Книга - Viaggi di Ali Bey el-Abbassi in Africa ed in Asia, v. 3

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Viaggi di Ali Bey el-Abbassi in Africa ed in Asia, v. 3
Ali Bey




Ali Bey al-Abbasi

Viaggi di Ali Bey el-Abbassi in Africa ed in Asia, v. 3





CAPITOLO XXVIII



Alessandria. – Antichità

Potrebbesi formare facilmente una piccola biblioteca dei viaggi in Egitto e delle descrizioni di questo paese, il quale quantunque conosciutissimo, lo fu assai meglio dopo che tanti letterati francesi i quali accompagnavano l'armata che l'occupò in sul finire dell'ora decorso secolo, ebbero modo di esaminare in tre anni tutto quanto può meritare l'attenzione d'un osservatore. Forse più nulla rimane a dirsi di nuovo intorno alla patria di Sesostri, ma non è possibile di trovarsi in così celebre contrada, e di allontanarsene come un'ombra fuggitiva e muta, senza pagarle qualche tributo d'ammirazione. La posizione geografica d'Alessandria è di 31° 13′ 5″ di latitudine settentrionale, e di 27° 35′ 30″ di longitudine meridionale dell'osservatorio di Parigi.

È noto che l'antica Alessandria, uno de' più grandi emporii di commercio, e soggiorno della splendida corte de' Tolomei, era una immensa città che conteneva più di un milione d'abitanti. La sua dogana produceva in quei felici tempi enormi somme, che potrebbero valutarsi a circa sessantacinque milioni di franchi all'anno, il di cui valore relativo in ragione del presente abbassamento di prezzo dell'argento, può essere considerato equivalente a sei milliardi di franchi. Adesso non produce che un mezzo milione all'incirca.

Riferiscono gli Storici che quando gli Arabi conquistarono questo paese ai tempi del Califfo Omfor, Alessandria contava quattromila palazzi, altrettanti bagni pubblici, quattrocento mercati, e quarantamila Giudei tributarj. Tutti questi edificj più non esistono, ed appena si sa quale sia il luogo che occupavano.

Gli Storici ricordano un infinito numero di giardini e di orti che abbellivano i contorni della città: oggi non è circondata che da sterili deserti.

Finalmente questa magnifica città, opera del Magno Alessandro, doviziosa capitale de' Tolomei, non è più che l'ombra della sua passata grandezza. Un immenso ammasso di ruine in gran parte coperte da banchi di sabbia, la colonna di Pompeo, gli obelischi di Cleopatra, le cisterne, le catacombe, ed alcune colonne intiere o spezzate qua e là sparse sopra una superficie di alcune leghe, sono i soli testimonj del suo antico splendore. Un recinto di alte e larghe mura di circa due leghe con torri in parte ruinate, e molti casolari sparsi tra i rottami di caduti edificj occupano questo spazio: e questi sono i miseri avanzi dei mezzi tempi, ossia della seconda età d'Alessandria quando passò in potere dell'islamismo. Una popolazione di circa cinquemila abitanti d'ogni colore, d'ogni nazione, d'ogni culto, collocata sopra un'angusta lingua di terra che si prolunga entro al mare, senz'altri prodotti che quelli d'un commercio senz'attività, e che in quest'anno per colmo di sue sventure ha perduta l'unica acqua bevibile che possedeva: tale è lo stato della moderna Alessandria.

La massa principale degli abitanti è composta di Arabi, vale a dire di uomini generalmente ignoranti e grossolani: ma che invece d'essere indocili e cattivi verso i Cristiani, li servono, e soffrono perfino i loro capricci ed ingiustizie come se fossero loro schiavi. Io penso che in addietro questo popolo, anche per il solo motivo de' suoi pregiudizj religiosi, fosse assai meno affabile verso i Cristiani; ma la spedizione de' Francesi fece loro credere che il Cristiano non abbia in orrore il Musulmano, perchè avendo allora bastanti forze per farla da padrone, li trattava come fratelli: e queste circostanze produssero una fortunata rivoluzione nello spirito di questa gente. Gl'immensi vantaggi della civiltà, della tattica militare, dell'organizzazione politica, delle arti e delle scienze delle nazioni Europee ch'ebbero opportunità di notare, e le idee filantropiche comuni a tutte le classi della società ch'ebbero abbastanza tempo di apprezzare, loro ispirarono una specie di rispettosa ammirazione per nazioni che possedono così vantaggiose qualità sopra gli Arabi ed i Turchi.

Alcuni piccoli orti posti entro l'attuale recinto d'Alessandria, e sopra lo spazio che occupava l'antica città, non hanno che palme assai belle, e pochi altri alberi fruttiferi stentati perchè non possono inaffiarsi che coll'acqua de' pozzi. Per andare a passeggiare in questi giardini, e per passare da un canto all'altro della città adoperansi certi asini di così piccola razza, che appena bastano perchè il cavaliere non tocchi il suolo; ma la piccolezza è largamente compensata dalla loro vivacità e velocità del movimento, equivalendo l'ordinario loro passo al trotto forte di un cavallo. Vedonsi questi animali carichi di un uomo, e talvolta di enormi pesi correre continuamente da una all'altra parte della città come fossero cavalli di posta. I loro condottieri vanno sempre a piedi correndo quanto possono per poterli seguire, lo che spesse volte serve di piacevole intrattenimento agli spettatori. Io misurai l'altezza di questi interessanti animali, e trovai che il termine medio era di trentanove pollici di Francia, e taluno pure non ne ha più di trentasette. Quanto utili sarebbero questi animali nelle grandi città dell'Europa! Il loro giornaliero mantenimento non arriva al quarto di ciò che consuma un cavallo o un mulo, e i servigi che prestano sono egualmente grandi.

I cavalli che si vendono in Alessandria sono di razze diverse dell'Egitto, dell'Arabia, della Siria, dell'Affrica, ma tutti assai mediocri, ed i pochi buoni vi si vendono carissimi. Le staffe più grandi di quelle che si costumano a Marocco hanno alcuni angoli acuti che servono per spronare il cavallo. Qui come in Cipro quando uno è sceso da cavallo, non ha più nulla a pensare: il domestico lo prende per la briglia, e lo fa lentamente passeggiare per un quarto d'ora, onde l'animale passi gradatamente dallo stato di violento movimento a quello di riposo.

Trovansi in città molte persone che fanno professione di seguire il cavallo a piedi, e di averne cura, e sono chiamati di sàiz. Quando si acquista o si vende un cavallo, questi fanno le veci di cozzone; e quando si sorte a cavallo il sàiz cammina avanti con un bastone rosso o verde lungo sette in otto piedi, che tiene perpendicolarmente in una mano. I Pascià, ed i grandi sono preceduti da molti sàiz, che allora camminano due a due; e per poco che tale corteggio sia numeroso rassomiglia a certe processioni da me vedute in Europa.

Alessandria manca di scuole per le scienze, e perfino l'arte dello scrivere è ridotta in pessimo stato, perchè non venendo i maestri di scuola sottoposti a verun esame, formano ì caratteri della scrittura a capriccio; alterando ognuno a modo suo le lettere dell'alfabeto. I Cofti, i Greci, i Giudei, e dirò ancora ogni tribù hanno tratti e gradazioni insensibili; onde non basta la vita d'un uomo per imparare a leggere speditamente. Coloro che vogliono imparare le scienze vanno al Cairo.

Gli avanzi degli antichi edificj fatti di pietre, e coperti dall'arena, sono le cave ove gli abitanti della nuova Alessandria prendono i materiali per fabbricare le loro case. Tutto questo spazio è inoltre seminato di cisterne, alcune delle quali ornate da più ordini di colonne con archi gli uni sopra gli altri. Vi si vedeva anticamente una moschea detta moschea dalle mille colonne.

Molte colonne dissotterrate in questo luogo erano state in varie epoche condotte sulla riva del mare, di dove volevansi trasportare in diversi paesi di Europa; ma trovandosi un giorno in porto una flotta turca, e spiacendo ai capitani che la comandavano di non avere un comodo sbarco, fecero gettare in acqua tutte le colonne, ammonticchiandole le une sulle altre; ed in tal modo sorse ad un tratto un molo di preziosissimi materiali, rapiti un'altra volta e forse per sempre al lusso europeo.

Gli obelischi, detti ancora guglie di Cleopatra, trovansi in sull'estremità del porto di levante, presso ad una grossa torre chiamata la torre lunga. Sono due, una in piedi e l'altra rovesciata in terra, ambedue di granito rosso di tegola, e coperte di geroglifici assai ben conservati sopra alcuni lati, in altri quasi affatto cancellati. Si fecero alcuni scavamenti per discoprirli del tutto; e perchè i dotti europei ne hanno fatta un'accurata descrizione, come pure della colonna di Pompeo, e delle catacombe reali, ne ho copiato i loro disegni. La base dell'obelisco in piedi è appoggiata sopra tre scaglioni di marmo bianco cocleare.

La colonna Pompea, colosso forse unico nel suo genere, dello stesso granito degli obelischi fu pure esattamente descritta. È questa composta di quattro blocchi[1 - Termine usato universalmente dagli artisti per dinotare un pezzo di marmo grezzo.] che formano il piedestallo, la base, il fusto ed il capitello: il fusto è lungo sessantatrè piedi un pollice e tre linee, sopra otto piedi due pollici e due linee di diametro nella parte inferiore. Quanto mai sono fallaci i sensi degli uomini! In distanza di cinquanta passi da questo monumento, l'occhio ancora non s'accorge della grandezza del colosso che gli sta d'avanti; e l'immaginazione anche a brevissima distanza non è altrimenti colpita da così enorme mole. Ciò procede dal trovarsi la colonna sopra una piccola altura senza avere in vicinanza verun oggetto di ordinaria dimensione, che faccia le funzioni di scala di agguaglio. I sensi rappresentanci una grande colonna, e nulla più, ma quando s'arriva in distanza di soli dieci o dodici passi, allora, come ci cadesse tutt'ad un tratto una benda dagli occhi, vediamo tutta la grandiosità del monumento. Noi impariamo a vedere toccando, e qui l'occhio non dà la misura dell'oggetto che quando siamo vicini a toccarlo, o in istato almeno di agguagliare alcune delle sue parti col nostro corpo: allora un lampo di luce viene a sorprendere la nostra immaginazione scoprendoci la maravigliosa mole che abbiam sotto gli occhi. Io sperimentai più volte questo fenomeno dell'ottica, che le persone dell'arte hanno dottamente spiegato. Il capitello forato in più luoghi ci fa conoscere che altra volta sosteneva una statua. Ignorasi affatto l'epoca della colonna e degli obelischi; ed i nomi di Cleopatra e di Pompeo non possono risguardarsi che quali moderne intitolazioni, mentre questi monumenti sono più antichi de' personaggi da cui ebbero il nome. Quello di Severo dato da taluni alla colonna è ancora più assurdo perchè non ha altro fondamento che l'ignoranza della lingua araba. Questi popoli la chiamano el Souari, vocabolo che significa colonna, e che nella imperfezione della scrittura araba scrivesi cogli stessi caratteri o lettere che il vocabolo Severo; lo che diede luogo all'errore.

Alcuni Arabi più istruiti pensano che la colonna sia opera d'Alessandro, da loro detto Scander: ma io ho trovato fra i dotti del paese una più rispettabile tradizione, e più analoga alla natura ed alla grandezza dell'oggetto; questa vuole che la colonna fosse inalzata a' tempi di Ercole, ch'essi dicono Scander-el-Carnéinn, ossia Alessandro dai due secoli, perchè la traduzione lo fa vivere due secoli; e non Alessandro dalle due corna, come alcuni autori tradussero questo nome. Carn significa secolo, e carneinn, duale di carn, due secoli.

Le catacombe o grotte che formano l'antica Necropoli, (città de' morti) sono un altro oggetto degno dell'attenzione del viaggiatore. Molte sono cavate nella roccia a guisa di camere più o meno grandi, con uno, due e tre ranghi di nicchie destinate a ricevere i corpi. Presso alla casa di un marabotto detto Sidi-el-Pabbari vedesi una specie di strada tutta composta di catacombe poste a' piedi di due côlli l'uno in faccia all'altro. Da una banda quasi tutte le catacombe sono chiuse dalla sabbia, ad eccezione di una grandissima che contiene tre sale ed un infinito numero di nicchie. Dall'altro lato numerai undici catacombe in generale assai ben conservate, le quali hanno tre ranghi di nicchie.

Ma le più magnifiche grotte sono quelle al S. O., due miglia distanti dalla città. Sembra che queste fossero destinate ai re d'Egitto; ed oggi sono ridotte ad estremo deperimento; onde non tutte sono praticabili. Prima d'inoltrarvisi convien tirare alcuni colpi di fucile o di pistola per atterrire le bestie feroci che d'ordinario ricoveransi in questi lugubri soggiorni, come per mettere l'aria in movimento. Si entra poscia con più fiaccole, e muniti d'una corda che serve di guida per il ritorno, attaccandone una estremità all'ingresso.

Per l'eccessivo calore che vi regna si suda come in un bagno a vapore, talchè prima d'uscire fummo forzati d'intrattenerci mezz'ora nel primo salone, mettendoci gradatamente al livello dell'esterna temperatura. Le tenebre sono così dense, che più fiaccole riunite appena bastano per distinguere alcuna cosa assai da vicino, anche dopo esservi rimasti un'ora, e quando la pupilla dell'occhio ha già acquistato tutto il dilatamento di cui è capace. Le bestie feroci che abitano queste catacombe vi portano le loro prede per divorarle, onde il suolo è pieno di ossa d'ogni specie d'animali, alcune delle quali recentemente spogliate. Non sonovi pipistrelli come in quelle di Amatunta, ma in vece un infinito numero di falene, ossiano farfalle notturne, e mosche di vivaci colori come le cantaridi. Vi si trovano pure molti rospi i di cui buchi s'internano nel suolo, ove trovano l'acqua a poca profondità: la loro pelle d'un bianco grigio sembra coperta di polvere. Tali sono i presenti abitatori di questo soggiorno della morte, che l'uomo preparò con tanto lusso onde perpetuare l'esistenza delle mortali sue spoglie. I corpi postivi dalla vanità, ridotti da più secoli in polvere, non lasciarono veruna traccia, ed ignoriamo i nomi di tutti coloro che fecero scavare questi monumenti.

A pochi passi all'ovest delle catacombe vedonsi i bagni di Cleopatra, i quali sono composti di tre camere cavate nella roccia, di forma quasi quadrata di circa undici piedi da ogni lato. L'acqua del mare può entrarvi per tre aperture alcuni piedi più alte del suolo. Bagni accanto alle case della morte?.. Per chi, ed in qual tempo furon fatti?.. Nulla, assolutamente nulla sappiamo di tutto questo. Oh perdita irreparabile della biblioteca d'Alessandria…! Ma io rispetto la decisione del Califfo del maggior de' profeti.

Seguendo la riva del mare una lega più all'O. si trova l'abitazione d'un marabotto detto Sid iel-Ajami. È questo il luogo in cui sbarcò l'armata francese.




CAPITOLO XXIX




Abitanti d'Alessandria. – Corrispondenza. – Clima. – Notizie storiche.


La mescolanza degli abitanti d'Alessandria è cagione che vi si parlino tutte le lingue del mondo; ma tutte male, perchè in questa moderna Babele si dimentica poc'a poco il linguaggio materno per parlare i diversi idiomi di coloro, dai quali desideriamo di essere intesi. I fanciulli imparano nello stesso tempo senza maestro tre o quattro lingue senza che mai ne sappiano una perfettamente.

I Cofti discendenti, come ognun sa, dagli antichi abitanti d'Alessandria e dell'Egitto sono adesso ridotti ad un migliajo d'individui o poco più, quasi tutti commercianti. Avevano altra volta pel loro culto un magnifico tempio, che fu spianato per iscoprire il fuoco della piazza.

Di Greci stabilmente domiciliati in Alessandria non vi sono quaranta famiglie; ma sempre vi sono molti Greci di passaggio, perchè la maggior parte de' bastimenti che vi approdano o sono greci o con equipaggio greco. Il patriarca d'Alessandria, uomo rispettabile e dotto, risiede col vescovo nel convento di questa religione. Sonovi inoltre alcuni cattolici della Siria, che fanno un piccolo commercio eventuale.

Si contano in Alessandria più di trecento Giudei occupati del commercio, e dell'usura, i quali mantengono una vivissima corrispondenza con Livorno. Adesso non hanno che alcune sinagoghe provvisorie, perchè la loro grande sinagoga corse il destino della chiesa de' Cofti.

I Cristiani ed i Giudei del paese vestono all'orientale, senza verun segno che li distingua dagli altri; sono ben trattati dai Turchi e dagli Arabi: perciò fanno i loro affari, celebrano le loro feste, professano la propria religione, e spiegano tutto il lusso che loro piace con tutta libertà, e senza timore d'avanie.

I Franchi, ossia Europei di qualunque nazione, e le loro donne vestono all'europea con tutto il lusso, e secondo la moda giornaliera. Abitano tutti in un quartiere che rassomiglia perfettamente ad una città d'Europa. Uomini e donne escono dalle case loro di giorno e di notte, suonano e cantano per le strade senza che giammai un musulmano commetta contro di loro la più piccola scortesia. Questa libertà stendesi ancora a' semplici protetti dei consolati, i quali vestiti all'europea godono degli stessi diritti degli Europei, quantunque siano giudei del paese. Quale differenza con Marocco!

I Cattolici possedono in Alessandria una chiesa ed un convento posti sotto la protezione della Francia, come lo sono tutti gli stabilimenti religiosi di Levante, d'ordinario poi sono mantenuti dalla Spagna.

Le donne del paese cristiane ed ebree sortono velate, e vivono ritirate come le musulmane, mentre le europee godono della stessa libertà che hanno in Europa. Tra le cristiane e le ebree non sono rare le belle: ma se della bellezza delle musulmane dobbiamo giudicarne da' loro fanciulli, non potressimo formarcene una vantaggiosa idea, perchè tutti hanno forme ributtanti, ventre grosso, gambe corte e cagnesche, testa sproporzionata, occhi affetti d'oftalmia e cisposi, colore citrino verdognolo: mentre i figli delle europee nati ed ellevati in Alessandria sono belli e ben fatti come nella patria de' loro genitori. Quanto diversi sono i fanciulli musulmani di Féz, che frequentemente ci mostrano delle figure angeliche!

In vista dell'estesissimo commercio di questa città parrà strano che non siavi alcuno stabilimento pubblico per diramare le lettere, e perciò la corrispondenza si eseguisce per mezzo dei patroni de' batelli che vengono frequentemente da Smirne, da Costantinopoli, e da altri luoghi. Arrivati in Alessandria scorrono le strade e le case colle lettere avviluppate in un fazzoletto, e chiunque aspetta lettere, domanda il sacco, e visita tutte le lettere perchè d'ordinario il portatore non sa leggere, onde la corrispondenza rimane esposta all'indiscrezione, o all'interesse speculatore di qualche negoziante.

Benchè il clima d'Alessandria sia caldo non lo è per altro in ragione della sua posizione geografica. I venti di mare vi regnano tutta l'estate, e vi mantengono l'aria umida, di modo che il mio igrometro segnava un alto grado d'umidità in uno de' più caldi giorni ch'io vi provassi nel luglio e nell'agosto; ed il termometro all'ombra non si alzò mai oltre i ventidue gradi di Reaumur.

L'oftalmia risguardata come la sola malattia endemica del paese, parmi procedere da una causa affatto meccanica: essendo senza dubbio l'effetto di alcuni grani di sabbia impalpabile, di cui l'atmosfera è sempre ingombra. Penetrando questa nell'occhio, vi eccita una specie di prurito, che provoca a strofinarsi. Siccome l'organo è d'ordinario irritato dal riverbero del sole e della polvere salina, la più leggiera confricazione allorchè la sabbia è penetrata nell'occhio lacera la pellicola, e produce l'infiammazione. Poche persone sfuggono a questa malattia. Convinto di questa verità allorchè mi sentivo qualche corpo straniero nell'occhio resistevo costantemente al prurito, e tale precauzione mi salvò dall'oftalmia.

Fui meno antiveggente pei cambiamenti di temperatura in autunno; i quali sono in questo così improvvisi, che nello spazio di tre o quattr'ore provansi più variazioni di caldo e di freddo; onde vi soffersi una leggiera indisposizione.

Benchè la storia de' paesi da me visitati possa sembrare straniera all'itinerario de' miei viaggi, la singolare situazione politica dell'Egitto, paese privo di sovrano territoriale, e che gode d'una specie d'indipendenza anarchica domanda una particolare attenzione.

Dietro le notizie che ho potuto procurarmi sul luogo, darò dunque un cenno intorno alla sua situazione dalla spedizione francese fino al giorno della mia partenza per la Mecca.

È noto che un branco de' Francesi che occupavano l'Egitto dovettero cedere agli sforzi riuniti di un'armata inglese di 23,400 uomini, comandata dal generale Abercrombis; di un'armata turca di 6,000 sbarcata ad Aboukir, sotto gli ordini di Hassan Pascià, Capitano Pascià della porta Ottomana; di un'altra armata inglese di 6,000 diretti dal general Beird sbarcato a Suez, e di una quarta armata turca di 28,300 uomini, proveniente dalla Siria comandata dal Gran Visir; che uniti a 27,000 marinaj ed impiegati forma un totale di 70,700 uomini. Col mezzo di questa forza l'Egitto rimase in potere degl'Inglesi e de' Turchi.

Alcun tempo dopo in forza del trattato d'Amiens gl'Inglesi evacuarono il paese, Hassan Pascià si ritirò, ed il governo d'Egitto rimase tra le mani di Mehemed Pascià che aveva un corpo di truppe turche ai suoi ordini, composte in gran parte d'Albanesi e d'Arnauti. Ben tosto gli Albanesi si ribellarono contro il Pascià turco, e chiamarono i Mamelucchi che vivevano ritirati nell'alto Egitto. Questi non tardarono ad averne l'esclusivo comando, e gli Arnauti rimasti semplici soldati al servizio dei Bey, non soffrirono a lungo la loro signoria, si rivoltarono, e ne fecero perir molti; gli altri si salvarono nell'alto Egitto. Quando cominciò la sollevazione del Cairo, il bravo Osman Bey Bardissi trovavasi in casa con una ventina al più di Mamelucchi. Attaccato da alcune migliaja d'Arnauti, fa tranquillamente sellare i cavalli, indi tutt'ad un tratto facendo aprire le porte piomba come un fulmine sugli Arnauti, attraversa le loro file, e si ritira nell'alto Egitto ove trovasi anche al presente[2 - Dopo l'epoca di cui parla il nostro viaggiatore Osman Bey fu avvelenato. (Nota dell'Editore Francese)]. È verosimile che questa sollevazione fosse organizzata da Koursouf Pascià, governatore d'Alessandria, e che i scheich del Cairo non vi fossero stranieri.

Koursouf si recò subito al Cairo, e prese il comando dell'Egitto: ma gli Arnauti sempre inquieti, ed altronde tormentati dai scheih del Cairo abbassarono Koursouf, e gli sostituirono Mehemed Alì attuale Pascià.

Mentre i Mamelucchi erano al Cairo, la Porta aveva nominato governatore d'Alessandria l'inquieto Alì Pascià ch'erasi di già fatto conoscere nella rivoluzione di Tripoli di Barbaria, ov'era stato alcun tempo Pascià intruso. Venne in Alessandria con istruzioni d'indebolire la potenza degli Arnauti e de' Mamelucchi, per rimettere l'Egitto sotto l'immediata ubbidienza della Porta. Era seguito da un corpo di truppe di lui degne: l'indisciplina, il disordine, la licenza loro erano giunte a tale, che non facevansi riguardo di tirare dei colpi di fucile contro le persone che incontravano per istrada, e che gli prendeva voglia d'uccidere senza veruna ragione. Gli Europei e le loro case non erano sicure da tanta licenza, e le case de' consoli non erano in verun modo rispettate. Dal suo canto Alì Pascià ch'era il più crudel uomo che immaginare si possa, non lasciava passare un solo giorno senza fare strozzare qualche vittima, facendone poi gettare i corpi nel mare; mentre altre ne faceva assassinare segretamente nelle catacombe. Tale era l'uomo che la Porta incaricava di rimenare l'Egitto sotto le sue leggi.

Infruttuosi riuscirono i reclami de' Consoli Europei al Pascià per metter fine agli eccessi delle sue truppe, onde risolsero di andare colle loro famiglie a bordo di una fregata che trovavasi in porto, e di là spedirono le loro rimostranze ai rispettivi ambasciatori a Costantinopoli.

Alì Pascià intimidito da questo passo dei Consoli gl'invitò a trattare con lui; e finalmente accettarono la proposizione di ritornare alle loro case dopo avere solennemente capitolato col Pascià.

Terminata questa vertenza, ottenne da' Mamelucchi e dagli Arnauti di poter recarsi senza truppe al Cairo. Ma appena vi fu arrivato, facendo avanzare le sue truppe, furono sorprese e disfatte in sulla strada. In conseguenza Alì Pascià ebbe ordine di sortire dal Cairo e dal paese, prendendo la strada della Siria. Il terzo giorno il corpo de' Mamelucchi che lo scortava, rimasto addietro, fece fuoco contro di lui, che ne rimase ucciso con tutta la sua gente.

Mentre ciò accadeva in Egitto, la politica andava preparando per quel paese e pel commercio europeo del Levante un'assai più importante rivoluzione, che andò poi fallita.

Quando gl'Inglesi evacuarono l'Egitto, il Mamelucco Elfi Bey schiavo ed erede di Murat Bey partì con loro alla volta di Malta con intenzione di recarsi a Londra. Ma perchè le circostanze politiche variavano ad ogni istante, e l'importanza della persona d'Elfi Bey ne seguiva le vicende; stanco della poca considerazione in cui dagl'Inglesi era tenuto a Malta, pensò di entrare in trattative colla Francia; ed era già pronto ad imbarcarsi per andarvi, quando gl'Inglesi gli offrirono una nave per passare a Londra; ove appena sbarcato concertò tutto quanto poteva ad un tempo convenire alla propria ambizione, ed agl'interessi della Gran Brettagna. Gli furono in conseguenza assegnati fondi e mezzi per ingrandirsi, e convenuto il piano di condotta che doveva tenersi verso l'Egitto.

Ricolmo di doni e di ricchezze fu Elfi ricondotto in Egitto sopra una fregata inglese: ma Osman Bey Bardissi, il più valoroso ed influente di tutti i Bey adombrato del ritorno d'Elfi, e temendone l'ingrandimento, dispose di disfarsene ad ogni costo. Quando seppe ch'era sbarcato in Egitto, trovò chi si prese l'incarico di avvelenarlo, e temendo che non bastasse il veleno, gli tese insidie per assassinarlo sulla strada.

Elfi dubitò, o fu segretamente avvisato del pericolo che gli sovrastava, e fuggì a cavallo a traverso al deserto, solo, senza danaro, e privo di tutto. Si racconta, che entrato senza saperlo nella tenda di un Bedovino suo nemico mentre non eravi che la sua sposa, palesò il proprio nome per ottenere qualche soccorso. Spaventata la donna del suo pericolo, gli diede viveri ed acqua, pregandolo a fuggir subito onde non essere sorpreso dal marito che mortalmente l'odiava. Elfi approfittò del consiglio. La donna raccontò al marito l'accadutole, il quale non dimenticando in quel primo impeto di collera i generosi sentimenti che lo animavano: donna, gli rispose, se io l'avessi trovato qui non so quello che avrei fatto… forse l'avrei ammazzato… ma… io t'avrei egualmente uccisa, se tu gli avessi rifiutata l'ospitalità, ed i necessarj soccorsi. Tratto maraviglioso di cui non trovansi frequenti esempi nella storia.

Tutti gli effetti preziosi ch'Elfi aveva portati da Londra furono dopo la sua fuga spezzati, saccheggiati, e venduti. Unitosi ad alcuni Mamelucchi suoi partigiani si stabilì nel deserto; e col danaro ch'ebbe dagl'Inglesi non tardò ad ingrossare il suo partito, e sentendosi abbastanza forte, dopo avere sottomesso alcuni dovar, e tribù, venne a bloccare la città di Damanhour poco distante da Alessandria. Ma gli abitanti ch'eransi dichiarati contro di lui, si difendono già da due anni con una piccola guarnigione di Arnauti.

Intanto gl'Inglesi, e gli agenti d'Elfi ottennero firmani dal Gran Signore che lo dichiaravano Schèih-el-Beled, ossia principe feudatario dell'Egitto. Per far eseguire questi firmani la Porta spedì il Capitano Pascià con tutta la squadra ottomana, e spedì inoltre con alcune truppe Mussa Pascià di Salonicchi, come governatore del Cairo: ma Mehemed Alì ed i Scheih di questa città si opposero a tale disposizione, e dopo alcune trattative col capitano Pascià, e colla corte di Costantinopoli, ottennero nuovi firmani in favore di Mehemed Alì. Il capitano Pascià e Mussa Pascià ritiraronsi senza aver fatto nulla il 18 ottobre 1806; ed Elfi Bey rimase solo ed abbandonato nel deserto. Fu questi senza dubbio un fatal colpo per gl'Inglesi, che perdettero i frutti di tanti sacrificj, ed i vantaggi che loro assicurava l'esclusivo commercio dell'Egitto. Ciò è quanto mi fu raccontato, ma io non guarentisco che la verità di ciò che ho veduto io stesso, e quantunque il capitano Pascià e Mussa Pascià mi dassero non equivoche testimonianze di considerazione e di amicizia, portato dai mio carattere più alla contemplazione dalla natura che agl'intrighi degli uomini, mi tenni sempre lontano da simili affari.

Rimasi diciannove giorni accampato fuori d'Alessandria con tutta la mia gente, nel qual tempo raccolsi molte piante marine, e disegnai la veduta d'Alessandria. Avanti di partire da Alessandria il capitan Pascià ebbe la delicatezza di presentarmi, senz'averla richiesta, una lettera commendatizia per Mehemed Alì, un'altra per il Pascià di Damasco, ed un firmano pel Sultano Scheriffo della Mecca.




CAPITOLO XXX




Tragitto a Rosetta. – Bocche del Nilo. – Rosetta. – Viaggio al Cairo pel Nilo.


Dopo il soggiorno di cinque mesi e mezzo in Alessandria, ripresi il mio pellegrinaggio il giovedì 30 ottobre 1806, e m'imbarcai sopra un dierme accompagnato da alcuni de' principali Scheih della città, che vollero seguirmi per due ore di navigazione. Il dierme è un bastimento scoperto a vele latine o triangolari. Quello che m'aveva ricevuto a bordo era de' più grandi, ed a tre alberi, con una gran vela ad ogni albero. La lenta manovra di queste navi le espone a frequenti pericoli; e non passa anno senza qualche naufragio al pericoloso passaggio delle barre del Nilo. Non potendo per cagione del vento assai fiacco giugnere avanti sera alle bocche del Nilo, si diede fondo nella rada d'Aboukir alle quattro della sera.

Il 31, alle sette ore e mezzo arrivammo alla barra del Nilo, la quale è posta quattro miglia all'incirca entro al mare. D'ordinario l'onda è assai gagliarda per l'urto delle acque del mare con quelle del Nilo; e perchè i passaggi praticabili cambiano continuamente di luogo, vi sta continuamente un battello per indicarli alle navi. Malgrado questa precauzione, essendo la barra assai larga, in tempo che il Nilo è povero d'acque non avvi legno per piccolo ch'egli sia, la di cui chiglia non tocchi più volte la sabbia; ciò che stanca assai gli equipaggi, e li espone a perdersi. Quand'io passai, essendo il Nilo gonfio ed il mare tranquillo, si attraversò la barra senza quasi avvedersene.

Mancato affatto il vento si gettò l'ancora sul Nilo poco più addentro della barra. Come è bella la vista di questo mare d'acqua dolce! la bocca del Nilo era ancor lontana più di una lega, e pure bevevamo le acque del Nilo perfettamente dolci, che rispingono quelle del mare assai al di là della barra. Alle nove ore e mezzo un vento favorevole ci portò in mezz'ora alla bocca del Nilo… Quale sorprendente spettacolo! Un maestoso fiume le di cui acque s'avanzano lentamente fra sponde coperte di alberi d'ogni specie, da vasti campi di riso che mietevasi allora, da una infinita varietà di piante aromatiche, da casali, da capanne, da case qua e là sparse, da vacche, da montoni, e da diverse specie d'uccelli che facevano risuonar la campagna co' loro canti, mentre copriva il Nilo un infinito numero di oche, d'anatre e d'altri uccelli acquatici, tra i quali si distinguevano alcune truppe di cigni, che sembravano aver signoria sugli altri. Ah perchè mai la Dea d'Amore non scelse per suo soggiorno le rive della foce del Nilo?

Lasciando a sinistra il forte Giuliano, e a destra l'isola Verde, che deve la sua origine ad un dierme naufragato, sul quale la sabbia e la melma ammonticchiandosi ne fecero poco a poco una vasta isola ora coperta di case e di giardini.

In una sinuosità del fiume prendendo il vento da prua, tutti gli equipaggi del nostro, e di altri tredici dierme che ci accompagnavano, saltarono a terra, rimurchiando il proprio bastimento colle corde, finchè in un giro prendendo vento in poppa, furono rimesse le vele, e si giunse in sul mezzogiorno a Rosetta. Sbarcato all'istante andai ad alloggiare nella casa che un arabo mio amico mi aveva preparata.

Rosetta posta sulla riva sinistra del Nilo è poco larga, ma lunga assai. Le case sono fatte di mattoni come quelle della vicina campagna, ed hanno quattro o cinque piani; lo che unitamente alle molte finestre ed alle grandi e sontuose torri, la fa parere una bella città d'Europa. Se poi vi si aggiunga la vicinanza d'un vasto fiume, ed al di là la prospettiva del Delta, la bontà del clima, e l'eccellenza de' suoi prodotti, è facile il giudicare quanto delizioso ne sarebbe il soggiorno, se le benefiche disposizioni della natura non fossero contrariate dagli uomini.

Rosetta è governata da un Agà arnauto detto Alì Bey, che d'ordinario tiene sotto i suoi ordini trecento soldati della sua nazione. Eravi accidentalmente in questo tempo un altro Alì Bey turco figliuolo d'un antico Pascià; onde eravamo nello stesso tempo tre Alì Bey a Rosetta.

In questa città fa la sua residenza un vescovo greco, ed adesso vi si trovava pure l'arcivescovo del Monte Sinai che recavasi dal Cairo a Costantinopoli, ov'era in pari tempo diretto anche il luogotenente generale del Capitano Pascià detto Kiùhia.

Non uscii quel giorno di casa che per visitare il celebre sig. Rosetti che mi fece una straordinaria accoglienza. La seguente domenica fu piovosa, e s'udirono gagliardi tuoni.

Il lunedì 3 ottobre m'imbarcai alle due ore dopo mezzogiorno sopra un càncha per rimontare il fiume. Il càncha è una specie di bastimento unicamente destinato alla navigazione del Nilo: rassomiglia ai dierme, ma ha di più una camera assai comoda divisa in due parti che ne formano una sola, ed un gabinetto circondati da belle finestre. Io vi occupai solo le camere, ed il rimanente della nave i miei domestici, equipaggi, e cavalli.

Alle due ore e mezzo si passò in faccia ad Abu Mandour, ed alle cinque giugnemmo presso Berinhal, borgata posta sulla riva destra dopo aver lasciato Lemir a sinistra.

Le frequenti sinuosità del Nilo obbligando gli equipaggi a rimurchiare spesse volte il bastimento, sono cagione che si prendono assai numerosi: il mio era di quattordici uomini. La sera si diede fondo tra i villaggi di Entaube, e di Edfina.


Martedì 4

Si spiegarono le vele con leggier vento alle otto ore del mattino, e dopo avere lungamente rimurchiata la nave, arrivammo a Fizzara villaggio posto dirimpetto all'altro di Schemschera sulla riva destra, ove vidi passare un feretro. Un uomo ben vestito, probabilmente l'iman, apriva il convoglio seguito da dodici o quindici persone; teneva loro dietro il morto portato sulle spalle da quattro uomini, e coperto da alcuni panni di diversi colori, l'ultimo de' quali era rosso. Era seguito da cento femmine all'incirca che mettevano altissime grida. Giunto il convoglio al luogo della sepoltura le donne si ritirarono, e gli uomini rimasero soli per seppellire il cadavere.

Ad ogni tratto incontravamo delle aje ove battevasi il riso; e le rive erano tutte coperte di vacche e di bufali, che scendevano anche nel fiume fino al collo, e talvolta ancora cacciavano la testa sott'acqua, e ve la tenevano uno o due minuti.

Alle cinque ore e mezzo della sera passammo presso al villaggio di Salmia, e tre ore dopo si gettò l'ancora fra la città di Rähmanieh posta sulla riva sinistra, ed il villaggio di Dessouk situato sull'opposto lato.

La vista di Rähmanieh, come quella delle altre città interne del basso Egitto, è alquanto trista. Le case sono fabbricate sopra piccole alture di terra nera, e fatte di mattoni mal cotti dello stesso colore, che non venendo imbiancati, danno a queste città un aspetto lugubre. Notai un quartiere della città tutto composto di colombaje fatte a guisa di pani di zucchero, o di cupole paraboliche. Accanto alla città trovavansi accampati circa mille Arnauti, che avevano molti battelli al lungo della loro linea.


Mercoledì 5

Si rimase all'ancora fino alle dieci ore, quando si mise alla vela con buon vento, che in breve tempo ci portò tra i villaggi di Morguese e di Maïdmoun, indi a Mehalet Abouaali e Caffer-Machar, in faccia al quale sulla opposta riva vedonsi molti gruppi di case nelle quali sonovi moltissime colombaje eguali a quelle di Rähmanieh; perciocchè scarseggiando in questi paesi le carni, vi si mangiano assai piccioni. In questo luogo le rive sono prive di alberi.

A mezzodì passammo innanzi a Saaffia, poi Mahhaladiaya, indi a Hheberhhil, Dameguiniddena, Schebberis, Saoun-el-Hajar, Nikleh, per ultimo Addahharie allora occupato da' Mamelucchi: per cui ci siamo ben guardati dall'avvicinarvici, tenendoci presso alla destra riva, ove trovasi il casale di Schabour.

Alle otto della sera giunti al di là di Noffa, il bastimento diede in secco sulla sponda destra; lo che ci forzò a passarvi la notte.


Giovedì 6

In sul far del giorno mi avvidi d'essere tra Nitmè e Caffer-el-Baga. Non bastando l'equipaggio a metter la nave a galla si fecero venire alcuni Arabi; ma si dovette restare a Caffer-el-Baga finchè durò un gagliardo vento di levante. Approfittai di questo contrattempo per iscendere a terra, ed osservarvi il passaggio del sole che mi diede per latitudine settentrionale di questo villaggio 30° 47′ 55″.

Dopo tre ore di lentissima navigazione arrivammo alle quattro a Mischla, ed un'ora dopo dovemmo gettar l'ancora per mancanza di vento.

Trovavansi colà ancorati due altri bastimenti, dai quali fummo informati che gli Arabi della riva sinistra avevano alquanto più sopra preso un bastimento, e che avevano due scialuppe armate.

Alle sei ore e tre quarti si fece vela con leggier vento, e passata Zaïra, si diede fondo alle otto e mezzo a Tounoub.


Venerdì 7

Il tempo burrascoso non ci permise di partire avanti le due dopo mezzogiorno. Dopo i villaggi di Komscherif, e di Tschan arrivammo alle quattr'ore e mezzo in faccia a Zaouch. Singolarissima è la vista di questo luogo. Figuriamoci un gruppo di cento cinquanta cupole paraboliche alte diciotto in venti piedi, la di cui base può averne dieci in undici di diametro, formate di terra e di mattoni neri, in mezzo alle quali s'inalza una torre. Queste cupole sono abitate da colombi, e la base dagli uomini; onde potrebbe dirsi essere questo un villaggio di piccioni con pochi individui della razza umana.

Avvicinandosi la notte, i tre equipaggi si posero in armi per esser pronti ad ogni avvenimento in caso che fossero attaccati dagli abitanti della riva sinistra.

Alle sei ore e mezzo, lasciato Nadir sulla sponda destra entrammo mezz'ora dopo nel canale di Menouf al S.O., abbandonando il tronco principale del Nilo, sul quale potevamo trovarci esposti agl'insulti degli Arabi della riva sinistra. Alle dieci ore si diede fondo nel canale.


Sabato 8

Si spiegarono le vele alle sette ore e mezzo fra una densa nebbia, dissipatasi la quale, trovai che il canale poteva in quel luogo avere duecento cinquanta in trecento piedi di larghezza. Ritenuti dalla calma non arrivammo a Menouf prima del mezzogiorno. Ad un'ora ci rimettemmo in viaggio, e si dovette rimurchiare fino a notte.


Domenica 9

Dopo essere rimasti all'ancora nel canale fino alle sette del mattino, si fece vela con un leggier vento, ed alle nove eravamo presso a Quèleti di dove incominciai a scoprire col cannocchiale le montagne del Cairo.

Vidi poco dopo sulla sponda diritta un villaggio con molte colombaje formate di segmenti di sfere di terra cotta, il di cui lato convesso è al di fuori, ed il concavo volto all'indentro serve di nido. Ogni sfera può avere un piede di diametro, ed ogni colombaja è composta da molte sfere ordinate in cupole paraboliche; una sola finestra serve all'ingresso ed all'uscita de' colombi; ed il padrone vi entra per un'apertura fatta nella base della cupola. Al di fuori sono assicurati nel muro molti bastoncelli perchè possano appollajarvisi i piccioni.

Alle dieci ore e mezzo entrammo nel tronco sinistro del Nilo che scende a Damiata. Il canale di Menouf riceve le acque del tronco destro del Nilo, e le versa nel sinistro. Alle dieci e tre quarti ci ancorammo sul braccio sinistro del Nilo, di dove vedevo perfettamente le due grandi piramidi benchè distanti ancora dodici leghe.

Si mise alla vela alle undici ore e mezzo, e dopo sei ore e mezzo di navigazione, durante la quale lasciammo a diritta ed a sinistra diversi villaggi, demmo fondo felicemente a Boulak, che è il porto del Cairo sulla riva destra.

La navigazione del Nilo da Rosetta al Cairo è altrettanto deliziosa, quanto stucchevole per il lettore deve riuscire il nome di tanti villaggi; ma avrei creduto di mancare all'esattezza del mio itinerario, ommettendo di ricordarli.




CAPITOLO XXXI




Sbarco. – Stato politico del Cairo e dell'Egitto. – Le piramidi. – Djizè. – Il Mikkias. – Il vecchio Cairo. – Commercio.


Il giorno dopo diedi avviso del mio arrivo al mio amico scheih El-Medhluti, che ne informò all'istante Seid Omar el Makram primo scheih del Cairo, il quale spedì i cammelli necessarj per lo sbarco del mio equipaggio. Scheih-el-Medluti venne ad incontrarmi con molte persone, e mi condusse a casa sua ove mi aveva preparato un appartamento.

Colà ricevetti le visite di Seid Omar, e di molti altri grandi del Cairo. Ma fui altamente commosso alla vista di Muley Selema fratello dell'imperatore di Marocco. La sua figura, i suoi lineamenti, le sue maniere mi rammentarono vivamente quelle del mio rispettabile amico il Principe Muley Abdsulem: il mio cuore balzò di gioja, e gridai: Muley Selema!… e di già eravamo nelle braccia l'uno dell'altro: lungo tempo le nostre lagrime c'inumidirono le guancie. Sedemmo senza poter parlare. Io ero informato delle sue sventure, egli non ignorava ciò che m'era accaduto partendo dagli Stati di suo fratello; onde potevamo senza preamboli entrare in discorso. Selema si lasciò trasportare assai contro il fratello Imperatore. Cercai di calmarlo, e gli rimproverai amichevolmente alcuni suoi leggieri falli. Dopo un lungo trattenimento alzandosi mi baciò la barba, dicendomi che le mie parole erano più dolci dello zuccaro.

Poi ch'ebbi restituite le visite ai grandi scheih, andai con Seid Omar a trovare il Pascià Mehemed Alì, cui diedi la lettera del capitan Pascià; e non vi fu cortesia che non mi usasse. Questo giovane principe è di gracile corporatura e svajuolato; ha gli occhi vivaci ne' quali scorgesi una cotal aria di diffidenza: è per altro valoroso, e non privo di buon senso, ma non avendo avuto veruna istruzione trovasi spesse volte imbarazzato. In tali congiunture, Seid Omar che ha molta influenza sul di lui spirito, rende importantissimi servigi al popolo ed allo stesso Pascià.

Si fanno ascendere a cinquemila gli Arnauti sotto gli ordini di questo governatore dell'Egitto. Questi soldati sono caparbj ed esigenti oltre ogni dovere; ma il popolo li tollera pazientemente, perchè non sarebbe più felice nè co' Turchi, nè co' Mamelucchi; e non essendo in grado di darsi un governo rappresentativo, sopporta il presente giogo in silenzio. D'altra banda Mehemed Alì che riconosce il suo inalzamento dal coraggio di queste truppe, ne dissimula gli eccessi, e non sa rendersene indipendente. Altronde i grandi scheih avendo sotto questo governo molta influenza e libertà, lo sostengono con tutte le loro forze. Il soldato tiranneggia, ed il basso popolo soffre, ma tacciono i grandi perchè non soffrono, e la macchina va alla meglio. Intanto il governo di Costantinopoli privo di energia per tenere tutt'i paesi sotto l'immediata sua dipendenza, si accontenta di una specie d'alta signoria, che gli frutta alcuni leggieri sussidj, che ogni anno sotto varj pretesti cerca di accrescere. I pochi Mamelucchi che rimangono ancora, vivono rilegati nell'alto Egitto, ove non giugne la potenza di Mehemed Alì: ma siccome questi per una singolarità della natura non possono colla generazione mantenere la loro popolazione in Egitto, e loro non è permesso di tirarne altri dall'Asia, si ridurranno tra poco al nulla. Elfi Bey col suo corpo di Mamelucchi, di Arabi, di Turchi e di rinnegati scorre il deserto di Domanheur. Il governo di Costantinopoli non può fare verun conto d'Alessandria, la quale per la sua posizione geografica non è nè città Egiziana, nè città Turca: tale è il quadro fedele dello stato politico dell'Egitto.

Io non prenderò a descrivere la città del Cairo, troppo nota a tutti gli Europei; nè a parlare dell'immenso suo traffico presentemente ridotto in misero stato per le guerre d'Europa, per la rivoluzione de' Mamelucchi, e per i progressi de' Wehhabiti; nè de' principali scheih ond'è formato il suo governo, perchè il presente sistema dipende in gran parte dall'arbitrio del Pascià.

Quantunque le piramidi di Djizè fossero allora circondate d'Arabi ammutinati, e che fosse pericoloso l'avvicinarsi, volli ad ogni costo tentare di vedere questi colossi inalzati dalla mano degli uomini. Recatomi a Djizè m'avanzai verso le piramidi scortato della mia gente armata fino al punto in cui la prudenza permetteva d'inoltrarsi.

L'immaginazione senza il soccorso del tatto non basta per formarsi un'adequata idea delle piramidi, della colonna d'Alessandro, e di tutt'altro oggetto di forme e proporzioni inusitate. Aveva meco un telescopio acromatico, ed il canocchiale militare di Dollond. A forza di confronti, di avvicinamenti e di raziocinj, io mi lusingo d'aver potuto formarmi un'idea se non del tutto esatta, lo che è impossibile quando non si consulta che un solo senso, almeno assai prossima alla verità.

Io non parlerò delle loro dimensioni, perchè la commissione d'Egitto ha completamente esaurito l'argomento: basta sapere che sono le più grandi moli che esistano.

Tre sono le piramidi di Djizè; una delle quali minore assai delle altre due: ma tra le due maggiori io credo non esservi la differenza indicata da' viaggiatori.

Il profondo storico de' traviamenti dello spirito umano, il sig. Dupuis, ha detto che la grande piramide è fatta in modo, che l'osservatore posto al piede il giorno dell'equinozio vedrebbe il sole a mezzogiorno come seduto o appoggiato sulla sua cima. Ciò vuol dire che il piano inclinato o la faccia della piramide forma col piano dell'orizzonte un angolo eguale all'altezza meridiana del sole a tale epoca, ossia eguale all'altezza dell'equatore. Le piramidi essendo esattamente poste nella latitudine di 30 gradi N., ne viene che quest'angolo dev'essere di 60 gradi. Ora siccome tutte le faccie pajono essere egualmente inclinate, il profilo della piramide tagliato perpendicolarmente dalla sommità alla base per il mezzo delle due opposte faccie, deve esattamente rappresentare un triangolo equilatero. Questo felice azardo, prodotto dalla più semplice figura rettilinea, adoperata nella costruzione di un edificio, produsse questo bel fenomeno, e diventò per me uno sprone che mi spinse a verificarlo.

Quando osservansi le piramidi a qualche distanza ci sembra che abbiano la base alquanto più lunga che i lati, ossia l'angolo della sommità più aperto, e più ottuso che gli angoli della base; ma questa illusione deriva dal vedersi quasi sempre due lati della piramide, ed allora vedesi la diagonale del quadrato della base, che di sua natura è più lungo che un lato; lo che rappresenta all'occhio le piramidi schiacciate quantunque la loro altezza sia eguale alla lunghezza d'uno dei lati della loro base.

Fu pure sciolto il problema rispetto alla loro destinazione, sapendosi destinate per ultimo soggiorno de' sovrani che le inalzarono. Gli Arabi le chiamano El Haràm Firàoun, e raccontano mille scioccherie delle loro strade sotterranee, che stendonsi sotto tutto il basso Egitto.

È noto che su questi antichi monumenti non vedonsi nè iscrizioni, nè geroglifici che possano condurci alla cognizione de' tempi in cui furono fatte. La più grande viene attribuita a Cheops che viveva circa ottocento cinquant'anni avanti l'era cristiana; ma io inclino a crederla anteriore ai tempi storici, perciocchè se fosse opera di quel principe avremmo altre testimonianze oltre quelle di Erodoto sopra un monumento che a' suoi tempi doveva eccitare l'universale ammirazione.

A' piedi della maggior piramide vedesi un dovar arabo, che serve di scala per formarsi una più esatta idea delle sue vaste dimensioni.

Presso alle piramidi vidi la Sfinge busto o testa formata d'una rupe di enorme grandezza, che gli Arabi chiamano Aboullahoul. Io ne rimarcai perfettamente l'acconciatura di capo, gli occhi e la bocca; ma perchè mi trovava quasi in faccia non potei vederla di profilo come lo desideravo.

Il piano e le colline del Sahhara affatto coperti di sabbia bianca mobile chiudono la vista all'occidente.

Djizè è posto sulla sponda sinistra del Nilo. Altra volta, secondo che mi fu detto, questo borgo era un luogo di delizie circondato di belle case di campagna e di giardini; al presente è un tristo villaggio popolato soltanto di soldati Arnauti, che non possono meglio rassomigliarsi che a banditi.

Ritornando da Djizè visitai l'isola di Roudi o Rouda sul Nilo presso la riva destra. Questa isola oggi abbandonata fu anticamente un piccolo paradiso coperto di deliziosi giardini. All'estremità meridionale entro una specie di profondo cortile che comunica colle acque del fiume trovasi il celebre mikkia, colonna innalzata per misurare giornalmente l'altezza delle acque del Nilo in tempo della escrescenza. A quest'effetto è diviso in cubiti disuguali, o a dir meglio inesatti, ed in dita, di modo che chiunque può calcolare l'abbondanza del successivo raccolto. Ma oggi questo monumento di tanta importanza è abbandonato ad un corpo di soldati, o a dir meglio di barbari, che sembrano cospirare alla sua distruzione. Allorchè sbarcai fui condotto sopra un ammasso di ruine abbandonate, di dove vidi con estremo dolore e sorpresa, che in breve preparavasi la stessa sorte al mikkia. Di già una moschea ed altri edificj vicini al mikkia sono stati atterrati; di otto colonne che ne formavano la galleria, quattro giacciono nella polvere, i tetti cadono a pezzi, e per affrettare il troppo lento lavoro del tempo, i soldati levano il piombo che unisce le pietre ed i legni del coperto: per cotal modo si accelera la ruina di un edificio così utile, e che da tanti secoli contribuisce alla gloria dell'Egitto.

I Francesi in tempo della loro spedizione in questo paese avevano ristaurato il mikkia, e ristabilito l'ordine del servizio; ma ogni cosa fu distrutta a quest'ora, e la medesima colonna del mikkia sarebbe già atterrata, se non fosse appoggiata ad una grossa spina trasversale che i Francesi posero sul capitello. Domandai se non eravi persona incaricata della custodia di un edificio di tanta importanza, e mi fu risposto: Chi pagherebbe? Perchè almeno non si provvede d'una porta che ne chiuda l'ingresso? Ciò ancora richiede denaro; altronde i soldati leverebbero la porta e la serratura… – Colle sole lagnanze si può rispondere a sì grande apatia. Sospettai che lo stesso Mehemed Alì cospirasse dal canto suo come gli altri alla distruzione del mikkia, di cui anche il Califfo Omar pare che desiderasse l'annientamento.

I muri del cortile nel di cui centro trovasi il Mikkia hanno l'esterno di pietre quarzose, e dello stesso sasso è la scala per cui si scende a basso, come pure la colonna che non potei avvicinare per essere circondata dall'acqua. Una elegante cupola di legno ond'era ricoperto il cortile e la colonna, viene ogni giorno esportata a pezzi.

Un simile monumento in tutt'altro paese in cui il raccolto discende dalle pioggie e da altre cagioni accidentali, sarebbe superfluo e fuor di luogo; ma in Egitto ove l'abbondanza o la sterilità dipendono unicamente dal grado d'elevazione periodica delle acque del Nilo, avendo l'esperienza dato un esatto risultato degli effetti d'ogni cubito sulla quantità del raccolto, della più alta importanza diventa uno stromento destinato a misurarli: ed un saggio governo deve prendersene la più attenta cura, perchè conoscendo anticipatamente la misura del raccolto, può provvedere, prima che si sentano, ai bisogni della popolazione. Per tali considerazioni i Francesi diedero a quest'oggetto la debita importanza, ed è loro dovuto il bel passeggio con doppie linee di alberi che attraversano in tutta la sua lunghezza l'isola della Rouda dal S. al N.

Di là ritornai al vecchio Cairo o Mussar-el-Atik, sobborgo posto sulla diritta del fiume in faccia all'isola di Djizè. Vuolsi che altra volta questo sobborgo fosse più dilettevole soggiorno di quello del Cairo per le moltissime case di delizia che vi avevano i grandi ed i ricchi abitanti del Cairo e che oggi abbandonate vanno cadendo in ruina. Pure la popolazione del vecchio Cairo è ancora ragguardevole, ed i pubblici mercati abbondantemente provveduti. Sonovi monasteri di varj riti Cristiani. Io visitai quello de' Greci situato in amena posizione, la di cui terrazza signoreggia la città e la campagna. Da questo punto vedonsi le piramidi di Sakkara, che sembrano rivalizzare con quella di Djizè. La cappella di questo monastero dedicata a S. Gregorio è sommamente venerata dalle persone del paese per l'immagine del Santo posta in un angolo sopra un piccolo altare, e chiusa con griglia d'acciajo. Nel centro della cappella s'innalza una colonna, dalla quale pende una catena di ferro con cui vengono legati i pazzi che vi sono condotti per ottenere il patrocinio del Santo; e que' monaci assicurano, che accadono frequenti miracolose guarigioni, qualunque siasi la religione del pazzo che vien presentato.

Visitando il convento de' Cofti fui condotto in una grotta sotto l'altar maggiore, nella quale credesi che si ricoverasse la famiglia di Gesù quando venne in Egitto, salvandosi dalle persecuzioni di Erode: ma la cosa mi parve troppo assurda per meritarsi la menoma considerazione. È non pertanto a credersi che la grotta e la cappella non siano sterili monumenti pei monaci che ne hanno cura.

Boulak posto sulla sponda del Nilo è il più considerabile sobborgo del Cairo. Sonovi molti buoni edificj, e la sua posizione lo assicura dalla distruzione, che si fa già sentire a Djizè, ed al vecchio Cairo. Il porto di Boulak è sempre coperto di bastimenti che commerciano con tutti i paesi posti lungo le rive del Nilo, e perciò vi si vede assai movimento, e le dogane danno molto profitto all'erario. La strada da Boulak al Cairo rifatta ed abbellita dai Francesi offre un dilettevole passeggio.

Rispetto al commercio di Boulak, è certo che adesso non è se non un'ombra di ciò che dovrebbe essere, perchè l'insurrezione dell'alto Egitto, ove sonosi ritirati i Mamelucchi con Ibrahim Bey ed Osman Bey Bardissi, toglie al Cairo tutto il commercio dell'interno dell'Affrica. Inoltre le rivoluzioni di Barbaria impediscono la partenza delle carovane di Marocco, d'Algeri, e di tutti i paesi occidentali; e d'altra parte gli Arabi di Ssaddor, ossia deserto dello smarrimento, si avanzano fin presso a Suez per ispogliare le carovane che portano le mercanzie dell'Arabia e dell'India, procedenti dagli scali del mar Rosso: a ciò si aggiunge per ultimo la guerra degl'Inglesi che guasta affatto il commercio del Mediterraneo: tutte cose estremamente nocive all'esterno commercio dell'Egitto.

Nè più florido è il commercio interno, perchè tutto l'alto Egitto è dominato dai Mamelucchi, la provincia di Bohira da Elfi, e gli Arabi della provincia di Scherkia sono rivoltati; parziali tumulti succedonsi senza interruzione nella Garbia o Delta, di modo che non è possibile fare un passo nell'Egitto senza esporsi a gravissimi rischi.

Se in così triste circostanze si fa tuttavia al Cairo un notabile commercio, quale sarebbe in più felici tempi e sotto un provvido governo…!




CAPITOLO XXXII




Viaggio a Suez. – Navigli Arabi. – Tragitto del mar Rosso. – Pericolo della Nave. – Arrivo a Diedda. – Vertenza col governatore. – Diedda.


Agli 11 di dicembre, essendo terminato il Ramadan, feci le necessarie disposizioni per proseguire il viaggio della Mecca. Varj miei amici scrissero ai loro corrispondenti di Suez, di Diedda, e della Mecca, per prepararmi alloggio e protezione in tutti i luoghi in cui doveva trattenermi; ed il lunedì 15 dicembre 1806 uscii dal Cairo accompagnato da molti scheik. A non molta distanza dalla città presi congedo da questi buoni amici, cui non poteva permettere d'avanzarsi più oltre nel deserto, e due o tre ore dopo, feci alto ad Ahsas lontano mezza lega al Nord di Mafarieh[3 - Avendo Ali Bey perduto il giornale del viaggio del Cairo a Diedda, fu obbligato di rifarlo col soccorso di alcuni fogli staccati; ed avendo poscia rifatta la stessa strada ritornando dalla Mecca al Cairo, di poco danno ha potuto essere la perdita delle particolarità rimarcate nella descrizione del primo.].

Ad Ahsas attesi due giorni sotto la tenda la riunione d'una numerosa carovana. In questo frattempo alcuni amici del Cairo sì musulmani che cristiani vennero a trovarmi, e tra questi il console francese accompagnato da molte persone, e da cinque Mamelucchi rinnegati Francesi al servizio di Mehemed Ali. Interpellai costoro se fossero contenti del presente loro stato, e seppi che dopo aver fatto parte dell'armata francese, avevano preso il turbante, e che trovavansi vantaggiosamente stabiliti in Egitto colle loro famiglie. Hanno una piastra spagnuola al giorno, ed essendo quasi sempre in commissione ne' villaggi per riscuotere le contribuzioni e per altri oggetti, ne ritraggono considerabili vantaggi. Hanno inoltre bellissimi cavalli, e sono riccamente equipaggiati.

Il segno della partenza fu dato il Giovedì 18 a mezzogiorno, e subito si videro arrivare da tutte le bande lunghe file di cammelli che uscivano dai rispettivi accampamenti per riunirsi agli altri, che tutti si posero in cammino a traverso il deserto dirigendosi a levante.

Io non conduceva meco che quattordici cammelli, avendo lasciati in Egitto la maggior parte de' miei effetti ed alcuni domestici. La carovana conteneva cinquemila cammelli, e due in trecento cavalli, ed era composta di musulmani d'ogni nazione che facevano il pellegrinaggio della Mecca. I cammelli camminano in lunga fila, e con un passo eguale come quello di un pendulo. Si passò parte della notte accampati in mezzo al deserto.


Venerdì 19 dicembre

Siccome la carovana camminava lentamente, tenendo sempre la medesima direzione io la sopravanzava, accompagnato da due domestici, i quali tendevano un piccolo tappeto ed un cuscino presso la strada, e su questo restava seduto più di tre quarti d'ora che richiedevansi pel passaggio della carovana; ed allora rimontando a cavallo ripeteva la stessa operazione tre o quattro volte al giorno, ingannando in tal modo il tedio di quel lento viaggio.

Tutto questo deserto è composto di colline di arena affatto sciolta, e priva di qualunque essere vegetabile o animale; non un insetto, non un uccello. Scopresi a destra in molta distanza una diramazione del Djebèl Mokkattàm, ossia montagna tagliata del Cairo, che si prolunga fin presso a Suez.


Sabato 20

Si riprese il cammino in sul far del giorno; e giunto sulla sommità d'una collina vidi in molta distanza la città di Suez. Allora tutti quelli ch'erano a cavallo, e gli Arabi armati, sui cammelli o sui dromedarj, si posero in sul davanti della carovana formando come una linea di battaglia, e proseguirono la marcia così ordinati. Non molto dopo scoprimmo un branco di gente a cavallo che sortiva da Suez per venirci incontro. Già ci preparavamo a difenderci, quando si riconobbero per soldati Arnauti, ed abitanti di Suez: la gioja sottentrò al timore, e riunitisi insieme i due corpi si rinnovarono le allegrezze.

Noi marciavamo collo stess'ordine sopra una lunga linea, mentre alcuni Arabi staccandosi qua e là a destra ed a sinistra, si sfidavano l'un l'altro e divertivansi correndo, e tirando delle fucilate parallelamente alla nostra linea, talchè sentivasi il fischio delle palle che ci passavano assai dappresso; lo che riusciva sommamente piacevole alla carovana. Ed a dir vero è uno straordinario colpo d'occhio il vedere questi Arabi staccarsi dalla linea, correre a briglia sciolta, montati sopra cavalli o dromedarj, colla lancia in resta in una direzione parallela alla linea, e tanto vicini che la punta della lancia passava lontana quattro dita dal naso dei nostri cavalli. Figurisi la specie di movimento che dovevano dare ai loro cavalli per non toccare la linea che andava avanzando: era duopo che i loro cavalli corressero con passo obliquo e veloce come il lampo: che cavalli sono mai gli arabi!

Finalmente verso mezzogiorno in mezzo al romore delle fucilate ed ai gridi di gioja la carovana entrò in Suez, ove io fui alloggiato nella casa che mi era stata preparata alcuni giorni avanti.

Suez è una piccola città che cade in ruina, abitata da circa cinquecento musulmani e trenta cristiani. Attesa la sua posizione all'estremità del mar Rosso, da questo lato è la chiave del basso Egitto, tanto più che non avvi alcun altro punto d'appoggio in tutta l'estensione del deserto.

Il suo porto è così cattivo che i bastimenti del mar Rosso, detti Dao, non possono entrarvi che durante l'alta marea, e dopo avere sbarcato il loro carico. Ma il vero porto di Suez trovasi al sud in distanza di mezza lega sulla costa d'Affrica, ed è praticabile anche dalle grandi fregate.

In faccia a Suez il mar Rosso non ha più di due miglia di larghezza in tempo dell'alta marea, e circa due terzi di miglio nella bassa. Lo sbarco è comodo assai; le strade della città di fondo arenoso sono regolari, ma non selciate; e le case, e le moschee vanno quasi tutte in ruina. Variabilissimo è il clima del paese. Il pubblico mercato è sufficientemente provveduto di alcuni articoli: riceve i viveri per mare delle due coste dell'Arabia e dell'Affrica; ed il monte Sinai somministra buone frutta e buone verdure. Il pane è mal fabbricato, i pesci e le carni scarseggiano, e talvolta queste mancano affatto. Il concorso dei convogli marittimi e delle carovane fanno circolare molto danaro tra quegli attivi abitanti, che tutti, niuno eccettuato, sono mercanti o facchini.

Le acque più vicine a Suez sono i pozzi di El-Bir-Suez lontano una lega ed un quarto sulla strada del Cairo, e le El-Aayon-Moussa, o fontane di Mosè sono ancora più lontane; ma le prime sono salmastre, le seconde puzzolenti. La sola acqua buona è quella che si porta dalle montagne dell'est; e questa è carissima, ed in così piccola quantità, che talvolta conviene incontrare dispute e battersi per un otre di acqua. Il terreno che circonda Suez è così arido che non vi si vede un albero, nè un filo d'erba.

I cristiani Greci di Suez vi hanno una chiesa ed un passo.

La città è circondata di cattive mura, di alcune trincee, e di poche altre opere erette dai Francesi; ma tutti questi ripari non sono armati che di due o tre pezzi di cannone di due libbre di palla. Un negro schiavo d'un particolare del Cairo governava in allora Suez col titolo di Agà, ed aveva sotto i suoi ordini una trentina di Arnauti. Il suo kiàja, o luogotenente governatore disimpegnava pure le incombenze di giudice civile. Tutti questi soldati ed i loro capi guadagnano assai con i continui contrabbandi. In Suez non si esercita arte veruna fuorchè quella di calafattiere.

Due soli giorni dimorai in questa città essendomi imbarcato il martedì 23 dicembre 1806 sopra un Dao per passare sul mar Rosso a Diedda.

Il Dao è il naviglio arabo di maggior portata che veleggi su questo mare. Singolare affatto n'è la sua costruzione, l'altezza è un terzo al più della lunghezza del corpo del naviglio, e questa lunghezza viene inoltre accresciuta nella parte superiore da una lunga proiezione a prora ed a poppa in sull'andamento delle antiche galee Trojane.


Proporzioni del Dao da me montato






Le corde sono di corteccia di palma, e le vele di grosso cotone. Porta tre vele di ricambio di diversa grandezza, e due piccole vele latine; ma non se ne spiega mai più d'una grande o piccola a seconda del bisogno. Il Dao da me montato non aveva altro carico che alcuni gruppi d'argento monetato, chiusi in sacchi suggellati dai negozianti di Suez o del Cairo, diretti ai loro corrispondenti di Diedda. Aveva noleggiata la camera per me solo; ed i miei domestici rimanevano nel corpo del bastimento con altri cinquanta pellegrini all'incirca. Il capitano era di Mokha, ed i quindici marinaj dell'equipaggio erano piccoli e neri come scimie. Dopo essere rimasto tre giorni all'ancora si mise alla vela in sull'avvicinarsi della sera del 26.


Sabato 27

Avendo navigato tutta la notte e tutto il giorno del 27, si gettò l'ancora alle quattro della sera in un porto della costa d'Arabia chiamato El-Hamman-Piràoun, ossia bagni di Faraone. Dietro le mie osservazioni la longitudine di questo luogo è di 30° 43′ 25″ dell'osservatorio di Parigi alla punta del Capo Almarhha.


Domenica 28

All'entrare della notte si gettò l'ancora in vicinanza della città di Tor sulla costa d'Arabia.


Lunedì 29

La mattina il nostro Dao entrò nel porto di Tor, ove restò all'ancora tutto il giorno. Le mie osservazioni mi diedero la longitudine di 31° 12′ 55″.


Martedì 30

Si tenne il mare tutto il giorno, e passammo innanzi al Capo Ras-Aboumohhammed sulla costa medesima.


Mercoledì 31 dicembre 1806

Dopo aver navigato tutta la notte per attraversare il braccio di mare che si avanza entro l'Arabia, chiamato Bahàr el-Akkaba, il nostro capitano fece gettar l'ancora avanti sera in un piccolo porto chiuso, posto in una delle isole Naàman, ossia degli struzzi.


Giovedì 1.º gennajo 1807

Si veleggiò tutto il giorno, e verso sera si diede fondo sulla costa d'Arabia.


Venerdì 2

La stessa manovra del precedente giorno.

La navigazione del mar Rosso è spaventosa. Si viaggia quasi sempre in mezzo a scogli ed a rupi a fior d'acqua; di modo che per dirigere il bastimento conviene tener sempre quattro o cinque uomini sulla prora che osservino attentamente la strada, ed avvisino colle loro grida il timoniere di piegare a dritta o a sinistra: ma se essi s'ingannano, se scoprono lo scoglio troppo tardi, se il timoniere che non vede gli scogli non se ne scosta abbastanza, o scostandosi troppo porti il naviglio sopra uno scoglio vicino non osservato, se intende a rovescio il grido, come suole talvolta accadere, se nel breve intervallo della scoperta dello scoglio sott'acqua e dell'avanzarsi del bastimento al luogo del pericolo, il vento o la corrente si oppongono al cambiamento di direzione: quanti istanti si cammina tra la vita e la morte in così pericolose acque! Perciò contansi tutti gli anni molti naufragj su questo mare, che sembra vendicarsi dell'audacia dei naviganti: ma che è mai il timore della morte contro l'allettamento del guadagno? I navigli Arabi che portano i preziosi prodotti dell'India, della Persia, e delle Arabie solcano continuamente questo mare avido di vittime.

Per mettere alcun riparo a tanti inconvenienti i Dao hanno al disotto una falsa carena, che quando si tocca ammorza alquanto il colpo, e salva il naviglio, se la scossa non è troppo violenta. D'altra parte l'immensa vela di cotone quasi grossa un dito, la sua cattiva forma che richiede la stessa manovra d'una vela latina, dovendosi per cambiar rombo staccare la vela che allora volteggia come un immenso stendardo, e dà scossa terribili; le corde grossolane di corteccia che ubbidiscono a stento: tutti questi inconvenienti rendono la manovra così pesante e tarda, che io stesso sono sorpreso come i naufragj non siano molto più frequenti. In un naviglio quindici uomini d'equipaggio non bastavano ogni volta per manovrare la vela, e rendevasi necessario l'ajuto de' passeggieri.


Sabbato 3

Passammo in mezzo al gruppo delle molte isole Hamara, e si gettò l'ancora presso una di loro.


Domenica 4

Si diede fondo in sul far della notte presso un'isola in mezzo agli scogli.


Lunedì 5

Giorno terribile. Dopo la mezza notte si levò una furiosa burrasca. Il vento rinfrescò talmente che alle due ore del mattino i colpi d'uragano succedevansi incessantemente con maggior violenza, onde in pochi minuti le gomene delle quattro ancore furono spezzate.

Il naviglio in preda al furore del vento e delle onde fu spinto sopra uno scoglio, contro il quale incominciava a dare colpi terribili. L'equipaggio credendosi perduto gettava grida disperate. Tra questi clamori io distingueva la voce d'un uomo che singhiozzava e piangeva come un fanciullo; ed avendo chiesto chi fosse, mi fu risposto essere il capitano. Feci, ma inutilmente, cercare il piloto; onde vedendo la cosa disperata perchè il naviglio, abbandonato alla sua ventura, continuava a dar colpi orribili, non volli aspettare che si aprisse contro gli scogli: grido ai miei domestici: la scialuppa; ed essi se ne rendono all'istante padroni. Allora tutti vi si vogliono precipitare; mi si dà la mano, e salto nella scialuppa sopra la testa de' passeggieri, ed ordino che si allontani dal naviglio: ma un uomo che aveva il padre a bordo la riteneva con una corda del bastimento che aveva in mano, gridando Abouya! Abouya!oh mio padre! oh mio padre! Io rispettai un momento questo slancio d'amore filiale; ma vedendo un gruppo di gente disposta a saltare nella scialuppa, grido a questo buon figliuolo di lasciar la corda; ma ostinandosi a chiamare il padre, glie la faccio abbandonare con un pugno datogli sulla mano, e nell'istante medesimo la scialuppa vien portata dugento tese lontana dal Dao. Questa scena non durò un minuto; brevi momenti, ma spaventosi… Invece della dolce luce della luna che doveva rischiarare il nostro cammino, un denso velo di nere nuvole ci teneva in una profonda oscurità. Eravamo quasi nudi: i colpi di mare riempivano tratto tratto la scialuppa di acqua, e ad intervalli cadeva l'acqua a torrenti. Nasce una disputa; gli uni vogliono andare alla dritta; gli altri a sinistra, quasi fosse possibile di conoscere in mezzo alle tenebre la nostra direzione. La disputa facendosi più calda, io la feci cessare impadronendomi del timone, e loro dicendo con voce risoluta: io ne so più degli altri, e prendo il timone della scialuppa; guai a chi tentasse di riprendermelo.

Aveva avanti sera assai bene osservata la posizione della terra, ma non sapeva qual direzione mi prendessi. In mezzo alle tenebre non potendo orizzontarmi, cercava, per quanto lo poteva, di conservare la mia posizione rispetto al bastimento che io vedeva ancora. Per colmo di sventura mi trovava attaccato da frequenti vomiti di bile: pure non abbandonai il timone.

Ordinai di remare, ma i miei compagni non sapevano remare: assegno ad ognuno il suo posto, e dopo aver distribuiti i remi, ne insegno loro la manovra, e mi faccio a cantare sull'andamento de' marinai del mar Rosso per dar loro la misura, onde il movimento fosse uniforme. Quale spettacolo! Io mi trovava quasi nudo esposto ai colpi del mare, alla pioggia, alla grandine, colle mani attaccate al timone senza saper ove andare, molestato da violenti accessi di vomito, eppure obbligato di cantare per regolare la manovra. Talvolta la scialuppa, nostra ultima speranza, urtava nello scoglio, e ci faceva gelare il sangue. Finalmente dopo una lunga ora di così tormentosa angoscia, le nuvole si allargarono alquanto, ed un raggio di luce avendomi dato modo di orizzontarmi, e fatta rinascere nel mio cuore la speranza, gridai: siamo salvi. Allora drizzai la scialuppa verso la costa dell'Arabia, quantunque non fosse ancora visibile; e dopo tre ore d'immense fatiche, ci trovammo presso terra allo spuntar del giorno.

Sbarcammo tutti quasi nudi o in camicia: eravamo quindici. Il nostro primo atto fu quello di abbracciarci a vicenda, felicitandoci della nostra salvezza; i miei compagni sopra tutto non potevano saziarsi di attestarmi la loro sorpresa per così buona riuscita; chiedevanmi come aveva potuto sapere malgrado tanta oscurità, che la terra era là… e per uno spontaneo movimento di riconoscenza, spogliaronsi di parte delle loro vesti per ricoprirmi; e per tal modo mi trovai ben tosto vestito, grottescamente è vero, ma riparato dal vento che soffiava freddissimo.

Ci rimaneva a sapere a qual terra eravamo approdati. Mandai a riconoscerla quattro uomini; ed il loro rapporto mi persuase essere scesi in un'isola deserta, che altro non era che un piano di arena mobile senz'acqua, senza rupe, e senza vegetazione. Ben si vedeva la gran terra poche leghe lontana, ma come avventurarsi ancora nella scialuppa sopra un mare sempre burrascoso? e se la burrasca durasse alcuni giorni come potevamo durarla senza mangiare e senza bere? Il cielo che s'andava rischiarando, mi permise di vedere il nostro bastimento all'orizzonte accompagnato da un altro Dao. Quale non fu la nostra gioja nel rivederlo quando credevasi già perduto… Di dove veniva mai l'altro bastimento?

Il tempo tornò ad imperversare: la pioggia cadeva a torrenti, ed un vento gelato ne toglieva quasi il sentimento. Ci tenevamo strettamente serrati gli uni contro gli altri, ed il solo cappotto che avevamo fu steso sopra le nostre teste; difendendoci in tal modo dalla pioggia e dal vento, e riscaldandoci alquanto. Verso mezzo giorno il tempo si calmò un poco, e la scialuppa dell'altro bastimento che andava in traccia di noi vivi o morti, si avanzò abbastanza per conoscere i segni che andavamo facendo con una camicia in cima di un remo. Bentosto si avvicinò; ed i marinai ci assicurarono che il Dao erasi salvato senza aver sofferte considerabili avarie, perchè era fortissimo, ed era quasi senza carico. Perchè aveva perdute tutte le ancore fu fortunatamente soccorso dall'altro, che arrivandogli sopra accidentalmente nell'istante del maggior pericolo, gli somministrò un'ancora e corde.

Ci rimbarcammo sopra le due scialuppe, e tornammo al bastimento. Qual tenera scena fu quella del nostro amico a bordo! Tutti lieti di vedermi salvo gettavanmisi ai piedi piangendo d'allegrezza, mi abbracciavano, e non sapevano come significarmi la loro gioja, perchè ci avevano creduti inghiottiti dalle onde, come noi credevamo il bastimento spezzato contro lo scoglio. Il mio cuore non potè resistere a così tenera scena; e profondamente commosso da questa spontanea testimonianza del loro affetto, mi trovai gli occhi umidi di pianto.

Nel terribile istante in cui abbandonai il bastimento, un uomo volendo saltare nella scialuppa era caduto in mare; e questa fu la sola vittima della tempesta. Si rimase questo e l'altro giorno all'ancora, per dar tempo di rimettere tutto in ordine nel bastimento, onde partire all'indomani.


Mercoledì 6

Dopo avere navigato tutto il giorno, passata l'isola di Diebel-Hazen, ci ponemmo all'ancora sulla costa d'Arabia in sul cominciare della sera.


Giovedì 7

Si entrò avanti notte nel porto di Jemboa, città abbastanza considerabile, e dopo Diedda la più importante della costa arabica.


Venerdì 8

Il capitano volle trattenersi quel giorno a Jemboa per fare acquisto di ancore e di altri oggetti che gli mancavano, e per far raddobbare il bastimento.


Sabato 9

Questo giorno si passò il tropico, e si gettò l'ancora ad Algiar. Feci colà alcune curiose osservazioni, che in seguito ho perdute.





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notes



1


Termine usato universalmente dagli artisti per dinotare un pezzo di marmo grezzo.




2


Dopo l'epoca di cui parla il nostro viaggiatore Osman Bey fu avvelenato. (Nota dell'Editore Francese)




3


Avendo Ali Bey perduto il giornale del viaggio del Cairo a Diedda, fu obbligato di rifarlo col soccorso di alcuni fogli staccati; ed avendo poscia rifatta la stessa strada ritornando dalla Mecca al Cairo, di poco danno ha potuto essere la perdita delle particolarità rimarcate nella descrizione del primo.



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