Книга - Ritorno a casa

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Ritorno a casa
Blake Pierce


“Un capolavoro del thriller e del mistero. Blake Pierce ha creato con maestria personaggi dalla psiche talmente ben descritta da farci sentire dentro la loro mente, a provare le loro stesse paure e fare il tifo per loro. Questo libro è ricco di colpi di scena e vi terrà svegli fino all’ultima pagina.” ––Books and Movie Reviews, Roberto Mattos (su Il Killer della Rosa) RITORNO A CASA (Un Thriller Psicologico di Chloe Finee) è il libro #5 di una nuova serie thriller di Blake Pierce, autore del best–seller Il Killer Della Rosa (Libro #1, download gratuito), che ha ottenuto più di 1000 recensioni da cinque stelle.Quando due mariti, migliori amici, vengono trovati morti in un ricco paese periferico, l’agente speciale della sezione VICAP dell’FBI Chloe Fine, 27 anni, viene incaricata di smascherare le bugie di quella cittadina e di trovare l’assassino. Chloe dovrà penetrare la facciata perfetta della città, andando oltre le apparenze per capire la verità su chi fossero quegli uomini e chi potesse volerli morti. Ma in un luogo che prospera nella sua esclusività, non sarà facile da fare.Quali segreti nascondevano quei mariti?Thriller psicologico dall’intensa carica emotiva, personaggi ben costruiti, un’ambientazione intima e una suspense mozzafiato, RITORNO A CASA è il libro #5 in una nuova, avvincente serie che vi terrà incollati alle sue pagine fino a tarda notte. Anche il libro #6 nella serie di CHLOE FINE sarà presto disponibile.







r i t o r n o a c a s a



(un giallo psicologico di chloe fine — libro 5)



b l a k e p i e r c e



traduzione di

valentina sala


Blake Pierce



Blake Pierce è l’autore della serie di successo I misteri di RILEY PAGE, che si compone (al momento) di sei libri. Blake Pierce è anche autore della serie dei misteri di MACKENZIE WHITE, composta (al momento) da tre libri; della serie dei misteri di AVERY BLACK, composta (al momento) da tre libri; della nuova serie dei misteri di KERI LOCKE.



Avido lettore e appassionato da sempre di gialli e thriller, Blake riceve con piacere i vostri commenti, perciò non esitate a visitare la sua pagina www.blakepierceauthor.com per saperne di più e restare in contatto con l’autore.



Copyright © 2019 di Blake Pierce. Tutti i diritti riservati. Ad eccezione di quanto consentito dalla Legge sul Copyright degli Stati Uniti del 1976, nessuna parte di questa pubblicazione può essere riprodotta, distribuita o trasmessa in qualsiasi forma o con qualsiasi mezzo, né archiviata in un database o un sistema di recupero senza aver prima ottenuto il consenso dell’autore. La licenza di questo e–book è concessa solo ad uso personale. Questo e–book non può essere rivenduto o ceduto a terzi. Se si desidera condividere il libro con altre persone, si prega di acquistare una copia per ciascun destinatario. Se state leggendo questo libro senza averlo acquistato, oppure senza che qualcuno lo abbia acquistato per voi, siete pregati di restituire questa copia e acquistarne una. Vi ringraziamo per il rispetto nei confronti del lavoro dell’autore. Questa è un’opera di fantasia. Nomi, personaggi, aziende, società, luoghi, eventi e fatti sono frutto dell’immaginazione dell’autore, oppure sono utilizzati in modo fittizio. Qualsiasi somiglianza a persone reali, in vita o decedute, è puramente casuale. Copyright immagine di copertina eldar nurkovic, concessa su licenza di Shutterstock.com.


LIBRI DI BLAKE PIERCE



I THRILLER PSICOLOGICI DI JESSIE HUNT

LA MOGLIE PERFETTA (Libro #1)

IL QUARTIERE PERFETTO (Libro #2)

LA CASA PERFETTA (Libro #3)

IL SORRISO PERFETTO (Libro #4)

LA BUGIA PERFETTA (Libro #5)



I GIALLI PSICOLOGICI DI CHLOE FINE

LA PORTA ACCANTO (Libro #1)

LA BUGIA DI UN VICINO (Libro #2)

VICOLO CIECO (Libro #3)

UN VICINO SILENZIOSO (Libro #4)

RITORNA A CASA (Libro #5)



I GIALLI DI KATE WISE

SE LEI SAPESSE (Libro #1)

SE LEI VEDESSE (Libro #2)

SE LEI SCAPPASSE (Libro #3)

SE LEI SI NASCONDESSE (Libro #4)

SE FOSSE FUGGITA (Libro #5)



GLI INIZI DI RILEY PAIGE

LA PRIMA CACCIA (Libro #1)

IL KILLER PAGLIACCIO (Libro #2)

ADESCAMENTO (Libro #3)

CATTURA (Libro #4)



I MISTERI DI RILEY PAIGE

IL KILLER DELLA ROSA (Libro #1)

IL SUSSURRATORE DELLE CATENE (Libro #2)

OSCURITA’ PERVERSA (Libro #3)

IL KILLER DELL’OROLOGIO (Libro #4)

KILLER PER CASO (Libro #5)

CORSA CONTRO LA FOLLIA (Libro #6)

MORTE AL COLLEGE (Libro #7)

UN CASO IRRISOLTO (Libro #8)

UN KILLER TRA I SOLDATI (Libro #9)

IN CERCA DI VENDETTA (Libro #10)

LA CLESSIDRA DEL KILLER (Libro #11)

MORTE SUI BINARI (Libro #12)

MARITI NEL MIRINO (Libro #13)

IL RISVEGLIO DEL KILLER (Libro #14)

IL TESTIMONE SILENZIOSO (Libro #15)

OMICIDI CASUALI (Libro #16)

IL KILLER DI HALLOWEEN (Libro #17)



I MISTERI DI MACKENZIE WHITE

PRIMA CHE UCCIDA (Libro #1)

UNA NUOVA CHANCE (Libro #2)

PRIMA CHE BRAMI (Libro #3)

PRIMA CHE PRENDA (Libro #4)

PRIMA CHE ABBIA BISOGNO (Libro #5)

PRIMA CHE SENTA (Libro #6)

PRIMA CHE COMMETTA PECCATO (Libro #7)

PRIMA CHE DIA LA CACCIA (Libro #8)

PRIMA CHE AFFERRI LA PREDA (Libro #9)

PRIMA CHE ANELI (Libro #10)

PRIMA CHE FUGGA (Libro #11)

PRIMA CHE INVIDI (Libro #12)



I MISTERI DI AVERY BLACK

UNA RAGIONE PER UCCIDERE (Libro #1)

UNA RAGIONE PER SCAPPARE (Libro #2)

UNA RAGIONE PER NASCONDERSI (Libro #3)

UNA RAGIONE PER TEMERE (Libro #4)

UNA RAGIONE PER SALVARSI (Libro #5)

UNA RAGIONE PER MORIRE (Libro #6)



I MISTERI DI KERI LOCKE

TRACCE DI MORTE (Libro #1)

TRACCE DI OMICIDIO (Libro #2)

TRACCE DI PECCATO (Libro #3)

TRACCE DI CRIMINE (Libro #4)

TRACCE DI SPERANZA (Libro #5)


INDICE



PROLOGO (#u33761ae5-0733-5030-8a69-2e7a4ffa4569)

CAPITOLO UNO (#u4de4f003-6506-5a04-9901-aa59e051bba7)

CAPITOLO DUE (#u95183b5c-76e0-5b09-8781-b5c56c98ae38)

CAPITOLO TRE (#u5c4245f8-2e20-586d-ba05-d8dca765740a)

CAPITOLO QUATTRO (#uacd2321a-1c20-58c9-93e6-696d2d29491a)

CAPITOLO CINQUE (#u6d0b1efe-4f6e-538d-9951-8a066fc9b672)

CAPITOLO SEI (#u93e1eb89-04c5-5e3c-9390-ac5472e123ea)

CAPITOLO SETTE (#u4c494b8c-4d30-58f4-bee6-a2b0b1e6197f)

CAPITOLO OTTO (#litres_trial_promo)

CAPITOLO NOVE (#litres_trial_promo)

CAPITOLO DIECI (#litres_trial_promo)

CAPITOLO UNDICI (#litres_trial_promo)

CAPITOLO DODICI (#litres_trial_promo)

CAPITOLO TREDICI (#litres_trial_promo)

CAPITOLO QUATTORDICI (#litres_trial_promo)

CAPITOLO QUINDICI (#litres_trial_promo)

CAPITOLO SEDICI (#litres_trial_promo)

CAPITOLO DICIASSETTE (#litres_trial_promo)

CAPITOLO DICIOTTO (#litres_trial_promo)

CAPITOLO DICIANNOVE (#litres_trial_promo)

CAPITOLO VENTI (#litres_trial_promo)

CAPITOLO VENTUNO (#litres_trial_promo)

CAPITOLO VENTIDUE (#litres_trial_promo)

CAPITOLO VENTITRÉ (#litres_trial_promo)

CAPITOLO VENTIQUATTRO (#litres_trial_promo)

CAPITOLO VENTICINQUE (#litres_trial_promo)

CAPITOLO VENTISEI (#litres_trial_promo)

CAPITOLO VENTISETTE (#litres_trial_promo)

CAPITOLO VENTOTTO (#litres_trial_promo)

CAPITOLO VENTINOVE (#litres_trial_promo)

CAPITOLO TRENTA (#litres_trial_promo)

CAPITOLO TRENTUNO (#litres_trial_promo)

CAPITOLO TRENTADUE (#litres_trial_promo)

CAPITOLO TRENTATRÉ (#litres_trial_promo)

CAPITOLO TRENTAQUATTRO (#litres_trial_promo)

CAPITOLO TRENTACINQUE (#litres_trial_promo)

CAPITOLO TRENTASEI (#litres_trial_promo)




PROLOGO


Sherry Luntz non amava i sentimentalismi, ma adorava fare baldoria. Ed era il motivo per cui stava guidando leggermente oltre i limiti di velocità, tornando a casa dal lavoro. Aveva due bistecche in un sacchetto sul sedile del passeggero e una bottiglia di vino rosso in un altro. Quella sera era il suo anniversario; era sposata con Bo Luntz ormai da ventun anni ed era il primo anniversario che avrebbero condiviso senza il figlio in casa. Aveva sperato che non avere Luke a vivere sotto lo stesso tetto avrebbe aggiunto un po’ di pepe al loro matrimonio, ma non era stato così. Anzi, tra lei e Bo sembrava essere sorto un muro.

Erano passate due settimane dall’ultima volta che erano andati a letto insieme, ed era stata una cosa frettolosa la mattina prima del lavoro. Ma dannazione...era il loro anniversario e stavolta lo avrebbero fatto. Se non avesse preso l’iniziativa lui, Sherry la settimana prima aveva ordinato online una cosetta particolarmente sexy, che avrebbe usato per saltargli addosso.

Arrivò a casa alle 17:25, circa cinque minuti prima del solito. Il furgoncino di Bo era nel vialetto, il che significava che anche lui era già a casa. Non era niente di nuovo, perché di solito arrivava a casa prima di lei.

Mentre parcheggiava l’auto e scendeva, le venne in mente che Bo forse non si rendeva nemmeno conto che oggi era il loro anniversario. Era abbastanza bravo a ricordare le date speciali, ma ultimamente sembrava avere la mente altrove. Da quando Luke era partito per il college, Bo sembrava distante e semplicemente non era più se stesso.

Eppure...se si era davvero dimenticato che era il loro anniversario, si sarebbe incazzata sul serio. Siccome però aveva una gran voglia di saltargli addosso, pensava di poter aspettare fino al giorno dopo per arrabbiarsi.

Entrò e trovò la casa silenziosa. Entrando nella zona giorno con cucina adiacente, vide che Bo non c’era. Era strano, perché quasi ogni pomeriggio era al tavolo della cucina a rispondere alle email di lavoro, oppure seduto sul divano a seguire il notiziario.

All’inizio era confusa, poi un sorriso le increspò le labbra. Magari non solo sapeva che era il loro anniversario, ma era impaziente quanto lei. Sherry appoggiò le bistecche e il vino sul bancone della cucina e lentamente salì la scalinata tra il soggiorno e la cucina. Sapeva che Bo non era il tipo di uomo che usava petali di rosa o musica rilassante per sedurla. Nessuno dei due era particolarmente romantico.

E a Sherry andava bene così. A dirla tutta, sarebbe stata altrettanto felice se lui fosse spuntato fuori da dietro la porta della camera da letto e l’avesse presa proprio lì, contro il muro. Il solo pensiero la eccitò, facendole accelerare il passo, ormai in cima alle scale.

“Bo?” chiamò in tono giocoso.

Oltrepassò il bagno e arrivò alla porta della loro camera da letto. Era chiusa e tentò di rammentare se l’avesse lasciata lei così, uscendo di casa. Troppo eccitata anche solo per rifletterci a lungo, la aprì, aspettandosi che lui la afferrasse o, se era davvero fortunata, che fosse steso sul letto nudo ad attenderla.

Non accadde nessuna delle due cose. Sherry si accigliò, tornando in corridoio. Dove diavolo è?

Poi le venne in mente che gli aveva mandato un messaggio per fargli sapere che avrebbe portato a casa delle bistecche. Era stata sul punto di aggiungere “Per il nostro anniversario", ma aveva deciso di non farlo, sperando che se ne ricordasse da solo. Sapendo che Sherry avrebbe comprato la carne, probabilmente era fuori sul patio, intento ad accendere la griglia.

Un po’ delusa per non aver avuto una sorpresa in camera da letto, Sherry tornò al piano di sotto. Stava per andare in cucina a prendere le spezie e i condimenti, ma decise che preferiva vedere prima Bo. Magari gli avrebbe dato un bacio appassionato, lasciandogli intuire quello che si aspettava più tardi.

Aprì la porta del patio e uscì fuori. Stava per richiudersela alle sue spalle quando vide Bo. E all’inizio non aveva senso.

Era sdraiato sul patio, rivolto verso la porta. I suoi occhi erano spalancati e immobili e c’era qualcosa di scuro che gli penzolava dalla bocca, un oggetto morbido e tondeggiante. Cercò di capire cosa fosse, ma fu allora che si rese conto che una pozza di sangue gli circondava la testa. Era di una tonalità di rosso molto scuro, ed era ancora bagnato.

“Bo...?”

Naturalmente, Bo non rispose.

Sherry sentì un urlo risalirle la gola. Dopo che le uscì di bocca, si accorse di sentire l’odore del liquido infiammabile e della carbonella. Bo era davvero uscito per avviare la griglia. Improvvisamente, l’odore della carbonella fu l’unica cosa di cui si rendeva conto, mentre cadeva in ginocchio, abbandonandosi a lamenti agonizzati accanto al marito morto.




CAPITOLO UNO


“Sono Danielle... dite quello che dovete dire dopo il bip.”

Chloe riagganciò e mise il cellulare sul bancone del bar. Guardò fuori dalla vetrina del locale che aveva scelto a caso. Stava bevendo da sola il giovedì pomeriggio, appena due giorni dopo aver chiuso il suo ultimo caso. Era ancora indolenzita, ma quella era l’ultima cosa che le passava per la mente. Guardando fuori dalla vetrata il tardo pomeriggio che inondava di luce dorata le strade di Washington, Chloe stava cominciando a preoccuparsi per Danielle.

Non parlava con la sorella da due giorni. Sapeva che due giorni non erano davvero motivo di preoccupazione, ma per il modo in cui le cose erano andate tra loro ultimamente, non poteva farne a meno. Inoltre, non solo Danielle aveva apparentemente spento il telefono, ma Chloe era anche passata dal suo appartamento: nessuno le aveva aperto.

Chloe scolò la seconda birra del pomeriggio e guardò l’orologio sul display del telefonino. Erano le 17:17, ovvero mezz’ora dall’ultima volta che aveva controllato. Non riusciva a ricordare l’ultima volta che avesse provato una tale preoccupazione, un tale bisogno di sapere costantemente che ore fossero.

Notò a malapena il barista che si avvicinava. Fece un cenno al suo bicchiere vuoto e le chiese: “Un’altra?”

Stava per accettare. Non si ubriacava spesso, ma si domandò se, continuando a bere, avrebbe smesso di crucciarsi. Magari si sarebbe ubriacata al punto da dover tornare a casa in taxi, poi sarebbe crollata, svegliandosi al mattino solo per rendersi conto di essersi preoccupata per niente.

Ma questo non è da lei. Non è la nuova Danielle che ho imparato a conoscere.

“No grazie. Solo il conto.”

Il barista andò alla cassa, mentre Chloe riprendeva il cellulare. Il suo registro delle chiamate era la prova di quanto fosse in pensiero, specialmente quel pomeriggio. Era arrivata persino a chiamare lo strip club dove Danielle lavorava come barista. Ed era stato allora che aveva davvero iniziato a preoccuparsi. Il manager di Danielle l’aveva informata che si era data malata due giorni prima, dicendo di avere la mononucleosi o qualcosa del genere.

Ma se era così, non era rinchiusa in casa. E non rispondeva al telefono. Non ha molto senso spegnere il telefono quando si è malati, no?

Il barista le consegnò il conto e lei gli passò la sua carta di credito. Mentre firmava la ricevuta, si chiese se dovesse fare una denuncia di scomparsa. Sarebbe stato stupido; se qualcuno avesse presentato una denuncia in una simile situazione e lei fosse stata la persona incaricata di metterla a verbale, probabilmente avrebbe alzato gli occhi al cielo, ignorandola. Inoltre...a causa del passato di Danielle, una denuncia di scomparsa era l’ultima cosa di cui aveva bisogno. Guardando i precedenti di Danielle, non sarebbe stato esagerato supporre che avesse deciso di fare le valigie e trasferirsi altrove.

No, non la nuova Danielle...

Chloe se ne andò dal bar più frustrata di prima. Tentò di concentrarsi su una sola emozione, la preoccupazione o la frustrazione, ma si accorse che in realtà funzionavano perfettamente insieme, in modo alquanto irritante. Mentre si avviava a piedi verso il suo appartamento, cercò di convincersi che si stava comportando da stupida. Detestava essere così convinta che qualcosa non andasse. Non era mai stata una persona ansiosa, anzi, era sempre alla ricerca di qualche spiegazione logica per non doversi preoccupare in nessuna circostanza. Era sicura che, non appena avesse smesso di ossessionarsi, Danielle le avrebbe telefonato dicendole di aver lasciato la città per vedere i suoi vecchi amici nel Maryland, o qualcosa del genere.

Proprio mentre quella fragile rassicurazione le attraversava la mente, le squillò il telefono.

Il cuore le balzò subito in gola. Era così certa che fosse Danielle che non si preoccupò nemmeno di controllare il nome sul display. Dovette addirittura trattenersi dal pronunciare il nome della sorella rispondendo.

“Pronto?”

“Agente Fine...ciao” disse una voce maschile. Le ci volle un momento per riconoscerla e, quando lo fece, si sentì in colpa per essere così delusa. Era Kyle Moulton. In qualsiasi altro momento, avrebbe potuto essere contenta di sentirlo, ma essendo così ansiosa di sentire la sorella, la sua telefonata era quasi un evento insignificante.

“Ciao, Moulton.”

“Scusa se ti chiamo di punto in bianco, ma avevo un po’ di tempo libero. Di solito mi lasciano fare delle telefonate a quest’ora, più o meno due volte a settimana, così ho pensato di sentirti per sapere come stai.”

“Sto bene.” Si interruppe, facendo una smorfia per quella menzogna e per quanto le sue parole suonassero del tutto false. “Sai una cosa?” disse. “In realtà, sono in difficoltà, in questo momento.”

“Lavoro?”

“No. Questioni personali.”

“Ah, capisco. Accidenti, Fine. Anche l’ultima volta che abbiamo parlato c’era qualche faccenda privata che ti consumava. Le cose non stanno andando meglio?”

“Sono domande piuttosto insistenti, dette da qualcuno che è rinchiuso senza potermi offrire un sostegno emotivo.”

Moulton ridacchiò, seppur con scarsa allegria. “Lo so. Scusa. Ma ehi, dietro le quinte si sta smuovendo qualcosa...tutto legale. Sembra che la mia condanna potrebbe essere notevolmente ridotta. Anche se le possibilità che io torni a lavorare per il Bureau sembrano davvero minime.”

“Beh, incrociamo le dita.”

Rimase in silenzio per un minuto e, quando ricominciò a parlare, la sua voce era cupa. “Ehi, senti...volevo solo salutarti. Non sapevo che tutta questa faccenda privata ti stesse ancora tormentando. Posso chiamarti un’altra volta.”

“No, non sei tu. È solo che...è stata una giornata difficile.”

Stava quasi per raccontargli i suoi sospetti su Danielle, pensando che avrebbe potuto offrirle qualche prezioso consiglio. Ma alla fine decise che era qualcosa di troppo personale - e che metteva a nudo un lato paranoico di lei che non era pronta a mostrare a Moulton.

“Quindi...posso supporre che non ci sia stata una risoluzione con tuo padre, tua sorella e il diario?”

“No... è più che altro...”

Smise non solo di parlare, ma anche di camminare. Il suo appartamento era a un isolato di distanza, ma in quel momento non ci pensava affatto.

“Fine?”

“Sì...”

Non avevo nemmeno pensato a papà. È un po’ che non lo sento... sicuramente non negli ultimi giorni...

“Moulton... forse mi hai aiutato a capire qualcosa. Devo andare.”

“Ehi, sono felice di esserti stato d’aiuto” disse con un pizzico di allegria. “A presto, Fine.”

Chloe concluse la telefonata, quindi compose subito il numero di suo padre. Si portò il cellulare all’orecchio e, dopo un attimo di silenzio, partì il messaggio della segreteria. Restò lì immobile per un momento, cercando di prendere una decisione, sforzandosi di non saltare alle conclusioni presumendo il peggio.

Ma, ad essere sinceri, erano troppe le cose che non tornavano. Considerato quanto suo padre sembrasse ansioso di farsi perdonare, non aveva senso che evitasse le sue chiamate. Certo, era improbabile supporre che anche lui avesse lasciato la città o fosse scomparso, ma il fatto che si stesse verificando la stessa situazione con Danielle...era troppo da ignorare.

Chloe rimise in tasca il telefonino e coprì la distanza rimanente fino al suo appartamento di corsa. La preoccupazione si stava trasformando in paura e improvvisamente aveva l’impressione che ogni minuto che passava potesse aggravare ancora di più quel mistero.




CAPITOLO DUE


Trascorsero esattamente sedici minuti da quando Chloe aveva ricevuto la telefonata di Moulton a quando parcheggiò davanti all’appartamento di suo padre. La sua auto era lì, il che era un buon segno, suppose. Ciò però non servì minimamente ad alleviare il panico che cresceva in lei minuto dopo minuto. Corse su per gli scalini e bussò alla porta con urgenza.

Attese diversi secondi senza ricevere risposta. Ritentò, questa volta picchiando più forte. Si avvicinò, con il naso a pochi centimetri dall’uscio, e disse: “Papà, apri la porta.”

Di nuovo, non ci fu risposta. Nutrendo ben poche speranze, tentò di aprire la porta e si stupì di constatare che non era chiusa a chiave. Mentre l’uscio si spalancava, si rese conto di quanto fosse strano. E improvvisamente, il fatto che la porta fosse aperta non fece che aumentare ulteriormente la sua preoccupazione.

Entrò chiudendosi la porta alle spalle. La villetta a schiera era silenziosa e ordinata. Entrò nel soggiorno, osservando la casa con circospezione. Si guardò intorno alla ricerca di qualsiasi segno che fosse successo qualcosa di insolito, ma non riuscì a trovare nulla, a parte il fatto che la porta d’ingresso non era chiusa a chiave.

Uscì dal soggiorno e percorse il piccolo corridoio che portava alla camera da letto. Anche lì non notò nulla di insolito. Il letto era fatto e c’era un mucchietto di vestiti sporchi di fianco alla cassettiera. Si rese conto che stava praticamente sbirciando nella nuova vita privata di suo padre e questo la mise a disagio. Non voleva pensare a lui come una persona diversa; era venuta a patti con il genere di uomo che era stato realmente e, per quanto la riguardava, era così che voleva ricordarlo sempre.

Lasciò la camera da letto, rimpiangendo la sua decisione di venire lì. Ma, già che c’era, immaginò valesse la pena controllare tutte le stanze. Si diresse in cucina e, prima di entrare, notò la prima cosa che sembrava fuori posto.

Il bollitore era sul pavimento. Non c’era acqua per terra ed era a più di due metri dai fornelli, dove avrebbe dovuto essere. Lentamente, si chinò per raccoglierlo. Le sue dita esitarono, sospese a pochi centimetri dal manico.

C’era una macchia sul lato, di una tonalità rosso scuro che spiccava sull’acciaio. Non era un vero e proprio schizzo, somigliava piuttosto ad una goccia delle dimensioni di una monetina. Era una tonalità di rosso scuro che aveva visto parecchie volte, da quando lavorava al Bureau, quindi non perse nemmeno tempo a chiedersi cosa potesse essere.

Era sangue. Sangue secco, il che significa che era rimasto sul bollitore per almeno otto, dieci ore. Probabilmente più a lungo.

Si inginocchiò vicino al bollitore e cercò di formulare un’ipotesi nella mente. Il primo possibile scenario era che Danielle fosse venuta lì per qualche motivo e che il padre l’avesse aggredita - forse portandola via con sé. Ma non aveva senso, poiché la sua auto era ancora lì. Inoltre, se fosse stato un rapimento premeditato, sarebbe stato più attento a non lasciare prove, e il bollitore era una prova piuttosto evidente.

Ma allora, se non è andata così, cos’è successo?

Non ne era sicura. C’erano molte possibilità da prendere in considerazione. Ma una cosa era certa: con la porta aperta, il sangue sul bollitore, e ora due persone scomparse, aveva abbastanza elementi sospetti per sporgere ufficialmente denuncia.

Chloe prese il telefono dalla tasca e quasi fece una telefonata al direttore Johnson, ma sapeva che sarebbe stato un errore. Tutti i casi che cominciavano così erano sempre gestiti prima dalla polizia locale. Nonostante ritenesse che il Bureau avrebbe potuto gestirlo meglio perché conosceva il passato delle due persone scomparse, era una questione che riguardava la polizia, per il momento.

Chiamò la centrale e, mentre ascoltava la donna che rispose al telefono, fissò quella goccia di sangue chiedendosi se appartenesse a suo padre o a sua sorella.



***



Le pareva surreale essere la persona interrogata. Il detective incaricato di raccogliere la sua deposizione sembrava perfettamente consapevole del terreno sul quale si stava muovendo. Registrare la dichiarazione di un agente dell’FBI riguardo una questione familiare avrebbe potuto, in fondo, essere una grandissima chance per inserire una stella d’oro nella sua carriera. D’altra parte, era sicuramente anche consapevole del fatto che quell’agente dell’FBI lo stava probabilmente studiando mentre svolgeva il suo lavoro.

A Chloe dispiaceva per lui, davvero...perché lo stava effettivamente studiando. Era molto alto e aveva quasi cinquant’anni. Sembrava annoiato, ma anche vigile - lo stesso sguardo che aveva visto in molti altri detective in passato.

Stava facendo un buon lavoro, anche se sembrava incerto su tutta la situazione. Era arrivato con due poliziotti, entrambi ancora intenti a ispezionare la casa. Chloe fu educata, omettendo di dire che aveva già effettuato un’accurata perlustrazione.

“Così afferma che la porta non fosse chiusa a chiave?” le chiese il detective.

Erano seduti sugli sgabelli della cucina, entrambi a guardarsi intorno come se ci fosse qualcosa che gli era sfuggito. “Esatto” confermò Chloe.

“Sa se di solito la lasciava aperta?”

“No, non ne ho idea. Ma non sembra plausibile. È a Washington DC soltanto da un mese. Dubito che si sentisse già così al sicuro.”

“Le viene in mente qualche motivo per cui suo padre potrebbe aver invitato sua sorella qui?”

Non intendeva raccontare di quando Danielle si era introdotta nel suo appartamento per rubare il diario della madre. Se l’avesse fatto, l’attenzione sarebbe stata concentrata tutta su di lei, mentre era suo padre il cattivo qui. Si rendeva perfettamente conto che così avrebbe ostacolato le indagini, ma non aveva altra scelta che mentire.

“Non mi viene in mente nulla. Papà ha cercato di riavvicinarsi a noi, voleva rimettere le cose a posto. Abbiamo una relazione tesa, noi tre. Danielle è sempre stata quella un po’ più disposta a credere alle sue stronzate.” Ecco la bugia. “Quindi forse l’aveva chiamata per riconciliarsi. Non lo so.”

“Ma a giudicare dal bollitore e dal sangue che c’è sopra, potrebbe non essere andata così bene” commentò il detective.

“È quello che temo.”

“L’unica cosa che mi preoccupa è che il bollitore è tutto quello che abbiamo” proseguì il detective. “Certo, è sporco di sangue, ma dove sono le prove di una colluttazione?”

“Direi che il sangue è la prova.”

“E sa con certezza che è stato suo padre a maneggiare il bollitore? C’è qualche possibilità che sia il suo sangue, invece?”

“Ne dubito fortemente.”

Ma proprio mentre rispondeva, Chloe aveva iniziato a esplorare l’altra alternativa, un’alternativa che era stata troppo cieca per vedere prima, preoccupata com’era per Danielle. Se la porta era aperta e non c’erano segni di lotta...più segnali indicavano che Danielle fosse l’aggressore, piuttosto che la persona aggredita. Doveva essersene andata di fretta, dimenticandosi di chiudere a chiave la porta. E sarebbe stato più facile per lei prendere in contropiede il padre con il bollitore, poiché sicuramente lui non si aspettava che avrebbe tentato di aggredirlo.

Ma tenne tutto questo per sé. Non poteva mettere Danielle nella posizione di essere l’aggressore. Notò che il detective la guardava con sospetto, quasi riuscisse a seguire i suoi pensieri. Dopo qualche istante, scribacchiò qualcosa sul blocchetto per appunti che aveva avuto in mano per tutto il tempo e si alzò.

“Bene, sa già come funziona, agente Fine. Tutto ciò che abbiamo è il sangue. Lo faremo analizzare, come ben sa. E, probabilmente, voi otterreste i risultati più velocemente. Ad ogni modo, lo raccoglieremo e procederemo come da copione.”

“Grazie.”

“La prego di farci sapere se ha qualcos’altro da riferire. Insomma, sì ... se le torna in mente qualcosa.”

Il suo tono lasciava intendere che intuisse che Chloe gli nascondeva qualcosa. Ma la sua espressione diceva anche che gli andava bene così. Chloe era sicura che, facendo il detective a Washington DC, sicuramente dovevano essere capitati, a lui o a qualche collega, altri casi in cui erano coinvolti agenti federali. Per quanto ne sapeva Chloe, poteva essere una cosa comune per lui.

Doveva tenerlo bene a mente. Probabilmente non la vedeva come una sorella in preda al panico, ma come un’agente razionale che sapeva che c’era un determinato procedimento. E accidenti, sapeva che c’era un procedimento. Non poteva aspettarsi che tutti dimenticassero le leggi e il protocollo solo perché era qualcosa di incredibilmente personale per lei.

“Lo farò. Grazie.”

“Nel frattempo, dirameremo un avviso a tutte le unità, dando una descrizione di sua sorella e della sua auto.”

Il detective si allontanò verso la camera da letto per raggiungere gli altri poliziotti. Anche Chloe si alzò, incerta su dove andare o cosa fare. Era ancora convinta che fosse il padre dalla parte del torto; Danielle aveva fatto cose deplorevoli in passato, ma Chloe non pensava fosse capace di uccidere.

Il loro padre, invece, sì. Il passato lo aveva dimostrato.

E se lui e Danielle si erano trovati insieme in una situazione tesa, Chloe era sicura che non esistessero limiti a ciò che suo padre era disposto a fare per assicurarsi di restare un uomo libero. Si diresse verso l’ingresso, supponendo che una capatina a casa di Danielle fosse il passo logico successivo. Magari lì avrebbe trovato qualche indizio, forse qualche prova che...

Il suo ragionamento fu interrotto ancora una volta dal cellulare. Lo afferrò rapidamente, leggendo il nome sullo schermo prima di rispondere, questa volta. Non si sorprese di vedere che non era Danielle, ma fu altrettanto delusa dal nome che vide sul display.

Dir. Johnson.

Rispose con prudenza, non volendo che Johnson capisse che aveva chiamato la polizia. Meno Johnson sapeva dei suoi problemi familiari, meglio era.

“Pronto, parla Fine.”

“Fine, sono Johnson. È in città, in questo momento?”

“Sì, signore.”

“Si sente riposata? Come se l’è passata in questi ultimi due giorni?”

“Mi sento benissimo, signore.”

“Ottimo. Senta, so che è il preavviso è poco e praticamente ha appena concluso il suo ultimo caso, ma ho bisogno che venga qui. Voglio esaminare con lei un altro potenziale caso. È piuttosto urgente, quindi apprezzerei se potesse fare in fretta.”

Per un attimo si sentì sopraffatta al pensiero di dover lavorare ad un altro caso con tutta quella nuova faccenda con Danielle e suo padre in sospeso. Ma sapeva che, se si fosse rifiutata di presentarsi, Johnson avrebbe fatto domande. E più domande avesse fatto, più si sarebbe avvicinato alla verità.

“Riesco a essere lì in dieci minuti.”

“Perfetto.”

Johnson concluse la telefonata, e Chloe si ritrovò a guardare l’appartamento del padre. Rimase lì in silenzio ancora un attimo, per poi dirigersi infine verso la porta, con la sensazione di abbandonare non solo il mistero dietro di essa, ma anche sua sorella.




CAPITOLO TRE


Danielle sapeva che la sua vita in passato era stata sballata, guidata dal suo pessimo gusto in fatto di uomini, dalla sua debolezza per gli eccessi di alcool e droghe, e dal disprezzo per l’autorità. Lo sapeva e non lo rinnegava. Sapeva che ammetterlo era un passo fondamentale per poter andare avanti, ma una delle cose buone del suo torbido passato era che l’aveva tenuta in continuo movimento: da una casa all’altra, da uno Stato all’altro.

Tra i diciassette e i venticinque anni, aveva vissuto in nove città e cinque Stati diversi. Ecco perché sapeva dell’esistenza di Millseed, in Texas.

Millseed era un buco. Quando aveva vissuto lì, quattro anni prima, il paesino era in piedi per miracolo. I meno di quattrocento abitanti erano appena sufficienti a sostenere il minimarket e il negozio di alimentari che sorgevano al centro della città come due mosche spiaccicate su un parabrezza polveroso.

Non esisteva nemmeno una vera e propria zona residenziale. Diverse case spuntavano qua e là lungo le strade a due corsie prive di segnaletica orizzontale poi, proprio a ridosso dei confini del paese, che sembravano promettere luoghi di gran lunga migliori, si trovavano due parchi per roulotte. Danielle aveva vissuto in uno di quelli per circa sette mesi della sua vita. La metanfetamina era diffusa in tutto il parco, e come fosse riuscita ad evitare il richiamo di quella particolare droga andava oltre la sua comprensione. L’uomo con cui viveva all’epoca ne era diventato dipendente e, attualmente, si trovava in prigione per molteplici accuse di spaccio.

Al suo arrivo a Millseed, poco meno di due giorni fa, Danielle aveva guidato dritta in quel campo per roulotte. In realtà era piuttosto sorpresa che quel posto fosse ancora in piedi. Si era avventurata lungo la stradina per poco meno di un chilometro, fino a un edificio che, a quanto aveva sentito, era un ex mattatoio. Si trattava di un edificio insignificante, nascosto su un lotto di terreno ricoperto di erbacce, rampicanti e cespugli spinosi. L’edificio aveva un’aria ancora peggiore di quanto ricordasse; il suo aspetto insipido e triste rendeva evidente che un tempo era stato usato per scopi nefasti; dopo la macellazione di migliaia di maiali, era stato utilizzato anche per la creazione di metanfetamina e di ecstasy di seconda scelta. Lo sapeva per via della gentaglia che frequentava all’epoca, e che l’aveva attirata lì a Millseed.

Ma ora Danielle si chiedeva se fosse stata portata a Millseed per qualche altro motivo, magari per qualche ragione mistica. Odiava che fosse il primo posto ad esserle venuto in mente quando aveva sviluppato il suo piano, ma sembrava perfetto.

In piedi fuori dal macello, guardando il campo incolto, rifletté su come la vita a volte sembrasse un cerchio che la riportava in un posto da cui era appena fuggita. Stava fumando una sigaretta, cosa che non faceva da quando aveva lasciato quella sottospecie di città, pensando a cosa fare dopo.

Aveva portato lì suo padre per ucciderlo, e adesso era arrivata al punto di non ritorno. Gran parte di lei voleva chiamare Chloe e metterla al corrente. Come minimo, voleva che sua sorella sapesse di essere al sicuro. Immaginava di doverle almeno quello.

Inoltre... quello che aveva appena fatto riguardava entrambe. Per quanto riguardava Danielle, credeva che non sarebbe mai sfuggita a ciò che aveva fatto...che ne avrebbe affrontato le ripercussioni per il resto della sua vita. Ma per Chloe sarebbe stato diverso. Il trauma per lei sarebbe stato completamente diverso, poiché avrebbe vissuto il resto della sua vita cercando di capire perché sua sorella aveva fatto una cosa del genere.

Danielle odiava il fatto che Chloe le mancasse. Aveva vissuto quasi dieci anni della sua vita senza sua sorella e se l’era cavata. No, era un eufemismo bello e buono. Era sopravvissuta in quegli anni, niente di più.

Fece un’ultima tirata dalla sigaretta, la lasciò cadere a terra e la pestò. Odiava il sapore del tabacco, ma quella sensazione familiare sembrava adeguata alla situazione, in qualche modo. Aveva fumato mezzo pacchetto nelle ultime ventiquattr’ore e, se da un lato l’aveva aiutata a restare calma, dall’altro l’aveva convinta ulteriormente che, una volta portato a termine quel compito, non sarebbe mai riuscita a riprendere il vizio.

Quando tornò dentro il mattatoio, fu come entrare in un altro mondo. Uno di quei mondi post-apocalittici che andavano tanto di moda in TV in quel periodo. Ad un certo punto, l’ufficio del mattatoio era stato demolito e portato via a pezzi; frammenti di calcestruzzo e rottami di ferro erano ancora visibili all’estremità del campo, quasi consumati dalla fitta e rigogliosa vegetazione. L’unica cosa che era rimasta intatta era il grande rettangolo di cemento dove avvenivano le macellazioni. C’erano delle macchie sul pavimento, tutte dirette verso le grate metalliche arrugginite del pavimento. Persino nel suo stato d’animo attuale, Danielle trovava difficile immaginare cosa fosse passato attraverso quelle grate.

Attraversò quella che doveva essere stata la sala di macellazione e arrivò in una delle due grandi stanze sul retro dell’edificio. Erano separate dall’area dove avvenivano le uccisioni soltanto da una mezza parete, che creava stanze separate con un facile accesso alla sala.

All’interno di questa stanza, Aiden Fine era appeso per le braccia a una corda che era collegata a una guida metallica nel soffitto. Danielle presumeva che il sistema di guide e rotaie servisse un tempo per legare i maiali e spostarli lentamente verso la loro morte. Adesso, però, tenevano suo padre fermo sul posto. Le sue braccia erano tenute quasi perfettamente in verticale, grazie alla corda legata intorno ai polsi.

“Danielle. “Per favore...ripensaci. Non devi farlo.” La sua voce era tirata e rauca. Almeno aveva smesso di piangere. Dio, l’aveva odiato quando si era messo a piangere appena erano entrati in Texas; i suoi singhiozzi dal bagagliaio coprivano persino la sua musica a tutto volume.

“Ancora con questa storia?” replicò Danielle. Si sedette su una bassa pila di vecchi bancali di legno abbandonati nell’angolo più lontano. Guardò suo padre, si rese conto di essere lei la responsabile di tutto quello, e si chiese che razza di mostro stesse diventando.

“Danielle, io...”

“Tu cosa?”

“Mi dispiace.”

Si avvicinò a lui e lo guardò negli occhi. Aiden soffriva per il modo in cui le sue braccia erano tirate verso l’alto, ed era chiaramente esausto. I piedi erano ben saldi per terra, ma l’angolazione forzata delle braccia doveva sicuramente essere dolorosa.

“Scusa per cosa?” chiese Danielle.

Lui sembrò pensarci un momento. Danielle si domandò se stesse effettivamente considerando l’idea di confessare tutti i suoi crimini. Ma alla fine non disse nulla. Danielle annuì con espressione accigliata e si diresse verso il lato della stanza dove aveva lasciato un sacchetto di plastica con dentro bottiglie d’acqua e cracker. Aprì una delle bottiglie e si avvicinò a lui.

“Apri la bocca.”

Lui la guardò con gli occhi stretti a fessura e, per un breve istante, Danielle credette di scorgevi della rabbia; ma presto si trasformò in una sorta di pacata pietà, mentre apriva la bocca per ricevere il primo sorso d’acqua da oltre ventiquattro ore.

Versò lentamente il liquido nella sua bocca, che lui trangugiò avidamente. Danielle continuò fino a quando Aiden non cominciò a tossire. Una volta finito, rimise il tappo alla bottiglia e ritornò alla sua seduta improvvisata.

“Che cosa vuoi?” chiese Aiden. “Non so cosa credi che abbia fatto, ma...”

“Non fare il finto tonto, papà. Ti meritavi tutto questo da un bel po’. So che ti spezza il cuore che io non sia più una bimbetta di otto anni con cui puoi fare il prepotente. Deve bruciarti sapere che non puoi più dominarmi. Dio... cosa avrei dato per poterti fare questo allora...”

“È per tua madre?” Sembrava quasi sorpreso e questo fece infuriare Danielle ancora di più.

“In parte. Gran parte. Sappiamo tutto, papà. Abbiamo letto il diario.”

“Quale diario?”

Danielle scese lentamente dai bancali, gli andò incontro e gli sferrò uno schiaffo violento sul viso. Il suo corpo ondeggiò leggermente per la potenza del colpo, e la trave a cui era appeso con la corda scricchiolò.

“Ritenta.”

Aiden Fine si guardò intorno nella stanza vuota, spaventato e chiaramente alla ricerca di qualche stronzata da dire per tenerla buona.

“Non ci provare” disse Danielle. “Voglio la verità. Abbiamo il diario e l’abbiamo letto. Lo sappiamo, papà. Sappiamo tutto.”

Lo osservò mentre i suoi occhi cercavano di focalizzarsi su di lei. Vide diverse emozioni alternarsi nel suo sguardo: rabbia, paura, risentimento. Alla fine, scelse la vulnerabilità.

“Ti prego, Danielle. Rifletti bene.”

“L’ho fatto. Credimi, l’ho fatto” rispose voltandogli le spalle. “Forse anche troppo.”

Tornò alla sporta di plastica e ne tirò fuori altri due oggetti: uno straccio nuovo e il diario di sua madre. Mise il diario sulla pila di bancali e si avvicinò al padre con lo straccio. Lentamente, glielo premette contro la bocca e lo spinse con forza. Quando fu ben tirato, glielo legò dietro la testa, creando un rozzo ma efficace bavaglio.

Poi tornò sui bancali, sedendosi e aprendo il diario. “Quale parte vuoi sentire per prima? Quella in cui la mamma era quasi certa che ti scopassi un’altra nel vostro letto – che sarebbe poi Ruthanne Carwile, nel caso te lo fossi dimenticato – o magari quando era terrorizzata che potessi ucciderla?”

Danielle si gustò con estremo piacere i lamenti che suo padre fece attraverso il bavaglio. Le fece pensare che il suo piano sarebbe andato a buon fine. Si era sbarazzata del cellulare, lanciandolo dal finestrino in un punto imprecisato delle campagne della Virginia. La sua auto era parcheggiata dietro il vecchio mattatoio, nascosta dalle erbacce in quella che doveva essere stata una piazzola per i camion delle consegne.

Era praticamente invisibile, a quel punto. Aveva un registratore a nastro per raccogliere le sue confessioni e una pistola per infilargli un proiettile in mezzo agli occhi. Non si illudeva che avrebbe confessato tanto facilmente, e per lei andava bene. Non le dispiaceva farlo sudare un po’. L’unico interrogativo era quanto sarebbe durata la sua pazienza.

Iniziò a leggere. Lo fece in modo accorato, come se leggesse a un bambino la storiella della buonanotte. Lo osservava per vedere se sentire quelle parole lo mettessero a disagio. Sì, voleva che stesse male; non aveva problemi ad ammetterlo. Ma questo la indusse anche a chiedersi se si fosse spinta troppo oltre, se infine si fosse allontanata a tal punto dalla logica che non c’era modo di tornare indietro.




CAPITOLO QUATTRO


Quando Chloe arrivò nell’ufficio di Johnson, vide che Rhodes era già lì. Sembrava che si fosse appena seduta e si stava ancora sistemando su una delle sue famigerate scomodissime sedie per gli ospiti, dal lato opposto della scrivania. Rivolse a Chloe uno sguardo piuttosto eccitato. Chloe dovette ricordare a se stessa che, se non fosse stata invischiata fino al collo nei suoi drammi privati, sarebbe stata entusiasta di essere chiamata per quello che sembrava essere un caso prioritario.

Chloe si accomodò sull’altra sedia accanto a Rhodes. Johnson le rivolse un cenno del capo dall’altro lato della scrivania, mentre finiva di scrivere qualcosa sul suo MacBook. Con un sospiro e un’esagerata scrollata di spalle, si appoggiò allo schienale della poltrona e le guardò.

“Grazie a entrambe per essere venute così velocemente e con così poco preavviso. Abbiamo un caso in cui credo che voi due ve la cavereste egregiamente. Abbiamo due uomini uccisi nel giro di quattro giorni, entrambi nella periferia di Baltimora. Erano tutti e due uomini di mezza età, sposati. Finora, la polizia brancola nel buio. Appena il fascicolo è arrivato sulla mia scrivania, ho pensato immediatamente a voi due.”

Chloe guardò Rhodes. Sul suo viso c’era un’espressione che ricordava a Chloe un toro da rodeo che spingeva contro il cancello, aspettando che si aprisse per potersi scatenare. Questo rendeva ancora più difficile quello che stava per dire.

“Signore, temo di non poter accettare un caso, in questo momento.” Faceva male dirlo; le parole sembravano filo spinato che le usciva dalla gola.

Johnson sorrise, e non era un sorriso divertito. “Chiedo scusa?”

“Non avrei voluto che la questione si intromettesse nel mio lavoro, ma mia sorella è scomparsa, signore. Sono passate quasi 48 ore. Anche mio padre è scomparso.”

Johnson sbatté le palpebre più volte, come se volesse schiarirsi le idee. Era evidente che si stesse sforzando di capire in che modo i suoi problemi personali fossero legati al caso. Il direttore Johnson era un nobiluomo e l’aveva sempre trattata con rispetto, ma era anche il tipo di uomo che credeva fermamente che il lavoro venisse prima di tutto.

Dopo un attimo, annuì. “Lo so. Ho ricevuto una telefonata da un mio amico, un certo detective con cui credo che abbia appena parlato. Mi ha chiamato per informarmi di cosa stava accadendo, non perché lei era coinvolta, ma perché è una gentilezza che a volte mi concede, quando indaga su casi che potrebbero essere collegati al Bureau. Quindi sì...so tutto di sua sorella, di suo padre e delle poche prove trovate sulla scena.”

Chloe fu assolutamente atterrita nel sentirlo. Tanti saluti al tenere in gabbia i miei demoni personali, pensò.

“Allora mi capisce” disse Chloe.

Johnson si spostò sulla sedia, alquanto a disagio. “Quello che capisco è lei ha un interesse personale nel caso, quindi sta superando i limiti. Secondo quanto mi dice il detective Graves, c’è stata certamente una sorta di alterco nella villetta, ma sostenere che si tratti di rapimento, cosa che lei suggerisce, è un azzardo, nella migliore delle ipotesi.”

“Signore, sicuramente la penserebbe diversamente, se conoscesse tutta la storia e...”

“Invece non la conosco. Ed è per questo che mi fido di Graves e della polizia. Se viene fuori che credono ci sia qualcosa di più in gioco, me lo faranno sapere. Non possiamo trattarlo diversamente da qualsiasi altro caso di polizia, Fine.”

Chloe sentiva la rabbia montare in lei ma, allo stesso tempo, il suo lato più saggio subentrò, assumendo il controllo. Capiva quello che Johnson stava facendo e, in modo curioso, quasi lo apprezzava. Stava cercando di tenerla impegnata, tentava di distrarla con il lavoro, mentre la polizia scovava in cerca di risposte sulla scomparsa della sorella e del padre. Il fatto che sembrasse esattamente il tipo di caso in cui lei e Rhodes avrebbero potuto dare il meglio, non faceva che rendere il tutto ancora più perfetto.

“Fine...deve lasciare che i poliziotti facciano il proprio lavoro” proseguì Johnson. “E mentre loro fanno il loro, lei deve concentrarsi sul suo. Inoltre, se anche decidessi di chiudere un occhio e lasciarla andare a cercare sua sorella, non potrei mai permetterle di immischiarsi in un caso che non rientra nemmeno nella giurisdizione dell’FBI.”

“Ma potrei dare una mano.”

“Non ne dubito. E se per qualche motivo il caso finisce nelle mani dell’FBI, forse le lascerò persino supervisionare le indagini.”

“Ma signore...”

“Odio fare lo stronzo, Fine, ma si ricordi qual è il suo posto. Ha un lavoro e mi aspetto che lo svolga. Se vuole prendersi del tempo libero, prego. Sarò felice di concederglielo. Ma se poi scopro che sta indagando sul caso di sua sorella...”

Lasciò la frase in sospeso, lasciandole immaginare la conclusione. Sapeva che aveva ragione lui, ma era ancora irritata da quanto sembrasse incurante del fatto che la sorella di uno dei suoi agenti fosse scomparsa.

“Quindi ci sono due opzioni per lei, Fine. O si prende qualche giorno di permesso e aspetta che la polizia trovi delle risposte, oppure va a Baltimora con Rhodes e vede se ci riesce a trovare un assassino.”

Fu così che Chloe si sentì messa con le spalle al muro. Sapeva che, se si fosse presa un permesso, avrebbe finito per indagare sulla scomparsa della sorella. E, fino a quando non fosse diventata una faccenda di competenza del Bureau – sempre ammesso che così fosse – si sarebbe potuta mettere in seri problemi per aver interferito in un caso che non spettava all’FBI risolvere.

Oppure poteva tenersi occupata con il lavoro. Era una scelta facile da fare, anche se il suo cuore sembrava essersi fatto di piombo, a quel pensiero. “Voglio il caso” disse infine.

“Bene. Mi dispiace per lei, sul serio. Ma finirei nei guai esattamente quanto lei, se si lasciasse coinvolgere in quel caso.”

“Lo so, signore.”

Lui annuì e attese un istante, come per assicurarsi che Chloe non avesse nient’altro da dire in proposito. Chloe guardò Rhodes, notando che la sua partner era stata messa piuttosto a disagio dalla conversazione. Sembrava una bambina seduta sul divano che aspettava di vedere se il piccolo litigio tra mamma e papà sarebbe diventato qualcosa di serio.

“Come stavo dicendo” riprese Johnson. Due uomini morti in quattro giorni, entrambi sposati. Nessun indizio, nessuna pista... A parte il fatto che vivevano nella stessa zona, a non troppi chilometri di distanza l’uno dall’altro, credo.”

Mentre Johnson esponeva i dettagli del caso, che come al solito non erano molti, Chloe fece del suo meglio per concentrarsi, ma i suoi pensieri non si allontanarono mai da Danielle e da quello che forse stava passando. Immaginava che non sarebbe mai riuscita a non pensarci, indipendentemente dal tipo di caso che le veniva assegnato.

Chloe si ritrovò, non per la prima volta nella sua giovane carriera, profondamente angosciata che la sua famiglia sballata avrebbe messo a repentaglio il suo futuro in modi che sfuggivano al suo controllo.




CAPITOLO CINQUE


Dopo una notte insonne a casa, Chloe incontrò Rhodes nel parcheggio del Bureau la mattina seguente, e salirono insieme su un’auto di servizio. Partirono alle sei del mattino, in modo da evitare il terribile traffico della tangenziale. Chloe notò che Rhodes si sforzava di non sembrare troppo gasata – anche se non era riuscita a nasconderlo in modo discreto, con lunghe sorsate di caffè e fingendo di concentrarsi sulla guida.

“Tranquilla” disse Chloe. “Adesso ci siamo dentro insieme, quindi puoi chiedermi tutto quello che vuoi.” Si strinse nelle spalle mentre entrava in tangenziale per raggiungere il Maryland. “Credo che tu abbia colto il succo della questione, nell’ufficio di Johnson, ieri sera. Danielle è scomparsa. Non è davvero niente di così insolito...È così che ha trascorso la maggior parte della sua adolescenza e dei suoi vent’anni, andando e venendo ogni volta che le pareva. Ma questa volta è diverso, perché non ho nemmeno idea di dove si trovi mio padre.”

“Ha senso che t’immagini il peggio” disse Rhodes. “Considerato tutto ciò che hai passato nell’ultimo anno. Il che mi porta all’ovvia domanda: perché non ti sei presa qualche giorno di permesso?”

“Perché avrei finito per immischiarmi nel caso. Preferirei continuare ad avere un lavoro al Bureau lavorando attivamente su un caso e confidando che la polizia di Washington capisca dove si trova mia sorella, piuttosto che essere licenziata per non essere rimasta fuori dalle indagini durante i miei presunti giorni di permesso.”

“Insomma, sei fregata in ogni caso” sospirò Rhodes.

“Qualcosa del genere.”

“Ma, a rischio di farti incazzare, penso che Johnson abbia ragione. Se non è di competenza del Bureau, devi solo fidarti dei poliziotti.”

“Lo so. Ma è più difficile di quanto sembri, quando la persona scomparsa è tua sorella.”

“Non fingerò di sapere cosa si provi” disse Rhodes. L’emozione nella sua voce era sincera, era chiaro che lo pensasse davvero.

“Grazie, lo apprezzo” disse Chloe.

Quella conversazione, onestamente, non fece altro che turbare Chloe ancora di più. Tuttavia, le venne anche da chiedersi se stesse reagendo in modo eccessivo. Johnson aveva fatto sembrare che l’intera faccenda non fosse poi così grave, e ora ecco Rhodes che sembrava in pratica essere della stessa opinione.

Rimasero in silenzio per un po’, mentre Rhodes guidava verso nord. Poco prima di arrivare a Baltimora, iniziò a scendere una leggera pioggerellina. Riuscirono a entrare in città appena prima che il traffico mattutino invadesse le strade. Chloe esaminò le scarse informazioni in loro possesso, solo poche pagine fresche di stampa in una cartellina che Johnson aveva consegnato loro. L’indirizzo della vittima più recente era già stato inserito nel navigatore, un piccolo centro abitato a circa tre miglia dal centro di Baltimora.

“Fine, puoi promettermi una cosa?” chiese Rhodes mentre si avvicinavano a destinazione.

“Non faccio promesse” rispose Chloe. Voleva dirlo a mo’ di scherzo, ma le uscì in tono piuttosto duro. “Però posso fare del mio meglio per mantenere la mia parola.”

“Va bene, mi accontenterò. Voglio solo che tu sia sincera con me e mi dica quando i tuoi problemi famigliari iniziano ad essere troppo pesanti per te. Per una volta, vorrei che tu ed io riuscissimo ad arrivare sulla scena e risolvere un caso entro ventiquattr’ore. Senza complicazioni o battute d’arresto.”

“Sì, su quello posso darti la mia parola.”

Questo sembrò spezzare la tensione che aleggiava tra loro nell’abitacolo. Quando arrivarono nel quartiere, Chloe si sentiva quasi tornata normale. Pensava a Danielle ogni due secondi, certo, ma ricordava anche quanto Danielle fosse stata volubile in passato. Tenendo conto di quello, il fatto che fosse scomparsa non era poi così strano.

Vero, ma anche papà?

Allontanò quel pensiero, mentre Rhodes parcheggiava l’auto davanti a una casa a due piani che era essenzialmente la copia sputata di ogni altra abitazione sulla strada. Non che non fosse splendida. Era semplice ma in modo grandioso, come quelle che si vedevano in televisione, nelle trasmissioni di ristrutturazioni di case.

“Sei pronta?” fece Rhodes.

Chloe trattenne la risposta sarcastica che aveva sulla punta della lingua. Se Rhodes aveva intenzione di trattarla con i guanti per la situazione di Danielle, non era più così sicura che sarebbe riuscita ad affrontare quel caso.

“Prontissima” fu tutto ciò che disse uscendo dall’auto sotto la pioggia battente.



***



Il detective che si era occupato del caso era uno spilungone di nome Anderson. Era seduto al tavolo della cucina, quando Chloe e Rhodes entrarono in casa. Alzò lo sguardo dallo schermo dell’iPad che stava consultando, quindi lo mise da parte come a scusarsi e si alzò. Chloe diede una sbirciata allo schermo e vide che stava guardando le foto della scena del crimine proprio di quella casa.

“Ben Anderson” si presentò tendendo la mano.

“Agenti Fine e Rhodes” disse Chloe, stringendola. “È molto che aspetta?”

“Solo una decina di minuti. Naturalmente, sono già stato qui tre o quattro volte nelle ultime sedici ore, solo per cercare di farmi un’idea del posto.”

“Era sulla scena anche quando il corpo era ancora qui?” volle sapere Chloe.

“Sulla seconda scena sì.”

“Dove si trovava il corpo?” chiese Rhodes.

Anderson fece loro cenno di seguirlo, mentre afferrava l’iPad. Iniziò ad attraversare la cucina, aprendo una porta che conduceva fuori. “Qui fuori, nel portico sul retro...anche se non c’è molto da vedere.”

Uscirono sul portico posteriore. Chloe inizialmente non vide nulla di minimamente interessante. Era un bel portico che affacciava su un acro di rigogliosa vegetazione. Una griglia si trovava nell’angolo più lontano, protetta da un telone con impresso il logo dei Baltimore Ravens. I pochi mobili da giardino erano belli, ma niente di speciale – probabilmente erano stati acquistati da Wayfair o in un ipermercato Costco. Piovigginava ancora, e sul pavimento in legno si intravedevano minuscole goccioline d’acqua. Chloe notò una chiazza di sangue a forma di virgola sulle assi, della giusta misura per circondare parzialmente la testa di qualcuno.

“La vittima si chiamava Bo Luntz” disse Anderson. “Sua moglie, Sherry, lo ha scoperto rientrando dal lavoro. Era il loro anniversario. Lo ha trovato qui fuori, nel portico sul retro, sdraiato sul pavimento. Per un po’ è rimasta svenuta. Non si era nemmeno accorta che gli era stato infilato un calzino nero in bocca, quasi fino in gola. Dice di essersene resa conto solo vagamente, ma...era sotto shock, come è comprensibile.”

“Il sangue” disse Chloe, accucciandosi “Indica che non è stato solo strangolato. C’erano segni di colluttazione?”

“No. Niente mobili ribaltati, niente di insolito. L’unico elemento che abbiamo è il colpo che ha subito al cranio, proprio lungo la fronte.”

Detto questo, consegnò a Chloe l’iPad che aveva con sé. Aveva aperto una foto del cadavere. Chloe zoomò sulla fronte di Bo Luntz. C’era una netta rientranza e un livido che si andava formando. Dalla forma della cavità, pensava che potesse essere stata causata da qualcosa con un’estremità piatta, larga forse dodici o quindici centimetri.

“I lividi sembrano freschi” sottolineò Rhodes, guardando da sopra la spalla di Chloe. “Quando è stata scattata questa foto, quanto tempo era passato dal rinvenimento del corpo?”

“Circa un’ora, direi. E, in base a quello che ci ha detto la signora Luntz, il sangue era ancora umido quando ha trovato il corpo. Quindi pensiamo che sia stato ucciso al massimo una o due ore prima del suo ritorno a casa.”

“Nessuna impronta sul calzino in gola?” chiese Chloe.

“No. Lo stesso dentro casa. Nessun segno di effrazione...niente di niente.”

Rhodes iniziò a sfogliare i documenti che avevano ricevuto da Johnson, chinandosi in avanti per proteggere i fogli dalla pioggia col suo corpo. “Bo Luntz, cinquantadue anni, un figlio, impiegato della Mutual Telecom. Nessun precedente penale. Ha qualcosa da aggiungere, detective Anderson?”

“Stando a quanto è emerso dai colloqui preliminari con vicini di casa e amici, tutto quello che sappiamo è che era un uomo molto apprezzato. Era un vigile del fuoco volontario, e prendeva parte a iniziative benefiche ogni volta che poteva. Faceva da assistente allenatore per una squadra di football amatoriale. Ho sentito io stesso cinque persone e abbiamo almeno una dozzina di testimonianze in archivio. Quell’uomo era completamente pulito.”

Chloe annuì, ma aveva già sentito quella versione in numerose occasioni. Quasi tutti riuscivano a dare l’impressione di essere perfettamente puliti. Ma lei sapeva che bastava scavare un po’ per trovare crepe nella superficie, che spesso poi portavano alla scoperta di oscuri segreti.

“Nessuna idea del perché gli sia stato infilato un calzino in gola?” chiese Chloe.

“No, nessuna. Abbiamo controllato i suoi cassetti al piano di sopra, pensando che forse avremmo trovato l’altro calzino, ma non è stato così.”

“Detective, possiamo avere il nome e il numero del coroner che ha in custodia il corpo?”

“Certo” disse, prendendo il telefono e scorrendo tra i contatti per recuperare le informazioni.

“E della prima vittima che ci dice?” chiese Chloe.

“Il suo nome era Richard Wells. Viveva a una ventina di chilometri di distanza, a Eastbrook. Un quartiere abbastanza simile a questo. Se ne sta occupando la polizia di Eastbrook, ma conosco alcuni dettagli, se vi interessa.”

“Sì, grazie.”

“Praticamente è una copia di quanto accaduto qui. Wells è stato trovato morto nella sua camera da letto, con il cranio sfondato e un calzino nero in bocca. Dal punto di vista della personalità, però, i due erano molto diversi. Wells aveva divorziato l’anno scorso. Si dice a causa di un problema di alcolismo. Lavorava come appaltatore privato e i suoi pochi dipendenti sono gli unici da cui siamo riusciti a ottenere informazioni. L’ex-moglie è già fidanzata con un altro e vive a Rhode Island. Entrambi i genitori sono morti, non aveva fratelli...non c’è nessuno a cui poter porre domande più approfondite.”

“Quindi un vicolo cieco, in pratica?” chiese Rhodes.

“In pratica, sì” convenne Anderson.

Chloe tornò a osservare le assi che formavano il pavimento del portico. Studiò la macchia di sangue, incapace di togliersi dalla mente l’immagine del sangue che aveva visto sul bollitore del padre. Quell’immagine affondò i suoi artigli dentro di lei, e Chloe provò un gelo improvviso, come quando si lascia il tepore di una casa per uscire durante una tempesta di neve. E in quel momento, seppe con certezza che non sarebbe riuscita a liberarsene; la scomparsa di Danielle l’avrebbe assillata fino a quando non fosse riuscita a parlare con lei, a prescindere dal caso.

La cosa peggiore di tutte era che stava iniziando ad avercela con Danielle per tutto quello, preoccupata che la ragazza sbandata che era stata un tempo stesse riemergendo.

Se la trovo, forse posso impedirlo, pensò Chloe.

Era un’idea allettante, ma mentre continuava a guardare il sangue di Bo Luntz, realizzò che se si trattava di salvare sua sorella, era esattamente come salvare la vita di Luntz, ovvero troppo tardi.

***



Secondo l’esperienza di Chloe, i medici legali di solito si dividevano in due tipologie: silenziosi e a tratti scontrosi, oppure entusiasti e forse un po’ troppo zelanti nel loro lavoro. La donna che incontrarono nell’ufficio del coroner e che aveva avuto il compito di esaminare Bo Luntz apparteneva alla seconda tipologia. Si chiamava Gerda Holloway e sembrava uscita da uno di quei reality dove bisogna conquistare uno scapolo, piuttosto che qualcuno che si occupava di cadaveri. Persino Chloe, quando la donna andò loro incontro nell’atrio, dovette riconoscere quanto fosse bella, con i capelli raccolti in una coda di cavallo e gli occhi incorniciati da occhiali in stile da bibliotecaria.

“Agenti Rhodes e Fine” disse Rhodes dopo che Holloway si fu presentata.

“Venite. Il corpo è pronto, ma potete dare un’occhiata, prima che inizi ufficialmente l’autopsia.”

La seguirono fuori dall’atrio e lungo un corridoio. Quando giunsero nella sala esami dove si trovava il corpo di Luntz, Holloway tenne aperta la porta per loro con un sorriso, come se stesse organizzando una cena con gli amici, invece che prepararsi a esaminare il cadavere di una persona assassinata.

Entrarono e Chloe si prese un momento per abituarsi alle luci forti e alle superfici sterili. Ogni volta che entrava nella sala esame di un coroner, le sembrava di mettere piede in un altro mondo. Quando però vedeva il cadavere sul tavolo, tornava nel mondo reale.

Fu quello che accadde in quel momento, con Bo Luntz. Era lì sul tavolo, con gli occhi chiusi e senza vita. Se non fosse stato per la ferita sulla fronte, sarebbe sembrato normale. Holloway si prese un momento per permettere alle agenti di ambientarsi, prima di avvicinarsi al tavolo con un tablet in mano.

“Come potete vedere, la lesione al cranio è stata procurata da un corpo contundente. Non c’è modo di sapere con certezza di cosa si tratti, ma considerando l’angolazione, la profondità della ferita e il fatto che il cranio sia come collassato, scommetterei su qualcosa di semplice come una roccia, o di più complesso come un qualche elemento decorativo da giardino.”

“Possiamo ricavare qualcosa sull’assassino da una di queste informazioni?” chiese Chloe.

“Beh, come potete vedere, la ferita sembra avere una leggera inclinazione verso l’alto. Quindi il colpo è stato inferto verso l’alto. Ci sono molti fattori che potrebbero causare questa situazione, ma la più probabile è che l’assassino fosse più basso della vittima.”

“Secondo il dossier” intervenne Rhodes, “Bo Luntz era alto un metro e ottantacinque. Il che significa che moltissime persone sono più basse di lui.”

“Sono d’accordo” replicò Holloway. “Tuttavia, se si guarda attentamente il margine della rientranza sul cranio, ci sono anche prove che suggeriscono che non è stato inferto un colpo solo, bensì due. E il secondo sembra essere stato più forte, ma non lo ha preso in pieno.”

Chloe si avvicinò al tavolo e vide precisamente quello che intendeva Holloway. Lungo il lato sinistro dell’incavo sulla fronte di Luntz, la ferita era più profonda di cinque centimetri. Inoltre, la pelle lì intorno sembrava leggermente più scura, come se fosse stata colpita con più forza. Chloe inclinò la testa, cercando di immaginare se fosse possibile che si trattasse semplicemente di un corpo contundente dalla forma strana.

“La mia teoria” proseguì il medico legale, “È che sia stato colpito una prima volta e poi una seconda subito dopo, quindi due rapidi colpi successivi. Questo spiegherebbe la mira imprecisa, un colpo dietro l’altro. Ma poiché il secondo colpo sembra averlo ferito a malapena, presumo sia stato inferto mentre lui stava già cadendo.”

“Ed entrambi i colpi sono proprio al centro” notò Chloe. “Se qualcuno lo avesse colto di sorpresa, magari arrivandogli alle spalle, un colpo così perfetto sarebbe improbabile, giusto?”

“Sì. Non impossibile, badate bene. Ma molto improbabile.”

“Quindi potrebbe trattarsi di qualcuno che sapeva si trovasse in casa?” suggerì Rhodes.

“È proprio quello su cui scommetterei dei soldi” disse Holloway.

Chloe pensò ai dettagli che Johnson aveva condiviso con loro e a quel poco che Anderson gli aveva riferito. Nessun segno di effrazione, nessun segno di lotta, ed era il giorno dell’anniversario dei coniugi. La semplice deduzione e l’esperienza di Chloe sembravano indicare la moglie.

“Gli ha trovato altro in gola, oltre al calzino?” chiese Chloe.

“No. Ma probabilmente è stato messo lì dopo l’omicidio. Sembrava essere stato posizionato con grande cura. La lingua era stata spinta indietro. Se fosse stato infilato in bocca mentre era ancora vivo, i muscoli della lingua avrebbero immediatamente premuto contro la stoffa.”

Il particolare del calzino rendeva tutto più strano. Era il tipo di peculiarità a cui Chloe di solito si aggrappava, poiché doveva essere sicuramente un gesto simbolico. E di solito dove c’era simbolismo, si nascondeva anche un movente.

Chloe osservò il cadavere ancora un po’, cercando di trovare qualche altro elemento che puntasse in una direzione diversa da quella della moglie. Quando fu chiaro che non avrebbe trovato nulla, lei e Rhodes ringraziarono Holloway, prima di andarsene.

“Anche tu pensi alla moglie?” chiese Rhodes mentre tornavano verso la parte anteriore dell’edificio.

“Già. Se non come potenziale indiziata – cosa che secondo me al momento è – vorrei parlarle per chiederle se ha la minima idea del perché qualcuno possa avergli ficcato un calzino in gola.”

Rhodes annuì, d’accordo con lei, mentre attraversavano il parcheggio e salivano in macchina. Prima che fossero fuori dal parcheggio, Chloe era al telefono con il detective Anderson, per farsi dire dove trovare Sherry Luntz. Quando aveva preso il telefono per effettuare la chiamata, non aveva potuto evitare di provare un barlume di speranza, pensando magari di trovare una notifica di chiamata persa da parte di Danielle.

Naturalmente, non c’era nulla del genere, così Chloe non ebbe altra scelta se non immaginare il peggio e cercare di seppellire tutto con il caso Luntz.




CAPITOLO SEI


In un primo momento, Anderson era sembrato titubante a mandare loro per parlare con Sherry Luntz. Secondo i rapporti della polizia, era così emotivamente instabile che era svenuta due volte dopo aver scoperto il corpo. Chloe, però, non ne voleva sapere. Aveva già avuto a che fare con vedove in lutto, molte delle quali nascondevano segreti e ostacolavano inconsapevolmente l’avanzamento delle indagini per evitare di trovarsi in imbarazzo.

“È l’unica vera indiziata che abbiamo, a questo punto” replicò Chloe mentre si avvicinavano a casa Luntz. “Con tutto il dovuto rispetto, o ci dice dove alloggia, oppure ci basterà fare una telefonata a Washington per scoprirlo da noi.”

Anderson alla fine cedette e disse loro che Sherry era ospite da alcuni parenti in città. “Però statemi a sentire. Ci tengo a sottolineare ancora una volta che quella donna è distrutta. Potrebbe almeno essere solo una di voi a parlare con lei?”

Non era l’approccio tipico di Chloe, ma sapeva anche che non valeva la pena discutere su quel punto. Inoltre, se solo una di loro fosse andata a trovare Sherry Luntz, l’altra avrebbe potuto passare al setaccio la via dei Luntz, per vedere se i vicini avessero informazioni.

Fu così che Chloe finì per arrivare da sola a casa di Tamara Nelson, la sorella di Sherry, venti minuti più tardi. Rhodes era sembrata piuttosto soddisfatta di occuparsi dei vicini, mentre Chloe aveva deciso di parlare con Sherry. Sebbene a Chloe non piacesse parlare con le persone recentemente colpite da lutto, sia lei che Rhodes sapevano che era Chloe ad avere un lato compassionevole molto più spiccato. Non era qualcosa di cui Rhodes andasse particolarmente orgogliosa, ma l’aveva accettato.

Anderson aveva telefonato a Tamara per farle sapere che un agente dell’FBI era in arrivo. Così, quando Chloe bussò alla porta, qualcuno venne ad aprire quasi subito. Entrambe le donne erano lì per accoglierla, ed era facile capire chi fosse Sherry Luntz. Era quella che stava leggermente dietro la sorella, con i capelli rossi scompigliati e un colorito pallido, ad eccezione delle occhiaie marcate. Aveva gli occhi iniettati di sangue per il troppo piangere e, nonostante sembrassero sul punto di chiudersi da un momento all’altro, nel suo sguardo si annidava una minaccia latente che spinse Chloe a pensare che quella donna non sarebbe riuscita a dormire ancora per molto.

“Sherry Luntz?” chiese Chloe.

La donna esausta annuì, anche se non si mosse. Sua sorella rimase davanti a lei, come a proteggerla.

“Sono l’agente Fine. Il detective Anderson dovrebbe avervi avvisato per telefono del mio arrivo.”

“È così” disse Tamara. “La prego di non prenderla nel modo sbagliato, ma io rimarrò seduta con voi mentre parla con Sherry.”

“Certo” disse Chloe. Stava iniziando a chiedersi se Sherry avrebbe spiccicato parola. Sembrava assolutamente distrutta, quasi al punto da sembrare in stato comatoso.

Tamara si voltò e si avviò in casa senza invitare esplicitamente Chloe a seguirla. Chloe lo fece comunque, chiudendosi la porta alle spalle. Tamara la condusse in un soggiorno splendidamente arredato. Un odore dolce si diffondeva da un’altra stanza della casa: doveva trattarsi di qualche tisana, suppose Chloe.

“Capisco quanto deve essere difficile per lei, signora Luntz” disse Chloe. “Cercherò di essere il più breve e delicata possibile.”

“No, non importa” disse Sherry. Aveva la voce di una donna che si era appena svegliata da un sonno di dodici ore, dopo una notte di bevute. “Voglio andare fino in fondo a questa storia. Non abbia riguardi per me.”

Chloe guardò Tamara, come in cerca di approvazione. La sorella alzò le spalle e da quel gesto sembrava che avesse tutto il peso del mondo su di sé.

“Signora Luntz, conosco i dettagli relativi a quel pomeriggio, perciò possiamo saltare alcune parti. Quello che devo sapere sono aspetti più specifici della vita di suo marito. C’erano persone che potrebbe considerare suoi nemici, o semplicemente persone che lo avevano in antipatia?”

“Ci ho pensato a lungo, cercando di capirlo. L’unica persona che mi è venuta in mente è un vecchio rivale in affari, ma vive da qualche parte in California. So che sembra che voglia tessere le lodi del mio defunto marito, ma davvero, Bo piaceva a tutti.”

“Aveva accennato a qualche difficoltà sul lavoro, di recente?”

“Assolutamente no. Niente di niente. Ho persino fatto chiamare il suo capo da Tamara per vedere se mi avesse nascosto qualcosa, ma non è saltato fuori nulla.”

“Avete un figlio, vero?” chiese Chloe.

“Sì. Luke. Quest’anno ha iniziato il college. Anche lui è qui. Adesso sta dormendo, nella camera per gli ospiti. È un po’... svuotato in questo momento.”

“Gli ha fatto queste stesse domande?”

“Sì, anche se non in modo così schietto. Abbiamo cercato di capire chi possa essere stato. Ho l’impressione che potrebbe trattarsi semplicemente di una rapina casuale, ma...non manca nulla. Non è stato preso niente.”

“Ho chiamato ieri le compagnie di carte di credito per Sherry” intervenne Tamara. “Tutte le carte erano ancora nel portafoglio di Bo, ma ho pensato che potesse esserci il rischio di qualche frode digitale. Invece tutto sembrava a posto. Se è opera di uno psicopatico, l’ha fatto solo per il gusto di togliere la vita a qualcuno.”

“Abbiamo controllato e ricontrollato ieri sera, Luke ed io” disse Sherry. “Non siamo riusciti a trovare nulla che mancasse.”

Chloe sapeva cosa voleva chiedere dopo, ma era una domanda difficile da porre. Tanto più che si stava già facendo l’idea che Sherry non avesse assolutamente nulla a che fare con l’omicidio del marito. Si poteva fingere di piangere, si poteva anche fingere una crisi di nervi. Ma svenire per il troppo dolore in presenza della polizia e non dormire al punto da sembrare uno zombie uscito da un film... era roba autentica.

“Invece ha notato se qualcosa in casa, oppure nel cortile o nel portico sul retro, sia stato lasciato fuori posto? Magari qualcosa che sembrava fosse stato spostato solo di pochi centimetri?” Era il suo modo di chiedere se avessero inavvertitamente trovato l’oggetto usato per colpire Bo.

“Non abbiamo notato nulla del genere.”

“C’è qualcuno che potrebbe avere una copia delle chiavi per entrare in casa vostra?”

“Nessuno. Non abbiamo mai avuto bisogno di fare copie. Non abbiamo mai avuto una domestica o una donna delle pulizie, né parenti che hanno vissuto da noi. Niente del genere.”

“E le telecamere di sicurezza? Non ne ho viste quando io e la mia collega abbiamo perlustrato la casa.”

“Non ce ne sono. Continuavamo a dire che dovevamo fare questo investimento e prenderne almeno una, ma il quartiere è così sicuro...così non facevamo che rimandare.”

“Un’altra cosa, signora Luntz...e mi dispiace, ma potrebbe essere una domanda difficile.”

“Non importa.”

“Un dettaglio molto strano sul corpo di suo marito era...”

“Il calzino in bocca” terminò lei. Disse che sembrava uno scherzo di pessimo gusto.

“Esatto. Ha idea di cosa potrebbe significare?”

“No, nessuna” disse Sherry, con voce incrinata. “Quando l’ho trovato così, ho capito che aveva qualcosa in bocca, ma non sapevo cosa fosse. L’ho scoperto soltanto ore dopo, quando me ne sono ricordata e ho chiesto alla polizia. Il detective Anderson mi ha detto che era un calzino. Quando l’ho sentito, ho pensato che forse ero ancora svenuta e che stavo facendo qualche bizzarro sogno, invece... no. Era proprio un calzino. Mi ha persino mostrato una foto, ieri sera, dopo che... insomma, dopo che il medico legale...”

“Va tutto bene” la interruppe Chloe. “Possiamo fermarci qui, signora Luntz.”

“Non so se possa essere d’aiuto in qualche modo” disse Sherry “Ma non era uno dei suoi calzini. Odiava i calzini neri e spessi, anche in inverno. Sudava molto ai piedi, ed era terribile con quel tipo di calze.” L’ombra di un sorriso le sfiorò le labbra mentre ricordava quella fissazione del marito.

Chloe prese uno dei suoi biglietti da visita dalla tasca della giacca e lo consegnò a Tamara, non volendo dare altri pensieri o responsabilità a Sherry. “Per favore... se vi viene in mente qualsiasi altro dettaglio, anche se piccolo, chiamatemi.”

“Naturalmente” disse Tamara. Tuttavia, guardò a malapena Chloe. Era concentrata sulla sorella, valutando le sue forze. Dopo un silenzio imbarazzato, Tamara si tirò su per riaccompagnare Chloe alla porta.

Tamara uscì sul portico con lei, chiudendo la porta dietro di loro. Incrociò le braccia sul petto e rivolse a Chloe uno sguardo quasi di scuse.

“Non sta solo dipingendo un bel quadro. Bo era davvero uno dei buoni, sa? Umile, gentile, amava sua moglie e suo figlio. Non credo di aver mai sentito nessuno dire una sola parola negativa su di lui; nemmeno nostra madre, e questo la dice lunga.”

“Sì, sto cominciando a capire questo di lui. C’è una cosa che vorrei chiederle... ed è puramente per ragioni di formalità.”

“Se credo che possa essere stata Sherry?”

Chloe aggrottò la fronte, annuendo. “Sono praticamente certa che non sia stata lei, ma devo sentirlo dire da qualcuno che la conosce bene, per metterlo a verbale.”

“Non è possibile che sia stata Sherry. E anche se pensassi che possa aver pensato a una cosa del genere, può verificare il suo alibi al lavoro. Però la polizia l’ha già fatto. L’hanno vista nelle riprese di una telecamera di sicurezza mentre usciva dal lavoro alle diciassette e due minuti di quel pomeriggio. Considerata l’ora in cui pensano sia stato ucciso... non è possibile che sia stata lei.”

Chloe era tentata di insistere un po’, chiedendo se Bo avesse scheletri nascosti nell’armadio. Tuttavia, non solo aveva la sensazione che non avrebbe ottenuto nulla da Tamara, ma anche che se la sarebbe inimicata. E, per il momento, le faceva comodo avere la moglie e la sorella disposte ad aiutare nelle indagini, se ce ne fosse stato ancora bisogno.

“Grazie per il vostro tempo” disse Chloe. “E dico davvero... Contattatemi anche per la cosa più insignificante.”

“Lo faremo.”

Chloe si affrettò giù dal portico e tornò alla macchina, sperando che Rhodes avesse avuto trovato qualcosa. Rhodes era bravissima a non mollare senza risultare scortese e, visto che aveva interrogato solo vicini di casa senza profondi legami emotivi con la vittima, magari aveva avuto più fortuna di lei. Chloe tornò verso il quartiere dei Luntz, con la pioggia che cadeva ancora incerta, tingendo la giornata di grigio.

Chloe non credeva ai presagi o alle superstizioni, ma non poteva fare a meno di sentire che la pioggia, che adesso sembrava aumentare di intensità, potesse essere un segnale di quello che la aspettava.




CAPITOLO SETTE


Rhodes sembrava di buon umore quando Chloe passò a prenderla. Quando salì dal lato del passeggero, l’unica cosa che sembrava infastidirla era il fatto di essersi bagnata sotto la pioggia. Chloe ripartì subito, prima ancora di confrontarsi con lei. Voleva trovare riparo dalla, magari in una tavola calda o in una caffetteria. Lì, avrebbero potuto confrontare i loro appunti e decidere la strada migliore da seguire. “Hai avuto fortuna?” chiese una volta arrivate in fondo alla strada dei Luntz, che si intersecava con l’arteria centrale del quartiere.

“Beh, ho scoperto che da queste parti manca poco perché fondino un fan club per Bo Luntz” disse Rhodes. “Non solo piace a tutti, ma alcune persone hanno anche espresso rammarico per non averlo conosciuto meglio.”

“Con quanti sei riuscita a parlare?”

“Ho setacciato tutte le case sulla via; quasi tutti erano al lavoro, naturalmente, ma sono riuscita a parlare con quattro persone, in tre case diverse. Hanno parlato tutti molto bene di lui. Una signora anziana, che abita a poche case dai Luntz, ha detto che Bo le aveva prestato la sua auto per tre settimane, dopo che lei aveva distrutto la sua e la sua compagnia di assicurazione le aveva fatto un tiro mancino. Così, senza tante storie, e la conosceva a malapena.”

“E nessuno ha sentito o visto niente?” chiese Chloe.

“Niente.”

“Sembra un tema ricorrente, ormai” disse Chloe, pensando a quanto facilmente Danielle e suo padre fossero svaniti apparentemente nel nulla.

Entrambe rimuginarono su questo, finché non arrivarono ad una semplice tavola calda a qualche chilometro di distanza, che a quanto pareva era specializzata in muffin senza glutine. Avevano lavorato insieme abbastanza a lungo ormai da avere la loro routine: entravano, ordinavano, andavano in bagno, poi si mettevano al tavolo per esaminare gli appunti del caso. Chloe a volte si meravigliava dei progressi che avevano fatto. Le sembrava ieri che Rhodes dava l’impressione di essere stizzita per essere stata assegnata a Chloe come partner. Questo, naturalmente, era stato prima che Chloe le avesse salvato la vita quando le avevano sparato, durante il loro primo caso insieme.

Chloe sorseggiò il suo caffè nero, mentre Rhodes prese un sorso del suo latte al tè Chai. Insieme, iniziarono ad immergersi negli appunti, confrontandoli e aggiungendo il fatto che quella mattina non avevano ottenuto nulla dai vicini di casa e dai parenti.

L’unica nuova certezza che Chloe aveva sembrava solida, ma le riusciva difficile spiegarla. “Mi sembra che possiamo escludere la moglie. Sua sorella dice che la polizia ha verificato il suo alibi e l’hanno vista lasciare il posto di lavoro alle diciassette e due minuti. La tempistica non è compatibile con l’omicidio.”

Rhodes annuì, sfogliando i documenti che avevano sul caso. “Stimano che sia stato ucciso fra le quindici e trenta e le sedici e quarantacinque. I colleghi di Bo hanno riferito di averlo visto in ufficio fino alle quindici e trenta. Uno di loro ha riferito che Bo aveva accennato al fatto che sarebbe uscito prima, per fare qualcosa di speciale per il suo anniversario.”

“Questo è strano. Sembra che l’assassino sapesse che sarebbe tornato a casa presto.”

“Già, oppure l’assassino era già lì per qualche altra ragione e ha ucciso Bo perché spaventato e colto di sorpresa.”

Si presero un momento per digerire quell’ipotesi. Chloe guardò la pioggia fuori dal locale, che ora cadeva con più costanza. “Sherry Luntz dice che nessuno al di fuori di lei o Bo aveva le chiavi di casa. Nessun parente, nessuna donna delle pulizie, nessun amico fidato, nessuno.”

“E visto che non ci sono segni di effrazione...”

Chloe sapeva dove voleva andare a parare. Era la conclusione più ovvia, ma, per qualche motivo, non era quella giusta. Tuttavia, lo disse comunque. “Dev’essere stato Bo a far entrare l’assassino. Anzi, forse sono arrivati a casa insieme.”

“Un’amante, forse?”

“L’hai detto tu, non io. Però... se quel pomeriggio aveva in mente qualcosa per il loro anniversario, mi sembra un po’ audace, non trovi?”

“Oppure stupido.”

“Sai, mi è appena venuto in mente qualcos’altro. Tutto quello che sappiamo sull’omicidio della prima vittima, Richard Wells, è una copia del caso di Bo Luntz. Calzino in bocca, colpito sulla testa. E gli omicidi sono avvenuti a due soli giorni di distanza l’uno dall’altro. Quindi, se facciamo i conti...”

“Se facciamo i conti” completò Rhodes, “E non sono episodi isolati, ma collegati, e abbiamo a che fare con un serial killer, potrebbe esserci un’altra vittima nelle prossime ventiquattro ore.”

“Forse è arrivato il momento di smettere di indagare su Luntz e vedere cosa riusciamo a scoprire sulla vittima numero uno.”

“Sì, ma Anderson ha detto che non ha nessuno qui vicino” sottolineò Rhodes. “Né familiari né amici, nessuno.”

“Esatto” disse Chloe, alzandosi. “Se vuoi la mia opinione, mi sembra il perfetto esempio di un uomo che sarebbe bravissimo a mantenere i segreti.”



***

Telefonarono alla centrale prima di raggiungere Eastbrook. Poiché si trattava di un centro abitato così piccolo con un corpo di polizia limitato, una donna molto disponibile addetta all’archivio riuscì a inviare semplicemente via e-mail le copie digitali dei fascicoli del caso, senza che Chloe e Rhodes dovessero incontrare alcun agente. Per quanto riguardava Chloe, questa era un’ottima notizia. Preferiva di gran lunga lavorare a un caso senza l’aiuto della polizia locale. Certo, spesso si rivelava molto utile, ma i poliziotti tendevano anche ad essere fin troppo comprensivi con i loro concittadini, specialmente in sobborghi tanto piccoli.

Erano a sei chilometri di distanza da Eastbrook, quando ricevettero i documenti. Rhodes li lesse mentre Chloe guidava. La pioggia si stava calmando, e il sole faceva capolino attraverso le nubi che si andavano diradando. Una nebbiolina fine si sollevava dall’asfalto davanti a loro.

“Richard Wells, cinquantadue anni, residente a Eastbrook per la maggior parte della sua vita. La sua fedina penale è molto breve: due fermi per guida in stato di ebbrezza e un caso di mancata comparizione in tribunale. Come risultato, gli è stata sospesa la patente tre anni fa. La polizia locale ha contattato la sua ex moglie e, anche se è stata disponibile a rispondere alle domande, non è sembrata particolarmente turbata per l’omicidio. È l’unico nome nell’elenco delle persone da contattare in caso di emergenza.”

“E vive a Rhode Island?”

“Esatto.”

“Wells era un appaltatore privato, giusto? Sappiamo il nome della sua società?”

“Sì, e non è molto creativo. Wells Construction and Design, situata a Eastbrook.”

Chloe stava per chiedere a Rhodes di inserire il nome nel navigatore, ma Rhodes lo stava già facendo. Questo le fece ricordare come Johnson avesse assicurato che una delle ragioni per cui aveva affidato a loro il caso era perché riteneva che sarebbe stato perfetto per loro. Chloe riteneva che lei e Rhodes stessero crescendo, come coppia di agenti, più di tutti gli altri usciti insieme a loro dall’accademia. Quando, come in quel momento, erano talmente in sintonia da sembrare telepatiche, non era difficile crederlo.

Quando arrivarono nel piccolo ufficio della Wells Construction and Design, erano da poco passate le 11. L’ufficio era situato sula strada principale di Eastbrook, una cittadina che Chloe presumeva esistesse solo perché si trovava nelle immediate vicinanze di Baltimora. Era il tipo di centro urbano in cui la gente poteva fermarsi se aveva bisogno di fare benzina o di mangiare qualcosa prima di finire il viaggio. Chloe parcheggiò davanti all’edificio, preoccupata che potesse essere chiuso a causa della morte del proprietario. Invece trovò la porta d’ingresso aperta. L’ufficio consisteva in un grande spazio principale che era stato diviso con pareti in cubicoli. Una grande scrivania si trovava nella parte anteriore, posizionata a forma di L, in modo che la donna che stava dietro di essa potesse accogliere le persone che entravano dalla porta.

Quest’ultima alzò lo sguardo su Chloe e Rhodes, con sguardo annoiato. Chloe immaginava che dovesse essere strano per una piccola impresa provare a tirare avanti dopo che l’omonimo fondatore era stato brutalmente assassinato.

“Posso esservi d’aiuto, ragazze?” chiese la donna.

“In effetti, sì” disse Chloe. Fece le presentazioni e sia lei che Rhodes mostrarono il tesserino di riconoscimento. “Stiamo indagando sull’omicidio di Richard Wells. Non ha parenti da queste parti, perciò le persone a lui più vicine sembrerebbero i suoi dipendenti.”

“È vero. È un peccato, però. Ti rendi conto di queste cose solo dopo che quella persona è scomparsa, vero?”

“Può dirci se l’azienda ha intenzione di andare avanti senza di lui?”

La donna scrollò le spalle, un gesto indolente che sembrava suggerire che non solo non lo sapesse, ma non le importasse. “Stiamo aspettando che i suoi avvocati ci saltino fuori. Richard a quanto pare non aveva fatto testamento. Quindi l’azienda non è stata lasciata a nessuno. Abbiamo tre costruttori che lavorano qui e, in questo momento, si trovano in due cantieri diversi, intenti a fare del loro meglio per finire alcuni progetti prima che questi casini burocratici si mettano in mezzo.”





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“Un capolavoro del thriller e del mistero. Blake Pierce ha creato con maestria personaggi dalla psiche talmente ben descritta da farci sentire dentro la loro mente, a provare le loro stesse paure e fare il tifo per loro. Questo libro è ricco di colpi di scena e vi terrà svegli fino all’ultima pagina.” –Books and Movie Reviews, Roberto Mattos (su Il Killer della Rosa) RITORNO A CASA (Un Thriller Psicologico di Chloe Finee) è il libro #5 di una nuova serie thriller di Blake Pierce, autore del best–seller Il Killer Della Rosa (Libro #1, download gratuito), che ha ottenuto più di 1000 recensioni da cinque stelle.Quando due mariti, migliori amici, vengono trovati morti in un ricco paese periferico, l’agente speciale della sezione VICAP dell’FBI Chloe Fine, 27 anni, viene incaricata di smascherare le bugie di quella cittadina e di trovare l’assassino. Chloe dovrà penetrare la facciata perfetta della città, andando oltre le apparenze per capire la verità su chi fossero quegli uomini e chi potesse volerli morti. Ma in un luogo che prospera nella sua esclusività, non sarà facile da fare.Quali segreti nascondevano quei mariti?Thriller psicologico dall’intensa carica emotiva, personaggi ben costruiti, un’ambientazione intima e una suspense mozzafiato, RITORNO A CASA è il libro #5 in una nuova, avvincente serie che vi terrà incollati alle sue pagine fino a tarda notte. Anche il libro #6 nella serie di CHLOE FINE sarà presto disponibile.

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