Книга - La Porta Accanto

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La Porta Accanto
Blake Pierce


“Un capolavoro del thriller e del mistero. Blake Pierce ha creato con maestria personaggi dalla psiche talmente ben descritta da farci sentire dentro la loro mente, a provare le loro stesse paure e fare il tifo per loro. Questo libro è ricco di colpi di scena e vi terrà svegli fino all’ultima pagina.” --Books and Movie Reviews, Roberto Mattos (su Il Killer della Rosa) LA PORTA ACCANTO (Un Mistero di Chloe Fine) è il primo libro di una nuova serie thriller di Blake Pierce, autore del best-seller Il Killer Della Rosa (Libro #1, download gratuito), che ha ottenuto più di 1000 recensioni da cinque stelle. Chloe Fine, 27 anni, tirocinante nella Squadra Ricerca Prove dell’FBI, si ritrova costretta ad affrontare il proprio oscuro passato quando la sorella gemella, piena di problemi, ha bisogno del suo aiuto e un cadavere spunta nel suo paesino di provincia.Chloe ha l’impressione che la sua vita sia finalmente perfetta: si è trasferita in una nuova casa nel suo paese natale insieme al fidanzato, la sua carriera nell’FBI è promettente e all’orizzonte si profila il matrimonio.   Tuttavia, ben presto impara che non tutto è come sembra in quel sobborgo di periferia. Chloe inizia a scorgere l’altra faccia della medaglia: i pettegolezzi, i segreti, le bugie. Oltre a ciò, è anche perseguitata dai suoi demoni personali: la misteriosa morte della madre, quando aveva 10 anni, e l’arresto di suo padre. Quando spunta un nuovo cadavere, Chloe capisce che il suo passato e quella cittadina potrebbero essere la chiave per la risoluzione di entrambi i delitti.Thriller psicologico dall’intensa carica emotiva, con un’ambientazione intima e una suspense mozzafiato, LA PORTA ACCANTO è il libro #1 in una nuova, avvincente serie che vi terrà incollati alle sue pagine fino a tarda notte.Il libro #2 nella serie di CHLOE FINE è già prenotabile.







l a p o r t a a c c a n t o



(un thriller psicologico di chloe fine—libro 1)



b l a k e p i e r c e



traduzione di

valentina sala


Blake Pierce



Blake Pierce è autore bestseller secondo USA Today della serie mistery RILEY PAIGE, che include sedici libri (e altri in arrivo). Blake Pierce è anche l’autore della serie mistery MACKENZIE WHITE, che comprende tredici libri (e altri in arrivo); della serie mistery AVERY BLACK, che comprende sei libri; della serie mistery KERI LOCKE, che comprende cinque libri; della serie mistery GLI INIZI DI RILEY PAIGE, che comprende cinque libri (e altri in arrivo); della serie mistery KATE WISE, che comprende sei libri (e altri in arrivo); del sorprendente mistery psicologico CHLOE FINE, che comprende cinque libri (e altri in arrivo); dell’emozionante serie thriller psicologica JESSIE HUNT, che comprende cinque libri (e altri in arrivo); della serie thriller psicologica che vi farà stare con il fiato sospeso, LA RAGAZZA ALLA PARI, che comprende due libri (e altri in arrivo); e della serie mistery ZOE PRIME, che comprende due libri (e altri in arrivo).

Avido lettore e fan da sempre dei generi mistery e thriller, Blake adora sentire le vostre opinioni, quindi non esitate a visitare il sito www.blakepierceauthor.com (http://www.blakepierceauthor.com) per scoprire di più su questo autore e mettervi in contatto con lui.



Copyright © 2018 di Blake Pierce. Tutti i diritti riservati. Ad eccezione di quanto consentito dalla Legge sul Copyright degli Stati Uniti del 1976, nessuna parte di questa pubblicazione può essere riprodotta, distribuita o trasmessa in qualsiasi forma o con qualsiasi mezzo, né archiviata in un database o un sistema di recupero senza aver prima ottenuto il consenso dell’autore. La licenza di questo e-book è concessa solo ad uso personale. Questo e-book non può essere rivenduto o ceduto a terzi. Se si desidera condividere il libro con altre persone, si prega di acquistare una copia per ciascun destinatario. Se state leggendo questo libro senza averlo acquistato, oppure senza che qualcuno lo abbia acquistato per voi, siete pregati di restituire questa copia e acquistarne una. Vi ringraziamo per il rispetto nei confronti del lavoro dell’autore. Questa è un’opera di fantasia. Nomi, personaggi, aziende, società, luoghi, eventi e fatti sono frutto dell’immaginazione dell’autore, oppure sono utilizzati in modo fittizio. Qualsiasi somiglianza a persone reali, in vita o decedute, è puramente casuale. Copyright immagine di copertina Jan Faukner, concessa su licenza di Shutterstock.com.


LIBRI DI BLAKE PIERCE



THRILLER DI ZOE PRIME

IL VOLTO DELLA MORTE (Volume#1)

IL VOLTO DELL’OMICIDIO (Volume #2)

IL VOLTO DELLA PAURA (Volume #3)



LA RAGAZZA ALLA PARI

QUASI SCOMPARSA (Libro #1)

QUASI PERDUTA (Libro #2)

QUASI MORTA (Libro #3)



THRILLER DI ZOE PRIME

IL VOLTO DELLA MORTE (Libro #1)

IL VOLTO DELL’OMICIDIO (Libro #2)

IL VOLTO DELLA PAURA (Libro #3)



I THRILLER PSICOLOGICI DI JESSIE HUNT

LA MOGLIE PERFETTA (Libro #1)

IL QUARTIERE PERFETTO (Libro #2)

LA CASA PERFETTA (Libro #3)

IL SORRISO PERFETTO (Libro #4)

LA BUGIA PERFETTA (Libro #5)

IL LOOK PERFETTO (Libro #6)



I GIALLI PSICOLOGICI DI CHLOE FINE

LA PORTA ACCANTO (Libro #1)

LA BUGIA DI UN VICINO (Libro #2)

VICOLO CIECO (Libro #3)

UN VICINO SILENZIOSO (Libro #4)

RITORNA A CASA (Libro #5)



I GIALLI DI KATE WISE

SE LEI SAPESSE (Libro #1)

SE LEI VEDESSE (Libro #2)

SE LEI SCAPPASSE (Libro #3)

SE LEI SI NASCONDESSE (Libro #4)

SE FOSSE FUGGITA (Libro #5)

SE LEI TEMESSE (Libro #6)



GLI INIZI DI RILEY PAIGE

LA PRIMA CACCIA (Libro #1)

IL KILLER PAGLIACCIO (Libro #2)

ADESCAMENTO (Libro #3)

CATTURA (Libro #4)

PERSECUZIONE (Libro #5)



I MISTERI DI RILEY PAIGE

IL KILLER DELLA ROSA (Libro #1)

IL SUSSURRATORE DELLE CATENE (Libro #2)

OSCURITA’ PERVERSA (Libro #3)

IL KILLER DELL’OROLOGIO (Libro #4)

KILLER PER CASO (Libro #5)

CORSA CONTRO LA FOLLIA (Libro #6)

MORTE AL COLLEGE (Libro #7)

UN CASO IRRISOLTO (Libro #8)

UN KILLER TRA I SOLDATI (Libro #9)

IN CERCA DI VENDETTA (Libro #10)

LA CLESSIDRA DEL KILLER (Libro #11)

MORTE SUI BINARI (Libro #12)

MARITI NEL MIRINO (Libro #13)

IL RISVEGLIO DEL KILLER (Libro #14)

IL TESTIMONE SILENZIOSO (Libro #15)

OMICIDI CASUALI (Libro #16)

IL KILLER DI HALLOWEEN (Libro #17)



UN RACCONTO BREVE DI RILEY PAIGE

UNA LEZIONE TORMENTATA



I MISTERI DI MACKENZIE WHITE

PRIMA CHE UCCIDA (Libro #1)

UNA NUOVA CHANCE (Libro #2)

PRIMA CHE BRAMI (Libro #3)

PRIMA CHE PRENDA (Libro #4)

PRIMA CHE ABBIA BISOGNO (Libro #5)

PRIMA CHE SENTA (Libro #6)

PRIMA CHE COMMETTA PECCATO (Libro #7)

PRIMA CHE DIA LA CACCIA (Libro #8)

PRIMA CHE AFFERRI LA PREDA (Libro #9)

PRIMA CHE ANELI (Libro #10)

PRIMA CHE FUGGA (Libro #11)

PRIMA CHE INVIDI (Libro #12)

PRIMA CHE INSEGUA (Libro #13)



I MISTERI DI AVERY BLACK

UNA RAGIONE PER UCCIDERE (Libro #1)

UNA RAGIONE PER SCAPPARE (Libro #2)

UNA RAGIONE PER NASCONDERSI (Libro #3)

UNA RAGIONE PER TEMERE (Libro #4)

UNA RAGIONE PER SALVARSI (Libro #5)

UNA RAGIONE PER MORIRE (Libro #6)



I MISTERI DI KERI LOCKE

TRACCE DI MORTE (Libro #1)

TRACCE DI OMICIDIO (Libro #2)

TRACCE DI PECCATO (Libro #3)

TRACCE DI CRIMINE (Libro #4)

TRACCE DI SPERANZA (Libro #5)


INDICE



PROLOGO (#ud58bdd4a-8857-5a48-9e6e-a6a6bd791949)

CAPITOLO UNO (#ub9d23d13-928f-508c-a5be-fef1a36e14c9)

CAPITOLO DUE (#u3067cddb-07f2-545a-906e-b3daa15d7652)

CAPITOLO TRE (#ufb06f851-9bb1-5776-9c35-9206b8c37b55)

CAPITOLO QUATTRO (#u92aa91c2-aae9-5acb-bc6c-d2e70c5afa3d)

CAPITOLO CINQUE (#udf30d9bf-c59c-5c59-9baf-edbdb8298ea2)

CAPITOLO SEI (#u17a19b30-20b7-5d3e-ab97-fdae5a844c99)

CAPITOLO SETTE (#u3546e4f4-e855-5ddb-9641-26c9c3c3a1c5)

CAPITOLO OTTO (#litres_trial_promo)

CAPITOLO NOVE (#litres_trial_promo)

CAPITOLO DIECI (#litres_trial_promo)

CAPITOLO UNDICI (#litres_trial_promo)

CAPITOLO DODICI (#litres_trial_promo)

CAPITOLO TREDICI (#litres_trial_promo)

CAPITOLO QUATTORDICI (#litres_trial_promo)

CAPITOLO QUINDICI (#litres_trial_promo)

CAPITOLO SEDICI (#litres_trial_promo)

CAPITOLO DICIASSETTE (#litres_trial_promo)

CAPITOLO DICIOTTO (#litres_trial_promo)

CAPITOLO DICIANNOVE (#litres_trial_promo)

CAPITOLO VENTI (#litres_trial_promo)

CAPITOLO VENTUNO (#litres_trial_promo)

CAPITOLO VENTIDUE (#litres_trial_promo)

CAPITOLO VENTITRE’ (#litres_trial_promo)

CAPITOLO VENTIQUATTRO (#litres_trial_promo)

CAPITOLO VENTICINQUE (#litres_trial_promo)

CAPITOLO VENTISEI (#litres_trial_promo)

CAPITOLO VENTISETTE (#litres_trial_promo)

CAPITOLO VENTOTTO (#litres_trial_promo)

CAPITOLO VENTINOVE (#litres_trial_promo)

CAPITOLO TRENTA (#litres_trial_promo)

CAPITOLO TRENTUNO (#litres_trial_promo)

CAPITOLO TRENTADUE (#litres_trial_promo)

CAPITOLO TRENTATRE’ (#litres_trial_promo)

CAPITOLO TRENTAQUATTRO (#litres_trial_promo)

CAPITOLO TRENTACINQUE (#litres_trial_promo)

CAPITOLO TRENTASEI (#litres_trial_promo)

CAPITOLO TRENTASETTE (#litres_trial_promo)

EPILOGO (#litres_trial_promo)




PROLOGO


Chloe sedeva sui gradini d’ingresso della sua palazzina accanto alla sorella gemella, Danielle, guardando i poliziotti che portavano via il padre lungo la scalinata, ammanettato.

Un grosso poliziotto con il pancione era in piedi davanti a Chloe e Danielle. La sua pelle nera brillava di sudore nella notte estiva che li avvolgeva.

“Bambine, è meglio se non guardate” disse.

Chloe pensò che fosse una cosa sciocca da dire. Nonostante avesse solo dieci anni, aveva capito che il poliziotto stava cercando di impedire loro la vista del padre che veniva fatto salire sul sedile posteriore della volante.

Quell'immagine era l'ultimo dei suoi problemi. Aveva già visto il sangue ai piedi delle scale, che in parte era schizzato sull'ultimo gradino ed aveva inzuppato la moquette che portava in soggiorno. Aveva anche visto il cadavere. Era disteso a faccia in giù. Suo padre aveva fatto di tutto per impedirglielo, ma non era bastato, e la vista di tutto quel sangue si era ormai impressa a fuoco nella sua mente.

Era quello che vedeva ora, con il poliziotto grasso parato davanti a lei. Era l'unica cosa che vedeva.

Chloe udì la portiera della volante chiudersi, e seppe che era il rumore del padre che le lasciava, probabilmente per sempre.

“State bene, bambine?” chiese il poliziotto.

Nessuna delle due rispose. Chloe vedeva ancora tutto quel sangue alla base delle scale e la moquette azzurra intrisa. Si girò rapidamente verso Danielle e vide che la sorella si guardava i piedi. Aveva lo sguardo fisso. Chloe era piuttosto certa che avesse qualcosa che non andava. Sospettava che Danielle avesse visto il cadavere molto meglio di lei, forse addirittura i punti scuri da cui sembrava che tutto quel sangue fosse uscito.

Tutto d’un tratto, il poliziotto grasso alzò gli occhi verso l’ingresso della palazzina, e imprecò sottovoce. “Cristo, non potete aspettare? Le bambine sono ancora qui...”

Dietro il poliziotto, altri agenti stavano trasportando un sacco per cadaveri fuori dall’edificio e giù per i gradini. Era il cadavere. Quello da cui era uscito tutto quel sangue rosso scuro che aveva inzuppato la moquette.

La loro madre.

“Bambine?” fece il poliziotto. “Una di voi vuole parlare con me?”

Ma Chloe non voleva parlare.

Poco tempo dopo, un’auto familiare accostò dietro una delle volanti della polizia. Il poliziotto grasso aveva smesso di cercare di convincerle a parlare con lui, e Chloe aveva la sensazione che fosse ancora lì con loro solo per non farle sentire sole.

Dal fianco di Chloe, Danielle disse la prima parola da quando erano uscite dalla palazzina.

“Nonna.”

L’auto familiare che era apparsa apparteneva alla loro nonna, che uscì dalla macchina con tutta la rapidità che le gambe le consentirono. Chloe vide che stava piangendo.

Sentì una lacrima scivolarle sulla guancia, ma non era come piangere. Era come se qualcosa si stesse rompendo.

“Vostra nonna è qui” disse il poliziotto. Sembrava sollevato, contento di potersi allontanare.

“Bambine” fu l’unica parola che la nonna pronunciò avvicinandosi alle scale. Dopodiché, iniziò a singhiozzare e avvolse le nipoti in un abbraccio impacciato.

Stranamente, fu quell’abbraccio che Chloe avrebbe ricordato.

La vista del sangue sarebbe svanita. Il ricordo del poliziotto grasso sbiadì dopo soltanto un paio di settimane, così come la vista surreale del padre in manette.

Ma, per tutta la sua vita, Chloe avrebbe ricordato quell’abbraccio.

E la sensazione di qualcosa, nel profondo di sé, che si incrinava per poi spezzarsi.

Davvero suo padre aveva ucciso sua madre?




CAPITOLO UNO


17 anni dopo



Chloe Fine salì le scale della sua nuova casa – la casa che, insieme al fidanzato, aveva cercato per mesi – e riuscì a stento a contenere la propria eccitazione.

“Quello scatolone è troppo pesante?”

Steven si affrettò a raggiungerla sulle scale, con in mano uno scatolone con su scritto CUSCINI.

“Niente affatto” ribatté lei, sollevando lo scatolone con la scritta PIATTI.

Steven posò il suo scatolone e prese quello di Chloe.

“Facciamo cambio” disse con un sorriso.

Ultimamente sorrideva molto.

Anzi, sul suo viso sembrava esserci un ghigno permanente, da quando lei si era lasciata infilare un anello di fidanzamento al dito, otto mesi prima.

Si avviarono insieme lungo il marciapiede, mentre Chloe osservava il giardino. Non era l'enorme giardino che aveva sempre sognato. Nella sua mente, casa sua aveva un grande giardino senza recinzione con gli alberi sparsi sul retro. Invece, lei è Steven avevano scelto un'abitazione in un quartiere tranquillo. Ma lei aveva solo ventisette anni; aveva tempo. Sia lei che Steven sapevano che quella non sarebbe stata la casa in cui sarebbero invecchiati. E questo la rendeva ancora più speciale. Sarebbe stata la loro prima casa, il luogo dove avrebbero imparato i pro e contro del matrimonio, e forse il luogo dove si sarebbero messi d'impegno per provare ad avere un secondo bambino.

Riusciva a vedere piuttosto chiaramente la casa dei loro vicini. I giardini erano separati soltanto da una serie di alte siepi. Il bianco portico pittoresco era praticamente identico al loro.

“Lo so che sono praticamente cresciuta qui” disse Chloe. “Ma non sembra la stessa cosa. Sembra una città diversa.”

“Ti assicuro che è esattamente quella” disse Steven. “Cioè, se si escludono alcune nuove costruzioni, come quella di cui ora siamo proprietari. La cara, vecchia Pinecrest, Maryland. Abbastanza piccola da incontrare in continuazione persone che non vuoi vedere, ma grande abbastanza da non doverci mettere un'ora di macchina per raggiungere un negozio di alimentari.”

“Mi manca già Philadelphia.”

“A me no” disse Steven. “Niente più fan degli Eagles, niente più battute su Rocky, niente traffico.”

“Tutte valide ragioni” concordò Chloe. “Eppure...”

“Dobbiamo solo aspettare un po'” disse Steven. “Presto la considereremo casa nostra.”

Chloe desiderò che sua nonna fosse lì in quel momento per vedere quella casa. Chloe era abbastanza sicura che ne sarebbe stata orgogliosa. Probabilmente non avrebbe perso tempo e avrebbe messo subito in funzione il forno in cucina per cuocere una torta per festeggiare.

Invece era morta due anni prima, soltanto dieci mesi dopo il nonno, deceduto in un incidente d'auto. Sarebbe stato poetico pensare che fosse morta per il dispiacere, ma non era andata così; alla fine era stato un attacco di cuore che se l'era portata via.

Chloe pensò anche a Danielle. Dopo la scuola superiore, Danielle si era trasferita a Boston per qualche anno. Dopo un falso allarme di gravidanza, un paio di arresti e un sacco di lavori finiti male, la sorella aveva finito per tornare a Pinecrest, qualche anno prima.

Per quanto riguardava Chloe, lei aveva frequentato il collegio a Philadelphia, aveva incontrato Steven, e aveva iniziato il percorso per diventare agente dell'FBI. Le rimanevano alcuni corsi da seguire, ma il trasferimento era andato liscio. Baltimora era soltanto a mezz'ora d'auto verso ovest e tutti i suoi crediti universitari erano stati trasferiti senza problemi.

Era parso quasi che le stelle si fossero allineate in modo perfetto quando Steven era riuscito ad ottenere un lavoro a Pinecrest. Per quanto Chloe scherzasse sul non voler tornare a Pinecrest, qualcosa dentro di lei sapeva da sempre che sarebbe tornata lì, fosse stato anche solo per qualche tempo. Era un sentimento sciocco, ma sentiva di doverlo ai suoi nonni. Una volta cresciuta, non aveva perso tempo e se n'era andata da lì, e aveva la sensazione i nonni avessero preso la sua decisione in modo un po' troppo personale.

Poi era arrivata la casa perfetta e Chloe aveva iniziato ad apprezzare l'idea di tornare a vivere in una piccola città. Pinecrest non era affatto piccola: una popolazione di circa 35.000 persone la rendeva una cittadina di dimensioni adatte per Chloe.

Inoltre, era emozionata di incontrare Danielle.

Ma prima dovevano finire il trasloco.

I pochi averi che lei e Steven avevano erano chiusi in scatoloni accatastati sul retro di un furgone per traslochi a noleggio, che al momento era posteggiato di traverso lungo il loro vialetto asfaltato. Era da due ore che scaricavano la loro roba facendo dentro e fuori, avanti e indietro, finché alla fine riuscirono a vedere il fondo del furgone.

Mentre Steven portava in casa gli ultimi scatoloni, Chloe iniziò ad aprirli. Era surreale pensare che quelli fossero tutti oggetti che provenivano dai loro rispettivi appartamenti, e che adesso avrebbero condiviso lo stesso spazio, dato che erano una coppia. Ciò le dava una sensazione di calore, che la spinse a rimirare l'anello al suo dito con un sorriso sicuro.

Stava ancora svuotando gli scatoloni, quando sentì qualcuno bussare alla porta; il primo ospite della loro nuova casa. Una voce acuta di donna disse: "Salve?"

Confusa, Chloe si interruppe e andò alla porta d'ingresso. Non sapeva bene chi si aspettasse di vedere alla porta, ma di certo non era un volto dal suo passato. Curiosamente, fu proprio ciò che trovò sulla soglia.

"Chloe Fine?" domandò la donna.

Erano passati otto anni, ma Chloe riconobbe senza esitazioni il viso di Kathleen Saunders. Erano andate alle superiori insieme. Era strano come in un sogno vederla lì, in piedi alla sua porta d'ingresso. Anche se alle superiori non erano migliori amiche, erano un po' più che semplici conoscenti. Eppure, vedere un volto del suo passato in piedi sulla soglia del suo futuro fu così inaspettato che fece rimanere Chloe stordita per un momento.

"Kathleen?" chiese "Che accidenti ci fai qui?"

"Ci vivo" disse Kathleen sorridendo. Aveva messo su abbastanza peso dalle superiori, ma il sorriso non era cambiato.

"Qui?" Chiese Chloe. "In questo quartiere?"

"Sì. Due case più in là, sulla destra. Stavo tornando dalla mia passeggiata con il cane e mi era sembrato di riconoscerti. Cioè, o eri tu, oppure tua sorella. Così mi sono avvicinata e ho chiesto al ragazzo sul furgone, e lui mi ha detto di salire per salutarti. È tuo marito quello?"

"Fidanzato" la corresse Chloe.

"Beh, com'è piccolo il mondo vero?" disse. "O piuttosto... com’è piccola questa città."

"Sì, in effetti" ne convenne Chloe.

"Mi piacerebbe molto restare qui a chiacchierare con te, ma in realtà devo incontrarmi con un cliente tra meno di un'ora" disse Kathleen. "Inoltre, non voglio intralciarti mentre stai disfacendo i bagagli. Però, ascolta... Ci sarà una festa di quartiere questo sabato. Volevo essere la prima a invitarti di persona."

"Beh, grazie. Lo apprezzo."

"Senti, solo una domanda veloce… Come sta Danielle? So che dopo la scuola superiore ha avuto qualche momento difficile. Ho sentito dire che abita a Boston."

"Abitava a Boston" la corresse Chloe. "In realtà è tornata a Pinecrest già da qualche anno."

"Ma è fantastico" commentò Kathleen. "Magari invita anche lei alla festa di quartiere. Mi farebbe davvero piacere chiacchierare un po' con tutte e due!"

"Sì, anche a me" disse Chloe.

Lanciò una rapida occhiata oltre la spalla di Kathleen e vide Steven sul retro del furgone. Si stringeva nelle spalle e le rivolgeva un'espressione come a dire: scusa!

"Beh, è stato bello vederti" disse Kathleen. "Spero di vederti alla festa. E comunque, sai dove abito!"

"Già! Due case più in là, sulla destra."

Kathleen annuì, poi colse Chloe di sorpresa con un abbraccio. Chloe ricambiò, nonostante non le sembrasse di ricordare che Kathleen a scuola fosse il tipo che abbracciava gli amici. Osservò la sua vecchia amica (in un certo senso anche nuova, pensò) salutare Steven e tornare verso casa lungo il marciapiede.

Steven risalì sul portico con gli ultimi due scatoloni. Chloe prese quello in cima e insieme li portarono in soggiorno. La casa adesso era un labirinto di scatoloni e valigie.

"Mi dispiace" disse Steven. "Non sapevo se potesse essere un ospite gradito o no."

"No, non c'è problema. È stato strano, ma non spiacevole."

“Ha detto di essere una tua amica delle superiori."

"Sì. E adesso eccoci qui, che viviamo a due casa di distanza. Mi è sembrata molto carina. Ci ha invitati ad una festa di quartiere, questo fine settimana."

"Che gentile."

"Conosceva anche Danielle alle superiori. Credo che inviterò anche lei alla festa."

Steven iniziò ad aprire uno degli scatoloni, sospirando. "Chloe, siamo qui da meno di un giorno. Non possiamo aspettare prima di invitare tua sorella nelle nostre vite?"

"Infatti" disse lei. "La festa è fra tre giorni. Quindi aspetteremo tre giorni."

"Sai cosa voglio dire. Danielle ha la tendenza a rendere le cose molto più difficili di quello che sono."

Capiva benissimo quello che voleva dire. Steven aveva incontrato Danielle quattro volte, e ognuna di quelle occasioni era stata imbarazzante; e nessuno dei due aveva problemi ad ammetterlo. Danielle si trascinava tutta una serie di problemi, nessuno dei quali particolarmente adatto a stare in mezzo a degli sconosciuti. Perciò immaginava che Steven avesse ragione. Perché invitarla a una festa di quartiere dove non conosceva nessuno?

Ma la risposta era semplice: perché è mia sorella. Negli ultimi anni ha sempre sofferto da sola e, per quanto possa suonare sdolcinato, ha bisogno di me.

L'immagine di loro due sedute sui gradini della palazzina irruppe nella sua mente con la forza di una raffica di vento del deserto.

"Sapevi che prima o poi l’avrei contattata" disse Chloe. "Non posso certo vivere nella stessa città e continuare a tenerla fuori dalla mia vita."

Steven annuì e si avvicinò. "Lo so, lo so" disse. "Ma lasciami almeno sognare."

Chloe sapeva che in quel commento sarcastico era nascosta la verità, ma del resto l'aveva detto in tono leggero. Si era arreso, non volendo che una discussione su sua sorella rovinasse il giorno del loro trasloco.

"Potrebbe essere una cosa buona per lei" disse Chloe.

"Uscire, socializzare… Credo che riuscirò a fare qualcosa per lei se riesco a diventare una presenza costante nella sua vita."

Steven era a conoscenza della storia complessa che c'era tra loro due. E, anche se non nascondeva il fatto di non impazzire per Danielle, aveva sempre supportato Chloe in modo amorevole e capiva la sua preoccupazione per la sorella.

"Allora fa quello che credi sia giusto per lei" disse. "E dopo che l’avrai chiamata, vieni ad aiutarmi a montare il letto in camera nostra. Ho intenzione di usarlo più tardi."

"Ah davvero?"

"Già. Il trasloco mi ha stancato. Sono esausto, credo che dormirò molto a lungo... E ci sarà molto caldo."

Scoppiarono entrambi a ridere e si abbracciarono. Si scambiarono un bacio intenso che suggeriva che forse quella prima notte nella loro nuova casa avrebbero davvero fatto buon uso del letto. Ma per il momento, c'erano montagne e montagne di scatoloni da disfare.

Senza dimenticare una telefonata potenzialmente imbarazzante da fare a sua sorella.

Il pensiero la riempiva allo stesso tempo di gioia e angoscia.

Nonostante fosse sua sorella gemella, Chloe non sapeva mai cosa aspettarsi da Danielle. E, per qualche motivo, il fatto di essere tornata a Pinecrest l’aveva resa tristemente certa che le cose per Danielle erano probabilmente peggiorate.




CAPITOLO DUE


Danielle Fine si mise in bocca una compressa di caffeina No-Doz e la mano giù con della coca gasata tiepida, quindi aprì il cassetto della biancheria intima e si mise a frugare nel lato destro, in cerca del capo più osé che riuscisse a trovare.

Danielle pensò a Martin. Uscivano insieme da sei settimane, ormai. E, anche se entrambi avevano deciso di prendere le cose con calma, Danielle stava perdendo la pazienza. Aveva deciso che quella sera gli sarebbe saltata addosso; fermarsi in seconda base ogni volta che si vedevano la faceva sentire come una stupida adolescente che non sapeva quel che faceva.

Invece lei lo sapeva. Ed era quasi sicura che anche Martin lo sapesse. Entro la fine della serata l’avrebbe saputo per certo.

Alla fine scelse un paio di mutandine di pizzo nero che coprivano a malapena il davanti ed erano praticamente inesistenti sul retro. Pensò a quale reggiseno indossare, ma optò per non indossarne uno. Lei e Martin non erano tipi da agghindarsi, e comunque era ben consapevole di avere un seno piuttosto piatto; nemmeno il reggiseno più costoso del mondo avrebbe potuto fare granché. Tra l’altro... Martin le aveva rivelato che gli piacevano le sue tette quando si intravedevano attraverso la maglietta.

Si erano dati appuntamenti presto, per andare a cena subito così da riuscire ad assistere al la proiezione del film delle 18:30. Il solo fatto che dovessero cenare fuori e andare a vedere un film, piuttosto che restare in casa a bere per poi andare da lui a pomiciare, era un punto a favore di Danielle. Si domandò se Martin fosse il tipo di ragazzo a cui piaceva sentirsi un gentiluomo.

Dopo sei settimane con lui… Dovresti già sapere cose simili, pensò mentre si infilava le mutandine.

Si vestì davanti allo specchio a parete della sua camera. Provò un paio di camicie, prima di decidere di restare sul semplice. Optò per una maglietta nera leggermente aderente e un paio di jeans. Non era il tipo di ragazza che aveva un sacco di abiti e gonne. Di solito indossava la prima cosa che le capitava, la mattina. Sapeva che aveva avuto la fortuna di ereditare il bell’aspetto della madre e, dato che aveva anche una pelle immacolata, di solito usciva anche senza molto trucco. A completare il suo look ci pensavano i suoi capelli tinti di nero e gli occhi di un castano intenso. In un battibaleno poteva trasformarsi da ragazza dolce e innocente a femme fatale. Era una delle ragioni per cui non le importava troppo di avere il seno piccolo.

Dopo una rapida occhiata allo specchio, che le restituì lo stesso fisico, lo stesso viso, e perfino la stessa maglietta con il logo di una band che aveva da adolescente, Danielle era pronta a uscire per incontrare Martin. Lui era una specie di tipo impomatato, solo non uno di quelli che passava il suo tempo in officine o piste da corsa di motociclette. A un certo punto aveva praticato box a livello amatoriale, o almeno questo era quello che diceva. Il suo corpo pareva confermarlo (un altro motivo per cui Danielle stava perdendo la pazienza). Al momento lavorava come informatico freelance. Ma, come lei, non prendeva la vita troppo sul serio e gli piaceva bere molto. Fino ad allora, sembravano la coppia perfetta.

Eppure, sei settimane e niente sesso. Danielle avvertiva molta pressione. E se lui l’avesse respinta? E se avesse voluto continuare a fare le cose con calma, anche se lei non ne poteva più di aspettare?

Sospirando, andò al frigorifero. Per calmare i nervi prese una Guinness dal frigo, l’aprì e ne bevve una sorsata. Si accorse che stava bevendo alcol dopo aver preso un No-Doz, ma subito allontanò il pensiero. Di sicuro aveva sottoposto il suo corpo a prove più ardue.

Il suo telefono si mise a squillare. Se mi sta chiamando per annullare l’appuntamento, è la volta buona che lo uccido, pensò.

Quando vide sul display che il nome non era il suo, si rilassò. Quando poi però vide che era sua sorella, afflosciò le spalle. Sapeva che avrebbe dovuto rispondere. Se non l’avesse fatto, Chloe l’avrebbe richiamata dopo 15 minuti. L’insistenza era uno dei pochi tratti che avevano in comune.

Rispose alla chiamata saltando i convenevoli, come faceva di solito. “Bentornata a Pinecrest”, disse con voce monotona. “Se di nuovo una residente ufficiale?”

“Dipende se lo chiedi a me, o a tutti gli scatoloni ancora chiusi” rispose Chloe.

“Quando sei arrivata?” Chiese Danielle.

“Stamattina. Finalmente hanno scaricato tutto dal furgone dei traslochi e adesso stiamo cercando di trovare un posto a tutto.”

“Avete bisogno di aiuto?” chiese Danielle.

Il breve silenzio all’altro capo del telefono suggerì che Chloe non si era aspettata questa generosità. A dire la verità, Danielle l’aveva chiesto solo perché sapeva che Chloe non avrebbe accettato. O meglio, Steven non avrebbe voluto che Chloe accettasse.

“Sai, credo che ormai ce la caviamo anche da soli. Vorrei aver pensato di chiamarti quando stavamo ancora scaricando tutti quei maledetti scatoloni.”

“Forse allora non mi sarei offerta”, disse Danielle con una punta di sarcasmo.

“Ad ogni modo, ascolta. Ti ricordi Kathleen Saunders delle superiori?”

“Vagamente” disse Danielle, il nome che le riportava alla mente un volto adolescenziale luminoso e sorridente, una di quelle persone che ti parlava sempre a distanza troppo ravvicinata.

“Ho scoperto che vive nel mio quartiere. Appena due case più avanti. È passata poco fa a salutarmi. Ha anche invitato me e Steven ad una festa di quartiere questo fine settimana.”

“Wow, sei qui da un giorno e sembri già dannatamente accasata. Hai già comprato un minivan?”

Seguì un altro silenzio breve; Danielle immaginò che Chloe stesse cercando di capire se quel commento fosse una frecciatina o soltanto una battuta. “Non ancora” rispose infine. “Prima ci vogliono dei bambini. Ma per quanto riguarda quella festa… Credo che dovresti venire. Kathleen ha chiesto anche di te.”

“Mi sento lusingata” disse Danielle, per niente lusingata.

“Senti, ad ogni modo finiremo col vederci comunque” disse Chloe. “Potremmo farlo direttamente subito, per evitare di doverci inseguire al telefono. Inoltre, vorrei farti vedere la casa.”

“Mi sa che quel giorno ho un appuntamento” disse Danielle.

“Un vero appuntamento o soltanto una delle tue avventure da una notte?”

“Un vero appuntamento. Lui ti piacerebbe, credo.” Quella era una stronzata. Danielle era piuttosto sicura che Chloe non avrebbe affatto approvato Martin.

“Sai come facciamo per scoprirlo? Porta anche lui.”

“Oh Gesù, sei insopportabile.”

“Sarebbe un sì?” Chiese Chloe.

“Sarebbe un vedremo.”

“D’accordo. Come stai, Danielle? Va tutto bene?”

“Credo di sì. Il lavoro va bene e sto per uscire con lo stesso ragazzo per la ventesima volta.”

“Oh, allora sembra davvero speciale” scherzò Chloe.

“A proposito, devo andare” disse Danielle.

“Ma certo. Ti manderò l’indirizzo per messaggio. Spero che verrai alla festa di quartiere. È questo sabato alle tre.”

“Non faccio promesse” disse Danielle, poi prese una lunga sorsata della sua Guinness. “Ciao Chloe.”

Terminò la chiamata senza aspettare che Chloe rispondesse. Non aveva idea del perché, ma la conversazione era stata estenuante.

Una festa di quartiere, pensò con amarezza. Va bene che non parliamo tanto spesso, ma pensavo mi conoscesse almeno un po’…

A quel pensiero ne seguì un altro. Iniziò a pensare a sua madre, perché era là che andava la sua mente ogni volta che era irritata con Chloe. Mentre pensava alla madre, si portò la mano al collo. Sentendo la pelle nuda, tornò di fretta in camera da letto, andò al portagioielli sulla cassettiera e ne tirò fuori la collana d’argento della madre; era praticamente l’unico oggetto tangibile che aveva che era appartenuto a Gale Fine. Se la mise al collo e infilò il semplice pendente sotto la maglietta.

Sentendolo contro la pelle, si domandò quante volte Chloe pensasse alla loro madre. Cercò anche di ricordare l’ultima volta che avevano parlato di quello che era successo quella mattina di diciassette anni fa. Sapeva che entrambe erano perseguitate da quel ricordo, ma esisteva forse qualcuno a cui piaceva rievocare spettri?

Mancavano solo dieci minuti all’appuntamento con Martin, così Danielle finì di bere la sua birra e decise di presentarsi in anticipo. Fece per avviarsi, ma si bloccò.

Proprio sotto la porta d’ingresso c’era una busta. Non si trovava lì mentre era al telefono con Chloe.

Si avvicinò e la raccolse con cautela. Le sembrò quasi di guardare se stessa in un film, poiché non era la prima volta che succedeva. Non era la prima lettera che arrivava.

La busta era senza contrassegni. Non c’erano scritti né nome né indirizzo. Aprì la busta, che non era sigillata. Infilò dentro la mano e tirò fuori un semplice cartoncino quadrato, poco più grande di una carta da gioco.

Prese il messaggio e lo lesse; poi lo lesse di nuovo.

Lo rimise dentro la busta e lo portò sulla scrivania addossata al muro del soggiorno. La mise insieme alle altre quattro lettere, tutte contenenti messaggi simili.

Le osservò per un momento, spaurita e confusa.

Aveva i palmi delle mani sudati e il cuore che le martellava nel petto.

Chi è che mi sta guardando? si domandò. E perché?

Poi fece quello che faceva sempre quando c’era qualcosa che la preoccupava. Lo ignorò. Allontanò dalla mente la lettera, insieme al messaggio che conteneva, e uscì dalla porta per incontrare Martin.

Mentre usciva dall’edificio, il messaggio della lettera le lampeggiava nella mente come un’insegna al neon.

SO COSA È SUCCESSO REALMENTE.

Non aveva senso, eppure allo stesso tempo sembrava avere perfettamente senso. Abbassò lo sguardo osservando la propria ombra sul marciapiede e si scoprì ad accelerare il passo. Sapeva che accantonare il problema non sarebbe servito a risolverlo, ma almeno la faceva sentire meglio.

SO COSA È SUCCESSO REALMENTE.

Anche i suoi piedi parevano d’accordo con lei, infatti sembrava volessero smettere di camminare, tornare indietro per cercare di dare un senso a quelle lettere, chiamare qualcuno. Forse la polizia. Forse persino Chloe.

Invece Danielle camminò ancora più veloce.

Era riuscita a lasciarsi il passato alle spalle, per la maggior parte.

Perché per quelle lettere avrebbe dovuto essere diverso?




CAPITOLO TRE


“Quindi non avete cambiato idea sul pollo, eh?”

In fondo era una domanda innocente, ma provocò in Chloe un’ondata di rabbia. Si morse l’interno della guancia per evitare di lasciarsi sfuggire qualche commento poco gentile.

Sally Brennan, la madre di Steven, era seduta di fronte a lei con un sorriso che sembrava uscito dal film La donna perfetta.

“Infatti, mamma” disse Steven. “È solo cibo… Cibo che probabilmente io non toccherò nemmeno, tanto sarò nervoso. Se qualcuno ha intenzione di lamentarsi del cibo che sarà servito al mio matrimonio, allora se ne può anche tornare a casa e magari fermarsi a mangiare a un Taco Bell, già che c’è.”

Chloe strinse la mano di Steven sotto il tavolo. A quanto pareva, aveva intuito l’irritazione di Chloe. Era raro che Steven contraddicesse la madre, ma quando lo faceva le sembrava quasi un eroe.

“Beh, non è certo il modo più carino di comportarsi” commentò Sally.

“Ha ragione lui” Wayne Brennan, il padre di Steven, disse dall’altro capo del tavolo. Il bicchiere di vino davanti a lui era stato svuotato per la terza volta quella sera e l’uomo stava prendendo la bottiglia per riempirlo di nuovo. “Sinceramente, a nessuno importa un bel niente del cibo ai matrimoni. È l’alcol che tutti aspettano. E avremo un rinfresco gratuito, perciò...”

La conversazione restò in sospeso, ma la smorfia sul volto di Sally non nascondeva che secondo lei il pollo rimanesse una pessima idea.

Ma quella non è una novità. Si era lamentata e lagnata praticamente di ogni decisione che Chloe e Steven avevano preso; e non mancava mai di ricordare loro con disinvoltura chi avrebbe pagato per la cerimonia.

Non solo Pinecrest era ancora una volta la casa di Chloe, ma era anche dove vivevano i genitori di Steven. Si erano trasferiti lì cinque anni prima, anche se tecnicamente stavano appena fuori Pinecrest, in una città poco più piccola, chiamata Elon. Oltre al lavoro di Steven, era stata una delle ragioni per cui Chloe e Steven avevano deciso di trasferirsi a Pinecrest. Lui lavorava come sviluppatore di software e gli era stata offerta una posizione troppo buona per poterla rifiutare. Quanto a Chloe, al momento era una tirocinante dell’FBI, mentre stava conseguendo il Master in diritto penale. Vista la vicinanza del quartier generale dell’FBI a Baltimora, la decisione di andare a vivere lì era sembrata perfettamente sensata.

Ma Chloe stava già rimpiangendo di essersi trasferita così vicino ai genitori di Steven. Wayne non era male, la maggior parte delle volte. Invece Sally Brennan era, per dirla in modo gentile, una stronza arrogante che amava ficcare il naso dove non avrebbe dovuto.

I Brennan, come coppia, erano persone piuttosto piacevoli, entrambi in pensione, benestanti e per lo più felici. Ma coccolavano troppo Steven. In quanto figlio unico, aveva ammesso più volte con Chloe che i suoi genitori l’avevano viziato oltre ogni limite. Persino adesso, all’età di ventotto anni, lo trattavano fin troppo da bambino. E quello che ne veniva fuori era un atteggiamento di iperprotettività. Era la ragione principale per cui Chloe rabbrividiva mentalmente ogni volta che volevano parlare dei preparativi per il matrimonio.

E, sfortunatamente, sembrava proprio quello che volevano fare quella sera a cena. Sally non aveva perso tempo prima di tirare fuori l’argomento del menù nunziale.

“Allora, com’è la casa?” chiese Wayne, ansioso quanto Chloe di cambiare argomento.

“Fantastica” disse Chloe. “Dovremmo finire tra pochi giorni con quel labirinto di scatoloni.”

“Ah, e sentite questa” aggiunse Steven. “Una ragazza che andava al liceo con Chloe vive proprio lungo la nostra strada, a un paio di case di distanza. Non è da pazzi?”

“Forse non quanto sembra” commentò Wayne. “Questa città è davvero minuscola. Era inevitabile che a un certo punto avreste incontrato qualcuno che conoscete.”

“Soprattutto in quei quartieri dove le case sono tutte addossate una all’altra” aggiunse Sally con un sorrisino, lanciando una frecciatina non proprio velata sulla loro scelta abitativa.

“Le case del nostro quartiere non sono addossate una all’altra” protestò Steven.

“Infatti. Abbiamo un giardino abbastanza grande” aggiunse Chloe.

Scrollando le spalle, Sally bevve un altro sorso di vino. Quindi sembrò riflettere su qualcosa, quasi stesse considerando se dirlo o meno; alla fine si arrese e diede voce ai suoi pensieri.

“Non c’è solo la tua amica delle superiori a Pinecrest, vero?” chiese. “Anche tua sorella vive qui, se non ricordo male. “

“Sì, è così.”

Chloe aveva risposto seccamente, ma senza essere maleducata. Sally Brennan non aveva mai nascosto il proprio disappunto nei confronti di Danielle, nonostante le loro strade si fossero incrociate soltanto due volte. Purtroppo Sally era una di quelle casalinghe annoiate che vivevano di scandali e pettegolezzi. Perciò, quando aveva scoperto che Chloe aveva una sorella dal passato turbolento, era stata in egual misura sconvolta e affascinata.

“Non parliamone, mamma” disse Steven.

Chloe avrebbe voluto sentirsi difesa dalle parole di Steven, invece non aveva fatto altro che ferirla. Di solito, quando saltava fuori l’argomento Danielle, Steven prendeva le parti di sua madre. Lui aveva il buonsenso di sapere quando tacere, ma sua madre no.

“Sarà lei la damigella d’onore?” chiese Sally.

“Sì.”

Sally non alzò gli occhi al cielo, ma la sua espressione mostrava chiaramente quello che pensava.

“È mia sorella” disse Chloe. “Perciò sì, ho chiesto a lei di essere la mia damigella d’onore.”

“Ma certo, ha senso” disse Sally, “ma ho sempre pensato che la damigella d’onore debba essere scelta con criterio. È un grande onore, ma anche una grande responsabilità.” Chloe dovette afferrare il bordo del tavolo per trattenere una risposta tagliente. Notando la sua tensione, Steven fece del proprio meglio per salvare la situazione. “Mamma, dacci un taglio” disse. “Danielle se la caverà benissimo. E anche se qualcosa dovesse andare storto, farò in modo di avere un piano di riserva. Questo è il mio matrimonio, mamma. Non ho intenzione che succeda qualcosa di brutto.”

Stavolta fu Chloe che avrebbe voluto alzare gli occhi al cielo. Ancora una volta, Steven era intervenuto per spalleggiarla e al tempo stesso non irritare i suoi genitori. Soltanto per una volta, Chloe avrebbe voluto che lui difendesse sul serio Danielle. Sapeva che Steven non aveva grossi problemi con Danielle, ma stava facendo del proprio meglio per rassicurare la madre. Le dava quasi la nausea.

“Adesso basta con queste sciocchezze” disse Wayne mettendosi nel piatto una seconda porzione di patate arrosto. “Parliamo di football. Allora, Chloe… Sei una fan dei Redskins, vero?”

“Oddio, no. Dei Giants.”

“Non sono migliori” disse Wayne con una risata.

E tanto bastò per dissipare la tensione di quella cena. Chloe aveva sempre apprezzato il coraggio di Wayne di ignorare la stronzaggine della moglie e cambiare argomento senza aspettare che lei avesse finito di parlare. A Chloe sarebbe piaciuto se Steven avesse ereditato quella qualità dal padre. Ciononostante, quella sera Chloe non poté fare a meno di domandarsi se i timori di Sally fossero fondati. Danielle non era il tipo da agghindarsi e starsene tranquilla davanti a un mucchio di gente. Si sarebbe dovuta spingere fuori dal suo guscio, al matrimonio, e Chloe stessa si era domandata se ne sarebbe stata in grado.

Mentre quelle preoccupazioni le aleggiavano nella mente, ripensò alle bambine di molti anni prima, sedute sulla gradinata d’ingresso mentre il sacco per cadaveri veniva condotto fuori dall’appartamento. Ricordava senza difficoltà lo sguardo vacuo di Danielle. Sapeva che in quel momento qualcosa si era rotto dentro di lei. Sapeva che, nel giro di una notte, aveva perso sua sorella. E aveva sospettato che, da quel momento in poi, Danielle non sarebbe stata più la stessa.




CAPITOLO QUATTRO


Pioveva quando Chloe e il suo istruttore arrivarono sulla scena. Si sentì un pesce piccolo scendendo dalla macchina sotto quella pioggerellina. Poiché era ancora una tirocinante che doveva andare in giro con il suo istruttore, non le venivano affidati casi importanti. Quello, per esempio, sembrava il classico caso di violenza domestica. E anche se i particolari del caso non sembravano particolarmente brutali o raccapriccianti, le sole parole violenza domestica la facevano rabbrividire.

Del resto, aveva sentito ripetere quelle parole molto spesso, dopo la morte della madre. Il suo istruttore avrebbe dovuto essere a conoscenza del suo passato, di quello che era successo ai suoi genitori, ma quando quella mattina erano usciti non le aveva detto niente.

Si trovavano nella città di Willow Creek quel primo giorno, una piccola cittadina a circa venticinque chilometri di distanza da Baltimora. Stava facendo tirocinio nell’FBI per entrare a far parte della Squadra Ricerca Prove, e mentre si avvicinavano all’edificio a due piani, l’istruttore le lasciò persino assumere il comando. Il suo nome era Kyle Greene, un agente di quarantacinque anni che era stato sollevato dagli incarichi sul campo quando si era strappato il legamento incrociato anteriore durante l’inseguimento di un sospettato. Non era mai guarito del tutto da quella ferita, e così gli era stata offerta la possibilità di fare da istruttore e da mentore per i tirocinanti. Lui e Chloe avevano parlato solo due volte prima di quella mattina: una settimana prima su FaceTime, per conoscersi meglio, quindi due giorni prima, durante il viaggio da Philadelphia a Pinecrest.

“Una cosa, prima che entriamo” disse Greene. “Non gliel’ho detto finora perché non volevo che ci rimuginasse tutta la mattina.”

“Sì…?”

“Anche se questo è un caso di violenza domestica, si tratta anche di omicidio. Quando saremo là dentro, ci sarà un cadavere. Piuttosto recente.”

“Oh…” disse Chloe, incapace di nascondere il suo shock.

“So che è ben più di quello che si aspettava, ma prima che arrivasse c’è stato un po’ di dibattito. Abbiamo pensato che avremmo potuto farla agire in prima linea fin dall’inizio. È da un po’ che stiamo considerando l’idea di affidare ai tirocinanti più responsabilità, per dare loro modo di imparare più in fretta. E a giudicare dal suo fascicolo, abbiamo pensato che sarebbe stata una candidata ideale per mettere in pratica questa nostra idea. Spero che per lei vada bene.”

Chloe era ancora sorpresa, incapace di mettere insieme le parole. Sì, era una maggiore responsabilità. Sì, significava che avrebbe avuto più occhi puntati su di sé. Ma non si era mai tirata indietro da una sfida, e non intendeva iniziare a farlo ora.

“Sono grata per questa opportunità.”

“Bene” disse Greene, e dal suo tono si capiva che era esattamente quello che si aspettava.

Le fece cenno di seguirlo su per i gradini del portico. All’interno c’erano due agenti che parlavano con il medico legale. Chloe fece del proprio meglio per prepararsi alla scena, ma nonostante credesse di esserci riuscita, rimase comunque scossa quando vide la gamba di una donna spuntare da dietro il bancone della cucina.

“Adesso voglio che giri intorno al cadavere” disse Greene. “Mi dica quello che nota, sia del corpo che dell’ambiente circostante. Mi riferisca tutto il suo ragionamento.”

Durante il suo tirocinio, Chloe aveva visto un paio di cadaveri; quando viveva a Philadelphia non era così raro imbattersi in uno. Ma stavolta era diverso. Questo le sembrava fin troppo familiare. Aggirò il bancone della cucina e guardò la scena del delitto.

La vittima era una donna che sembrava sulla trentina. Era stata colpita in testa con un oggetto contundente, con tutta probabilità il tostapane che ora giaceva in pezzi a qualche passo da lei. I danni maggiori li aveva fatti sul lato sinistro della fronte della donna, e l’impatto era stato così forte da spaccarle la cavità oculare; adesso pareva che l’occhio della donna potesse scivolare fuori da un momento all’altro e finire sul pavimento. La testa era circondata da una pozza di sangue circolare, quasi fosse un’aureola.

Forse la cosa più strana era che i pantaloni della tuta erano abbassati fino alle caviglie e le mutandine fino alle ginocchia. Chloe si accovacciò vicino al corpo in cerca di altri particolari. Vide due piccoli segni sul lato del collo della donna, che sembravano graffi freschi.

“Dov’è il marito?” chiese.

“In custodia” disse Greene. “Ha confessato tutto, ha già raccontato alla polizia cosa è successo.”

“Ma se è un caso di violenza domestica, perché è stato chiamato l’FBI?” chiese lei.

“Perché questo tizio è stato arrestato tre anni fa per aver picchiato la sua prima moglie in modo talmente violento da spedirla al pronto soccorso. La donna però non ha sporto denuncia. Inoltre, due settimane fa, il suo computer è stato segnalato per la presenza di potenziali video proibiti.”

Chloe ascoltò tutte le informazioni, riflettendo su quello che aveva davanti. Mise insieme tutti i pezzi come in un puzzle ed espose le sue teorie ad alta voce man mano che le venivano in mente.

“Visti i precedenti di quest’uomo, si può dire che sia incline alla violenza. Alla violenza estrema, a giudicare dal tostapane. I pantaloni da tuta e le mutandine calate indicano che stava cercando di fare sesso con lei in cucina. O forse lo stavano già facendo e lei voleva fermarsi. I graffi sul collo indicano un rapporto violento, forse consensuale all’inizio, oppure del tutto non consensuale.

In quella si fermò a studiare il sangue. “Il sangue sembra relativamente fresco. Se dovessi fare una stima, direi che l’omicidio è avvenuto nelle ultime sei ore.”

“E quale sarebbe la sua prossima mossa?” chiese Greene. “Se non avessimo già il marito in custodia e stessimo cercando il colpevole, come si muoverebbe?”

“Cercherei le prove di un rapporto sessuale, così potremmo ricavare il DNA e scoprire a chi appartiene. Ma in attesa dei risultati, andrei di sopra in camera da letto a cercare un portafoglio o qualcosa di simile, nella speranza di trovare un documento d’identità. Naturalmente, questo se non fosse già stato sospettato il marito. In quel caso, potremo ottenere il suo nome direttamente dall’indirizzo di casa.”

Greene le sorrise, annuendo. “Proprio così. Sarebbe sorpresa da quanti novellini cascano in questa domanda tranello. Siamo a casa del sospettato, quindi il nome lo sappiamo già. Ma se non fosse il marito ad essere sospettato, avrebbe ragione lei. Tra l’altro… Fine, si sente bene?”

La domanda la colse di sorpresa, soprattutto perché non stava affatto bene. Era rimasta incantata, a fissare il sangue sulle mattonelle della cucina. Quella vista l’aveva riportata indietro negli anni, a fissare la pozza di sangue che andava seccandosi sulla moquette alla base delle scale.

Senza alcun preavviso, iniziò a sentirsi debole. Si afferrò al bancone della cucina, temendo di stare per vomitare. Era preoccupante e imbarazzante.

È questo che mi devo aspettare ogni volta che mi troverò davanti una scena del crimine anche solo vagamente sanguinolenta? Davanti ad ogni scena del crimine che assomigli vagamente a quella della mamma?

Nella sua mente sentiva la voce di Sally, una delle prime cose che le avesse detto: non sono sicura che una donna possa essere un bravo agente. Soprattutto una con un passato traumatico come il tuo. Mi domando se sia un trauma che si riesca mai a superare…

“Mi dispiace, mi scusi” mormorò. Si spinse via dal bancone e corse alla porta d’ingresso. Per poco non cadde dai gradini del portico mentre raggiungeva il prato, sicura che avrebbe vomitato.

Per fortuna il destino le risparmiò quell’imbarazzo. Fece una serie di respiri profondi, concentrandosi al punto che quasi non si accorse di Greene che la raggiungeva.

“Ci sono casi che colpiscono anche me” le disse. Mantenne una certa distanza, lasciandole il suo spazio. “Ci saranno scene del crimine molto peggiori. È triste, ma dopo un po’ è come se ci si facesse il callo.”

Chloe annuì, poiché l’aveva già sentito prima. “Lo so. È solo che… Questa scena mi ha riportato alla mente un ricordo. Un ricordo a cui non mi piace pensare.”

“Il Bureau dispone di psicoterapeuti eccezionali per aiutare gli agenti a superare cose come questa. Perciò non pensi mai di essere da sola o che questo faccia di lei un agente incapace.”

“La ringrazio” disse Chloe, finalmente in grado di rimettersi dritta in piedi.

Si accorse che all’improvviso sua sorella le mancava terribilmente. Per quanto sembrasse macabro, ogni volta che le affioravano alla mente ricordi del giorno in cui la loro madre era morta, erano sempre accompagnati da un profondo affetto nei confronti di Danielle. Come adesso; Chloe non poteva fare a meno di pensare a sua sorella. Danielle ne aveva passate tante nel corso degli anni; era una vittima delle circostanze e al tempo stesso di alcune decisioni sbagliate. E adesso che Chloe viveva così vicino a lei, sembrava impensabile che dovessero rimanere distanti.

Certo, aveva invitato Danielle alla festa di quartiere quel weekend, ma Chloe scoprì che non sarebbe riuscita ad aspettare tanto a lungo. Inoltre, aveva il sospetto che non ci sarebbe nemmeno venuta.

All’improvviso, seppe cosa doveva fare: doveva vederla adesso.



***



Chloe non sapeva perché fosse così nervosa quando bussò alla porta di Danielle. Sapeva che Danielle era in casa; la stessa auto che aveva avuto da adolescente era nel parcheggio della palazzina, con ancora attaccati gli stickers di band musicali come Nine Inch Nails, KMFDM, Ministry. Vedere l’auto e tutti quegli adesivi le provocò una fitta di nostalgia che era più che altro tristezza.

Davvero non è cresciuta per niente? Si domandò Chloe.

Quando Danielle aprì la porta, Chloe vide che era proprio così. O almeno era quello che il suo aspetto lasciava pensare.

Le sorelle rimasero a guardarsi per due secondi, prima di abbracciarsi rapidamente. Chloe notò che Danielle si tingeva ancora i capelli di nero, indossava ancora il piercing al labbro sul lato sinistro della bocca, aveva un accenno di eyeliner nero e indossava una maglietta dei Bauhaus e dei jeans strappati.

“Chloe” disse Danielle, accennando appena un sorriso. “Come stai?”

Era come se si fossero viste appena il giorno prima, ma andava bene così. Chloe non si aspettava certo una reazione più emotiva dalla sorella.

Chloe entrò nell’appartamento e, senza curarsi di quello che potesse pensare Danielle, la avvolse in un altro abbraccio. Era passato poco più di un anno da quando si erano viste, tre da quando si erano abbracciate così affettuosamente. Qualcosa nel fatto che ora vivessero nella stessa città sembrava aver creato un legame tra loro; era qualcosa che Chloe poteva avvertire, per cui non erano necessarie parole.

Danielle ricambiò l’abbraccio, seppur pigramente. “Quindi… come stai?” ripeté Danielle.

“Bene” disse Chloe. “So che avrei dovuto chiamare prima, ma… Non lo so. Avevo paura che avresti trovato una scusa per dirmi di non passare.”

“Può darsi” ammise Danielle. “Ma adesso che sei qui, accomodati. Scusa il disordine. Anzi no, non scusarlo. Sai che sono sempre stata disordinata.”

Chloe rise ma, entrando nell’appartamento, rimase sorpresa di trovarlo relativamente ordinato. L’area del soggiorno era scarsamente ammobiliata, con soltanto una poltrona, una TV su mobiletto, un tavolino e una lampada. Chloe sapeva che anche il resto della casa doveva essere così. Danielle era il tipo di persona che viveva solo con lo stretto essenziale. Le uniche eccezioni, se non era cambiata da quando era un adolescente (e a quanto sembrava non lo era), erano la musica e i libri. Chloe si sentì quasi in colpa per la casa elaborate e spaziosa che aveva appena comprato con Steven.

“Vuoi che metta su del caffè?” chiese Danielle.

“Sì, sarebbe fantastico.”

Andarono in cucina, che come il soggiorno aveva solo lo stretto necessario. Il tavolo era stato chiaramente comprato ad una svendita, e ad abbellirlo c’era solo una tovaglia stropicciata. Due sedie solitarie erano ai lati opposti.

“Sei qui per obbligarmi a venire alla festa di quartiere?” chiese Danielle.

“Niente affatto” disse Chloe. “Oggi durante il tirocinio mi sono trovata su una scena del crimine che… Insomma, ha riportato tutto alla mente.”

“Ahia.”

Tra loro calò il silenzio mentre Danielle preparava la caffettiera. Chloe osservò la sorella muoversi in cucina, un po’ inquietata dal fatto che non sembrasse minimamente cambiata. Quella che aveva davanti potuto benissimo essere la ragazzina diciassettenne che se n’era andata di casa con la speranza di mettere su una band, nonostante le proteste dei nonni. Tutto sembrava uguale, compresa l’espressione assonnata.

“Sai qualcosa di papà?” chiese Chloe.

Danielle si limitò a fare di no con la testa. “Con il tuo lavoro, pensavo che avresti potuto imparare tu qualcosa. Sembra che ci sia qualcosa da sapere.”

“Ho smesso di informarmi qualche tempo fa.”

“Facciamo un brindisi a questo” disse Danielle, coprendo uno sbadiglio con il dorso della mano.

“Mi sembri stanca” disse Chloe.

“Perché è così. Solo che non è semplice stanchezza. Il dottore mi aveva dato degli stabilizzanti dell’umore; sono stati quelli a incasinarmi il sonno. E quando lavori in un bar e di solito non rientri prima delle tre del mattino, l’ultima cosa che ti serve sono farmaci che ti scombussolino i ritmi.”

“Hai detto che il dottore ti dava delle medicine. Non le prendi più?”

“No. Interferivano con il sonno, l’appetito, la libido. Da quando ho smesso, mi sento molto meglio… Solo che sono sempre stanca.”

“Ma perché te le ha prescritte?” chiese Chloe.

“Per poter sopportare la mia sorella ficcanaso” disse Danielle, scherzando solo in parte. Dopo un istante, le rispose in modo sincero. “Iniziavo a diventare facilmente depressa. Mi capitava all’improvviso. E io gestivo la cosa in modo… Piuttosto stupido. Alcol, sesso, Una casa su misura.”

“Se erano per la depressione, probabilmente dovresti ricominciare a prenderle” disse Chloe, realizzando mentre lo diceva che si stava comportando in modo invadente. “E comunque, a che ti serve la libido?” chiese con una risatina.

“Per quelle di noi che non stanno per sposarsi, è piuttosto importante. Non possiamo semplicemente sdraiarci sul letto e farci scopare quando ci pare e piace.”

“Non hai mai avuto problemi a trovare ragazzi, prima” le fece notare Chloe.

“È ancora così” disse Danielle portando le tazze di caffè al tavolo. “Solo che ci vuole troppo impegno. Soprattutto adesso. Quello nuovo è un ragazzo serio. Abbiamo deciso di fare le cose con calma… diciamo.”

“Infatti è l’unico motivo per cui sposerò Steven, lo sai” disse Chloe, cercando di imitare il suo tono scherzoso. “Mi ero stancata di dovermi impegnare per trovare qualcuno con cui poter fare sesso.”

Entrambe si misero a ridere. Sarebbe dovuto sembrare naturale ridere insieme di nuovo, invece in qualche modo sembrava forzato.

“Allora, che mi racconti, sorellina?” Chiese Danielle. “Non è da te fare improvvisate. Non che io possa saperlo, dato che non ce n’è stata occasione per quasi due anni.”

Chloe annuì, ricordando l’unica volta in cui avevano passato insieme del tempo nel corso degli ultimi anni. Danielle si era trovata a Philadelphia per un concerto, e dopo aveva passato la notte da Chloe, nel suo appartamento. Avevano parlato per un po’, ma non molto. Danielle era esausta ed era crollata sul divano. Nei loro discorsi erano saltati fuori la madre e il padre. Fu l’unica volta in cui Chloe sentì Danielle dire apertamente di volerlo andare a trovare.

“Quella scena stamattina” disse Chloe. “Mi ha fatto ripensare a quella mattina fuori da casa nostra. Continuavo a vedere il sangue in fondo alle scale e non ho retto. Credevo di stare per vomitare. E io non sono quel tipo di persona, sai? La scena del crimine era “alla vaniglia”, se paragonata ad altra roba che ho visto. È solo che mi ha colpito. Mi ha fatto pensare a te e al fatto che volessi vederti. Ha senso?”

“Sì. Gli stabilizzanti dell’umore… Sono quasi sicura che la mia depressione derivi dagli incubi che faccio su mamma e papà. Ogni volta che li avevo stavo da schifo per giorni. Addirittura non volevo neanche uscire dal letto e non mi fidavo di nessuno.”

“In realtà avevo intenzione di chiederti come affrontassi tu la cosa quando ripensi a quello che è successo, ma immagino che adesso conosco la risposta, eh?”

Danielle annuì e distolse lo sguardo. “Farmaci.”

“Stai bene?”

Danielle si strinse nelle spalle, ma era come se avesse mostrato a Chloe il dito medio. “Siamo insieme da 10 minuti e hai già tirato fuori l’argomento. Cristo, Chloe… Non hai ancora imparato a vivere la tua vita senza rivangare sempre il passato? Se non ti ricordi, quando mi hai chiamato per dirmi che ti saresti trasferita a Pinecrest, avevamo deciso di non parlarne. Acqua passata, ricordi?”

Chloe fu colta alla sprovvista. Aveva appena visto Danielle passare da impassibile e sarcastica a furiosa in un battito di ciglia. Certo, quell’argomento era un tasto dolente, ma la reazione di Danielle sembrava bipolare.

“Da quant’è che hai smesso di prendere le medicine?” chiese Chloe.

“Fottiti.”

“Da quanto?”

“Tre settimane, giorno più giorno meno. Perché?”

“Perché sono qui da quindici minuti e riesco già a capire che ne hai davvero bisogno.”

“Grazie, dottoressa.”

“Promettimi che ricomincerai a prenderle, d’accordo? Ti voglio al mio matrimonio. Sei la damigella d’onore, ricordi? Per quanto possa sembrarti egoista, vorrei che tu ti divertissi. Perciò, per favore, ricomincia a prenderle, d’accordo?”

Questo sortì un effetto su Danielle. Sospirò e rilassò le spalle. Adesso riusciva di nuovo a guardar e Chloe negli occhi e, anche se era ancora arrabbiata, c’era anche dell’affetto nel suo sguardo.

“D’accordo” disse.

Si alzò da tavola e andò verso una piccola cesta di vimini sul bancone della cucina. Tirò fuori un flacone di medicinali, lo aprì prendendo una pillola, e la mando giù con il caffè.

“Grazie” disse Chloe. Poi proseguì, percependo che c’era ancora qualcosa che non andava. “Per il resto, tutto bene?”

Daniele ci pensò su per un momento e Chloe la colse a lanciare una rapida occhiata verso la porta d’ingresso. Fu molto breve, ma le parve di cogliere paura nel suo sguardo; anzi, Chloe ne era certa.

“Sì, tutto bene.”

Chloe conosceva abbastanza la sorella da sapere che insistere non sarebbe servito.

“Allora, che accidenti è una festa di quartiere?” chiese Danielle.

Chloe rise; aveva quasi dimenticato la capacità Danielle di cambiare drasticamente argomento con la grazia di un elefante in una cristalleria. E così, si misero a parlare d’altro. Chloe osservava la sorella per controllare se guardasse di nuovo verso la porta con timore, ma non successe.

Eppure, Chloe sentiva che c’era qualcosa di strano. Magari dopo qualche tempo insieme, Danielle avrebbe confessato.

Ma cosa può essere? si domandò Chloe, lanciando uno sguardo verso la porta.

Fu allora che realizzò che non conosceva per niente sua sorella. Una parte di lei sembra ancora la ragazzina diciassettenne dal look gotico che Chloe conosceva così bene. Ma c’è anche qualcosa di nuovo in Danielle, adesso… Qualcosa di più oscuro.

Qualcosa per cui era costretta ad assumere farmaci che tenessero il suo umore sotto controllo e che la aiutassero a dormire e a vivere normalmente.

Chloe si rese conto in quel momento di avere paura per sua sorella e di volerla aiutare in ogni modo possibile.

Anche se avesse significato scavare nel passato.

Ma non adesso. Forse dopo il matrimonio. Dio solo sapeva le emozioni represse che sarebbero riaffiorate parlando della morte della madre e dell’arresto del padre. Eppure, Chloe sentiva i fantasmi del suo passato più forti che mai, seduta lì con Danielle, e questo la portò a chiedersi quanto dovesse esserne perseguitata la gemella.

Quali fantasmi si annidavano nella mente di Danielle? E cosa le stavano dicendo?

Sentiva, come quando stava per scatenarsi un temporale, che qualunque cosa Danielle stesse reprimendo, alla fine l’avrebbe coinvolta. Avrebbe coinvolto il suo nuovo fidanzato, la sua nuova casa. La sua nuova vita, E non avrebbe portato nulla di buono.




CAPITOLO CINQUE


Danielle era seduta sulla poltrona, con la schiena appoggiata a Martin, una gamba allungata sopra quella di lui, ed era perfettamente consapevole di non indossare le mutandine sotto i pantaloni del pigiama. Non che avesse importanza; per qualche motivo, lui l’aveva respinta la scorsa notte, nonostante fosse senza reggiseno e indossasse delle mutandine succinte. A quanto pareva Martin stava prendendo molto sul serio questa storia dell’andarci piano.

Danielle stava iniziando a pensare che Martin cercasse di essere un gentiluomo, oppure che non fosse attratto sessualmente da lei, il che era difficile a credersi, poiché Danielle poteva letteralmente sentire la prova della sua attrazione strofinarsi contro le sue gambe ogni volta che pomiciavano. Cercò di non prendersela. Anche se si sentiva sessualmente frustrata, era degno di nota aver trovato finalmente un uomo che non voleva solo sesso.

Quella sera era un ottimo esempio. Avevano deciso di restarsene tranquilli a casa di lei, a guardare un film. Prima avevano parlato della giornata di Martin, anche se, in quanto vicedirettore di una copisteria, gli spunti di discussione erano limitati. Era come ascoltare qualcuno che raccontava di come la pittura si seccava. Per quanto riguardava Danielle, lei detestava parlare della sua giornata lavorativa. Fare la barista in un ristorante era noioso. Per la maggior parte del tempo stava seduta a leggere. Le serate erano piene di storie da condividere, ma dopo aver dormito ed essersi svegliata all’una del pomeriggio, non voleva tirarle fuori di nuovo.

Dopo la conversazione, si erano baciati un po’ ma era stato tutto molto casto. Ancora una volta, per Danielle non era un problema. Inoltre, fin dalla visita di Chloe, si era sentita giù di morale. Gli stabilizzatori dell’umore probabilmente non avrebbero iniziato a fare effetto prima della seconda dose, che avrebbe preso prima di andare a letto.

Grazie alla visita di Chloe, Danielle aveva ricominciato a pensare alla madre, al padre e a quell’infanzia che era passata come uno schiocco di dita. Tutto ciò che voleva era stare tra le braccia di Martin, anche se faceva fatica ad ammetterlo con se stessa.

Avevano scelto uno dei suoi DVD, Le ali della libertà, e si erano accoccolati sul divano come una coppia di scolaretti nervosi e alle prime armi. Un paio di volte la mano di lui era scesa lungo la sua schiena, e Danielle si era chiesta se stesse prendendo l’iniziativa. Invece non si era spinto oltre, il che era al tempo stesso piacevole e snervante.

Inoltre si era accorta che il suo cellulare aveva suonato un paio di volte. Era sul tavolino davanti a loro, ma Martin non guardò chi fosse. All’inizio Danielle immaginò che volesse semplicemente essere educato e non interrompere il loro appuntamento. Ma dopo un po’, dopo il settimo o ottavo trillo, la cosa iniziava a darle sui nervi. Proprio durante la scena in cui Tim Robbins si chiude nell’ufficio del direttore e trasmette dagli altoparlanti un’opera lirica per i detenuti del carcere di Shawshank, trillò ancora una volta. Danielle guardò prima il telefono, poi Martin.

“Non guardi chi è?” chiese. “Si vede che qualcuno ha proprio bisogno di te.”

“No, non credo” disse lui. La strinse di più a sé e si stiracchiò. Adesso erano sdraiati uno di fianco all’altra. Volendo, Danielle avrebbe potuto facilmente baciargli il collo. Osservò il pezzetto di pelle nuda e ci pensò, chiedendosi come avrebbe reagito lui se oltre a baciarlo gli avesse fatto scorrere lentamente la lingua sul collo.

Il telefono trillò di nuovo. Danielle ridacchiò e, senza preavviso, si sporse oltre il petto di Martin, afferrò il telefono e se lo portò al petto. Non riuscendo a togliere la schermata di blocco, chiese “qual è la tua pass…”

Martin le strappò con violenza il cellulare di mano. Sembrava più sorpreso che arrabbiato. “Perché diavolo l’ha fatto?” sbottò.

“Così” disse lei. “Per scherzo. Guarda che puoi usare il cellulare mentre sei con me. Non mi dà fastidio. Però se si tratta di un’altra ragazza, potrei dover attivare la modalità stronza.”

“Non ho bisogno che tu mi dica come usare il mio cellulare” scattò lui.

“Ehi, aspetta. Non c’è bisogno di scaldarsi tanto, stavo solo scherzando.”

Lui sogghignò e si mise il telefono in tasca. Sospirò e si alzò, a quanto pare non più interessato a restare lì a coccolarla.

“Ah, allora sei uno di quelli” disse Danielle, in bilico tra lo scherzo e la troppa insistenza. “Uno di quelli che protegge il telefonino come se fosse il suo cazzo.”

“Lascia perdere” disse lui. “Non mi fissare così.”

“Io? Martin, credevo che mi avresti spezzato il polso per togliermelo di mano.”

“Be’, non è mica il tuo cellulare, no? Non ti fidi di me?”

“Non lo so” disse lei alzando la voce. “Non è che ci frequentiamo da così tanto. Cristo, non c’è bisogno di essere così sulla difensiva.”

Martin alzò gli occhi al cielo, poi tornò a guardare la TV. Era un gesto sprezzante, che la fece incazzare. Danielle scosse la testa e, facendo del proprio meglio per mantenere un atteggiamento scherzoso, si mise a cavalcioni su di lui. Allungò una mano come puntando alla zip dei suoi pantaloni, poi invece la infilò nella tasca dove aveva messo cellulare. Con l’altra mano iniziò a fargli il solletico sul fianco destro.

Martin fu colto alla sprovvista, non sapendo bene come reagire. Eppure, nell’istante in cui le dita di lei toccarono il telefonino, fu come se qualcuno avesse schiacciato un interruttore. Le afferrò un braccio e lo tirò verso l’altro con una stretta poderosa. Poi se la tolse di dosso senza lasciarle andare il braccio. Le faceva un male cane, ma non gli avrebbe dato la soddisfazione di sentirla gridare dal dolore. La sua velocità e la sua forza le ricordarono che un tempo praticava la boxe amatoriale.

“Ehi, cazzo, lasciami il braccio!”

Lui lo fece, guardandola con espressione stupita. Il suo sguardo le fece capire che non aveva intenzione di essere così violento. Aveva sorpreso persino se stesso, ma era anche arrabbiato; le sopracciglia aggrottate e le spalle che tremavano di rabbia ne erano la prova.

“Adesso devo andare” disse lui.

“Sì, buona idea” disse Danielle. “E non disturbarti a richiamarmi se non hai intenzione di scusarti.”

Lui scosse la testa, ma Danielle non era sicura se fosse per le proprie azioni o se fosse rivolto a lei. Lo osservò andarsene dalla porta, chiudendosela alle spalle con un movimento deciso. Danielle rimase seduta sul divano, guardando verso la porta per parecchi secondi mentre cercava di capire cosa fosse successo di preciso.

Non vuole scopare con me e salta fuori che ha un temperamento aggressivo, pensò. Quel tipo potrebbe rivelarsi più un problema che altro.

Naturalmente era sempre stata attratta da quel genere di uomini.

Si guardò il braccio e vide dei segni rossi nei punti in cui l’aveva afferrata. Era sicura che le sarebbero venuti i lividi. Non sarebbe stata la prima volta che un ragazzo alzava le mani con lei, ma non se lo sarebbe aspettata da Martin.

Accarezzò l’idea di andargli dietro per capire cosa gli fosse preso. Invece rimase sul divano a guardare il film. Se il passato le aveva insegnato qualcosa, era che non valeva la pena correre dietro agli uomini. Nemmeno a quelli che parevano troppo belli per essere veri.

Finì di guardare il film da sola e decise di finire lì la serata. Mentre spegneva le luci, ebbe la sensazione di essere osservata, di non essere da sola. Sapeva che era ridicolo, naturalmente, eppure non poté fare a meno di guardare verso la porta d’ingresso, dove il giorno prima (e molte altre volte ancora) la busta era apparsa come dal nulla.

Rimase sul divano a osservare l’ingresso, quasi aspettandosi che un’altra lettera venisse fatta scivolare al di sotto dell’uscio. Venti minuti più tardi, quando si alzò e iniziò a prepararsi per andare a lavorare, lo fece con tutte le luci della casa accese.

Lentamente, una paranoia strisciante prese ad agitarsi dentro di lei. Era una sensazione familiare, che era diventata quasi un amico nel corso degli anni, un amico molto intimo da quando avevano iniziato ad arrivare quelle lettere.

Pensò ai medicinali e si chiese per un momento se stesse succedendo tutto nella sua testa. Tutto quanto. Incluse le lettere.

C’era qualcosa di reale?

La sua mente andò automaticamente indietro nel tempo, ricordandole quell’oscurità alla quale credeva di essere sfuggita.

Stava perdendo di nuovo la testa?




CAPITOLO SEI


Chloe sedeva nella sala d’aspetto, guardando la scarsa selezione di letture sul tavolino. In seguito alla morte della madre aveva visto due psicoterapeuti, ma non aveva mai compreso lo scopo di quelle sedute. Adesso invece, all’età di ventisette anni, sapeva perché si trovava lì. Seguendo il consiglio di Green, aveva chiamato lo psicoterapeuta del Bureau per prendere appuntamento e parlare della reazione che aveva avuto il giorno prima di fronte alla scena del crimine. Stava cercando di ricordare gli uffici in cui era stata da bambina, quando la voce di una donna la chiamò dall’altro lato della stanza: “Signorina Fine?”

Chloe era così assorta nei suoi pensieri che non aveva sentito aprirsi la porta della sala d’attesa. Una donna dall’aspetto gradevole le stava facendo segno con la mano. Chloe si alzò in piedi e fece del proprio meglio per non sentirsi una fallita, mentre seguiva la donna lungo il corridoio verso l’ufficio.

Ripensò a ciò che le aveva detto Green il giorno prima, mentre prendevano il caffè insieme. Nella sua mente le sue parole erano ancora fresche, anche perché era stato il primo consiglio datole da un agente con molta esperienza, da quando aveva iniziato la sua carriera.

“Durante il mio primo anno sono stato parecchie volte in analisi. La mia quarta scena del crimine era un omicidio suicidio. Quattro corpi in totale. Uno apparteneva a un bambino di tre anni. Mi ha sconvolto nel profondo. Ecco perché mi sento di poterle dire senza esitazione che… la terapia funziona. Soprattutto se inizia a questo stadio della sua carriera. Ho visto agenti credersi dei duri che non avevano bisogno di aiuto. Non sia uno di quelli, Fine.”

Perciò, no… Avere bisogno di uno psicoterapeuta non faceva di lei un agente fallito. Anzi, sperava che l’avrebbe resa più forte.

Entrò nell’ufficio e vide un signore sulla sessantina seduto ad una grande scrivania. Dalla finestra dietro la scrivania si vedeva una piccola siepe con farfalle che vi svolazzavano sopra. Il nome dello psicoterapeuta era Donald Skinner, e praticava quella professione da più di trent’anni. Chloe lo sapeva perché lo aveva cercato su Google prima di decidersi a prendere appuntamento. Skinner era molto calmo e composto; sembrava quasi che la sua presenza si espandesse fino a riempire la stanza quando si alzò per andarle incontro.

Le fece cenno di sedersi su una poltrona dall’aria confortevole sistemata al centro della stanza.

“Prego, si metta comoda.” Le disse.

Chloe si sedette, visibilmente nervosa. Si rendeva conto che probabilmente si stava sforzando troppo per nasconderlo.

“L’ha mai fatto prima?” domandò Skinner.

“Quando ero molto più giovane” rispose lei.

L’uomo annuì mentre prendeva posto in una poltrona identica alla sua, posizionata proprio di fronte a lei. Una volta seduto, accavallò le gambe e intrecciò le mani.

“Signorina Fine, perché non mi racconta di lei… Di cosa l’ha portata qui, oggi.”

“Da dove devo partire?” fece lei, a mo’ di battuta.

“Per ora concentriamoci solo sulla scena del crimine di ieri” rispose Skinner.

Chloe si prese un momento per riflettere, quindi iniziò a raccontare. Raccontò tutto, aggiungendo persino qualche particolare che riguardava il suo passato, per fargli avere un quadro più completo della situazione. Skinner rimase attento in ascolto, poi rimuginò su quanto gli era stato riferito.

“Mi dica” disse Skinner. “Tra tutte le scene del crimine che ha visto ad oggi, è stata quella di ieri la più raccapricciante?”

“No. Però è stata quella più sanguinolenta che mi è stato permesso di vedere davvero.”

“Perciò lei è disposta ad ammettere tranquillamente che è stato quell’evento del suo passato a causare la sua reazione?”

“Immagino di sì. Insomma, non mi era mai successo prima. E anche quando sembrava che qualcosa fosse sul punto di turbarmi, riuscivo a fermarlo in tempo.”

“Capisco. E mi dica, ci sono altri fattori che potrebbero essere entrati in gioco? È una nuova città. Ha un nuovo istruttore, una nuova casa. Ci sono stati molti cambiamenti.”

“Mia sorella gemella” disse Chloe. “Vive qui a Pinecrest. Forse… Forse l’idea di rivederla dopo un anno ha contribuito alla mia crisi, oltre alla scena in sé.”

“Sì, potrebbe essere” disse Skinner. “La prego di scusarmi se le faccio una domanda così semplice, ma è stato l’omicidio di sua madre a spingerla a intraprendere una carriera nell’FBI?”

“Sì. All’età di dodici anni sapevo che era questo che volevo fare.”

“E sua sorella? Lei cosa fa?”

“Lavora in un bar. Credo che le piaccia perché deve sforzarsi di essere socievole solo per un paio d’ore al giorno, dopodiché può andarsene casa e dormire fino a mezzogiorno.”

“E lei ricorda quel giorno bene quanto lei? Ne avete parlato insieme?”

“Sì, ne abbiamo parlato, ma lei non è mai scesa nei dettagli. Ogni volta che ci provo, mi zittisce praticamente subito.”

“Allora scenda in questi dettagli con me, adesso” disse Skinner. “È evidente che ha bisogno di parlarne, perciò perché non farlo con me… che sono imparziale?”

“Be’, come le ho detto poco fa, a quanto pare si è trattato di un semplice ma sfortunato incidente.”

“Eppure suo padre è stato arrestato” le fece notare Skinner. “Perciò a me, che sono una persona che non ha familiarità con il caso, non sembra proprio che si tratti di un incidente. Mi incuriosisce come possa affermare così tranquillamente che sia trattato di un incidente. Perciò provi a rivivere i fatti. Cosa è successo quel giorno? Cosa si ricorda?”

“Be’, è stato un incidente, ma è stato causato da mio padre. Ecco perché è stato arrestato. Non ha nemmeno mentito in proposito. Lui era ubriaco, mia madre l’aveva fatto arrabbiare e così l’ha spinta.”

“Le sto dando la possibilità di scendere nei particolari, e questo è tutto quello che ha da dirmi?” chiese Skinner in tono amichevole.

“Ecco, molte parti sono sfuocate” ammise Chloe. “Ha presente come accade spesso con i ricordi, che sono come avvolti da una nebbia?”

“Certo, certo. Allora… Voglio provare qualcosa con lei. Dato che questa è la prima volta che ci vediamo, non ho intenzione di provare l’ipnosi. Però voglio tentare un’altra terapia altrettanto efficace. È quella che alcuni chiamano “terapia temporale”. Spero che oggi ci possa servire per tirare fuori dalla sua mente ulteriori particolari di quella giornata; particolari che sono già nella sua mente, ma che è come se fossero nascosti perché lei ha paura di vederli. Se continuerà a fare le sedute con me, questa tecnica ci aiuterà a estirpare la paura e l’angoscia che si risvegliano in lei ogni volta che deve affrontare il ricordo di quel giorno. Che gliene pare? È disposta a provare oggi?”

“Sì” rispose senza esitazione.

“D’accordo, bene. Allora… Iniziamo da dove era seduta. Voglio che chiuda gli occhi e si rilassi. Si prenda qualche secondo per liberare la mente e mettersi comoda. Mi faccia un cenno quando si sente pronta.”

Chloe fece come le era stato detto. Si appoggiò allo schienale. La poltrona era in ecopelle ed era molto comoda. Si sentiva le spalle contratte, per il disagio di mostrarsi così vulnerabile davanti ad una persona che non aveva mai visto prima. Prese un profondo respiro e sentì i muscoli rilassarsi. Sprofondò nella poltrona e ascoltò il ronzio dell’aria condizionata. Rimase sintonizzata su quel suono per qualche istante, quindi fece un cenno del capo. Era pronta.

“D’accordo” disse Skinner. “Lei è fuori sulla gradinata del palazzo con sua sorella. Ora, anche se non ricorda esattamente le scarpe che indossava quel giorno, voglio che immagini di guardarsi i piedi, le scarpe. Voglio che si concentri su quelle e su nient’altro, solo sulle scarpe che indossava quel giorno quando aveva dieci anni. Lei e sua sorella siete sulla gradinata d’ingresso, ma tenga gli occhi solo sulle scarpe. Me le descriva.”

“Sono delle Chuck Taylor” disse Chloe. “Rosse. Consumate. Con i lacci larghi e flosci.”

“Perfetto, adesso studi quei lacci. Si concentri solo su di essi. Poi voglio che si alzi senza distogliere lo sguardo dai lacci. Si alzi e ritorni nel punto in cui era prima di scoprire il sangue sulla moquette ai piedi delle scale. Voglio che torni indietro di un paio d’ore, ma senza smettere di guardarsi i lacci delle scarpe. Pensa di riuscirci?”

Chloe sapeva di non essere sotto ipnosi, ma le istruzioni sembravano davvero semplici. Così chiare e facili. Nella sua mente, si alzò e tornò dentro l’appartamento. Una volta dentro, vide il sangue, vide sua madre.

“Ecco la mamma in fondo alle scale” disse. “C’è un sacco di sangue. Danielle è da qualche parte che piange. Papà cammina avanti e indietro.”

“D’accordo, ma guardi solo i lacci delle scarpe” le rammentò Skinner. “Adesso provi ad andare ancora più indietro. Ci riesce?”

“Certo, è facile. Sono insieme a Beth… una mia amica. Siamo appena tornate dal cinema. Sua madre ci ha riaccompagnate. Mi ha fatto scendere ed è rimasta sul marciapiede finché non sono entrata nel palazzo. Lo faceva sempre, non se ne andava finché non mi vedeva entrare.”

“Ok. Adesso continui a guardare i lacci delle scarpe mentre scende dall’auto e sale le scale. Poi mi racconti il resto del pomeriggio.”

“Sono entrata nel palazzo e poi sono salita fino al secondo piano, dov’era il nostro appartamento. Quando mi sono avvicinata alla porta e ho preso le chiavi per aprire, da dentro ho sentito mio padre. Poi sono entrata, ho chiuso la porta e sono andata in soggiorno, ma ho visto il corpo della mamma. Era ai piedi delle scale. Il braccio destro era incastrato sotto il corpo. Il naso sembrava rotto e c’era sangue dappertutto. Il suo viso era quasi completamente sporco di sangue.

Il sangue aveva imbrattato tutta la moquette alla base delle scale. Credo che mio padre abbia cercato di spostare il corpo…”

La voce di Chloe si affievolì. Trovava sempre più difficile restare concentrata su quei vecchi lacci delle scarpe. La scena era troppo vivida perché potesse ignorarla.

“Danielle è lì in piedi, proprio davanti alla mamma. Ha le mani e i vestiti sporchi di sangue. Papà sta urlando al telefono, chiedendo di mandare in fretta qualcuno perché c’è stato un incidente. Quando chiude la conversazione, mi guarda e inizia a piangere. Lancia il telefono dall’altra parte della stanza, facendolo rompere contro il muro. Poi viene verso di noi e si china, dicendo che gli dispiace… Dicendo che l’ambulanza sta arrivando. Poi guarda Danielle e farfuglia qualcosa tra le lacrime, che noi capiamo a malapena. Sta dicendo che Danielle deve andare di sopra a cambiarsi i vestiti.

“È quello che fa, e io la seguo. Le chiedo cosa è successo ma lei non vuole parlarmi. Non sta neanche piangendo. Dopo un po’ sentiamo il suono delle sirene. Ci sediamo insieme a papà, aspettando che ci dica cosa succederà. Ma non ce l’ha mai detto. Arriva l’ambulanza, poi la polizia. Un poliziotto gentile ci accompagna fuori sulle scale e rimane con noi finché papà non viene portato via ammanettato. Finché non portano fuori il corpo della mamma…”

All’improvviso l’immagine dei lacci consunti delle scarpe svanì e Chloe era di nuovo a sedere sulla scalinata, che aspettava che la nonna l’andasse a prendere. Il poliziotto in sovrappeso era con lei e, anche se non lo conosceva, la faceva sentire al sicuro.

“Tutto ok?” Chiese Skinner.

“Sì” disse Chloe con un sorriso nervoso. “La parte di papà che lancia il telefonino… Me l’ero completamente dimenticata.”

“E cosa ha provato ricordando?”

Era una domanda difficile. Suo padre era sempre stata una persona irascibile, ma vederlo compiere quel gesto dopo quello che era appena successo a sua madre lo faceva quasi apparire debole, vulnerabile.

“Sono rattristata per lui.”

“Lo ha mai incolpato per la morte di sua madre da quando è successo?” Chiese Skinner.

“A essere sincera, dipende dai giorni. Dipende dal mio umore.”

Skinner annuì e abbandonò la sua posizione, alzandosi e guardandola con un sorriso rassicurante.

“Credo che per oggi possa bastare. La prego di chiamarmi se le capita di avere un’altra reazione del genere davanti ad una scena del crimine. E, comunque, vorrei che ci rivedessimo. Potremmo fissare un appuntamento?”

Chloe ci pensò su, poi annuì. “Va bene, ma sto per sposarmi e ho ancora molte cose da preparare; i fiori, la torta… È un incubo. Posso richiamarla con una data più precisa?”

“Certamente. Fino ad allora… Rimanga vicina all’agente Greene. È un brav’uomo. E ha fatto bene a mandarla da me. Voglio che lei sappia che, essendo all’inizio della sua carriera, il fatto che sia dovuta venire da uno psicoterapeuta per risolvere i suoi problemi non significa nulla. Non è indicativo del suo talento.”

Chloe annuì. Lo sapeva, ma era comunque bello sentirlo dire la Skinner. Si alzò e lo ringraziò. Mentre usciva dalla porta per tornare nella sala d’aspetto, rivide il padre che lanciava il telefonino. Poi però le sovvenne anche un commento che aveva fatto; non che se lo fosse scordato, ma fino a quel giorno era rimasto confuso.

Aveva guardato Danielle e, con voce fin troppo agitata, aveva detto: “Danielle, tesoro… Vai a cambiarti i vestiti. Non abbiamo molto tempo prima che arrivino.”

Quel commento continuò a frullarle in testa per tutto il pomeriggio, facendola rabbrividire. Era come se stesse spingendo per aprire una porta che era rimasta chiusa negli ultimi diciassette anni.




CAPITOLO SETTE


Danielle si svegliò alle otto, con la sensazione di non aver dormito bene, o di non aver dormito affatto. Era rientrata dal lavoro alle 2:45 per poi crollare sul letto alle 3:10. Di solito non aveva problemi a dormire fino alle undici, a volte persino più tardi; invece, quando aprì gli occhi quella mattina alle 8:01, non riuscì più a riaddormentarsi. A dire la verità, era da quando aveva scoperto che Chloe si sarebbe trasferita in città che non riusciva a dormire bene. Le era sembrato quasi che il suo passato la stesse lentamente seguendo, e che non avrebbe smesso finché non l’avesse inghiottita.

Stanca e di malumore, Danielle si fece la doccia, poi fece colazione. Tutto ciò con l’album Too Dark park degli Skinny Puppy come colonna sonora. Mentre metteva la tazza sporca nel lavello, si ricordò che quel giorno sarebbe dovuta andare a fare la spesa. Di solito questo non l’avrebbe seccata. Ma a volte capitava che avesse la sensazione che stare in mezzo alla gente sarebbe stato un errore… Che le persone fossero lì a guardarla, in attesa che commettesse un errore per poi puntarle il dito contro.

Inoltre, temeva che allontanarsi da casa avrebbe dato all’autore delle lettere l’occasione di seguirla. Danielle immaginava che uno di quei giorni l’autore avrebbe smesso di scherzare e l’avrebbe semplicemente uccisa.

Forse quel giorno era proprio oggi.

Guidò fino al supermercato, perfettamente consapevole che quello era uno di quei giorni… Uno di quei giorni in cui aveva paura di tutto. Uno di quei giorni dove si sarebbe costantemente guardata alle spalle. Guidò in fretta, passando addirittura con il rosso, nell’impazienza di portare a termine quella commissione.

Fin da quando Danielle aveva iniziato a ricevere quei messaggi inquietanti sotto la porta, stare in posti pubblici le causava ansia. Era fin troppo facile immaginarsi la persona che aveva scritto le lettere che la seguiva. Persino al bar, si chiedeva se l’autore non fosse una delle persone sedute al bancone che lei aveva appena servito. Quando andava a comprare del cibo d’asporto al ristorante cinese, lui la stava forse seguendo, aspettando l’occasione per aggredirla mentre tornava alla macchina?

Anche dopo essere arrivata sana e salva alla sua destinazione ed essersi precipitata dentro il supermercato praticamente correndo con un carrello delle ruote cigolanti, la preoccupazione era ancora lì. L’autore delle lettere avrebbe potuto essere lì con lei, tra gli scaffali del supermercato, magari osservandola dalla corsia dei cereali per la colazione.

Quella paura così concreta la perseguitava dal giorno dopo quello che era successo con Martin. Era sopraffatta dalla paranoia, e teneva la testa bassa e incassata nelle spalle. Se qualcuno avesse voluto guardarla in faccia, l’avrebbero dovuto fare di proposito, fermandosi e chinandosi. Si detestava per essere così. Aveva sempre avuto problemi simili, il che era il motivo per cui la maggior parte delle sue relazioni raramente duravano più di un mese. Sapeva, durante la sua permanenza a Pinecrest, di aver sviluppato la reputazione di essere una specie di sgualdrina, ma in realtà non è che le piacesse andare a letto con chiunque. Era solo che, quando si sentiva abbastanza a suo agio con un ragazzo da andarci a letto, subentrava la paranoia e cominciava a pensare male di lui. Allora lo mollava, lasciava passare un po’ di tempo per riprendersi, poi ricominciava.

Quando era tornata a Pinecrest qualche anno prima, le cose erano migliorate leggermente. Quando aveva lasciato Boston le era sembrato di battere in ritirata… Ma andava bene così. Almeno era tornata in un luogo che le era familiare. La cosa più difficile a cui abituarsi era la mancanza di ragazzi con cui uscire. All’inizio le aveva creato problemi, anche se era riuscita a rovinare ogni singola relazione che avesse iniziato. Ecco perché il litigio con Martin l’aveva turbata così tanto.

Naturalmente c’erano anche i lati negativi di Pinecrest. Troppe persone si ricordavano di lei e di Chloe. Si ricordavano delle povere, piccole sorelle Fine, che erano finite a vivere con i nonni dopo che la madre era morta e il padre era stato arrestato.

“Danielle, sei tu?”

Danielle si voltò verso la voce, sorpresa. Era così persa nei suoi pensieri che aveva smesso di nascondere il viso mentre si alzava in punta di piedi per prendere una scatola di cereali Froot Loops. Adesso stava guardando un volto del passato, una donna che le pareva estremamente familiare, ma che non riusciva a identificare.

“Non ti ricordi di me?” Domandò la donna, a metà tra il divertito e l’offeso. Doveva avere tra i quarantacinque e i cinquant’anni. Ad ogni modo, Danielle non se la ricordava.

“Mi sa che non ti ricordi di me” disse la donna. “Credo che avessi solo tredici o quattordici anni l’ultima volta che ti ho vista. Sono Tammy Wyler. Ero un’amica di tua madre.”

“Ah sì, ma certo” disse Danielle. Non ricordava affatto quella donna, ma il nome le diceva qualcosa. Danielle immaginò che si trattasse di uno degli amici di famiglia che venivano di tanto in tanto a far visita ai suoi nonni negli anni successivi alla morte della madre.

“Quasi non ti riconoscevo” disse Tammy. “I tuoi capelli sono… Più scuri.”

“Già” disse Danielle senza entusiasmo. Probabilmente, l’ultima volta che Tammy Wyler l’aveva vista, era appena entrata nella fase di massima ribellione. All’epoca, quando aveva tredici o quattordici anni, si tingeva i capelli di rosa evidenziatore con strisce nere. Adesso invece li portava nero corvino, uno stile ormai superato ma che le si addiceva alla perfezione.

“Sapevo che eri tornata ad abitare qui, ma… Non lo so. Non ti ho mai cercata dopo che ti sei trasferita. Se non sbaglio, sei stata a Boston per un periodo, giusto?”

“Esatto.”

“Ah, ho sentito che anche Chloe è tornata in città. Ha comprato una nuova casa dalle parti di Lavender Hills, vero?”

“Già, è tornata” disse Danielle, ormai vicina al limite di sopportazione per quanto riguardava i convenevoli e cazzate del genere.

“Voci di corridoio dicono che abiti a poche case di distanza da una ragazza che veniva alle scuole superiori con voi. Io abito a due strade da lei.”

Povera Chloe, pensò Danielle.

“Ah, ti ha detto della festa di quartiere?” Chiese Tammy, apparentemente incapace di tenere la bocca chiusa per più di tre secondi consecutivi.

“Sì, me l’ha detto” disse Danielle. Sperava che Tammy avrebbe capito dalle sue risposte concise che non era il tipo da starsene lì a chiacchierare tra le corsie del supermercato.





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“Un capolavoro del thriller e del mistero. Blake Pierce ha creato con maestria personaggi dalla psiche talmente ben descritta da farci sentire dentro la loro mente, a provare le loro stesse paure e fare il tifo per loro. Questo libro è ricco di colpi di scena e vi terrà svegli fino all’ultima pagina.” –Books and Movie Reviews, Roberto Mattos (su Il Killer della Rosa) LA PORTA ACCANTO (Un Mistero di Chloe Fine) è il primo libro di una nuova serie thriller di Blake Pierce, autore del best-seller Il Killer Della Rosa (Libro #1, download gratuito), che ha ottenuto più di 1000 recensioni da cinque stelle. Chloe Fine, 27 anni, tirocinante nella Squadra Ricerca Prove dell’FBI, si ritrova costretta ad affrontare il proprio oscuro passato quando la sorella gemella, piena di problemi, ha bisogno del suo aiuto e un cadavere spunta nel suo paesino di provincia.Chloe ha l’impressione che la sua vita sia finalmente perfetta: si è trasferita in una nuova casa nel suo paese natale insieme al fidanzato, la sua carriera nell’FBI è promettente e all’orizzonte si profila il matrimonio. Tuttavia, ben presto impara che non tutto è come sembra in quel sobborgo di periferia. Chloe inizia a scorgere l’altra faccia della medaglia: i pettegolezzi, i segreti, le bugie. Oltre a ciò, è anche perseguitata dai suoi demoni personali: la misteriosa morte della madre, quando aveva 10 anni, e l’arresto di suo padre. Quando spunta un nuovo cadavere, Chloe capisce che il suo passato e quella cittadina potrebbero essere la chiave per la risoluzione di entrambi i delitti.Thriller psicologico dall’intensa carica emotiva, con un’ambientazione intima e una suspense mozzafiato, LA PORTA ACCANTO è il libro #1 in una nuova, avvincente serie che vi terrà incollati alle sue pagine fino a tarda notte.Il libro #2 nella serie di CHLOE FINE è già prenotabile.

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