Книга - Fuggi, Angelo Mio

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Fuggi, Angelo Mio
Virginie T.


Una storia d'amore paranormale tra un angelo caduto ed un'umana

Azel è il primo degli angeli caduti, quello al quale si rivolgono tutti quando hanno un problema. Per questo, quando il suo vecchio vicino di casa gli chiede aiuto per ospitare una donna in fuga, accetta senza esitare. Questa donna lo toccherà fin nel profondo e Azalel inizierà a sperare di poter trovare la stessa felicità che suo fratello Baraqiel ha trovato con Caytlin. Tuttavia, per riuscire a farlo, ciascuna di queste due anime tormentate dovrà fare la pace con il proprio passato





Virginie T.

Fuggi, Angelo Mio




Fuggi, angelo mio


II de gli angeli caduti


Virginie T

Azazel è il primo degli angeli caduti, quello al quale si rivolgono tutti quando hanno un problema. Per questo, quando il suo vecchio vicino di casa gli chiede aiuto per ospitare una donna in fuga, accetta senza esitare. Questa donna lo toccherà fin nel profondo e Azazel inizierà a sperare di poter trovare la stessa felicità che suo fratello Baraqiel ha trovato con Caytlin. Tuttavia, per riuscire a farlo, ciascuna di queste due anime tormentate dovrà fare la pace con il proprio passato



Fuggi, angelo mio




Gli angeli caduti


libro 2




Virginie T




Tradotto da Valentina Giglio




Deposito legale: maggio 2020


© 2020. T. Virginie




Capitolo 1



Mallory

Gira in tondo, le labbra strette e la schiena dritta. Lo conosco a memoria. So che sta trattenendo le parole che muore dalla voglia di gettarmi in faccia. Bisognerebbe essere masochista per desiderare di ascoltarle. Io non lo sono affatto, ma trovo che i silenzi ed i sottintesi siano ancora più crudeli. Tuttavia, sono persuasa che una coppia possa durare solo se c'è una buona comunicazione. Come si può risolvere una situazione, se il vostro interlocutore non parla? Avete mai sentito parlare di un  negoziatore che non pronunci una sola parola per sbrogliare una situazione? Ecco, è la stessa cosa.

«Parlami.»

Mi rivolge un'occhiataccia ed io sarei quasi tentata di fare marcia indietro. Tuttavia, ciò non è nel mio carattere. Non sono stata cresciuta in questo modo. Sono una combattente, non mi tiro indietro di fronte alle difficoltà, le affronto a testa alta, qualsiasi siano le conseguenze.

«Dimmi a cosa pensi.»

A forza di insistere, lui cede. O piuttosto, esplode, e la sua rabbia mi colpisce come un pugno allo stomaco.

«Ti sei licenziata! Ancora una volta! Dannazione, Mallory. Sono stufo del fatto che tu non riesca a tenerti un  lavoro per più di qualche settimana, stufo di sbattermi per riuscire a tenerci a galla, quando è evidente che tu te ne freghi completamente! Pensi solo a te stessa, Mal!»

Ancora una volta gli stessi rimproveri, ormai da mesi. So di essere piuttosto incostante a un livello professionale. Sono ancora giovane e, a ventisei anni, sto ancora cercando la mia strada, faccio dei tentativi, mi sbaglio e cambio. Ma sono indecisa solo a questo riguardo. A parte questo, so cosa voglio dalla vita: un marito, dei figli, una casa. In breve, una storia alla Cenerentola come se ne vedono sulle riviste e nei romanzi d'amore. Sono nata a Manhattan ed ho vissuto lì fino ai dodici anni. Non è sempre stato facile. Sono sempre stata una bambina coraggiosa, un po' scavezzacollo ed abbastanza ribelle  nei confronti dell' autorità, quindi mi attiravo sempre dei problemi. Non ero una cattiva studentessa, ma neppure una scolara modella. In breve, ero abbastanza ordinaria ed ho considerato la nostra partenza per Montréal come un nuovo inizio. Avevo solo dodici anni, ma a forza di sentirmi dire dai miei genitori che sarei finita male, avevo finito per credervi ed il giorno del nostro trasloco mi sono detta che quello sarebbe stato un modo di scongiurare la cattiva sorte. Contro ogni aspettativa, mi sono fatta dei nuovi amici dall'accento cantilenante, ho fatto degli sforzi a scuola, ho persino ottenuto un diploma commerciale. Il problema era che la mia vita mancava di fantasia, di pepe. Volevo che la mia vita brillasse; tutto era troppo terra a terra. In effetti, ero giovane e mi annoiavo da morire.

Il mio incontro con Brandon è stato come un secondo respiro, una rinascita. Mi basta guardarlo, per ricordare quel momento come se fosse ieri. Con la mia amica Beth, avevamo deciso di uscire a bere qualcosa per rilassarci dopo una dura giornata di lavoro come cameriera in una piccola trattoria. Avevo i piedi in fiamme e l'idea di sedermi e farmi servire a mia volta, mi sembrava il paradiso. Ci eravamo fatte belle ed eravamo uscite, tenendoci a braccetto. La coppia-choc. La bionda e la bruna. La formosa e la…io. Punto. Una volta arrivate al bar, avevamo iniziato a chiacchierare tra amiche e ad osservare gli esemplari maschili intorno a noi, come in qualsiasi serata tra ragazze che si rispetti. Dopotutto, eravamo due single e guardare non ha mai fatto male a nessuno. In quel momento Brandon si era diretto verso di me, o piuttosto verso il bancone, per ordinare da bere ed io, troppo persa a contemplarlo, gli avevo rovesciato il mio drink sui piedi. Accidenti! La peggior brutta figura della mia vita. Avevo farfugliato delle scuse infinite, tamponandogli le scarpe con dei tovaglioli di carta. Ricordo ancora la sua risata, che mi aveva fatto venire la pelle d'oca sulle braccia. E quella voce…Una voce avvolgente che mi aveva detto che quello era il miglior bicchiere che avesse mai bevuto. Da allora sono passati due anni e non ci siamo più lasciati.

Il periodo luna di miele è finito e l'atterraggio è difficile. Io amo Brandon con tutto il cuore, ma i suoi rimproveri mi feriscono ed indeboliscono la nostra coppia, dopo ogni litigio.

«Non era un lavoro adatto a me.»

Lui ride con sarcasmo.

«Non è mai un lavoro adatto a te. Quando non dai le dimissioni, sono loro che ti licenziano. In ogni caso, non funziona e tu torni indietro al punto di partenza. Sono stanco di questa situazione. Tu non lo sei?»

Per quanto mi riguarda, non è un lavoro quello che può stancarmi. Ciò che mi logora, sono questi litigi incessanti e la tristezza che mi avvolge ogni volta, come una seconda pelle.

«Troverò un altro impiego più adatto a me.»

«Sicuramente, fino a quando non farai tutto questo di nuovo. Sembra che non tu non tenga a niente.»

«Sì. Tengo a te.»

Mi avvicino a lui e mi prende tra le braccia. La morsa intorno al mio cuore si allenta grazie a questo contatto.

«Anch'io ti amo. Ho semplicemente voglia di costruire il nostro avvenire e, per avere i mezzi per farlo, dobbiamo lavorare tutti e due.»

Traggo un profondo respiro. In fondo, lo capisco. Ho le sue stesse aspirazioni, gli stessi desideri.

«Ho voglia di un piccolo noi, Mal. Ciò richiede di avere delle risorse a lungo termine.»

Un bambino? Un figlio con me? Si sente pronto ad impegnarsi con me fino a questo punto?

«Vorresti che facessimo un bambino?»

Ho le lacrime agli occhi.

«Tu sei la donna della mia vita. Voglio fare tutto con  te. E' tempo di comportarsi da adulti.»

Lo abbraccio fino a soffocarlo.

«Ti prometto che farò degli sforzi. Farò tutto quello che posso per trovare un lavoro e, l'anno prossimo, sarai costretto ad uscire in piena notte per soddisfare le mie voglie di donna incinta.»

Si allontana da me con un sorriso.

«Nel frattempo, è l'ora di preparare da mangiare. Lilas viene a presentarci il nuovo uomo della sua vita.»

Certamente! L'ultimo prima del prossimo. Se io cambio lavoro come la camicia, per quanto riguarda Lilas, con lei sono gli uomini che non durano a lungo. L'amica di Brandon, che ho impiegato un po' di tempo ad apprezzare, non è proprio una tipa da sistemarsi in una routine di coppia! Quando il mio compagno ci ha presentate, sono stata subito punta dalla gelosia. Sapere che lui era così intimo con una bomba sexy del genere mi era insopportabile. Ed è proprio vero! Lilas è lo stereotipo del sogno maschile: gambe interminabili, fianchi stretti, un seno debordante dai décolletés e labbra carnose ed eccitanti. Persino la sua voce è un richiamo al sesso. Ogni parola, anche quella più neutra, diventa erotica nella sua bocca! Per fortuna, Beth  mi aveva fatto notare il modo in cui Brandon guardava Lilas: come un fratello sorveglia la sua sorellina, perché non si cacci nei guai. Mentre quando guarda me…i suoi occhi sono caldi come la brace.

«Viene anche Beth con Tom. E' venuto per il week-end e sembra che abbiano una grande notizia da darci.»

La cena si svolge in un  ambiente rilassato. Lilas, Beth e Tom si conoscono già da qualche mese e sembra che l'ultimo arrivato, Léon, riesca ad integrarsi presto nel nostro gruppo. Non mi aspettavo un fisico come il suo in un pretendente di Lilas. Lei è una tipa volubile e le apparenze sono la sua priorità. In genere, si butta sull'archetipo del bel bambino: alto, muscoloso, abbronzato e…non molto di più, ma basta che ci sia quello che serve negli slip del tipo di turno. Léon non segue affatto questo codici. Non è che sia brutto, non esageriamo, semplicemente è diverso. Dall'alto del suo metro e settantacinque, è appena un po' più alto di me. Al posto di una barbetta di tre giorni che dà agli uomini un'aria tremendamente virile, mostra una folta barba di molte settimane che mi ha irritato la pelle all'istante, quando mi ha baciata per salutarmi. Solo i muscoli sono adeguati a quelli dei precedenti ragazzi. Léon ha dei bicipedi grandi come le mie coscie, coperti di tatuaggi tribali che mi intrigano. Essendo curiosa di natura, gli faccio delle domande per scoprire cosa abbia sedotto la nostra frizzante Lilas.

«Cosa fai nella vita, Léon?»

«Sono un informatico. Vado a caccia di cyber-criminali sul web per aiutare la polizia.»

Wow! Sono cose serie. Sono impressionata. Forse Lilas ha avuto un colpo di fortuna?

«E' un lavoro importante.»

Lui ride, la sua risata è grave e profonda e gli fa stringere gli occhi, che lasciano apparire qualche ruga sottile negli angoli.

«Ci sono dei vantaggi in questo campo. In effetti, mi accontento di scrivere sulla tastiera  per tutto il giorno, seduto comodamente in poltrona, e di inviare per e-mail al commissariato i dati importanti che scopro.»

Ed è anche modesto. Ovviamente, Brandon sente la necessità di immischiarsi. Il fratello sospettoso e protettivo è di ritorno.

«Quindi non sei uno sbirro?»

«No. Non ho nemmeno mai incontrato la maggior parte degli ispettori che si rivolgono a me. Lavoro come freelance ed avviene tutto a distanza, per la maggior parte del tempo. E' raro che io debba recarmi sul posto. Sono un tipo piuttosto casalingo.»

Intervengo prima che il mio innamorato trasformi questa cena in un fiasco, facendo osservazioni infondate e poco educate.

«Chi vuole un caffè?»

Preparo le bevande calde con l'aiuto di Beth, che sembra sulle nuvole.

«A cosa stai pensando?»

Lei scuote la testa senza rispondermi, facendo volare le sue mèches bionde da ogni parte.

«Dai! Sono la tua migliore amica. Non puoi fare delle cose di nascosto, senza raccontarmi tutto.»

«Saprai tutto quando lo sapranno anche gli altri.»

«Beth! Non fare la stupida. Dai, cosa succede?»

Tiene la bocca ermeticamente chiusa, ma io so come stuzzicarla.

«Se mi sveli il tuo segreto, io ti svelerò il mio.»

A quel punto i suoi occhi si illuminano, mentre punta due raggi laser su di me.

«Tu non hai segreti. Mi racconti subito tutto quello che ti succede.»

«E' vero, ma è successo appena prima che tu arrivassi e non ho avuto il tempo di telefonarti.»

Mi scruta, decisa a distinguere il vero dal falso.

«Cambi di nuovo lavoro?»

Le mie spalle si abbassano. Beth ha lo stesso atteggiamento di Brandon riguardo al modo in cui gestisco la mia vita professionale, ed una discussione su questo argomento mi basta e avanza per la giornata. Oggi non ho voglia di parlarne di nuovo.

«Non è l'argomento che ci interessa.»

La mia amica recepisce il messaggio e, per fortuna, non insiste. La ringrazio silenziosamente, con il morale ormai minato dalla consapevolezza di non essere all'altezza delle aspettative delle persone che contano per me.

«D'accordo. Non fare quegli occhi da cane bastonato, non lo sopporto. Sei pronta a saltare di gioia per me?»

Annuisco vigorosamente, impaziente di sentire questa notizia in anteprima.

«Tom verrà a vivere qui, con me. Ha messo in vendita il suo appartamento di New York ed ha già trovato un lavoro a Montréal.»

«Wow, fantastico!»

Ecco fatto, accidenti. La mia migliore amica mi ha appena detto che va a vivere con il suo uomo e questo è tutto ciò che sono riuscita a dire. Mi riscuoto mentalmente, mi do una sberla e le getto le braccia al collo per stringerla con tutte le mie forze.

«Congratulazioni! Sono talmente contenta per te!»

So che Beth ha avuto dei dubbi sulla loro relazione per molto tempo. Non per mancanza di impegno da parte del suo compagno, Tom la ama oltre ogni limite e tutti possono vederlo, ma a causa della distanza che li separa e che metterebbe a dura prova qualsiasi coppia. Sono felice che sia riuscita a resistere, senza perdere le speranze, perché oggi ha la sua ricompensa: andrà a vivere con lui. E' talmente emozionata che versa una lacrima, nonostante il suo sorriso smagliante.

«E cosa mi dici di te? Qual' è il tuo segreto, Mallory?»

Tutto d'un colpo il mio fa una misera figura, perché è solo una promessa, ma una promessa che ho intenzione di mantenere, quindi…

«Brandon vuole che facciamo un bambino.»

«Cosa?»

«Brandon vuole un bambino.»

La mia amica resta in silenzio. Troppo. Ed io che credevo che sarebbe stata felice per me!

«Qual'è il problema? Non ti piace Brandon?»

«Sai bene che mi piace. Sono stupita, ecco tutto. Non smetti mai di cambiare lavoro: non è una situazione ideale per concepire un bambino, non trovi?»

Effettivamente. Beth ha molto senso pratico, esattamente come il mio fidanzato.

«Ho promesso a Brandon di trovare un lavoro e di tenerlo. E' la sua condizione per fare un figlio.»

«Capisco.»

La sua affermazione mi punge sul vivo.

«Cosa ne pensi?»

Beth è perfettamente cosciente di camminare sulle spine e si prende del tempo per riordinare le idee, sotto il mio sguardo torvo.

«Mallory, sei una ragazza incredibile e la mia migliore amica da troppo tempo perché possiamo tenere il conto degli anni, ma la costanza professionale non è il tuo forte.»

«Non mi credi capace di mantenere una promessa fatta al mio fidanzato?»

«Ma non si tratta di questo…»

«Ti dimostrerò che sono in grado di cambiare. Vedrai, ci riuscirò.»

Con queste parole, ritorno dai miei ospiti, più determinata che mai a mettermi alla prova.




Capitolo 2



Mallory

Sono mesi che mi sforzo di mantenere questa dannata promessa e che passo da una delusione all'altra. Sono incapace di capire cosa voglio fare come mestiere. Le mie esperienze alla ricerca di risposte si susseguono in  diversi campi, dalla cassiera all'imbottigliamento in una fabbrica, dalla guida turistica alla segretaria di un dottore, ma giustificare delle scelte che non hanno niente a che fare l'una con l'altra diventa sempre più difficile durante i colloqui di  lavoro. I responsabili delle assunzioni non mi ritengono degna di fiducia, visto che cambio lavoro così spesso, e la maggior parte di loro ormai rifiuta di darmi una possibilità, malgrado le mie eccellenti motivazioni. Quanto a quelli che lo fanno, finiscono immancabilmente per licenziarmi, rimproveramdomi la mia mancanza di impegno. Sono bloccata, più depressa che mai e non posso più nemmeno confidarmi con Beth. Dal nostro litigio durante la cena a casa mia, il nostro rapporto è peggiorato. No, questa non è la giusta definizione. Diciamo piuttosto che abbiamo preso le distanze l'una dall'altra. Principalmente per colpa mia, devo riconoscerlo. All'inizio, ho giustificato il mio comportamento dicendo che lei sarebbe andata ad abitare con Tom e che loro due avrebbero avuto bisogno di intimità per iniziare la loro nuova vita. In verità, se ho preso le distanze, è stato per non leggere la delusione nei suoi occhi dopo ogni mio nuovo fallimento. Mi bastano già gli occhi di Brandon. Beth aveva ragione a dubitare di me ed è con me che sono arrabbiata. E' vero! Cosa c'è che non funziona in me, tanto da rendermi incapace di sistemarmi? Se non riesco a farlo per il mio fidanzato, allora chi potrà spingermi a mettere la testa a posto, accidenti?!

Non sono la sola ad ignorare quello che voglio. Come previsto, Lilas e Léon si sono lasciati dopo qualche mese. Attenzione, lei sta facendo progressi: di solito, dura qualche settimana. E' un peccato, perché Léon mi piace molto. Ci siamo visti molte volte per delle uscite a quattro e devo ammettere che è nata una vera amicizia tra noi. Ancora oggi, anche se non sta più con Lilas, continuiamo a vederlo. D'altra parte, lui è l'unico amico con il quale mi posso veramente confidare, senza che mi giudichi. E' diventato un po' il mio confidente e non  potrò mai ringraziarlo abbastanza per esserci sempre per me, in ogni circostanza. Dopo l'ennesimo litigio con Brandon, mi ha annunciato con un tono scherzoso che dovrei lasciarlo, per mettermi con lui. Adoro Léon, ma non riesco a considerarlo in questo modo. Nonostante i nostri litigi, sono innamorata persa di Brandon ed ogni volta le nostre dispute sono come dei pugnali che mi trafiggono il cuore. Anche oggi, ho paura di varcare la soglia per annunciargli che mi sono fatta licenziare dal mio posto di baby-sitter. Mi ero detta che questo lavoro sarebbe stato un buon allenamento per diventare genitore, ma i genitori in questione, per i quali lavoravo, non amavano la mia presenza a casa loro. Cioè, soprattutto la donna, che sospettava suo marito di nutrire delle fantasie su di me. Tutta colpa della gelosia! Intanto mi ha licenziata da un giorno all'altro, dopo aver sopreso suo marito che mi fissava le chiappe, quando mi sono chinata per raccogliere un giocattolo ed ora lo devo annunciare al mio fidanzato, che se ne frega altamente dei motivi dei miei licenziamenti. Tutto quello che riesce a vedere, è che sono senza lavoro, punto a capo. Il mio telefono suona, dandomi un pretesto per ritardare il litigio che si preannuncia, e riesco a sorridere quando vedo il nome che appare sullo schermo.

«Ciao.»

«Ciao, bella Mal. Cosa mi racconti?»

Mi lascio sfuggire dalle labbra un sospiro profondo, mentre le mie spalle di abbassano.

«Mallory?»

«Mi sono fatta licenziare.»

Una prima lacrima mi scende dalla guancia a tutta velocità. La prima di una lunga serie che cerco di trattenere da quando sono uscita dalla casa dei miei ex- datori di lavoro.

«Dai, Mal, non piangere, mia bella. Sai che non lo sopporto. Raccontami cosa è successo.»

«Il marito mi ha guardata una volta di troppo senza essere discreto e ciò non è piaciuto molto a sua moglie!»

«Ok, Ok, calmati. Non è colpa tua, bella mia. Non potevi farci niente, se quel tipo era incapace di controllare la sua libido di fronte alla tua bellezza. I loro rapporti matrimoniali non ti devono interessare. Sono loro che hanno una faccenda da sistemare. Dai, smettila di piangere.»

Singhiozzo senza riuscire a smettere e mi chiedo come riesca Léon a capire quello che gli racconto.

«Cosa dirà Brandon? Litigheremo di nuovo e…»

«Smettila, Mal. Brandon ti ama e se non è capace di accettarti come sei, allora non ti merita. Sei una ragazza stupenda e qualsiasi uomo sarebbe felice di stare con te, d'accordo?»

Ho sempre il morale a terra, ma Léon ha la capacità di risollevare il mio ego. Respiro varie volte profondamente per riprendermi.

«Grazie. Mi ha fatto bene allentare la pressione.»

«A tua disposizione. Te l'ho già detto: ci sarò sempre, per te. Puoi chiamarmi notte e giorno.»

Non so come rispondere a tanta gentilezza. Qualche volta, penso che si aspetti qualcosa di più di quello che posso dargli, ma molto egoisticamente non voglio che si allontani da me.

«Grazie ancora. Ora devo andare.»

«Chiamami più tardi per dirmi come è andata. Arrivo nel giro di un minuto, se hai bisogno di me.»

Non gli rispondo. Non sono sicura che sarò in grado di chiamarlo,  dopo la conversazione che mi aspetta.

«Promettimelo, Mal.»

«Ci proverò.»

Chiudo la conversazione prima che insista ancora. Lo sto già coinvolgendo troppo nei miei problemi di coppia. Ormai è tempo che io mi comporti da adulta e che mi assuma la responsabilità delle mie azioni.

Nonostante le buone intenzioni, entro in casa a malincuore. Brandon è già lì, sul divano, con le braccia incrociate sul petto e lo sguardo fisso su di me. E' evidente che mi sta aspettando.

«Ciao!»

«Sei rimasta di nuovo senza lavoro?»

Provo un brivido involontario, mentre mi tolgo le scarpe. Cerco di guadagnare tempo, ma lui non è dell'uomre giusto per lasciarmi respirare.

«Inutile tergiversare. Sei rimasta mezz'ora in macchina. Cercavi un modo per darmi di nuovo questa notizia?»

«Non è colpa mia, Brandon…»

Non mi lascia nemmeno finire la frase, si raddrizza bruscamente ed alza le braccia al cielo.

«Non è  mai colpa tua, Mallory. Tu non c'entri mai niente, ma il risultato è lo stesso: sei di nuovo senza lavoro e tocca di nuovo a me occuparmi di tutto, dalle bollette alla spesa, senza contare la benzina della mia macchina che tu usi sempre per andare a degli appuntamenti che, ancora una volta, non porteranno a niente.»

E' la prima volta che mi accusa di essere una mantenuta ed io la prendo molto male, è il minimo che si possa dire.

«Mi dispiace molto essere un peso per te. Pensavo che, vivendo insieme, le coppie facessero fronte comune, ma è chiaro che mi sono sbagliata.»

Lui alza la voce, diventando sempre più irritato ed andando avanti e indietro davanti a me.

«Fare fronte comune non significa che io debba pagare tutto, mentre tu te la spassi.»

Anche io inizio ad irritarmi per queste reazioni esagerate.

«Perché secondo te, io non farei niente? Passo il tempo a cercare lavoro!»

«Esattamente, Mallory. Non fai altro che cercare. Tuttavia, ne trovi sempre meno e le poche volte che riesci a farti assumere, tieni il posto per al massimo una settimana prima di andartene e ricominciare. Non la finisci mai ed io ne ho abbastanza!»

Non so più se sia meglio ridere o piangere. Non ne posso più di vedere la nostra relazione vacillare per così poco. Perché per me, sono assurdità. La cosa più importante è amarsi e la nostra coppia dovrebbe diventare più forte attraverso le prove che affrontiamo. Al contrario, il nostro rapporto si infrange davanti ad ogni ostacolo ed ho paura che ben presto non ne resterà un granché, nonostante tutto il nostro amore. Allora tiro fuori la prima idea che mi passa per la mente.

«Dovremmo fare un bambino. Senza aspettare.»

Quelle parole hanno il merito di frenare il suo slancio, poi posa di nuovo lo sguardo su di me. Cerco di spiegarmi prima che la collera lo assalga di nuovo e che smetta di ascoltarmi.

«Perché aspettare? L'hai detto tu stesso. Io sono pronta. Avrei tutto il tempo  per occuparmene. Quello che conta, è che ci amiamo e che questo bambino ne sia la prova.»

Brandon scoppia in una risata fragorosa che risuona nel nostro soggiorno scarsamente arredato.

«Mi stai proponendo di fare un bambino e di occupartene mentre io mi affanno come un pazzo per mantenere te e la tua prole?»

La mia prole? Mi va di traverso la saliva e mi lascio cadere subito su una sedia, prima di cadere a terra.

«Perché non penserai veramente che io abbia  ancora intenzione di fare un figlio con te, vero? Dopo tutti questi litigi, pensi veramente che io abbia voglia di impegnarmi seriamente con te?»

I suoi occhi sono gelidi mentre mi scruta, aspettando la mia risposta. Tuttavia, cosa potrei rispondergli? Mi rendo conto di non avere capito l'ampiezza del fossato che si è  creato tra di noi. Ho pensato che fosse qualcosa di passeggero, che saremmo riusciti a superare tutto. Invece, ero ben lontana dalla verità. Non posso fare altro che mormorare, con la voce che mi si blocca in gola.

«No, suppongo di no.»

Brandon è stanco. Si lascia cadere di peso sul divano, facendolo scricchiolare, mentre riprende a parlare con un tono triste.

«Onestamente, Mallory, non sono nemmeno più sicuro di voler andare avanti.»

Seconda pugnalata al cuore. Non voglio che chiarisca quello che pensa e, nello stesso tempo, ne ho bisogno per capire l'ampiezza dei miei errori.

«Continuare cosa?»

«Noi.»

Devo essere proprio masochista. Voglio che chiarisca.

«Cosa intendi?»

«Non sono sicuro di volere ancora vivere con te. Penso che dovremmo prenderci una pausa, per un po' di tempo.»

Una pausa. Tutti sanno cosa significa «fare una pausa» per una coppia. E' un  modo gentile, se ne esiste uno, per rompere senza annunciarlo chiaramente. Se non fossi seduta, probabilmente sarei caduta a terra dal dolore. Sto perdendo terreno ed ho bisogno più che mai di Beth. Ho bisogno che la mia migliore amica curi le mie ferite. Tuttavia, sono troppo orgogliosa per chiederle aiuto.

«Ti lascio il tempo di organizzarti, ma vorrei che facessi i bagagli il prima possibile.»

Già, perché mi caccia anche di casa? Resto lì a bocca aperta e con le braccia a penzoloni, mentre la mia vita è messa sottosopra.

«E' inutile che mi guardi in questo modo. Non hai i soldi per pagare l'affitto e le spese. Tutte le bollette sono già a mio nome e sono io che ho pagato tutti i mobili.»

In un solo giorno, ho perso tutto: il lavoro, i miei sogni di una vita ideale ed il mio fidanzato. Ex- fidanzato. Meglio farci subito l'abitudine. Mi alzo con un  movimento brusco.

«Perché aspettare? Vado subito a fare i bagagli.»

«Mallory…»

Sospira prima di continuare.

«Non prenderla in questo modo. Lo faccio per noi.»

Rischio di strozzarmi dalla rabbia.

«Per noi? Buttarmi fuori di casa, è per aiutare la nostra coppia?»

Almeno ha la decenza di abbassare gli occhi.

«Lo fai solo per te stesso. E ora, se permetti, vado a sbrigarmi ad imballare tutte le mie cose, per non disturbarti più con la mia presenza.»

Per fortuna, Brandon non mi segue in camera. Non avrei avuto il coraggio di continuare il nostro scontro verbale. Questa giornata sembra non finire mai ed ho il cuore a pezzi, mentre infilo i miei vestiti in una borsa da viaggio. Prendo solo l'essenziale, non avendo altro posto ed il rumore della chiusura lampo quando chiudo la sacca mi fa realizzare la portata degli ultimi avvenimenti: dovrò ricominciare da zero, ricostruirmi, e dovrò farlo da sola. Tornare dai miei genitori? Inutile anche solo pensarci. Ormai non ho più l'età per abitare con mamma e papà e dover rendere conto di quello che faccio.

Lascio l'appartamento senza dire una parola e senza guardarmi indietro. Brandon mi ha amabilmente proposto di prendere la sua macchina. Mi sono dovuta mordere la lingua per non dirgli che poteva mettersi le chiavi proprio lì dove stato pensando. Lo faceva solo per poi rimproverarmi di essermi servita della SUA macchina! Preferisco avere i piedi in fiamme a forza di camminare, piuttosto che sopportare un'ulteriore umiliazione.




Capitolo 3



Mallory

Ignoro da quanto tempo sto camminando lungo la strada, ma la cinghia della mia borsa da viaggio mi sta incidendo la spalla e le mie gambe fanno fatica a sopportare il mio peso, che si aggiunge a quello del mio grosso bagaglio. Mi trascino senza una meta, non sapendo dove andare, quando una macchina rallenta alla mia altezza. Giro la testa dall'altro lato, non avendo alcuna voglia di spiegare ad uno sconosciuto cosa sto facendo sul ciglio della strada con le mie cose sulla schiena. Tuttavia, l'importuno decide diversamente. Sento il finestrino sul lato del passeggero che si apre e la musica che esce dalla macchina mi perfora i timpani. L'hard rock è trasportato dal vento ad un volume assordante. Poi, all'improvviso, il suono diminuisce ed una voce che non mi aspettavo si rivolge a me.

«Mal? Cosa ci fai qui?»

Mi giro di scatto per assicurarmi di non essere vittima di un'allucinazione, ma non c'è dubbio: è proprio il mio amico al volante dell'automobile. Potrei piangere di gioia, se non avessi esaurito le lacrime. Non faccio altro che fissarlo, senza riuscire a muovermi o a rispondergli, quindi lui decide di posteggiare su un lato della strada, gira intorno alla macchina e mi raggiunge.

«Mal? Stai bene?»

Scuoto la testa, incapace di parlare.

«Lascia che ti aiuti.»

Mi prende il borsone dalle mani e lo butta nel portabagagli, prima di aprire la portiera dal lato del passeggero.

«Sali. Ti porto a casa mia. Parleremo e mi racconterai cosa sta succedendo.»

Entro nell'abitacolo come un automa, sempre in silenzio, ed il mio amico mi allaccia la cintura, visto che non ho avuto neppure il riflesso di farlo. All'improvviso mi sento meno sola e spero che svuotare il sacco mi permetta di vederci più chiaro e di fare dei progetti per il futuro, perché non posso vagare senza una meta per sempre.

Mi rendo conto di non essere mai andata a casa sua, neppure una volta. La sua casa è piccola, lontana dalla strada e da qualsiasi vicino. La stradina che conduce al suo portico è sassosa ed io sobbalzo sul sedile. Tutto ciò mi fa contorcere pericolosamente lo stomaco, che si rivolta contro questi movimenti caotici.

«Mi dispiace. Non ho ancora avuto il tempo di sistemare l'esterno della casa.»

Gli rivolgo un debole sorriso, tenendo la bocca ermeticamente chiusa per non vomitare sulla leva del cambio. Per fortuna, non dura più di un minuto, poi parcheggiamo davanti ad una casa in mattoni a vista assolutamente incantevole.

«E' molto carina.»

Mi sorride ed una fossetta compare sulla sua guancia sinistra.

«Grazie. L'ho ereditata da mia nonna qualche anno fa e da allora sto cercando di rimetterla in sesto.»

Fa il giro della macchina per aprirmi la portiera, come un vero gentleman.

«Vieni. Ti preparo un buon tè e potremo parlare.»

Mi afferra la mano ed io mi ritraggo istintivamente. Da molto tempo non tengo la mano di un uomo che non sia Brandon e questa mano estranea, più grande e forte, mi lascia una sensazione spiacevole. Il padrone di casa non si accorge del mio imbarazzo e mi fa entrare da una porta rossa tutta di legno, che scatta al mio passaggio. Ho appena il tempo di ammirare il suo ingresso, decorato con uno specchio, poi mi conduce in una cucina all'ultima moda, perfettamente attrezzata, con un piano cottura immenso ed una grande isola circondata da sgabelli alti e comodi.

«Siediti lì. Ti preparo qualcosa da bere.»

Ne approfitto per voltarmi ed osservare la sua casa con uno sguardo curioso. Nel complesso è moderna, ha un aspetto conviviale, eppure sento una specie di malessere. Non ci sono foto, né soprammobili, nessuna traccia di vita. E' tutto stupendo, ma asettico, come una casa da mostrare, ma senza un'anima. E' difficile immaginare che un uomo single abiti in un posto del genere. Dov'è il disordine? La biancheria sporca sparsa dappertutto? Insomma, dei segni di vita!

«Due zollette, vero?»

Riporto l'attenzione sul mio amico.

«Sì, grazie.»

Posa la tazza davanti a me ed io approfitto del calore sulle mie mani per riprendermi. Potermi riposare mi fa molto bene, tuttavia devo pensare al futuro.

«Sei pronta a raccontarmi cosa è successo dopo che abbiamo chiuso la telefonata?»

E' vero che quando ci siamo parlati stavo piangendo, chiusa nella mia macchina. La mia ex-macchina. Tutto è diventato ex dopo quella telefonata.

«Ti avevo detto di chiamarmi, se ne avessi avuto bisogno.»

«Non ti volevo disturbare.»

Infatti è vero, almeno in parte. Avevo già l'impressione di essere un fardello per il mio ex-fidanzato e non volevo diventarlo anche per Léon, l'amico che mi ha sostenuta in questi ultimi mesi, contro tutto e tutti.

«Non mi disturbi mai, Mal, te l'ho già detto.»

Gioca con le mie dita sul tavolo, mentre un brivido risale lungo la mia colonna vertebrale. Tiro indietro la mano e mi stringo le braccia intorno alle spalle per scaldarmi, anche se dubito che il freddo sia il responsabile della mia pelle d'oca.

«Ho litigato con Brandon.»

Il ricordo delle ultime parole che l'ex-amore della mia vita ha pronunciato mi fa salire in gola un groppo grande come una palla da calcio.

«Si sistemerà tutto, Mal. Come al solito.»

La palla diventa sempre più grande nella mia trachea: ho l'impressione di soffocare.

«No, non si sistemerà affatto. Mi ha chiesto di andarmene. Vuole che facciamo una pausa di riflessione.»

Scoppio in una risata isterica ed anche un po' spaventosa, persino alle mie orecchie.

«Tutti sanno cosa significhi fare una pausa. Ha rotto con me, mi ha lasciata. Definitivamente.»

Léon stringe le labbra di fronte a me, tanto che diventano invisibili in mezzo alla sua folta barba nera.

«Brandon è un idiota. Sarà lui a rimpiangerlo.»

La mia risata si trasforma a poco a poco in singhiozzi disperati, mentre un torrente di lacrime mi invade il viso, prima ancora che io me ne renda conto. Sembra proprio che la fonte non si sia prosciugata.

«Ha spazzato via un rapporto di due anni come se niente fosse, come se questo tempo  insieme non avesse importanza. L'unica ad avere dei rimpianti, sono io. Avrei dovuto sforzarmi di più, dare ascolto alle sue paure. Voleva solo che io trovassi un lavoro e…»

«Shhh. Basta, Mal. Respira. Stai trattenendo il fiato.»

In effetti, durante tutta questa tirata non ho mai fatto un respiro. I rimorsi mi tolgono il fiato. Léon mi accarezza la schiena dal basso verso l'alto, imponendomi di inspirare ed espirare al suo ritmo. Il calore del suo palmo trapassa la stoffa dei miei vestiti ed ancora una volta, trovo che mi stia troppo vicino.

«Devo andare.»

«Non dire sciocchezze, Mallory! Non puoi andare da nessuna parte, in questo stato. Non hai nemmeno una macchina. Hai almeno un posto dove andare?»

Sprofondo ancora di più sullo sgabello, incurvando le spalle.

«Dovrò ritornare dai miei genitori.»

Nonostante le mie reticenze, non ho altre opzioni. Delle lacrime di vergogna mi colano dagli angoli degli occhi. Tra poco avrò 27 anni e dovrò tornare a vivere dai miei genitori come se fossi una bambina. Sono in collera con me stessa, perché non sono capace di prendermi le mie responsabilità.

«Potresti restare qui per un po'.»

Alzo di scatto la testa e fisso Léon, come se gli fosse spuntata una terza testa o un corno sulla fronte.

«Sei adorabile, Léon, ma non è una buona idea.»

Si raddrizza in tutta la sua altezza, dominandomi, mentre un principio di  paura si insinua dentro di me.

«Non era proprio una proposta, Mal.»

Mi alzo ed indietreggio in direzione della porta.

«Inizi a farmi paura, Léon. Sarà meglio che io me ne vada.»

Avanza verso di me come un predatore che insegue la propria preda. Ed è proprio così che mi sento: una preda bloccata contro una porta che rifiuta di aprirsi, nonostante i miei tentativi disperati di fare girare la maniglia.

«Staremo bene insieme, Mal.»

Le sue parole fanno fatica a penetrare attraverso la nebbia del mio panico. Scuoto la testa, ma ho l'impressione di averla immersa nel cotone. Ho delle vere difficoltà a riordinare le idee e quando apro la bocca, all'improvviso ho la sensazione che la mia lingua pesi una tonnellata. Inizio a scivolare fino a metà porta, mentre Léon si avvicina ancora. Non ha l'aria di preoccuparsi per la mia improvvisa debolezza, quindi un sospetto si insinua dentro di me.

«Cosa mi hai fatto?»

La mia voce si sente a malapena. Léon mi posa la mano sulla guancia ed io sono incapace di compiere il movimento di repulsione che desidero. Le gambe riescono appena a sostenermi. Mi sento scivolare a poco a poco verso il pavimento. Prima che io finisca del tutto a terra, Léon mi passa un braccio sotto le gambe e sulla schiena, incollandomi contro il suo ampio petto. La mia testa vacilla all'indietro in un angolo doloroso, ma non riesco a tenerla dritta.

«Pensavo di avere un po' più di tempo. La tua camera non è ancora del tutto pronta. Spero che ti piacerà.»

Di cosa sta parlando? Era molto tempo che progettava di rapirmi? Perché? Credevo che fosse mio amico! Le mie domande resteranno senza risposta: sono incapace di formularle e finisco per sprofondare nell'incoscienza, nel momento stesso in cui Léon mi deposita su una superficie morbida.

Sbatto le palpebre a causa della luce cruda, quando il sole mi colpisce la retina con i suoi raggi luminosi. Mi sento disorientata, incapace di ricordare dove mi trovo e ciò che mi ha condotta in questo luogo sconosciuto. Cerco di strofinarmi gli occhi per schiarirmi la vista, ma il mio polso destro si blocca di colpo con un rumore metallico. Insisto, ma riesco a procurarmi solo dolore. Un metallo freddo mi attanaglia dolorosamente la pelle. Mi accontento della mano destra per aprire gli occhi, poi il mio sguardo si posa sul mio impedimento. Perché si tratta proprio di questo: una manetta mi tiene prigioniera, legata ad un letto. Sono colta dal panico. Guardo dappertutto intorno a me; sono sola in una camera sconosciuta e le mie cose sono sistemate su degli scaffali aperti, come se vivessi lì da molto tempo. L'angoscia mi contorce le viscere.

«C'é qualcuno?»

Solo il silenzio risponde al mio richiamo.

«QUALCUNO RIESCE A SENTIRMI?»

La voce mi esce più acuta di quanto volessi, ma non importa. In una stanza adiacente, una sedia stride sulle piastrelle ed il rumore di passi che si avvicinano mi fa accelerare i battiti. Quando la porta socchiusa si spalanca, non riesco a credere ai miei occhi.

«Léon???»

Il suo sorriso ha qualcosa di malsano ed inquietante, anche se in realtà non è molto diverso dal solito. Senza dubbio è un effetto della situazione roccambolesca che sto affrontando.

«Finalmente ti sei svegliata. Non mi ero reso conto di avere un po' esagerato con  le dosi. Hai mal di testa? Nausea?»

E' una situazione veramente surreale. Sono incatenata ad un letto ed il mio rapitore si preoccupa della mia salute, dopo avermi drogata? Perché è questo che ha fatto, lo capisco bene.

«Perché mi trovo qui? Perché mi hai legata?»

Léon si siede sul bordo del letto ed io mi allontano da lui di riflesso, provocandogli un sospiro.

«Saresti rimasta con me, se te lo avessi chiesto gentilmente?»

No. Certamente no. Cerco di fare rallentare il mio ritmo cardiaco, mentre lui continua a cercare di giustificarsi.

«Siamo fatti l'uno per l'altra, Mal. L'ho saputo fin dal primo momento che ti ho vista.»

«Tu eri con Lilas. Stavate bene insieme.»

Lui gioca con le ciocche dei miei capelli ed io non ho alcuna via di scampo. Non posso allungare il braccio più di così ed il polso mi fa male, a forza di tirarlo.

«Lei non era fatta per me, pensa solo a divertirsi e a scopare. Io cerco qualcosa di più serio. Ho capito subito che tu eri una persona passionale ed incredibilmente romantica. Sei la mia donna ideale.»

Cerco di farlo ragionare.

«Non sono quella di cui hai bisogno: sono incostante, incapace di prendermi delle responsabilità.»

«Non vuoi lavorare, ma a me va molto bene, perché voglio che resti a casa. Con me. Ti ricordi, io lavoro a domicilio. Staremo tutto il tempo insieme. Guadagno abbastanza per tutti e due: saremo molto felici.»

Si china sul mio viso, sporgendo le labbra in avanti, ed io gli sputo in faccia per farlo indietreggiare. Ringhia, mentre si asciuga con il risvolto della manica.

«Finirai per darmi retta. Sarai mia. Per sempre.»

«Mai, Léon. MAI!»

A questo punto mi blocca sul ventre, sedendosi sopra di me ed io mi sento soffocare sotto il suo peso. Ho paura che mi voglia violentare e mi metto ad urlare senza fermarmi, allora mi preme la testa contro il materasso, per attutire i suoni, ed io soffoco sotto le lenzuola che mi riempiono la bocca spalancata.

«Smettila di urlare! Non ho intenzione di violentarti, voglio solo lasciarti un segno. Sei mia. E quando finalmente capirai che siamo due anime gemelle, sarai fiera di mostrarlo a tutti.»

Smetto di gridare per potere respirare più liberamente e lo sento prendere qualcosa dalla tasca. Poi abbassa il colletto della mia maglietta ed io ricomincio ad agitarmi, fino a quando sento un metallo freddo in cima alla mia schiena.

«Un marchio che prova il tuo amore per me.»

La lama affonda quindi nella mia pelle come nel burro, sotto le mie grida di dolore. Léon mi colpisce la schiena con un taglio verticale ed il sangue inizia a colarmi lungo il collo.

«Sarai perfetta.»

Detto questo, mi lascia lì, inebetita e con il corpo martoriato.




Capitolo 4



Mallory

Potrei dire che non so da quanto tempo Léon mi tiene prigioniera, ma ogni ferita nella mia schiena è un vero conteggio quotidiano e mi ricorda il tempo che passa. 177. Sono 177 giorni che Léon mi ha catturata e mi marchia come bestiame, con un taglio al giorno. Ho la schiena in fiamme. Tutto intorno a me non è altro che dolore ed un richiamo alla mia sofferenza, sia fisica che mentale. La mia resistenza si sta indebolendo sempre di più. La speranza di scappare si affievolisce in proporzione al tempo che passa. All'inizio ho ben fatto qualche tentativo, ma ciò non ha fatto altro che peggiorare le mie condizioni di cattività, annullando la mia resistenza.

Il mio primo tentativo di evasione ha colto Léon di sorpresa. Mi ricordo ancora del suo sguardo sbalordito quando mi ha slegata per andare in bagno ed io gli sono saltata sulla schiena in un tentativo disperato di colpirlo con le mie manette. Non ha dovuto fare alcuno sforzo per staccarmi da sé, facendomi cadere a terra come un volgare sacco di patate. Quindi mi ha sollevata senza alcun riguardo, stringendomi la gola, schiacciando brutalmente sulla mia trachea, mentre la mia soddisfazione per aver visto il sangue che gli colava dalla testa ha lasciato presto il posto al  terrore di una morte imminente per strangolamento. A quell'epoca, non desideravo ancora morire.

Il suo pollice sul mio collo non mi aveva permesso di rispondere con un tono sferzante. Non avevo potuto fare altro che soffocare  miseramente, mentre sentivo che la vita scivolava via da ogni poro. Allora aveva deciso di risparmiarmi.

–Vuoi un amore perverso? Nessun problema, basta chiedere.

Mi aveva quindi morso il labbro inferiore fino a farlo sanguinare.

–Non rifarlo mai più, o lo rimpiangerai. Mi hai capito?

Avevo annuito senza convinzione, pensando già ad un altro modo per fuggire. Ovviamente Léon non mi aveva creduta e l'indomani mi ero ritrovata legata ad una solida catena. In questo modo, potevo spostarmi fino al bagno adiacente, senza che ci fosse bisogno di staccarmi dal letto. Tuttavia ciò mi privava di qualsiasi intimità, visto che non potevo chiudere la porta quando mi lavavo. In effetti, ho sorpreso molte volte Léon a spiarmi attraverso l'apertura mentre facevo la doccia e mi sono sentita sporca sotto quello sguardo. Purtroppo questo è stato solo l'inizio del mio calvario. Il mio tormentatore immagina veramente che noi siamo una coppia, in tutti i sensi del termine. Una settimana dopo, ha voluto baciarmi per svegliarmi con dolcezza, come dice lui. Gli ho dato un morso alla lingua per riflesso. Ciò mi è valso uno schiaffo monumentale ed un occhio nero per molti giorni, seguiti ovviamente da una delle sue affermazioni roccambolesche.

–Tu sei mia. Ne ho tutti i diritti! Se non vuoi finire con una catena al collo come la cagna che sei, hai tutto l'interesse a mostrarti più gentile con il tuo fidanzato.

La parola fidanzato mi aveva ferita oltre ogni limite. Avevo perso il mio adorabile fidanzato, che amavo nonostante i nostri litigi, per cadere nelle grinfie di uno psicopatico. Il primo bacio che mi ha costretta a dargli mi ha procurato la nausea. Ho dovuto trattenermi dal vomitargli addosso. Poi, alla lunga, è diventato più facile, meccanico: un semplice scambio di saliva senza emozioni. Un istante nel quale spengo il cervello per conservare intatta la mia coscienza. Il peggio è stato quando ha iniziato a volermi toccare. Mi ero preparata mentalmente ad essere violentata un giorno o l'altro, ma niente potrebbe renderlo accettabile. Niente rende facile quel momento in cui le sue mani estranee percorrono la mia pelle con avidità, senza il mio consenso. Le sue mani su di me mi provocano ribrezzo. Non sopporto di sentire che mi sfiora i fianchi, le natiche ed i seni. La mia fortuna in questa sventura? Léon si è rivelato impotente: non è mai riuscito a penetrarmi. Il primo fallimento lo ha fatto arrabbiare terribilmente.

–E' COLPA TUA! NON FAI NESSUNO SFORZO! MI FAI BLOCCARE!

La sua povera coda grottesca pendeva miseramente lungo la sua gamba, per la mia grande  gioia. Non è mai riuscito ad andare fino in fondo e ciò mi ha aiutata a rilassarmi notevolmente, anche se quando mi tocca provo sempre ribrezzo. Tuttavia, è diventato semplicemente un male necessario. Almeno finché non mi obbliga a fare lo stesso, riesco a distaccarmi dal mio corpo, aspettando che abbia finito.

177 giorni ed ho l'impressione di essere un'altra persona. Ho imparato la mia lezione: adesso gioco alla brava casalimga ed ogni buona azione mi vale un punto. All'inizio pensavo che cedere su delle piccole cose mi avrebbe permesso di conquistare la sua fiducia e che avrebbe allentato la vigilanza. Non l'ha mai fatto, eppure io ci ho guadagnato in quanto a libertà. La mia catena si è allungata. Ho sempre l'impressione di essere un cane tenuto al guinzaglio, ma la corda è diventata più lunga. Sono diventata un piccolo cagnolino docile che ha perso il coraggio e la voglia di lottare contro il proprio padrone. Sono arrivata al punto di fare le pulizie e cucinare come una brava donnina di casa, mentre il signore lavora nel suo studio per guadagnare dei soldi e mantenere la sua bella. Non ho mai avuto questa sensazione con Brandon, quando mi sono ritrovata disoccupata e certamente non è la mia aspirazione nella vita. Non ho mai avuto così tanta voglia di lavorare, ma ciò non corrisponde ai gusti di Léon, che rifiuta di ascoltare le mie richieste. Si rende certamente conto che cercherei di scappare alla minima occasione. Una volta, quando è andato a comprare, ne ho approfittato per infilarmi nel suo antro. Volevo mandare un SOS ai miei amici, alla mia famiglia, a chiunque, tramite Internet. Non ci sono riuscita. Léon è un  genio dell'informatica ed il suo computer era protetto da vari codici; inoltre, ogni attività viene automaticamente registrata. Si è quindi accorto del mio tentativo e ciò lo ha fatto ridere, di una risata crudele e maligna.

–Chi volevi contattare? Brandon? Se ne frega di quello che ti è potuto succedere. Ha voltato pagina e adesso vive con una bella bambolina che lo venera come un dio. Quanto a Beth, le hai fatto capire molto bene che non volevi vederla più, quindi perché dovrebbe aiutarti?

Poi mi ha stretta tra le braccia per sussurrarmi nell'orecchio.

–Hai solo me nella vita. E va proprio bene, perché non hai bisogno di nessun'altro. E, nel caso te ne fossi dimenticata, ho occhi ed orecchie dappertutto. Ti ritroverei ovunque. Non potrai mai nasconderti da me.

Poi c'era stata una sessione di palpeggiamento unilaterale alla quale preferisco non pensare, per non rigettare il pranzo.

Oggi, Léon è più agitato del solito. E' nervoso. Mi lancia delle occhiate furtive e gira in tondo. E' rimasto chiuso nel suo ufficio e ne é riemerso sfinito e preoccupato. Le sue sopracciglia cespugliose si uniscono nella concentrazione. Apre varie volte la bocca prima di richiuderla senza emettere il minimo suono, poi riprende la sua giostra, mentre io mi sforzo di ignorare la sua presenza. Ho un libro in mano, lusso supremo: ho diritto alla lettura, tengo il naso immerso nelle pagine per evadere da questo luogo sinistro e dalla mia vita tetra. Mi tengo rigida sulla sedia, incapace di appoggiarmi allo schienale a causa delle innumerevoli ferite sulla schiena, che ormai fanno parte di me come tutte le mie membra. Sobbalzo quando Léon si pianta davanti a me e mi prende il libro dalle mani, perché io gli presti attenzione.

«Ti devo parlare, bellezza.»

Detesto questo nomignolo. I nomignoli dovrebbero esistere sono tra persone che tengono l'una all'altra. Io sono arrivata al punto di odiarlo oltre ogni limite, più di quanto avrei pensato di poter odiare qualcuno un giorno. Non mi credevo capace di provare un'emozione così forte. Quest'uomo mi ha rubato la vita ed il mio odio è senza limiti.

«Dovrò assentarmi per qualche giorno.»

Il cuore mi salta un battito. La speranza che pensavo scomparsa ormai da lunghi mesi si fa strada fino alla mia coscienza, la mia anima reclama la propria libertà, della quale è stata privata per troppo tempo. Ciò nonostante, non ho ancora vinto e se voglio avere qualche possibilità, devo giocarmela bene e mettere a tacere la mia paura, perciò mantengo un volto impassibile.

«Perché?»

La mia domanda lo sorprende. Bisogna dire che gli sto rivolgendo ben poco interesse fin dall'inizio e la paura che esprimo nella mia domanda è a doppio senso. Non ho paura di rimanere sola, ma piuttosto di nutrire delle false speranze.

«Il lavoro. Hanno bisogno di rinforzi e non posso rifiutare.»

Il lavoro. Collabora con la polizia, triste memento del fatto che non posso aspettarmi alcun aiuto da quel lato. A chi crederebbero, tra una ragazza che si è fatta lasciare e non conta più per nessuno ed un informatico rispettato, che aiuta gli investigatori da molti anni? Non sono nemmeno sicura che qualcuno abbia segnalato la mia scomparsa. Chi potrebbe tenere abbastanza a me da preoccuparsi? Forse i miei genitori? Non dubito neppure per un istante che Léon non abbia trovato un modo per ovviare a questo problema. Non mi ha mai restituito il cellulare e, d'altra parte, non ho mai visto un telefono in giro per la casa. Eppure, sono sicura di averlo portato con me, quando ho lasciato Brandon.

«Mal, voglio che tu mi prometta di restare tranquilla.»

Sottinteso: promettimi di restare qui tranquilla, perché io possa approfittare di te al mio ritorno.

«Te lo prometto.»

Una promessa vuota per una vita vuota, priva di senso. Quanto può valere una parola, quando si teme per la propria vita? Certamente non più delle sue dichiarazioni d'amore, visto che mi trattiene con la forza. Mi fissa, cercando di scovare la falsità delle mie parole. Impossibile: ho imparato a mascherare le mie emozioni molto tempo fa, per evitare le punizioni che seguivano le mie reazioni disgustate.

«Mi macherai così tanto, bellezza!»

Incolla il suo corpo al mio ed il suo calore attraversa il tessuto del mio maglione. La sua erezione spinge contro il mio ventre e prego che, come al solito, la pressione diminuisca man mano che la sua eccitazione aumenta. Mi  bacia profondamente in bocca ed io chiudo gli occhi, per immaginarmi tra le braccia di qualcun altro. All'inizio del mio calvario, pensavo a Brandon nei momenti difficili, ma da quando ho scoperto che sta con un'altra, anche la sua immagine mi dà fastidio. A questo punto, ho iniziato ad immaginare un uomo ideale, alto, bruno e muscoloso. E soprattutto, senza tatuaggi. Per me questi sono diventati un sinonimo di follia e non voglio che il mio uomo perfetto ne abbia. Tuttavia, faccio fatica a rappresentarmi i suoi occhi. Qualche volta sono azzurri, altre verdi, ma soprattutto teneri ed espressivi. Ritorno al presente quando Léon ritira la lingua dalla cavità della mia bocca e si mette a coprirmi la clavicola di baci bagnaticci.

«Sei talmente dolce, talmente perfetta!»

Sento il suo sesso diventare flaccido a poco a poco, per la mia più grande gioia. Posa la fronte contro la mia, con il fiato corto.

«Mi fai perdere la testa.»

Un giorno, mi ha confessato di perdere le sue capacità di fronte alla mia bellezza. Cosa dire, non me ne lamento di certo, anzi è un sollievo. E' fuori questione che io alimenti i suoi pensieri perversi, che non condivido affatto.

«Vieni in camera con me. Voglio passare un po' di tempo con te, prima di partire. Voglio scolpirmi la tua immagine nella memoria.»

Non mi lascia altra scelta. Mai. Mi trascina fino al letto e mi toglie il maglione, prima di costringermi a sdraiarmi sul materasso che si infossa sotto i nostri due pesi. Il mio respiro accelera; conosco il seguito del programma e ne ho paura, come sempre.

«Girati, bellezza. Voglio lasciare il mio marchio sulla tua pelle, così non mi dimenticherai durante la mia assenza.»

Come potrei dimenticare l'uomo che mi ha lasciato più cicatrici interne ed esterne di quanto lo possa fare chiunque altro? Obbedisco stringendo i denti e preparandomi al seguito. Le lacrime iniziano già a scendere, ancora prima di sentire il morso della lama che mi taglia la pelle senza esitare.





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Una storia d'amore paranormale tra un angelo caduto ed un'umana

Azel è il primo degli angeli caduti, quello al quale si rivolgono tutti quando hanno un problema. Per questo, quando il suo vecchio vicino di casa gli chiede aiuto per ospitare una donna in fuga, accetta senza esitare. Questa donna lo toccherà fin nel profondo e Azalel inizierà a sperare di poter trovare la stessa felicità che suo fratello Baraqiel ha trovato con Caytlin. Tuttavia, per riuscire a farlo, ciascuna di queste due anime tormentate dovrà fare la pace con il proprio passato

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