Книга - La Bugia di un Vicino

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La Bugia di un Vicino
Blake Pierce


“Un capolavoro del thriller e del mistero. Blake Pierce ha creato con maestria personaggi dalla psiche talmente ben descritta da farci sentire dentro la loro mente, a provare le loro stesse paure e fare il tifo per loro. Questo libro è ricco di colpi di scena e vi terrà svegli fino all’ultima pagina.” --Books and Movie Reviews, Roberto Mattos (su Il Killer della Rosa) LA BUGIA DI UN VICINO (Un Mistero di Chloe Fine) è il secondo libro di una nuova serie thriller di Blake Pierce, autore del best-seller Il Killer Della Rosa (Libro #1, download gratuito), che ha ottenuto più di 1000 recensioni da cinque stelle. Chloe Fine, 27 anni, agente nella Squadra Ricerca Prove dell’FBI, ancora sconvolta per le rivelazioni sul proprio passato, si ritrova catapultata nel suo primo caso: l’omicidio di una tata in un paesino di provincia all’apparenza idilliaco.Immersa in un mondo fatto di segreti, coppie infedeli, artifici e finzione, Chloe si rende ben presto conto che chiunque potrebbe essere il colpevole. Nel frattempo, con suo padre ancora in carcere, è anche impegnata a combattere i propri demoni e svelare altri segreti, che minacciano di distruggerla prima ancora che la sua carriera sia decollata.Thriller psicologico dall’intensa carica emotiva, con l’ambientazione intima di una piccola cittadina e una suspense mozzafiato, LA PORTA ACCANTO è il libro #1 in una nuova, avvincente serie che vi terrà incollati alle sue pagine fino a tarda notte.Il libro #3 nella serie di CHLOE FINE sarà presto disponibile.







l a b u g i a d i u n v i c i n o



(un thriller psicologico di chloe fine—libro 2)



b l a k e p i e r c e



traduzione di

valentina sala


Blake Pierce



Blake Pierce è l’autore della serie di successo dei misteri di RILEY PAGE, che si compone (al momento) di tredici libri. Blake Pierce è anche autore della serie dei misteri di MACKENZIE WHITE, composta (al momento) da nove libri; della serie dei misteri di AVERY BLACK, composta da sei libri; della serie dei misteri di KERI LOCKE, composta da cinque libri; della serie di gialli GLI INIZI DI RILEY PAIGE, composta (al momento) da tre libri; della serie dei misteri di KATE WISE, composta (al momento) da due libri; della serie dei thriller-psicologici di CHLOE FINE, composta (al momento) da tre libri; della serie dei thriller-psicologici di JESSE HUNT, composta (al momento) da tre libri.

Avido lettore e appassionato da sempre di gialli e thriller, Blake riceve con piacere i vostri commenti, perciò non esitate a visitare la sua pagina www.blakepierceauthor.com (http://www.blakepierceauthor.com) per saperne di più e restare in contatto con l’autore.



Copyright © 2018 di Blake Pierce. Tutti i diritti riservati. Ad eccezione di quanto consentito dalla Legge sul Copyright degli Stati Uniti del 1976, nessuna parte di questa pubblicazione può essere riprodotta, distribuita o trasmessa in qualsiasi forma o con qualsiasi mezzo, né archiviata in un database o un sistema di recupero senza aver prima ottenuto il consenso dell’autore. La licenza di questo e-book è concessa solo ad uso personale. Questo e-book non può essere rivenduto o ceduto a terzi. Se si desidera condividere il libro con altre persone, si prega di acquistare una copia per ciascun destinatario. Se state leggendo questo libro senza averlo acquistato, oppure senza che qualcuno lo abbia acquistato per voi, siete pregati di restituire questa copia e acquistarne una. Vi ringraziamo per il rispetto nei confronti del lavoro dell’autore. Questa è un’opera di fantasia. Nomi, personaggi, aziende, società, luoghi, eventi e fatti sono frutto dell’immaginazione dell’autore, oppure sono utilizzati in modo fittizio. Qualsiasi somiglianza a persone reali, in vita o decedute, è puramente casuale. Copyright immagine di copertina emin kuliyey, concessa su licenza di Shutterstock.com.


LIBRI DI BLAKE PIERCE



I THRILLER PSICOLOGICI DI JESSIE HUNT

LA MOGLIE PERFETTA (Libro #1)



I THRILLER PSICOLOGICI DI CHLOE FINE

LA PORTA ACCANTO (Libro #1)

LA BUGIA DI UN VICINO (Libro #2)

VICOLO CIECO (Libro #3)



I GIALLI DI KATE WISE

SE LEI SAPESSE (Libro #1)

SE LEI VEDESSE (Libro #2)



GLI INIZI DI RILEY PAIGE

LA PRIMA CACCIA (Libro #1)

IL KILLER PAGLIACCIO (Libro #2)

ADESCAMENTO (Libro #3)



I MISTERI DI RILEY PAIGE

IL KILLER DELLA ROSA (Libro #1)

IL SUSSURRATORE DELLE CATENE (Libro #2)

OSCURITA’ PERVERSA (Libro #3)

IL KILLER DELL’OROLOGIO (Libro #4)

KILLER PER CASO (Libro #5)

CORSA CONTRO LA FOLLIA (Libro #6)

MORTE AL COLLEGE (Libro #7)

UN CASO IRRISOLTO (Libro #8)

UN KILLER TRA I SOLDATI (Libro #9)

IN CERCA DI VENDETTA (Libro #10)

LA CLESSIDRA DEL KILLER (Libro #11)

VITTIME SUI BINARI (Libro #12)

ONCE TRAPPED (Libro #13)

MARITI NEL MIRINO (Libro #14)



I MISTERI DI MACKENZIE WHITE

PRIMA CHE UCCIDA (Libro #1)

UNA NUOVA CHANCE (Libro #2)

PRIMA CHE BRAMI (Libro #3)

PRIMA CHE PRENDA (Libro #4)

PRIMA CHE ABBIA BISOGNO (Libro #5)

PRIMA CHE SENTA (Libro #6)

PRIMA CHE COMMETTA PECCATO (Libro #7)

PRIMA CHE DIA LA CACCIA (Libro #8)

PRIMA CHE AFFERRI LA PREDA (Libro #9)

PRIMA CHE ANELI (Libro #10)



I MISTERI DI AVERY BLACK

UNA RAGIONE PER UCCIDERE (Libro #1)

UNA RAGIONE PER CORRERE (Libro #2)

UNA RAGIONE PER NASCONDERSI (Libro #3)

UNA RAGIONE PER TEMERE (Libro #4)

UNA RAGIONE PER SALVARSI (Libro #5)



I MISTERI DI KERI LOCKE

TRACCE DI MORTE (Libro #1)

TRACCE DI OMICIDIO (Libro #2)

TRACCE DI PECCATO (Libro #3)

TRACCE DI CRIMINE (Libro #4)

TRACCE DI SPERANZA (Libro #5)


INDICE



PROLOGO (#ub9a5e678-680f-5fe5-874a-dcdbb8329432)

CAPITOLO UNO (#udb278027-577d-5b0f-a9f8-db8a4dff45a2)

CAPITOLO DUE (#u0bd2c20f-2ae7-55d0-ab99-50751a92e369)

CAPITOLO TRE (#uf4131914-ed4a-5c18-a3e0-8e18462054e4)

CAPITOLO QUATTRO (#ua51f15fb-0274-58a7-a2a0-91f5ff132996)

CAPITOLO CINQUE (#u75d8d8cd-19c4-59aa-8ea9-aa5c89af1a16)

CAPITOLO SEI (#u1f16a109-62ea-5e2a-9775-182ef11a6297)

CAPITOLO SETTE (#litres_trial_promo)

CAPITOLO OTTO (#litres_trial_promo)

CAPITOLO NOVE (#litres_trial_promo)

CAPITOLO DIECI (#litres_trial_promo)

CAPITOLO UNDICI (#litres_trial_promo)

CAPITOLO DODICI (#litres_trial_promo)

CAPITOLO TREDICI (#litres_trial_promo)

CAPITOLO QUATTORDICI (#litres_trial_promo)

CAPITOLO QUINDICI (#litres_trial_promo)

CAPITOLO SEDICI (#litres_trial_promo)

CAPITOLO DICIASSETTE (#litres_trial_promo)

CAPITOLO DICIOTTO (#litres_trial_promo)

CAPITOLO DICIANNOVE (#litres_trial_promo)

CAPITOLO VENTI (#litres_trial_promo)

CAPITOLO VENTUNO (#litres_trial_promo)

CAPITOLO VENTIDUE (#litres_trial_promo)

CAPITOLO VENTITRÉ (#litres_trial_promo)

CAPITOLO VENTIQUATTRO (#litres_trial_promo)

CAPITOLO VENTICINQUE (#litres_trial_promo)

CAPITOLO VENTISEI (#litres_trial_promo)

CAPITOLO VENTISETTE (#litres_trial_promo)

CAPITOLO VENTOTTO (#litres_trial_promo)

CAPITOLO VENTINOVE (#litres_trial_promo)

CAPITOLO TRENTA (#litres_trial_promo)

CAPITOLO TRENTUNO (#litres_trial_promo)




PROLOGO


Lavorare come tata non era la vita che Kim Wielding aveva immaginato per se stessa, ma in realtà era abbastanza piacevole. Il che era sorprendente, considerando che, quando aveva vent'anni, la carriera che voleva intraprendere a Washington DC era incentrata sulle campagne elettorali e sulla stesura di discorsi per candidati meno in vista. E ce l’aveva quasi fatta.

Quasi.

Ma la vita andava in modi imprevisti.

Adesso, all'età di trentasei anni, il suo sogno di lavorare a Washington era abbandonato da tempo. Kim aveva un’altra ambizione: scrivere il Grande Romanzo Americano nei momenti liberi. Dopo che un candidato promettente per cui aveva lavorato era stato miseramente sconfitto, si era fatta in disparte per un po’, ed era stato proprio in quel periodo che le era capitato di trovare lavoro come tata. Non le era mai passato per la mente l’idea di lavorare con i bambini, ma si scoprì adatta a quel ruolo.

Kim ripensò al suo primo impiego come tata seduta al tavolo della cucina di Bill e Sandra Carver. Era difficile credere che fossero passati più di dieci anni. Quel periodo aveva in qualche modo offuscato i ricordi di quando lavorava a Washington, scrivendo discorsi pieni di speranza e solo un pizzico di menzogna.

Aveva il computer portatile aperto davanti a sé. Aveva scritto quarantamila parole del suo libro. Più o meno era a metà. Forse sarebbe riuscita a terminarlo in altri sei mesi, o giù di lì. Tutto dipendeva dalla direzione che avrebbero preso le vite dei tre figli dei Carver. Il più grande, Zack, quell'anno era in prima superiore e si stava appassionando sempre di più al football. Il figlio di mezzo, Declan, giocava a calcio. E se la più giovane, Madeline, avesse proseguito con la ginnastica artistica, per Kim si prospettavano mesi frenetici per accompagnarli alle varie attività sportive.

Chiuse il computer e si guardò intorno nella cucina. Stava scongelando del pollo per cena; aveva già pulito tutti i ripiani, lavato i piatti e messo in lavatrice il quarto carico di biancheria. Non aveva nient’altro da fare fino al ritorno dei ragazzi. Ecco perché era riuscita a lavorare al suo libro negli ultimi quarantacinque minuti.

Guardò l'orologio e vide che il tempo era scivolato via senza che se ne accorgesse; iniziava a rendersi conto che era qualcosa che le tate sperimentavano spesso. Sarebbe dovuta partire per andare a prendere i ragazzi a scuola tra quindici minuti... e non era un'impresa da poco, visto che ognuno di loro frequentava una scuola diversa: la più piccola era alle elementari, quello di mezzo alle medie e il più grande alle superiori. In tutto ci impiegava poco più di un'ora per prelevarli da scuola e riaccompagnarli a casa. Non era male come sembrava, però, dato che Kim aveva recentemente scoperto quanto fossero meravigliosi gli audiolibri per far passare il tempo in macchina.

Si alzò e controllò il pollo nel lavandino, che era quasi scongelato; quindi tolse il carico di panni dalla lavatrice mettendolo nell’asciugatrice e preparò gli aromi per condire il pollo. Aveva appena appoggiato la paprica sul bancone, quando qualcuno bussò alla porta d’ingresso.

Era un evento abbastanza comune nella famiglia Carver. Sandra Carver era una fissata di Amazon, e Bill Carver riceveva spesso documenti di lavoro tramite corriere. Kim afferrò la borsa, pensando di partire direttamente per andare a prendere i ragazzi dopo aver ritirato il pacco.

Aprì la porta con lo sguardo puntato verso il basso, aspettandosi di vedere il foglio delle consegne da firmare, quindi le ci volle un secondo per capire che non era un corriere la persona davanti a lei. Quando sollevò lo sguardo per vedere il volto della persona, qualcosa le coprì la visuale.

Qualunque cosa fosse, la colpì brutalmente in faccia, esattamente in mezzo agli occhi. Il rumore di ossa spezzate fu assordante, ma Kim ebbe a malapena il tempo di udirlo, prima di cadere a terra.

Quando colpì il pavimento, batté forte con la nuca. Sentì il sangue uscirle dal naso, mentre incespicava arretrando.

La persona sulla soglia entrò, chiudendo la porta dietro di sé con fare tranquillo. Kim tentò di urlare, ma aveva troppo sangue nel naso, che le scendeva in gola e nella bocca. Tossì, quasi soffocando, e la persona fece un deciso passo avanti.

Sollevò di nuovo quell'oggetto contundente – un tubo di piombo, realizzò Kim vagamente, mentre il dolore si abbatteva su di lei come un uragano – e fu l'ultima cosa che vide.

Prima del colpo di grazia, l’ultimo pensiero di Kim Wielding fu alquanto bizzarro: morì chiedendosi cosa ne sarebbe stato del pollo che si stava ancora scongelando nel lavandino dei Carver.




CAPITOLO UNO


Per via del modo in cui era iniziata la sua vita – con la madre morta, il padre in carcere e i nonni sempre con il fiato sul suo collo – Chloe Fine spesso preferiva fare le cose da sola. Le persone a volte la definivano un’introversa patologica ma, per quanto la riguardava, le andava bene così. Era proprio grazie al suo carattere se aveva ottenuto voti eccezionali a scuola ed era riuscita a completare la sua formazione all’Accademia dell’FBI.

Ma era sempre il suo carattere che l'aveva portata a traslocare nel suo nuovo appartamento senza l’aiuto di una singola persona. Certo, avrebbe potuto ingaggiare una società di traslochi, ma i nonni le avevano insegnato il valore dei soldi. E siccome aveva braccia forti, una schiena forte e una mentalità testarda, aveva deciso di fare tutto da sola. Del resto, aveva solo due mobili pesanti. Tutto il resto avrebbe dovuto essere una passeggiata.

Scoprì che non era esattamente così quando ebbe finalmente finito di trascinare il suo comò su per le scale fino al secondo piano – con l'aiuto di un carrello, diverse cinghie e un vano scale fortunatamente ampio. Certo, alla fine ce l’aveva fatta, ma era quasi sicura di essersi stirata un muscolo o due.

Aveva lasciato il comò per ultimo, sapendo che sarebbe stata la parte più difficile del trasloco. Aveva riempito di proposito gli scatoloni solo a metà, sapendo che avrebbe dovuto sollevarli da sola. Immaginò che avrebbe potuto chiamare Danielle, e lei l’avrebbe aiutata volentieri, ma Chloe non era mai stata il tipo che chiedeva favori alla famiglia.

Scansando alcuni scatoloni pieni di libri e quaderni, si accasciò nella poltrona che aveva fin dal suo secondo anno di università. Il pensiero di far venire Danielle per aiutarla a sistemare l’appartamento era allettante. Le cose tra loro non erano più così tese, da quando Chloe aveva scoperto la verità su ciò che era accaduto tra i loro genitori quando lei e Danielle erano ancora delle bambine, ma c'era sicuramente qualcosa di diverso. Entrambe erano ben consapevoli della presenza del padre che incombeva su di loro, insieme alla verità su ciò che aveva fatto e i segreti che custodiva. Chloe sentiva che ognuna di loro stava affrontando la situazione a modo suo, e sapeva che avevano opinioni diverse.

Quello che non aveva mai osato esprimere a parole con la gemella era quanto le mancasse il padre. Danielle aveva sempre serbato rancore verso di lui, dopo che era stato arrestato. Chloe invece era stata quella che aveva sentito maggiormente la mancanza di una figura paterna nella sua vita. Lei si era sempre concessa di sperare che forse i poliziotti si erano sbagliati, che suo padre non aveva ucciso la madre.

Era stata proprio quella convinzione a spingerla nella piccola avventura che era poi culminata con l'arresto di Ruthanne Carwile, offrendo una prospettiva completamente nuova sul caso di Aiden Fine. La cosa che le si era ritorta contro, però, era che, scoprendo quei piccoli segreti, aveva cominciato a sentire la sua mancanza ancora di più. E sapeva che Danielle avrebbe trovato questa sua sensazione orribile e forse anche masochista, in un certo senso.

Eppure, nonostante tutto questo, decise di telefonare alla sorella per celebrare la piccola, faticosamente conquistata vittoria di trasferirsi nella sua nuova abitazione. Era solo un piccolo appartamento con due camere da letto nel quartiere Mount Pleasant di Washington DC – piccolo e che poteva permettersi a malapena, ma esattamente quello che stava cercando. Erano passati circa due mesi dall'ultima volta che avevano passato del tempo insieme, il che sembrava strano, dopo tutto quello che avevano vissuto. Si erano sentite per telefono in un paio di occasioni e, sebbene fosse stato abbastanza piacevole, si era trattato più di convenevoli. E Chloe non era brava con i convenevoli.

Al diavolo, pensò, cercando il suo telefono. Che c’è di male?

Mentre componeva il numero di Danielle, la realtà della situazione si fece strada dentro di lei. Certo, erano passati solo due mesi da quando tutto era accaduto, ma ora erano persone diverse. Danielle aveva iniziato a rimettere insieme i pezzi della sua vita, e aveva un lavoro che prometteva ottimi guadagni – un posto da barista, oltre che vice manager in un locale di lusso a Reston, in Virginia. Quanto a Chloe, adesso che si era ritrovata da quasi sposata a single, doveva ricordare come si facesse a trovare ragazzi con cui uscire.

Non puoi forzare qualcosa del genere, pensò. Per non parlare del rapporto con Danielle.

Con il cuore in agitazione, Chloe fece partire la chiamata. Si aspettava che si attaccasse la segreteria telefonica, così quando Danielle rispose al secondo squillo con voce allegra, le ci volle qualche secondo per iniziare a parlare.

“Ciao Danielle.”

“Chloe, come va?” Era così strano sentire quella nota di allegria nella voce di Danielle.

“Abbastanza bene. Mi sono trasferita nel nuovo appartamento oggi. Avevo pensato che sarebbe bello se venissi qui per festeggiare con una bottiglia di vino e un po’ di cibo spazzatura, ma poi mi sono ricordata del tuo nuovo lavoro.”

“Già, mi sto dando da fare” disse Danielle con una risata.

“Ti piace?”

“Chloe, lo adoro. Insomma, certo, sono passate solo tre settimane, ma è come se fossi nata per questo lavoro. So che sono solo una barista, ma...”

“Be’, ma sei anche vice manager, giusto?”

“Sì. Questo titolo mi spaventa ancora.”

“Sono contenta che ti piaccia.”

“E tu che mi dici? Com’è l'appartamento? Il trasloco è andato bene?”

Non voleva che Danielle sapesse che aveva fatto tutto da sola, così si tenne sul vago, cosa che di solito detestava fare. “Non male. Devo ancora disfare i bagagli, ma sono contenta di essere finalmente qui.”

“Presto verrò di sicuro per il vino e le schifezze. Per il resto, come va?”

“Onestamente?”

Danielle rimase in silenzio per alcuni secondi, prima di rispondere: “Oh-oh.”

“Ho pensato molto a papà. Vorrei andarlo a trovare.”

“E perché mai, in nome di Dio?”

“Vorrei avere una risposta” disse Chloe. “Dopo tutto quello che è successo, avverto il bisogno di farlo. Devo dare un senso a tutto questo.”

“Mio Dio, Chloe. Lascia perdere. Questo tuo nuovo lavoro in teoria non dovrebbe tenerti occupata a risolvere altri crimini? Cavolo... Pensavo di essere io quella che continuava a vivere nel passato.”

“Perché ti turba così tanto?” chiese Chloe. “Il fatto che lo vada a trovare...”

“Perché secondo me gli abbiamo già dato abbastanza della nostra vita. E so che, se parlerai con lui, verrà fuori anche il mio nome, e preferirei che non succedesse. Ho chiuso con lui, Chloe. Vorrei che riuscissi a farlo anche tu.”

Sì, lo vorrei anch’io, pensò Chloe, ma tenne il commento per sé.

“Chloe, ti voglio bene, ma se hai intenzione di continuare a parlare di lui, ti saluto subito.”

“Quand’è che devi lavorare?” chiese Chloe.

“Questa settimana tutte le sere, tranne sabato.”

“Magari verrò a trovarti venerdì pomeriggio. Mi aspetto che mi servirai il drink che consideri la tua specialità.”

“Allora sarà meglio che non pensi di metterti alla guida, dopo” disse Danielle.

“Lo terrò presente.”

“E tu? Quando inizi il tuo nuovo lavoro?”

“Domani mattina.”

“Nel mezzo della settimana?” si stupì Danielle.

“È una specie di orientamento. Per lo più riunioni e incontri per i primi giorni.”

“Sono emozionata per te” disse Danielle. “So quanto desideravi tutto questo.”

Era bello sentire Danielle non solo parlare bene del suo lavoro, ma anche fingere di interessarsi.

Tra loro calò un pesante silenzio, a cui pose misericordiosamente fine Danielle, con una frase piuttosto insolita per lei. “Stai attenta, Chloe. Per il lavoro... per papà... per tutto.”

“Lo farò” disse Chloe, colta alla sprovvista.

Danielle chiuse la chiamata, e Chloe si ritrovò a guardare la zona giorno del suo appartamento. Era difficile avere una visione d’insieme, a causa di tutto il disordine, ma la sentiva già casa sua.

Niente di meglio che una conversazione impacciata con Danielle per sentirsi di nuovo come a casa dopo un trasloco, pensò pigramente.

Lentamente, stirando la schiena, Chloe si alzò dalla poltrona e raggiunse lo scatolone più vicino a lei. Iniziò a tirare fuori tutti i suoi averi, facendosi un'idea di come sarebbe stata la sua vita se non avesse imparato come recuperare i rapporti con le persone. Che si trattasse di sua sorella, di suo padre o del suo ex fidanzato, non era molto brava a tenersi strette le persone.

Pensando al suo ex fidanzato, trovò diverse foto incorniciate in fondo al primo scatolone. C'erano tre foto in tutto, di lei e Steven; due erano state scattate al tempo dei primi appuntamenti, quando l’idea del matrimonio ancora non li aveva nemmeno sfiorati. La terza invece era stata scattata dopo che lui le aveva chiesto la mano... dopo che lei aveva detto sì, mettendosi quasi a piangere.

Raccolse le foto dallo scatolone e le mise sul bancone della cucina. Frugò in giro e trovò il suo cestino, dall'altra parte della stanza, accanto al materasso. Prese le foto e ve le gettò. Il rumore del vetro infranto delle cornici le sembrò fin troppo bello.

È stato facile, pensò. Non vedo l'ora di lasciarmi alle spalle quel disastro. Allora perché non riesco a lasciarmi alle spalle anche tutta la storia con papà?

Non aveva una risposta per quello. E la cosa che la spaventava di più era che sospettava che l’avrebbe potuta trovare solo parlando con lui.

Con quel pensiero, l'appartamento le sembrò più vuoto di prima, e Chloe si sentì molto sola. Andò al frigorifero e aprì una confezione da sei di birra, che aveva acquistato quel giorno. Aperta la prima bottiglia, mandò giù un sorso, un po’ preoccupata per quanto le sembrasse squisito.

Quel pomeriggio fece del suo meglio per tenersi occupata. Non svuotò gli scatoloni, ma li passò in rassegna uno ad uno, valutando se gli oggetti che contenevano le servissero davvero o no. Il trofeo che aveva vinto con il gruppo di discussione del liceo finì nel cestino. Il CD di Fiona Apple che ascoltava quando aveva perso la verginità al secondo anno di liceo, invece, lo tenne.

Tutte le foto di suo padre finirono nella spazzatura. Faceva male all'inizio, ma dopo la quarta bottiglia di birra, divenne più indolore.

Era arrivata in fondo a due scatoloni... e probabilmente avrebbe continuato se, andando al frigorifero, non avesse scoperto di essersi scolata l'intera confezione di birra. Guardò l'orologio sui fornelli e sussultò vedendo l’ora: mezzanotte e quarantacinque.

Addio lunga dormita in vista del primo giorno di lavoro, pensò.

Ma la cosa più preoccupante era che le dava più fastidio essere rimasta senza birra, che aver fatto tardi e rischiare di andare al lavoro mezza intontita, il giorno dopo. Dopo essersi lavata i denti, si infilò a letto. La stanza sembrava girare leggermente, e Chloe si rese conto che si era ubriacata per non provare niente mentre tentava di cancellare i ricordi di suo padre.




CAPITOLO DUE


Chloe non sapeva bene cosa aspettarsi quando entrò nel quartier generale dell'FBI il mattino seguente, ma l’ultima cosa che si aspettava era di essere accolta da un agente più anziano nella hall. Appena la vide, si incamminò verso di lei. Per un momento, Chloe pensò che fosse l'agente Greene, l'uomo che le aveva fatto da istruttore e partner nel caso che aveva portato alla scoperta della verità su suo padre.

Ma guardandolo meglio in viso, si accorse che non era affatto lui. L’uomo che aveva davanti sembrava duro come la pietra, e aveva le labbra serrate in una linea sottile.

“Chloe Fine?” chiese l'agente.

“Sì?”

“Il direttore Johnson vorrebbe parlare con lei prima dell'orientamento.”

Si sentì eccitata e spaventata al tempo stesso. Il direttore Johnson aveva fatto delle eccezioni per lei quando era stata partner di Greene. Aveva forse dei ripensamenti? Le sue azioni nell'ultimo caso gli avevano forse causato problemi? Era arrivata fin lì solo per vedere i suoi sogni infranti il ​​primo giorno?

“A proposito di cosa?” chiese Chloe.

L'agente scrollò le spalle, come se non gli importasse granché. “Da questa parte, prego” disse solamente.

La condusse agli ascensori e, per un attimo, Chloe ebbe la sensazione di essere tornata indietro nel tempo. Poteva vedere se stessa entrare in quegli stessi ascensori poco più di due mesi prima, con lo stesso identico nodo di preoccupazione allo stomaco, sapendo che avrebbe incontrato il direttore Johnson. E, proprio come l'ultima volta, quel nodo di preoccupazione cominciò a stringere sempre di più, mentre l'ascensore iniziava a salire.

L'agente dalla faccia di pietra la fece uscire dall'ascensore una volta giunti al secondo piano. Superarono diversi uffici e stanze, prima di fermarsi davanti a quello di Johnson. La segretaria dietro la scrivania le rivolse un educato cenno del capo e disse: “Entri pure, la sta aspettando.”

L'agente le rivolse un analogo cenno del capo, non altrettanto educato, e fece un gesto verso la porta dell'ufficio. Era chiaro che non sarebbe entrato con lei.

Facendo del proprio meglio per rimanere calma, Chloe si avvicinò alla porta del direttore Johnson. Di cosa ho paura? si chiese. L'ultima volta che sono stata convocata nel suo ufficio, mi sono state assegnate responsabilità e doveri che di solito non ricevono i nuovi agenti. Questo era vero, ma non servì per calmare i suoi nervi.

Il direttore Johnson era seduto alla scrivania, intento a leggere qualcosa sul suo portatile, quando lei entrò. Quando alzò lo sguardo, tutta la sua attenzione fu su di lei; chiuse persino il portatile.

“Agente Fine” esordì. “Grazie per essere venuta. Ci vorrà solo un minuto. Non voglio che si perda niente dell'orientamento - che, ci tengo a farle sapere, sarà abbastanza rapido e indolore.”

Sentirsi chiamare Agente Fine era ancora esaltante per lei, ma cercò di non darlo a vedere. Si sedette sulla sedia di fronte alla scrivania e sorrise nel modo più composto possibile. “Nessun problema” disse. “C’è... ecco, c'è qualcosa che non va?”

“No, no, no, niente del genere. Volevo presentarle un'opzione riguardante il suo ruolo. Mi pare di capire che vuole intraprendere una carriera nella Squadra Ricerca Prove. È qualcosa a cui ha sempre aspirato?”

“Sì, signore. Ho buon occhio per i dettagli.”

“Già, è quello che mi è stato riferito. L'agente Greene mi ha parlato molto bene di lei. A parte qualche piccolo intoppo negli eventi di due mesi fa, devo ammettere che anch'io sono rimasto molto colpito. Dimostra di possedere un’estrema sicurezza e fiducia nelle sue capacità, il che è raro nei nuovi agenti. Ed è per questo motivo, oltre al riscontro ricevuto dall'agente Greene e da alcuni dei suoi istruttori dell'Accademia, che vorrei chiederle di cambiare idea sul dipartimento in cui entrare.”

“C'è un dipartimento in particolare che aveva in ​​mente?”

“Conosce il ViCAP?”

“Il programma per la cattura dei criminali violenti? Sì, ne ho sentito parlare.”

“Il titolo si spiega da sé, ma penso che il dipartimento sia anche adatto al suo talento con le prove. Inoltre, ad essere sinceri, la Squadra Ricerca Prove ha già un gruppo abbastanza nutrito di agenti del primo anno. Piuttosto che perdersi tra la folla lì, penso che potrebbe trovarsi bene al ViCAP. È qualcosa che potrebbe interessarla?”

“A essere sincera, non saprei. Non ci avevo mai pensato.”

Johnson annuì, ma Chloe era abbastanza sicura che avesse già preso la sua decisione. “Se è disposta, vorrei che facesse un tentativo, per qualche giorno. Se capirà che non fa per lei, mi assicurerò personalmente che sia inserita senza problemi nel gruppo della Ricerca Prove.”

Onestamente, non era sicura di cosa dire o cosa fare. Quello che sapeva, però, era che la faceva sentire alquanto orgogliosa sentire che il suo superiore era disposto a collocarla in un dipartimento esclusivamente in base sulle sue capacità e ai riscontri positivi su di lei.

“Va bene, facciamo così” rispose infine.

“Fantastico. C'è già un’indagine a cui voglio che prenda parte. Dovrebbe iniziare domani mattina. Finora se n’è occupata la polizia dello Stato del Maryland, ma stamattina ha lanciato una richiesta di assistenza. La affiancherò a un altro agente che si ritrova senza un partner. Quello che le era stato assegnato non ha retto alla pressione e ha chiesto le dimissioni ieri.”

“Posso chiedere perché?”

“Con il programma per la cattura dei criminali violenti, alcuni omicidi sono piuttosto raccapriccianti. Succede ad alcune nuove reclute... superano l’addestramento senza problemi, con casi finti e simulazioni della realtà. Ma alla fine, quando realizzano che in quella realtà dovranno viverci... per alcuni è troppo.”

Chloe non disse nulla. Cercò di comprendere le ragioni che potevano spingere alcune persone ad agire così, ma in realtà non le capiva. Aveva desiderato quel lavoro da che aveva memoria, fin da quando era stata in grado di capire la differenza tra giusto e sbagliato.

“Avrò bisogno di ulteriore addestramento?”

“Io le consiglierei di allenarsi con le armi da fuoco” disse Johnson. “Mi assicurerò che sia tutto pronto. I suoi punteggi precedenti con le armi, quelli relativi all'iscrizione alla Ricerca Prove, sembrano abbastanza buoni, ma sarebbe meglio affinare la sua tecnica, se deciderà di restare nel ViCAP.”

“Capisco.”

“Bene, a meno che non abbia delle domande, direi che possa andare al piano di sotto e iniziare con l'orientamento. Ha ancora tre minuti, prima che inizi.”

“Non ho domande, al momento. La ringrazio per l'opportunità e la fiducia.”

“Prego. Sbrigherò io le pratiche e qualcuno la chiamerà a proposito del suo incarico entro la fine della giornata. E, agente Fine... ho un buon presentimento. Penso che sarà un’utile risorsa per il ViCAP.”

Fu allora, mentre si alzava per lasciare il suo ufficio, che si rese conto che non era mai stata molto brava ad accettare i complimenti. Forse perché non ne aveva mai ricevuti molti. Così si limitò a sorridere impacciata e se ne andò. Il nodo di preoccupazione che le aveva stretto la bocca dello stomaco scomparve, sostituito da una sensazione di leggerezza che le diede l’impressione di non toccare nemmeno terra con i piedi, mentre raggiungeva gli ascensori.



***



L'orientamento era quello che si era aspettata. Consisteva in un elenco di cose da fare e da non fare spiegato da un gruppo di agenti con più esperienza. Furono riportati esempi di casi andati male, casi così gravi che avevano spinto alcuni colleghi a dimettersi o addirittura a suicidarsi. Gli istruttori raccontarono storie orribili di bambini assassinati e stupratori seriali che fino ad oggi non erano ancora stati arrestati.

Mentre ascoltava queste testimonianze, Chloe poteva sentire piccoli mormorii di disagio sollevarsi tra la folla. Due posti alla sua sinistra, sentì una donna sussurrare all'uomo accanto a lei.

“A quanto pare, il mio partner ha sentito queste storie prima di noi. Forse per questo se l’è filata.” Lo disse in modo maligno, e Chloe fu istantaneamente infastidita da lei.

Con la mia fortuna, sarà lei la partner senza partner a cui Johnson mi vuole abbinare.

La sessione si concluse per ora di pranzo. Gli istruttori sul palco divisero i nuovi agenti in gruppi, a seconda dei reparti specifici. Quando Chloe sentì chiamare la Squadra Ricerca Prove, provò una piccola fitta di dolore. Osservò circa venti reclute radunarsi a destra del palco. Pensare che, fino a poco più di tre ore prima, avrebbe dovuto essere tra loro la fece sentire un po’ isolata, soprattutto quando vide che alcuni agenti sembravano già aver fatto amicizia.

Quando furono chiamati gli agenti del Programma per la Cattura dei Criminali Violenti, si alzò e avanzò. Il gruppo in mezzo a cui camminava era più ristretto di quello della Squadra Ricerca Prove. Compresa lei stessa, erano solo in nove. E una di loro era davvero la donna che aveva fatto il commento di prima.

Era così concentrata su di lei che non si accorse dell'uomo che si avvicinò mentre avanzavano.

“Non so tu” disse, “Ma io sento che dovrei nascondermi il volto. Fare parte di un programma che include la parola violenti... mi fa pensare di essere giudicato.”

“Non credo di averlo mai considerato in questo modo” disse Chloe.

“Allora, sei portata per la violenza?”

Lo chiese con un sorrisetto che le fece notare che quel ragazzo era estremamente bello. Naturalmente, il commento sulla violenza stonava un po’.

“Non che io sappia” rispose imbarazzata mentre raggiungevano il punto dove doveva riunirsi il loro gruppo.

“Bene” disse l'istruttore, un signore che indossava jeans e maglietta nera. “Prima pranziamo, poi ci incontreremo nella Sala Riunioni Tre per esaminare alcuni dettagli e rispondere alle vostre domande. Ma prima...” Si fermò e guardò un foglio di carta, scorrendo con un dito “È presente Chloe Fine?”

“Sono io” disse Chloe, iniziando a sudare per essere stata messa al centro dell’attenzione in un gruppo di persone che non conosceva.

“Vorrei parlarle un attimo, per favore.”

Chloe si diresse verso l'istruttore e vide che il signore stava facendo cenno di avanzare anche a qualcun’altro.

“Agente Fine, vedo che è una nuova aggiunta al ViCAP, su raccomandazione del direttore Johnson.”

“Esatto.”

“È un piacere averla tra noi. Ora vorrei presentarle il suo partner, l'agente Nikki Rhodes. "

Indicò l'altro agente a cui aveva fatto cenno di avvicinarsi. Naturalmente era la stronza di prima. Nikki Rhodes sorrise a Chloe in un modo che rendeva chiaro che sapesse di essere bella. E anche Chloe doveva ammetterlo. Slanciata, pelle perfettamente abbronzata, luminosi occhi azzurri, capelli biondi incredibilmente lisci.

“Piacere di conoscerti” fece lei.

“Piacere mio” disse Chloe.

“Adesso andate pure a pranzo” concluse l'istruttore. “Da quello che ho capito, domani dovrete lavorare subito a un caso. Entrambe eravate le migliori della vostra classe, quindi mi aspetto di sentire grandi cose su di voi.”

Nikki le fece un sorriso e Chloe capì all’istante che era finto. Detestava dare subito giudizi, ma il suo istinto era sempre azzeccato in cose come quella. L'istruttore si era tornato a rivolgere al resto del gruppo, lasciando le due donne sole. Notando che non erano più controllate, Nikki Rhodes girò sui tacchi e se ne andò senza dire niente.

Chloe restò in disparte per un momento, cercando di riordinare le idee. Si era svegliata quella mattina entusiasta di iniziare la sua carriera come membro della squadra di Ricerca Prove. In pratica tutto il suo futuro era stato già pianificato. E adesso eccola lì, in un dipartimento che non le era affatto familiare, assegnata a una partner che aveva una scopa infilata nel culo.

“Non sembra esattamente un tipo socievole, vero?” disse qualcuno dietro di lei.

Si voltò e vide l'uomo che l'aveva accompagnata prima, quello affascinante che le aveva chiesto se avesse tendenze violente.

“Proprio così.”

“Immagina seguire con lei quasi tutti i corsi all'Accademia. È stato davvero terribile. A proposito... Non mi sembra di averti vista in nessuno dei miei corsi.”

“Sì... sono nuova, diciamo. Sono entrata in questo dipartimento stamattina.”

Un'espressione di lieve stupore apparve sul suo viso. “Ah, ok. Allora benvenuta al ViCAP. Mi chiamo Kyle Moulton e visto che la tua nuova partner non vuole pranzare con te, mi piacerebbe prendere il suo posto.”

“Fa’ pure. Oggi va tutto così.”

“Che vuoi dire?”

“Che oggi niente è andato secondo i piani.”

Moulton si limitò ad annuire, mentre lasciavano l'auditorium. Anche se Moulton era un estraneo (per quanto bello), Chloe era contenta di averlo al suo fianco mentre andavano a pranzo. Temeva che, se avesse dovuto affrontare quel futuro incerto completamente da sola, avrebbe potuto avere dei ripensamenti.

“E comunque, i piani sono sopravvalutati” disse Moulton.

“Non per me. I piani significano struttura, prevedibilità.”

“Non credo che ci fosse anche la voce prevedibilità, nella descrizione del nostro lavoro” scherzò Moulton.

Chloe sorrise e annuì, ma non ci aveva mai pensato. Francamente, la spaventava un po’. Il che non aveva senso, davvero. La sua vita non era stata altro che una sequenza di episodi imprevisti, quindi perché la sua carriera avrebbe dovuto essere diversa?

Fortunatamente, aveva imparato a difendersi. E se stronzette presuntuose come Nikki Rhodes le avessero sbarrato la strada, potevano togliersi dai piedi con le buone o con le cattive.




CAPITOLO TRE


La mattina seguente, Chloe ebbe un assaggio su come sarebbe stato il resto della sua vita da agente. Il suo telefono squillò alle 5:45, e la telefonata veniva da uno dei vicedirettori che lavoravano sotto Johnson. Era riuscita a malapena a gracchiare un roco “Pronto?” prima che l'uomo all'altro capo del telefono attaccasse a parlare.

“Sono il vicedirettore Garcia. Parlo con l’agente Chloe Fine?”

“Sì, sono io.” Si mise a sedere sul letto, con il cuore che le martellava mentre un'ondata di adrenalina la invadeva, spazzando via gli ultimi residui di sonno.

“Deve incontrare l'agente Rhodes a Bethesda alle sette in punto. Lavorerete insieme a quello che crediamo sia un caso piuttosto semplice di violenza tra gang, probabilmente c’entra la MS-13. Per qualsiasi domanda, contattate direttamente me, a questo numero. L’agente Rhodes riceverà le stesse identiche informazioni. Dopo questa chiamata, riceverà l'indirizzo sul cellulare. Ha qualche domanda, agente Fine?”

Chloe era certa di averne, ma in quel momento non le veniva in mente niente, eccitata com’era di aver ricevuto il suo primo, vero incarico.

“No, signore.”

“Bene. Occhi aperti, là fuori, agente Fine.”

E fu così che ottenne il suo primo incarico. Sapeva che non sarebbe stato così in futuro; a tutti loro era già stato detto, durante l'orientamento del giorno prima. Tuttavia, era un ottimo modo per iniziare il suo primo giorno di lavoro.

Aveva già preparato i suoi abiti e fatto la doccia la sera prima, facendo tutto il possibile per assicurarsi di non essere in ritardo il primo giorno. Si vestì, afferrò una ciambella alla crema e riempì un thermos di caffè. Nel frattempo arrivò il messaggio di Garcia, con l’indirizzo di Bethesda. Quando Chloe arrivò alla macchina, erano passati solo quindici minuti da quando aveva ricevuto la chiamata.

Era stata più volte a Bethesda, nel Maryland, quindi sapeva che si trattava di un breve tragitto, poco meno di mezz'ora, specialmente partendo così presto ed evitando il traffico mattutino dei pendolari. Una volta fuori da Washington, inserì l'indirizzo nel navigatore e vide che era a soli ventidue minuti di distanza.

Si ritrovò a voler chiamare Danielle. Sentiva di stare per vivere uno dei momenti più memorabili e significativi della sua vita, e avvertiva il bisogno di condividerlo con qualcuno. Ma sapeva che Danielle probabilmente stava dormendo, e comunque non avrebbe capito la sua eccitazione. A Chloe stava bene. Avevano interessi e passioni diversi, e nessuna delle due era mai stata particolarmente brava a fingere entusiasmo.

Arrivò all'indirizzo due minuti prima di quanto previsto dal navigatore. Si trattava di un fatiscente condominio a un piano, di quelli che erano visitati dalla polizia almeno una dozzina di volte durante i fine settimana, per violenza, droga, stupri e praticamente qualsiasi altra cosa immaginabile.

Era certa di essere arrivata prima di Nikki Rhodes, così fu delusa nel vedere che la collega non solo era già lì, ma stava salendo i gradini del portico per entrare in casa.

Infastidita, parcheggiò accanto al marciapiede e si affrettò a raggiungerla. Arrivò proprio mentre Nikki apriva la porta per entrare.

“Buongiorno”, cinguettò Nikki in tono falso.

“Buongiorno. Come sei arrivata... volando?”

Nikki si limitò a scrollare le spalle. “Non mi ci vuole molto tempo per prepararmi al mattino. Va tutto bene, agente Fine. Questa non è una gara.”

Quando entrarono, videro un uomo in piedi al centro di un piccolo soggiorno. Si voltò verso di loro e il suo sguardo sembrò indugiare qualche istante sull'agente Rhodes. Indossava pantaloni neri molto modesti e una maglietta bianca accollata. I capelli erano perfettamente stirati e, sebbene avesse affermato di averci messo pochissimo tempo per prepararsi, era anche truccata.

“Siete del Bureau?” domandò l'uomo.

“Sì” disse velocemente Chloe, come per assicurarsi che l'uomo sapesse che c'erano due agenti presenti, non solo la stangona bionda.

“Siamo le agenti Rhodes e Fine” presentò Nikki. “E lei è?”

“Detective Ralph Palace, Squadra Omicidi del Maryland. Sto solo prendendo qualche ultimo appunto, so che ora il caso è vostro.”

“Cosa può dirci per iniziare?” chiese Chloe.

“È piuttosto semplice. Si tratta di un omicidio legato alle gang. La MS-13 è l’organizzazione criminale più potente qui, quindi crediamo che sia coinvolta. I corpi di un uomo, sua moglie e il loro figlio di tredici anni sono stati rimossi ieri pomeriggio, circa sette ore dopo che siamo stati chiamati. Ci avevano segnalato dei colpi d’arma da fuoco e questo è quello che abbiamo trovato.” Agitò un braccio tutt'intorno, indicando il caos nell'appartamento. “Con una semplice indagine, abbiamo scoperto che l’uomo un tempo aveva legami con una banda rivale, i Binzo".

“Se è coinvolta la MS-13, perché non se ne occupa l'ICE, l’ufficio immigrazione?” chiese Chloe.

“Perché non è ancora stato dimostrato” disse Palace. “Con i crimini delle gang legate agli immigrati, dobbiamo essere abbastanza sicuri. Altrimenti, possiamo aspettarci cause e rimostranze riguardo al trattamento ingiusto di minoranze etniche.” Scosse la testa e sospirò. “Quindi, se riusciste a dimostrarlo voi, sarebbe fantastico.”

Si avviò verso l’ingresso, prendendo un biglietto da visita dal portafoglio. Non fu affatto una sorpresa quando lo consegnò direttamente a Nikki. “Chiamatemi se vi serve altro.”

Nikki Rhodes non si preoccupò di rispondergli, limitandosi a mettersi il biglietto in tasca. Chloe rifletté che al liceo doveva essere stata una di quelle ragazze abituate ad avere sempre addosso gli sguardi dei ragazzi. L'incontro con il detective Palace doveva essere senza dubbio solo un altro di quei noiosi momenti.

Chloe si prese un momento per guardarsi intorno. Il tavolino davanti al divano era stato capovolto. Una bevanda scura – probabilmente Coca Cola – era stata rovesciata dal tavolo durante una colluttazione. Il liquido scuro si era mischiato a quello che era chiaramente sangue, sulla moquette chiara che ricopriva tutto il pavimento del soggiorno, fino alla cucina adiacente. C'era altro sangue schizzato sulle pareti, e alcune macchie sul pavimento in linoleum della cucina.

“Come ci dividiamo?” chiese Nikki.

“Non lo so. Dato che sono stati sparati più colpi, ci sono buone probabilità che uno sia finito contro una parete, o sul pavimento. E, a giudicare dal caos dell’appartamento, direi che non è stata una semplice sparatoria. C'è stata una lotta. Quindi probabilmente ci sono anche impronte digitali, da qualche parte.”

Nikki annuì. “Dobbiamo anche cercare di capire come è entrato l'assassino. Hai visto la porta d’ingresso? Nessun segno di forzatura. Questo significa che uno dei membri della famiglia ha lasciato entrare il killer, magari era qualcuno che conoscevano bene e di cui si fidava.”

Chloe era d'accordo su tutto e fu colpita che Nikki avesse già controllato la porta prima di entrare.

“Perché non controlli fuori, per vedere se trovi segni di effrazione?” suggerì Nikki. “Io cerco qualcosa che ci faccia capire che tipo di arma è stata usata... tipo frammenti di proiettili o qualcosa del genere.”

Chloe annuì, d’accordo, ma già sentiva che Nikki stava facendo di tutto per assumere il comando nelle indagini. Chloe, tuttavia, stette al gioco. Basandosi su ciò che aveva detto Palace e sul fatto che il caso era stato assegnato a due reclute, sapeva che era considerato un incarico di poco conto. Quindi, se Nikki aveva intenzione di mettere in atto una sorta di lotta per il comando, non valeva la pena prendervi parte. Non ancora, perlomeno.

Chloe tornò all'esterno, cercando di immaginare cosa fosse successo. Se l'assassino era qualcuno che la famiglia conosceva, perché la lotta? Se aveva sparato più colpi in sequenza, questo non avrebbe lasciato alle vittime il tempo di reagire. Ma la porta in effetti non mostrava segni di forzatura. Però era più probabile che si fosse introdotto in casa senza permesso. Ma se non dalla porta principale, allora da dove?

Percorse lentamente il perimetro dell’edificio, rendendosi conto che chiamarlo condominio era un’esagerazione. Era sempre più certa che fosse una di quelle case popolari messe a disposizione dallo Stato. Era l’ultimo di quattro edifici identici, separati da una striscia di erba per lo più secca.

Il lato sinistro non offriva nulla. Non c’era niente, ad eccezione di una piccola bombola di gas e un rubinetto rotto con un tubo dell'acqua arrotolato a terra. Ma quando raggiunse il retro, trovò qualcosa di più interessante. Innanzitutto, c'erano tre finestre. Una era della cucina e le altre due delle camere da letto. C'erano anche dei gradini in cemento che conducevano a una porta sul retro. Controllò e vide che era ben chiusa. Da quello che vedeva, non mostrava segni di forzatura.

Tornò alle finestre, in cerca di qualcosa di sospetto, e non rimase delusa. Sulla terza finestra, che si affacciava sulla camera da letto padronale, c'erano due pezzetti di legno che erano stati rimossi dal telaio. Uno era lungo il bordo inferiore, l'altro lungo la parte superiore del telaio. Qualunque cosa fosse stata usata per scheggiare il legno, aveva anche causato la formazione di una crepa nel vetro, sebbene non fosse bastato a romperlo.

Non voleva toccare nulla per paura di danneggiare le impronte digitali. Tuttavia, mettendosi in punta di piedi, vide che grazie a quel pezzo di legno mancante, qualcuno dall'esterno sarebbe riuscito a spingere verso il basso per sbloccare la chiusura della finestra.

Tornò in casa e raggiunse la camera da letto. Non c'erano in apparenza segni che qualcuno fosse entrato dalla finestra. Ma sapeva anche che sarebbe bastata un’ispezione più approfondita per svelare tutta un’altra storia.

“Cosa stai facendo?”

Si voltò e vide Nikki in piedi sulla soglia della camera da letto. Aveva un'espressione scettica sul viso, mentre studiava Chloe.

“Questa finestra è stata manomessa dall'esterno” spiegò Chloe. “Dobbiamo rilevare le impronte.”

“Hai dei guanti per la raccolta prove?”

“No” disse Chloe. Che ironia; se avesse iniziato la sua giornata come da programma, ovvero nella Squadra Ricerca Prove, li avrebbe avuti con sé. Ma dopo che Johnson aveva stravolto i suoi piani, non aveva pensato di portare con sé alcuna attrezzatura per la raccolta di prove.

“Io sì, in macchina” disse Nikki, poi lanciò a Chloe un mazzo di chiavi con espressione seccata. “Sono nel vano portaoggetti. Per favore, chiudilo quando hai finito.”

Chloe mormorò un “Grazie” sommesso mentre le passava accanto uscendo. Si chiese per quale motivo la collega tenesse dei guanti per la raccolta prove in auto. A quanto aveva capito Chloe, ad ogni agente veniva consegnato un kit specifico per il suo dipartimento, direttamente dal Bureau. A Nikki era forse stato recapitato e a lei no? Il suo ingresso non previsto nel ViCAP l’aveva già messa in svantaggio?

Uscì e trovò una scatola di guanti in lattice nel vano portaoggetti di Nikki. C'era anche un kit per la raccolta prove, che prese. Era solo kit di emergenza, ma era meglio di niente. E, anche se dimostrava che Nikki era preparata, indicava anche che non avrebbe fatto nulla per aiutare Chloe. Perché non dirle subito che aveva dei guanti e un kit per la raccolta prove nel vano portaoggetti, se non avesse intenzione di tenerglielo segreto?

Determinata a non lasciarsi distrarre da cose del genere, Chloe si infilò i guanti tornando in casa. Passando davanti a Nikki, le consegnò il kit. “Ho pensato che potremmo aver bisogno anche di questo.”

Nikki le lanciò uno sguardo pungente, mentre Chloe tornava verso la finestra. Controllò l'area che era stata scheggiata e scoprì che la sua prima impressione era stata corretta. Qualcuno dall'esterno sarebbe riuscito a sbloccare la finestra e aprirla.

“Agente Fine?” disse Nikki.

“Sì?”

“So che non ci conosciamo, quindi cercherò di essere più educata possibile: vuoi stare attenta a quello che fai, accidenti?”

Chloe si voltò di nuovo verso Nikki e le rivolse uno sguardo di sfida. “Scusami?”

“Guarda la moquette sotto i tuoi piedi, per l'amor di Dio!”

Chloe guardò in basso e il suo cuore saltò un battito. Lì c'era un'impronta; si vedeva solo la parte superiore, ma era evidentemente l’impronta di una scarpa.

E lei l'aveva calpestata.

Merda...

Chloe arretrò velocemente. Nikki si avvicinò alla finestra, inginocchiandosi per guardare l’orma. “Spero che tu non l'abbia rovinata al punto da renderla inutilizzabile” sbottò.

Chloe trattenne la risposta che aveva sulla punta della lingua. Del resto, Nikki aveva ragione. Non si sa come, era riuscita a non notare qualcosa di così evidente come quell’orma. È perché sono troppo assorta nei miei pensieri. Forse il cambio di dipartimento mi sta influenzando più di quanto pensassi.

Ma sapeva che era una scusa pessima. Dopotutto, fino a quel momento si era trattato unicamente di raccogliere delle prove, che era ciò che aveva sempre desiderato fare.

Imbarazzata e infuriata, Chloe uscì dalla stanza per riprendere fiato e pensare.

“Gesù” commentò Nikki osservando l’impronta. “Fine... perché non provi a trovare qualcosa di utile? Ci sono dei fori di proiettile nel muro della cucina che non ho avuto la possibilità di studiare, mentre tu eri fuori. Qui ci penso io... ammesso che sia ancora possibile.”

Di nuovo, Chloe dovette trattenere una rispostaccia. Era nel torto, e questo significava che doveva lasciar perdere il suo astio verso la collega. Quindi tacque e tornò nella zona giorno dell'appartamento, sperando di trovare un modo per riscattarsi.

Andò in cucina e vide i fori di proiettile menzionati da Nikki. Vide i bossoli infilati parecchi centimetri nella parete. Era sicura che sarebbe stato possibile scoprire che tipo di pistola fosse stata usata basandosi unicamente su quelli. Quindi, secondo Chloe, i fori dei proiettili erano un vero e proprio indizio: un indizio facile che avrebbe dato loro le informazioni sufficienti per far progredire le indagini.

Forse però c'è qualcos'altro, pensò.

Tornò verso il corridoio e si fermò dove questo si collegava con la zona giorno. Se l'assassino fosse davvero entrato dalla finestra della camera da letto, probabilmente era in quel punto che doveva essere iniziata la sparatoria. La mancanza di sangue o segni di colluttazione nella camera da letto indicava che là dentro non era successo nulla.

Guardò il divano e vide lo spruzzo di sangue sul pavimento di fronte. Probabilmente è il primo colpo, pensò. Si guardò intorno e le sembrò di vedere chiaramente la scena nella mente. Il primo sparo aveva ucciso qualcuno sul divano, facendo scattare in piedi l’altra persona seduta lì, scaraventando il tavolino. Il sangue e la bibita dall'altro lato del tavolino indicavano che questa seconda persona non era riuscita ad allontanarsi in tempo.

Chloe avanzò lentamente verso il soggiorno, seguendo la probabile traiettoria dei proiettili. La quantità di sangue secco e materiale organico sul retro del divano era abbastanza per provare che la persona seduta lì era morta sul colpo. Non vedeva il foro d’uscita sul divano, il che significava che il proiettile doveva essere rimasto da qualche parte nella testa della vittima.

Poteva facilmente vedere due fori di proiettile nel muro della cucina, a circa otto centimetri di distanza. Riusciva a vederli dal divano. Ma se c’erano due spari lì, forse ce ne erano altri da qualche altra parte. Trovandoli, forse avrebbero potuto dare una ricostruzione più precisa della scena.

Andò al tavolino e si accovacciò. Se qualcuno ci era inciampato prima di essere colpito, l'assassino avrebbe dovuto mirare in basso. Si guardò intorno in cerca di altri colpi vaganti, ma non ne vide. L'assassino aveva apparentemente centrato il suo obiettivo.

Tuttavia, vide qualcos’altro, che non aveva nemmeno cercato. C'era una piccola scrivania contro il muro alla sua destra. Sopra c’erano un vaso e una foto incorniciata. Tra i piedi della scrivania c'era un cestino di vimini con vecchie lettere e libri. E infilato tra il cesto e le gambe di dietro della scrivania, c'era un cellulare.

Lo raccolse e vide che era un iPhone. Premette il pulsante di accensione e lo schermo si illuminò. La schermata di blocco era una foto di Black Panther. Premette il tasto Home, aspettandosi che venisse visualizzata la schermata del codice di sblocco. Invece, con sua sorpresa, non era bloccato e si aprì senza problemi.

Dev’essere il cellulare del figlio, pensò. E forse i genitori l'hanno truccato per impedirgli di inserire un blocco, così da avere libero accesso.

Le ci volle un momento per capire cosa stava guardando. Vide la faccia di un giovane ragazzo con delle strane fattezze simili a zombie, disegnate sopra la foto. Si accorse che era la schermata di Snapchat. Quello che aveva davanti era un video (o meglio, uno “Snap") che non era ancora stato inviato.

“Santo cielo” sussurrò.

Poi si rese conto di quanto fosse caldo il telefono. Guardò l'indicatore della batteria nell'angolo in alto a destra e vide che era rosso.

Corse verso il corridoio, con il cellulare in mano. “Rhodes, hai visto un caricabatterie per cellulare in giro?” urlò.

Ci fu una pausa, poi Nikki rispose. “Sì. Sul comodino.”

Chloe si precipitò nella stanza. Vide il caricabatterie e lo raggiunse di corsa.

“Cosa c'è?” chiese Nikki.

Chloe non poté fare a meno di pensare: ti piacerebbe saperlo, eh, stronza? Ma tenne il commento per sé, mentre collegava il caricabatterie al telefono.

“Penso che il figlio fosse su Snapchat quando è arrivato l'assassino. E penso che stesse per mandare uno snap a un amico. Solo che non c’è mai riuscito.”

Riprodusse il video: un ragazzo, che doveva avere dodici o tredici anni, faceva la linguaccia; il viso era deformato da un filtro con effetto zombie. Due secondi dopo, risuonò il primo colpo di pistola. L’immagine si mosse, poi arrivò il secondo sparo. Il ragazzino cadde sul pavimento, l’immagine si mosse di nuovo, poi lo schermo diventò nero.

Lo snap finiva lì. Il tutto era durato più o meno cinque secondi.

“Fallo ripartire” disse Nikki.

Chloe riprodusse da capo il video, questa volta prestando attenzione ai momenti in cui l’inquadratura si spostava. Per circa un quarto di secondo, si vedeva la sagoma di una persona in piedi nel corridoio, che entrava nel soggiorno. Era breve, ma visibile. E poiché il telefono era di ultima generazione, l’immagine era abbastanza nitida nonostante il movimento. Chloe non riusciva a distinguere un volto con il suo occhio inesperto, ma sapeva che il Bureau non avrebbe avuto problemi ad eseguire un’analisi fotogramma per fotogramma.

“Questa è praticamente una prova schiacciante” commentò Nikki. “Dove hai trovato il telefonino?”

“Sotto la scrivania contro il muro del soggiorno.”

Chloe capì che la collega era eccitata dalla scoperta, ma non voleva darlo a vedere.

Infatti si limitò ad annuire e tornò a cercare le impronte sotto la finestra.

Entrambe avevano capito che, grazie al video di Snapchat, il loro lavoro lì era praticamente concluso. Avevano la prova perfetta ormai, e continuare a cercarne altre non aveva molto senso.

Chloe decise di stare al gioco, per non aumentare la tensione tra loro. Prese il cellulare e lo portò con sé in soggiorno. Attraversò la cucina e iniziò ad estrarre i bossoli di proiettile dal muro. Ma sapeva che la chiave del caso era nel telefonino, in attesa di consegnare l'assassino alla giustizia. E nella sua mente non poteva evitare di avere l’impressione che fosse stato tutto troppo facile. Era sicura che anche Nikki stesse pensando la stessa cosa – oltre a cercare un modo per far sì che la situazione si ritorcesse contro Chloe.




CAPITOLO QUATTRO


Tornarono al quartier generale dell'FBI due ore dopo, con abbastanza prove per individuare un sospettato entro la fine della giornata. Il video di Snapchat era quella più eclatante, ma erano anche riuscite a trovare due nitide impronte digitali, l'orma sulla moquette e due capelli impigliati nella cornice della finestra della camera da letto.

Presentarono le prove al vicedirettore Garcia, seduto a un tavolino in fondo al suo ufficio. Quando Chloe gli mostrò quello che aveva trovato sul cellulare, lo vide cercare di trattenere un sorriso soddisfatto. Sembrava anche contento di come Nikki Rhodes avesse imbustato e catalogato in modo estremamente professionalmente tutte le prove trovate.

Forse anche lei dovrebbe cambiare dipartimento, pensò Chloe con astio.

“Avete fatto un lavoro incredibile” disse Garcia alzandosi dal tavolo e guardandole come se fossero le sue migliori studentesse. “Siete state rapide e scrupolose, non dubito che riusciremo ad arrestare il colpevole grazie a questo.”

Entrambe ringraziarono e Chloe notò con piacere che anche Nikki era a disagio nell'accettare i complimenti, proprio come lei.

“Agente Fine, ho ricevuto una chiamata dal direttore Johnson poco prima che arrivaste. Vuole incontrarla tra una quindicina di minuti. Agente Rhodes, perché non va in laboratorio per vedere come vengono elaborate le prove?”

Nikki annuì, recitando ancora la parte della studentessa modello. Quanto a Chloe, si sentì di nuovo prendere dal panico. Quando aveva parlato con Johnson il giorno prima, lui l’aveva colta di sorpresa con la sua proposta inaspettata. Che cosa aveva in mente, ora?

Tenendo quegli interrogativi per sé, attraversò il corridoio verso il suo ufficio. Quando entrò nella piccola reception, vide che la porta era chiusa. La segretaria indicò una delle sedie addossate alla parete, mentre era intenta a parlare con qualcuno al telefono. Chloe si accomodò e finalmente si concesse un momento per riflettere su ciò che quel giorno significava per lei e per la sua carriera.

Da un lato, aveva scoperto una prova determinante che avrebbe probabilmente portato all'arresto di un membro della banda che aveva sterminato un'intera famiglia. Ma, allo stesso tempo, aveva commesso un errore da principiante, potenzialmente danneggiando un’orma praticamente perfetta. Immaginava che il suo errore sarebbe passato in secondo piano, grazie al video di Snapchat. Tuttavia, si sentiva in imbarazzo per essere stata rimproverata da Nikki Rhodes a quel modo. Sperò che il suo successo servisse in qualche modo per annullare il suo errore.

La porta dell'ufficio di Johnson si aprì, interrompendo i suoi pensieri. Chloe vide Johnson affacciarsi dalla porta. Quando la vide non disse nulla, facendole solo cenno di entrare nel suo ufficio. Era impossibile dire se avesse semplicemente fretta o fosse arrabbiato.

Entrò nel suo ufficio e, quando ebbe chiuso la porta dietro di lei, Johnson le indicò la sedia dall'altra parte della scrivania, un posto che le stava diventando sempre più familiare. Una volta seduta, Chloe credette di riuscire finalmente a leggere la sua espressione. Era abbastanza sicura che fosse irritato per qualcosa.

“La informo che ho appena parlato al telefono con l'agente Rhodes. Mi ha raccontato di come ha praticamente calpestato un'impronta sulla scena del crimine.”

“È andata esattamente così.”

Annuì, deluso. “Sono combattuto perché, da un lato, anche lei è nuova e il fatto che mi abbia chiamato per fare la spia mi fa arrabbiare; ma allo stesso tempo, sono felice che me lo abbia detto. Perché anche se questo è il suo primo giorno, è importante fare attenzione a cose del genere. Intendiamoci, non è che io chiami nel mio ufficio tutti gli agenti che commettono un errore. Nel suo caso, però, ho pensato che fosse meglio parlarne di persona, dato che l’ho presa in contropiede con la mia proposta dell’ultimo istante. Ritiene che sia questo il motivo del suo errore?”

“No, è stata semplicemente una svista da parte mia. Ero talmente concentrata sulla finestra che non ho nemmeno notato quell’orma.”

“È comprensibile, seppure da sbadati. Ma il vicedirettore Garcia mi ha detto che ha trovato una prova che dovrebbe condurci direttamente a un arresto: un cellulare con la schermata di Snapchat aperta. È così?”

“Sì, signore.” E per ragioni che non comprendeva, avrebbe voluto aggiungere: Ma chiunque avrebbe potuto trovarlo, davvero. È stato un puro colpo di fortuna.

“Mi considero un uomo abbastanza indulgente” disse Johnson. “Ma sappia che altri errori come quello potrebbero portare a conseguenze abbastanza serie. Per ora, però, voglio che lei e l’agente Rhodes vi occupiate di un altro caso. Crede che sia un problema lavorare con lei?”

Avrebbe risposto tranquillamente di sì, ma non voleva sembrare meschina. “No, direi di farcela.”

“Ho dato un'occhiata al suo fascicolo. I suoi istruttori dicono che è incredibilmente perspicace, ma ha la tendenza a provare a fare le cose da sola. Quindi il mio consiglio è di non lasciarle prendere il pieno controllo di un caso.”

Sì, me n’ero già accorta, pensò Chloe.

“A onor del vero, l'ho già avvertita al riguardo” proseguì. “Le ho anche detto che non apprezzo quando i nuovi agenti tentano di buttare i compagni nella fossa dei leoni. Quindi mi aspetto che si dia una regolata, durante le prossime indagini. Il vice Garcia e io lo supervisioneremo da qui in poi, solo per assicurarci che tutto venga fatto secondo le regole.”

“D’accordo, grazie.”

“A parte il fatto che ha rischiato di rovinare un’impronta, credo che oggi abbia fatto un ottimo lavoro. Vorrei che passasse il resto della giornata a scrivere un rapporto sulla scena del crimine e le sue interazioni con l'agente Rhodes.”

“Sì, signore. C’è altro?”

“È tutto, per ora. Ma... come le dicevo... se crede che questo cambiamento dell'ultimo minuto nei suoi piani stia influenzando negativamente il suo lavoro, me lo faccia sapere.”

Lei annuì, alzandosi. Quando uscì dall'ufficio, si sentì come se avesse appena schivato un proiettile, oppure come un bambino che era stato mandato nell'ufficio del preside, per ricevere solo un rimprovero formale. Tuttavia, adesso che Johnson aveva elogiato il suo lavoro, la sua mente era più tranquilla.

Tornò al suo cubicolo con la testa in subbuglio. Si chiese se fosse mai accaduto prima che un nuovo agente fosse stato convocato due volte nell'ufficio del direttore in meno di quarantotto ore. La faceva sentire al tempo stesso euforica e sotto esame.

Mentre aspettava l'ascensore, vide un altro agente che girava l'angolo. Chloe lo riconobbe: era parte del gruppetto di nuovi agenti del ViCAP, che aveva conosciuto il giorno prima.

“Sei l'agente Fine, vero?” disse con un sorriso.

“In persona” rispose lei, non sapendo cosa potesse volere da lei.

“Mi chiamo Michael Riggins. Ho appena saputo del caso a cui tu e la Rhodes siete stati assegnate. L’omicidio di una famiglia legata alle gang. Si dice che ci sia già un arresto in corso. Dev’essere una specie di record, eh?”

“Non ne ho idea” disse, anche se sapeva che era successo tutto molto velocemente.

“Ehi, sai, non tutti gli agenti al loro primo giorno sono scesi in campo, oggi” disse Riggins. “Alcuni sono rimasti in ufficio, a sbrigare pratiche o fare ricerche. Io e altri ci siamo già messi d’accordo per andare fuori a bere qualcosa, dopo il lavoro. Dovresti venire anche tu. È un locale a due isolati da qui, il Reed's Bar. Il racconto del tuo successo potrebbe servirci per risollevare gli animi. Magari però non invitare la Rhodes. Ad alcuni... anzi, a nessuno piace.”

Chloe sapeva che era meschino, ma non riuscì a trattenere un sorriso a quel commento. “Potrei anche venire” disse. Era la migliore risposta che poteva dare... molto meglio che spiegare che era molto introversa e non era il tipo da frequentare locali in compagnia di persone che non conosceva.

L'ascensore arrivò e le porte si spalancarono. Chloe entrò salutando Riggins con la mano. Era bizzarro avere qualcuno invidioso della sua situazione, specialmente dopo la conversazione che aveva avuto con Johnson. Era una sensazione che quasi quasi le faceva proprio venire voglia di andare in quel locale, anche solo per un drink e una mezz'ora del suo tempo. L'alternativa era tornare al suo appartamento e continuare a disfare i bagagli. E quella prospettiva non era certo allettante.

L'ascensore la portò al terzo piano, dove si trovava il suo cubicolo, accanto ad altri. Mentre camminava in corridoio, incrociò Nikki Rhodes. Pensò di salutarla, o di ringraziarla sarcasticamente per il colloquio fuori programma con Johnson. Ma alla fine, decise di fare la superiore. Non avrebbe preso parte ai suoi giochetti.

Tuttavia, bastò quell’incontro fatto di mute occhiatacce per spingere Chloe a prendere una decisione: sì, sarebbe andata in quel locale. E se le cose non fossero migliorate prima di sera, avrebbe bevuto ben più di un bicchiere.

Sembra che stia succedendo spesso, ultimamente, si disse.

Era un pensiero che la tormentò per tutto il resto della giornata, ma, proprio come i pensieri ricorrenti su suo padre, riuscì a spingere anche quello negli angoli più reconditi della sua mente.




CAPITOLO CINQUE


Quando arrivò al locale alle 18:45, era più o meno ciò che si era aspettata. Vide diversi volti che le erano familiari, ma nessuno che conoscesse bene. E questo perché non c’era nessuno che conoscesse bene. Un altro svantaggio del fatto che Johnson le avesse fatto cambiare dipartimento all’ultimo minuto era il fatto che ben poche delle persone nel ViCAP avevano seguito i suoi stessi corsi di formazione.

I due volti che le erano più noti erano di due ragazzi. Il primo era Riggins, che era seduto con un altro agente, intento a parlare animatamente di qualcosa. Poi c’era Kyle Moulton, il bell’agente che si era offerto di portarla a pranzo dopo la prima fase dell’orientamento – lo stesso agente che l’aveva in un certo senso colpita quando le aveva chiesto se avesse mai avuto tendenze violente. Si sentì un po’ scoraggiata nel vederlo intento a chiacchierare con altre due donne. D’altronde, non c’era da stupirsi: Moulton era bello da morire. Somigliava un po’ a Brad Pitt da giovane.

Decise di non interromperlo, andando invece a sedersi con Riggins. Per quanto potesse sembrare presuntuoso, le piaceva l’idea di uscire con qualcuno che aveva espresso ammirazione per il suo successo di quella mattina.

“Questo sgabello è occupato?” chiese, accomodandosi accanto a lui.

“Niente affatto” disse Riggins. Sembrava sinceramente felice di vederla, e le guance paffute si allargarono in un sorriso. “Sono contento che tu abbia deciso di venire. Posso offrirti da bere?”

“Ma certo. Solo una birra per ora.”

Riggins chiamò il barista e gli fece segnare il primo drink di Chloe sul suo conto. Lui aveva appena finito un rum e Cola, e ne approfittò per ordinarne un secondo.

“Com’è andato il tuo primo giorno?” chiese Chloe.

“Bene. Ho passato la maggior parte del tempo impegnato a fare ricerche per un caso su un trafficante di droga. Sembra noioso, ma in realtà mi è piaciuto parecchio. Allora, com’è stato lavorare al fianco della Rhodes per un’intera giornata?” volle sapere Riggins. “Certo, risolvere il caso dev’essere stato fantastico, ma si sa che quella è un tipo difficile con cui avere a che fare.”

“Tra noi c’era parecchia tensione. È un’agente fantastica, ma...”

“Avanti, dillo” la esortò Riggins. “Io non posso chiamarla stronza perché non mi piace dare della stronza a una donna davanti a un’altra donna.”

“Non è una stronza” ribatté Chloe. “È solo molto diretta e scrupolosa.”

La conversazione proseguì ancora un po’, restando molto informale. Chloe diede qualche sbirciata in direzione dell’agente Moulton. Una delle donne se n’era andata, quindi ne rimaneva una soltanto, con cui stava ancora parlando, chino verso di lei e sorridente. Chloe tendeva ad essere un po’ ingenua quando si trattava di relazioni, ma era abbastanza certa che Moulton fosse innamorato di quella donna.

Provò una fitta di delusione inaspettata. Erano passati solo due mesi da quando lei e Steven si erano lasciati. Chloe immaginò di sentirsi interessata a Moulton solo perché era stato il primo a comportarsi in modo amichevole con lei dopo che Johnson le aveva fatto mancare la terra sotto i piedi. Inoltre, non era per niente allettante l’idea di tornare al suo nuovo appartamento da sola. Anche il fatto che Moulton fosse incredibilmente bello giocava un ruolo importante.

Sì, è stato un errore uscire. Posso bere spendendo molto meno a casa.

“Va tutto bene?” Chiese Riggins.

“Sì, credo di sì. È stata solo una lunga giornata. E domani se ne preannuncia una altrettanto lunga.”

“Torni a casa in macchina o a piedi?”

“In macchina.”

“Ah... allora è meglio che non ti offra un altro drink, eh?”

Chloe sorrise, suo malgrado. “Come sei responsabile.”

Lanciò un'occhiata a Moulton e alla donna con cui stava parlando. Al momento si stavano entrambi alzando. Mentre si dirigevano all’uscita, Moulton posò delicatamente la mano sulla parte bassa della schiena della donna.

“Posso chiederti che cosa ti ha spinto a intraprendere la strada che ti ha portata a una carriera come questa?” chiese Riggins.

Lei sorrise nervosamente e finì la sua birra. “Problemi familiari”, rispose. “Grazie per avermi invitato, Riggins, ma devo tornare a casa.”

Lui annuì, come se avesse capito. Chloe si accorse anche che si guardò lentamente intorno nel locale e vide che era l'unico a rimanere. Questo le fece pensare che forse Riggins aveva alcuni fantasmi personali con cui stava lottando.

“Abbi cura di te, agente Fine. Ti auguro che domani tu possa avere lo stesso successo di oggi.”

Chloe uscì dal locale, già facendo programmi per il resto della serata. Aveva ancora degli scatoloni da disfare, un letto da montare e una assortimento di biancheria da lavare e di utensili di cucina da mettere via.

Non è esattamente la vita eccitante che mi aspettavo, pensò con un po’ di sarcasmo.

Mentre si dirigeva verso la sua auto, ancora nel parcheggio sotto il quartier generale dell'FBI, il suo telefono squillò. Quando vide il nome sul display, si sentì invadere dalla rabbia e fu tentata di non rispondere.

Steven. Non aveva idea del perché la stesse chiamando, e fu proprio per questo che decise di rispondere. Sapeva che, se non l'avesse fatto, quella domanda l'avrebbe fatta impazzire.

Rispose alla chiamata, detestando sentirsi immediatamente nervosa. “Ciao, Steven.”

“Chloe. Ehi.”

Chloe aspettò, sperando che si sbrigasse a dirle cosa volesse. Ma non era da Steven arrivare dritto al punto.

“Va tutto bene?” chiese lei.

“Sì, è tutto a posto. Scusa... non ho nemmeno pensato a cosa avresti potuto pensare vedendo la mia chiamata...”

Smise di parlare, ricordando a Chloe uno dei suoi tanti piccoli e fastidiosi difetti, che non si era mai reso conto di avere.

“Cosa vuoi, Steven?”

“Voglio che ci troviamo per parlare” disse. “Così, giusto per riallacciare i contatti e aggiornarci.”

“Non credo proprio che sia una buona idea.”

“Non ho secondi fini” le assicurò. “Te lo giuro. È solo che... sento che ci sono alcune cose di cui devo scusarmi. E poi ho bisogno... anzi, tutti e due abbiamo bisogno di una chiusura. Non credi?”

“Parla per te. Le cose sono già sistemate per me. Non è necessaria alcuna chiusura.”

“D’accordo, allora consideralo un favore. Voglio solo una mezz'oretta. Mi piacerebbe togliermi alcuni pesi dal petto. E a dirla tutta... mi piacerebbe vederti ancora una volta.”

“Steven... sono occupata. La mia vita è incasinata adesso, e...”

Si fermò, non era nemmeno sicura di come proseguire. In realtà, non è che avesse un’agenda fitta di impegni che le avrebbe impedito di incontrarsi con lui. Sapeva che a Steven anche solo fare quella telefonata doveva essere costato uno sforzo enorme. Aveva dovuto umiliarsi, il che non era qualcosa che gli fosse mai riuscito bene.

“Chloe...”

“Va bene. Mezz'ora. Ma non verrò lì da te. Se vuoi vedermi, devi venire tu a Washington. Le cose sono incasinate qui, adesso, e non posso...”

“Ok, vengo io. Quando sarebbe un buon momento per te?”

“Sabato. All’ora di pranzo. Ti scriverò dove per messaggio.”

“Per me va bene. Grazie mille, Chloe.”

“Prego.” Sentì che avrebbe dovuto dire qualcos’altro, una cosa qualunque per alleviare la tensione. Ma alla fine, tutto quello che disse fu “Ciao, Steven”.

Terminò la chiamata e rimise in tasca il telefonino. Non poté fare a meno di chiedersi se avesse ceduto solo perché si sentiva piuttosto sola. Pensò all'agente Moulton e si chiese dove fosse andato insieme alla sua amica. Ma soprattutto, si domandò perché le importasse così tanto.

Raggiunse l’auto e tornò a casa, mentre le strade di Washington cominciavano a scurirsi nel crepuscolo. Era una città straordinaria; nonostante il traffico e la strana fusione di storia e commercio, era in qualche modo bellissima lo stesso. Quel pensiero rese Chloe malinconica, mentre si dirigeva verso il suo appartamento – un appartamento nuovo, che si era ritenuta fortunata a trovare, ma che ora le sembrava un’isola lontana da tutto e da tutti.



***



Quando il cellulare trillò, il mattino dopo, Chloe si sentì emergere dalla foschia di un sogno. Cercò di afferrarne gli ultimi brandelli mentre fuggiva da lei, ma poi si fermò, chiedendosi se ne valesse la pena. Gli unici sogni che faceva ultimamente erano su suo padre, tutto solo in prigione.

Le sembrò di poter persino sentire la sua voce canticchiare un vecchio pezzo di Johnny Cash, che aveva cantato spesso nel loro appartamento quando era bambina. “A Boy Named Sue” ricordò. O forse no. Tutte quelle canzoni iniziavano a sembrarle uguali.

Ad ogni modo, era “A Boy Named Sue” la canzone che aveva in mente quando era stata svegliata. Quando staccò il telefono dal caricatore sul comodino, vide che segnava le 6:05 – appena venticinque minuti prima della sveglia che aveva impostato.

“Pronto, parla l’agente Fine” rispose.

“Agente Fine, sono il vicedirettore Garcia. Vorrei che venisse nel mio ufficio subito. Diciamo entro un'ora. Ho un caso che voglio affidare a lei e all’agente Rhodes il prima possibile, stamattina.”

“Sì, signore” disse, alzandosi. “Sarò lì subito.”

In quel momento, non le importava di dover passare un altro giorno con Nikki Rhodes. Tutto quello che le importava era che, fino a quel momento, il suo punteggio con i casi era 1-0, ed era impaziente di migliorare quel risultato.




CAPITOLO SEI


Chloe arrivò nell'ufficio del vice direttore Garcia tre minuti dopo. Era seduto al piccolo tavolo da riunioni in fondo alla stanza, intento a sfogliare alcuni documenti. Vide che aveva già sistemato due tazze fumanti di caffè nero per loro, ai lati opposti del tavolo.

“Buongiorno, agente Fine” disse vedendola entrare. “Ha già visto o parlato con l'agente Rhodes?”

“Stava entrando nel parcheggio proprio mentre salivo in ascensore.”

Garcia parve pensarci su per un momento, forse confuso sul perché Chloe non avesse semplicemente aspettato la collega all'ascensore, dato che l’aveva vista. Poi si domandò quanto Johnson gli avesse raccontato della piccola lotta di potere che era in atto tra loro.

Poiché aveva già bevuto un caffè in macchina mentre arrivava, Chloe si sedette davanti a una delle tazze e si limitò a sorseggiarne un po’. Preferiva il caffè macchiato e leggermente zuccherato, ma non voleva apparire capricciosa. Stava ancora sorseggiando, quando Nikki Rhodes entrò nella stanza. La prima cosa che fece fu lanciare a Chloe un’occhiata irritata. Poi si sedette davanti all'altra tazza di caffè.

Garcia le guardò entrambe, apparentemente intuendo la tensione tra loro, ma poi scrollò le spalle. “Abbiamo un omicidio a Landover, nel Maryland. È un caso che all'inizio è apparso abbastanza normale. La polizia del Maryland se ne sta già occupando, ma hanno chiesto il nostro aiuto. Dovreste anche sapere che Jacob Ketterman, degli affari pubblici della Casa Bianca, conosceva la vittima. Un tempo lavorava con lei. Ci ha chiesto di esaminare il caso, come favore. E poiché è coinvolta la Casa Bianca, dovremo tenere la cosa riservata. Dovrebbe essere semplice, con questo caso. A quanto sembra, si tratta di un semplice omicidio. È uno dei motivi per cui abbiamo deciso di mettere in campo dei nuovi agenti. Sarà un buon test, e non sembra esserci fretta di chiudere il caso, anche se ovviamente preferiremmo che fosse risolto il prima possibile.”

Fece scivolare due copie del verbale verso di loro. I dettagli erano concisi e diretti. Mentre Chloe leggeva, Garcia ripeté ciò che aveva appreso.

“La vittima è la trentaseienne Kim Wielding. Lavorava come tata per la famiglia Carver quando è stata uccisa. Per quel che possiamo dire, qualcuno è entrato in casa e l'ha uccisa. È stata colpita alla testa due volte con qualcosa di molto duro, poi è stata strangolata. Le ferite alla testa erano piuttosto brutte. Non è ancora stato determinato quale delle due cose l'abbia uccisa. Abbiamo bisogno di voi due per scoprire chi è stato.”

“L'omicidio era l'unico motivo per cui l'assassino è entrato in casa?” chiese Chloe.

“Così sembra. Non pare sia stato rubato nulla. La casa era esattamente come i Carver l’avevano lasciata... ad eccezione della loro tata morta. L'indirizzo è nel fascicolo” proseguì Garcia. “Ho appena parlato al telefono con lo sceriffo di Landover. I coniugi Carver e i loro tre figli sono alloggiati in un motel da quando è avvenuto l'omicidio, due giorni fa. Ma stamattina vi aspetteranno in casa per rispondere a qualsiasi domanda. E questo è tutto, agenti. Andate là fuori e portateci un'altra vittoria. Passate dal reparto risorse umane e fatevi assegnare un’auto. Conoscete la procedura?”

Chloe non la conosceva, ma annuì comunque. Immaginava che Nikki Rhodes sapesse già tutto. Visto com’era andata il giorno prima, Chloe credeva che la collega conoscesse ogni singolo dettaglio su come funzionavano le cose al Bureau.

Chloe e Nikki si alzarono dal tavolo. Chloe bevve un ultimo sorso di caffè, prima di uscire dall'ufficio di Garcia. Camminarono lungo il corridoio verso l'ascensore senza dire una parola.

Sarà una lunga giornata, se non mettiamo da parte questa stupida rivalità, pensò Chloe.

Mentre Chloe spingeva il pulsante con la freccia verso il basso, si rivolse a Nikki e fece del suo meglio non solo per rompere il ghiaccio, ma per scioglierlo del tutto.

“Agente Rhodes, parliamoci chiaro. Hai qualcosa contro di me?”

Nikki sorrise e si prese un momento per pensare alla risposta. “No” disse alla fine. “Non ho niente contro di te, agente Fine. Ma sono un po’ titubante a lavorare con qualcuno che è stato inserito nel ViCAP all'ultimo minuto. Mi chiedo se questo non sia una specie di favore che ti è stato fatto, il che sarebbe ingiusto nei confronti di altri agenti che si sono fatti il ​​culo per far parte di questo programma.”

“Non che siano affari tuoi, ma mi è stato chiesto di entrare a far parte di questo programma. Ero perfettamente soddisfatta del mio corso con la Squadra Ricerca Prove.”

Nikki scrollò le spalle, mentre le porte dell'ascensore si aprivano. “Non so se alla SRP sarebbero contenti di come hai contaminato quell'impronta, ieri.”

Chloe rimase in silenzio a quelle parole. Avrebbe potuto continuare quella piccola guerra di parole con Nikki, ma questo non avrebbe fatto altro che rendere il loro rapporto di lavoro ancora peggiore di quanto non fosse già. Se voleva cambiare le cose, avrebbe semplicemente dovuto provare all’agente Rhodes di essere all’altezza.

Inoltre, era vero che aveva combinato un casino il giorno prima. E l'unico modo per risolverlo era mettersi alla prova con questo nuovo caso.



***



Quando Nikki decise di guidare senza intavolare alcun tipo di conversazione, Chloe la lasciò fare. Non valeva la pena arrabbiarsi. Sulla strada per Landover, Chloe iniziò a chiedersi se a un certo punto del percorso di Nikki fosse successo qualcosa che l’aveva portata a diventare così prepotente. Aveva un sacco di tempo per rifletterci, nella mezz'ora di viaggio fino a Landover, poiché Nikki non stava ancora facendo alcuno sforzo per parlare.

Arrivarono alla residenza dei Carver alle 8:05. Era una casa stupenda in un quartiere benestante, il tipo di quartiere in cui tutti i prati erano meticolosamente delimitati a mostrare le linee perfette dei marciapiedi. C'era un minivan nuovo nel vialetto, parcheggiato davanti al garage. Nikki accostò e spense il motore, quindi guardò verso Chloe e chiese: “Siamo a posto?”

“Non credo proprio, ma non importa. Concentriamoci sul caso.”

“È quello che intendevo” ribatté piccata Nikki mentre apriva la portiera ed usciva.

Chloe si unì a lei e, in quell’istante, un uomo e una donna scesero dal minivan: i Carver, immaginò Chloe. Un rapido giro di presentazioni confermò che si trattava proprio dei Carver, Bill e Sandra. Bill sembrava uno di quei tipi che non dormono mai molto, ma che sono comunque vigili; Sandra era piuttosto carina, il tipo di donna che non doveva sforzarsi troppo per apparire bella. Ma aveva anche l’aria esausta, soprattutto mentre guardava verso la casa.

“Ho saputo che alloggiate in un motel?” chiese Chloe.

“Sì” confermò Sandra. “Quando è successo, Bill era via per lavoro. I poliziotti entravano e uscivano di casa e c'era... insomma, c'era così tanto sangue. Così ho preso i bambini da scuola, li ho portati a cena fuori e poi in un motel. Ho detto loro cosa era successo e mi sembrava macabro tornare subito a casa.”

“Sono tornato ieri mattina” disse Bill. “Intorno a mezzogiorno, ieri, la polizia ci ha dato l'ok per rientrare in casa. Ma i bambini e Sandra erano troppo spaventati.”

“Credo abbiate fatto la cosa migliore” disse Nikki. “Vorremmo dare un'occhiata al luogo dove è stata uccisa la vittima, se per voi va bene.”

“Sì, lo sceriffo ci ha informato del vostro arrivo” disse Sandra. “Ci ha incaricato di riferirvi che c'è un fascicolo con tutte le informazioni sul bancone della cucina.”

“Prima di entrare” disse Chloe, “Mi stavo chiedendo se poteste parlarci un po’ di Kim?”

“Era così gentile” dichiarò Sandra.

“E fantastica con i bambini” aggiunse Bill, con un tremolio nella voce. Era come se iniziasse a realizzare cosa fosse successo solo in quel momento.

“Sapete se ci fosse qualcuno che ce l’aveva con lei?” chiese Chloe

“Non ci risulta” rispose Sandra. “È quello che ci chiediamo da due giorni, ma... non ha assolutamente senso.”

“Qualche relazione fallita?” chiese Nikki. “Magari un ex-fidanzato o qualcosa del genere?”

“Ha un ex, certo” confermò Bill. “Ma lo menzionava di rado.”

“Però ve ne ha parlato?” chiese Chloe.

Negli occhi di Sandra si accese un lampo di comprensione. “In effetti, diceva che era qualcosa da cui era dovuta fuggire. E non penso scherzasse. Insomma... non ha mai veramente parlato di lui.”

“Sapete come si chiama questo ex?” chiese Nikki.

“No” disse Sandra. Quindi guardò Bill, ma lui si limitò a fare segno di no con il capo.

“Kim restava mai da voi a dormire?”

“Sì. Se io e Bill ce ne andavamo per qualche giorno, lei si trasferiva a casa nostra. Abbiamo una camera degli ospiti che chiamavamo sempre scherzosamente la camera di Kim. A volte si fermava anche a dormire, nei giorni in cui i bambini avevano avuto difficoltà con i compiti o la scuola.”

“Che camera da letto è?”

“Al piano di sopra, la prima a sinistra” disse Bill.

“Vi dispiacerebbe restare un po’, nel caso avessimo domande da farvi dopo che avremo guardato dentro casa?” domandò Chloe.

“Non dobbiamo entrare, vero?” Chiese Sandra.

“No”, li rassicurò Nikki. “Potete stare qui fuori.”

Sandra ne sembrò sollevata, ma guardava ancora la casa come se si aspettasse che un assassino con l’ascia in mano uscisse dalla porta d’ingresso da un momento all’altro.

Entrambi i coniugi rimasero nel vialetto, mentre Chloe e Nikki si diressero verso il portico, che correva tutto intorno alla casa, ed era completo di dondolo. Chloe aprì la porta principale ed entrarono.





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“Un capolavoro del thriller e del mistero. Blake Pierce ha creato con maestria personaggi dalla psiche talmente ben descritta da farci sentire dentro la loro mente, a provare le loro stesse paure e fare il tifo per loro. Questo libro è ricco di colpi di scena e vi terrà svegli fino all’ultima pagina.” –Books and Movie Reviews, Roberto Mattos (su Il Killer della Rosa) LA BUGIA DI UN VICINO (Un Mistero di Chloe Fine) è il secondo libro di una nuova serie thriller di Blake Pierce, autore del best-seller Il Killer Della Rosa (Libro #1, download gratuito), che ha ottenuto più di 1000 recensioni da cinque stelle. Chloe Fine, 27 anni, agente nella Squadra Ricerca Prove dell’FBI, ancora sconvolta per le rivelazioni sul proprio passato, si ritrova catapultata nel suo primo caso: l’omicidio di una tata in un paesino di provincia all’apparenza idilliaco.Immersa in un mondo fatto di segreti, coppie infedeli, artifici e finzione, Chloe si rende ben presto conto che chiunque potrebbe essere il colpevole. Nel frattempo, con suo padre ancora in carcere, è anche impegnata a combattere i propri demoni e svelare altri segreti, che minacciano di distruggerla prima ancora che la sua carriera sia decollata.Thriller psicologico dall’intensa carica emotiva, con l’ambientazione intima di una piccola cittadina e una suspense mozzafiato, LA PORTA ACCANTO è il libro #1 in una nuova, avvincente serie che vi terrà incollati alle sue pagine fino a tarda notte.Il libro #3 nella serie di CHLOE FINE sarà presto disponibile.

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