Книга - Un Vicino Silenzioso

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Un Vicino Silenzioso
Blake Pierce


“Un capolavoro del thriller e del mistero. Blake Pierce ha creato con maestria personaggi dalla psiche talmente ben descritta da farci sentire dentro la loro mente, a provare le loro stesse paure e fare il tifo per loro. Questo libro è ricco di colpi di scena e vi terrà svegli fino all’ultima pagina.” --Books and Movie Reviews, Roberto Mattos (su Il Killer della Rosa) UN VICINO SILENZIOSO (Un Mistero di Chloe Fine) è il libro #4 di una nuova serie thriller di Blake Pierce, autore del best-seller Il Killer Della Rosa (Libro #1, download gratuito), che ha ottenuto più di 1000 recensioni da cinque stelle.Quando una nuova, appariscente vicina ostenta la sua ricchezza in una città di periferia, non passa molto tempo prima che venga trovata uccisa. Che sia stato il suo atteggiamento a turbare i vicini invidiosi?O la fortuna del marito nasconde forse un segreto più oscuro?Chloe Fine, 27 anni, agente speciale della sezione VICAP dell’FBI, si ritrova immersa in una piccola comunità fatta di menzogne, pettegolezzi e tradimenti, mentre cerca di distinguere la verità dalle bugie.Ma qual è l’unica verità?Riuscirà a risolvere il caso mentre deve si occupare anche del padre ormai libero di prigione e della sorella tormentata?Thriller psicologico dall’intensa carica emotiva, personaggi ben costruiti, un’ambientazione intima e una suspense mozzafiato, UN VICINO SILENZIOSO è il libro #4 in una nuova, avvincente serie che vi terrà incollati alle sue pagine fino a tarda notte.Il libro #5 nella serie di CHLOE FINE sarà presto disponibile.







u n v i c i n o s i l e n z i o s o



(un thriller psicologico di chloe fine—libro 4)



b l a k e p i e r c e



traduzione di

valentina sala


Blake Pierce



Blake Pierce è l’autore della serie di successo dei misteri di RILEY PAGE, che si compone (al momento) di quindici libri. Blake Pierce è anche autore della serie dei misteri di MACKENZIE WHITE, composta (al momento) da tredici libri; della serie dei misteri di AVERY BLACK, composta da sei libri; della serie dei misteri di KERI LOCKE, composta da cinque libri; della serie di gialli GLI INIZI DI RILEY PAIGE, composta (al momento) da quattro libri; della serie dei misteri di KATE WISE, composta (al momento) da cinque libri; della serie dei gialli psicologici di CHLOE FINE, composta (al momento) da cinque libri; della serie dei thriller–psicologici di JESSE HUNT, composta (al momento) da cinque libri.

Avido lettore e appassionato da sempre di gialli e thriller, Blake riceve con piacere i vostri commenti, perciò non esitate a visitare la sua pagina www.blakepierceauthor.com (http://www.blakepierceauthor.com) per saperne di più e restare in contatto con l’autore.



Copyright © 2019 di Blake Pierce. Tutti i diritti riservati. Ad eccezione di quanto consentito dalla Legge sul Copyright degli Stati Uniti del 1976, nessuna parte di questa pubblicazione può essere riprodotta, distribuita o trasmessa in qualsiasi forma o con qualsiasi mezzo, né archiviata in un database o un sistema di recupero senza aver prima ottenuto il consenso dell’autore. La licenza di questo e–book è concessa solo ad uso personale. Questo e–book non può essere rivenduto o ceduto a terzi. Se si desidera condividere il libro con altre persone, si prega di acquistare una copia per ciascun destinatario. Se state leggendo questo libro senza averlo acquistato, oppure senza che qualcuno lo abbia acquistato per voi, siete pregati di restituire questa copia e acquistarne una. Vi ringraziamo per il rispetto nei confronti del lavoro dell’autore. Questa è un’opera di fantasia. Nomi, personaggi, aziende, società, luoghi, eventi e fatti sono frutto dell’immaginazione dell’autore, oppure sono utilizzati in modo fittizio. Qualsiasi somiglianza a persone reali, in vita o decedute, è puramente casuale. Copyright immagine di copertina Mayer George, concessa su licenza di Shutterstock.com.


LIBRI DI BLAKE PIERCE



I THRILLER PSICOLOGICI DI JESSIE HUNT

LA MOGLIE PERFETTA (Libro #1)

IL QUARTIERE PERFETTO (Libro #2)

LA CASA PERFETTA (Libro #3)

IL SORRISO PERFETTO (Libro #4)



I GIALLI PSICOLOGICI DI CHLOE FINE

LA PORTA ACCANTO (Libro #1)

LA BUGIA DI UN VICINO (Libro #2)

VICOLO CIECO (Libro #3)

UN VICINO SILENZIOSO (Libro #4)

RITORNO A CASA (Libro #5)



I GIALLI DI KATE WISE

SE LEI SAPESSE (Libro #1)

SE LEI VEDESSE (Libro #2)

SE LEI SCAPPASSE (Libro #3)

SE LEI SI NASCONDESSE (Libro #4)

SE FOSSE FUGGITA (Libro #5)

SE LEI TEMESSE (Libro 6)



GLI INIZI DI RILEY PAIGE

LA PRIMA CACCIA (Libro #1)

IL KILLER PAGLIACCIO (Libro #2)

ADESCAMENTO (Libro #3)

CATTURA (Libro #4)



I MISTERI DI RILEY PAIGE

IL KILLER DELLA ROSA (Libro #1)

IL SUSSURRATORE DELLE CATENE (Libro #2)

OSCURITA’ PERVERSA (Libro #3)

IL KILLER DELL’OROLOGIO (Libro #4)

KILLER PER CASO (Libro #5)

CORSA CONTRO LA FOLLIA (Libro #6)

MORTE AL COLLEGE (Libro #7)

UN CASO IRRISOLTO (Libro #8)

UN KILLER TRA I SOLDATI (Libro #9)

IN CERCA DI VENDETTA (Libro #10)

LA CLESSIDRA DEL KILLER (Libro #11)

VITTIME SUI BINARI (Libro #12)

MARITI NEL MIRINO (Libro #13)

IL RISVEGLIO DEL KILLER (Libro #14)

IL TESTIMONE SILENZIOSO (Libro #15)

OMICIDI CASUALI (Libro #16)



I MISTERI DI MACKENZIE WHITE

PRIMA CHE UCCIDA (Libro #1)

UNA NUOVA CHANCE (Libro #2)

PRIMA CHE BRAMI (Libro #3)

PRIMA CHE PRENDA (Libro #4)

PRIMA CHE ABBIA BISOGNO (Libro #5)

PRIMA CHE SENTA (Libro #6)

PRIMA CHE COMMETTA PECCATO (Libro #7)

PRIMA CHE DIA LA CACCIA (Libro #8)

PRIMA CHE AFFERRI LA PREDA (Libro #9)

PRIMA CHE ANELI (Libro #10)

PRIMA CHE FUGGA (Libro #11)

PRIMA CHE INVIDI (Libro #12)

PRIMA CHE INSEGUA (Libro #13)



I MISTERI DI AVERY BLACK

UNA RAGIONE PER UCCIDERE (Libro #1)

UNA RAGIONE PER CORRERE (Libro #2)

UNA RAGIONE PER NASCONDERSI (Libro #3)

UNA RAGIONE PER TEMERE (Libro #4)

UNA RAGIONE PER SALVARSI (Libro #5)



I MISTERI DI KERI LOCKE

TRACCE DI MORTE (Libro #1)

TRACCE DI OMICIDIO (Libro #2)

TRACCE DI PECCATO (Libro #3)

TRACCE DI CRIMINE (Libro #4)

TRACCE DI SPERANZA (Libro #5)


INDICE



PROLOGO (#u0b964c64-8323-58ad-91f8-24aabafe1078)

CAPITOLO UNO (#ue7e62970-8c48-56e7-a5eb-30b9cc977458)

CAPITOLO DUE (#u2edfd87c-df6e-5780-ab70-cd8514879e62)

CAPITOLO TRE (#u8e08bb75-fa8f-511b-b33e-d85f805891b4)

CAPITOLO QUATTRO (#u0475d7fc-9adf-50b2-a3b6-aa21c8d76773)

CAPITOLO CINQUE (#ue91a524e-f7c5-5e68-a2d1-a85bcec4ffba)

CAPITOLO SEI (#u11be91d1-1626-5d2f-9120-6aaf6e3256bb)

CAPITOLO SETTE (#u61408f56-91e5-5c87-91f2-e29967d77ac4)

CAPITOLO OTTO (#u2943ce1c-caf6-5349-abd8-b2740ddacc38)

CAPITOLO NOVE (#litres_trial_promo)

CAPITOLO DIECI (#litres_trial_promo)

CAPITOLO UNDICI (#litres_trial_promo)

CAPITOLO DODICI (#litres_trial_promo)

CAPITOLO TREDICI (#litres_trial_promo)

CAPITOLO QUATTORDICI (#litres_trial_promo)

CAPITOLO QUINDICI (#litres_trial_promo)

CAPITOLO SEDICI (#litres_trial_promo)

CAPITOLO DICIASSETTE (#litres_trial_promo)

CAPITOLO DICIOTTO (#litres_trial_promo)

CAPITOLO DICIANNOVE (#litres_trial_promo)

CAPITOLO VENTI (#litres_trial_promo)

CAPITOLO VENTUNO (#litres_trial_promo)

CAPITOLO VENTIDUE (#litres_trial_promo)

CAPITOLO VENTITRÉ (#litres_trial_promo)

CAPITOLO VENTIQUATTRO (#litres_trial_promo)

CAPITOLO VENTICINQUE (#litres_trial_promo)

CAPITOLO VENTISEI (#litres_trial_promo)

CAPITOLO VENTISETTE (#litres_trial_promo)

CAPITOLO VENTOTTO (#litres_trial_promo)

CAPITOLO VENTINOVE (#litres_trial_promo)

CAPITOLO TRENTA (#litres_trial_promo)

CAPITOLO TRENTUNO (#litres_trial_promo)

EPILOGO (#litres_trial_promo)




PROLOGO


Rosa aprì la porta della casa a due piani, pensando a quanto fosse strano che la gente ingaggiasse altre persone per pulire le proprie abitazioni, dando loro pieno accesso ad ogni stanza e potenziale segreto della propria vita. Rosa faceva pulizie nelle case della zona di Falls Church, Virginia, da sei anni ormai e si era imbattuta in un bel po’ di cose inaspettate. La preoccupava quanto poco la gente facesse per coprire le proprie sconsideratezze e i propri segreti.

Tuttavia, non credeva che avrebbe trovato accidentalmente oggetti scandalosi o segreti oscuri a casa di quella coppia. Si trattava dei suoi clienti più recenti, i settimi della lista, grazie ai quali era riuscita a raggiungere l’obiettivo di guadagnare quattromila dollari al mese semplicemente facendo le pulizie. Non male, per una donna che un tempo riusciva a malapena a pagare trecentocinquanta dollari di affitto sparecchiando tavoli.

No, quella coppia, i Fairchild, sembrava perfetta e priva di drammi. Una bella coppia di sposi, anche se forse un po’ troppo assorbiti dal lavoro. Il marito era una specie di mediatore finanziario che viaggiava almeno una volta al mese per partecipare alle riunioni a New York e Boston. La moglie, una donna sulla cinquantina dall’aspetto introverso, non sembrava occuparsi di granché. Era una specie di influencer sui social media, qualunque cosa significasse. Ma erano abbastanza carini, erano ricchi, ed erano incredibilmente gentili e amichevoli con Rosa... il che non si poteva dire di molti altri suoi clienti.

Entrò nel vasto atrio e si guardò intorno nello spazioso soggiorno, un open space con cucina annessa, delimitata solo da un bancone sospeso. La casa era, a suo parere, troppo grande per una coppia senza figli, una coppia in cui il marito non c’era più o meno una settimana al mese.

Dando un’occhiata in giro, Rosa immaginò che sarebbe stata una di quelle settimane in cui avrebbe avuto la sensazione di non guadagnarsi davvero i suoi soldi. I Fairchild erano abbastanza ordinati, e lasciavano la casa per lo più pulita. Rosa avrebbe fatto le solite cose, ovvero spolverare, passare l’aspirapolvere e pulire le finestre, ma in realtà non era un lavoro pesante nella casa dei Fairchild.

Andò nella lavanderia e nell’attigua anticamera, dove riempì il lavandino di acqua, versandoci dentro un po’ di detergente al profumo di lavanda. Pensò di occuparsi dei pavimenti della cucina, dato che sembrava essere la stanza più usata della casa. Mentre aspettava che il pavimento si asciugasse, avrebbe passato l’aspirapolvere nelle stanze al piano superiore, tutte coperte da moquette. Odiava la sensazione di approfittarsi di una coppia così gentile, ma pensava che se fosse riuscita a dare l’impressione di essersi dedicata a tutte le aree più importanti, i Fairchild lo avrebbero considerato un lavoro ben fatto. Inoltre, non era colpa sua se non lasciavano praticamente nulla da ripulire.

Mentre aspettava che il lavandino si riempisse, Rosa attraversò la cucina e le scale. L’aspirapolvere era nell’armadio della biancheria del piano superiore, poiché era l’unica zona della casa con la moquette. Pensò che forse aveva bisogno di un nuovo filtro e voleva controllare subito, prima di iniziare a pulire e dimenticarsene.

Trovò l’aspirapolvere al solito posto e controllò il filtro, scoprendo che avrebbe potuto usarlo qualche altra volta, prima di doverlo cambiare. Avendo l’aspirapolvere pronto, decise di passarlo nella camera da letto principale. Era una stanza enorme, completa di camino, scaffali a muro e un bagno annesso che era più grande del soggiorno dell’appartamento di Rosa.

La porta della camera da letto era aperta, così entrò senza bussare. Spesso non sapeva se la signora Fairchild fosse in casa o no, ma aveva imparato a bussare ogni volta che c’era una porta chiusa nella casa dei Fairchild. Spinse l’aspirapolvere davanti a sé, ma si fermò dopo aver fatto tre passi nella stanza.

La signora Fairchild era sul letto, addormentata. Il che era strano, dato che era abbastanza sicura che si svegliasse presto e andasse a correre quasi tutti i giorni. Stava per lasciare la stanza, non volendo svegliarla. Poi, però, notò due dettagli insoliti.

In primo luogo, la signora Fairchild indossava il suo completo da corsa. In secondo luogo, era sdraiata sopra le lenzuola, sul letto appena fatto.

Dei campanelli d’allarme cominciarono a suonare nella testa di Rosa e, invece di uscire dalla stanza come aveva originariamente pensato, si sentì avanzare come spinta da una mano invisibile.

“Signora Fairchild?”

Non ci fu risposta. La signora Fairchild non si mosse nemmeno.

Chiama la polizia, pensò Rosa. Chiama il nove–uno–uno. Qualcosa non va... non sta solo dormendo, e tu lo sai.

Ma doveva accertarsene. Fece altri due passi, fino a quando la faccia della signora Fairchild divenne visibile.

Aveva gli occhi aperti, rivolti verso la finestra, senza sbattere le palpebre. La bocca era parzialmente dischiusa. Una pozza di sangue, ancora relativamente fresco, macchiava le lenzuola appena sopra la testa. Un taglio grottesco era chiaramente visibile lungo il collo.

Rose sentì un piccolo gemito risalirle la gola. Le ginocchia stavano per cederle, ma riuscì a indietreggiare di qualche passo. Quando si scontrò con l’aspirapolvere, lasciò uscire l’urlo.

Ci volle un notevole sforzo per distogliere lo sguardo dalla signora Fairchild, ma non appena lo fece, corse via rapidamente dalla stanza. Andò al bancone della cucina, dove aveva lasciato il cellulare, e chiamò il 911. Appena rispose il centralino, Rosa era così inorridita da quello che aveva visto che non si fermò a pensare al lavello nell’anticamera, che si riempiva sempre di più ogni secondo che passava, vicino a tracimare.




CAPITOLO UNO


Chloe aveva sentito molti racconti ammonitori sui tentavi di mantenere una barriera tra la vita personale e la carriera. Come agente federale, le cose tendevano a diventare particolarmente spinose quando i due mondi si scontravano. Ma onestamente, viveva con la costante collisione di quei due mondi da quando si era diplomata all’accademia, grazie ai giochetti mentali di gatto con il topo di suo padre.

Sapeva di aver trascorso troppo tempo a speculare su suo padre e su quello che poteva o meno aver fatto a sua madre quasi diciotto anni prima. Grazie alla scoperta da parte di Danielle del diario di sua madre, Chloe aveva vissuto le ultime settimane in un’atmosfera di confusione. Ora si sentiva abbastanza sicura che il padre avesse ucciso la madre, tanti anni prima. Gli aveva concesso tutti i benefici del dubbio fino a quel momento, al punto da provare ad attribuire l’omicidio di sua madre a un capro espiatorio, Ruthanne Carwile.

Ma ora lo aveva davanti scritto nero su bianco, per mano della madre. Adesso aveva prove più che sufficienti a dimostrare che suo padre non solo era un assassino, ma che aveva ucciso sua madre.

Il colpo era stato molto duro. Anche se Chloe aveva fatto del suo meglio per non lasciare che questo influisse sul suo lavoro, aveva consumato quasi ogni momento libero che aveva avuto. Aveva trascorso i primi due fine–settimana dopo la scoperta sfuggendo alle chiamate di tutti – di Danielle, della sua partner, l’agente Nikki Rhodes, e di suo padre.

Tutto quello che devo fare è renderlo pubblico, pensava più volte tra sé. Esci allo scoperto, rivolgiti al Bureau e affondalo. Chiudi questo sordido capitolo della tua vita e rimetti quel bastardo dietro le sbarre.

Ma era rischioso. Poteva influire sulla sua stessa carriera. E, soprattutto, c’era quella bambina ancora ribelle dentro di lei, una versione più giovane di se stessa che insisteva che forse c’era qualcosa che le sfuggiva... che non poteva essere davvero un assassino, suo padre.

Era una lotta interna che la potò ad arrivare al lavoro con la sbornia più volte. Erano passati solo venti giorni da quando aveva fatto la scoperta nel diario. E, anche al lavoro, pur rimanendo professionale e non lasciando che i suoi demoni personali interferissero con il suo ruolo, gli appunti del diario le venivano in mente di continuo.

Mi ha strangolato stasera... e mi ha dato uno schiaffo in faccia. Prima di capire cosa succedesse, mi ha spinta contro il muro e mi ha stretto le mani al collo. Ha detto che se mai gli avessi mancato di nuovo di rispetto, mi avrebbe uccisa. Ha detto che aveva già qualcosa di meglio pronto per lui, una donna migliore e una vita migliore...

Il diario era sul suo tavolinetto. L’aveva lasciato lì in modo da ricordarselo sempre... in modo da non potersi concedere la comodità di averlo fuori dalla vista. Lo teneva lì a ricordarle che era stata una stupida e che suo padre le aveva gettato sabbia negli occhi per molto tempo.

Erano passati venti giorni, quasi tre intere settimane, da quando lei e Danielle erano finalmente giunte alla conclusione che il padre aveva ucciso la madre, quando Chloe pensò di andare a casa sua e ucciderlo. Era un sabato. Aveva iniziato a bere alle undici di mattina, guardando fuori dalla finestra del suo appartamento mentre il traffico di Washington scorreva sotto i suoi occhi.

Conosceva abbastanza bene il sistema per sapere come farlo sembrare un suicidio. Oppure, se non altro, sapeva come nascondere bene le proprie tracce. Poteva assicurarsi che lui morisse senza che nulla fosse riconducibile a lei.

Ci aveva pensato molto attentamente. Nella sua testa si agitava un piano, che era per lo più valido.

Ma questa è follia, non è vero? Si chiese.

Poi pensò a quanto profondamente l’avesse ingannata. Ricordò quanto gli era stata fedele, anche quando Danielle aveva provato ad avvertirla che il padre non era l’uomo che pensava. E quando tutto ciò penetrava nel suo cervello, no... l’idea di ucciderlo non sembrava poi così drastica.

Stava sognando ad occhi aperti di premere il grilletto contro il padre e di iniziare la sua terza birra del giorno, quando qualcuno bussò piano alla sua porta. Fece una smorfia; suo padre era venuto quattro volte negli ultimi venti giorni, ma lei era sempre rimasta in silenzio dall’altra parte dell’uscio. I colpi erano diversi stavolta – come il ritmo della batteria all’inizio di “Closer”, dei Nine Inch Nails, una delle canzoni preferite di Danielle. Erano i colpi che avevano concordato in modo che Chloe sapesse che era sua sorella dall’altra parte della porta.

Con un sorriso stanco, Chloe aprì l’uscio. Danielle aspettava dall’altra parte, con la mano sollevata e pronta a bussare ancora. La abbassò e fece un sorriso alla sorella. Sembrava strano; Danielle era di solito quella cupa che Chloe cercava di rallegrare. Era stato così per la maggior parte della loro vita, soprattutto da quando Danielle aveva scoperto quanto possono essere stronzi gli uomini.

“Non dormi bene?” Danielle chiese entrando e chiudendo la porta dietro di sé.

“Non particolarmente” disse Chloe. “Vuoi una birra?”

“Che ore sono?”

“Mezzogiorno? O giù di lì...”

“Solo una”, disse Danielle, guardando sua sorella con sospetto.

Chloe era molto consapevole di come i ruoli si fossero fondamentalmente ribaltati tra loro. Mentre apriva una bottiglia e la passava a Danielle, vide la preoccupazione sul volto della sorella. Il che era bello... dimostrava che Danielle era cresciuta. Dimostrava che, di fronte a ciò che avevano scoperto insieme, riusciva a stare in piedi da sola senza che la sorella la sostenesse, come aveva fatto in passato.

“So cosa stai pensando”, disse Chloe.

“No, non lo sai. Odio dover dire che mi piace la Chloe che beve prima di mezzogiorno. Mi piace questa Chloe lunatica che se ne fotte del mondo intero. Ma sarei una cattiva sorella se non ti dicessi che sono preoccupata per te. Non hai esattamente la personalità giusta per fare la dark imbronciata.”

“È per questo che sei qui?” chiese Chloe. “Per dirmi che sei preoccupata per me?”

“In parte. Ma c’è qualcos’altro. E ho bisogno che tu mi stia ad ascoltare per un secondo, ok?”

“Certo” disse Chloe mentre si sistemavano sul divano con le loro birre. Vedendo il diario di sua madre sul tavolino da caffè, la sua mente ritornò brevemente alla squallida idea di uccidere suo padre. E fu allora, con Danielle seduta di fronte a lei, che si rese conto che non avrebbe mai potuto farlo. Poteva fantasticare e pianificare quanto voleva, ma non l’avrebbe mai fatto. Semplicemente, non era quel tipo di persona.

“Allora, un po’ di tempo fa, mi ricordo di aver visto questo show... uno del genere Misteri Irrisolti”, disse Danielle.

“Spero che questo abbia un senso”, interruppe Chloe.

“Ce l’ha. Ad ogni modo... si trattava di questa donna che ha salvato la vita di suo fratello. Vedi... erano gemelli omozigoti. Nati a cinque minuti di distanza, o qualcosa del genere. Insomma, lei sta preparando la cena per la sua famiglia una sera, e le viene una specie di fitta alla testa... come se qualcuno le parlasse. Ha la straziante impressione che suo fratello sia nei guai. È così intensa che interrompe quello che stava facendo e lo chiama. Quando lui non risponde al telefono, chiama la ragazza del fratello. La ragazza va a casa del fratello e scopre che qualcuno ha fatto irruzione nella sua casa e gli ha sparato. Stava morendo dissanguato quando la ragazza lo trova, ma chiama il nove–uno–uno e finisce per salvargli la vita. Tutto basato su questa strana sensazione che aveva la sorella gemella.”

“Ok...”

Danielle alzò gli occhi al cielo. Chloe capì che stava valutando molto attentamente le prossime parole che le sarebbero uscite dalla bocca. “Ho sperimentato qualcosa del genere circa quaranta minuti fa”, disse. “Non così forte come hanno detto in quel programma televisivo, ma era abbastanza forte. Ed è stato... ecco, è stato strano.”

“Nessuno ha fatto irruzione in casa”, disse Chloe. “Non mi hanno sparato.”

“Lo vedo. Ma... non lo so. Ho avuto quella strana sensazione dei gemelli. Sentivo di dover essere qui. Scusa se sembra stupido. Ma... beh, c’è qualcosa che forse sono riuscita ad impedire, presentandomi qui da te?”

Chloe scosse la testa, ma dentro di sé pensò: Mi hai solo impedito di pianificare l’omicidio di nostro padre. Fece una risatina e sorseggiò la sua birra.

“Tu non stai bene”, disse Danielle. Fece un cenno verso la bottiglia di birra. “Quante ne troverò nella spazzatura, vuote?”

“Due. E mi dispiace... ma chi sei tu per preoccuparti di quanto bevo? Da che pulpito.”

“Oh, non mi interessa se bevi. Puoi curarti come meglio credi. Ma so che questo tipo di automedicazione non è da te. Non lo è mai stata. Tu sei quella logica... quella intelligente. È proprio perché stai affrontando la cosa come avrei fatto io un tempo che sono qui. Questo è quello che mi preoccupa.”

“Sto bene, Danielle.”

Danielle incrociò le braccia e si appoggiò allo schienale del divano. Se prima la conversazione era stata pacifica, Chloe sentì che la situazione era cambiata con quel semplice gesto. Lo sguardo di Danielle aveva un che di gelido.

“Quindi vuoi dirmi che nell’ultimo anno, con te che mi proclamavi la grandiosità di papà... io ho sempre lasciato correre? Tu ed io siamo arrivate più volte allo scontro per lui, e tu ti schieravi sempre dalla sua. Per come la vedo io, mi merito un po’ di onestà, Chloe. Non sono stupida. Questa bomba esplosa con papà ti ha distrutta.”

“Naturale.”

“Allora dimmi cosa stai pensando. Dimmi cosa facciamo adesso. Se devo essere sincera, non vedo perché non l’hai ancora denunciato. Il diario non è abbastanza per condannarlo?”

“Non credi che non ci abbia già pensato?” chiese Chloe, cominciando ad arrabbiarsi un po’. “E no... il diario non basta. Potrebbe essere sufficiente per riaprire il caso, ma questo è tutto. Non ci sono prove concrete... e il fatto che ci fosse già un processo e che nostro padre sia stato messo in prigione e poi lasciato andare rende il tutto ancora più difficile. Aggiungici la recente condanna di Ruthanne Carwile, e diventa un enorme casino.”

“Quindi stai dicendo che probabilmente finirà per farla franca?”

Chloe non rispose. Buttò giù il resto della birra ed entrò in cucina. Aprì lao sportello del frigorifero per prenderne un’altra, ma poi si fermò. Lentamente, lo richiuse di nuovo e si appoggiò al piccolo bancone della cucina.

“Sono consapevole che è soprattutto colpa mia”, disse Chloe. Era difficile ammetterlo. Le parole avevano il sapore dell’acido, nella sua bocca.

“Non sono qui per incolparti, Chloe.”

“Lo so. Ma è quello che stai pensando. E non ti biasimo. Ora che ho visto cosa c’è in quel diario e ho... diciamo... capito meglio che uomo è... lo penso anch’io. Se ti avessi ascoltato prima che tutto questo iniziasse, sarebbe stato diverso. Prima di Ruthanne, prima di ottenere il mio lavoro al Bureau...”

“Non fare così. Cerchiamo solo di guardare avanti. Cerchiamo di capire cosa possiamo fare.”

“Non c’è proprio niente!”

Chloe si sorprese quando urlò quelle parole alla sorella. Ma una volta pronunciate, non poteva rimangiarsele.

“Chloe, io...”

“Ho combinato un casino. Ho deluso te, la mamma e me stessa. Ecco come sono ora. Devo convivere con questo e non...”

“Ma possiamo risolverlo insieme, giusto? Ascolta... mi piace questa inversione di ruoli e tutto il resto, ma non posso sopportare di vederti buttarti giù così.”

“Non ora. Non posso occuparmene ora. Devo capire alcune cose.”

“Lascia che ti aiuti, allora.”

Chloe si sentiva soffocare. Sentiva anche sopraggiungere un’altra crisi, ma strinse i pugni e riuscì a placarla. “Danielle”, disse il più lentamente e pazientemente possibile, " Ti ringrazio per il pensiero e ti voglio bene per esserti così preoccupata. Ma ho bisogno di gestire la cosa da sola, per ora. Più mi assilli e insisti, più sarà difficile. Quindi, per favore... per ora... puoi andartene?”

Chloe vide qualcosa mutare nell’espressione di Danielle. Sembrava delusa. O forse triste. Non avrebbe saputo dirlo con esattezza e, francamente, in quel momento non le importava.

Danielle posò la sua birra sul tavolino – ancora quasi del tutto piena – e si alzò in piedi. “Voglio che mi chiami quando hai finito di essere così distante.”

“Non sono distante.”

“Non so cosa sei”, disse Danielle mentre apriva la porta per andarsene. “Ma distante suonava meglio di stronza.”

Prima che Chloe potesse replicare, Danielle uscì, chiudendo la porta dietro di sé.

Chloe avrebbe voluto che Danielle l’avesse sbattuta. Almeno avrebbe dimostrato che anche Danielle era arrabbiata quanto Chloe. Invece ci fu solo il morbido clic della serratura e nient’altro.

Chloe rimase seduta nel silenzio che seguì per il resto del pomeriggio, e a testimoniarlo, il giorno dopo, ci sarebbero state solo le bottiglie di birra vuote nel cestino.




CAPITOLO DUE


La domenica, Chloe si ritrovò seduta in un parcheggio per visitatori fuori dal Centro di Detenzione di Washington. Osservò l’edificio per un attimo, prima di scendere dall’auto, cercando di capire esattamente perché si trovasse lì.

Conosceva la risposta, ma era difficile da digerire. Era lì perché le mancava Moulton. Era una verità che non avrebbe mai detto ad alta voce, un punto dolente che non riusciva ad elaborare. Ma la pura e semplice verità era che aveva bisogno di qualcuno che la confortasse e, da quando si era trasferita a Washington, considerava Moulton come tale. Stranamente, era qualcosa di cui non si era resa conto fino a quando non era stato mandato in prigione per il suo ruolo in una frode finanziaria.

All’inizio, aveva pensato che le mancasse solo per un’intimità fisica – il bisogno di essere abbracciata da un uomo quando si sentiva scoraggiata e smarrita. Ma quando Danielle se n’era andata il giorno prima e Chloe aveva provato un disperato bisogno di parlare con qualcuno di quello che stava affrontando, le veniva in mente solo Moulton.

Con un’ultima spinta di motivazione, Chloe uscì dalla sua auto e varcò la soglia. Usò il proprio tesserino federale per entrare, si registrò e poi si sedette in una piccola sala d’attesa, mentre una guardia veniva inviata a prelevare l’agente Moulton. La sala era praticamente vuota; apparentemente, la domenica non era il giorno più popolare per andare in prigione a visitare i propri cari.

Meno di cinque minuti dopo, Moulton apparve attraverso la porta sul retro della stanza. La stanza stessa era allestita come una specie di salottino. Chloe era seduta su un divano, a cui Moulton si avvicinò lentamente. La guardò con un sorriso scettico, come se cercasse di studiarla.

“Va bene se mi siedo qui?” chiese, incerto.

“Sì”, rispose spostandosi per lasciargli spazio sul divano.

“È bello vederti”, disse subito Moulton. “Ma devo ammettere che è anche molto inaspettato.”

“Come ti trattano qui?”

Alzò gli occhi al soffitto e sospirò. “Sono per lo più uomini come me. Crimini da colletti bianchi. Non sono mai veramente preoccupato di essere aggredito nelle docce o picchiato in palestra, se è questo che intendi dire. Ma non mi va nemmeno di parlarne. Come va il lavoro? Hai qualcosa di interessante?”

“No. Mi hanno affiancato a Rhodes. Lei ed io stiamo lavorando a un progetto di profiling. Un po’ noioso a volte, ma ci tiene impegnate.”

“Voi due andate d’accordo?”

“Meglio della prima volta, questo è sicuro.”

Si avvicinò e, ancora una volta, le rivolse uno sguardo scettico. “Cosa ti porta da queste parti, Fine?”

“Volevo vederti.”

Lui sorrise. “Questo mi fa sentire molto meglio di quanto dovrebbe. Ma non ci credo. Non del tutto, comunque. Che c’è?”

Si allontanò da lui, iniziando a sentirsi in imbarazzo. Prima di voltarsi di nuovo verso di lui, riuscì finalmente a dare una risposta: “Mio padre.”

“Tuo padre? Quello che è appena ricomparso nella tua vita qualche mese fa? Quello che ha passato la maggior parte degli ultimi venti anni in prigione?”

“Già, proprio lui.”

“Pensavo che ne fossi felice, in gran parte.”

“Lo ero. Ma poi è saltato fuori qualcos’altro. E ancora qualcosa. È solo che la pila di stronzate continua a crescere. E l’ultima cosa che ho scoperto... non lo so. Penso di aver bisogno che qualcuno non legato a lui mi dia un’opinione.”

“Magari qualcuno che ha lavorato a stretto contatto con te prima di essere sbattuto in prigione?”

“Magari”, disse, regalandogli un sorriso un po’ troppo civettuolo.

“Beh, ascoltare questa storia sarebbe la cosa più interessante che mi succede da due settimane a questa parte. Quindi, sentiamo.”

Ci vollero alcuni secondi perché Chloe trovasse il coraggio di parlare di una questione così personale, ma sapeva che era necessario farlo. E mentre iniziava a raccontare a Moulton dei continui avvertimenti di Danielle sul padre e delle rivelazioni scoperte nel diario, capì perché si era rifiutata di discuterne con Danielle; avrebbe significato rendersi vulnerabile. E non era uno stato in cui Danielle l’avesse mai vista.

Anche se raccontò tutto a Moulton, tenne per sé alcuni dei dettagli più privati, in particolare per quel che riguardava i ricordi relativi alla morte di sua madre. Invece, tirare fuori tutto il resto fu estremamente utile. Sapeva che, in fondo in fondo, non era altro che una seduta di sfogo. Ad ogni modo, sembrava che le fosse stato tolto un peso dalle spalle.

Aiutava il fatto che Moulton non la mise mai in discussione, né fece espressioni che indicassero i suoi veri sentimenti al riguardo. Sapeva di cosa aveva bisogno; lei aveva solo bisogno di qualcuno che la ascoltasse, qualcuno che magari potesse persino offrire qualche consiglio.

“Suppongo che tu abbia pensato di andare da Johnson” disse quando ebbe finito.

“Sì. Ci ho pensato molto. Ma sai bene quanto me che non si potrebbe fare nulla solo per alcune pagine di diario scritte due decenni fa. Semmai, probabilmente lo metterebbero in allarme. Appena la polizia o l’FBI lo interrogassero, saprebbe che è successo qualcosa.”

“Pensi che scapperebbe?”

“Non lo so. Devi tenere a mente... che non lo conosco molto bene. Ha passato la maggior parte della mia vita in prigione.”

“E tu e tua sorella? Vi sentite al sicuro? Pensi che verrebbe a cercarvi?”

“Ne dubito. Mi vede ancora come sua confidente. Anche se sono sicura che potrebbe immaginare che ci sia un motivo per cui non rispondo alle sue chiamate o ai suoi messaggi. E non gli apro la porta, quando passa a casa mia.”

Moulton annuì, comprensivo. La guardava in un modo che la metteva leggermente a disagio. Era la stessa cosa che gli aveva letto negli occhi un mese prima, quando erano quasi finiti a letto insieme. E, Dio l’aiuti, voleva baciarlo disperatamente in quel momento.

“Sai cosa devi fare”, disse lui. “Non so se sei venuta qui sperando che ti offrissi il mio appoggio, o cosa.”

“Lo so.”

“Allora dillo. Dillo ad alta voce e rendilo reale.”

“Ho bisogno di scoprirlo da sola. Non con un’indagine ufficiale, ma... tenendolo d’occhio, credo.”

“Credi che questo comporti avere contatti con lui?” chiese Moulton. “Magari continuando come al solito, come se fosse tutto come prima che tu leggessi quelle pagine di diario?”

“Non lo so proprio.”

Un breve silenzio calò tra i due, e fu Moulton a porvi fine con un sospiro. “Ci sono un sacco di cose che mi perderò a causa di quello che ho fatto. Troppe cose a cui, onestamente, preferisco non pensare. Ma quello che sto iniziando a rimpiangere veramente è che io e te avremmo potuto essere una coppia fantastica.”

“Sto cercando di non pensarci.”

Lui annuì, la guardò negli occhi e si piegò lentamente verso di lei. Si sentiva attratta da lui come una calamita, poteva persino sentire le proprie labbra cominciare a schiudersi per accettare il suo bacio. Ma all’ultimo momento, Chloe girò la testa.

“Mi dispiace. Non posso. Tutte queste assurdità con mio padre... l’ultima cosa di cui ho bisogno è un rapporto strampalato con un criminale.”

Moulton ridacchiò a quelle parole e posò la testa scherzosamente sulla sua spalla. “Hai ragione”, disse, tirando su la testa e guardandola. “Ma, ehi... chiedo il diritto di poterci provare per primo con te, quando esco da qui.”

“E quanto ci vorrà ancora?”

“Ufficialmente, qualche anno. Ma tra la buona condotta e alcune scappatoie legali... ancora non si può dire con certezza. Potrebbero essere anche solo otto mesi.”

“D’accordo... ti concedo questo diritto.”

“Bene... ecco qualcosa da aspettare con ansia... il che è un bene. Perché questo posto fa schifo. Il cibo, però... è meglio di quanto mi aspettassi.”

Chloe ricordò il motivo per cui le piaceva la sua compagnia. Aveva trasformato senza sforzo l’imbarazzante conversazione su suo padre in qualcos’altro. E l’aveva fatto senza farla sentire un peso.

Rimasero seduti sul divano per altri quindici minuti, mentre Moulton descriveva come era stata la sua vita nelle ultime settimane. Stava prendendo tutto con le pinze e non si faceva scrupoli ad ammettere pienamente la sua colpa e il suo rimorso. Fu un bene per Chloe sentirlo, non solo perché credeva che fosse veramente un brav’uomo in fondo, ma perché dimostrava che la gente era capace di essere onesta.

E visto l’incubo che avvertiva tra lei, Danielle e suo padre, avere davanti un po’ di onestà era estremamente rinfrescante.

Chloe si congedò quaranta minuti dopo essere scesa dall’auto nel parcheggio. Moulton non aveva tentato di baciarla di nuovo, anche se lei segretamente aveva desiderato che lo facesse. Se ne andò sentendosi stranamente soddisfatta, con la sensazione che finalmente stava andando avanti, dopo tre settimane di stagnazione.

Mentre attraversava di nuovo il parcheggio, il suo telefono squillò. Lo afferrò subito. Probabilmente era Danielle, o suo padre. Se si trattava di suo padre, pensò che questa volta avrebbe potuto rispondere e trovare qualche scusa per non aver risposto alle altre chiamate. Immaginò che il padre avrebbe accettato qualsiasi motivazione, dato che era appena riapparso improvvisamente nella sua vita dopo quasi vent’anni.

Ma il numero che vide sul display non era né del padre, né di Danielle. Era una linea del Bureau. Una telefonata di domenica significava sicuramente un lunedì stressante.

“Qui è l’agente Fine.”

“Fine, sono Johnson. Dove si trova in questo momento?”

Dovette trattenere una risatina, prima di rispondere. “In città", disse nel modo più vago possibile.

“Ho bisogno che vada a esaminare una scena del crimine a Falls Church. Sembra proprio rientrare nella sfera delle sue competenze. Omicidio in un quartiere ricco.”

“Oggi?”

“Sì, oggi. Il corpo è stato scoperto venerdì mattina. La polizia ha fatto la sua parte e non è giunta a nulla.”

“C’è solo un corpo?”

“Sì, ma ci serve un agente per assicurarci che non sia collegato ad un caso simile in quella zona l’anno scorso.”

“Signore... crede che Rhodes possa occuparsene da sola? Sto trattando alcune questioni personali.”

Ci fu un breve momento di silenzio dall’altra parte del telefono. “È morto qualcuno? Una persona a lei cara è morta?”

“No, signore.”

Sapeva che Johnson conosceva i più piccoli dettagli sulla storia di suo padre. Si chiese se fosse in silenzio a considerare tutto ciò, in quel momento.

“Spiacente, Fine. Ha passato tre settimane in un ufficio, a fare profiling. La voglio sul campo. Voglio che lei e Rhodes siate entrambe a Falls Church entro tre ore. Due, se riuscite.”

Chloe aprì la bocca per protestare, ma si fermò. Non aveva alcun desiderio di immergersi in un’indagine per omicidio, dato tutto quello che stava affrontando. Ma, allo stesso tempo, sapeva che essere coinvolta in un caso poteva essere esattamente ciò di cui aveva bisogno. Non solo l’avrebbe distratta dal dramma con suo padre, ma avrebbe potuto metterla nello stato d’animo giusto per trovare un modo per farlo cadere.

“Sì, signore. Chiamerò subito Rhodes.”

E così ottenne il suo primo caso attivo dopo tre settimane. Il momento non era il migliore, ma chi era lei per discutere? Alla fine della giornata, era entrata al Bureau per aiutare le persone in difficoltà, per contribuire a dare un senso di giustizia a un sistema criminale di cui non si era mai fidata completamente.

Alla luce di tutto quello che era successo a suo padre nelle ultime settimane, compresi i suoi stessi fraintendimenti su di lui, sembrava quasi appropriato che fosse proprio con quello stato d’animo che salì in macchina e chiamò l’agente Rhodes.




CAPITOLO TRE


Se Rhodes sospettava che Chloe stesse affrontando questioni personali, non ne fece nessun cenno, mentre si recavano a Falls Church. Di fatto, non aveva detto nulla del cambiamento della personalità della partner nelle tre settimane in cui avevano lavorato insieme al progetto di profiling – cercando di ottenere il profilo di un uomo ritenuto a capo di una serie di rapine a mano armata alle banche di New York. Ma Rhodes era una sorta di osso duro e rimase sulle sue. Anche se la loro collaborazione aveva raggiunto un nuovo livello, dopo che Chloe le aveva salvato la vita a seguito di una ferita da arma da fuoco quasi fatale, Rhodes non manifestava alcun segno di voler conoscere Chloe a livello profondamente personale.

E a Chloe andava benissimo.

In realtà, la maggior parte del tragitto da Washington a Falls Church, in Virginia, avvenne in silenzio. Johnson non aveva dato loro molto su cui lavorare; i dettagli sull’omicidio erano praticamente inesistenti. Tutto quello che aveva detto loro era che il vice del posto sarebbe stato sul luogo per aggiornarle al loro arrivo.

La conversazione più significativa che ebbero avvenne appena imboccata l’uscita per Falls Church. “Sai qualcosa di questa città?” chiese Rhodes.

“Qualcosina. Ci vivono per lo più persone dell’alta borghesia, credo. Ma questo quartiere in cui ci stiamo dirigendo, se ricordo bene da un caso che ho studiato all’Accademia, è una di quelle zone che è ricca soprattutto a causa del cosiddetto antico denaro.”

“Ah, intendi persone che sono ricche perché mamma e papà erano ricchi e non sapevano che farsene dei soldi dopo la loro morte.”

“In pratica, sì.”

Rhodes ridacchiò e guardò fuori dal finestrino. “Mi sembra che io e te siamo diventate gli agenti di riferimento per cose come questa. Cioè... tu, comunque. Come ti senti al riguardo?”

Non era una cosa che Chloe aveva preso in considerazione, prima. Si limitò a scrollare le spalle e rispose onestamente: “Credo che tutti abbiano bisogno di una nicchia in cui specializzarsi.”

Rhodes lasciò cadere il discorso. Chloe stava facendo del suo meglio per far capire che non aveva alcun interesse a chiacchierare in quel momento – cercando di comunicarlo senza essere troppo scortese. A quanto pareva, funzionò. Raggiunsero la scena del crimine – una bella casa a due piani in un quartiere benestante – senza un’altra parola tra loro. La maggior parte dei lotti erano in legno o vantavano enormi cortili. Il quartiere stesso era un po’ distante dai quartieri più affollati, lasciando ad ogni casa un po’ di spazio per respirare.

La presenza di una sola auto della polizia nel vialetto sembrava terribilmente fuori luogo. Dava alla residenza un’atmosfera quasi infestata, dopo aver visto tutte le altre case. Era come un difetto nel quartiere.

Parcheggiarono l’auto e salirono fino al portico. La porta era chiusa, così Chloe bussò, non volendo essere presuntuosa semplicemente entrando, quando c’era un agente ad aspettarle. La porta si aprì subito. Il poliziotto sulla soglia sembrava essere sulla trentina. Era ben rasato, dall’aspetto piuttosto semplice, e apparve sorpreso di trovare due donne dall’altra parte della porta.

“Siamo le Agenti Fine e Rhodes”, disse Chloe. “Siamo state mandate a indagare sull’omicidio di Jessie Fairchild.”

L’ufficiale porse la mano e si presentò. “Vice Ed Nolan. Sono incaricato di concludere il caso. Accomodatevi.”

Le fece entrare nell’edificio, e Chloe scoprì che la casa era più grande all’interno di quanto non apparisse all’esterno. L’atrio era grande quasi quanto il soggiorno dell’appartamento di Chloe e i soffitti erano alti almeno tre metri e mezzo. Sembrava che il posto non fosse abitato da molto tempo, suscitando in Chloe un senso di inquietudine.

“Allora, che storia abbiamo qui?” chiese Chloe. “Tutto quello che ci è stato detto è che dobbiamo escludere la connessione con un caso dell’anno scorso.”

“Che caso è?” chiese Nolan.

“Tre morti per strangolamento a una decina di chilometri da qui” disse Rhodes. “Tutte donne, di età compresa tra i quaranta e i sessant’anni.”

“Sì, penso che possiamo escluderlo subito.”

“Come mai?” chiese Chloe.

“Beh, il corpo è stato ovviamente rimosso, ma posso mostrarvi le foto. La signora Fairchild non è stata uccisa per strangolamento, sebbene anche lei sia stata strangolata. Si è trattato più di un taglio alla gola... ma in un modo strano che non avevo mai visto prima.”

Le condusse in cucina e prese una cartellina dal bancone. La usò per indicare le scale e disse: “La donna delle pulizie ha scoperto il corpo nella camera da letto principale, al piano di sopra. È salita lasciando aperto il lavandino di servizio nell’anticamera. Ovviamente si è distratta trovando il corpo, tanto che il lavello è traboccato.”

“Andiamo a dare un’occhiata alla camera da letto, allora”, disse Chloe.

Nolan annuì e assunse il comando. Mentre passavano, Chloe notò che o la donna delle pulizie era eccezionalmente brava nel suo lavoro, o i Fairchild mantenevano la casa pulita per natura.

Il corridoio al piano superiore era imponente quanto il piano inferiore. Una libreria si trovava in fondo al corridoio, incassata nelle pareti. C’erano quattro stanze lungo il corridoio, due delle quali erano camere da letto, la terza un bagno secondario e la quarta uno studio.

Nolan le condusse alla camera da letto principale. Anche se il corpo era stato ovviamente rimosso, Chloe vide che le lenzuola non erano state tolte, dopo l’omicidio.

“La stanza è esattamente com’era quando il corpo è stato scoperto?” chiese Chloe.

“Non abbiamo spostato altro che il corpo”, confermò Nolan.

“Puoi spiegarci i dettagli?”

Lo fece proprio mentre Chloe si guardava intorno nella stanza insieme a Rhodes. Ascoltava ogni dettaglio, cercando di rappresentare tutto nella sua testa, immaginando le scene nella stanza in cui si trovava attualmente.

“Rosa Ramirez, la donna delle pulizie, ha scoperto il corpo verso le undici e mezza del mattino. La polizia è arrivata sulla scena poco prima di mezzogiorno. Facevo parte del gruppo iniziale che ha risposto alla chiamata, così ho potuto vedere di persona tutto ciò che si trova in questo fascicolo. La gola di Jessie Fairchild era stata tagliata, ma in modo molto strano e macabro. Anche se crediamo che ci sia stato uno strangolamento, il taglio è stato fatto con un anello di diamanti molto grande.”

“Ne sei sicuro?”

“Assolutamente sì. La Scientifica lo ha confermato ieri sera tardi. Era ricoperto di sangue e le linee frastagliate della ferita corrispondono al taglio del diamante. Per quanto vale, suo marito non è sicuro se l’anello appartenesse alla moglie.”

“Aspetta”, disse Rhodes. “Non è possibile che un anello con diamante sia abbastanza grande da tagliare così in profondità.”

“Abbiamo pensato la stessa cosa”, disse Nolan. “Ma l’angolazione del taglio ha reciso un’arteria vitale e ha anche perforato la trachea.”

“Qualche movente?” chiese Chloe.

“All’inizio pensavamo che si trattasse di una rapina, o di irruzione in casa. Sono sicuro che avete notato che questo posto è pieno di oggetti di valore.” Indicò l’armadio a muro sul lato sinistro della stanza e aggiunse: “C’è una quantità disgustosa di gioielli, lì dentro. Quando abbiamo parlato con il marito, ha indicato una collana che vale circa trentamila dollari. E non era nemmeno in una cassaforte. Semplicemente era appesa lì, su un vecchio portagioie. Ci sono anche due auto in garage, una delle quali costa circa tre anni del mio stipendio. Una grande piscina sul retro, una vasca idromassaggio degna di una spa. Sarebbe riduttivo dire che i Fairchild fossero ricchi sfondati. E visto che sono nuovi nel quartiere, abbiamo pensato che si trattasse una rapina. Ma non riusciamo a trovare alcuna prova di questo.”

“Non è stato rubato niente?” chiese Chloe.

“Abbiamo chiesto al marito di fare una rapida verifica, ma non ha trovato nulla. Ha detto che non è riuscito a scoprire nulla che possa essere stato portato via. Naturalmente, era sconvolto per il fatto che sua moglie è stata appena uccisa, quindi chissà quanto è stata accurata la sua ricognizione...”

“Hai detto che ritenete ci sia stato comunque uno strangolamento”, disse Rhodes. “Sai con cosa è stata strangolata?”

“Non lo sappiamo per certo, ma pensiamo che si tratti di una stola di volpe, una specie di sciarpa di pelliccia. L’abbiamo trovata nascosta sotto il letto. La Scientifica afferma che sono abbastanza sicuri che le due estremità siano state strette con forza e tirate. Il marito ha anche detto di non ricordare se la moglie l’avesse mai indossata.”

“Cosa ci puoi dire dei Fairchild?” chiese Chloe. Stava camminando verso il letto, guardando le macchie di sangue secche sul lenzuolo.

“Erano nuovi in città. Si sono trasferiti circa cinque settimane fa. Ci sono ancora alcuni scatoloni nel garage che non avevano ancora disimballato. Il marito, Mark, è una specie di pezzo grosso della banca... si occupa di finanze e azioni. Jessie Fairchild si occupava di social media... una specie di influencer per celebrità di serie C. Instagram, Facebook, cose del genere. Si sono trasferiti qui da Boston... il marito ha detto che era perché si stavano stancando del sovraffollamento delle grandi città.”

“Dov’è il marito ora?” chiese Chloe.

“È andato in una baita in montagna con suo fratello. In realtà, è partito stamattina. Ehm... beh, è un relitto. Insomma, la gente affronta la morte in modi diversi, lo so. Ma quest’uomo... l’ho visto accartocciarsi e appassire, capite? È stata la scena peggiore che abbia mai visto.”

“Non ci sono impronte digitali da nessuna parte sulla scena, presumo?” chiese Chloe.

“Nessuna. Abbiamo trovato un solo capello su quella stola di volpe, però. Era biondo, e Jessie Fairchild era una bruna. Lo stanno analizzando in questo momento... dovremmo scoprire presto qualcosa.”

Chloe si prese un momento per assimilare il tutto. Poiché c’era almeno un chiaro indizio di strangolamento, non poteva escludere una connessione con gli omicidi di un anno prima. Ma il taglio con l’anello di diamanti le diceva che era qualcosa di nuovo... qualcosa di diverso. Prese la cartellina e quasi la aprì per iniziare a indagare subito.

“Hai detto che sei responsabile della chiusura del caso?”

“Sì.”

“Possiamo seguirti fino al tuo commissariato? Vorrei preparare una postazione di lavoro.”

“Quindi pensi che sia collegato agli omicidi di strangolamento dell’anno scorso?” chiese Nolan. Era chiaro che non se lo aspettava.

“Non lo so per certo”, disse Chloe. “Ma quello che so è che una donna è morta – che è stata uccisa a casa sua – e attualmente non abbiamo nessuno sotto custodia. Quindi... mettiamoci al lavoro.”

Nolan sorrise per il suo atteggiamento da ‘andiamo a prenderli’. Annuì e si avviò di nuovo verso la porta della camera da letto, dirigendosi verso il corridoio. “Allora cominciamo.”




CAPITOLO QUATTRO


Chloe aprì il fascicolo sull’omicidio di Jessie Fairchild non appena si stabilì al distretto. Nolan aveva dato loro un ufficio che una volta era appartenuto ad un sostituto capo che era stato lasciato a casa a causa dei tagli. Alcuni degli effetti personali dell’ex sostituto capo erano rimasti lì, facendo sentire Chloe fuori posto.

Tuttavia, si mise d’impegno e ripassò le informazioni contenute nel fascicolo. Era colpita da quanto fosse ben assemblato. Apparentemente, il vice Nolan aveva un talento per l’organizzazione e i dettagli.

Oltre al verbale di polizia di base, che includeva tutto ciò che Nolan aveva già detto loro nella casa dei Fairchild, c’erano diverse foto del cadavere di Jessie Fairchild. Era completamente vestita, sul letto. La sua testa era inclinata a sinistra, gli occhi aperti che fissavano in direzione della pozza di sangue che le si era raccolto intorno alla testa. La caratteristica più evidente del suo corpo, tuttavia, era la lacerazione irregolare al centro del collo.

Le foto dovevano essere state scattate entro alcune ore dall’omicidio, perché la maggior parte del sangue era ancora bagnato. Poteva vedere dove stava cominciando a coagulare, ma era ancora per lo più fresco. Il taglio stesso era piuttosto brutale. Era frastagliato e orripilante, una linea retta che sembrava quasi fosse stata segata nella carne. Chloe poteva anche vedere segni molto lievi di qualcosa che le era stato avvolto intorno al collo, anche se era difficile da dire con certezza, dalle foto. Senza vedere il corpo, avrebbe dovuto credere alle parole del team della Scientifica. Ma se quello che aveva davanti era davvero il punto dove qualcosa le era stato avvolto intorno al collo, si allineava perfettamente con la stola di volpe che aveva visto in una delle altre foto.

Vide anche una foto dell’anello di diamanti che era stato usato per fare il taglio. Era appoggiato sul comodino; l’assassino non aveva fatto alcun tentativo di pulirlo o nasconderlo. Per quanto riguardava Chloe, il killer cercava di mandare un messaggio.

Ma quale messaggio?

“L’anello mi lascia perplessa”, disse Rhodes. “Perché metterlo proprio lì sul comodino? Si sta vantando? Forse sta tentando di dirci qualcosa?”

“Mi chiedevo la stessa cosa. Mi chiedo se l’anello abbia un significato speciale. Perché quell’anello. Sembra uno di quegli anelli due in uno, per fidanzamento e matrimonio.”

“Sembra anche costoso da paura”, aggiunse Rhodes.

“Deve essere in qualche modo simbolico. Non si mette accidentalmente un anello di diamanti imbevuto di sangue su un comodino, dopo averlo usato per uccidere qualcuno.”

“Quindi pensi che sia l’assassino che cerca di dirci qualcosa?”

“Potrebbe essere. Potrebbe anche...”

Fu interrotta dallo squillo del cellulare. Lo tirò fuori, supponendo che fosse Johnson che voleva assicurarsi che fossero arrivate. Ma quando vide PAPÀ campeggiare sullo schermo, si fece una smorfia. Una fiammata di rabbia la attraversò, lasciando frammenti di paura nella sua scia.

Ignorò la chiamata e mise il telefono a faccia in giù sulla scrivania. Quando tornò con l’attenzione alla cartellina di fronte a lei, le fu difficile riprendere il ragionamento.

“Stai bene?” chiese Rhodes.

“Sì, perché?”

“Beh, hai appena guardato il tuo telefono come se ti avesse dato della troia o qualcosa del genere.”

Chloe scrollò le spalle, detestando quella sensazione di passività. “Solo roba personale.”

Rhodes annuì, chiaramente non volendo approfondire. “Sì, le questioni personali possono sicuramente fare schifo.”

Mentre Chloe continuava a cercare di focalizzarsi sul dossier, ci fu un colpo alla porta. Quando si aprì, vide il viso del vice Nolan che sbirciava all’interno. Quando la aprì di più, Chloe vide un altro uomo dietro di lui. Sembrava molto più vecchio e portava grossi baffi grigi che le ricordavano quelli di un tricheco.

“Agenti”, disse Nolan, “Questo è il comandante Clifton".

Clifton entrò in ufficio e le guardò entrambe, facendo un cenno di ringraziamento. Guardò il dossier, attualmente aperto sulla scrivania a rivelare una delle foto del taglio cruento lungo il collo di Jessie Fairchild, e volse rapidamente lo sguardo altrove.

Chloe e Rhodes fecero una rapida serie di presentazioni, mentre Nolan entrava dietro il capo Clifton, chiudendo la porta dietro di sé.

“L’agente Nolan è riuscito a procurarvi tutto ciò di cui avevate bisogno?” chiese Clifton.

“Assolutamente”, rispose Chloe. “È stato molto disponibile.”

“C’è qualcos’altro che possiamo procurarvi?”

“Beh, dato che era una casa così grande, presumo che ci fosse un sistema di sicurezza. Ci sono prove di questo?”

“Sì, in effetti” disse Nolan. “Il marito ci ha dato il codice in modo da poterlo resettare dopo aver lasciato la casa.”

“E non ha mai ricevuto alcun tipo di avviso che l’allarme fosse scattato?”

“Nessuno.”

“Possiamo avere una sorta di resoconto su questo?” chiese Rhodes.

Nolan e Clifton annuirono all’unisono. “Mi metterò in contatto con la società di sicurezza”, disse Nolan.

“Inoltre, ovviamente vorremmo parlare con il marito”, disse Chloe. “Vicesceriffo, ha detto che era in montagna da qualche parte con suo fratello, giusto? Ha qualche idea su quando tornerà?”

“Non ne ho idea. Non l’ha detto.”

“Vorrei davvero che rimanesse qui, in città.”

“Sospettate di lui?”

“Non necessariamente. Ma è l’uomo più vicino alla vittima.” Non usò un tono accusatorio, anche se trovava irresponsabile che la polizia avesse semplicemente permesso al marito di andarsene.

“Lo chiamo al telefono. In realtà potrebbe essere molto disponibile. Se sa che l’FBI si occupa di questo caso e che ciò aiuterà a catturare l’assassino, penso che potrebbe venire qui piuttosto velocemente.”

“Un’ultima cosa”, disse Chloe. “So che hai detto che i Fairchild sono nuovi della zona. Ma uno di voi due sa se Jessie Fairchild avesse dei nemici? Avete ricevuto chiamate o lamentele su di lei e suo marito, o forse da parte loro su qualcun altro?”

“No, niente del genere”, disse Clifton. “Ma quel quartiere... diavolo, quell’intera area... è una specie di casino. Riceviamo chiamate di tanto in tanto. Mogli gelose che cercano di sorprendere i mariti in relazioni che non esistono, proprietari di case spocchiose che cercano di mettere in difficoltà i vicini di casa perché il loro cane caga nel giardino. La gente in quel quartiere ha un’eccessiva autostima.”

“Mi scusi se lo chiedo, ma perché ce lo sta dicendo?” chiese Rhodes.

“Perché, anche se non mi permetto di dire che Jessie Fairchild avesse nemici, posso quasi garantirvi che nel quartiere c’erano donne quanto meno invidiose. È un quartiere molto brutto. So che non è la cosa migliore da dire per un capo della polizia, ma è la triste verità.”

“Beh, questo può significare che potenzialmente c’è un ampio bacino di potenziali sospetti”, commentò Chloe. “Se si tratta di donne del genere che sta insinuando, ci potrebbero essere un bel po’ di pettegolezzi. Forse sanno già alcune cose e possono indirizzarci nella giusta direzione.”

Clifton ridacchiò sotto i baffi e scrollò le spalle. “Allora auguri.”

Chloe capiva il suo punto di vista, ma era infastidita dall’inutilità del commento. “Per ora, vorrei un recapito per contattare la donna delle pulizie che ha scoperto il corpo.”

“Le abbiamo già parlato a lungo”, disse Clifton. “Potete dare un’occhiata ai nostri appunti.” Non era necessariamente sulla difensiva, ma voleva assicurarsi che lei sapesse che non erano del tutto inetti. Si chiese se ciò avesse qualcosa a che fare con il fatto che si era reso conto che probabilmente non avrebbero dovuto lasciare che il marito lasciasse la città così presto dopo l’omicidio.

“Comunque, penso che mi piacerebbe parlare con lei personalmente.”

Clifton incrociò le braccia, ma annuì. “Farò in modo che riceviate subito quell’informazione”, disse. Sorrise rapidamente prima di dire: “È stato un piacere conoscervi, agenti.” Con ciò, aprì la porta e uscì.

Nolan fece una smorfia e disse: “A volte si comporta così. Soprattutto le poche volte che abbiamo lavorato con il Bureau o altre agenzie esterne. Ha manie di controllo... che rimanga tra noi tre.”

Chloe mimò il gesto di chiudersi una zip sulle labbra. “Ho capito. Ora... se riusciamo ad avere il recapito della donna delle pulizie, vorrei incontrarla prima che sia troppo tardi.”




CAPITOLO CINQUE


Rosa Ramirez viveva in un appartamento proprio all’angolo più bello del quartiere nel centro della città. Quando ricevette la telefonata di Nolan, sembrava piuttosto impaziente di aiutare Chloe e Rhodes. Quando arrivarono al suo appartamento alle 16:30, era chiaro che avesse sistemato casa appositamente per loro. Aveva persino del caffè e dei biscotti disposti sul tavolino come spuntino.

“Signora Ramirez” disse Chloe, “Da quanto tempo lavora per i Fairchild? A quanto ho capito, si trovavano in città solo da circa cinque settimane.”

“Esatto. Ho risposto a un annuncio che ho visto online. È stato circa una settimana prima che si trasferissero qui. Volevano tutto pronto e organizzato per quando si fossero trasferiti qui. Questo includeva anche una donna delle pulizie. Sono anche intervenuta per aiutarli a disimballare alcune delle loro cose.”

“Sembravano grati per l’aiuto?”

“Sì. Era chiaro che non fossero esattamente abituati a persone così disposte a dare una mano.”

Chloe prese il caffè, anche se di solito cercava di limitare l’assunzione di caffeina. Voleva che Rosa si sentisse a suo agio; un testimone a proprio agio era spesso più incline a rivelare verità che non si rendeva nemmeno conto di conoscere.

“Ci sono mai stati litigi tra lei e i Fairchild?” chiese Rhodes.

“No, neanche una volta. Davvero, ho persino chiesto un prezzo un po’ più alto di quello che normalmente chiedo e non hanno nemmeno trattato la tariffa. Nessuno dei due mi ha mai rivolto una parola negativa o poco gentile.”

“Che cosa ci dice di loro due?” chiese Chloe. “Li hai mai visti litigare?”

“No. Ho provato a pensarci io stessa, ma non mi viene in mente una sola occasione. Ora, tenete presente che nelle cinque settimane in cui ho lavorato per loro, li ho visti insieme solo due volte. Mark di solito era fuori per lavoro.”

“Ha idea di dove andasse in questi viaggi d’affari?”

“Dappertutto. Ma penso che fosse principalmente sulla costa orientale. Boston, Washington DC, New York.”

“Sa se Jessie ce l’avesse con lui per questo?”

“Se così fosse, lo nascondeva bene. Si teneva occupata. Molto occupata. Non credo si concedesse il tempo per notare che suo marito non c’era.”

“Occupata in che modo?” chiese Rhodes.

“Beh, il quartiere in cui vivono è pieno di persone di spicco. O, se devo essere sincera, persone che si credono importanti. Jessie stava già cercando di trovare il suo posto sulla scena. Bazzicava un po’ in tutti i circoli sociali... club di giardinaggio, raccolte fondi, e cercava di aiutare ad organizzare eventi di gala locali, questo genere di cose.”

“Si è iscritta ufficialmente a qualcuno di essi?”

“Non che io sappia.”

“Signora Ramirez, sono certa che capirà che devo chiederle dove si trovava nella prima parte della giornata in cui ha scoperto il corpo di Jessie Fairchild.”

“Sì, lo so,” disse, facendo un sospiro. “Era venerdì. E il venerdì, mi prendo la mattina libera. A volte dormo fino a tardi e mi guardo qualche telefilm. Altre volte, faccio delle commissioni. Ma lo scorso venerdì ero in biblioteca per parte della mattinata.”

“L’ha vista qualcuno? C’è qualcuno che può confermarlo?”

“Sì. Stavo svuotando alcuni dei miei vecchi scatoloni in magazzino. Ho donato un sacco di vecchi libri tascabili agli Amici della Biblioteca. Li ho caricati su uno dei carrelli della biblioteca e ho persino aiutato l’assistente bibliotecario a metterli a posto.”

“Quindi si ricorda che ora poteva essere?”

“Certo. Sono arrivata lì poco dopo le dieci e mezza, credo. Sono uscita verso le undici o poco dopo. Poi sono andata a casa dei Fairchild.”

“Si è fermata da qualche parte, lungo la strada?”

“Sì. Mi sono fermata da Wendy’s per il pranzo.”

“E quando è arrivata a casa... non ha notato niente di strano o fuori dall’ordinario?”

“Niente di niente. La prima cosa strana che ho visto è stata Jessie, sul letto con indosso i suoi abiti da corsa.”

“Ci è stato riferito dalla polizia che suo marito era qui in città... non era via per lavoro. Sa se è vero?”

“Credo di sì. Di solito mi informano quando Mark è fuori. Ma, per quanto ne so, era nell’ufficio locale, venerdì. Sono arrivata verso le undici e mezza... il che significa che probabilmente era già andato via tre o quattro ore prima del mio arrivo.”

“Signora Ramirez", disse Rhodes, “Ritiene che ci sia qualche possibilità che Mark possa averla uccisa?”

Rosa scosse la testa con sicurezza. “No. Voglio dire, so che nulla è impossibile, ma ne dubito davvero. È un brav’uomo. E molto divertente e gentile con lei. Sono entrambi sulla cinquantina... e sono il tipo di coppia che si tiene ancora per mano. L’ho anche visto darle una pacca scherzosa sul sedere una volta, come due giovani sposi. Sembravano molto felici.”

Chloe elaborò il tutto nella sua mente. Era sicura che Rosa non avesse nulla a che fare con l’omicidio di Jessie Fairchild. Avrebbe chiesto alla polizia locale di verificare gli alibi che aveva appena fornito, ma sentiva che sarebbe stata fatica sprecata.

“Grazie per il suo tempo”, disse Chloe, finendo il suo caffè con una lunga sorsata. Diede a Rosa uno dei suoi biglietti da visita mentre si dirigeva verso la porta. “Per favore, mi contatti se le viene in mente qualcos’altro.”

Rosa annuì mentre le accompagnava alla porta. “C’è una cosa che mi viene in mente, in effetti.”

“Di che cosa si tratta?”

“L’anello sul comodino... quello che le ha tagliato il collo. Non aveva senso che fosse lì. Jessie era una specie di maniaca dell’ordine – ecco perché aveva una governante nonostante tenesse la casa per lo più pulita. Non ho mai visto gioielli fuori posto.”

Chloe annuì, perché anche lei era rimasta colpita da quel dettaglio. Il fatto che l’anello fosse lì non solo era una sorta di messaggio da parte dell’assassino, ma dimostrava anche che l’omicidio non era probabilmente legato alla ricchezza o a una rapina malriuscita. L’anello era costoso ed era stato usato solo come semplice arma del delitto. Anche se ad un certo punto l’assassino l’aveva avuto tra le mani, non aveva mai avuto interesse a rubarlo.

E questo fatto in sé la diceva lunga sull’assassino.

Adesso, pensò Chloe, tutto ciò che devo fare è tradurre il messaggio dell’assassino.




CAPITOLO SEI


Erano le cinque passate quando Chloe e Rhodes lasciarono l’appartamento di Rosa. Si trovava a soli quaranta minuti di macchina da Washington. Chloe lo considerava un grande vantaggio, in quanto eliminava la necessità di effettuare il check-in in un motel. Lo svantaggio era che non si capiva quando fosse il momento di dichiarare conclusa la giornata. “Dovremmo andare in biblioteca a controllare l’alibi di Rosa?” Rhodes domandò mentre Chloe usciva dal parcheggio del complesso residenziale.

“Ci ho pensato, ma è domenica pomeriggio. Non credo che la biblioteca sia aperta. Stavo pensando che mi piacerebbe sapere da dove viene quell’anello. Vediamo se riusciamo a capire chi l’ha indossato l’ultima volta. Se il marito non crede nemmeno che appartenesse alla moglie...”

Rhodes aprì la bocca per rispondere, ma il trillo del cellulare di Chloe la fermò. Chloe rispose subito, sperando di avere una pista in quella che si preannunciava una domenica pomeriggio lenta e inutile.

“Sono l’agente Fine.”

“Agente Fine, sono il vice Nolan. Pensavo che volessi sapere che sono riuscito a mettermi in contatto con Mark Fairchild, il marito. Dovrebbe venire alla centrale verso le otto di stasera. Lui e suo fratello stanno tornando a casa per occuparsi dei preparativi per il funerale, delle pratiche assicurative e di cose del genere.”

“E sa che l’FBI sta indagando sul caso, ora?”

“Sì. Sembrava contento e ansioso di parlare con voi.”

“Ci vediamo alle nove, allora”, disse Chloe, mettendo fine alla chiamata esattamente come sperava: con un’altra fonte di informazioni in lista. Quando le informazioni venivano da te, piuttosto che doverle inseguire, tendevano a rendere il caso facile e veloce.

Chloe sperava solo che le cose continuassero a quel ritmo.



***



Dalla prima occhiata era chiaro che Mark Fairchild non dormisse bene. A giudicare dal solo aspetto, Chloe era disposta a scommettere che non avesse chiuso occhio da quando gli era stato detto che sua moglie era stata uccisa. Aveva delle occhiaie intorno agli occhi – occhi che sembravano non vedere nulla, mentre si guardava rapidamente intorno nella piccola sala riunioni, come se cercasse di assorbire tutto. I suoi capelli erano arruffati e una sottile peluria gli copriva la metà inferiore del viso.

Tuttavia, sembrava concentrato e determinato. Era seduto in parte ingobbito su una sedia, con in mano una tazza di caffè che gli aveva dato Nolan, ma senza sorseggiarla. Suo fratello era in piedi nell’angolo, con lo stesso sguardo stanco, ma vegliando attentamente sul fratello afflitto dal dolore.

Chloe sapeva che la conversazione in arrivo poteva risultare difficile. Le persone in lutto che erano palesemente stanche, ancora impegnate ad affrontare l’idea della loro recente perdita, potevano essere instabili. Potevano parlare all’infinito, spesso in cerchio, o perdere il controllo delle proprie emozioni in pochi secondi. Quindi sapeva che avrebbe dovuto scegliere attentamente le domande principali, dandogli la sensazione di avere il controllo della situazione.

“Signor Fairchild, vorrei che ripercorresse insieme a me quel venerdì mattina. Includa ogni dettaglio possibile, per quanto piccolo o banale possa essere.”

Annuì, ma sembrava chiaramente a disagio. “Tutto”, disse con un sorriso assonnato che sembrava piuttosto forzato. “Ebbene... la mia sveglia è suonata per andare lavoro. Ho premuto il tasto snooze e quando l’ho fatto, Jessie si è avvicinata me e si è rannicchiata... è una specie di tradizione che abbiamo da quando uscivamo insieme. Era venerdì ed era stata una buona settimana per entrambi, così le coccole hanno portato al sesso. Le piaceva farlo la mattina; non era proprio niente di strano.”

Chloe si sentiva a disagio mentre osservava il volto dell’uomo attraversato da diverse emozioni mentre ricordava l’inizio della mattinata. Gli concesse un momento di pausa, accertandosi che fosse in grado di proseguire.

“Così mi sono infilato sotto la doccia mentre lei rispondeva ad alcune e–mail di lavoro. Sono uscito dalla doccia e lei si stava lavando i denti. Abbiamo parlato un po’. Mentre mi vestivo per il lavoro, Jessie si è messa i suoi abiti da corsa, gli stessi che aveva quando...”

Lasciò la frase in sospeso, facendo un respiro profondo. Guardò il fratello, che fece un cenno incoraggiante a Mark. Mark ricambiò il cenno e poi ricominciò, con la voce un po’ tremolante.

“Siamo scesi di sotto. Lei ha bevuto un frullato e io una tazza di caffè. Non beveva mai caffè prima di correre. Diceva che le metteva in subbuglio lo stomaco. Mi ha accompagnato alla porta, me lo ricordo. Lo fa spesso, solo per salutarmi con un bacio. Stava armeggiando con i suoi auricolari Bluetooth, preparando uno dei podcast che seguiva in modo da poterlo ascoltare mentre correva. Ci siamo baciati, sono salito in macchina, e questo è tutto. Quella è stata l’ultima volta che l’ho vista viva.”

“A che ora pensa di aver lasciato la casa?” chiese Chloe.

“Non so l’ora esatta, ma era approssimativamente tra le sette e cinquantacinque e le otto e cinque, direi. Sicuramente non più tardi.”

“Quindi ci troviamo di fronte a una finestra temporale di tre ore e mezza”, disse Rhodes.

“Signor Fairchild, lei e sua moglie vi eravate già fatti degli amici? Qualcuno è venuto a trovarvi a casa qualche volta, da quando vi siete trasferiti?”

“No. Solo conoscenti. Ci sono state persone in casa, certo. Quando una nuova famiglia si trasferisce nel quartiere, i vicini si presentano con torte, biscotti e cose del genere, avete presente? Ma credo che l’unica persona che abbia mai messo piede in casa non per darci il benvenuto nel quartiere sia stata la governante. Oh, e l’idraulico. Abbiamo avuto un problema con il tritarifiuti la prima settimana.”

“Vorrei anche parlare dell’anello trovato sul comodino”, disse Chloe. “Mi pare di capire che non può confermare se appartenesse o meno a sua moglie?”

“Esatto. Non sembrava familiare, ma non è insolito. Jessie non ha mai indossato gioielli... solo la sua fede nuziale. Può sembrare sciocco, perché l’armadio è pieno di gioielli. Ma Jessie collezionava gioielli, così come alcune donne impazziscono per le scarpe o le borse. Quando sua madre morì sei o sette anni fa, Jessie ricevette tutti i gioielli appartenuti a lei. Collane, anelli, orecchini dall’aspetto orribile. Ma è come se avesse acceso una passione in lei. Così ha iniziato a collezionare quel genere di cose.”

“Ricorda quanti anelli ha ricevuto Jessie da sua madre?”

“No. Ricordo che la maggior parte dei gioielli era in una cassetta di sicurezza. Una parte, comunque. So che ha ricevuto una piccola scatola con alcune collane e anelli. Ci dovevano essere almeno dieci anelli, in quella scatola.”

“Quindi si potrebbe dire che c’è una discreta possibilità che l’anello trovato sulla scena fosse uno di quelli di sua madre.”

“Probabilmente. Ma è questo il fatto... li teneva nell’armadio. Chiunque sia stato...”

Si interruppe, come se la sola menzione di ciò che era stato fatto con l’anello lo avesse bloccato. Trattenne il respiro e scosse la testa, determinato ad andare avanti.

“Chiunque sia stato”, continuò, “Deve aver saputo dove cercarlo.”

“Oppure semplicemente ha avuto fortuna e ha capito dove tenevate i gioielli costosi.”

“Giusto”, disse Mark.

“E durante la settimana, nei giorni precedenti il venerdì... c’era qualcosa di particolarmente strano in sua moglie?”

“No. Me lo sono chiesto anch’io... se mi sia sfuggito qualcosa. Ma giuro... sembrava assolutamente normale.”

“Sappiamo che Jessie aveva iniziato a cercare di farsi coinvolgere in gruppi e organizzazioni locali”, disse Rhodes. “Per caso sa quali?”

“Parlava molto del Kid’s Cove, un’organizzazione no–profit che raccoglie fondi per i bambini che hanno difficoltà a pagare la mensa scolastica e cose del genere. Ce n’era un altro... un club di giardinaggio o qualcosa del genere. Sono abbastanza sicuro di sapere dove tenesse nomi e i numeri di tutte quelle persone, se volete vederli.”

“Ne abbiamo già una copia”, disse Nolan.

Mark annuì, stringendo gli occhi. “È vero. Vi giuro... questi ultimi tre giorni sembrano confondersi tutti insieme.”

“È comprensibile”, disse Chloe. “Signor Fairchild, grazie per il suo tempo. Per favore... vada a casa e si riposi un po’. E le chiedo di rimanere in città nel prossimo futuro, nel caso avessimo altre domande.”

“Certamente.”

Si alzò e salutò con un debole cenno della mano, mentre insieme al fratello usciva dalla stanza. Nolan li seguì fuori, chiudendo la porta dietro di sé.

“Cosa ne pensi?” Rhodes chiese a Chloe quando furono di nuovo sole.

“Penso che, se anche Mark Fairchild avesse qualcosa da dirci, probabilmente non se ne ricorderebbe. Penso che abbia detto la verità su quella mattina, però. Le guance arrossate quando ha parlato del sesso e quelle pause che ha fatto... stava letteralmente trattenendo le lacrime, cercando di non scoppiare in singhiozzi.”

“Sì, l’ho notato anch’io.”

“Eppure, il quadro è interessante, vero? Una nuova coppia di ricchi arriva in città. Il marito ha un lavoro che li mantiene saldamente nel ceto alto. E sembrano essere presi di mira subito... meno di cinque settimane dopo essersi trasferiti.”

“Credi che scappassero da qualcosa?” chiese Rhodes. “Pensi che si siano trasferiti a Falls Church per scappare da qualcosa a Boston?”

“Potrebbe essere. Mi piacerebbe sapere il più possibile sul suo lavoro. Magari potrei dare un’occhiata alle informazioni finanziarie e ai precedenti penali dei Fairchild. Potrei anche parlare con il datore di lavoro di Mark, se necessario.”

“E credo che dovremmo controllare anche la società di sicurezza”, disse Rhodes. “Trovo strano che non sia scattato alcun allarme. Mi fa pensare che Jessie Fairchild abbia lasciato entrare volontariamente la persona che l’ha uccisa.”

Mentre rimuginavano su tutto questo, la porta della sala conferenze si aprì e Nolan rientrò. Sembrava esausto per essere stato in presenza di un uomo che aveva avuto il cuore spezzato e afflitto.

“Nolan, cosa sappiamo del lavoro del signor Fairchild? chiese Chloe.

“È un normale broker. Da quello che mi ha detto, ha semplicemente avuto fortuna con alcuni affari all’inizio della sua carriera. Questo lo ha portato ad alcuni clienti di alto profilo, che sono rimasti molto soddisfatti di lui. È stato piuttosto umile al riguardo, ma ci ha confidato che l’anno scorso ha guadagnato poco più di sei milioni di dollari.”

“Ed è tutto in salita?”

“Per quanto ne sappiamo, sì. Non abbiamo ancora fatto un controllo approfondito sulla sua situazione finanziaria o sulla sua dichiarazione dei redditi dell’anno scorso. Gli abbiamo detto che si potrebbe arrivare a questo prima della risoluzione del caso. Sembrava un po’ offeso, ma ci ha dato il suo benestare. Ci ha anche fornito alcuni numeri per chiamare il suo posto di lavoro, se abbiamo bisogno di aiuto.”

“Quindi, in altre parole, non nasconde nulla quando si tratta di soldi.”

“Esatto. Pulito come un specchio, da quello che possiamo dire. Ma probabilmente chiamerò comunque alcuni dei numeri che ha dato, solo per sicurezza.”

“Non ho visto nemmeno alcuna traccia di precedenti penali, nel vostro fascicolo”, aggiunse Rhodes.

“Esatto. Entrambi i Fairchild hanno la fedina pulita. Non c’è niente. Nemmeno una multa per eccesso di velocità.”

Chloe guardò la cartellina sul tavolo di fronte a lei, nascondendo un cipiglio. È vero, il caso sembrava già allontanarsi da quello dell’anno prima, il caso delle morti per strangolamento. Ma c’era ancora una morte che era rimasta irrisolta.

Fissava la cartellina, come spronandola a darle le risposte che cercava. Aveva sostanzialmente memorizzato quello che c’era scritto al suo interno; raccontava la storia dell’omicidio di Jessie Fairchild con moduli, rapporti, appunti e foto della scena del crimine.

E per ora, il finale della storia sembrava completamente aperto.




CAPITOLO SETTE


Chloe aveva dimenticato quanto fosse utile andare in macchina con un partner. Partirono da Falls Church alle 20:42 di quella sera e tornarono a Washington, ma sfruttarono quei quaranta minuti. Prima ancora di essere fuori da Falls Church, Rhodes era riuscita a contattare al telefono un manager della Intel Security. Intel era il marchio del sistema di sicurezza che i Fairchild avevano installato nella loro proprietà. Chloe ascoltò la conversazione mentre guidava nella notte.

Sorrideva di tanto in tanto, rendendosi conto di quanto fosse brava Rhodes quando si trattava di trattare con le persone. Chloe aveva notato come Rhodes facesse domande durante le indagini solo quando ne aveva una buona. Non era tipa da sparare domande a raffica sperando che almeno una fosse decisiva. Anche al telefono con la Intel Security si stava comportando allo stesso modo. Era educata e cordiale, ma non girava intorno a quello che voleva sapere. Ma per Chloe era difficile tenere il passo con la conversazione, poiché poteva sentire solo i concisi commenti di Rhodes.

Alcuni minuti dopo, quando la telefonata era finita, Rhodes la aggiornò. In quel momento, Chloe realizzò un altro dei punti di forza di Rhodes. Era bravissima a prendere appunti e spesso non ne aveva nemmeno bisogno. La sua mente era come una cassetta di sicurezza, quando si trattava di dettagli.

“Ok, allora, il signore con cui ho parlato ha detto che non ci sono segni che l’allarme sia scattato, lo scorso venerdì mattina”, disse Rhodes. “Ha anche recuperato la cronologia e ha detto che l’allarme non è mai stato disattivato da uno dei coniugi Fairchild.”

“Ti ha fornito dettagli su come funziona?”

“Sì. L’allarme scatta quando la porta viene aperta con la forza. L’apertura con una chiave disinserisce automaticamente l’allarme. Anche quando la porta viene aperta dall’interno, viene disattivato. L’unica cosa che può far scattare l’allarme a parte la forzatura della serratura è se la porta viene lasciata aperta per più di venti secondi.”

“Nelle poche settimane in cui sono stati lì, ci sono state occasioni in cui l’allarme è scattato?”

“Ha detto che c’erano due annotazioni per il loro account. Entrambe risalgono alla prima settimana in cui hanno vissuto lì. L’Intel fa una telefonata di cortesia quando scattano gli allarmi. Per entrambe le chiamate, Mark Fairchild ha detto di aver dimenticato di chiudere del tutto la porta mentre portavano dentro scatoloni e mobili durante il trasloco.”

“E le finestre? L’allarme funziona anche per le finestre?”

“Secondo quanto mi è stato appena detto, ogni volta che una finestra viene aperta dall’esterno, il sistema deve essere disattivato. Hanno fatto l’esempio delle pulizie di primavera, quando si puliscono finestre e telai dentro e fuori. Se qualcuno ha in programma di fare questo tipo di pulizie, dovrebbe prima spegnere l’allarme.”

“Ma dicevi che non ci sono stati allarmi sospetti nel corso dell’ultima settimana, giusto?”

“Neanche uno.”

“Quindi, in altre parole,” disse Chloe, “Chiunque abbia ucciso Jessie Fairchild non ha fatto irruzione. È stato lasciato entrare.”

“Così sembra.”

Nell’auto calò il silenzio, mentre entrambe meditavano su quel punto. Chloe sapeva da dove avrebbero dovuto iniziare a indagare. Finora, tutto quello che sapevano veramente di Jessie Fairchild era che da quando lei e Mark si erano trasferiti a Falls Church, aveva cercato di scoprire come essere coinvolta in gruppi e organizzazioni locali. Essendo nuovi in città, né lei né Mark avevano dei veri amici, e questo significava che la maggior parte delle persone con cui avrebbero parlato sarebbe stata inaffidabile.

Ma pensava anche a una domanda che era emersa prima. I Fairchild avevano forse lasciato la loro casa a Boston perché stavano scappando da qualcosa? Se le indagini avessero finito per portare le indagini sulla vita dei Fairchild a Boston, quel caso di omicidio apparentemente semplice avrebbe potuto diventare molto più complicato.

“Nessun amico, nessun parente vicino”, disse ad alta voce Rhodes mentre si avvicinavano a Washington. “Una sorella a Boston, entrambi i genitori deceduti. Se questa cosa ci porta a Boston...”

Chloe sorrise, contenta di come stessero iniziando a seguire la stessa linea di ragionamento, alla stessa velocità. “Beh, non c’era da qualche parte nel dossier un appunto su un parente di Mark? Qualcuno che vive appena fuori Falls Church?”

“Sì, suo zio. Ma da quello che ho capito, è in viaggio. In vacanza, credo.”

Aveva risposto con una sorta di nonchalance che fece pensare a Chloe che Rhodes la pensasse come lei su quella potenziale pista, ovvero che non avrebbe portato a molto.

Avvicinandosi a casa, Chloe si permise lentamente di scivolare in pensieri più personali. Prese in seria considerazione di chiamare Danielle per scusarsi per il proprio comportamento del giorno prima. Ma conversazioni del genere con Danielle, solitamente, si trasformavano in una discussione piuttosto lunga, e non aveva la giusta resistenza in quel momento.

Tornarono alla sede del Bureau, ognuna riprese la propria auto, e si separarono. Chloe ripensò ancora una volta a Danielle, prima di andarsene; pensò addirittura di andare nella sua nuova casa, un appartamento che aveva preso in affitto a soli venti minuti da dove era prima, così che il suo ex fidanzato non avesse idea di dove abitasse.

Alla fine, decise di non farlo. Sapeva che le cose tra lei e Danielle sarebbero tornate posto: a volte, ci voleva solo un po’ di tempo in più per permettere ad entrambe di calmarsi. Eppure... aveva un’ora prima di doversi ritirare per la notte. E con la situazione a un punto morto nel caso Fairchild fino al mattino, c’era un’altra cosa da fare che le veniva in mente. Quel pensiero sembrò agitarle lo stomaco, dandole una leggera nausea, ma la spinta c’era e agì quasi immediatamente.

Si mise in strada e puntò la macchina verso l’appartamento di suo padre.



***



Non aveva alcuna intenzione di vederlo, figuriamoci parlare con lui. Ma aveva bisogno di dimostrare a se stessa di essere in grado anche solo di passare davanti a casa sua. A un certo punto doveva succedere se voleva tenerlo d’occhio, perciò tanto valeva che superasse quanto prima il nervosismo.

L’appartamento si trovava a meno di mezz’ora dalla sede del Bureau, e a meno di venti minuti dall’appartamento di Chloe, in direzione opposta. Erano le 22:08 quando entrò nel parcheggio. Più che un appartamento, sembrava una casa a schiera... di quelle che erano direttamente collegate una all’altra, in stile complesso residenziale. Sapeva che l’auto di suo padre, una Ford Focus, era parcheggiata proprio davanti a casa sua. Una luce era accesa, visibile attraverso la finestra principale.

Si fermò senza parcheggiare, guardando quella luce e domandandosi cosa stesse facendo. Stava solo guardando la TV? Magari leggeva? Si chiese se, quando spegneva la luce e si preparava per andare a letto, le visioni del suo passato inondassero la sua mente... le figlie, la moglie morta. Si chiese se la tortura e il tormento che aveva loro inflitto lo tenessero sveglio certe notti.

Di certo lo sperava.

La rabbia cominciò a montarle dentro. La attraversò rapida, calda come un veleno iniettato, fino a quando si accorse che le sue mani stringevano il volante così forte da far sbiancare le nocche.

Forse dovrei semplicemente andare là dentro adesso, pensò. Dovrei bussare alla sua porta e tirare tutto fuori. Fargli sapere che so cosa ha fatto... che ho letto il diario della mamma...

L’idea era abbastanza allettante da farle sembrare che il cuore potesse esploderle nel petto. Una piacevole scarica di adrenalina le si riversò nelle vene, mentre la prendeva in considerazione.

Ma, naturalmente, non poteva andarci. Non ancora...

Chloe cercò il parcheggio vuoto più vicino e lo usò per fare inversione. Si diresse verso casa, accorgendosi soltanto al primo semaforo di avere ancora il volante in una stretta mortale.




CAPITOLO OTTO


Danielle si rese conto che, una volta conclusa la sua ultima relazione, si ritrovava di nuovo disoccupata. Il lavoro come barista e il sogno troppo–bello–per–essere–vero di aprire il proprio locale erano stati sufficienti a farle vivere la vita per alcuni mesi come in stato di galleggiamento; invece eccola di nuovo qui, senza un uomo e senza alcun tipo di lavoro importante.

Era sempre stata brava a mascherare il proprio disprezzo per lavori di merda, ma quello era davvero difficile. Faceva la barista in uno strip club, ma la direzione era decisa a non chiamarlo “Strip club”. Preferivano solo “Club”, o “Salotto per signori”. Per quanto riguardava Danielle, non importava come lo si chiamasse. Il fatto era che, attualmente, sul palco c’era una donna che scuoteva ritmicamente il culo in faccia ad un uomo a tempo di qualche canzone di merda di Bruno Mars.

Finì di preparare il mojito che un cliente aveva appena ordinato (seriamente, ma chi ordina un mojito in uno strip club?) e glielo passò. Aveva circa cinquant’anni e, quando prese il drink, non fece alcuno sforzo per nascondere il fatto che le stesse fissando le tette. Le sorrise e sorseggiò dal suo drink, con gli occhi che non lasciavano mai il suo petto.

“Dovresti stare sul palco, sai?” disse. Alla fine, la guardò negli occhi, forse per farle vedere la serietà del suo sguardo ubriaco.

“Wow. Non l’ho mai sentito prima. Che battuta originale per rimorchiare.”

Confuso, il tizio alla fine sbuffò e si allontanò dal bancone, prendendo posto più vicino al palco.

Ebbene sì, più di una dozzina di uomini avevano detto di non capire perché lei fosse dietro il bancone e non sul palco. Il suo capo era uno di quelli. E anche se Danielle aveva sopportato abbastanza lavori umilianti in passato, si rifiutava di spogliarsi per uomini ubriachi in modo che potessero infilarle banconote da cinque e dieci dollari nel tanga.

Sapeva che si trattava solo di un lavoro temporaneo. Doveva esserlo. Ma non era sicura di cosa avrebbe fatto per uscirne. Forse avrebbe finalmente finito il college. Le era rimasto un altro anno e mezzo... e anche se avrebbe avuto quasi trent’anni al momento della laurea, sarebbe stato almeno qualcosa.

Non che i vantaggi di quel lavoro fossero qualcosa da disprezzare. Era lì da un mese, lavorando quattro serate alla settimana. Nella seconda settimana, aveva accumulato più di settecento dollari solo in mance. Ma erano l’atmosfera e la sensazione di quel luogo a disturbarla. Anche quando le ragazze uscivano a ballare musica che a Danielle piaceva, sentiva il bisogno di andarsene il più velocemente possibile.

Inoltre... a volte, quando le ballerine venivano al bar o quando le capitava di incontrarle dietro le quinte, Danielle era sempre sorpresa nel vedere che non sembravano infelici. E quando le vedeva ripiegare i pezzi da cinquanta e da cento come se fossero semplici fazzoletti, il pensiero di salire sul palco non sembrava poi così terribile.

Era quello, più di ogni altra cosa, il motivo per cui voleva andarsene da quel posto il più in fretta possibile.

Osservò il bancone e notò che la folla si stava esaurendo. C’erano cinque persone al bar, tre delle quali – un maschio e due femmine – sembravano molto vicini, magari programmando di chiudere la loro domenica sera. Danielle controllò il suo orologio e rimase sorpresa nel vedere che erano le 23:50. Un’altra ora e poteva tornare a casa... poteva andare a casa e dormire fino a mezzogiorno, cosa che le era mancata nel corso dell’ultimo anno, mentre cercava di diventare un’adulta più responsabile. Un’ adulta responsabile che era stata fin troppo dipendente da un uomo, ma comunque un’adulta responsabile.





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“Un capolavoro del thriller e del mistero. Blake Pierce ha creato con maestria personaggi dalla psiche talmente ben descritta da farci sentire dentro la loro mente, a provare le loro stesse paure e fare il tifo per loro. Questo libro è ricco di colpi di scena e vi terrà svegli fino all’ultima pagina.” –Books and Movie Reviews, Roberto Mattos (su Il Killer della Rosa) UN VICINO SILENZIOSO (Un Mistero di Chloe Fine) è il libro #4 di una nuova serie thriller di Blake Pierce, autore del best-seller Il Killer Della Rosa (Libro #1, download gratuito), che ha ottenuto più di 1000 recensioni da cinque stelle.Quando una nuova, appariscente vicina ostenta la sua ricchezza in una città di periferia, non passa molto tempo prima che venga trovata uccisa. Che sia stato il suo atteggiamento a turbare i vicini invidiosi?O la fortuna del marito nasconde forse un segreto più oscuro?Chloe Fine, 27 anni, agente speciale della sezione VICAP dell’FBI, si ritrova immersa in una piccola comunità fatta di menzogne, pettegolezzi e tradimenti, mentre cerca di distinguere la verità dalle bugie.Ma qual è l’unica verità?Riuscirà a risolvere il caso mentre deve si occupare anche del padre ormai libero di prigione e della sorella tormentata?Thriller psicologico dall’intensa carica emotiva, personaggi ben costruiti, un’ambientazione intima e una suspense mozzafiato, UN VICINO SILENZIOSO è il libro #4 in una nuova, avvincente serie che vi terrà incollati alle sue pagine fino a tarda notte.Il libro #5 nella serie di CHLOE FINE sarà presto disponibile.

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