Книга - La Fossa Di Oxana

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La Fossa Di Oxana
Charley Brindley


Oxana usa il lavoro forzato per operare un'illegale miniera di ambra nell'Amazzonia. I suoi scavi a cielo aperto avvengono su un territorio posseduto da Tosh. Scarborough. Quando lui scopre la fossa di Oxana grazie ad una foto satellitare, va ad indagare e viene catturato dai mascalzoni della donna.  Una dei dipendenti di Tosh, Amber Bravant, organizza la sua ricerca. Oxana fa presto a punire ed uccidere i suoi schiavi, ma cosa succederà se metterà le mani su Amber?







La fossa di Oxana



di



Charley Brindley



charleybrindley@yahoo.com



www.charleybrindley.com



Arte di



Charley Brindley



Tradotto



da



Gabriela Gubenco



Copyright © 2019 Charley Brindley tutti i diritti riservati



Copyright copertina libro © 2019 by Charley Brindley tutti i diritti riservati



Prima edizione inglese, febbraio2019



Questo libro è dedicato ad

April Jane Tatta LeCroy



Con un ringraziamento aMarilyn Grandi, la mia buona amica dal Rosario Argentina



Altri libri diCharley Brindley

1. The Last Mission of the Seventh Cavalry

2. Raji Book One: Octavia Pompeii

3. Raji Book Two: The Academy

4. Raji Book Three: Dire Kawa

5. Raji Book Four: The House of the West Wind

6. Hannibal’s Elephant Girl, Book One

7. Hannibal’s Elephant Girl, Book Two

8. Cian

9. Ariion XXIII

10. The Last Seat on the Hindenburg

11. Dragonfly vs Monarch: Book One

12. Dragonfly vs Monarch: Book One

13. The Sea of Tranquility 2.0 Book One: Exploration

14. The Sea of Tranquility 2.0 Book Two: Invasion

15. The Sea of Tranquility 2.0 Book Three

16. The Sea of Tranquility 2.0 Book Four

17. The Rod of God, Book 1: On the Edge of Disaster

18. Sea of Sorrows, Book 2: The Rod of God

19. Do Not Resuscitate

20. Qubit’s Incubator

Prossimamente in arrivo

21. Dragonfly vs Monarch: Book Three

22. The Journey to Valdacia

23. Still Waters Run Deep

24. Ms Machiavelli

25. Ariion XXIX

26. The Last Mission of the Seventh Cavalry Book 2

27. Hannibal’s Elephant Girl, Book Three

Si veda a fine libro per dettagli sugli altri libri.


Contenuti

Capitolo Uno (#ulink_172e55f9-5338-501c-ae14-bf23d80e8d87)

Capitolo Due (#ulink_a75e6845-8977-5e85-8855-00b7d020d100)

Capitolo Tre (#ulink_5231698e-26ad-5a1b-bc88-6d0769c88b97)

Capitolo Quattro (#ulink_2f87894d-18a9-530e-9561-2d29e563fd42)

Capitolo Cinque (#ulink_1d1c910f-7999-54b6-b5b9-b6349f00c19b)

Capitolo Sei (#ulink_57ce4e1c-1cd5-5578-8e5e-8f76c81e012f)

Capitolo Sette (#ulink_2c1d6057-4895-514a-a566-696cc134a65e)

Capitolo otto (#ulink_fa5316fb-625f-5889-ae27-c711b9ee5db6)

Capitolo Nove (#ulink_1a5dfcc1-123e-5af2-86b6-54f1725f1d81)

Capitolo Dieci (#ulink_f76e3ae4-afea-548b-8fd7-d87837083030)

Capitolo Undici (#ulink_9e0cc8ff-1755-5bd6-bf34-5465e5af49ed)

Capitolo Dodici (#ulink_80b15895-3e0f-5b9f-a92c-b4fcf0dc9163)

Capitolo Tredici (#ulink_46475820-f211-5785-aee4-a27a89cac1f0)

Capitolo Quattordici (#ulink_f705b412-4824-54e3-84cf-3ced6e1e6a05)

Capitolo Quindici (#ulink_2624d544-11d3-59c3-bbad-13d0c0f47756)

Capitolo Sedici (#ulink_dc80c0db-bb83-523e-8d84-0e2658d9d105)

Capitolo Diciassette (#ulink_18737330-de7c-5012-b4c7-edb36b4b2e49)

Capitolo Diciotto (#ulink_450ef579-f61b-5327-8cb5-9d996d7d7f68)

Capitolo Diciannove (#ulink_d99749c4-90bc-5775-a0b6-0c2534e5e4cc)

Capitolo Venti (#ulink_6f1845ef-e526-5e11-a7ea-68953278eb9e)

Capitolo Ventuno (#ulink_b8c0414c-67b3-57f4-bf1c-ec8183486f90)

Capitolo Ventidue (#ulink_ff050a4b-fc8b-544e-b6c4-02c0ccadaf69)

Capitolo Ventitré (#ulink_e24aef48-7bab-518c-9922-9a35685853c3)

Capitolo Ventiquattro (#ulink_d42a3a9f-1d86-5092-9219-929ed32051c5)

Capitolo Venticinque (#ulink_05e6115a-f2ee-5fc7-8b14-68688674f564)

Capitolo Ventisei (#ulink_16163325-1b39-5122-b932-654ac4f42ae7)

Capitolo Ventisette (#ulink_eaa94251-cfaf-506d-a38d-4feeb24afc5b)

Capitolo Ventotto (#ulink_1a509dec-8ce5-552e-8d3a-664c076a4cb3)

Capitolo Ventinove (#ulink_21376621-e116-544e-a8d9-50ff61b276ac)

Capitolo Trenta (#ulink_50c28dca-a041-5f9c-baf1-a08df5158d12)

Epilogo (#ulink_4e51df8d-7348-50f7-82a5-396fac8170f7)





Capitolo Uno


Presente, nel profondo dell’Amazzonia



Oxana si era ormai abituata ai suoni dei picconi, delle pale e dell’agonia umana che arrivava da sotto. Al suo tavolo vicino alla ringhiera del portico stava fumando una Marlboro e osservava oltre la fossa il ciglio della foresta pluviale. La fossa era profonda oltre venti piedi e più grande di un campo da football.

Lo scavo cresceva giorno dopo giorno sotto gli occhi di sei guardie armate con pistole e fucili AR-10. Gli alberi torreggianti con le loro chiome di viti intrecciate pendevano oltre il bordo del soffocante buco mentre la terra si staccava dalle loro radici.

Un forte odore di terra arata e vegetazione in decomposizione riempì l’aria.

La sua casa era poco più di una baracca sull’orlo del precipizio.

“Rajindar!” Oxana gridò verso la porta.

La zanzariera si aprì con un cigolio e Rajindar uscì fuori. La guardò sprezzante mentre si puliva le mani con uno straccio sporco. Era di bassa statura e aveva la pelle più scura rispetto all’abbronzatura caucasica di Oxana. La sua testa era sproporzionatamente piccola e i suoi tratti erano delicati, come quelli di una ragazza. Si appoggiò al muro vicino ad Alginon, il domestico di Oxana.

“Porta gli scorpioni, mon-petit provocateur.” Lanciò la sigaretta fumata a metà oltre la ringhiera. “E anche il nuovo campione.”

Rajindar lasciò che la porta si chiudesse alle sue spalle.

Oxana soppresse un’ondata di rabbia e prese il pacchetto di sigarette, ma questo era vuoto. Lo accartocciò e lo lanciò sul tavolo. La sua mano spostò in modo serpentino un umido ricciolo dei capelli castano ramati dietro l’orecchio. Forzò un sorriso al suo visitatore, Raymond Chase.

Studiò per un momento l’ospite, come qualcuno squadrerebbe una seccatura.

Rigido siciliano di seconda generazione, il suo nome italiano era Giovanni Cherubini, ma gli amichetti delle misere strade di Chicago lo soprannominarono “Chase” a causa della sua abilità di inseguire i bambini sardi e fregare loro il pranzo scolastico. Successivamente aggiunse “Raymond” per darsi un rispettabile nome dal suono anglosassone nonostante sia rimasto un truffatore di strada.

Seduto al traballante tavolo di fronte ad Oxana, le fece un gran sorriso come se si aspettasse che lei facesse qualcosa per lui.

All’età di quarant’un anni, Oxana si considerava snella, quasi atletica. Sapeva cosa avrebbero fatto gli uomini per lei se l’avesse desiderato.

Oxana fissò Raymond con uno sguardo gelido. “Cosa ne pensa di questo glorioso pomeriggio amazzonico?”

“Fa schifo.” Sorseggiò del gin tonic da un bicchiere marrone e si tolse il panama per farsi vento. L’aria pesante sembrava resistesse ai suoi deboli sforzi. Gocciolii di sudore macchiavano il colletto della sua guayabera celeste. Quando appoggiò il bicchiere sul tavolo, pesanti gocce di condensato scesero dai lati per accumularsi sul mogano deteriorato. “Però almeno non sono nella fossa con quei poveri diavoli.” Indicò verso la ringhiera con il mento.

Oxana rise. Si allungò a prendere il suo drink facendo una smorfia al bourbon diluito. “Alginon.” Porse il bicchiere affinché il piccolo ed obediente domestico lo riempisse. Guardò il visitatore. “È al sicuro qui con me, signor Chase.”

Il sorriso svanì dalla sua faccia da schiaffi.

Quanto riuscirebbe a resistere nella fossa?

Aveva la bocca piccola e debole, e gli occhi nascosti da minute palpebre. Sapeva che Raymond Chase era un procuratore per il Museo della Storia Naturale a Parigi, il Museo Theodore Roosevelt nel Wovenbridge, Virginia e per il Novosibirsk a San Pietroburgo.

Si fa pagare in nero da quelle istituzioni elitarie. Denaro sporco dalle mani di quegli snob che non riconoscerebbero mai la sua presenza alle loro altezzose serate.

Gli acquisti di Raymond venivano tenuti fuori dai documenti poiché avvenivano nei mercati neri di qualunque posto in cui fosse possibile acquistare e venderei fossili e artefatti da contrabbando senza l’intervento del governo.

Si considera un collezionista, ma non è altro che un idiota, uno stupido, ignorante e ricco idiota.

Rajindar portò un vassoio coperto, lo mise davanti ad Oxana e fece un passo indietro.

Oxana ripiegò riverentemente la garza bianca.

Chase buttò il suo cappello a terra e poggiò i gomiti sul tavolo.

C’erano due oggetti sul vassoio. Il primo aveva le dimensioni del nuovo pacchetto di sigarette che Alginon poggiò silenziosamente vicino la mano di Oxana. Il secondo era molto più grande.

Oxana prese il più piccolo dei due, esaminando il giallo bagliore del sole. Sorrise e lo porse a Chase.

Egli esaminò la pietra, che somigliava a un blocco di miele indurito. All’inizio non ne sembrò sorpreso, ma quando la luce la colpì, spalancò gli occhi. Lì, incastonati nell’ambra, c’erano due scorpioni gelati per sempre nell’atto della copulazione.

“Porca miseria,” sussurrò.

“Esattamente.” Oxana prese il bicchiere con bourbon e acqua dalla mano pelosa di Alginon. Gli occhi neri del piccolo uomo dalle gambe storte guizzarono dal suo viso al drink e poi nuovamente al suo viso. “Fossilizzata ambra dorata,” disse a Chase. “Ora trasformata in una pietra preziosa che imprigiona una coppia di scorpioni nell’atto dell’amore.”

Rajindar aveva dato alla pietra la forma di un perfetto prisma rettangolare. Successivamente aveva lucidato la superficie, ottenendo una raffinata finitura satinata.

“Affascinante,” mormorò Chase.

“Conosce il valore di questo pezzo?”

Chase fece spallucce e si mise a studiare gli scorpioni dall’altro lato.

“Lasci che le racconti una storiella,” disse Oxana, “così ne capirà il prezzo. Cento milioni di anni fa, quando il Mesozoico finì e cominciò il Cretaceo – “

“Giurassico,” la interruppe Rajindar. “Non Mesozoico.”

Oxana lanciò un’occhiataccia al suo esperto geologico in pietre semipreziose.

Egli resse il suo sguardo, si appoggiò al muro ed incrociò le braccia. “Cambriano, Ordoviciano, Siluriano, Devoniano, Carbonifero, Permiano, Triassico, Giurassico, Cretaceo. È davvero così difficile ricordarsi il giusto ordine?”

“Non è per niente difficile farlo per un Hindu Brahman esiliato con niente nella sua testa, a parte le ere geologiche e le donne nude.”

Le corde vocali di Rajindar si irrigidirono. “Periodi,” borbottò. “Periodi geologici. Non ere.”

“Quando il periodo Giurassico…” Oxana fece una pausa, dando per un momento un’occhiataccia a Rajindar. “Quando il periodo Giurassico finì,” raccontò a Chase, “e il Cretaceo cominciò, questi due scorpioni si incontrarono e si innamorarono. Nel primo atto della loro passione, persero le loro inibizioni e l’equilibrio. Rotolarono nella fresca resina alla base di uno degli enormi alberi Hymenaea che ricoprivano questa regione in quel periodo. Nonostante fossero bloccati nell’appiccicosa linfa, continuarono i loro rapports sexuels. Mi piace pensare fossero al loro apice quando una fresca goccia di resina cadde e li racchiuse per sempre nei loro ultimi spasmi del godimento sessuale.”

Chase alzò un sopracciglio.

“Il loro esibizionismo fossilizzato vale almeno trenta mila Real brasiliani,” disse Oxana.

Chase fischiò attraverso lo spazio tra i suoi due denti frontali. “Oltre quindici mila dollari?!”

“Grammo dopo grammo, più prezioso dell’oro. Più vicino al diamante per essere precisi.”

Appoggiò l’ambra sul vassoio.

Oxana prese in mano il secondo oggetto. Era grande quando il pugno di un lottatore. La superficie era ruvida, con un latto liscio. Rajindar aveva tagliato e lucidato la superficie piatta, lasciando il resto nello stato naturale. Ammirò il lato levigato per un momento, poi lo consegnò a Chase.

L’uomo trattenne il respiro. Racchiusa nella solida pietra di ambra e preservata in uno stato di sospeso dinamismo c’era una salamandra dalle macchie rosse con gli occhi aperti e la lingua fuori. Lo sguardo pietrificato della splendida creatura resse quello di Chase come se i 110 milioni di anni di prigionia fossero stati compressati in quel singolo istante.

Oxana prese una sigaretta dal suo pacchetto ed Alginon afferrò una scatola di fiammiferi. “Se i fottuti scorpioni mi renderanno trenta mila, allora la deliziosa lucertola dovrà valerne sui cinquanta mila, forse di più.” Inclinò la testa e accese la sigaretta. “Non male per due giorni di lavoro nella schifosa Amazzonia, non è d’accordo, signor Chase?”

Prese il fiammifero ardente dall’imbambolato Alginon e spense la fiamma.




Capitolo Due


Presente, New York



Tosh



Cinque mila miglia a nord dalla fossa di Oxana, tra aria fresca e ambientazioni Art Deco, Kennitosh Scarborough si trovava nel corridoio fuori dal suo ufficio e ammirava il nuovo nome della compagnia, Andalusia Publishing.

Si trattava di una serie di uffici nell’Empire State Building, settant’un piani sopra la Fifth Avenue, a New York. Non era affatto un brutto posto per l’inizio, e tutto grazie al patrimonio di famiglia lasciatogli dal padre. Se non fosse stato per quello sarebbe stato bloccato in un logoro ufficio in un palazzo senza ascensore di Brooklyn.

Tosh pensò per un momento a suo padre e si chiese quanto ancora sarebbe durata la sua eredità. Questa era già la sua seconda nuova compagnia, e servirà buona parte del capitale accumulato nel corso del secolo scorso per mandarle avanti entrambe. All’età di vent’otto anni, era l’ultimo di una lunga linea di imprenditori, industriali e finanzieri. Si preoccupava di cosa avrebbe lasciato alla generazione successiva, sempre che ce ne sia una.

Toccò la targhetta di metallo spesso con il nome sulla porta e notò uno sfocato riflesso nell’ottone lucidato. Si girò e fece un passo indietro: si trovò davanti tre giovani donne, fianco a fianco.

Tosh gettò lo sguardo verso l’ascensore mentre con la mano cercava di trovare la maniglia della porta, sperando di non averla chiusa chiave.

Cosa c’è che non va in me? Non c’è niente da temere da tre donne… non è vero?

“Scusatemi, signore.” Si fece da parte tentando di passare a fianco alla terzina.

“Siamo qui per le posizioni nella gestione,” rispose la donna al centro impedendogli di scappare.

Squadrò il suo completo di Armani e poi guardò di traverso il suo azzurro cappellino da baseball.

Il cappellino aveva ricamato sopra ‘Echo Forests’, il nome dell’altra sua compagnia. Se lo tolse e si sistemò i capelli. Le belle donne lo facevano sentire sempre inferiore, e in quel istante ce n’erano addirittura tre.

Tosh passò lo sguardo dall’una all’altra, nel tentativo di trovare delle caratteristiche in base a cui distinguerle. Avevano una ventina d’anni e tutte e tre erano della stessa altezza con i loro tacchi a spillo, poco più basse del suo smilzo metro e ottanta.

Avevano i capelli castani ed indossavano identiche gonne beige con giacche color crema, poco costose, però su misura. Ognuna aveva delle tenui mèches e vivaci boccoli che cadevano sulle loro spalle.

“Sono ancora aperte le candidature?” chiese la donna a destra.

Aveva lo stesso tono impetuoso di quella al centro, solo meno imponente. Forse voleva mitigare la sfrontatezza di sua sorella con un tocco di precauzione. Prima che abbassasse gli occhi, Tosh notò che il loro colore castano-miele creava un bel contrasto con la carnagione chiara.

La terza non aprì bocca, ma tutte parevano ansiose.

“Sì. Le candidature sono ancora aperte, però la signora Applesauce, cioè la signora Applegate –” storpiò il nome della consulente di proposito, nel tentativo di creare una crepa nella loro apparenza glaciale. Ridacchiò, ma quando vide che nessuna delle tre accennò il minimo sorriso, arrossì e si aggiustò il colletto della camicia, che sembrava essere diventato troppo stretto. “Umm, la signora Applegate è già andata via. È lei che segue i colloqui. Potreste tornare in mattinata?” Fece un passo verso l’ascensore. “Devo proprio andare.”

“No,” rispose la donna al centro. “Non è possibile.”

“Dobbiamo essere assunte per domani alle 9,” aggiunse quella alla destra con tono più debole.

Tosh si girò senza prestare alcuna attenzione alla terza, in fin dei conti non aveva ancora detto nulla. “Perché?” chiese alla donna al centro.

Sfacciato, dirà qualcosa di sfacciato, però sembra lei quella al comando.

Diede un’occhiata alle sue scarpe alte e aperte sul davanti, poi lasciò vagare gli occhi sul suo corpo, fermandosi di qua e di là.

La gonna è troppo lunga però belle gambe. Peccato appartengano al corpo di una bulla.

“Perché,” la terza parlò per la prima volta. La sua mano andò ai bottoni d’avorio della sua abbottonata giacca color caffelatte. “Se entro le cinque del pomeriggio di domani non abbiamo un lavoro retribuito, perderemo il nostro appartamento.” Guardò la sorella che stava al centro.

Ah, una crepa nell’armatura della loro imperscrutabilità. Cos’è che abbiamo qui? Tre giovani donne che sono palesemente ambiziose e ardenti nella loro determinazione. E lei non è né maleducata né brusca. Diplomatica è un aggettivo migliore. Sì, signorina Diplomazia. I suoi riflessivi occhi incoraggiano la comunicazione, al contrario di quelli di quella in mezzo, che assorbe meccanicamente i dettagli visivi e calcola le sue mosse come un ufficiale militare.

“È lei il manager?” gli occhi di signorina Impudenza incontrarono i suoi senza esitare.

“Si potrebbe dire. Il mio nome è Kennitosh Scarborough.” Non era mai sicuro se dare o meno la mano alle donne,nonostante lo volesse. Quando tese loro la mano, nessuna delle tre offrì la propria, così finì con il far cadere la sua, mettendola nella tasca dei pantaloni.

Perché non offrono i loro nomi?

Si decise a chiederlo però non ne ebbe l’occasione.

“La signora Applegate fa rapporto a lei?” signorina Prudenza chiese da destra.

Come lo fanno?Com’è che riescono a continuare i pensieri l’una dell’altra? Hanno una mente condivisa in tre corpi diversi?

“Sì, lo fa.”

“Quindi potrebbe farci lei il colloquio.” Era una richiesta, non una domanda da parte di quella al centro.

“Questo non è possibile.” Signorina Impudenza è troppo insistente.

Di solito Tosh assecondava le persone maleducate, almeno finché non riusciva ad andarsene educatamente. È stata però una giornata lunga, ed era atteso a cena per le 18:30. Poi doveva tornare a lavorare sulla situazione nell’Amazzonia.

Perché non me ne sono occupato prima di cominciare a lavorare sull’Andalusia Publishing? In fondo avrebbe potuto aspettare un altro mese finché l’Amazzonia –”

“Non ci vorrà molto” insistette signorina Prudenza.

Tosh mise a terra la sua ventiquattrore e diede un’occhiata all’ora, quasi le 18:00. Per sbaglio cliccò su un bottone sul lato dell’orologio. Partì il lettore. MP3 e dalla piccola cassa suonò Withces, Bitches and Brides di Carma Merit.

Signorina Impudenza guardò il suo orologio e scrollò le spalle, signorina Prudenza piegò la testa corrugando la fronte, mentre signorina Diplomazia sorrise. Il suo sorriso aprì una finestra nella sua personalità.

A signorina Impudenza probabilmente causerebbe dolore provare a sorridere.

Premette il tasto per silenziare Carma, ma lei continuò a cantare lo stess0. “All’inizio era un strega, poi diventò una…” Spinse più forte il pulsante, signora Merit disse “stronza,” poi perse la voce.

Arrossì. “Tasto delicato.”

Gli occhi di signorina Diplomazia seguirono ogni sua mossa, guardando con apparente interesse ogni suo gesto e movimento, come se tentasse di trovare un briciolo di intelligenza in tutto quello che Tosh faceva.

Che trio, così identiche eppure così diverse.

“Supponiamo, per esempio, che io abbia già due candidati in mente che sono pienamente qualificati per le posizioni nella gestione e che mi serva solo un’altra persona. Chi di voi si candiderebbe per la posizione libera?” Non aveva nessuno in lista, però pensò di sapere già la risposta a questa domanda.

“Impossibile” rispose signorina Impudenza.

“Abbiamo letto tutti gli annunci di lavoro nel giornale.” Lo sguardo di signorina Prudenza lo abbandonò non appena egli guardò nella sua direzione.

“Inoltre,” intervenne signorina Diplomazia mentre si aggiustava la tracolla sulla spalla, “abbiamo chiamato tutte le agenzie chiedendo di compagnie che avessero tre posizioni disponibili nella gestione. Vogliamo lavorare nella stessa azienda così possiamo rimanere insieme.”

Tosh notò la cucitura sul polsino della sua giacca.

È una cucitura a mano? Mi chiedo se si sono fatte fare i vestiti su misura.

Signorina Prudenza fece un cenno verso la targhetta sulla porta, incisa di recente. “Andalusia Publishing e altre due compagnie sono le uniche in tutta la città che facevano i colloqui per tre manager in grado di lavorare insieme.”

“Quali sono le altre due compagnie?”

Guardò le loro mani. Nessuna portava l’anello di fidanzamento. Non importava se fossero sposate o meno, era solo curioso di sapere se conducessero le loro vite in modo simile. Signorina Impudenza portava un semplice anello sull’indice. Aveva un’irregolare pietra color miele, piccolina però abbastanza profonda da catturare la luce.

Perché si concede quest’unica espressione di individualità quando apparentemente si impegna così tanto a comunicare un’aura di arrogante identicità.

Le altre due sorelle non portavano anelli. Avevano le orecchie bucate, ma niente orecchini.

Tatuaggi?

Tosh scommise che signorina Impudenza avesse una vedova nera tatuata sul fondoschiena.

Ecco una scommessa che non salderò mai.

Signorina Impudenza fissò di sbieco il suo sorriso, poi intercettò la sua domanda. “Abbiamo deciso di concedere a voi la prima occasione per averci.”

Questo spianò il suo sorriso. Non poteva intenderlo nel modo in cui l’ha detto.

Oppure sì?

Guardandole dall’una all’altra, considerò la sua difficile situazione. Aveva un disperato bisogno di personale nella gestione. Dopo due settimane di colloqui, la signora Applegate non aveva ancora trovato nessuno di suo gradimento. Voleva i suoi manager a lavoro prima di assumere gli altri impiegati. Successivamente i supervisori avrebbero potuto aiutare nel riempire le altre posizioni: grafici, editori, operatori, e altri dipendenti. Forse potrebbe considerare il trio per i posti di lavoro da manager. Erano molto attraenti, il che era solo che un più per quanto lo riguardava. Di sicuro, signorina Impudenza poteva essere domata. Il suo intuito non aveva sempre ragione, ma questa volta… sì, aveva preso la sua decisione.

“Avete dei piani per la serata, signorine?” chiese a signorina Prudenza. “Mi farebbe piacere avervi a cena – c-c-cioè intendo avervi come mie ospiti.”

Signorina Impudenza lo guardò di traverso e aprì la bocca probabilmente per una risposta brusca, ma signorina Prudenza la interruppe. “Nessun piano e stiamo morendo di fame.” Signorina Diplomazia sorrise in accordo.

Aha! Signorina Impudenza battuta due a uno.

“Aspettate un secondo.”

Mentre prendeva il telefono da una tasca interna della giacca, notò signorina Diplomazia guardargli le mani, poi il cellulare e infine gli occhi. Selezionò un numero dalla rubrica e spostò lo strumento al suo orecchio. Dopo un momento qualcuno gli rispose.

“Ciao, Miriam.” Sorrise a signorina Diplomazia. “Sono già arrivati gli Henderson e i Melenkov?” Aspettò risposta. “Quando arriveranno offri loro dei martini e falli sentire a loro agio. Arriverò appena possibile. Ho avuto un imprevisto. Fai le solite scuse per il mio ritardo.” Dopo aver ascoltato Miriam dirgli che non sapeva che altre giustificazioni trovargli le rispose, “Sì, lo so che hanno già sentito tutte le mie scuse per essere in ritardo. Sei un tesoro, però questo lo sapevi già.” Tutte e tre le donne lo guardarono attentamente. “Andrà bene, ci vediamo più tardi.”

Spense il telefono e lo mise via, prendendo la sua ventiquattrore.

“Da questa parte, signorine.”

Quando raggiunsero il parcheggio, Tosh premette un tasto sul suo mazzo di chiavi. Si accesero le luci nella sua lunga e lucida decappottabile blu notte. Schiacciò di nuovo unpulsante e la macchina cinguettò due volte mentre le due portiere si aprivano. Non c’era mai il pericolo di colpire un’altra macchina; possedeva tre spazi adiacenti.

Andò dal latto del passeggero e piegò in avanti la sedia per permettere a due di loro di sedersi dietro. Dopo che si accomodarono si rese conto di aver perso traccia di chi fosse chi. La terza salì davanti dopo che egli fece tornare a suo posto il sedile. Non aveva la minima idea di come avessero deciso chi si sarebbe seduta davanti, ma non ebbero alcuna discussione o confusione a riguardo.

Tosh mise la valigetta nel bagagliaio e si sedette al volante, poggiando il cappellino sulla console tra i sedili. Premette un bottone sul cruscotto, e il motore di otto cilindri prese vita con un rombo.Rombo che scemò poi in un potente ronzio.

Collegò il cellulare al Bluetooth dell’auto elo appoggiò sulla console al centro.

Quindi si immerse nel pesante traffico e girò a ovest verso il sole che stava tramontando, qualcuno da dietro chiese, “Può abbassare il tettuccio?”

“Se riuscite a sopportareil vento.” Aggiustò lo specchietto retrovisore per capire chi avesse parlato.

“Possiamo farlo,” le due da dietro risposero nello stesso momento. La sorella seduta davanti rimase in silenzio.

“Va bene.” Si mise il capellino azzurro. “Ve la siete cercata voi.” Cliccò su un pulsante mentre si fermò al rosso del semaforo.

Quando il tettuccio dell’auto si sollevò e si ripiegò nel portabagagli, la donna sedutagli di fianco chiese, “Che macchina è?”

Guardò in modo stortol’incisione nell’acero del cruscotto di un uccello in volo e il morbido cuoio dei sedili, braccioli, e panelli delle portiere.

Il semaforo divenne verde mentre il tettuccio si sistemò al suo posto e Tosh premette l’acceleratore.

“Una Jaguar” rispose. Salve, signorina Impudenza.

Il suo cellulare squillò e il numero apparì sul display della macchina. Era uno dei direttori del consiglio di amministrazione della Echo Forests. Lo indirizzò al suo telefono di casa, dove Miriam avrebbe risposto.

La signorina Impudenza lo fissò poi si girò ad osservare il traffico.

Dopo un paio di minuti si fermò davanti La Fontaine, al limite del distretto finanziario di New York. Dopo che scesero sul marciapiede, Tosh buttò il suo capellino sul sedile del passeggero e un parcheggiatore portò via l’auto.

Decorato nello stile di uno Château francese, il ristorante serviva uomini e donne facoltosi che conducevano i loro affari davanti a cibo eccellente, vino costoso e servizio raffinato. Delicate sfumature di ambra e giada risplendevano attraverso i paralumi di Tiffany. Le morbide note della Sonata per pianoforte n. 14 di Beethoven si fondevano alla perfezione con la soffice luce e le silenziose conversazioni.

Il maître avvistò Tosh alla porta e fece un cenno con la mano a lui e alle sue ospiti oltre la lunga linea di clienti che stava aspettando un tavolo.

Tosh seguì le tre donne e vide come la gente osservava il trio. Apparivano seccati dalle quattro persone che superavano la fila, ma non riuscivano comunque a staccare gli occhi dalle tre donne identiche.

Il maître li condusse intorno ad una fontana scolpita in travertino al centro del salone principale. L’acqua scorreva sulle superfici patinate, cadendo nella piscina. Un insieme di cigni koi tricolori nuotava pigramente su una luccicante superficie di monete di rame ed argento.

La terzina non prestò alcuna attenzione alle persone che si fermavano a metà pasto per osservarle.

Il maître li condusse in uno spazioso separé con soffici sedute in pelle e braccioli che si aprivano a tendina. Porse poi loro i menù e fecce un cenno con la testa ad un cameriere vicino, che immediatamente si avvicinò al tavolo. Dopo aver augurato loro bon appétit, il maître si affrettò a tornare all’entrata del ristorante.

“Buona sera, signor Scarborough.” Il cameriere sorrise ad ognuno di loro mentre accendeva la candela al centro del tavolo. “Gradireste dei drink stasera?” Appoggiò sul tavolo un cestino con caldi croissant e un fresco piatto con medaglioni di burro. I medaglioni erano arrangiati a modo di perfette spirali di petali di rosa, su un letto di croccante crescione.

“Signorine?” domandò Tosh, passando lo sguardo dall’una all’altra. Era seduto da un lato del tavolo ovale, con le tre sedutegli di fronte.

“Zinfandel,” disse quella a sinistra.

Tosh e il cameriere guardarono quella a fianco.

“Zinfandel,” rispose quella al centro.

L’uomo aspettò risposta dalla terza, un sorrisetto sulla sua faccia.

“Avete la Budweiser?” chiese lei.

Tosh nascose il suo sorriso dietro il menu.

“Umm… sì, certo,” rispose il cameriere.

“Allora prendo quella.”

“Tè ghiacciato per lei, signor Scarborough?”

“Sì, Herman. Grazie.”

Le donne si guardarono tra loro. Una aggrottò la fronte, mentre un’altra si allungò a prendere il tovagliolo, facendo cadere una forchetta nel grembo.

Il cameriere stette per un momento, guardando le tre donne. Alla fine, aggiunse, “Molto bene, signore,” prima di inchinarsi lievemente alla terzina ed allontanarsi.

“Allora,” Tosh lasciò cadere il menù sul tavolo, “perché dovrei assumere voi signorine?”

“Abbiamo una laurea nella gestione aziendale” rispose quella a sinistra.

Voleva chiedere loro se tutte e tre avessero studiato per una sola laurea ma ci ripensò. Signorina Impudenza non l’avrebbe trovato divertente.

Si saranno sistemate nello stesso modo in cui si erano fatte trovare nel corridoio fuori dal suo ufficio? Guardò quella che aveva ordinato la Budweiser. Ella sorrise.

No, questa deve essere signorina Diplomazia.

Gettando lo sguardo dall’una all’altra, Tosh non riusciva comunque a trovare qualcosa per distinguerle. Il loro abbigliamento e le acconciature erano coordinati, ed i loro visi erano gradevoli ed identici, con precisione matematica. Con l’eccezione di signorina Diplomazia, che sembrava essere l’unica in grado di sorridere, le loro labbra presentavano identiche curve. Si ricordò poi dell’anello che aveva visto al dito di signorina Impudenza e diede un’occhiata alle loro mani.Era sparito! Stava sulla sua mano destra prima, ne era sicuro, e poteva vedere tutte e tre le mani destre.

Che strano. Che signorina Impudenza si stia prendendo gioco di me?

“Esperienza lavorativa?” chiese a quella in mezzo.

“Ci siamo laureate solamente la scorsa settimana,” rispose quella a sinistra. “Dalla NYC.”

Tosh brontolò e si mosse sulla sedia. “Oh.” Fece scorrere le dita sul lato della testa. I suoi capelli marroni erano stati tagliati di recente, ed era ben rasato, anche se per quest’ora della sera, i baffi potevano già notarsi al di sopra del suo labbro superiore.

Una di loro continuò prima che lui potesse esprimere le sue preoccupazioni. “A chi dovrebbero fare rapporto i tre nuovi manager?”

Quella dovrebbe essere signorina Impudenza alla sinistra. Sospirò prime di rispondere, “A me.”

È inverosimile che assuma tre persone senza esperienza nella gestione. Neanche se avessero avuto delle lauree avanzate. Un neolaureato non esperto potrebbe coprire una delle tre posizioni. Gli altri manager ed io potremmo formarlo, ma tre persone senza esperienza? No, è fuori questione.




Capitolo Tre


Tosh ne rimase leggermente deluso. Da qualche parte nella sua mente, aveva già pensato al loro primo giorno di lavoro e al modo in cui avrebbe faticato a separare signorina Impudenza dalle signorine Diplomazia e Prudenza. Si chiese, per esempio, se nel momento in cui ne avesse incontrata una nella cucina dell’ufficio, avrebbe aspettato che lei gli sorridesse, lo guardasse male oppure abbassasse gli occhi verso la sua tazza di caffè prima di dire: “Buongiorno, signorina Così-e-Colà? Ah, beh... alcune fantasie sono fatte per restare tali.

Non poteva di certo annunciare all’improvviso che la serata era finita e portarle a casa. Dato che non avevano ancora ordinato la cena, loro quattro sarebbero stati insieme per almeno un’ora, forse di più. Non che fosse cosa spiacevole, un’ora con tre belle donne. Era una prospettiva che andava accettata, non rifiutata. Decise di usare il tempo con saggezza e parlare della sua nuova compagnia: potrebbe aiutarlo ad ordinare i suoi pensieri ed organizzarsi per il primo giorno di lavoro. Aveva solo dieci giorni per sistemare tutto.

Pensare alle prospettive della nuova impresa gli sollevò il morale e il suo naturale ottimismo si ripresentò. Quando Tosh aveva solo nove anni, aveva sentito Quinn– un vecchio amico di suo padre – dire a un conoscente: “Quel Tosh è il tipo di bambino che partirà alla ricerca di Moby Dick con una canna da pesca a mosca e prenderà la salsa tartara insieme a lui.” Sì, era ottimista riguardo al futuro. Forse, una volta organizzata la società, avrebbe potuto pensare al crearsi una famiglia. Ventotto anni, e non aveva neanche una donna. Non aveva avuto relazioni serie dai tempi dell’università.

Un movimento catturò la sua attenzione. La sorella alla sua destra, signorina Diplomazia, si grattò il lobo dell’orecchio. Quando la guardò, lei gli sorrise.

Perché non può signorina Impudenza essere un pochino più gradevole?

“Ci saranno tre dipartimenti nella compagnia,” cominciò Tosh mentre prendeva il cestino del pane e lo offriva a signorina Diplomazia.

Scoperchiò i caldi cornetti, ne prese uno e porse il cestino a sua sorella nel mezzo, signorina Impudenza, che ruppe un cornetto a metà e prese il suo coltello da burro. Lo guardò nel frattanto che imburrava il suo pane.

“Ogni dipartimento avrà sei persone, tra cui un manager, un grafico, editori e personale informatico. Per un totale di venti impiegati.”

Arrivarono i drink e il cameriere mise la Budweiser davanti a signorina Impudenza dopo aver posizionato i bicchieri di vino davanti alle altre sorelle. Nessuno parlò. Aspettarono finché non se ne andò, poi signorina Impudenza porse la birra a signorina Diplomazia, la quale le passò il vino rosso.

“Sono solo diciotto posti di lavoro.” Signorina Impudenza sorseggiò il suo vino. “Quali sono gli altri due?” Mangiò un pezzettino di pane.

“Beh, mi piacerebbe avere una segretaria.” Tosh mescolò mezza bustina di Sweet’N Low nel suo tè. “Ricoprirà anche il ruolo della receptionist.”

“Allora è la signora Applegate la ventesima persona?” Fu signorina Prudenza a parlare.

“No. La signora Applegate è una consulente aziendale che lavora solo temporaneamente per me, finché non avremo il personale completo. Se ne andrà dopo trenta giorni.”

Signorina Diplomazia sorrise. “Chi sarà il ventesimo impiegato?”

“Aspettate un secondo.” Signorina Impudenza si sporse in avanti.

Tosh la guardò, come fecero anche le sue sorelle.

Qual è il suo problema adesso?

“Si tratta di una start-up?” Le sue aspre parole fecero tremolare la fiamma della candela, quasi spegnendola.

Tosh annuì. “Credevo ne foste a conoscenza.”

Quando pubblicò l’annuncio online, non aveva menzionato che la sua azienda era nuova, perché i candidati qualificati avrebbero potuto non offrirsi per il lavoro. Ovviamente lei non poteva sapere che si trattava di una start-up, ma ora voleva solo ribaltare l’equilibrio.

“No, non lo sapevamo.” Guardò per un momento il bicchiere di vino nella sua mano. “Penso che abbiamo fatto un errore.”

Le altre due sembravano essere d’accordo; non dissero nulla né tantomeno annuirono, stavano solo guardando Tosh, aspettando che o lui o loro sorella facesse la mossa successiva.

“Un errore?” Tosh si sporse in avanti, cercando di vedere qualsiasi cosa nei suoi occhi che potesse essere interpretata come dolce.

“Non vogliamo lavorare per una nuova società che potrebbe non essere operativa a lungo.”

“Il sessantasette percento di tutte le nuove aziende fallisce entro il primo anno,” citò signorina Prudenza, apparentemente cercando di essere d’aiuto.

“In realtà avremmo voluto lavorare per un’azienda più grande, una che sarà operativa per un po’.” Aggiunse signorina Impudenza.

Il polso di Tosh accelerò, ma cercò di reprimere la sua crescente rabbia. Voleva dare l’immagine di un uomo d’affari attraente ed abile, ma a volte appariva solamente come un dilettante imbranato.

Perché è così dannatamente irritante?

“Beh, odio deluderla, signorina Impudenza...” La parola gli scappò via prima che potesse fermarsi.

“Bravant,” disse. “Ma c’era andato vicino.”

“Signorina Bravant, certo.” Dopo aver sbagliato il suo nome, tentò di raffreddare la sua faccia arrossata con un lungo sorso di tè freddo.

Compostezza. Calma.

Mise con decisione il bicchiere sul tavolo. “Pianifico che l’Andalusia Publishing sia attiva per molto tempo dopo che voi arriviate a dondolarvi nella vecchiaia.” Era vicino a scoppiare, però continuò lo stesso. “Inoltre, non ho bisogno di tre neolaureate senza esperienza a spiegarmi i rischi dell’avviare una nuova società.” Alla faccia del decoro e della moderazione.

Un silenzio mortale scese nell’aria per alcuni secondi.

“Chi sarà il ventesimo impiegato?”

Tosh lanciò un’occhiata a signorina Diplomazia, a destra. Lei sorrise e sorseggiò la sua Budweiser.

Prese un profondo respiro ed espirò lentamente. “Quel lavoro sarà del mio vicepresidente. Lui–” Tosh fece una pausa ma non si prese la briga di aggiungere le parole ‘o lei,’“dovrà eseguire le operazioni giornaliere. Non intendo essere in ufficio tutti i giorni. E per vostra informazione”, si girò verso signorina Impudenza-Bravant, “ho intenzione di coprire quella posizione lasciando che i tre manager vi competano. Quindi, quando promuoverò uno dei manager come vicepresidente, quello assumerà un sostituto per il suo vecchio dipartimento. Sono sicuro vi abbiano insegnato nel corso di economia aziendale che l’attrito interdipartimentale faccia bene alla salute generale del personale dirigente. Voglio che il migliore arrivi in cima. Quelli che non riescono a reggere la pressione possono abbandonare tutto e saranno sostituiti da persone in grado di farlo. Con tutto il rispetto,” spostò lo sguardo dall’una dall’altra, “non credo che voi tre possiate competere tra voi per una qualsiasi delle posizioni.”

Fortunatamente, Herman, il cameriere, scelse quel particolare momento per prendere gli ordini. Guardò da una faccia impassibile all’altra, mantenendo un’espressione fiduciosa. Quando nessuno gli prestò attenzione, disse: “Penso sia meglio che torni più tardi.”

“No, Herman.” Signorina Impudenza-Bravant lanciò un’occhiataccia a Tosh. “Siamo pronti ad ordinare.” Afferrò il suo menu e lo aprì. Dopo una rapida occhiata ai piatti, disse: “Prenderò il filetto di vitello mignon, con funghi spugnola ripieni di granchio.” Lasciò cadere il menu sul tavolo, incrociò le braccia e fissò Tosh con il suo sguardo gelido. “Cottura media,” aggiunse prima che Herman potesse chiederlo.

Perché non cervelli di maiale in salamoia e bulbi oculari bolliti? Tosh rifletté mentre reggeva lo sguardo della donna. Oppure insetti morti e amanti spenti, come preferiscono tutte le normali vedove nere?

Signorina Prudenza ordinò l’arrosto di anatra, con un condimento di arance e fichi, poi lasciò cadere il menu sul tavolo ed incrociò le braccia.

Tosh scrutò la lista degli antipasti e notò che stavano ordinando i piatti più costosi: settantanove dollari per il filetto e sessantotto per l’arrosto di anatra. Dopo un momento, si rese conto che signorina Diplomazia non aveva ancora ordinato. Vide le altre due sorelle guardarla, in attesa del suo ordine.

Fatemi indovinare, granchio reale dell’Alaska o aragosta alla termidoro?

“Com’è il pollo fritto?” Signorina Diplomazia chiese a Herman.

“Delizioso. Fritto in un croccante marrone dorato, e fornito con due verdure a scelta.”

Tosh guardò lei, e poi signorina Impudenza.

“Va bene, prendo quello,” disse signorina Diplomazia, “con patate al forno e taccole.” Chiuse il suo menù. “E una Coca-Cola.”

“Molto bene. E lei, signor Scarborough? Il solito?”

“No.” Tosh lasciò cadere il menu e fissò signorina Impudenza. “Prendo quello che prende lei, Herman.”

Aspettò che Herman scrivesse ‘filet mignon di vitello’ sul suo taccuino affinché signorina Impudenza battesse le ciglia. Non lo fece.

“Al sangue,” disse Tosh a Herman fissando signorina Impudenza.

Ella sorseggiò il suo vino con nonchalance e chiese: “Ha un business plan?”

“Come, scusi?” Domandò Herman.

Signorina Impudenza lo ignorò. I suoi occhi erano fissati su Tosh.

“Certo,” rispose Tosh.

Herman prese i menù ed andò via.

Parlarono del business plan quinquennale per alcuni minuti; delle entrate previste, delle spese stimate, del costo degli arredi e delle attrezzature per l’ufficio. Signorina Diplomazia chiese quindi informazioni riguardo le buste paga, le tasse e l’assicurazione.

Dopo che Tosh fornì tutti questi dettagli, signorina Impudenza domandò: “Qual è il suo capitale?”

Bella domanda.

Ma erano davvero affari suoi quanti soldi aveva messo da parte per le operazioni aziendali? Erano affari di qualcuno?

Osservò il suo sguardo muoversi su di lui. Stava ovviamente studiando il taglio del suo abito e la qualità del tessuto grigio tortora e sembrava che stesse ispezionando le sue mani cercando anelli. Una fede nuziale forse?

Tosh prese il bicchiere con la mano sinistra, tenendolo in modo da farle inclinare la testa per vedere le sue dita. Quindi posò il drink, decidendo di rispondere alla sua domanda.

“Cinque milioni e mezzo.”

Dopo tutto non ho intenzione di assumerle. Importa cosa sanno di me o della compagnia?

Inoltre, doveva provarle qualcosa. Forse non riguardo sé stesso o i soldi, ma sulla sua competenza commerciale.

Vediamo quanto ne sa davvero.

Le tre donne si scambiarono un’occhiata. “Contanti o capitale proprio in altre attività?” Chiese signorina Impudenza.

Un’altra ottima domanda. Come fa a sapere tutte queste stronzate finanziarie?

Tosh ricordava il corso di economia aziendale come una sfilza di cose di teoria della gestione; niente di alcun valore pratico. La comprensione delle procedure finanziarie doveva venire dalle sanguinose battaglie delle operazioni quotidiane – la dura realtà del flusso di cassa. Eppure, eccola qui, una neolaureata in economia aziendale, senza esperienza per giunta, a porre le domande giuste.

“Contanti,” rispose.

Questo sembrò soddisfare signorina Impudenza, per il momento.

“Qual è il prodotto della sua azienda?” Domandò signorina Prudenza.

Il loro cibo arrivò e tutti e quattro si poggiarono all’indietro per lasciare a Herman spazio per sistemare i pasti. Quando tutto fu pronto, le tre donne si scambiarono i piatti.

La loro risoluzione automatica della confusione di Herman causata dal loro aspetto identico divertì Tosh. Mostrarono la loro silenziosamente collaborata considerazione aspettando che se ne andasse prima di correggerne l’errore. Un gonfiato senso di importanza personale potrebbe facilmente permettere alle tre donne di mettere in imbarazzo o sminuire qualcuno. Le sorelle, tuttavia, non mostrarono il minimo accenno di presunzione... beh, forse a parte signorina Impudenza.

Quando Herman tornò a riempire i bicchieri d’acqua, signorina Impudenza gli porse il bicchiere da vino semivuoto e ordinò del tè freddo. Signorina Prudenza fece lo stesso, con l’unica differenza che il suo bicchiere era vuoto.

“Si tratta di una nuova rivista,” rispose Tosh alla domanda di signorina Prudenza.

Il lungo silenzio fu interrotto solo dal suono dell’argenteria sulla porcellana mentre tagliavano il cibo e mangiavano. Le tre donne apparentemente non erano colpite da un’altra rivista in un mercato già saturo.

“Come si chiama?” Domandò signorina Diplomazia.

“Orphan.”

Tosh masticò un boccone di vitello. Passò un momento prima che si rendesse conto che era successo qualcosa. Quando alzò lo sguardo, notò che tutte e tre le donne si erano fermate; cibo a metà strada. Lo stavano fissando.

Tagliò un pezzo di vitello. “È una rivista chiamata Orphan.” Immerse la carne in una pozza di salsa di bistecca.

Le tre donne tornarono al loro cibo, mangiando lentamente, senza parlare. Sembravano colpite dalle sue ultime parole.

Signorina Impudenza parlò incerta. “Dal titolo si deve dedurre che la nuova rivista non ha una pubblicazione principale?”

“Oppure,” intervenne signorina Prudenza, “è una rivista sugli orfani?”

“Immagino che possa essere entrambe le cose,” rispose Tosh. “Non esiste una pubblicazione principale, ed in realtà è una rivista per e riguardo gli orfani.”

Dopo un secondo di silenzio, tutte e tre parlarono all’unisono.

“Ha fatto ricerche di mercato?”

“È online?”

“Che tipo di pubblicità utilizzerà?”

“Chi scriverà gli editoriali?”

“E per quanto riguarda le foto e l’arte?”

“Stamperà lettere all’editore?”

“Quale sarà il prezzo di copertina?”

“Ha già contattato distributori e librerie?”

“Darà copie gratuite agli orfanotrofi?”

“Che cosa ne sa degli orfani?”

Tosh posò il coltello e la forchetta sul tavolo, prese il tovagliolo e si appoggiò allo schienale, sopraffatto dalle domande e dall’entusiasmo delle sue ospiti. Successe anche qualcos’altro: un peculiare miglioramento dell’atmosfera attorno al tavolo. L’aria divenne più leggera, più facile da respirare. Una pressione invisibile aveva alternativamente compresso e allentato la sua presa sul suo corpo durante tutta la serata. Come un grasso boa costrittore che gioca con la sua preda, non molto affamato ma neanche disposto a lasciar andare una deliziosa e occasionalmente divertente vittima. Ora però, era tutto pace e luce.

Rispose per prima all’ultima domanda. “L’unica cosa che posso dirvi sugli orfani è che io lo sono.”

Il sorriso di signorina Impudenza era quasi dolce. “Anche noi lo siamo.”




Capitolo Quattro


Alle 9 di mattino del giorno dopo Tosh entrò in ufficio e trovò la signora Applegate che intervistava un candidato. Era un uomo sulla quarantina robusto e calvo come un uovo, a parte una ciocca di capelli castano scuro sopra le orecchie. Si agitò sulla sedia, sistemandosi il suo vestito grigio lucido.

“Perdonatemi.” Tosh era in piedi alla scrivania della signora Applegate.

I suoi occhi socchiusi lo fissarono da sopra gli spessi occhiali poggiati sulla punta del naso.

Tosh represse l’impulso di allungarsi e spingerli in su. Fece invece un cenno di saluto all’uomo, il quale deglutì, si asciugò la fronte con una manica e gracchiò un saluto a sua volta.

Tosh parlò alla signora Applegate. “Tre donne verranno questa mattina per–”

La signora lo fermò sollevando una mano e puntando la sua penna stilografica verso la sala conferenze. Le sorelle Bravant erano lì, piegate sulle loro domande di lavoro.

“Bene, ottimo. Mi faccia sapere quando finiranno.”

Se ne andò nel suo ufficio, si sedette e si girò verso il suo computer, però non ebbe la possibilità di accenderlo.

La porta si chiuse con un colpo e la signora Applegate si avvicinò alla sua scrivania, tirandosi su gli occhiali. Le lenti alla vecchia maniera ingigantivano enormemente i suoi occhi grigio-nuvolosi, facendola sembrare un gufo cornuto pronto a piombare su un minuscolo topo.

“Signor Scarborough.” Incrociò le braccia sotto il seno immenso. “Sono io a dover fare i colloqui per l’avvio di questa compagnia, oppure forse mi sto sbagliando?” Si sistemò le braccia, come se stesse cullando un paio di bambini grassi.

Tosh vide gli occhiali scivolarle giù. “No.”

Inclinò la testa di lato e fissò gli occhi su di lui, poi si spinse all’insù gli occhiali. “Allora perché queste tre... bambine hanno marciato qui alle otto del mattino dicendomi che erano pronte per essere intervistate per le posizioni dirigenziali?”

“Beh, io–”

“Inoltre,” lo interruppe con un movimento tagliente della mano destra, “insinuando che una domanda di lavoro non era altro che una semplice formalità?”

“L’hanno detto davvero?”

“Non con così tante parole.” Appoggiò le nocche sul margine della sua scrivania. “Ma certamente lo hanno insinuato molto bene.”

La signora Applegate era una donna robusta di cinquantasei anni che, a immagine di Tosh, sarebbe stata una perfetta direttrice in un riformatorio per le ragazze ribelli.

Giocò con il B-17 sulla sua scrivania, ruotando il modellino in plastica dell’aereo, studiandone il profilo. Si rammentò l’acre odore della colla di Tester e tutte quelle piccole parti difficili. Ricordava anche quel fine settimana, di quindici anni fa, quando costruì il bombardiere. Che piacevole ricordo. Il suo ultimo modello era un Cessna 421 bimotore. Era un’esatta copia in miniatura dell’aereo nel suo hangar all’aeroporto, però il bombardiere era come un vecchio amico di quell’estate di quando aveva tredici anni – lo stesso anno in cui conobbe Jade Wendy McAlister.

Che marmocchia, quella piccola e dolce-aspra provocatrice. Le piaceva però giocare con il mio bombardiere.

Una mezza dozzina di tintinnanti braccialetti emise un suono impaziente sul bordo della sua scrivania.

Era probabilmente sposata adesso, con un minivan e piccoli marmocchi.

Ruotò il B-17 finché il mitragliere di coda puntò le sue mitragliatrici di calibro 50 direttamente sul seno sinistro della signora Applegate.

“Guardi, signora Apple–”

“Se ha intenzione di assumere il personale durante le sue attività fuori orario–”

Tosh si alzò di scatto. Si sporse, avvicinandosi al suo viso tanto da sapere che poteva sentire la sua rabbia.

“Signora Applegate–” Si fermò, trasse un respiro e si raddrizzò. Non è mai stato bravo nei conflitti con le donne e di solito si sentiva intimidito o minacciato. “Può, per favore, accettare le loro domande e fare il colloquio preliminare? Se trova qualcosa sulle loro domande di lavoro, i curricula o nelle risposte alle sue domande che squalifichi qualcuna di loro,” si sedette e premette il pulsante di accensione sul computer, “le mandi via.” Vide apparire il logo di Windows sullo schermo del suo computer. “È tutto chiaro, signora Applegate?” Il suo computer emise due segnali acustici.

“Perfettamente.” La parola fu conquistata e detta come una mano vincente di poker.

Quando la porta sbatté alle sue spalle, Tosh emise sospiro e si girò per appoggiarsi sui gomiti. “Bene, signorine,” sussurrò nell’ufficio vuoto mentre pensava alla terzina, “questo dovrebbe essere interessante. La signora Torsolo-di-Mela ha perfettamente ragione nella sua valutazione. Non avete esperienza lavorativa e probabilmente mi pentirò della mia decisione di assumervi.”

Posò il bombardiere al suo posto, si girò verso il suo computer e cliccò sull’icona dell’Internet. Il sito web della Echo Forests apparve sul monitor, ma i suoi occhi tornarono al B-17. Tirando verso di sé il vecchio bombardiere, fece roteare uno dei sostegni e tornò indietro negli anni fino a quel giorno in cui era solo un ragazzino di tredici anni.

Il telefono squillò. Tosh cercò di tenersi stretto il dolce ricordo. Il telefono squillò di nuovo, riportandolo di colpo alla realtà.

“Scarborough,” rispose. “Oh, ‘giorno, Quinn.” Rimase in ascolto per alcuni secondi. “Quando? Sei al molo? Sarò lì tra quindici minuti.”



* * * * *



Più tardi quel pomeriggio, quando Tosh ritornò in ufficio, la signora Applegate era seduta alla sua scrivania, intervistando un altro candidato.

“Come sta andando?” chiese.

“Molto bene,” rispose lei, raggiante.

“Ha dei candidati promettenti?”

“Sì.” Tre ottimi candidati.

“Tre?” Tosh sorrise e lanciando un’occhiata alla sala conferenze che era vuota. “Quando verranno a parlare con me?”

“Beh, può iniziare con il primo in questo stesso istante.” La signora Applegate si alzò in piedi e tese la mano verso la donna seduta di fronte alla sua scrivania. “Signorina Wishington, le presento signor Kennitosh Scarborough.”

L’anziana signora fissò in modo assente lo spazio in cui si trovava la faccia della signora Applegate prima che questa si alzasse.

“Signorina Wishington?” La signora Applegate ripeté, più forte questa volta.

“Ah, sì.” Alzò lo sguardo. “Sono Abigail Wishington. Sono venuta per candidarmi per il lavoro da grafico.”

“Sì, lo so,” rispose la signora Applegate. “Questo è il signor Scarborough.”

“Come sta, signor Scarface.” L’anziana signora lo guardò attraverso gli occhiali quadrati con montatura a giorno.

La donna sembrava avere circa settant’anni, con la faccia più dolce e angelica che Tosh avesse mai visto.

Sorrise mentre le tendeva la mano. “Salve, signorina Wishington. Lieto di conoscerla.” Si girò verso la signora Applegate. “Che cosa è successo con le sorelle Bravant?” La signorina Wishington continuava a tenergli la mano, mettendone un’altra sopra la sua.

“Oh, le ho mandate via, proprio come mi aveva detto lei.” Il sorriso della signora Applegate si fece ancora più grande e i suoi denti falsi brillavano della lucentezza di plastica. “Non avevano alcuna esperienza lavorativa. Immagino si siano dimenticate di menzionarle questa piccola informazione la scorsa sera.”

“Dove sono le loro domande?”

Tese la mano e lasciò cadere il polso indicando verso il basso. La sua collezione di bracciali di argento ed oro tintinnò sul dorso della sua mano.

Tosh seguì il suo dito puntato verso il cestino, dove vide le tre domande spiegazzate giacere sotto una fradicia bustina di tè.




Capitolo Cinque


Oxana estese la sua ospitalità a Raymond Chase permettendogli di trascorrere la notte nella sua remota baracca nella giungla. Lo fece dormire nella sua infermeria, che per puro caso conteneva un letto appena liberatosi.

Il giorno seguente, dopo aver consumato il pranzo preparato dal cuoco e Alginon, sulla veranda di Oxana, il signor Chase esaminò venticinque esemplari di ambra. Apparentemente non impressionato da questi, chiese di rivedere la salamandra e gli scorpioni.

Nel frattanto che Oxana lo osservava studiare l’ambra contenente la salamandra maculata, notò un lieve tremore nella mano destra.

Cos’è che lo rende così nervoso? Spero che non faccia nulla di stupido.

“Oxana!” urlò qualcuno dalla fossa.

Spostò la sedia dal tavolo traballante e zoppicò verso la ringhiera, dove si sporse per vedere chi l’aveva chiamata.

Devereux. Ma guardalo, lì sul fondo alla fossa, flettendo quegli enormi bicipiti per me. La sua camicia è di nuovo sbottonata e non capisco come possa mettersi quegli stretti pantaloncini. Sono così dannatamente stretti, che il suo... Guardò oltre la sua spalla verso Chase. Non appena mi libererò di lui, farò fare un allenamento a quel giovane stallone.

Uno degli indigeni si inginocchiò ai piedi di Devereux, piegandosi a metà, con le braccia premute contro il suo stomaco. Sembrava un adolescente.

“Qual è il problema, Devereux? Perché quegli uomini non stanno lavorando?”

Una dozzina di nativi, tutti indiani Yanomani, stavano in semicerchio dietro Devereux, guardando qualcosa. Tre guardie puntarono i loro fucili sugli uomini scheletrici.

“Questo ragazzo qui è in pessimo stato,” gridò Devereux. “Quello laggiù è quasi morto, di sicuro.” Annuì verso gli altri indiani che si stavano sporgendo sulle loro pale iniziando un lamento doloroso per il caduto membro della loro tribù.

“Portali entrambi in infermeria, sciocco! Non vedi che siamo a corto di lavoratori? Devo proprio prendere ogni decisione?” Prima che Devereux potesse risponderle, gridò a una delle guardie: “Hamo, se non riesci a far lavorare quei pigri bastardi, troverò qualcuno che potrà farlo. Devono prendersi una vacanza ogni volta che qualcuno cade?”

Devereux ordinò a quattro di loro di portare i due feriti fuori dalla fossa e poi in infermeria.

Hamo fece oscillare l’impugnatura del suo fucile, colpendo un uomo sulla spalla ossuta, urlando loro di iniziare a scavare.

Oxana tornò al tavolo, si lasciò cadere sulla sedia e si schiacciò una grossa zanzara che aveva sull’avambraccio. “Quel cretino e stupido Devereux è proprio un rompipalle,” mormorò. “Se non fosse così fico...”

“Mi perdoni?” Chiese Chase.

“Ho detto che odio questo fottuto posto. Faremo affari oppure no?”

“Accetta dollari americani?” Chase sorrise mentre rimetteva con cura l’ambra sul tavolo, in linea con quella che conteneva gli scorpioni.

“Per quale pezzo?”

“Entrambi. Gli scorpioni e la lucertola.”

“Voglio ottantamila Real brasiliani per i due.”

“Sì.” Si leccò le labbra e deglutì. “Sono circa quarantamila dollari americani.”

“Mi faccia vedere i suoi soldi.”

La zanzariera si aprì cigolando e Alginon uscì con due bevande fredde su un vassoio. Rajindar lo seguì.

Alginon posò le bevande sul tavolo mentre Chase infilava la mano in una tasca interna della giacca e tirava fuori un fagotto di soldi. Contò i soldi, cercando di separare le banconote appiccicose con le dita.

Rajindar si appoggiò al muro, le braccia incrociate. Alginon poggiò il vassoio e rimase in piedi accanto a Oxana, con la mano sullo schienale della sua sedia.

Mentre sorseggiava il suo drink, Oxana e i due uomini guardarono Chase contare i soldi.

Finalmente Chase fece scivolare una grande pila di banconote sul tavolo. Mise il resto dei soldi accanto al suo drink.

“Tutte da cento?” Oxana prese la banconota in cima alla pila e la tenne controluce.

Chase estrasse un bianco fazzoletto sgualcito da una tasca per asciugarsi la fronte.

Oxana guardò Rajindar e inclinò la testa verso la porta. Egli entrò e tornò un attimo dopo con un pennarello. La donna ne tolse il cappuccio, e lo passò sulla banconota da cento dollari.

Gli occhi di Rajindar si spalancarono a causa di ciò che vide. Si schiarì la gola per attirare l’attenzione di Alginon. L’uomo magrolino guardò Rajindar mentre quello spostò gli occhi verso il muro, via da Oxana. Alginon corrugò la fronte mentre guardava Rajindar, poi lasciò il fianco di Oxana per unirsi all’uomo vicino al muro.

Chase lanciò un’occhiata tra loro e Oxana.

Lei sorrise e fece scorrere il pennarello sulla seconda banconota.

Chase cercò qualcosa sul pavimento e mentre si sporse, Oxana fece scivolare la mano destra sotto il tavolo.

L’uomo si alzò con il cappello in mano e cominciò a farsi vento.

Oxana usò la mano sinistra per posare le prime due banconote sul tavolo. “Ha notato,” disse, con un tono quasi disinvolto, “che tutte queste banconote da cento dollari hanno lo stesso numero di serie?” Alzò gli occhi su Chase.

“D-davvero?” Il fazzoletto gocciolava di sudore, ma lo usò comunque per asciugarsi il collo. “Presumo il governo le stampi in quel modo. N-N-Non ne so molto di questo genere di cose.”

“D-davvero?” Oxana si prese gioco del modo nervoso di parlare.

Il boato della sua pistola scosse il tavolo mentre il proiettile .357 lo frantumò da sotto e si schiantò contro il petto di Chase. L’impatto lo fece cadere all’indietro dalla sedia. Rotolò verso il bordo della veranda, lasciando una traccia di sangue. Era morto ancora prima che colpisse il pavimento.

Oxana appoggiò il revolver sul tavolo e allungò la mano per prendere il resto dei soldi di Chase vicino al suo drink rovesciato. Scrollò via il whisky e il sangue, poi sfogliò alcune delle banconote.

“Hmm... che strano, Rajindar. I numeri di serie su queste banconote da cento dollari sono tutti diversi. Che cosa ne pensi?”



* * * * *



Tosh fissò le domande di lavoro della terzia spiegazzate nel cestino. La brutta macchia marrone del tè si stava allargando sui bordi della carta mentre la rabbia gli divorava i nervi. Se solo si potesse recedere così facilmente dal contratto ferreo della signora Applegate.

La signora Applegate scosse Tosh dai suoi pensieri. “Ho detto loro di andare all’Agenzia Temp di Paddington Ramaport. E ho dato alle ragazze un ottimo consiglio.” Guardò la signorina Wishington con un sorrisetto, sicura di sé.

La signorina Wishington sorrise.

“Ossia?” Tosh agitò delicatamente le dita per separare la sua mano da quella della signorina Wishington.

“Ho suggerito loro di trovare posizioni da stagiste in qualche ufficio e apprendere le operazioni partendo dal basso, come ho fatto io. Dopo qualche anno, potrebbero essere considerate per la posizione di manager. Un’istruzione universitaria non è tutto, lo sa. Non ho mai finito l’università, eppure guardi dove sono arrivata.”

“Ottimo consiglio, signora Applegate.”

Si diresse verso il suo ufficio e, una volta dentro, chiuse la porta e accese il computer. Usò Google cercando freneticamente tra i numeri di telefono dei residenti di New York. Gli ci sono voluti cinque minuti per trovare quello che cercava. Proprio quando prese il telefono, la porta si aprì e la signora Applegate fece entrare la signorina Wishington per il suo colloquio.

Tosh lasciò ricadere il ricevitore del telefono al suo posto e guardò l’anziana signora sorridente camminare verso di lui a passi misurati, come quelli di un becchino in pensione. L’ammirava per il voler lavorare alla sua età e per avere un così buon umore, ma questo colloquio non era proprio quello che voleva fare.

Si alzò, fece il giro della scrivania e sistemò una sedia per lei.



* * * * *



Trenta minuti più tardi, dopo che la signorina Wishington lasciò il suo ufficio, Tosh prese il telefono.

Brontolò e si sedette. Aveva composto il numero di casa delle sorelle Bravant però sentì solo un messaggio registrato che diceva che la linea era temporaneamente fuori servizio. O ConEd aveva messo fuori uso un’altra linea telefonica con il loro scavatore di fossati o le tre erano state cacciate dal loro appartamento.

Tosh studiò per un momento la pagina principale del sito di Echo Forests. Sospirò e spostò il mouse, facendo clic su un’icona per visualizzare una serie di immagini sullo schermo. Si appoggiò allo schienale e studiò una foto satellitare del bacino del Rio delle Amazzoni. Mosse il mouse e ingrandì il centro dell’immagine. La città di Manaus, alla confluenza dei fiumi Rio delle Amazzoni e Rio Negro, si presentava come una serie di linee incise leggermente nel mezzo di un immenso paesaggio verde. Cliccò su un’altra icona e comparvero una serie di quadrati rossi, uno alla volta, sovrapposti in ventidue posizioni diverse intorno a Manaus. Quando ruotò la foto per cambiare visuale, contò quarantasette pennacchi di fumo salire dalla foresta pluviale e spostarsi verso est. Nessuna delle scie torreggianti proveniva dai quadrati rossi.

“Tutto bene per adesso,” sussurrò. “Nessun incendio sul nostro territorio, ma è solo una cosa temporanea.” All’improvviso si raddrizzò, spalancando gli occhi per la realizzazione. “Ma certo! Temporaneo.” Prese il telefono e compose un numero per le informazioni. “Signora Succo-di-Mela,” sussurrò a sé stesso mentre aspettava che l’operatore gli rispondesse, “è un genio”.




Capitolo Sei


La mattina dopo Tosh andò presto nel suo ufficio, lasciando la porta socchiusa in modo da poter vedere l’arrivo della signora Applegate.

Lei entrò decisa alle otto e spalancò la bocca nel vedere persone sedute alle scrivanie che non erano state occupate il giorno precedente. Volse lo sguardo dalle tre identiche facce sorridenti e marciò verso il suo ufficio.

Tosh aprì il giornale sulla scrivania e fece finta di leggere.

La porta del suo ufficio si chiuse di colpo ed egli alzò gli occhi, vedendo la signora Applegate venire verso di lui.

“E tutto questo cosa significa?” domandò.

Un incontro con la signora Applegate potrebbe essere paragonato all’essere presentato ad un meccanico mentre questo strappa pezzi strani di cablaggio e peculiari attrezzature da sotto il cofano dell’auto di qualcuno; l’esperienza non è per nulla piacevole.

Tosh si guardò attorno, come se stesse cercando di capire che cosa intendesse. Allargò le mani in un gesto indifeso, sfruttando un misto di innocenza e stupore per mascherare la sua apprensione.

“Quella faccia da ragazzino innocuo non funziona con me come lo fa con alcune persone.” Lasciò cadere la borsa su una sedia e si spinse all’insù gli occhiali. “Voglio sapere che cosa quelle tre–tre,” balbettò, “truffatrici stanno facendo là fuori.” Girò il braccio destro per indicare l’ufficio esterno, continuando a fissare Tosh.

Egli spalancò gli occhi. “Oh, intende le sorelle Bravant?”

“Sa benissimo che intendo proprio loro.”

“Signora Applegate, la sua competenza aziendale e il suo buon senso non smettono mai di stupirmi.”

“Cosa?”

“Hanno seguito il suo consiglio, come ho fatto anche io.” Sorrise e ripiegò il giornale.

La sua faccia si svuotò di ogni emozione e il suo braccio alzato vacillò.

“Ha detto loro di andare all’Agenzia di Paddington e farsi assumere a tempo determinato. E lo hanno fatto.” Tosh unì le mani, mettendo gli indici sotto il mento. “Ho chiamato l’agenzia, ho chiesto loro tre persone a tempo determinato e indovini chi ci hanno inviato?”

Allargò le mani, con i palmi verso l’alto, come se ciò spiegasse in che modo tutto fosse successo. In realtà, quando aveva chiamato l’Agenzia Paddington, le sorelle Bravant avevano già in programma di presentarsi per lavorare in un’altra compagnia. Ha quindi dovuto scavare nella spazzatura della signora Applegate del giorno prima per salvare le loro domande di lavoro e curricula. Lì, scoprì che una delle sorelle aveva inserito il suo numero di cellulare al posto del numero di casa. Ha chiamato e le ha convinte a venire a lavorare per lui.

“Ha firmato un contratto con me,” la signora Applegate si fermò per abbassare la voce ed il braccio, “per assumere del personale al posto suo. Non è forse così?”

“Sì, certo.”

“Allora perché cerca di aggirare il mio lavoro?”

“Oh, ma non lo sto–”

“Le ho mandate via, poi Lei ha agito alle mie alle mie spalle e ha assunto quelle tre piccolo sgualdrine, e–” A quanto pare, lo vide teso, anche se la sua unica reazione fu di sollevare il mento e guardarlo dall’alto in basso. “Bene, se sono così brave, possono fare loro i colloqui e assumere il personale. Ma Lei, signore,” spinse il dito sul suo desktop, accanto al suo bombardiere B-17, “ha un contratto valido e vincolante con me. È bloccato con me fino alla fine del mese.” Prese un respiro. “Che lo voglia o meno.”

“Come sempre, ha ragione,” le disse Tosh, poi allungò la mano per salvare il modellino dell’aereo dalla sua mano. “Lei ed io abbiamo un contratto che mi chiede di pagarle una certa somma di denaro per i suoi servizi alla fine del mese.” Tosh poteva sentire la sua pressione aumentare. “È corretto?”

Lei annuì.

“Bene, allora,” aprì il cassetto centrale della scrivania e afferrò un libretto degli assegni, “a quanto ammonterebbe l’importo?” Posò la penna su un assegno in bianco.

“Cinquemila dollari,” Il sibilo delle sue parole sembrava il respiro di un serpente.

Nel frattempo che Tosh scriveva, poteva quasi sentire i suoi occhi seguire ogni tratto della penna. Alla fine, scrisse l’ultimo giorno del mese nel campo della data, strappò l’assegno dal blocco e glielo porse.

“Arrivederci, signora Applegate.”

Prese l’assegno e lo studiò per un momento. Dopo averlo degnato di uno sguardo gelido, afferrò la borsa e si precipitò fuori dall’ufficio.

Cinque secondi dopo che la porta di Tosh sbatté, sentì la porta esterna sbattere ancora più forte, scuotendo la foto di Annibale e uno dei suoi elefanti che aveva appeso al muro. Si girò verso il computer, sollevato per aver finito la sua traversia con la signora Applegate. Quando il computer si accese, andò sul sito web della Echo Forests per vedere se Quinn avesse pubblicato le foto satellitari di quella mattina dell’Amazzonia.

Sentì bussare leggermente alla sua porta.

“Oh Dio,” sussurrò, “è tornata.” Gli ci vollero alcuni istanti per riordinare tutto sulla sua scrivania, aspettando che lei entrasse nel frattanto. Quando sentì di nuovo il delicato colpetto, urlò: “Entri!”

La porta si aprì cigolando e le tre sorelle Bravant entrarono nel suo ufficio. Si allinearono vicino alla porta aperta.

Indossavano abbinate gonne gialle, con camicette bianche con arricciature sul davanti. Gli orli dei loro vestiti arrivavano appena sopra le ginocchia.

Tosh ammorbidì la sua espressione. “Scusatemi, pensavo fosse qualcun altro.”

Si alzò e indicò il lato vicino la finestra del suo grande ufficio, dove un nuovo divano e tre sedie imbottite erano posizionate attorno a un tavolino da caffè in palissandro lucido. Non si sedettero sul divano, come si era aspettato, scelsero invece le sedie. Si sedette ad un’estremità del divano, si appoggiò allo schienale ed incrociò le gambe.

“Signor Scarborough, cosa è successo?” chiese una di loro.

“La signora Applegate non lavorerà più con noi.”

“Oh, no. Non volevamo che venisse licenziata.”

“Non l’ho licenziata. Avevamo un contratto. Ho risolto il contratto.”

“È cosa corretta?”

Tosh guardò colei che aveva posto la domanda. “Le ho pagato il dovuto fino alla fine del mese.”

“Ma–” iniziò un’altra sorella.

“Cosa ha fatto?” la terza la interruppe piuttosto bruscamente.

“L’ho pagata.”

“Quanto?”

“Cinquemila.”

“Sta scherzando, vero? Ha buttato via cinquemila dollari dall’azienda solo per soddisfare il suo compiaciuto senso di vanità?”

“Non sono vanitoso, e nonerano i soldi dell’azienda.”

“Ambra,” intervenne la sorella seduta più vicina a Tosh, “smettila.”

Questa era la prima volta che Tosh aveva sentito chiaramente un determinato nome appartenente a una particolare sorella delle tre.

Ambra guardò sua sorella, poi di nuovo Tosh.

“Ascoltate, signorine. Prima di fare un altro passo in qualunque direzione stiamo andando insieme...” Guardò Ambra ma parlò a tutte loro. “Non sono il signor Scarborough. Sono Tosh o Kennitosh e non posso rivolgermi a ciascuna di voi come ‘Signorina Bravant’ per tutto il tempo.” Si rivolse ad Ambra. “Si chiama Ambra?”

Gli diede una risposta brusca. “Sì.”

“E lei?” chiese alla prossima.

“Madeleine.”

“Madeleine,” ripeté il suo nome.

“Dominique,” la terza offrì prima che lui avesse la possibilità di chiederlo. La donna sorrise.

“Dominique,” disse, ricambiando il sorriso. Conosciuta anche come signorina Diplomazia. “Ora, Ambra.” La guardò, ancora incerto se fosse signorina Prudenza oppure Impudenza. “Sì, ho dato alla signora Applegate cinquemila dollari, ma non erano soldi dell’azienda. Provenivano dal mio conto corrente personale.”

“Qual è la differenza?” Domandò Ambra. “Sono cinquemila dollari sprecati.”

Buongiorno, signorina Impudenza.

“Sarei comunque stato obbligato a pagarla alla fine del mese, che rimanesse o meno.”

Signorina Prudenza, ora la bella e gentile Madeleine, fedele al suo vecchio nome, rimase fuori dalla controversia.

“Sì,” rispose Ambra, “ma avremmo potuto ottenere da lei trenta giorni di lavoro per i cinquemila dollari. Si rende conto di quanto avrebbe aiutato quel denaro per fornire un sistema informatico a questo posto?”

“Ambra, per favore,” intervenne Dominique.

Tosh alzò la mano verso Dominique. “Continui,” disse ad Ambra.

“Quel denaro avrebbe permesso di acquistare almeno tre computer, forse quattro. Quindi quello che ha fatto licenziando la signora Applegate – con cui, tra l’altro, avremmo potuto lavorare per trenta giorni – è di lasciarci senza computer. Questo è quello che ha fatto.” Lo lasciò aspettare un momento prima di aggiungere: “Signor Scarborough.”

Tosh deglutì a fatica mentre le parole della donna affondavano i loro artigli. Sì, con quei soldi avrebbe potuto comprare i computer. E aveva ragione riguardo al pagare la signora Applegate; aveva permesso alla sua vanità di influenzare la sua decisione. Ma Ambra non avrebbe vinto, almeno non voleva pensarlo.

“La sua logica ha un difetto.” Tosh non è mai stato bravo nelle discussioni. “I cinquemila dollari erano stati impegnati. Li dovevo alla signora Applegate. Com’è che si sarebbero potuto usare i soldi per i computer quando avrei dovuto pagarli a lei?”

“La mia logica non ha difetti.”Ambra fece un respiro profondo, come se si stesse preparando a spiegare qualcosa a un bambino. “Normalmente, quando paghi qualcuno affinché lavori per te, quella persona è sul posto di lavoro e sta producendo un beneficio. Il vantaggio, presumibilmente, se si ha l’intenzione di gestire un’attività a scopo di lucro, ad un certo punto si convertirà in un importo di denaro superiore a quello che sarebbe stato pagato al dipendente. Mi segue finora?”

Tosh annuì. Voleva dirle di sbrigarsi ed arrivare al punto, ma aveva bisogno di qualche minuto per elaborare la propria tesi.

“A meno che l’impiegata non si stia solo sistemando le unghie o spettegolando al telefono, cosa che dubito nel caso della signora Applegate, sarebbe produttiva, cosa che, dopo trenta giorni, o forse un periodo oltre la fine del suo contratto, avrebbe prodotto un profitto. E quello, signor Scarborough, è Fondamenti del Business 101.” Fece un breve respiro, incrociò le braccia sotto il seno piccolo e si appoggiò allo schienale della sedia. “È abbastanza attrito interdipartimentale per Lei?” Soffiò dall’angolo della bocca, spostandosi un morbido ricciolo marrone dalla guancia.

Tosh sorrise senza mostrare i denti, ma la sua risposta non arrivò.

Fantastico, come posso cavarmela ora?

Si alzò, andò alle finestre e guardò la città. Quando guardò giù per le strade trafficate, colse il riflesso di un leggero movimento dietro di lui. I suoi occhi si concentrarono sull’immagine sul vetro, dove vide Madeleine e Dominique parlare silenziosamente ad Ambra. Le guardò e scrollò le spalle. Tosh chiuse gli occhi.

Buon Dio, è la signora Salsa-di-Mela Junior.

Dopo un momento, tornò alla sua scrivania, aprì il cassetto centrale ed estrasse il libretto degli assegni. Quindi aprì un altro cassetto e ne prese un secondo. Tornò sul divano, si sedette e li porse entrambi ad Ambra.

Lei sbatté le palpebre e fissò i libretti degli assegni, ma non li prese.

“Li prenda,” disse Tosh con la sua voce più autorevole, “Signorina Manager della Contabilità.”

Dopo alcuni secondi di silenzio, Dominique si schiarì la gola più forte del necessario. Ambra lanciò un’occhiata a sua sorella, poi prese i libretti degli assegni. Quando aprì il primo, Tosh la vide sollevare un sopracciglio.

Cinque milioni e mezzo.

“Perché ha così tanti soldi in un conto corrente?”

“Volevo solo–”

“Questi dovrebbero essere depositati in un conto fruttifero fino a quando non saranno necessari per le operazioni. Poi trasferirà ciò di cui ha bisogno su un conto corrente. Gestire i soldi in questo modo non è molto intelligente.”

Aprì il secondo libretto degli assegni. Sapeva che avrebbe visto un saldo di quarantamila e spicci. Quello era il suo conto personale. Ambra sollevò gli occhi e tese la mano.

“Cosa?”

“La sua penna.”

Le consegnò la sua penna.

Cliccò e iniziò a scrivere qualcosa nella sezione del registro del libretto degli assegni. “Non ha registrato l’assegno della signora Applegate.”

Tosh si sistemò di nuovo sul divano, con un sorrisetto. “Mi scusi. Numero 666.” Ricordava il numero sull’assegno della signora Applegate perché gli sembrò che le si adattasse alla perfezione.

Ambra smise di scrivere. “Ne è sicuro?” Lo guardò.

“Sì.” Sicuro.”

Ambra sfogliò una pagina nel libretto degli assegni. “Quindi manca un assegno. A chi ha scritto l’assegno numero 665?” Posò la penna sul registro, in attesa.

Si raddrizzò mentre l’adrenalina gli scorreva nelle vene.

Accidenti! pensò. Fregato di nuovo.

Quello era stato per Quinn e aveva lasciato in bianco l’importo sull’assegno.

Esitò. “Uh... non mi ricordo.” Poteva vedere che Ambra non gli credeva, ma se le avesse detto che aveva scritto l’assegno a Quinn, lei avrebbe chiesto quanto e perché.

Perché ho incaricato Ambra della contabilità? Perché ho dovuto dare a Quinn un assegno in bianco invece di dargli il contante per le riparazioni della barca?

Tosh non voleva approfondire tutto ciò, non ancora, e certamente non con le infinite domande e rimproveri di Ambra.

“Beh,”Ambra si alzò per andarsene, “quando recupera la memoria, mi faccia sapere. Non mi piacciono i libretti degli assegni incompleti.” Anche le sue sorelle si alzarono.

“Aspettate un minuto,” disse Tosh. “Sedetevi, tutte voi.”

Madeleine e Dominique si sedettero subito. Ambra si prese un momento prima di tornare alla sua sedia. Tosh andò alla sua scrivania e frugò in giro finché non trovò alcune etichette. Dopo aver scritto i loro nomi sulle etichette, ne porse una a ciascuna.

“Non appena vi alzerete e vi muoverete, non avrò la minima idea di chi sia chi.”

Madeleine e Dominique si scambiarono le etichette con il nome. Ambra guardò la sua, scosse la testa, poi fissò lo sguardo su Tosh. “Perché non marca il nostro–”

“Zitta, Ambra,” la interruppe Dominique.

“Penso siano una buona idea,” aggiunse Madeleine.

Le due staccarono il retro delle etichette e le misero sulle loro camicette bianche, sopra il seno sinistro. Ambra piegò la targhetta in quattro.

“Devo andare a una riunione del consiglio,” le disse. “Voi tre potete iniziare ad organizzare l’ufficio mentre me ne vado.”

“Organizzare?” Chiese Ambra.

“Sì. Preparate questo posto per le attività aziendali. Voglio essere operativo entro il primo del mese.”




Capitolo Sette


Erano quasi le 11 del mattino quando Tosh tornò negli uffici dell’Andalusia Publishing dopo l’incontro settimanale con il consiglio di amministrazione della Echo Forests. Avevano approvato la sua idea di organizzare la cena di raccolta fondi nella sua casa di Long Island il sabato successivo.

Proprio alla porta d’ingresso, c’era uno strano uomo, seduto a una delle scrivanie, borbottando tra sé e sé.

“Non ho né graffette, né taccuini.” Il giovane aprì i cassetti, chinandosi per controllare dentro. “Niente puntine, niente nastro adesivo. Non c’è proprio nulla.” Chiuse il cassetto e ne aprì un altro. “Neanche una matita con cui scrivere. Che razza di azienda è mai questa? È una follia, non posso fare niente di niente.” Chiuse il cassetto e alzò lo sguardo su Tosh. “Chi è lei?”

Tosh lo fissò, chiedendosi se avesse sbagliato piano. Il magro uomo sembrava avere una ventina d’anni. La sua camicia verde lime di seta e i pantaloni eleganti sembravano nuovi, anche se un po’ troppo larghi per i gusti di Tosh, e dal modo in cui i suoi corti capelli biondo ossigenato apparivano, sembrava che qualcuno lo avesse spaventato quando si è svegliato. Un unico orecchino rosso pendeva dal suo lobo sinistro.

“Chi sono io?”

La porta della sala conferenze si aprì e le tre manager di Tosh uscirono in fila.

“Oh, bene,” disse una. “Ha conosciuto George.”

“Non esattamente.”

Tosh diede un’occhiata a ciascuna di loro e fu felice di vedere Dominique e Madeleine indossare le loro targhette con il nome.

“Beh,” disse Madeleine, “Signor Kennitosh Scarborough, le presento George Horspool.”

Nessun segno di riconoscimento illuminò il viso di George. Scrollò le spalle e raccolse un po’ di pelucchi dalla manica.

“Lui è il capo,” gli disse Dominique a bassa voce.

“Ah!” George sussultò. Fece il giro della scrivania per prendere la mano di Tosh. “Signor Scarborough. Ho sentito parlare molto di Lei.” Si appoggiò alla scrivania, inclinò la testa e sorrise, mostrando decisamente troppi denti.

“Interessante, George.” Tosh lasciò la morbida mano dell’uomo e parlò alle tre sorelle. “Non ho sentito nulla di te.”

“George è il suo...ehm...”Ambra esitò, fece un respiro profondo e sbottò, “è il suo segretario.”

“È il mio cosa?”

Un’incurvatura delle labbra, quasi un sorrisetto, apparve sulle labbra di Ambra. “Il suo segretario.”

“Ah sì?” Tosh lanciò un’occhiata al viso raggiante di George. “Che bello, ma io–”

George si mise le mani sui fianchi. “Voleva qualcuno di più vecchio.”

“No, non è quello.” Tosh vide il sorriso di George trasformarsi in un’esagerata espressione di offesa.

“Una donna. Voleva una donna come segretaria.”

“Beh, avevo solo pensato–”

La porta dell’ufficio si spalancò. “Capitano,” disse l’anziano che entrò. Indossava un vissuto berretto da marinaio, inclinato in modo elegante. Con una barba alla Hemingway, era abbronzato e magro, e pareva fosse appena sceso dal ponte di una nave.

“Che c’è, Quinn?” Chiese Tosh.

Quinn si fermò a guardare George, poi la terzina. Si toccò l’orlo del cappello guardando le donne, ma sollevò un sopracciglio mentre volse di nuovo lo sguardo su George. “Mi dispiace, Capitan Tosh. So che non vuole che venga qui, ma...”

Tosh lo prese per il braccio, allontanandolo dagli altri.

“Ho appena ricevuto nuove foto dell’Area 64.” Quinn aveva un forte odore di acqua salata, vernice fresca e fumo di sigaretta.

“Beh, andiamo allora. Diamo loro un’occhiata.”

Entrarono nel suo ufficio e Tosh avvicinò la sua sedia al computer.

Quinn era in piedi dietro di lui, e guardava il monitor.



* * * * *



Quarantacinque minuti dopo, quando i due uomini uscirono dall’ufficio, le tre sorelle e George erano impegnati in una conversazione riguardo i computer ed Internet.

“Tienimi aggiornato.” Tosh diede una pacca sulla spalla a Quinn per mandarlo via.

Quando la porta si chiuse dietro Quinn, Ambra si mise una mano sul fianco. “L’ho per caso vista dare dei soldi a quel vecchio?”

Tosh guardò verso il suo ufficio e si rese conto del fatto che lei avesse visto loro due in piedi davanti alla finestra, discutere dell’Area 64. “Sì.”

“Perché?”

“Perché ne aveva bisogno.” La preoccupazione di Tosh per i problemi che aveva visto sulle foto satellitari dell’Amazzonia aveva messo i suoi nervi a dura prova. Non era pronto a fornire una spiegazione dettagliata. Qualcosa avrebbe dovuto essere fatto, e presto, ma non avrebbe fatto cadere le sue frustrazioni su Ambra o sugli altri.

“Si rende conto che prende compresse di nitroglicerina, vero?”

“E come fa a saperlo?”

“Quando eravate al suo computer,” disse Ambra, “ha fatto un passo dietro di Lei e si è premuto una mano sul petto. Poi ha preso una pillola da una bottiglia e se l’è fatta scivolare sotto la lingua.”

“Perché dovrebbe prenderle in questo modo?” Chiese Dominique.

“Per far sì che la medicina sia immediatamente assorbita nel flusso sanguigno,” rispose Ambra. “Le persone assumono nitroglicerina per problemi cardiaci.”

“Oh.”

“Ha occasionali attacchi di angina,” disse Tosh, “ma non sono gravi, e il suo medico la tiene sotto controllo.” Si rivolse a George. “Stava cercando della cancelleria d’ufficio.”

“Sì, non ho niente. Se il suo telefono squilla, non posso nemmeno prendere un messaggio per Lei.” Si mise le mani in tasca e si guardò attorno, osservando le scrivanie vuote. “È solo a me che sembra, o è davvero strano che un’azienda con persone reali e vive come noi non abbia nulla con cui lavorare? Né una fotocopiatrice né una caffettiera?”

Ambra sorrise e gli altri seguirono il suo sguardo su Tosh.

“Non penso sia affatto strano,” rispose Tosh. “Stavamo solo aspettando che il segretario della compagnia venisse assunto e organizzasse le cose. Cosa possono saperne i manager della gestione di un’azienda?”

“Non scherziamo,” sussurrò George, guardando Ambra.

“Ora,” disse Tosh, “le suggerisco di trovare qualcosa su cui scrivere e fare un elenco di tutto ciò di cui ha bisogno.”

“Ho bisogno di un computer.”

“Lo metta sulla lista. Ogni scrivania, infatti, dovrebbe avere un computer. Quindi, il suo primo compito è capire ciò di cui tutti hanno bisogno e scriverlo. Poi scriva, in alto ‘Ordine d’acquisto’ e lo consegni alla nostra responsabile di reparto.” Sorrise e mise una mano sulla spalla di Ambra.

Ambra fissò gli occhi sulla sua mano, ma non fece nulla per rimuoverla. “Sarebbe meglio che quell’ordine d’acquisto sia firmato da un amministratore dell’azienda.” Guardò Tosh.

“Sapevo che sarebbe diventata un’ottima responsabile.”

Ambra tolse la sua mano dalla spalla e la tenne stretta nelle sue. “Mi farà un grande favore?”

“Certo.”

“Se ha intenzione di dare dei soldi a qualcuno,” sorrise dolcemente, “mi dica di scrivere un assegno.” Gli lasciò la mano e questa cadde al suo fianco. “In questo modo, posso tenere traccia di tutti i soldi che butta via.” Marciò verso la sua scrivania.

“Bene,” disse alle sue spalle, poi si rivolse a George. “Non appena trova qualcosa con cui scrivere, prenda un promemoria.”

George aprì la mano e fece finta di scrivere sul palmo della mano.

“A tutto il personale,” cominciò a dettare Tosh. “Avvisate il reparto contabilità prima di respirare. Tutto deve essere tenuto sotto controllo all’Andalusia Publishing.”

Tutti risero, tranne Ambra.

“Certo.” Gli fece un mezzo sorriso mentre sedeva alla sua scrivania. “E George, assicurati che una copia di quel promemoria vada al capo. Sembra che stia usando molto più della sua quota di aria.” Fece un sorriso malizioso a Tosh e prese il telefono.

Tosh ridacchiò e si diresse verso il suo ufficio.

“Signor Scarborough?”

“Sì...” lanciò un’occhiata alla targhetta della donna, “Madeleine?”

“Potrei parlarle?”

“Certamente. Si accomodi.” Si fece da parte, facendole segno di entrare. Appena entrata nel suo ufficio, chiuse la porta.

“Deve essere una cosa seria.” Tosh le fece segno di sedersi.

Madeleine si sedette sul divano e lui scelse una sedia.

“Signor Scarborough–”

La fermò, alzando una mano. “Se non mi chiama Tosh, la chiamo signorina Bravant.”

“Va bene, mi dispiace. Vorrei parlarle di Ambra.”

“Perché?” Si sporse in avanti. Ora era preoccupato. “C’è qualcosa che non va?”

“No, sta bene. È solo che...ha buone intenzioni lei.”

“Oh.” Tosh mandò via le sue preoccupazioni e si appoggiò allo schienale della sedia. “Non mi preoccupa.”

“A volte è così diretta da sembrare dura. Fa impazzire la gente.”

“Non la vorrei in nessun altro modo.”

“Però so che la fa impazzire, e non voglio che si arrabbi con lei e...” Si fermò, esaminandosi le unghie, grattandosi lo smalto color corallo.

“E cosa?”

“Non vogliamo essere licenziate.” Madeleine prese un filo che trovò sull’orlo della gonna.

“Devi star scherzando. È solo ieri che tu e le sue sorelle siete venute a lavorare per me. Non licenzio mai nessuno prima che sia passata una settimana.”

Si voltò e lo guardò ad occhi spalancati, però quando vide il suo sorriso, sorrise anche lei.

“Ora, voglio che non pensi ad Ambra, così possiamo parlare del tuo lavoro.”

“Ve bene.” Si avvicinò al bordo del divano e si lisciò la gonna gialla. “Qualè il mio lavoro?”

“Penso che dovresti essere la responsabile del nostro dipartimento di marketing. Che cosa ne pensi?”

“Adoro il marketing. È stata la mia materia complementare all’università.”

“Lo so; l’ho letto sul tuo curriculum.”

“Comprende anche la pubblicità? Mi riferisco alle pubblicità che inseriremo nella rivista?”

“Sì, sarà una tua responsabilità vendere la rivista e trovarci inserzionisti.”

“Ottimo.”

“Probabilmente aggiungerò altri compiti in seguito, ma prima di tutto voglio che organizzi queste due operazioni. Va bene?”

“Sì, Tosh.” Gli sorrise per un momento, poi chiese bruscamente: “Posso abbracciarti?”

“Perché no, Madeleine, non ricevo un abbraccio decente da quattordici anni.”

Si alzarono in piedi e Madeleine fece il giro del tavolino. Lo abbracciò, poi fece un passo indietro. “Posso chiederti un altro favore?”

“Certo.”

“Parlerai con Dominique? Anche lei è un pochino preoccupata.”

“Certamente.”

Quando uscirono dall’ufficio, Madeleine lo ringraziò ed andò alla sua scrivania.

“George,” disse Tosh,” facciamo una prova questa cosa del segretario.”

“Sono pronto, signor Scarborough.”

“Prima di tutto, chiamami ‘Tosh’.”

“Va bene. Sono pronto per fare il segretario, ma non mi faccia scrivere, pinzare, scrivere al computer o fotocopiare nulla.” Sorrise al suo nuovo capo e agitò una mano verso la sua vuota scrivania.

“Innanzitutto, voglio che Dominique venga nel mio ufficio. Dopo, vedi se riesci a trovare del caffè.”

“Perfetto,” disse George, poi urlò, “ehi, Dominique, il capo ti vuole. Ehi, Contabilità, avrei bisogno di soldi per il cibo. Qualcun altro vuole qualcosa?” Lanciò un’occhiata a Tosh. “Com’è andata?”

“Alla perfezione.” Tosh sospirò ed andò nel suo ufficio. Si sedette al suo computer ed aprì il file con le ultime foto satellitari che Quinn aveva scaricato. Le osservò tutte, poi ingrandì quella dell’Area 45. Si appoggiò allo schienale, facendo una smorfia a causa di quello che vide.

Dominique bussò alla sua porta già aperta. “Volevi vedermi, Tosh?”

“Ciao, Dominique. Accomodati.”

“Vuoi che chiuda la porta?”

“No, a meno che tu non lo voglia,” le rispose.

“No, mi va bene che rimanga aperta.”

“Ho appena parlato con Madeleine...” Tosh cominciò mentre andava alla sua sedia dietro la scrivania.

“Lo so. È responsabile del marketing e della pubblicità.” Dominique si sedette sulla sedia davanti alla sua scrivania.

Tosh annuì. “Era un po’ preoccupata per l’effetto che Ambra ha su di me.”

“Madeleine mi ha detto tutto. Mi ha anche detto che ti ha abbracciato.”

A differenza di Madeleine, i cui occhi si allontanavano nel momento stesso in cui la guardava, Dominique resse il suo sguardo.

“Madeleine parla in fretta,” disse.

“Beh, questo ci fa risparmiare un sacco di tempo, no?”

“Sì.” Lei sorrise ed attese.

“Sei preoccupata riguardo qualcosa?”

“No,” rispose Dominique. “Ma ci piaci.”

“Davvero?”

“Sì. Anche ad Ambra piaci.”

“Veramente?”

“Sì, ma ha un caratterino a differenza di Madeleine e mia.”

“Senz’ombra di dubbio,” rispose Tosh. “Ora, parliamo del tuo lavoro.”

“Ve bene.”

“Quanto ne sai dei computer?”

“Tutto.”

“Ottimo, questo è rassicurante. Ti vorrei incaricata dei nostri sistemi informatici. Avrai bisogno di un server e–”

“Un router,” intervenne, con un sorriso, “così posso impostare la nostra rete.”

La guardò per un momento. “Esatto, e connetterci ad Internet. Ti occuperai anche della produzione.”

“Produzione?”

“Sì, l’effettiva produzione della rivista. La assembleremo qui, usando QuarkXpress. È lo standard del settore; potremmo anche attenerci a questo. Puoi usare il mio computer per visitare il loro sito Web e dargli un’occhiata. A proposito, quella signorina Wishington è un mago della progettazione grafica. All’inizio ero preoccupato per le sue capacità comunicative, ma una volta che si è seduta al mio computer ed aperto Photoshop, sono rimasto sbalordito. Ha scaricato tre foto dal suo sito web, le ha disposte su una pagina e le ha sistemate tutte su uno sfondo, rappresentato da un bellissimo paesaggio in circa cinque minuti. Poi ha usato un bel carattere calligrafico per scrivere ‘Orphan Magazine’ nella parte superiore. L’ho assunta subito e penso che la vorrai nel tuo dipartimento.”

“Va bene,” disse Dominique. “Quando comincerà a lavorare?”

Tosh prese una cartella di documenti dalla sua scrivania e la porse a Dominique. “Il suo numero di telefono è nel suo curriculum. Chiamala, così potrete mettervi d’accordo sui dettagli. Puoi discutere del suo stipendio iniziale con Ambra. Quando la rivista sarà preparata ed approvata da tutti i responsabili di reparto, dovrai prendere accordi con la tipografia per decidere la composizione e le riviste prodotte.”

“Posso farlo,” gli rispose Dominique.

“Potrei aggiungere altri compiti in seguito, ma voglio che tu organizzi tutto ciò prima di tutto.”

Si alzarono e lei si avviò verso la porta, ma poi si voltò. “Grazie, Tosh,” disse prima di uscire di corsa dall’ufficio.

“Non c’è di che.” Tosh si sedette e si girò verso il suo computer. Pochi minuti dopo, sentì bussare alla porta.

“Sì,” disse, senza distogliere lo sguardo dal suo computer.

“Spero che le piacciano le ciambelle alla marmellata.” George entrò, bilanciando un piccolo vassoio di plastica contenente caffè e pasticcini.

“I miei preferiti!” Tosh si girò. “Come facevi a saperlo?”

“Fortuna.” Posò il vassoio. “Suppongo che possa aggiungerti tu la panna e lo zucchero. Ne ho portati due di ciascuno.”

“Sì, posso farlo. Aggiungi Sweet’N Low sulla tua lista, insieme a una caffettiera.”

“Cos’è quello?” Domandò George, facendo un cenno al computer di Tosh.

Un’immagine satellitare della foresta pluviale amazzonica riempiva lo schermo. I quadrati rossi spiccavano, sovrapposti alla foresta.

“Oh, questa è la mia pagina web della foresta pluviale. Vedi questi quadrati rossi—”

Sentì bussare ed entrambi alzarono lo sguardo per vedere Ambra sulla soglia, con in mano una tazza di caffè in polistirolo.

“Entra,” disse Tosh.

“Saresti così gentile da chiudere la porta mentre esci, Georgie?” Chiese Ambra mentre si dirigeva alla scrivania di Tosh.

George capì il segnale. Quando passò oltre Ambra, i due si guardarono, poi Ambra sorrise.

Dopo che George chiuse la porta, Ambra portò una sedia alla scrivania di Tosh e si sedette. “Ti dispiace prendere il caffè con me?”

“Solo se accetti una di queste ciambelle.” Tosh spinse il vassoio verso di lei.

“Grazie.” Ne prese una e la morse.

“Ho parlato con le tue sorelle.” Tosh sorseggiò il suo caffè, guardandola.

“Lo so.” Si leccò lo zucchero a velo dalle labbra. “Madeleine è responsabile del marketing e della pubblicità. Dominique dei sistemi informatici, Internet e della produzione.”

“Non avrò molti segreti da queste parti, non è vero?”

“No.”

“Madeleine mi ha abbracciato e Dominique no.”

“Lo so,” disse Ambra, “e neanche io lo farò.”

“Bene. Odio gli abbracci.”

Ambra sorrise, poi sorrise anche Tosh.

“Sei responsabile della contabilità,” le disse.

“Non mi dispiace.”

“Ma non sembra molto rispetto agli incarichi di Madeleine e Dominique.”

“Non ho detto questo,” ribadì Ambra.

“Allora cosa hai detto?”

“Ho detto...” Fece una pausa, esaminando una cucitura sulla sua camicetta a maniche lunghe.

Tosh sorseggiò il suo caffè e attese. Borbottò qualcosa.

“Cos’hai detto?” Si sporse in avanti. “Non sono riuscito a capirlo bene.”

“Sei un tipo apposto.” Lo disse così in fretta che quasi non lo sentì.

“Beh, ottimo. Dato che l’abbiamo chiarito, mettiamoci a lavoro.”

“E tu?” Sorseggiò il suo caffè.

“Cosa?”

“Cosa ne pensi di loro?”

“Dominique e Madeleine? Sono dolci, ma tu, Ambra...mi dai del filo da torcere. Sei scortese a volte. Sei anche ipercritica ed esigente. E sei troppo dannatamente logica.”

“Sì,” disse lei sorridendo. “Ma pensi che sia brava?”

“Sì.”

“Grazie.” Osservò la mezza ciambella sul vassoio. Alla fine la prese e le diede un altro morso. “Ora,” disse, leccandosi le dita, “parliamo di affari.”

Tosh la guardò per un momento. Il suo sguardo fermo era quasi tagliente mentre reggeva il suo ed aspettava.

Infine, disse, “Risorse Umane.”

“Cosa?”

“Sarai responsabile delle risorse umane, della redazione, delle immagini, delle ricerche e del collocamento.”

La vide sforzarsi per nascondere un sorriso.

“Posso farti una domanda?” chiese.

“Sarei deluso se non lo facessi.”

“Perché mi affibbi tutte queste stronzate? La contabilità rappresenterà un lavoro a tempo pieno.”

“Temo che il tuo dipartimento sarà un po’ più grande di quanto avessi pensato. Assumi un ragioniere e un assistente responsabile delle risorse umane e lascia che si occupino loro dei dettagli. Puoi supervisionarli.”

“Va bene, ma cosa rappresentano ricerche e collocamento?”

“Penso che parte della rivista dovrebbe essere dedicata agli orfani adulti che cercano i loro genitori biologici e ai genitori in cerca dei loro figli adulti. Cosa ne pensi?”

“Sì, è un’ottima idea. E collocamento?”

“Hai mai sentito di quei bambini che vivono nelle strade di Aleppo, in Siria? Con i loro genitori morti o dispersi e dell’assenza di abbastanza orfanotrofi per accoglierli tutti?”

Lei annuì.

“Una volta ottenuta la licenza dallo Stato di New York, aiuteremo a trovare case per alcuni di quei bambini.”

Ambra batté le ciglia e deglutì. “Sei un piccolo e subdolo coglione, non è vero?”

“Mi piace pensarlo.”

“Ti comporti come un grande uomo d’affari, gettando i tuoi soldi a destra e a manca, guidando la tua macchina stravagante per la città, portando le persone in ristoranti costosi e parlando al telefono come un grosso pezzo di merda. Ma è tutto uno spettacolo, o mi sbaglio?” Si alzò e fece il giro della sua scrivania.

Si alzò per guardarla in faccia.

Sorprendendolo, gli mise le braccia attorno al collo e lo abbracciò, le labbra vicino all’orecchio. “In realtà, non sei altro che un grosso cucciolone. Tenero e dolce come una di quelle ciambelle alla marmellata.”

Fece scivolare le mani intorno alla vita, ma lei indietreggiò.

“Spero ti sia piaciuto,” il suo piccolo sorriso si spense mentre gli toglieva dello zucchero a velo dalla spalla, “perché sarà l’ultimo abbraccio che avrai da me.”

“Va bene,” le disse, lasciandosi cadere sulla sedia mentre lei tornava dalla sua. “Una volta basta e avanza.”





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Oxana usa il lavoro forzato per operare un'illegale miniera di ambra nell'Amazzonia. I suoi scavi a cielo aperto avvengono su un territorio posseduto da Tosh. Scarborough. Quando lui scopre la fossa di Oxana grazie ad una foto satellitare, va ad indagare e viene catturato dai mascalzoni della donna. Una dei dipendenti di Tosh, Amber Bravant, organizza la sua ricerca. Oxana fa presto a punire ed uccidere i suoi schiavi, ma cosa succederà se metterà le mani su Amber?

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