lucchetto.




9







La scomparsa di Amos Birch era stata evidentemente troppo noiosa per creare scompiglio in rete. Indagando approfonditamente e selezionando con cura le fonti attendibili tra blog e speculazioni dei fan, Slim era riuscito a determinare la data esatta della scomparsa: il 2 maggio del 1996, un giovedì, ventun anni e dieci mesi prima. Secondo i bollettini metereologici del tempo, era stata una mattinata nuvolosa, con una leggera pioggia dalle quattro in poi.

L’unico articolo dettagliato che raccontasse della scomparsa in sé veniva da un blog di amanti degli orologi: un pezzo sulla fine di alcune meteore dell’artigianato amatoriale, che diceva ben poco che Slim non sapesse già. Nella notte di giovedì, 2 maggio 1996, Amos Birch cenò con la moglie e la figlia, per poi rinchiudersi nel suo laboratorio e continuare a lavorare sul suo ultimo orologio. Da allora, non fu più visto.

Le ipotesi spaziavano dall’omicidio ad una fuga d’amore. Aveva cinquantatré anni all’epoca e divideva la casa di famiglia con la moglie Mary, di 47 anni al tempo, e la figlia Celia, di 20. Vi fu un’investigazione della polizia, che comportò una perlustrazione attenta della Brughiera di Bodmin, ma che concluse, in assenza di prove che suggerissero il contrario, che Amos Birch si era semplicemente svegliato una mattina ed aveva abbandonato la vita che si era costruito qui. Il laboratorio era stato lasciato aperto e le uniche cose che mancavano erano i suoi stivali e la giacca. Non aveva preso con sé i documenti e né il portafogli, che fu ritrovato in un cassetto della cucina. Tuttavia, dal momento che si riteneva avesse venduto molti dei suoi orologi a collezionisti locali tramite pagamento in contanti, l’assenza di prelievi dal suo conto suggeriva che fosse scappato portando del denaro con sé, per poi crearsi una nuova identità.

L’articolo non forniva altri dettagli degni di nota, ma l’ultima riga toccò un tasto dolente per Slim.

Sembra proprio che Birch si sia semplicemente svegliato e se ne sia andato di casa, portando con sé il suo ultimo orologio.

Non vi era nulla che suggerisse che l’autore sapesse dell’orologio. Da nessun’altra parte veniva menzionato un orologio lasciato incompiuto o ritrovato nel laboratorio; quindi, poteva trattarsi di una fantasiosa licenza poetica.

Il suo ultimo orologio era forse quello che Slim aveva trovato nella brughiera?

Geoff Bunce concordava con Slim sul fatto che l’orologio fosse incompleto. E se l’ultimo orologio di Amos Birch si trovasse ora sotto il letto di Slim?

Slim si alzò in piedi, improvvisamente nervoso. Girovagò per la stanza per qualche minuto. Le circostanze della scomparsa di Amos erano sconosciute e Slim non aveva tenuto nascosta la sua recente scoperta. E se Amos avesse nascosto l’orologio per un motivo specifico?

E se qualcuno ne fosse alla ricerca? E se Amos fosse sparito, insieme all’orologio, per nasconderlo da qualcuno?

Slim prese la sedia dalla scrivania, la inclinò e la posizionò sotto la maniglia della porta. Non aveva mai considerato l’assenza della serratura come un problema, ma non costava nulla essere cauti.

Si chiese se avesse dovuto dire qualcosa alla Signora Greyson, ma poi ci ripensò. L’avrebbe solamente spaventata e, in ogni caso, avrebbero cercato lui, non lei.

A meno che, ovviamente, Amos non fosse stato ucciso. Apparentemente, la Brughiera di Bodmin e le aree circostanti erano state una regione mineraria e il terreno era disseminato di vecchie cave e condotti, molti dei quali non vennero mai mappati o identificati. Quanto poteva essere difficile disfarsi di un corpo dove nessuno l’avrebbe mai trovato?




10







La mattina seguente, a colazione, Slim percepì che la Signora Greyson era di buon umore, così la chiamò. In seguito alla sua richiesta, il fischiettio proveniente dalla cucina che ricordava un allegro, seppur vecchio, uccellino, si smorzò, e la donna si trascinò lì, stringendo il grembiule fra le mani come per ricordare a Slim quanto fosse una seccatura.

“Signor Hardy… è tutto di suo gradimento?”

Lui sorrise, punzecchiando il cibo sul piatto con la forchetta. “Certamente. Queste uova mi ricordano la mia defunta madre e tutte le delizie che preparava per me ogni giorno.”

“Questo è un… bene. Come posso aiutarla oggi?”

“Sono andato a Trelee ieri. Mi sono perso per la brughiera, ma una signora anziana è stata così gentile da darmi delle indicazioni. Volevo mandarle un biglietto per ringraziarla, ma temo di aver dimenticato il nome.”

“E come dovrei saperlo io?”

“Ha detto che viveva nella vecchia casa di Amos Birch. La Fattoria Worth. Non è che per caso conosce il nome dei nuovi proprietari?”

“Non così nuovi, vivono lì da una dozzina d’anni.”

Slim mantenne il sorriso, annuendo, come per incoraggiarla ad aggiungere altro.

“Tinton,” disse la Signora Greyson. “Maggie Tinton. Immagino l’abbia incontrata in uno dei suoi giorni buoni. Una vecchia megera, quella donna. Più scontrosa di quanto lei crede che io sia.”

I muscoli facciali di Slim in tensione iniziarono a fargli male.

“Il marito, Trevor, è molto più gentile. Veniva a bere al Crown prima di… beh, è stato molto tempo fa.”

“Prima di cosa?”

La Signora Greyson srotolò il grembiule, lo aprì di scatto e fece una smorfia, come se Slim la stesse forzando ad oltrepassare un limite morale.

“Giravano delle voci… le persone dicevano che ci avesse messo lo zampino.”

“In cosa?”

“Nella scomparsa di Amos.” Prima che Slim potesse rispondere, aggiunse, “Il che è ridicolo, ovviamente. I Tinton vengono da Londra. Non potevano sapere nulla sul conto di Amos. Dopotutto, Mary ha continuato a vivere là per dieci anni dopo che Amos è scomparso. I Tinton hanno solo fatto un affare.”

“Davvero le persone credono che possano averci avuto qualcosa a che fare?”

“Ovviamente no. Era solo uno stupido pettegolezzo, ma entrambi se ne sono risentiti e, dopo di ciò, si sono isolati dalla comunità locale.”

“Sembra che li conosca bene.”

“Giocavo a bridge con Maggie al circolo, ma poi ha smesso di venire e non è più tornata.”

“Sembra quasi un’ammissione di colpa.”

“Si erano solo offesi, tutto qua,” disse. “Si sono trasferiti qua per darsi alla classica vita di campagna da pensionati, come si vede in televisione. Penso si aspettassero una comunità di sempliciotti che li avrebbe accolti a braccia aperte e invitati alle feste di paese e a prendere il caffè a casa. Quando non hanno ottenuto ciò che volevano, si sono arresi.”

“Ma non potrebbero in alcun modo essere legati alla scomparsa di Amos Birch?”

La Signora Greyson scosse il capo. “In modo alcuno.”

“Quindi cosa pensa sia successo?”

La Signora Greyson alzò gli occhi al cielo. “Pensavo stessimo parlando della Signora Tinton?”

“Deve domandarselo. Sembra che li conoscesse.”

La Signora Greyson alzò le spalle e sospirò. “È scappato dalla sua famiglia. Cosa c’è da chiedersi? Amos aveva molti soldi da parte e se ne andava spesso in giro per lavoro, convegni di orologi e cose così. Vuole la mia opinione? Aveva qualche sgualdrina oltremare ed è scappato per stare con lei.”

“Non sarebbe stato più semplice divorziare da Mary?”

La Signora Greyson arrotolò il grembiule di nuovo. “Non ho tempo per parlare di queste cose,” disse. Mentre si girò per tornare in cucina, aggiunse, “Si goda la sua passeggiata oggi, Signor Hardy.”

Slim continuò a guardarla, accigliato. Non sarebbe riuscito ad ottenere altre informazioni da lei, ne era sicuro, ma al menzionare un’altra donna, le guance le si erano arrossate in un modo che senz’altro non aveva visto prima.




11







Far visita alla biblioteca più vicina significava tornare a Tavistock. Slim si ritrovò da solo nella stanza degli archivi, studiando attentamente una pila enorme di vecchi manifesti e giornali locali, stropicciati e ingialliti dal tempo.

Ogni cartella conteneva i settimanali di ogni anno. Come si aspettava da dei giornali di una piccola città, intrisi di pubblicità di proprietà in vendita e ditte di noleggio di macchinari agricoli, la scomparsa di Amos Birch non era stata molto spettacolarizzata. Orologiaio locale sparisce in circostanze misteriose era il titolo di uno di questi articoli, che anticipava un resoconto dei fatti così banale da risultare un ossimoro rispetto al proprio titolo, concentrandosi sulle doti ineccepibili di Amos come artigiano e sul suo passato da rispettabile contadino, non lasciando spazio alle speculazioni.

Trovò il testo più interessante in una cartella di un giornale chiamato Tavistock Tribune:

“Il contadino locale e rinomato orologiaio Amos Birch, di 53 anni, è scomparso la notte di giovedì 2 maggio. Ad informare la polizia della scomparsa è stata la moglie Mary, di 47 anni. Conosciuto a livello nazionale ed internazionale per i suoi sofisticati segnatempo fatti a mano, si ritiene che Amos sia uscito di casa per una passeggiata serale nella Brughiera di Bodmin e si sia perso. Fino a prova contraria, era in pieno possesso delle proprie facoltà mentali ed in buona salute, anche se, secondo la moglie, si era mostrato sempre più agitato nei giorni che hanno preceduto la scomparsa. La famiglia invita chiunque abbia qualche informazione sulla scomparsa di Amos a rivolgersi alla Devon & Cornwall Police.”

Slim rilesse l’articolo un paio di volte, aggrottando la fronte. Agitato? Poteva significare qualsiasi cosa, ma suggeriva che Amos sapesse che qualcosa stava per accadere. Voleva dire che stava pianificando di andarsene, o che qualcosa stava per succedergli?

Ricordandosi di una citazione che un vecchio collega dell’esercito gli aveva detto una volta, sul fatto che gli indizi di un caso spesso vengono sparpagliati molto prima del crimine stesso, tornò indietro di qualche settimana, analizzando gli articoli alla ricerca di qualunque cosa che fosse legata ad Amos Birch. Togliendo una rubrica di poche righe, più di un mese prima della scomparsa di Amos, dove gli veniva riconosciuto un premio da parte di dell’Associazione Britannica degli Orologiai, non vi era nulla.

Arrivata l’ora di pranzo, aveva male agli occhi dal tanto fissare quei documenti invecchiati male, così si spostò in un bar lì vicino per riprendersi. Una volta arrivato chiamò Kay, ma il suo amico traduttore non aveva ancora notizie sul contenuto della lettera.

Per la testa di quell’uomo che, qualche anno dopo il congedo con disonore dall’esercito, si era dato all’investigazione privata, iniziavano a frullare alcune idee fantasiose. Nessuno si alza e abbandona una relazione stabile senza motivo. O scappi verso qualcosa, o da qualcosa.

Le possibilità erano infinite. Un’amante era l’esempio più ovvio del ‘fuggire verso’, mentre un rivale scontento era l’esempio più ovvio del ‘fuggire da’. Senza avere un quadro chiaro di Amos in testa era difficile esprimere un giudizio. Dalle conversazioni che aveva avuto finora, l’orologiaio era un membro enigmatico della comunità, caratteristica accentuata dalla sua professione, coperta da un velo di mistero. Persino la strada che portava alla Fattoria Worth, con le sue alte siepi, trasmetteva un desiderio di reclusione da parte della famiglia Birch, che i Tinton avevano poi fatto loro.

Il bar aveva un telefono a pagamento. Slim prese un elenco telefonico dallo scaffale e si rimise al tavolo. C’erano una ventina di Birch, ma nessuno che iniziasse con la C.

Slim stava tornando alla stazione degli autobus, quando sentì qualcuno gridare alle sue spalle. Qualcosa nell’insistenza di quella voce lo fece girare e, così, vide Geoff Bunce che lo salutava dall’altro lato della strada. Slim si fermò ad aspettare mentre l’uomo attraversava.

“Mi sembrava di averla riconosciuta. Una vacanza lunga, la sua.”

Slim alzò le spalle. “Sono un libero professionista. Posso prendermi tutto il tempo che voglio.”

“L’ha incontrato poi? Il suo amico?”

Il sarcasmo nella voce dell’uomo suscitò un’ondata di rabbia dentro Slim, che però si sforzò a rispondere con nonchalance. “Amos Birch?”

“Sì. Le ha ridato indietro il suo orologio, non è vero?”

“Non ancora. Ci sto lavorando.”

“Senta, non so chi lei sia, ma penso sia saggio per lei prendere il suo orologio e tornare da dove è venuto.”

Slim non si trattenne dal sorridere. Era un ex-soldato andato in prigione per aggressione e, davanti a lui, Babbo Natale, con la sua giacca in cera verde, provava a minacciarlo. Bunce diceva di essere un ex-militare, ma era difficile da credere.

“Cosa c’è di così divertente?”

“Nulla. Sono solo intrigato dalla serietà del suo tono. Sono solo un uomo che cerca di vendere un vecchio orologio.”

“Vede, Signor Hardy, non penso proprio che lo sia.”

“Si ricorda il mio nome.”

“L’ho annotato. C’era qualcosa che non tornava in lei.”

“Solo qualcosa?” Slim sospirò, stanco dei giochetti. “Senta, vuole la verità? Sono qui in vacanza. Ho trovato quell’orologio interrato nella Brughiera di Bodmin. Quel dannato affare mi ha quasi rotto la caviglia. Il caso vuole che attualmente io sia — nel bene o nel male — un investigatore privato. Mi risulta difficile sottrarmi ad un mistero.”

Bunce storse il naso. “Beh, questo cambia le cose.”

“In che senso?”

L’uomo fece un cenno col capo, poi iniziò a sbuffare, come se si stesse preparando a fare un’importante rivelazione. Slim alzò un sopracciglio.

“Vede,” disse Bunce, “Sono stato l’ultima persona — togliendo la famiglia — ad aver visto Amos Birch vivo.”




12







“Quindi, dov’è adesso, quell’orologio che ha trovato?”

Slim sedeva di fronte a Geoff Bunce, in un bar all’angolo della strada del mercato di Tavistock. Mentre sorseggiava del caffè allungato da un bicchiere di plastica, disse “L’ho nascosto.”

“Dove?”

Slim sorrise. “In un posto dove so che sarà al sicuro.”

Bunce annuì velocemente. “Giusto, giusto. Buona idea. Quindi, ha idea di cosa sia successo ad Amos?”

“Assolutamente no.”

“Ma è un investigatore privato, vero?”

“Principalmente mi occupo di relazioni extra-coniugali e truffe di finta invalidità,” disse Slim. “Nulla di molto entusiasmante. Non ci guadagno nulla dall’investigare su questo caso, quindi una volta arrivato ad un punto morto probabilmente me ne farò ritorno al nord per cercare un caso che mi paghi le bollette.”

“Non ha alcun indizio?”

“Quello che ho è una lista mentale di possibilità e più riesco ad escluderne, più mi avvicinerò alla verità dei fatti.”

“Cosa c’è sulla lista?”

Slim rise. “Più o meno tutto ciò che va dall’omicidio al sequestro alieno.”

“Lei non pensa davvero—” Bunce si interruppe bruscamente, torcendo il naso. “Ah, era una battuta, capisco.”

“In realtà non ne ho idea. Al momento sto solo cercando di stabilire le circostanze della sua scomparsa. Forse mi può aiutare a farlo.”

“In che modo?”

“Ha detto di essere l’ultima persona ad averlo visto vivo al di fuori dei familiari. Cosa ne pensa di iniziare da lì?”

Bunce scrollò le spalle, sentendosi improvvisamente insicuro. “Beh, è stato molto tempo fa, no? Siamo andati a fare una camminata per la brughiera, fino a Yarrow Tor, superata la fattoria abbandonata da quelle parti.”

“Si ricorda perché?”

Bunce alzò una spalla in modo strano e asimmetrico. “È un sentiero comune. Lo facevamo circa una volta ogni due mesi. Nessun motivo in particolare.”

“Si ricorda di cosa avete parlato?”

Bunce scosse la testa. “Ah… immagino le solite cose. Non intrattenevamo conversazioni profonde. Ci vedevamo spesso, sa. Ci lamentavamo del tempo o della politica, questo genere di cose.”

“Non mi sta dando molto su cui lavorare.”

Bunce sembrò deluso. “Suppongo non ci sia molto da dire. Insomma, conoscevo Amos da una vita, ma non eravamo quel tipo di amici che si dicono tutto. Lui non era quel genere di persona. Spesso la gente faceva battute sul fatto che preferisse gli orologi al contatto umano.”

“Mi ha detto che quell’orologio valeva qualche centinaio di sterline. Quanto bravo era dopotutto?”

Bunce sorrise, sollevato dal fatto che Slim avesse fatto una domanda alla quale sapeva rispondere.

“Aveva le mani di un chirurgo. La maggior parte degli artigiani hanno una dote in particolare, ma Amos aveva il pacchetto completo. Si occupava del design, dell’intaglio e assemblava anche gli ingranaggi meccanici all’interno. Ha idea di quanto sia difficile fabbricare le parti di un orologio a mano? In un giorno di lavoro si producono uno o due piccoli pezzi. È un processo ad alto impiego di manodopera e, oggigiorno, sono poche le persone che hanno quel tipo di concentrazione. Era uno su un milione, Amos.”

“E quanti ne produceva?”

“Non tantissimi. Due o tre all’anno. Alcuni su commissione, credo, altri erano per vendite private. Non aveva fretta. Non gli interessava arricchirsi. A lui piacevano le brughiere, la vita tranquilla. La fattoria non dava molto profitto — a differenza di ciò che dicono molte persone — e la vendita degli orologi era un’entrata extra che gli permetteva di vivere in un modesto lusso.”

“È probabile che qualcuno ce l’avesse con lui? Forse una mancata vendita, o un affare andato male?”

“È possibile, ma ne dubito. Amos era un uomo piacevolmente umile.”

“Cosa intende?”

Bunce si strattonò la barba. “Era inoffensivo, è il modo migliore che ho per descriverlo. Parlava con calma e non aveva mai nulla di cattivo da dire su nessuno. Si seppelliva nel lavoro. E il suo lavoro era di qualità. Chi potrebbe lamentarsi di un orologio fatto con tanto amore e passione? Insomma, quanto spesso si rompe un orologio a cucù? Quante volte è entrato in un pub e ha visto un orologio a cucù rotto in un angolo? Gli orologi di Amos, però… Insomma, per quanto tempo è rimasto sepolto quell’orologio? Vent’anni? E tuttavia si può prendere e rifarlo funzionare così, come se nulla fosse. Nessun orologio comprato in un negozio durerebbe così tanto. Creati per durare per sempre, ecco com’erano gli orologi di Amos.”

Bunce non aveva più nulla di interessante da dire, così Slim annotò il suo numero, trovò una scusa e se ne andò. Aveva raggiunto la stazione degli autobus e aspettava in fila per il biglietto, quando fu folgorato da un pensiero.

Tirò fuori il numero di Bunce e chiamò l’antiquario.

“Ha già bisogno di me?”

Slim sorrise. “Ho solo una domanda veloce. Con un orologio come quello che ho trovato, quanto spesso consiglierebbe di dargli la corda?”

“Oh, non saprei, una volta ogni paio mesi. Amos faceva delle molle incredibili. Le caricavi e duravano per molto tempo.”

“Okay, grazie.”

Quando fece ritorno all’albergo, la Signora Greyson stava spolverando l’atrio. Slim le augurò gentilmente una buona serata, poi corse verso la sua camera. Una volta lì, tirò fuori l’orologio da sotto al letto e si sedette ad ascoltarne il ticchettio per qualche minuto. Poi lo girò, tolse il pannello di legno che Bunce non aveva riavvitato e si mise ad osservare gli ingranaggi dell’orologio. Il piccolo quadrante che dava la corda all’orologio riecheggiava fiocamente ad ogni ticchettio.

Aggrottò le sopracciglia, sfiorandolo con il dito e notando la mancanza di sporcizia, se confrontato con il resto dell’orologio.

Una volta ogni paio mesi, aveva detto Bunce. Se l’orologio fosse rimasto interrato per oltre vent’anni, la molla si sarebbe scaricata molto tempo fa.

Slim non l’aveva caricata, il che portò alla domanda: chi era stato?





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Il secondo intrigante giallo della Serie ”I segreti di Slim Hardy”.

Un orologio nascosto contiene la chiave di un segreto pluridecennale.

Durante una vacanza – nel tentativo di sfuggire agli incubi del suo ultimo caso – John Hardy, detto Slim, soldato caduto in disgrazia, nonché attuale investigatore privato, trova qualcosa sotterrato nella Brughiera di Bodmin. Incompleto e danneggiato dalla pioggia, il vecchio orologio funziona ancora, ed è la pista principale per risolvere il caso di una persona scomparsa. Mentre inizia ad investigare nella cittadina di Penleven, in Cornovaglia, Slim viene trascinato in un vortice di bugie, pettegolezzi e segreti, parte dei quali la comunità prefirebbe rimanessero nascosti. Venticinque anni prima, un orologiaio eremita aveva lasciato il proprio laboratorio e si era incamminato per la Brughiera di Bodmin, portando con sé il suo ultimo, incompiuto orologio. Scomparse. E Slim è determinato a scoprire perché.

”Il segreto dell'orologiaio” è l'avvincente sequel dell'acclamato esordio letterario di Jack Benton, ”L'uomo in riva al mare”.

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