Книга - Viaggi di Ali Bey el-Abbassi in Africa ed in Asia, v. 1

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Viaggi di Ali Bey el-Abbassi in Africa ed in Asia, v. 1
Ali Bey




Ali Bey al-Abbasi

Viaggi di Ali Bey el-Abbassi in Africa ed in Asia, v. 1





CENNI

SULL'AUTORE DI QUESTI VIAGGI


Nell'autunno scorso noi abbiamo conosciuto qui di persona un Principe Mammelucco egiziano, di nome Ali Bey di Solimano. Era egli uno de' ventiquattro Bey, ossieno Principi, che formavano l'aristocrazia militare straniera imperante in Egitto prima che alle invasioni francese ed inglese succedesse in quella sì celebre ed importante Provincia lo stabilimento del dominio assoluto del Gran Signore. Il nostro Ali Bey dagli avvenimenti condotto in Europa, ha avuto campo d'apprenderne varie lingue, di erudirsi negli elementi di varie scienze, e sopra tutto di conoscere e ben meditare sui nostri costumi, sulle arti e leggi nostre. Nè v'ha dubbio che se la fortuna avesse a restituirlo allo stato, in cui trovossi quando l'ultima volta l'armata turca pose piede in Egitto, e fu tra il Visire e i Mammelucchi stipulato accordo, essendo allora egli capo de' Mammelucchi, e signore del Cairo, non adoperasse gli acquistati lumi per introdurre in quel paese utili istituzioni, e fondare, com'egli diceva, sulla base della civiltà de' Cofti, e della libertà pubblica, un imperio benefico. Il nostro Ali Bey, nato in Tiflis di assai distinta famiglia, rapito dai Lesghi, generazione barbara del monte Caucaso, ebbe per due o tre anni a correre co' suoi rapitori, e co' mercanti di schiavi, ai quali i suoi rapitori lo vendettero, per molti paesi dell'Oriente, avendo in quella occasione vedute parecchie città poste sul mar Caspio; poi la Persia, Bagdad, Bassora, Damasco, Gerusalemme, Aleppo, Smirne, Costantinopoli, e il Cairo finalmente, ove fu venduto per l'ultima volta, ed entrò fra i Mammelucchi della casa di Soliman-Bey, imperante allora in Egitto.

La grazia, che trovò nel suo padrone, e più di tutto verosimilmente il suo bel garbo, la vivacità del suo spirito, la facilità sua s'apprendere le arti cavalleresche de' Mamelucchi, e il suo coraggio, di cui ebbe a dar prove fin d'allora in parecchj incontri, lo portarono giovinetto ancora di ventidue anni ad essere uno dei 24 Bey, ne' quali era concentrata la signoria dell'Egitto; e in questa qualità gli toccò la sua volta il comando della carovana della Mecca, e l'onor singolare di entrare solo, come è di costume, nel Santuario della gran Kaaba, e togliendone il vecchio padiglione, attaccarvi di nuovo; cerimonia presso i Musulmani sacra e solennissima, che nella loro opinione costituisce santo colui, il quale alla medesima è prescelto.

Il nostro Ali Bey ci ha narrato non solo la serie di singolari avvenimenti succedutigli in quel viaggio, ma di più la notabile avventura, che ito egli alla Mecca con quell'interno senso di fede e di religione, che conceputo aveva per la superstiziosa educazione datagli dagl'Imani d'Egitto, musulmano a più prove, fu ad un tratto condotto a dover conoscere l'impostura di que' dottori fanatici. Imperciocchè avendogli essi detto prima della sua partenza dal Cairo, che quanto era felicissimo per la sua destinazione di entrare nel secreto santuario della Kaaba, altrettanto guardar si doveva, penetrato che fosse colà, di volgere gli occhi in alto, perchè avrebbe subitamente veduta la Maestà di Dio, e ne sarebbe restato abbacinato a pieno, egli, che in cuor suo preferiva sì alta visione alla conservazione degli occhi, entro sè medesimo ragionando, che se gli avvenisse di veder Dio, niuna voglia, e niun bisogno avrebbe avuto più di vedere le cose del mondo; operando secondo questo proposito finì col guardare quanto mai potè al lacunare del sacrario della Kaaba, nè altro vide che travi di cedro. La Maestà di Dio restò nascosta a' suoi occhi, come a quelli degli altri uomini; nè d'altro restò certo che dell'insidia tesa al suo spirito da quegl'Imani impostori, che come su quel punto, così non dubitò, che non ingannassero i deboli sopra moltissimi altri.

Ora di tutti i suoi Viaggi, e di tutte le cose occorsegli in Egitto, e fuori, e della sua venuta in Francia, e della parte presa nella guerra del 1814, e di quanto in essa, e dopo gli è seguito, disse a noi avere già stesa amplissima relazione, poichè e parla e scrive assai bene in francese, e volerla pubblicare quanto prima per le stampe in Parigi, verso dove allora s'incamminava dopo avere visitata l'Italia. Nè abbiamo noi mancato di vivamente sollecitarlo a ciò fare, certi essendo, che molte cose ci saranno fatte palesi per esso lui, che da niun Viaggiatore europeo potremmo giammai sapere, ammenochè non foss'egli nelle circostanze di quel Battema bolognese, i cui Viaggi vengono riportati dal Ramusio.

Ma nel mentre, che facevamo codeste considerazioni sui Viaggi del nostro Principe Mammelucco egiziano, ci sono capitati sotto gli occhi quelli di un altro Ali Bey di più nobile stirpe, e più famosa, quale si è quella degli Abbassidi, chiarissimi singolarmente per l'onore del Califfato da essi tenuto parecchj secoli, e per la protezione, che accordarono alle arti, e scienze, promotori risolutissimi di ogni maniera di civiltà e di bel costume; e quantunque Pontefici sommi della Religione Maomettana, sì fieramente, come è noto, propagata col ferro, e colla strage, tollerantissimi di ogni altra contraria alla medesima; di modo che nel vastissimo loro imperio, e in quella ammirabile città di Bagdad, loro residenza, famosa per oltre ventimila moschee, una delle quali dicesi essere stata capace di cento mila persone, niuno mai nè ebreo, nè cristiano fu a motivo di Religione inquietato in alcuna maniera.

In qual luogo dell'Asia questo Ali Bey sia nato, e come sia passato in Europa, noi lo sapremo quando vengano pubblicati altri suoi scritti, siccome l'Editore di questi Viaggi ci fa sperare poter in breve succedere. Basterà per ora prevenire i nostri Associati, che sicuramente troveranno questi Viaggi e curiosissimi, ed importantissimi, perciocchè sono appunto e fatti e scritti da uomo musulmano; il che è grande singolarità, e da tale musulmano, che nulla fa vedere, che in alcun modo sappia di prevenzione o nazionale, o settaria; che parla di cose, che un musulmano solo poteva essere in istato di vedere e riferire con verità; e che in fine parla di tutto da uomo nelle nostre lingue europee, come nella sua nativa, istrutto, e pieno conoscitore delle nostre scienze, i cui principj egli applica ad ogni opportunità in argomenti sia di astronomia, e di geografia, sia di fisica, e di storia naturale.

Noi non intratterremo più a lungo su di ciò i nostri leggitori, non dovendo noi diminuir loro il piacere della sorpresa, che avranno scorrendo questi Viaggi; e del quale siamo certi che ci faranno merito per la deliberazione in che siamo venuti di preferirli al momento ad altri, che avevamo pur pronti.


VIAGGI


in AFFRICA ed in ASIA


FATTI DAL 1803 AL 1807

«Sia lode a Dio, a lui che è altissimo ed immenso, a lui che ne ammaestra coll'uso della penna ad uscire dall'ignoranza! Lode a Dio che ci guida alla vera fede d'Islam, fino al termine del pellegrinaggio, e fino alla Santa Terra.»

«Questo libro è del religioso, principe, dottore, sapiente, scheriff pellegrino, Ali Bey figlio d'Othman principe degli Abassidi, servitore della casa di Dio.»

Dopo molt'anni passati ne' paesi cristiani per apprendere nelle loro scuole le scienze della natura, e le arti utili all'uomo nello stato di società, risolsi infine di tornare ne' paesi musulmani, e nell'atto di soddisfare al sacro dovere del pellegrinaggio alla Mecca, determinai di osservare le costumanze, gli usi e la natura delle contrade che dovrò attraversare, onde ricavare profitto dai travagli di così lungo viaggio, e renderli utili ai miei concittadini ne' paesi che dopo tante fatiche, sceglierò per mia patria.




CAPITOLO PRIMO




Arrivo a Tanger. – Interrogatorio. – Presentazione al governatore. – Stabilimento d'Ali Bey nella sua casa. – Preparativi per andare alla moschea. – Festa natale del profeta. – Marabout. – Visita al Kadi. – Congedo del suo introduttore.


Dietro la presa risoluzione essendo tornato in Ispagna nell'aprile del 1803, m'imbarcai a Tariffa sopra un piccolo battello; ed attraversato in quattr'ore lo stretto di Gibilterra, entrai nel porto di Tanja o Tanger alle dieci ore del mattino, il giorno 29 giugno dello stesso anno, mercoledì 9 del mese vabiul-anal dell'anno 1218 dell'egira.

La sensazione che prova colui che fa la prima volta questo tragitto brevissimo con può paragonarsi che all'effetto d'un sogno. Passando in così corto spazio di tempo in un mondo affatto nuovo, e che non ha veruna rassomiglianza con quello che si è lasciato; si trova come trasportati in un altro pianeta.

In tutte le contrade del mondo gli abitanti de' paesi limitrofi più o meno uniti da reciproche relazioni, amalgamano, per così dire, e confondono i loro idiomi, le usanze, i costumi, talchè si passa gradatamente dagli uni agli altri, e quasi senz'avvedersene; ma questa costante legge della natura non è comune agli abitanti delle due coste dello stretto di Gibilterra, i quali, malgrado la vicinanza loro, sono gli uni agli altri così stranieri quanto un francese lo sarebbe ad un chinese. Nelle nostre contrade del Levante, se noi osserviamo progressivamente l'abitante dell'Arabia, della Siria, della Turchia, della Valacchia, dell'Allemagna, una lunga serie di transizioni ne indica in qualche modo tutti i gradi che separano l'uomo barbaro dall'uomo civilizzato: ma qui l'osservatore tocca in un solo mattino gli estremi della catena della civilizzazione, e nella piccola distanza di due leghe e due terzi, che è la più breve tra le due coste[1 - Ali Bey parla sempre di venti leghe per grado. (Nota dell'Editore)], trova la differenza di venti secoli.

Avvicinandoci a terra si presentarono a noi alcuni Mori; uno de' quali, che mi si disse essere il capitano del porto, avvilupato in una specie di sacco grossolano con cappuccio, colle gambe ed i piedi ignudi, tenendo una gran canna in mano, entrò nell'acqua chiedendo il certificato di sanità, che gli fu dato dal mio padrone; indi rivoltosi a me, fecemi le seguenti interrogazioni.

Capitano. Di dove venite?

Ali Bey. Da Londra, per Cadice.

C. Non parlate voi il moresco?[2 - Il capitano parlava il linguaggio mogrebino. (N. dell'E.)]

A. No.

C. Qual è adunque la vostra patria?

A. Aleppo.

C. E dove trovasi Aleppo?

A. Nello Scham (la Siria).

C. Che paese è Scham?

A. È a levante presso la Turchia.

C. Voi dunque siete Turco?

A. Non sono Turco, ma il mio paese è sotto il dominio del Gran Signore.

C. Ma voi siete musulmano?

A. Sì.

C. Avete passaporti?

A. Sì, ne tengo uno di Cadice.

C. E perchè non è di Londra?

A. Perchè il governatore di Cadice lo ritenne, rilasciandomi questo.

C. Datemelo.

Io lo passai al capitano, il quale, dando ordine di non permettere ad alcuno di sbarcare, partì per mostrare il mio passaporto al Kaïd ossia governatore. Questi lo mandò al console di Spagna perchè lo riconoscesse; il quale avendolo dichiarato autentico, me lo rimise per mezzo del vice-console, che venne al mio battello con un Turco chiamato Sid Mohamed, capo dei cannonieri della piazza, che il governatore aveva incaricato di farmi nuove interrogazioni.

Mi furono rinnovate quelle del capitano del porto, dopo di che partirono per farne rapporto al Kaïd.

Ricomparve in appresso il capitano coll'ordine del governatore per il mio sbarco. Scesi tosto a terra facendomi condurre al Kaïd appoggiato a due mori, perchè quando attraversai la Spagna avevo riportata una grave ferita alla gamba, rovesciandosi la mia vettura.

Il Kaïd mi accolse gentilmente: e dopo avermi fatte press'a poco le medesime interpellazìoni, diede ordine di allestirmi una casa, e mi congedò complimentandomi ed offrendomi i suoi servigi.

Dopo averlo ringraziato uscj accompagnato dalle stesse persone, e fui condotto alla bottega d'un barbiere. Il turco che mi aveva interrogato nel battello andò e tornò più volte senza poter procurarsi la chiave della casa destinatami, il di cui proprietario trovavasi in campagna. Sopraggiunta la notte il mio turco recò del pesce da mangiarsi con lui; e quando, dopo avere leggiermente cenato, mi disponevo a coricarmi sopra una specie di banca da letto, alcuni soldati della guardia del Kaïd entrarono bruscamente, ordinandomi di ripassare dal Kaïd.

Io mi alzai e mi lasciai condurre dal Kaïd, il quale aspettavami con impazienza alcuni passi fuori della porta, e mi fece salire in una camera, ove trovavasi il suo segretario, ed il suo kiàhia, ossia luogotenente governatore. Dopo essersi scusato perchè non mi ritenne la mattina, soggiunse gentilmente, che voleva essermi ospite finchè fosse preparata la mia casa. Fummo serviti di caffè senza zuccaro, e più volte ripetute le interrogazioni, e le risposte sul conto mio; e finalmente dopo un'abbondante cena, di cui ne gustai pochissimo, mi coricai come gli altri sullo stesso tappeto.

Nel dopo pranzo dello stesso giorno aveva sbarcata la mia valigia ov'era tutto il mio equipaggio. Ne offrj la chiave alla dogana; dove non si volle nè visitarla, nè ricevere alcuna mancia. Questa valigia mi accompagnò costantemente finchè fui collocato nella mia casa.

All'indomani dopo merenda il padrone del battello mi pregò di chiedere al Kaïd il permesso di caricare alcune vittovaglie: al che mi rifiutai, non credendomi entrato così avanti nell'amicizia del governatore, per azzardare tali inchieste. Si pranzò a mezzogiorno; durante il quale chiesi spesso notizie della mia casa, e non ebbi in risposta che dei sì; ma verso sera mi fu dato avviso ch'era allestita. Presi allora congedo da Kaïd che mi offrì di nuovo i suoi servigi, e fui condotto al nuovo mio domicilio.

Vidi entrando ch'erasi consumato l'antecedente giorno ad imbiancarne i muri, ed a coprire il palco di tutte le camere d'uno strato di due in tre pollici di argilla, che non era peranco perfettamente asciutta. Feci molti ringraziamenti per la cura presa nell'abbellire la mia abitazione; ed ammirai nello stesso tempo la rara semplicità dei costumi di un popolo, che s'accontenta di simili case, e che nè pure conosce probabilmente l'uso delle finestre nelle fabbriche delle case; di modo che le camere non ricevono aria e luce che dalla porta d'un andatojo, che mette sul cortile. A fronte di tali inconvenienti, era tale il mio desiderio, o dirò meglio l'estremo bisogno ch'io avevo di trovarmi finalmente solo e pienamente libero, che ricevetti questo cattivo alloggio come un singolare beneficio, e ne approfittai in sul momento. Per questa prima notte mi coricai sopra una stuoja, valendomi della valigia per guanciale, e d'un drappo di lana per ricoprirmi.

All'indomani, venerdì primo luglio, feci comperare quanto strettamente occorrevami per gli usi domestici della casa, stuoje per coprire il suolo e parte delle pareti, alcuni tappeti, un materasso, cuscini ed altri utensiglj.

Le usanze de' Marocchini sono in Europa pochissimo conosciute, perchè coloro che vi vengono, sogliono d'ordinario adottare i costumi dei Turchi delle reggenze. Il Marocchino non copre mai le gambe; ha pantoffole gialle assai grossolane, ove non entra il tallone; la veste principale consiste in una specie di grandissimo drappo bianco di lana chiamato hhaïk, entro il quale s'avviluppa dal capo fino ai piedi. Perchè desiderando ancor io di vestire come gli altri, sacrificai le mie calze e le mie gentili pantoffole turche, avvolgendomi in un immenso hhaïk, e lasciando le gambe ed i piedi ignudi, ad eccezione della punta che entrava nelle mie enormi e pesanti papuzze.

Era venerdì, onde dovendo andare alla moschea per le preghiere del mezzogiorno, il mio turco m'istruì intorno al rito del paese alquanto diverso da quello dei turchi. Ma ciò non bastava: mi dovetti far radere nuovamente il capo, quantunque già raso pochi dì prima a Cadice: e quest'operazione fu ancora eseguita dallo stesso turco, la di cui inesorabil mano mi rese la cute tutta rossa ad eccezione d'una ciocca di capelli nel mezzo. Dalla testa passò a radere tutte le altre parti del corpo, non lasciando indizio di quanto il nostro santo profeta proscrisse nella sua legge quale orribile impurità. Mi condusse poi al bagno pubblico ove facemmo il nostro lavacro legale. Ma di ciò più diffusamente altrove, come pure delle cerimonie della preghiera alla moschea ove s'andò a mezzodì, chiudendosi in tal modo le pie opere di questo giorno.

Nella susseguente mattina di sabbato ebbe principio la solennità d'Elmouloud, o natività del nostro Santo profeta, che dura otto giorni; ne' quali vengono circoncisi i fanciulli. Ogni giorno mattina e sera alcuni musici eseguiscono con grossolani e sconcertati stromenti varie suonate innanzi alla porta del Kaïd.

In questi giorni festivi ci siamo recati a fare le nostre divozioni in un eremitaggio, o luogo sacro posto a duecento tese dalla città, ove si venerano le spoglie mortali d'un santo; e serve ad un tempo d'abitazione ad un altro santo vivo, fratello del defunto, che riceve le offerte per l'uno e per l'altro. Vedesi da questo lato della città il cimitero dei musulmani.

Il sepolcro del santo situato nel centro della cappella era ricoperto di varj pezzi di stoffa assai sdruscita tessuta di seta, cotone, oro ed argento. Stavano in un angolo alcuni Mori, che cantavano a coro pochi versetti del Corano[3 - Kour'ann è il vero nome del Corano quale viene pronunciato dagli Arabi. (N. dell'E. F.)].

Poi ch'ebbimo fatte le nostre preghiere al sepolcro si passò a visitare il santo vivo, che vidimo in mezzo ad altri Mori nell'orto vicino alla cappella. Egli ci accolse di buon garbo, ed il mio Turco, dopo esserci seduti, gli raccontò la mia storia. Il santo ringraziava Dio d'ogni cosa, ma in particolare d'avermi ricondotto nella terra de' fedeli credenti. Mi prese per mano, e fatta un'orazione sotto voce, mi pose la sua sul petto, e ne recitò un'altra; dopo di che ci separammo. Quest'uomo vestiva come gli altri abitanti.

Di là si andò a trovare il Fakih Sidi Abderrahmam-Mfarrasch capo dei fakih ossia dottori della legge, imam o capo della principale moschea di Tanger, e Kadi, val a dire giudice del cantone. Questo venerabil vecchio rispettato da tutto il paese, è in grandissima riputazione presso lo stesso Re di Marocco. Ascoltò con molta attenzione il racconto delle mie avventare fattogli dal Turco, e mi accertò del suo parziale attaccamento. Poi ch'ebbi soddisfatto a queste convenienze, desideravo di potermi liberamente occupare intorno ai miei affari, ma l'incessante compagnia del mio Turco riuscivami infinitamente molesta, perchè non poteva travagliare nè giorno nè notte. Avrei voluto tenerlo alcun poco lontano, ma non m'arrischiavo di farlo, temendo che avesse avuto commissione dal Kaïd di osservare da vicino tutti i miei andamenti, nel qual caso i miei tentativi potevano avere disgustose conseguenze. Pure siccome s'incaricava ogni giorno de' miei piccoli affari, e dell'economia domestica, non senza qualche suo profitto, non fu difficile trovare veri o falsi pretesti di mostrarmi scontento di lui; in seguito ai quali essendo venute in chiaro, che non aveva verun appoggio presso il Kaïd, l'allontanai interamente, dopo averlo per altro generosamente regalato, onde compensarlo de' servigi resimi ne' primi giorni, e non inimicarmelo.

Ricuperata in tal modo la mia libertà, ripresi le mie favorite occupazioni.




CAPITOLO II




Circoncisione. – Descrizione di Tanger. – Fortificazioni. – Servizio militare. – Corsa de' cavalli. – Popolazione. – Carattere degli abitanti. – Costumi.


Dissi che nella festa del Mouloud i Mori fanno circoncidere i loro fanciulli: operazione che si eseguisce fuori di città nella cappella sopra accennata, operazione solennizzata dalla famiglia del neofito. Per andare al luogo del sacrificio riunisconsi alcuni giovanetti che portano fazzoletti, cinture, ed ancor de' cenci sospesi a canne o bastoni a guisa di stendardi. Tengono dietro a questo gruppo due suonatori di cornamuse, e due o più tamburri, lo che forma una musica insoffribile per chiunque avvezzò l'orecchio alla musica europea. S'avvanza dietro ai suonatori il padre, o il parente più prossimo colle persone invitate, che circondano il fanciullo, montato sopra un cavallo colla sella ricoperta d'una stoffa rossa: ma se il neofito è troppo piccolo vien portato in collo da un uomo a cavallo. Tutti gli altri camminano a piedi. D'ordinario il neofito è vestito di una specie di mantello dì tela bianca, cui viene sovrapposta un'altra tela di color rosso, ornata di varj nastri; ed ha coperto il capo da una fascia di seta. Ai due lati del cavallo vedonsi due uomini con un fazzoletto di seta in mano, con cui scacciano le mosche dal fanciullo e dal cavallo. Chiudono la processione alcune femmine avviluppate negli enormi loro hhaïks.

Quantunque in ogni giorno della festa del Mouloud si circoncidessero dei bambini, aspettai l'ultimo, perchè mi fu detto, che ve n'erano assai più che ne' precedenti; ed in fatti quel giorno tutte le strade erano affollate di popolo e di soldati coi loro fucili.

Io sortj di casa a dieci ore del mattino, ed attraversando la folla per recarmi alla cappella, mi scontrai in accompagnamenti di tre, di quattro, ed ancora di più fanciulli, che venivano condotti assieme alla circoncisione. La campagna vedevasi coperta di cavalli, di soldati, di abitanti, di Arabi, di crocchj, di donne affatto coperte, sedute all'ombra degli alberi, e in certe cavità del terreno, le quali nell'atto che i fanciulli passavano presso di loro mandavano acute strida, indizio presso questa gente d'allegrezza, e d'incoraggiamento.

Arrivato che fui all'eremitaggio, attraversai il cortile in mezzo ad infinito popolo, ed entrato nella cappella, trovai ciò che ardisco chiamare un vero macello. Stavano presso al sepolcro del santo cinque uomini coperti della sola camicia, e d'un pajo di mutande, colle maniche rimboccate fino alle spalle. Quattro di costoro sedevano in faccia alla porta della cappella, il quinto era in piedi presso alla porta per ricevere le vittime. Due de' seduti tenevano in mano gli stromenti del sacrificio, e gli altri due una borsa o piccolo sacco pieno di una polvere astringente.

Dietro ai quattro ministri eran collocati circa venti fanciulli di età e di colore diverso, i quali, come vedremo ben tosto, avevano pure le loro incombenze: al di là dei fanciulli, ed a non molta distanza, un'orchestra uguale alla già descritta, eseguiva suonate affatto discordi.

Allorchè arrivava un neofito, il padre o la persona che ne faceva le veci, lo precedeva: entrava nella cappella, baciava il capo al ministro principale, e gli faceva alcuni complimenti. Si conduceva dopo il fanciullo, il quale era preso all'istante da un uomo vigoroso, che rimboccatogli l'abito, lo presentava all'esecutore per il sacrificio. In quell'istante la musica suonava con strepito, ed i venti fanciulli seduti dietro ai ministri mandando alte grida, richiamavano lo sguardo della vittima alla volta della cappella, che indicavano coll'alzar l'indice. Stordito da tanto romore, il fanciullo alzava il capo, ed allora il ministro prendendo la pelle del prepuzio tirava assai forte e con un colpo di forbici la tagliava. In pari tempo un altro gettava la polvere astringente sulla ferita, ed un terzo la copriva di filaccie assicurandole con una benda, indi si portava fuori il fanciullo sulle braccia. Quantunque fatta assai grossolanamente, l'operazione non durava più di mezzo minuto. Lo schiamazzar de' giovanetti, ed il frastuono della musica m'impedivano d'udire le grida delle vittime, le quali esprimevano coi loro gesti l'acuto dolore che soffrivano. Ogni fanciullo veniva posto in appresso sul dorso di una femmina; che lo riportava a casa coperto del suo hhaïk, ed accompagnato dal corteggio di prima.

Presso ai neofiti campagnuoli vidi molti militari e beduini maneggiare con mirabile destrezza i lunghissimi loro fucili, che tiravano nelle gambe gli uni degli altri in segno d'amicizia.

Udj raccontare da alcuni cristiani, che taluno di loro visitando i paesi Mussulmani, fecero i loro viaggi con piena sicurezza, coll'addottare le loro costumanze; ciò che io non posso credere, a meno che non siansi preventivamente assoggettati alla circoncisione, della qual cosa sogliono informarsi tosto che vedono uno straniero; e quando io giunsi a Tanger, ne fecero inchiesta ai miei domestici ed a me medesimo.

La città di Tanger offre dalla banda del mare una prospettiva abbastanza vaga. La sua figura d'anfiteatro, le case bianche, quelle de' consoli regolarmente fabbricate, le mura della città, l'alcassaba, ossia castello, che la signoreggia dall'alto d'un colle, la baja vasta e circondata di ridenti colline, formano tutt'insieme un complesso di cose che illudono il viaggiatore: illusione che sparisce all'istante che entra nell'interno della medesima, ove si vede circondato da tutto quanto può riunire assieme la più ributtante meschinità.

Tranne la strada principale passabilmente larga, e che attraversa alquanto tortuosamente la città da levante a ponente, tutte le altre sono in modo anguste ed irregolari, che tre persone di fronte vi passano a stento. Bassissime sono quasi tutte le case, talchè il passaggiero può toccarne colla mano il tetto affatto piano, e coperto d'argilla. Le case dei consoli sono abbastanza ben fatte, ma quelle degli abitanti hanno appena qualche finestra, o piuttosto pertugio d'un piede quadrato al più, e moltissime uno spiraglio largo uno o due pollici, ed alto un piede. La principale strada vedesi in alcuni luoghi mal selciata, altrove abbandonata alla semplice natura ed ingombrata d'enormi sassi, che niuno si prende la cura di appianare.

Le mura della città sono ridotte ad un estremo stato di deperimento. Sono qua e là interrotte di torri rotonde o quadrate, e dalla banda di terra circondate da larga fossa ugualmente in rovina, e ridotta a coltura.

Sulla diritta della porta a mare sonovi due batterie l'una quasi a fior d'acqua di quindici pezzi di cannone, l'altra più alta di undici. La seconda batte il mare di fronte, ed ha pure una piccola piattaforma con due cannoni per difesa della porta, l'altra batte ugualmente il mare e la spiaggia. Altri dodici cannoni trovansi sopra la più elevata parte delle mura. Tutti questi cannoni di vario calibro sono di fabbrica europea, ma i carri sono del paese, e tanto malfatti, che quelli dei cannoni da 12 a 24 non reggerebbero ad un quarto d'ora di fuoco. Due informi tronchi con tre o quattro traversi, un debolissimo asse e due ruote formate di grosse tavole quasi prive di ferramenti compongono il carro: è tutto coperto di color nero, ma lo credo di legno di quercia. Nella parte orientale della spiaggia sonovi tre altre batterie.

Le maggiori navi ch'io vedessi entrare in porto non eccedevano la portata di 250 tonnellate, ma quantunque la baja sia alquanto esposta ai venti di levante, la sua situazione è molto bella; e sono di sentimento che vi si potrebbe formare con piccolissima spesa un eccellente porto.

Dalla banda di terra Tanger non ha altra difesa che il muro e la fossa rovinati, senza cannoni. Al nord il muro della città si riunisce a quello del vecchio castello alcassaba, posto sopra un'eminenza, e dove trovasi un sobborgo ed una moschea.

E perchè i Mori non conoscono affatto il servizio militare, lasciano d'ordinario le loro batterie senza guardia. Soltanto presso alla porta del Kaïh trovasi un piccolo corpo di guardia, ed un altro corpo di guardia viene rappresentato, quantunque effettivamente non esista, da alcuni fucili posti a porta a mare, ove al più alcune volte si vedono due o tre soldati. Ogni giorno in sul far della sera, mentre il Kaïh passeggia o sta seduto sulla spiaggia, alcuni soldati fanno la ceremonia di mutar la guardia; ma poco dopo tutti ritornano alle loro case.

L'avviso della ritirata vien dato alle dieci della sera con un colpo di fucile tirato in su la piazza; ove nello stesso tempo viene collocata una sentinella, la quale ogni cinque minuti dà la parola ad un'altra posta alla porta a mare, gridando assassa, cui l'altra risponde alabata. I Mori fanno le loro fazioni sempre seduti, e d'ordinario disarmati, lo che è comodo assai.

Nelle guerre d'Affrica il fantaccino non ha veruna considerazione, di modo che le forze d'ogni potentato viene calcolata sul numero de' loro cavalli, e per tale ragione i Mori si esercitano principalmente nel cavalcare. A Tanger fannosi tali esercizj lungo la spiaggia, facendo correre i cavalli sull'arena ancor bagnata dalla bassa marea. Con questi continuati esercizj si rendono eccellenti cavalieri. Adoperano selle assai pesanti, con arcioni altissimi assicurati sul cavallo da due cinghie che serrano il cavallo, una passandogli sotto le coste, e l'altra obbliquamente per i fianchi sotto il basso ventre. Hanno cortissime staffe per montare, ed i loro speroni sono formati da due ferri appuntati lunghi circa otto pollici. Con questo equipaggio, e con un morso durissimo martirizzano talmente i poveri cavalli, che frequentemente spargono sangue dai fianchi e dalla bocca.

Essi non conoscono che una sola manovra: tre o quattro cavalieri, e talvolta anche più, partono assieme mettendo altissime grida, e presso alla metà della corsa scaricano il loro fucile senza unione di tempo o di luogo. Talvolta l'uno corre dietro l'altro sempre gridando, e nell'atto di raggiungerlo scarica il suo colpo tra le gambe del cavallo.

Nè solo trattano duramente adoperandoli i loro cavalli, ma non curansi pure di metterli al coperto; lasciandoli per lo più in aperta campagna, in un cortile con i piedi d'avanti assicurati ad una corda tirata orizzontalmente tra due pivoli, senza testiera, e senza cavezza. Gettano loro della paglia in terra, e danno un poco d'orzo in un piccolo sacco che viene sospeso alla loro testa. Per lo più danno la paglia al cavallo due o tre volte al giorno, e soltanto una volta la biada verso sera. Quando viaggiano non sogliono fermarsi finchè non giungano al luogo destinato a passarvi la notte; e non mangiano prima di sera. Avvezzati ugualmente all'ardente sole della state, ed alle continue pioggie dell'inverno, si conservano grassi e sani, lo che mi persuaderebbe che il reggime degli Affricani debba preferirsi a quello degli Europei, che rende i cavalli soverchiamente dilicati, e poco destri ne' grandi movimenti militari; se altronde non si dovesse aver riguardo alla diversità dei climi.

Veggonsi a Tanger molti cavalli, alcuni muli, e pochissimi asini; e questi ultimi sono generalmente assai piccoli, come anco i muli. Di cavalli se ne trovano d'ogni grandezza, ma non già della maggiore: sono vivaci, e ben disposti, benchè male ammaestrati per colpa de' cavalieri che non conoscono l'arte. Il pelo bianco e cenericcio è il più comune, ed è quello de' cavalli più robusti; i più belli per altro sono quelli di color bajo-oscuro, o balzano.

La popolazione di Tanger ammonta a circa dieci mille uomini, soldati, mercanti spicciolati, cattivi artigiani, poche famiglie agiate, e pochi ebrei.

L'infingardaggine è il distintivo carattere di questi abitanti, i quali sogliono rimanersi quasi tutto il giorno seduti o stesi al suolo nelle strade, e nei luoghi pubblici. Sono loquaci assai, e ceremoniosi in modo, che a stento ne' primi giorni potevo sbarazzarmene: ma avendo in seguito appreso a rispettarmi, si ritiravano al primo segno che loro ne facessi, e mi lasciavano attendere alle mie faccende.

L'abito degli abitanti riducesi ad una camicia con maniche estremamente larghe, un enorme pajo di mutande di tela bianca, un giubboncello di lana, o corto sopr'abito di seta, ed una berretta rossa appuntata. Sogliono i più avvolgersi intorno alla berretta una mussola o tela bianca, e formarne il turbante; il hhaïk li avviluppa interamente e gli cuopre ancora il capo con una specie di grande cappuccio; hanno talvolta un cappotto bianco sopra il hhaïk, e le pappuzze o pantoffole gialle. Altri ancora invece del giubboncello portano un caftan, o lunga veste abbottonata sul davanti da cima a fondo, con maniche assai larghe, ma meno lunghe di quelle dei caftan turchi. Tutti poi adoperano una cintura di lana o di seta.

Le donne escono di casa sempre coperte in modo, che a stento si vede un occhio in fondo ad una enorme piega del loro hhaïk: calzano grandi pappuzze rosse, e, come gli uomini, non usano calze. Se portano un fanciullo, o qualche altra cosa, la tengono sulle spalle, onde le si vedono le mani.

I fanciulli non hanno che una semplice tonaca, ed una cintura.

Il bournous sopra il hhaïk è l'abito di cerimonia per i tables ossia letterati, gl'iman o capi di Moschea, ed i fakihs dottori della legge.




CAPITOLO III




Udienze del governatore. – Del Kadi. – Viveri. – Matrimonj. – Funerali. – Bagni pubblici.


Il kaïd o governatore suole dar udienza al pubblico ogni giorno, e rende quasi sempre giustizia con sentenze verbali. Talvolta le due parti si presentano assieme, e talvolta soltanto la parte riclamante: in tal caso il kaïd l'autorizza a condurre il suo avversario; lo che viene eseguito senza incontrare opposizione, perchè la menoma resistenza verrebbe severamente castigata.

Il kaïd, adagiato sopra un tappeto ed alcuni cuscini, ascolta le parti rannicchiate presso alla porta della sala. La discussione incomincia, e si prosiegue talvolta parlando tutti assieme, il kaïd, ed i litiganti, un quarto d'ora o più, senza potersi intendere, finchè i soldati che stanno sempre in piedi dietro alle parti impongono loro il silenzio a forza di pugni: allora il kaïd pronuncia la sentenza, e nell'istante medesimo i litiganti vengono cacciati dalla presenza del giudice a replicati colpi dai soldati, e la sentenza qualunque siasi s'eseguisce irrevocabilmente. La è una circostanza veramente notabile, che chiunque presentasi al kaïd per essere giudicato, debba dopo il giudizio essere rimandato dai soldati che vanno gridando Sirr, Sirr, corri, corri.

Talvolta il kaïd dà udienza sulla porta della casa, seduto sopra una seggiola, in mezzo al popolo affollato.

Non molto dopo il mio arrivo a Tanger assistetti ad una di queste udienze. Un giovanetto si fece innanzi al kaïd mostrando una leggier graffiatura al corpo, e chiedendo giustizia: fu condotto il colpevole che venne condannato a trentun colpi. Pronunciata appena la sentenza, fu steso a terra da quattro soldati, e gli furono passati i piedi entro un laccio a nodo corrente attaccato ad un bastone, indi un soldato gli scaricò sulla pianta dei piedi trentun colpi con una doppia corda incatramata: finita l'operazione venne cacciato fuori dall'udienza il reclamante con replicati colpi. Io desideravo di chieder grazia pel condannato, ma non osai di farlo per timore che la mia domanda venisse mal accolta. Seppi poscia, che in ogni caso simile avrei potuto ottener grazia a favor del reo dopo aver ricevuto dieci o dodici colpi. D'ordinario il paziente suole gridare ad ogni colpo Allah! Dio; ma taluni invece di gridare Allah, contano con fierezza i colpi l'un dopo l'altro.

Rarissime volte si presentano istanze al kaïd di quattro o sei linee; e perciò tutti gli attrezzi del suo segretario riduconsi ad un piccolo calamajo di osso con una penna di canna, e pochi pezzettini di carta piegati per mezzo, e preparati per ricevere qualche ordine, ciò che pure accade rarissime volte. Il segretario non ha nè registro nè archivio; cosicchè le carte che gli si consegnano vanno subito a male, non tenendo verun registro degli ordini che riceve.

Il buono o il cattivo senso del kaïd è l'unica norma de' suoi giudizj, e tutt'al più qualche precetto del Corano. Suole pure alcuna rarissima volta accadere ch'egli consulti i fakihs, o rimetta le parti al kadi, ossia giudice civile.

L'attuale governatore di Tanger chiamasi Sid Abderrahman Aschasch; era semplice mulattiere; non sa nè leggere, nè scrivere, e ne pure far il suo nome; ma non è privo di naturali talenti, e di certa quale ardita vivacità. Non trovandosi a portata di sentire quanto l'istruzione sia utile all'uomo, non la procura per sistema ai suoi figliuoli, che, come il padre non sanno leggere nè scrivere. Al presente egli possiede molti averi a Tetovan, città subordinata al suo governo, ove dimora la sua famiglia, risiedendo egli alternativamente quando in una e quando nell'altra città, avendo un luogotenente che ne fa le veci in sua assenza.

Alquanto meno tumultosi sono i giudizj del kadi, comechè si emanino press'a poco colle stesse formalità. Le decisioni appoggiansi ai precetti del Corano, ed alla tradizione in tutto ciò che non è contrario alla volontà del sovrano. Dopo il giudizio pronunciato dal kaïd o dal kadi non rimane alle parti che il ricorso al Sultano medesimo, non essendovi tribunale intermedio.

I viveri sono a Tanger assai abbondanti, ed a vil prezzo, e specialmente la carne, che è molto pingue. Vi si fa del pane bellissimo, e non è pur cattivo il più comune. A fronte della poca cura con cui conservansi gli acquedotti, l'acqua si mantiene buona. Non vi si trova alcuna osteria, e altro venditore di vino; ed i consoli sono costretti di provvederlo in Europa.

Il terreno produce eccellenti frutti, ed in ispecie fichi, popponi, uve ed aranci di Tetovan.

Il principal cibo degli abitanti di tutto il regno di Marocco è il couscoussou, pasta composta di sola farina ed acqua, che si va impastando finchè sia resa durissima; ed allora viene divisa in pezzi cilindrici della grossezza d'un dito, che poi riduconsi in grani assotigliando successivamente questi pezzetti, e dividendoli con molta destrezza colle mani. Questa pasta per ultimo così divisa si secca esponendola sopra le salviette al sole, od anche semplicemente all'aria. Il couscoussou si fa poi cuocere col burro in una specie di pentola col fondo pertugiato a piccoli pertugi, e posta entro una altra pentola alquanto più grande, in cui i poveri non pongono che acqua, ed i ricchi carni e polli. Posta a fuoco la doppia pentola, il vapore che s'alza dalla inferiore entra pei pertugi, e fa cuocere il couscoussou posto nel pentolino. La carne cotta nella maggior pentola viene posta in un piatto, circondata e coperta di couscoussou, formando così una specie di piramide senza salsa, o brodo. I grani del couscoussou sono sciolti: se ne fanno d'ogni genere dal più fino, come un granello d'orzo macinato, fino al più grosso come un grano di riso. Io risguardo quest'alimento come il migliore di tutti per il popolo, perchè facile ad aversi, ed a trasportarsi, perchè è sostanzioso assai, sano ed aggradevole al palato.

Ogni musulmano mangia colle dite della destra, non adoperando nè forchetta nè coltello, perchè anche il Profeta mangiava così. Tale costumanza che ributta i cristiani, non ha per altro nulla d'incomodo, o di disgustoso. Dopo tante legali abluzioni che il musulmano deve fare ogni giorno, nelle quali, come vedremo ben tosto, si lava le mani; egli le lava altresì qualunque volta vuol mangiare, e dopo aver mangiato, talmente che esclude perfino il sospetto d'ogni sozzurra. Altronde poi niente è più comodo del prendere i cibi colle proprie dita. Rispetto al couscoussou suol pigliarsi riunendolo in grumi, che s'accostano alla bocca.

A Marocco per altro non mancano cucinieri molto esperti, che sanno fare varie squisite vivande di carne, di polli, di uccelli, di pesci, di legumi e di erbaggi. Ma perchè la legge non permette di mangiar sangue, conviene adoperare molta circospezione. Rispetto ai volatili ed al pesce non si mangiano che dopo avere avuta la precauzione di scannarli ancora vivi, affinchè tutto il sangue sorta loro dal corpo. I ricchi abitanti sogliono avere delle schiave negre, che hanno opinione d'essere eccellenti cuciniere.

Per mangiare si ripone il piatto sopra una piccola tavola rotonda senza piedi, di venti a trenta pollici di diametro, con un bordo alto cinque in sei pollici: la tavola vien coperta da una specie di paniere conico fatto di vinchi, oppure di foglie di palma, talvolta di varj colori. A Marocco tutti i piatti hanno la figura di cono rovesciato o troncato, sicchè la base del piatto viene ad essere strettissima. Talvolta pongonsi sulla medesima tavola intorno al piatto alcuni piccoli pani assai teneri, e ciascuno piglia a pezzetti il pane che gli sta innanzi. Ogni piatto viene servito sopra una diversa tavola sempre coperta, onde sonovi tante tavole quanti sono i piatti. Costumasi ancora di presentare talvolta una grande tazza piena di latte agro con molti cucchiai di legno assai grossolani lunghi e profondi, coi quali i convitati prendono di quando in quando, e taluno ancora ad ogni boccone di carne o di couscoussou, un poco di questo latte. Siedono in terra, o sopra tappeti intorno alla tavola prendendo tutti la vivanda dallo stesso piatto; ma quando i convitati sono molti, vengono servite più tavole, in modo che ogni tavola abbia intorno cinque o sei persone sedute e colle gambe incrocicchiate.

I musulmani avanti di porsi a tavola invocano la divinità dicendo Bism-Illah, in nome del Signore; e terminato il pranzo, lo ringraziano coll'espressione Alhmado-Liliahi, sia lode al Signore! Le stesse invocazioni sogliono farsi prima e dopo di bevere; e le ripetono qualunque volta intraprendono qualunque affare. Ma se hanno sempre sulla bocca il nome di Dio; non sempre ne hanno il rispetto in fondo al cuore. Uscendo di tavola si lavano le mani, la bocca, e la barba. Al quale oggetto si fa loro innanzi un domestico, od uno schiavo, con un piatto di rame o di majolica nella mano sinistra, una brocca nella destra, ed un asciugatojo sulla spalla sinistra. Il domestico passa successivamente dall'uno all'altro convitato; questi stende la mano sopra la brocca senza toccarla, ed il domestico gli versa l'acqua con cui si lava le mani, indi la bocca e la barba; e termina asciugandosi col drappo che sta sulla spalla del domestico. In casa delle persone più ricche un domestico versa l'acqua, ed un altro presenta l'asciugatojo. Il costume di asciugarsi col tovagliolo in tempo del pranzo non è molto comune. Il pranzo termina sempre con una tazza di caffè.

Anticamente facevasi a Marocco grandissimo uso di caffè prendendosi in qualunque ora come costumasi in Levante; ma avendo gl'Inglesi regalato del te ai Sultani, e questi ai loro cortigiani, in breve tempo questa nuova bevanda si comunicò dagli uni agli altri fino alle ultime classi della società: di modo che, proporzionatamente consumasi più te a Marocco che in Inghilterra, non essendovi musulmano per povero ch'egli sia che non abbia te da offrirne in qualunque ora a coloro che vengono a fargli visita. Suole prendersi assai carico, pochissime volte col latte; e lo zuccaro si pone nel vaso. I Marocchini ricevono questi generi dagl'Inglesi, e ne importano altresì molto essi medesimi da Gibilterra.

La legge permette ai Mussulmani d'avere quattro mogli, e quante concubine possono mantenere; le ultime devono essere comperate o prese in guerra, o avute in dono. Le altre si hanno in forza d'un contratto stipulato tra il pretendente o i suoi parenti, ed i parenti della pretesa, in presenza del kadi e dei testimonj; e l'unione si fa senza alcuna ceremonia religiosa, onde il matrimonio è puramente civile. È per altro cosa notabile che malgrado la mancanza della sanzione religiosa, che altre sette religiose danno a questo contratto, le leggi della castità conjugale, e la pace domestica, trovinsi d'ordinario meglio mantenute nelle famiglie musulmane, che in quelle delle altre religioni.

Dopo la stipulazione del contratto la famiglia dello sposo manda d'ordinario a quella della sposa alcuni regali. Questa ceremonia si eseguisce con molta pompa in tempo di notte accompagnando i regali con molti lampioni, candele, fanali, con una compagnia di quei cattivi musici di cui si è già parlato, e da molte donne che mandano acutissime voci.

La novella sposa si conduce alla casa dello spose con molta ceremonia, e con un corteggio press'a poco uguale a quello che accompagna i fanciulli alla circoncisione. La prima volta che m'avvenni a Tanger in questo spettacolo fu una mattina alle sei ore. La sposa era portata sulle spalle da quattro uomini in una specie di paniere cilindrico coperto al di fuori da una tela bianca, e con sovrapposto un coperchio di figura conica dipinto a varj colori, come quelli del panierino di cui cuopresi la tavola da mangiare: ogni cosa era così piccola che non pareva possibile che potesse contenere una donna; e questo paniere aveva perfettamente l'apparenza d'un piatto di vivande che si mandasse allo sposo. Questi, ricevendola, alza il coperchio, e vede la prima volta la futura compagna.

Quando muore un musulmano è posto sopra una barella, e ricoperto col suo hhaïk, e talvolta con fronde d'alberi, indi viene portato sulle spalle da quattro uomini, ed accompagnato da molte persone che camminano a gran passi senza alcun ordine, e senza verun segno di cordoglio. Il convoglio nell'ora della preghiera del mezzogiorno si reca alla porta d'una moschea; e terminata la preghiera l'imam avvisa che trovasi un morto alla porta: allora tutti si alzano per pregare in comune riposo all'anima del fedele credente; ma il corpo non viene introdotto nella moschea.

Terminata questa preghiera il convoglio riprende la strada, ed il corteggio cammina precipitosamente perchè l'angelo della morte aspetta l'individuo nel sepolcro per sottoporlo ad un interrogatorio, e per pronunciare il giudizio che deve decidere della sua sorte: ad ogni istante i portatori si cambiano desiderando tutti di prendere parte a quest'opera di misericordia. Lungo il cammino cantano tutti alcuni versetti del Corano sull'aria rè, ut, rè, ut.

Arrivati al cimitero depongono, dopo una breve preghiera, il cadavere nella fossa senza cassa, e steso col volto alquanto rivolto verso la Mecca, gli fanno portare la mano destra all'orecchio dello stesso lato, poscia gettando della terra sul corpo, il corteggio ritorna alla casa del defunto per complimentarne la famiglia. In questo tempo, come pure all'istante dell'agonia, e per otto giorni consecutivi, le donne della casa riunisconsi per fare urli spaventosi, che durano gran parte del giorno.

Schifosi sono i pubblici bagni di Tanger, e d'un aspetto assai meschino. Entrando per una piccola porta si scende per un'angusta scala, al di cui sinistro lato vedesi un pozzo dal quale si attinge l'acqua per servigio dello stabilimento: dall'altra banda presso ad una specie di vestibolo avvi una piccola camera. In questi due luoghi si depongono e si ripigliano gli abiti. Alla diritta del vestibolo trovasi una camera che ha l'aspetto di cantina così poco illuminata, che all'entrarvi si crederebbe affatto oscura; e su quel suolo sempre coperto d'acqua si sdrucciola con molta facilità. I più vi prendono i bagni con un secchio d'acqua calda, ed un altro di fredda, che riducono alla temperatura che loro piace, e che gettansi poc'a poco sul corpo colle mani, dopo aver adempiute le ceremonie dell'abluzione.

Coloro, che vogliono prendere i bagni a vapore, entrano in una camera posta alla sinistra, lastricata a scacchi di pezzi quadrati di marmo bianco e nero: il palco a volta ha tre lucerne circolari del diametro di quasi tre pollici coperte di vetro di diversi colori, lo che produce un buon effetto per la luce. La porta di questa camera sta sempre chiusa, e dicontro alla medesima avvi un piccolo recipiente che riceve l'acqua calda da un tubo; la fredda trovasi ne' secchi. Entrando in questa camera s'incontra un'aria soffocante che difficulta la respirazione, ed in meno d'un minuto il corpo trovasi ricoperto d'acqua, che riunendosi in grosse gocciole, scorre lungo la cute, ed un abbondante sudore tutto vi ricuopre da capo ai piedi. Si siede nel lastricato talmente caldo, che da principio sembra insopportabile, ma che presto si dissipa: si resta in questa camera seduti finchè ognun vuole; ed in appresso si fanno le abluzioni, e si lava, o si bagna il corpo. L'uscita riesce incomodissima perchè non avvi alcuna camera ove trattenersi alcun tempo prima d'esporsi all'aria libera.

Quando entrai la prima volta in questo bagno soffersi assai per l'eccessivo calore che vi si conserva; ma non tardai ad avvezzarmi, e ne riconobbi la salubrità: pure avrei desiderato maggior comodo, e meno calore. Qualunque volta v'andai, ho sempre trovato otto, dieci, ed anche più persone ignude, cosa poco decente.

Il prezzo di questi bagni monta ad una mouzouna, che gli Europei del paese chiamano blanquille, e che può rispondere press'a poco a due soldi di Francia.

Per conservare il caldo, ed il vapore del bagno, vi è un forno sotto la camera, che riscalda il pavimento; indi una caldaja dalla quale per mezzo d'un tubo che con una chiave s'apre e si chiude, a piacere si attinge l'acqua: avvi pure un altro tubo che conduce il vapore dell'acqua della caldaja. Questo vapore cresce a dismisura quando versandosi l'acqua sul pavimento caldo, ed alzandosi in vapori, carica l'atmosfera d'assai maggiore umidità, e produce sulle persone che entrano i già descritti effetti.




CAPITOLO IV




Architettura. – Moschea. – Musica. – Divertimenti. – Grida delle donne. – Scienze. – Santi.


L'attuale architettura araba mogrebina, o occidentale, non ha veruna rassomiglianza coll'architettura antica o moderna. Lungi dal trovare nell'attuale architettura mogrebina l'eleganza e l'ardire dell'antica architettura araba, si riconosce in tutte le sue opere il carattere della più grossolana ignoranza. Gli edifici sono fabbricati senza alcun piano preventivo, e quasi all'azzardo, con tanta ignoranza delle regole elementari dell'arte, che in alcune ragguardevoli case ho trovato la scala senza lume affatto; per cui dovevano tenersi sempre accesi alcuni fanali. Generalmente i vestiboli, gli atrj, le scale, sono meschinissimi anche nelle case della più grande estensione.

Ogni casa ha sempre la medesima forma, una corte quadrata con un andatojo da due, tre, ed anche da quattro lati. Avvi una camera assai stretta paralella all'andatojo, e lunga ugualmente; le camere non hanno d'ordinario alcuna apertura o fenestra, fuorchè la porta di mezzo che comunica coll'andatojo; e da ciò procede che le abitazioni sono poco ariose. I tetti sono piani, e coperti di uno strato d'argilla, come il suolo delle camere.

I muri sono fatti di sassi con cemento di calce, o di argilla, ma il più delle volte non sono che di terra grassa battuta e bagnata. Per fabbricare in questa maniera alzano delle tavole perpendicolari da ogni lato per contenere le due superficie del muro, e gettano nel centro delle medesime terra impastata coll'acqua, cui vien data la consistenza della pasta; e due uomini la battono colla mazza. Mentre lavorano cantano ordinariamente accompagnando il fracasso del loro stromento. E perchè riesce difficile il trovare grandi travi, sono costretti di far le camere ristrette onde poter costruire il tetto col piccolo legname del paese. Su questa cavriata piana si pone da prima uno strato di canna, indi un piede di terra coperta di argilla; pesante coperto che schiaccia la fabbrica, e dura pochissimo.

Le porte sono fatte assai goffamente. La maggior parte delle serrature di Tanger sono di legno; ed io le descriverò minutamente in una memoria che pubblicherò su quest'argomento.

L'uso delle latrine è quasi sconosciuto, e vi si supplisce con un recipiente posto nel cortile rustico.

Nè l'architettura delle moschee è più elegante di quella delle case. La principale è composta d'un cortile circondato da archi, di cui la sola linea paralella trovasi in faccia alla porta. La facciata è interamente unita, e la torre è posta in un angolo a sinistra. Bassissimi sono gli archi ed il tetto, e tutto il lavoro di legname assai mal fatto resta allo scoperto. Nel totale la costruzione di quest'edificio è meschinissima. Avendo osservato che nella moschea non eravi acqua, feci costruire a lato alla porta una gran vasca solidamente attaccata, ed un vaso per bere; e lasciai allo stabilimento una dotazione pel mantenimento della fontana.

In una camera posta sopra la moschea alloggia un figliuolo del Kadi incaricato della custodia di un gran pendolo, e di un altro assai più piccolo, che servono ad indicare le ore della preghiera; ma perchè a regolare la loro marcia col sole quest'uomo non aveva che un quadrante inesatto, così non poteva saper l'ora che per approssimazione, quindi finchè io rimasi a Tanger gli davo l'ora per i penduli, e per conseguenza l'istante delle preghiere, e le chiamate dalla torre venivano regolate dal mio orologio.

La moschea chiamasi in arabico El-jamaa, ossia luogo dell'assemblea. In fondo alla moschea vedesi una nicchia quasi nella direzione della linea che guarda la Mecca, entro la quale si pone l'imam, cioè il direttore della pubblica preghiera. Dalla banda sinistra avvi una specie di tribuna formata da una scala di legno su cui sale l'imam ogni venerdì avanti la preghiera del mezzogiorno per fare la predica al popolo. Nella grande moschea trovasi un cassone chiuso a chiave, entro al quale si custodiscono il Corano, e gli altri libri religiosi. Sonovi ancora due scranne di legno ove sedevano i fakihs quando facevano la lettura al popolo. Alla sommità di molti archi stanno sospese alcune lumiere, ed alcune lampade di cattivo vetro verde, disposte senz'ordine e senza simmetria. La maggior parte del suolo è coperto di stuoje, ed in un cortile dietro la moschea vedesi un pozzo d'acqua assai cattiva, che serve alle abluzioni. Ma io ritornerò più opportunamente a parlare della religione o del culto quando descriverò la città di Fez.

La musica di Tanger ha ben poche cose soffribili anche dalle meno delicate orecchie: due suonatori con una piva ancora più discorde delle loro orecchie, che volendo suonare all'unissono con istrumenti che non s'accordano, non hanno nè tempo nè movimento uguale, nè nota scritta che li contenga, e che tutto hanno imparato a memoria; sono il vero ritratto dei musici di Tanger.

Accade spesse volte che uno dei musici strascini l'altro a suo capriccio, obbligandolo di tenergli dietro alla meglio; lo che produce un effetto precisamente somigliante a quello d'un cattivo organo che si sta accordando. Malgrado così spaventosa melodia, tale è la forza dell'abitudine, che poc'a poco quasi m'avvezzai a questo carivari, e feci anzi sì fatti progressi in questa musica, che giunsi a scifrare alcune delle arie più accreditate, ed a poterle notare coi segui della musica europea. Queste arie, cui difficilmente può aggiungersi un basso, sono quasi sempre in tuono di re.

Sembra impossibile che questi suonatori di pira possano vivere lungamente a fronte dello sforzo continuo ch'essi fanno suonando il loro istromento; le loro guancie vedonsi estremamente enfiate, e malgrado un cerchio di cuojo che le ricopre due o tre pollici intorno alla bocca, gettano molta saliva, ed il loro ventre irrigidito per la violenta espansione del fiato che devono aspirare e respirare, dimostra quanta fatica essi sostengano.

Ho già fatto osservare che questi stromenti sono sempre accompagnati da un grosso tamburro, il di cui rauco suono si fa sentire ad intervalli di quattro o cinque minuti, ed anche più spesso, tranne in una specie d'aria nella quale marca colpi regolari assai più vicini.

I musici accompagnano d'ordinario i matrimonj, le circoncisioni, i complimenti di felicitazione, e le feste di Pasqua; ma non sono ricevuti nelle moschee, e l'arte loro è straniera ad ogni atto del culto. Essi temono, come facetamente osservò un viaggiatore, di risvegliare l'Eterno…

A Tanger non vi sono nè divertimenti pubblici nè private società. Il Moro ozioso esce la mattina di casa, si pone a sedere in terra sulla piazza e in altro luogo pubblico, ove altri abitanti sopraggiungono per azzardo e fanno lo stesso, e per tal modo formano alle volte dei circoli ove stanno parlando tutto il giorno.

Finchè io rimasi in quella città, la mia casa fu ogni sera l'unico luogo di riunione dei fakihs, i quali venivano a prendere il te. I consoli e gli altri Europei unisconsi tra di loro, formando una specie di repubblica affatto segregata dai musulmani, dividendo fra di loro le notti per le adunanze e le conversazioni.

Alle donne, assolutamente separate dalla società degli uomini, non altro rimane a farsi ne' giorni di festa, che mandare a prova, di sotto alle molte vesti onde sono coperte, acute e penetranti voci. Quando un fanciullo ha terminati i suoi studj di leggere e scrivere, nel che consiste tutta la scienza d'un moro, viene condotto per le strade a cavallo colla medesima solennità delle circoncisioni, e le feste, che dà in tale occasione la sua famiglia, sono sempre accompagnate dai penetranti gridi delle femmine. Esse gridano per la presenza del re, e gridavano per me poich'ebbi acquistata molta riputazione. Essendosi ridotto ad arte, e risguardandosi come prova di talento il saper fare spaventose grida, le donne approfittano d'ogni occasione per mostrare la loro abilità, sforzandosi di sorpassar l'une l'altre non solo coi tuoni più acuti, ma col saper più lungo tempo sostenerli. Talora io le udiva due o tre ore dopo mezza notte gettare acutissime voci mentre passavano in truppa innanzi alla mia casa.

La lettura è difficilissima, sia per la forma arbitraria dei caratteri scritti, quanto per la mancanza di vocali e di segni ortografici; difetti sempre crescenti, finchè non s'introduca una stamperia. Per ciò gli abitanti di Tanger trovansi immersi nella più stupida ignoranza. Una sola persona io trovai in questo paese, la quale aveva udito parlare del movimento della terra. Riferiscono mille stranezze intorno ai pianeti, alle stelle, al movimento dei cieli, senza che abbiano la più leggiere conoscenza della fisica. Uno di coloro, che chiamansi dotti, vedendomi un giorno tra le mani un orizzonte artificiale pieno di mercurio nell'atto di fare un'osservazione astronomica, m'avvisò, come di cosa importantissima, essere questo un eccellente rimedio per far morire i schifosi animali e gl'insetti; m'insegnò la maniera d'applicarlo alle pieghe ed ai contorni degli abiti; facendomi sentire essere questo l'uso più utile che potesse farsi del mercurio.

I mori confondono l'astronomia coll'astrologia, e quest'ultima ha non pochi coltivatori. Non sospettavan pure che siavi la chimica; ma trovansi tra di loro alcuni pretesi alchimisti: la medicina è affatto sconosciuta. Limitatissime sono le loro cognizioni aritmetiche, e geometriche. Si può dire che non abbiano quasi poeti, e meno storici; e quindi ignorano la storia del proprio paese, e le belle arti loro sono affatto straniere.

Il Corano ed i suoi commenti formano l'unica lettura degli abitanti di Tanger. Questo quadro è sgraziatamente rassomigliantissimo; e questi paesi possono in tutta l'estensione del termine chiamarsi barbari.

Quella d'essere Santo è tra i Musulmani una professione, o piuttosto un mestiere, che si esercita, e si abbandona ad arbitrio, e talvolta ancora diventa ereditario. Sidi Mohamed el Hadji fu a Tanger un riputatissimo Santo. Dopo la di lui morte viene riverito il suo sepolcro posto nella cappella sopra descritta; suo fratello, che fu l'erede della sua santità viene parimenti venerato. È questi un accortissimo furbo che di quando in quando veniva a visitarmi; cosa risguardata dagli abitanti come un singolar favore. La sua cappella ed il suo giardino sono un sicuro asilo per i delinquenti perseguitati dalla giustizia; e non si troverebbe verun musulmano tanto audace che esasse entrarvi senz'essersi prima assoggettato alla legale abluzione dell'acqua del pozzo posto in vicinanza della sua porta; ma io che per favore speciale della mia origine ero risguardato come superiore agli altri, v'entravo talvolta a cavallo col mio domestico per trovare il santo senza alcuna preventiva ceremonia.

Tanger possiede pure un altro veneratissimo santo, che divenne anch'esso mio amico; il quale, dopo avergli infinite volte detto ch'era un furbo che ingannava i suoi concittadini coll'impostura, si ridusse a confessarmi finalmente la verità, ed a ridersi meco in segreto dell'altrui credulità; ripetendo spesse volte che su questa terra i sciocchi servono ad alimentare i minuti piaceri degli uomini di spirito.

Un altro santo scorreva le strade come un insensato, seguito da molto popolo: aveva la testa scoperta, una lunga capigliatura arricciata, e portava in mano una specie di spartum che abbonda nel paese. Distribuiva come reliquie alcuni pezzetti di questa pianta a coloro che glie ne chiedevano; de' quali, allorchè l'incontraj per istrada, me ne diede un pugno come dimostrazione di particolar favore, che io mi posi sul petto colla più grande venerazione.

Passeggiando una volta per la città mi s'avvicinò un moro, dicendomi, datemi una piastra e mezza per comperarmi un bournous; io sono santo, e se non volete credermi, o se diffidate della mia parola, chiedetene ai vostri domestici, ai vostri amici, e troverete che non v'inganno. Mostrando di credere a quanto mi diceva venni a patti, e gli diedi mezza piastra.

Ricorderò pure un altro santo di Tanger, che è, o finge d'essere imbecille: egli sta sempre sulla gran piazza imitando il grido dell'oca o dell'anitra: estrema è la sua sudiceria, e sarebbe indecenza il descriverla. Mi fu detto che questo santo aveva talvolta fatte pubblicamente cose affatto contrarie al buon costume. Lo stupido fanatismo degli abitanti su quest'oggetto non par credibile. I fakihs ed i talbas lasciano il popolo nell'errore quantunque siano abbastanza istruiti, e mi abbiano più volte parlato di queste aberrazioni dello spirito umano.




CAPITOLO V




Giudei – Pesi, misure e monete. – Commercio. – Storia naturale. – Situazione geografica.


I Giudei del regno di Marocco vivono nel più misero stato di schiavitù. È veramente cosa straordinaria che i Giudei abitino in Tanger indistintamente coi Mori senza avere un separato quartiere, siccome costumasi in tutte le altre città ove domina l'islamismo, ma questa stessa distinzione è una perenne sorgente di dispiaceri per questa casta disgraziata; rendendo più frequenti i motivi di contese, nelle quali se il giudeo ha torto il moro si fa giustizia da se medesimo; e se il giudeo ha ragione è costretto di portare i suoi riclami al giudice sempre parziale per il musulmano.

Quest'orribile disuguaglianza di diritti tra individui della stessa setta rimonta fino alla culla; di modo che un giovinetto musulmano insulta o batte un giudeo qualunque siasi l'età sua, e le sue infermità, senza che questi abbia, sto per dire, il diritto di lagnarsene, non che quello di difendersi. I fanciulli delle due religioni trovansi nella medesima disuguaglianza, avendo più volte veduto i fanciulli musulmani divertirsi a battere i fanciulli giudei, senza che questi osassero giammai opporgli la più piccola difesa.

Per ordine del governo i Giudei vestono diversamente dagli altri: il loro abito è composto d'un pajo di mutande, d'una tonaca che scende fino al ginocchio, e d'una specie di bournous o mantello posto da un lato, pantoffole, ed una piccola berretta; tutte le quali cose, devon essere di color nero, ad eccezione della camicia le di cui maniche estremamente larghe rimangono scoperte e pendenti.

Quando i Giudei passano avanti ad una moschea, sono obbligati di levarsi le pantoffole, come pure innanzi alle case del kaïd, del kadi, e de' principali musulmani. A Fez ed in alcune altre città non possono camminare che a piedi nudi.

Se scontransi in un musulmano di alto rango devono a una certa distanza precipitosamente gettarsi sulla sinistra, lasciar in terra le pantoffole in distanza di un passo o due, e porsi in sommessa attitudine col corpo tutto piegato davanti, finchè il musulmano sia passato, e trovisi a considerabile distanza. Se non si prestano subito a così umiliante dimostrazione, come a quella di smontare da cavallo quando scontransi in un seguace di Maometto, vengono severamente castigati. Io dovetti più volte richiamare i miei soldati o domestici, che avventavansi contro questi sgraziati per batterli, quando avevano tardato un istante a porsi nell'attitudine prescritta dal despotismo musulmano.

Malgrado tutto questo i Giudei fanno a Marocco un grandissimo commercio; e più d'una volta ebbero la ferma delle dovane: accade però d'ordinario ch'essi vengano spogliati dai Mori o dal governo. Quand'io v'andai la prima volta aveva due giudei tra i miei domestici, ai quali, vedendoli così duramente trattati, chiedevo perchè non riparavansi in altri paesi; ed assi mi rispondevano di non lo poter fare per essere schiavi del Sultano.

I Giudei sono i principali artigiani di Tanger quantunque travaglino più male del peggiore artigiano europeo. Da ciò può argomentarsi cosa siano gli artigiani mori. Ma nel medesimo tempo i giudei hanno una particolare destrezza nel rubbare, vendicandosi dei cattivi trattamenti dei Mori col giontarli continuamente.

I Giudei hanno in Tanger alcune sinagoghe; ed hanno pure alcuni santi, o savj che vivono una vita beata a spese degli altri, come in tutte le sette.

Le donne ebree sono generalmente belle, ed alcune bellissime, che per lo più diventano le amanti dei Mori, lo che talvolta contribuisce ad avvicinare le due sette nemiche. Estremamente bello è il colorito delle ebree, mentre la tinta delle more è d'un bianco smaccato che s'assomiglia a quello delle statue di marmo bianco, sia per cagione della vita sedentaria che menano, o perchè vivono sempre rinchiuse nelle loro case; e se sortono talvolta, sortono coperte in maniera che il loro volto non rimane mai esposto all'aria aperta.

La sola misura lineare che conoscasi in Marocco è la draa, che dividesi in otto parti chiamate tomins.

Non essendovi campione o modello originario per l'esatta dimensione della misura, difficilmente se ne trovano due rigorosamente eguali, ma per un termine medio tra le differenti draa che io paragonai ai miei modelli europei, trovai che quella di Marocco è uguale a 244, 7 linee della tesa di Francia, e a 0,55126 d'un metro.

La misura di capacità per i grani chiamasi el moude: de' quali ve ne sono due, il grande ed il piccolo, cioè il secondo la metà del grande.

Lo stesso difetto d'esattezza notata nella misura lineare trovasi ancora in questo. El moude è un cilindro vuoto assai mal fatto, la di cui capacità, avuto riguardo a tutte le imperfezioni, può essere considerato come eguale a 123 linee 56 di diametro, e 106 linee 29 di altezza, ciò che dà 856 pollici e mezzo cubi della tesa di Francia.

Anche il peso va soggetto alle medesime varietà o vacillazioni come le misure; ma finalmente dopo il confronto di molti di questi pesi co' miei campioni d'europa, risulta, preso un termine medio, che la libra di Marocco chiamata artal





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notes



1


Ali Bey parla sempre di venti leghe per grado. (Nota dell'Editore)




2


Il capitano parlava il linguaggio mogrebino. (N. dell'E.)




3


Kour'ann è il vero nome del Corano quale viene pronunciato dagli Arabi. (N. dell'E. F.)



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