Книга - I cinque del salotto

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I cinque del salotto
Fiona Grace


Un giallo intimo e leggero di Lacey Doyle #3
I CINQUE DEL SALOTTO (UN GIALLO INTIMO E LEGGERO DI LACEY DOYLE—LIBRO 3) è il terzo libro di un’affascinante nuova serie di ‘cozy mystery’ firmata Fiona Grace.



Lacey Doyle, 39 anni e fresca di divorzio, ha fatto un cambio drastico: ha abbandonato la sua frenetica vita newyorkese e si è stabilita in una pittoresca cittadina inglese sul mare: Wilfordshire.



L’estate è vicina e Lacey si è innamorata ancora di più della cittadina e del suo fidanzato pasticcere. Si è anche fatta una migliore amica: la nuova proprietaria di un B&B del posto. E quando l’amica ha bisogno di lei per la decorazione dell’albergo, comprando praticamente tutto quello che Lacey ha in negozio, i suoi affari hanno una grandiosa impennata.



Tutto sta andando alla perfezione, fino a che qualcuno muore misteriosamente nel nuovo B&B dell’amica.



La cittadina viene sconvolta e l’attività dell’amica è a rischio: tocca a Lacey e al suo cane andare a fondo del mistero.



Il libro #4 della serie sarà presto disponibile!





Fiona Grace

I CINQUE DEL SALOTTO




I CINQUE DEL SALOTTO




(UN GIALLO INTIMO E LEGGERO DI LACEY DOYLE—LIBRO TRE)




FIONA GRACE




VERSIONE ITALIANA


A CURA DI


ANNALISA LOVAT



Fiona Grace

La scrittrice debuttante Fiona Grace è l’autrice della serie di GIALLI INTIMI E LEGGERI DI LACEY DOYLE, che include ASSASSINIO IN VILLA (Libro #1), UNA MORTE E UN CANE (Libro #2) e I CINQUE DEL SALOTTO (Libro #3). UNA VISITA PREOCCUPANTE (Libro #4) e UCCISO CON UN BACIO (Libro #5). Fiona è anche autrice della serie di Cozy Mystery VIGNETO TOSCANO.



Fiona sarebbe molto felice di sentirvi, quindi visitate www.fionagraceauthor.com (http://www.fionagraceauthor.com/) per ricevere ebook, sentire le ultime novità e restare in contatto con lei.








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LIBRI DI FIONA GRACE

UN GIALLO INTIMO E LEGGERO DI LACEY DOYLE

ASSASSINIO IN VILLA (Libro #1)

UNA MORTE E UN CANE (Libro #2)

I CINQUE DEL SALOTTO (Libro #3)



UN MISTERO AVVOLGENTE TRA I VIGNETI DELLA TOSCANA

INVECCHIATO PER UN OMICIDIO (Libro #1)

BARRICATO PER LA MORTE (Libro #2)

AFFINATO PER IL CAOS (Libro #3)




CAPITOLO UNO


“Ehi Lacey!” gridò la voce di Gina dalla stanza sul retro del negozio di antiquariato. “Vieni qui un minuto.”

Lacey posò delicatamente l’antico candelabro d’ottone sul banco. Il lieve tonfo che produsse fece sollevare di colpo la testa a Chester, il suo cane da pastore inglese.

Stava dormendo al suo solito posto, disteso sulle tavole di legno accanto al bancone, immerso nella calda luce del sole di giugno che filtrava da fuori. Il cane posò i suoi occhi scuri su Lacey, osservandola con evidente curiosità.

“Gina ha bisogno di me,” gli disse lei, sempre con addosso quella sensazione che il cane, con quel suo muso espressivo, potesse capire ogni sua singola parola. “Tu tieni d’occhio il negozio e abbai se entrano dei clienti, d’accordo?”

Chester mugolò come in risposta e riaffondò la testa tra le zampe anteriori.

Lacey attraversò l’arco che separava l’ambiente principale del negozio dall’ampia sala d’aste recentemente restaurata. Quest’ultima aveva la forma della carrozza di un treno – lunga a stretta – ma il soffitto era alto come quello di una chiesa.

Lacey adorava questa stanza. Ma del resto amava tutto del suo negozio, dalla sezione dell’arredamento retrò che aveva curato mettendo a frutto le sue passate conoscenze, acquisite quando lavorava come assistente di una designer d’interni a New York, all’orticello che stava nel giardino sul retro. Il negozio era il suo orgoglio e la sua gioia, anche se a volte pensava che le portasse qualche problema di troppo.

Entrò nella sala d’aste e una tiepida brezza passò attraverso la porta aperta sul retro, portando con sé gli odori fragranti del giardino fiorito di cui Gina si occupava. Ma la donna non si vedeva da nessuna parte.

Lacey guardò nella stanza e poi dedusse che Gina doveva averla chiamata dal giardino, quindi andò in direzione delle porte a vetri. Subito, però, sentì un rumore che proveniva dal corridoio sulla sinistra.

Quella zona ospitava le parti meno gradevoli alla vista, nel negozio: il disordinato ufficio pieno di schedari e cassette di sicurezza in acciaio, l’area della cucina dove risiedevano il suo fido bollitore e una varietà di bevande ricche di caffeina, il bagno (o gabinetto, come tutti a Wilfordshire lo chiamavano) e il minuscolo sgabuzzino.

“Gina?” chiamò Lacey nel buio. “Dove sei?”

“Ehi!” rispose la voce dell’amica, smorzata come se avesse la testa infilata dentro a qualcosa. Conoscendo Gina, era facile che fosse così. “Sono nello sgabuzzino!”

Lacey si accigliò. Non c’era motivo per cui Gina dovesse essere nello sgabuzzino. Una condizione che Lacey aveva posto quando l’aveva assunta era che non facesse sforzi eccessivi, per esempio sollevando oggetti pesanti. Però, a pensarci bene, quando mai Gina aveva ascoltato quello che Lacey le diceva?

Con un sospiro, percorse il corridoio ed entrò nella piccola stanza. Lì trovò Gina accucciata davanti allo scaffale, gli scompigliati capelli grigi raccolti in una crocchia in cima alla testa e fermati con un elastico di velluto viola.

“Cosa ci fai qua dentro?” chiese Lacey all’amica.

Gina ruotò la testa per guardarla. Aveva recentemente investito in un paio di occhiali dalla montatura rossa, affermando che ‘facevano furore a Shoreditch’ (anche se il motivo per cui una pensionata ultrasessantenne dovesse seguire la moda trendy dei giovani londinesi era un mistero per Lacey). Gli occhiali le scivolarono sul naso. Con l’indice Gina li rimise a posto, poi indicò uno scatolone rettangolare sul ripiano davanti sé.

“C’è una scatola chiusa qui,” le disse. Poi, con tono deliberatamente cospiratorio aggiunse: “E il timbro postale dice che viene dalla Spagna.”

Lacey si sentì subito avvampare le guance. Il pacco veniva da Xavier Santino, il bel collezionista di antiquariato spagnolo che aveva partecipato alla sua asta a tema nautico il mese precedente nel tentativo di rimettere insieme la collezione di antichi cimeli di famiglia andati perduti. Insieme a lei era diventato un sospettato nell’omicidio di un turista americano. Durante quell’odissea erano diventati amici e il loro legame si era rafforzato ancora di più quando Lacey aveva scoperto il collegamento di Xavier al suo padre scomparso.

“È solo una cosa che mi ha mandato Xavier,” disse Lacey, cercando di chiudere l’argomento. “Sai che mi sta aiutando a mettere insieme le informazioni riguardanti la scomparsa di mio padre.”

Gina si alzò in piedi facendo scricchiolare le ginocchia e scrutò Lacey con espressione sospettosa. “So molto bene quello che deve fare,” disse, posandosi le mani sui fianchi. “Quello che non capisco è perché ti mandi dei regali. Questo è il terzo in questo mese.”

“Regali?” ribatté Lacey sulla difensiva, cogliendo l’insinuazione di Gina. “Una busta piena di ricevute del negozio di mio padre durante il viaggio di Xavier a New York non è esattamente quello che definirei un regalo.”

Il volto di Gina rimase impassibile. Picchiettò il piede a terra. “Che mi dici del dipinto?”

Mentalmente Lacey si figurò il dipinto a olio raffigurante una barca in mezzo al mare che Xavier le aveva spedito giusto la settimana scorsa. Lo aveva appeso sopra al caminetto del salotto nel Crag Cottage.

“È il genere di barca che il suo bis-bisnonno capitanava,” spiegò a Gina, sempre mantenendo un atteggiamento di difesa. “Xavier l’ha trovato a un mercatino delle pulci e ha pensato che potesse piacermi.” Scrollò le spalle con noncuranza, cercando di minimizzare.

“Huh,” sbuffò Gina, le labbra premute a formare una linea dritta. “Ho visto questo e ho pensato a te. Tu sai cosa si può pensare da fuori…”

Lacey sbuffò irritata. Aveva raggiunto il limite della propria pazienza. “Qualsiasi cosa tu stia insinuando, perché non la dici e basta?”

“Bene,” rispose l’amica con coraggio. “Penso che nel fare-regali di Xavier ci sia più di quanto tu voglia riconoscere. Penso che tu gli piaccia.”

Anche se Lacey aveva immaginato che l’amica volesse dire questo, si sentì comunque accusata nel sentirselo spiegare così direttamente.

“Io sono perfettamente felice con Tom,” le disse, immaginando mentalmente il bellissimo pasticciere dal grande sorriso che aveva la fortuna di poter definire compagno. “Xavier sta solo tentando di aiutarmi. Ha promesso che l’avrebbe fatto quando gli ho regalato il sestante del suo bisnonno. Stai inventando una storia dove non c’è proprio niente.”

“Se non ci fosse nessuna storia,” le rispose Gina con calma, “allora perché tieni nascosto il pacco di Xavier sulla mensola di fondo dello scaffale del magazzino?”

Lacey esitò momentaneamente. Le accuse di Gina l’avevano colta alla sprovvista, lasciandola confusa. Per un momento dimenticò il motivo per cui aveva messo via il pacco dopo aver firmato la ricezione, invece di aprirlo subito. Poi ricordò: i documenti erano in ritardo. Xavier le aveva detto che c’era bisogno di firmare un certificato di accompagnamento, quindi aveva deciso di mettere tutto da parte e aspettare, giusto per non violare qualche fastidiosa legge britannica di cui non era ancora a conoscenza. Con tutto il tempo che la polizia aveva passato a gironzolare per il suo negozio, l’attenzione non era mai troppa!

“Non lo sto nascondendo,” disse. “Sto aspettando che arrivi il certificato.”

“Non sai cosa ci sia dentro?” chiese Gina. “Xavier non ti ha detto cos’è?”

Lacey scosse la testa.

“E tu non hai chiesto?” insistette l’amica.

Di nuovo, Lacey fece di no con la testa.

Notò poi che l’espressione accusatoria negli occhi di Gina stava iniziando a svanire, pian piano sostituita da curiosità.

“Pensi che potrebbe essere qualcosa di…” Gina abbassò la voce mentre parlava, “… illegale?”

Nonostante fosse certa che Xavier non potesse averle inviato niente di illegittimo, Lacey era ben contenta di cambiare argomento, quindi seguì il discorso dell’amica.

“Potrebbe essere,” disse.

Gina sgranò gli occhi ancora di più. “Che genere di cosa?” le chiese, come un bambino meravigliato.

“Avorio, per esempio,” le disse Lacey, ricordando dai propri studi quali fossero gli oggetti che era vietato vendere nel Regno Unito, sia in ambito antiquario che no. “Qualsiasi cosa prodotta con la pelliccia di una specie in via d’estinzione. Rivestimenti prodotti con materiale non ignifugo. Ovviamente armi…”

Tutte le tracce di sospetto ora svanirono completamente dall’espressione di Gina. La ‘storia’ su Xavier era stata dimenticata in un batter d’occhio, sostituita dalla possibilità molto più emozionante che all’interno dello scatolone potesse esserci un’arma.

“Armi?” ripeté la donna con voce un po’ gracchiante. “Non possiamo aprire e vedere?”

Sembrava eccitata come un bambino vicino all’albero di Natale il giorno della vigilia.

Lacey esitò. Era stata curiosa di guardare all’interno di quel pacco da quando le era arrivato dal corriere speciale. A Xavier doveva essere costato un occhio della testa mandarlo dalla Spagna, e anche la confezione era elaborata: lo spesso cartone era rigido come legno e il tutto era fissato con graffette industriali e legato con fascette di plastica. Qualsiasi cosa ci fosse dentro, era indubbiamente molto preziosa.

“Ok,” disse Lacey, sentendosi ribelle. “Che male può fare darci una sbirciata?”

Si infilò un ciuffo vagante dei suoi ricci neri dietro l’orecchio e prese il taglierino. Lo usò per segare le fascette e allentare le graffette. Poi aprì la scatola e frugò all’interno del materiale da imballo.

“È una cassetta,” disse, tirando la maniglia in pelle e sollevando una pesante cassetta di legno. I pezzi di polistirolo svolazzarono dappertutto.

“Sembra la valigetta di una spia,” disse Gina. “Oh, non pensi che tuo padre fosse una spia, vero? Magari una spia russa!”

Lacey ruotò gli occhi al cielo mentre posava la pesante cassetta sul pavimento. “Nel corso degli anni credo di aver ipotizzato un sacco di teorie stravaganti su cosa possa essere accaduto a mio padre,” disse, mentre faceva scattare i fermi della cassetta uno dopo l’altro. “Ma la cosa della spia russa non mi era mai venuta in mente.”

Alzò il coperchio e guardò dentro alla cassa. Sussultò vedendo ciò che conteneva. Un bellissimo fucile da caccia a pietra focaia.

Gina si mise a tossire. “Non puoi tenere qui questa cosa! Santo cielo, probabilmente non puoi proprio tenerlo in Inghilterra, punto! Cosa diavolo stava pensando Xavier quando te l’ha mandato?”

Ma Lacey non stava ascoltando lo sfogo dell’amica. La sua attenzione era fissa sul fucile. Era in forma eccellente, nonostante il fatto che dovesse avere ben più di cent’anni.

Con attenzione, tolse il fucile dalla cassa, sentendone il peso tra le mani. C’era in esso qualcosa di familiare. Ma non aveva mai tenuto in mano un fucile, meno che meno ne aveva usato uno, e nonostante la strana sensazione di déjà-vu che la pervadeva, non aveva concreti ricordi a cui aggrapparsi.

Gina iniziò ad agitare le mani. “Lacey, mettilo giù! Mettilo giù! Scusa se te l’ho fatto tirare fuori. Non pensavo davvero che fosse un’arma.”

“Gina, calmati,” le disse Lacey.

Ma l’amica era scatenata. “Ti serve una licenza! Può addirittura darsi che tu stia commettendo un crimine ad avere questo oggetto in questo Paese! Le cose qui sono molto diverse dagli Stati Uniti!”

Il blaterare di Gina raggiunse un picco di fervore, ma Lacey lasciò perdere. Aveva imparato che non c’era modo di calmarla quando aveva le sue esplosioni. Alla fine si esaurivano da sole. Oppure Gina si sarebbe alfine stancata.

E poi la sua attenzione era troppo presa dal bellissimo fucile per poter anche minimamente badare a lei. Era ipnotizzata dalla strana sensazione di familiarità che le aveva suscitato.

Guardò dentro alla canna. Lo soppesò. Ne sentì la forma tra le mani. Ne inalò addirittura l’odore. C’era qualcosa di meraviglioso in questo fucile, come se avesse sempre dovuto appartenerle.

In quel momento, Lacey si rese conto del silenzio. Gina aveva finalmente smesso di farneticare. Lacey sollevò gli occhi e la guardò.

“Hai finito?” le chiese con calma.

Gina stava ancora fissando il fucile come se fosse la tigre di un circo scappata dalla sua gabbia, ma annuì lentamente.

“Bene,” disse Lacey. “Quello che stavo tentando di dirti è che non solo ho fatto i miei compiti per casa per quanto riguarda la legge britannica che regola il possesso e utilizzo di armi da fuoco, ma ho effettivamente un certificato di commercio legale di armi antiche.”

Gina esitò con un piccolo e perplesso cipiglio a corrucciarle il viso. “Davvero?”

“Sì,” le assicurò Lacey. “Quando ancora stavo valutando il contenuto della Villa di Penrose, mi sono imbattuta in una collezione completa di fucili da caccia. Ho dovuto subito fare domanda di licenza per poter tenere l’asta. È stato Percy Johnson ad aiutarmi a organizzare tutto.”

Gina strinse le labbra. Ora mostrava la sua migliore espressione da surrogato di madre. “Perché non ne sapevo niente?”

“Beh, ancora non lavoravi per me allora, giusto? Eri solo la signora della porta accanto, le cui pecore venivano di continuo nel mio giardino.” Lacey rise ripensando al caro ricordo della prima mattina in cui si era svegliata al Crag Cottage, trovando un gregge di pecore che mangiavano la sua erba.

Gina non le restituì il sorriso. Sembrava essere di umore cocciuto.

“Lo stesso,” disse, incrociando le braccia, “dovrai farlo registrare dalla polizia, no? Farlo inserire nel database delle armi da fuoco.”

Sentendo parlare di polizia, nella mente di Lacey apparve un’immagine del volto impassibile del sovrintendente Karl Turner, seguita immediatamente dal volto della sua stoica collega, la detective Beth Lewis. Aveva incontrato quei due tante di quelle volte che le sarebbero potute bastare per una vita.

“A dire il vero no,” spiegò a Gina. “È un pezzo di antiquariato, e non è funzionante. Questo significa che è classificato come oggetto ornamentale. Te l’ho detto: ho fatto tutti i miei compiti per casa!”

Ma Gina era irremovibile. Sembrava determinata a trovare qualcosa di irregolare in materia.

“Non funzionante?” ripeté. “Come puoi saperlo per certo? Pensavo avessi detto che le carte erano in ritardo.”

Lacey esitò. Qui Gina aveva ragione. Non aveva ancora visto i documenti, quindi non poteva essere sicura al cento per cento che il fucile non fosse funzionante. Ma non c’erano munizioni nella cassa, tanto per cominciare, e lei era piuttosto certa che Xavier non le avrebbe inviato per posta un’arma carica!

“Gina,” disse con voce ferma e tono definitivo, “ti assicuro che ho tutto sotto controllo.”

L’affermazione uscì con facilità dalla bocca di Lacey. Lei ancora non lo sapeva, ma erano parole di cui presto si sarebbe pentita.

Gina parve cedere un poco, anche se non sembrava felice di farlo. “Va bene. Se dici che è tutto in ordine, allora è tutto in ordine. Ma perché mai Xavier avrebbe dovuto mandarti un dannato fucile?”

“Questa è effettivamente una buona domanda,” disse Lacey, chiedendosi improvvisamente la stessa cosa.

Mise la mano nel pacco e trovò un pezzo di carta piegato sul fondo. Lo tirò fuori. La precedente insinuazione di Gina che Xavier avesse in mente più che un’amicizia con lei la rese immediatamente impacciata. Si schiarì la gola mentre apriva la lettera e la leggeva a voce alta.



“Cara Lacey,

come sai sono stato recentemente a Oxford…”

Si fermò, sentendo lo sguardo di Gina fisso su di lei, come se l’amica la stesse tacitamente giudicando. Sentendo le guance che si scaldavano, Lacey spostò il foglio in modo che Gina non potesse vedere.



“Come sai sono stato recentemente a Oxford a cercare i pezzi d’antiquariato del mio bis-bisnonno che erano andati perduti, e questo ha risvegliato la mia memoria. Tuo padre aveva un fucile simile in vendita nel suo negozio di New York. Ne abbiamo parlato. Mi aveva raccontato di aver fatto recentemente un viaggio di caccia in Inghilterra. Era una storia divertente. Mi aveva raccontato che non sapeva che fosse la stagione in cui la caccia era chiusa, allora, e che quindi poteva cacciare legalmente solo conigli. Ho fatto una ricerca sulle stagioni di caccia in Inghilterra, ed è venuto fuori che la caccia è chiusa in estate. Non ricordo che abbia parlato direttamente di Wilfordshire, ma ricordo che tu hai detto che era lì che andava in vacanza? Magari c’è un circolo di caccia locale? Magari l’hanno conosciuto?

Tuo Xavier



Lacey evitò lo sguardo indagatore di Gina mentre ripiegava la lettera. Non c’era bisogno che la donna parlasse perché Lacey sapesse quello che stava pensando: che Xavier avrebbe potuto raccontarle di questo ricordo in un messaggio, piuttosto che spedendole un fucile vero e proprio! Ma a Lacey non interessava veramente. Era più interessata al contenuto della lettera che a qualsiasi nozione romantica sottesa alle azioni di Xavier.

Quindi suo padre si divertiva ad andare a caccia durante le sue estati in Inghilterra, giusto? Questa era una cosa nuove per lei! A parte il fatto che non aveva ricordo che avesse mai posseduto un fucile, non poteva immaginarsi che sua madre fosse d’accordo. Era estremamente impressionabile. Si offendeva facilmente. Era per questo che andava in un paese diverso per farlo? Poteva essere un segreto che aveva tenuto completamente nascosto a sua madre, un piacere colpevole che si concedeva solo una volta all’anno. O forse era venuto fino in Inghilterra a sparare per la compagnia che aveva qui…

Lacey ricordava la bellissima donna nel negozio di antiquariato, quella che aveva aiutato Naomi dopo che la piccola aveva rotto il soprammobile; quella che avevano incontrato di nuovo per strada, quando il raggio di sole alle sue spalle aveva oscurato i suoi tratti. La donna con il delicato accento inglese e il profumo fragrante. Poteva essere stata lei a far avvicinare suo padre a quell’hobby? Era un passatempo che condividevano?

Lacey afferrò il cellulare per mandare un messaggio alla sua sorella più piccola, ma era riuscita solo a scrivere “Papà aveva fucili…” quando fu interrotta dal bau-bau-bauuuu di Chester che richiamò la sua attenzione. Il campanello della porta d’ingresso doveva aver tintinnato.

Ripose il fucile nella cassa, la chiuse accuratamente e si incamminò verso il negozio.

“Non puoi lasciare quell’affare qua in giro!” gridò Gina, passando di nuovo in un secondo da sospettosa a terrorizzata.

“Mettilo nella cassaforte allora, se ti preoccupa così tanto,” disse Lacey, ormai alla porta dello sgabuzzino.

“Io?” la sentì esclamare.

Anche se era ormai a metà del corridoio, Lacey si fermò e sospirò.

“Arrivo subito!” gridò verso il negozio, dove era diretta.

Mentre spostava il fucile, Gina continuò a fissare la cassa con sguardo cauto e fece un passo indietro quando le passò vicino, come se l’arma potesse esplodere da un secondo all’altro. Lacey riuscì a fare in modo di ruotare gli occhi al cielo solo quando fu certa che la donna non potesse vederla.

Portò il fucile alla grande cassaforte d’acciaio dove teneva in completa sicurezza tutti i suoi articoli più costosi e preziosi. Poi ritornò verso il corridoio, seguita da un’ammansita Gina. Almeno ora l’arma era nascosta e la donna aveva smesso di starnazzare.

Quando fu tornata nel salone principale del negozio, Lacey si aspettava di trovarvi un cliente intento a curiosare tra gli scaffali pieni zeppi di oggetti. Invece fu accolta dalla spiacevole vista di Taryn, la sua avversaria della boutique accanto.

Taryn ruotò sui suoi alti tacchi sentendo arrivare Lacey. I suoi capelli scuri e cortissimi erano acconciati con così tanto gel che neanche un singolo capello si muoveva. Nonostante la luminosa giornata di giugno, era vestita con il suo solito tubino scuro che metteva in risalto ogni angolo del suo scheletrico corpo da modaiola.

“Di solito lasci i tuoi clienti da soli e senza assistenza così a lungo?” le chiese la donna con tono sprezzante.

Accanto a sé Lacey sentì il sommesso ringhio di Chester. Il pastore inglese non aveva nessuna simpatia per l’altezzosa commessa. E neppure Gina, che borbottò a modo suo prima di andare ad occuparsi di alcune carte.

“Buongiorno, Taryn,” disse Lacey, sforzandosi di essere cordiale. “Come posso aiutarti in questa bellissima giornata?”

Taryn lanciò un’occhiataccia a Chester, poi incrociò le braccia e fisso il suo sguardo da falco su Lacey.

“Te l’ho già detto,” le disse. “Sono una cliente.”

“Tu?” le chiese Lacey, troppo velocemente per poter nascondere la sua incredulità.

“Sì, sul serio,” rispose Taryn con voce asciutta. “Mi serve una di quelle cose tipo lampadina di Edison. Hai capito quali. Quelle robe orrende con la lampadina sul piedestallo di bronzo? Le hai sempre in vetrina.”

Cominciò poi a guardarsi attorno. Con il naso rivolto all’insù, a Lacey faceva pensare a un uccello. Non poté fare a meno di essere sospettosa. Il negozio di Taryn era semplice e minimalista, con delle luci a soffitto che illuminavano in maniera asettica ogni cosa. A cosa le serviva una lampada rustica?

“Stai facendo un restyling della boutique?” le chiese allegramente, uscendo da dietro il bancone e facendo cenno a Taryn di seguirla.

“Voglio solo dare all’ambiente un po’ di carattere,” disse la donna mentre i suoi tacchi ticchettavano dietro a Lacey. “E da quanto ho capito, quelle lampade sono molto in al momento. Le vedo ovunque. Dalla parrucchiera. Al bar. Nella caffetteria di Brooke ce n’erano un milione…”

Lacey si immobilizzò e il suo cuore iniziò a martellarle nel petto.

Solo sentire il nome della vecchia amica la mandava ancora nel panico. Era passato appena un mese da quando la donna australiana l’aveva rincorsa brandendo un coltello, cercando di farla tacere dopo che era riuscita a uccidere un turista americano. I lividi di Lacey erano guariti, ma le cicatrici mentali erano ancora fresche.

Quindi era per questo motivo che Taryn le stava chiedendo una lampada Edison? Non perché ne voleva una, ma in modo da avere una scusa per tirare fuori il nome di Brooke e innervosire Lacey! Era davvero una persona orribile.

Perdendo tutto l’entusiasmo di dare una mano a Taryn, anche se avrebbe dovuto considerarla una cliente, Lacey indicò di malavoglia quello che chiamava ‘Angolo steampunk’, la sezione del negozio dove si trovava la sua collezione di lampade in bronzo.

“Laggiù,” le disse.

Vide l’espressione di Taryn inasprirsi mentre visionava la gamma di occhiali da pilota e bastoni da passeggio, oltre alla tuta completa da sub. Ad essere sinceri, neanche a Lacey piaceva tantissimo l’estetica di quell’allestimento. Ma c’era un buon numero di persone a Wilfordshire – quelli con i capelli neri e i mantelli di velluto – che facevano regolarmente visita al suo negozio, quindi si procurava quegli articoli nello specifico per loro. L’unico problema era che quella nuova sezione ora schermava la vista, prima libera, verso la pasticceria di Tom dall’altra parte della strada. Detto in soldoni, Lacey non poteva più guardarlo con occhi sognanti ogni volta che gliene veniva voglia.

Con Taryn ora occupata, colse l’opportunità per dare un’occhiata dall’altra parte della strada.

Il negozio di Tom era pieno di gente come sempre. Ora ce n’era anche di più, dato il maggior numero di turisti. Lacey scorse la sua alta figura che sfrecciava a destra e a sinistra, lavorando a ipervelocità per accontentare tutti. La calda luce di giugno faceva apparire ancora più dorata la sua pelle.

In quel momento Lacey scorse la nuova assistente di Tom: Lucia. Aveva assunto la giovane donna solo poche settimane prima in modo da poter avere più tempo libero da passare con Lacey. Ma da quando la ragazza aveva iniziato a lavorare lì, la pasticceria era più piena che mai!

Lacey continuò a guardare, vedendo Lucia e Tom che quasi andavano a sbattere l’uno contro l’altra, poi facevano contemporaneamente un passo a destra, poi a sinistra, tentando di evitare lo scontro, ma continuando a portare avanti una comica sequenza di movimenti a specchio. La scenetta ebbe fine quando Tom fece un inchino teatrale, in modo che Lucia potesse passare alla sua sinistra. E in quello le rivolse uno dei suoi luminosissimi sorrisi.

Lacey si sentì stringere lo stomaco davanti a quella scena. Non poté farne a meno. Gelosia. Sospetto. Erano tutte emozioni nuove per lei, emozioni che le sembrava di aver acquisito solo dopo il suo divorzio, come se il suo ex marito le avesse infilate tra le pagine dei documenti per assicurarsi che le sue relazioni future fosse il più tese possibile. Erano brutti sentimenti, ma lei non riusciva a controllarli. Lucia passava molto più tempo con Tom rispetto a lei. E il tempo che passava con lui era quello che lo vedeva al meglio della condizione: energico, creativo e produttivo. Non assonnato sul divano davanti alla TV. Tutto sembrava mal bilanciato, come se stessero condividendo Tom e la divisione fosse stava fatta a enorme vantaggio della giovane donna.

“Carina, vero?” le disse la voce di Taryn, giungendole all’orecchio come quella del diavolo dalla sua spalla.

Lacey sussultò. Taryn stava rigirando il coltello nella piaga come suo solito.

“Moooolto carina,” aggiunse la donna. “Deve farti impazzire sapere che Tom sta lì tutto il giorno insieme a lei.”

“Non essere stupida,” le disse Lacey con tono brusco.

Ma la considerazione di Taryn era, per usare un idioma di Gina, ‘azzeccata’. Cioè: aveva completamente ragione. E questo rendeva Lacey ancora più frustrata.

Taryn le rivolse un sottile sorriso e una scintilla maligna apparve nei suoi occhi. “È da tanto che volevo chiederti: come sta il tuo spagnolo. Xavier, giusto?”

Lacey sussultò ancora. “Non è il mio spagnolo!”

Ma prima che potessero mettersi a discutere, il campanellino tintinnò sonoramente e Chester abbaiò.

Salvata dalla campana, pensò Lacey, allontanandosi velocemente da Taryn e dalle sue allusioni da vipera.

Ma quando vide chi c’era ad aspettarla, si chiese se non fosse forse passata dalla padella alla brace.

Lì in mezzo al negozio c’era Carol del B&B, con un’espressione di misero orrore stampata in viso. Sembrava essere nel panico e stava ansimando come se avesse fatto tutta la strada fino a lì di corsa.

Lacey si sentì aggrovigliare lo stomaco. Un orribile senso di déjà-vu la pervase. Era successo qualcosa. Qualcosa di brutto.

“Carol?” chiese Gina. “Che problema c’è, tesoro? Sembra che tu abbia visto un fantasma.”

Il labbro inferiore di Carol iniziò a tremare. Aprì la bocca come a voler parlare, ma poi la richiuse.

Lacey sentì dietro di sé il ticchettio dei tacchi di Taryn mentre la donna si avvicinava, presumibilmente per poter avere l’esclusiva della storia.

L’attesa era snervante per Lacey. Insopportabile. Il timore pareva scorrerle in ogni angolo del corpo.

“Cosa c’è, Carol?” le chiese. “Cos’è successo?”

Carol scosse la testa vigorosamente. “Temo di avere delle notizie orribili…”

Lacey si preparò al peggio.




CAPITOLO DUE


Cosa poteva essere successo?

Un incidente?

Un… omicidio?

Santo cielo, non un altro!

“Carol?” chiese Lacey, sentendo una stretta alla gola.

L’espressione di paura negli occhi di Carol mentre camminava avanti e indietro per il negozio le inviava continui lampi di panico che la avvinghiavano. Il suo stomaco iniziò a fare le capriole, come se fosse andata fuori strada con la sua Volvo di seconda mano, precipitando dalla scogliera e piombando verso l’oceano sottostante. Sentì che le mani iniziavano a tremare mentre una serie di ricordi le invadevano la mente: il corpo morto di Iris steso sul pavimento della sua villa; la bocca sporca di sabbia di Buck, riverso sulla spiaggia. Poi le immagini lampeggianti furono completate dall’improvviso ululare delle sirene della polizia nelle sue orecchie e dall’orribile scricchiolio della coperta argentata che gli infermieri del pronto intervento le avevano avvolto attorno alle spalle. E infine sentì la voce del sovrintendente Turner riecheggiare nella sua mente: “Non si allontani dalla città, ok?”

Lacey si aggrappò al bancone per tenersi in piedi, pronta a qualsiasi orribile notizia fosse pronta ad uscire dalla bocca di Carol. Faceva quasi fatica a concentrarsi sulla donna, che stava ancora camminando avanti a indietro.

“Cosa c’è?” chiese Gina con impazienza. “Cos’è successo?”

“Sì, per favore, sbrigati a sganciare la bomba,” disse Taryn, facendo pigramente dondolare la lampada Edison che teneva in mano. “Alcuni di noi hanno delle vite da portare avanti.”

Carol finalmente smise di camminare. Si voltò a guardare le tre donne, gli occhi cerchiati di rosso.

“C’è…” iniziò a dire, tirando su con il naso tra una parola e l’altra, “la… la… l’inaugurazione di un B&B!”

Un attimo di silenzio passò mentre le tre donne lasciavano che la rivelazione – o la mancanza della stessa – prendesse posto nelle loro teste.

“Ah!” esclamò infine Taryn. Sbatté una banconota da venti sterline sul bancone accanto a Lacey. “Vi lascio a gestire questa crisi. Grazie per la lampada.”

E detto questo uscì con passo leggiadro, lasciandosi dietro una scia di profumo di legno di cedro affumicato.

Quando se ne fu andata, Lacey riportò la sua attenzione su Carol, fissandola incredula. Ovviamente un nuovo B&B era una notizia terribile per Carol, che si sarebbe trovata ad affrontare una concorrenza ancora più rigida per il commercio del turismo, ma per Lacey non faceva poi tanta differenza! E considerata l’orrenda sventura passata con l’omicidio di Iris Archer e il più recente assassinio di Buck, certo si sarebbe guardata bene dall’andare in giro per la cittadina a gridare e strapparsi i capelli per qualcosa di così banale!

Lacey riuscì semplicemente a sbattere le palpebre. La sua rabbia sembrava averle legato la lingua con forza al palato. La lingua di Gina, invece, era sciolta come non mai.

“Tutto qua?” gridò. “Un B&B? Mi hai quasi fatto venire un dannato infarto!”

“Un B&H a Wilfordshire è una notizia terribile per tutti,” disse Carol piagnucolando e accigliandosi alla risposta di Gina. “Non solo per me!”

“Davvero?” disse Lacey, trovando finalmente la propria voce. “E perché mai, esattamente?”

Carol le lanciò un’occhiata tagliente. “Ah, bene. Avrei dovuto immaginare che non avresti capito. Del tutto tu sei una forestiera.”

Lacey si sentì ribollire di rabbia. Come osava Carol darle della forestiera? Ormai viveva qui da diversi mesi e aveva contribuito in un sacco di modi all’andamento della cittadina! Il suo negozio faceva parte del tessuto della strada principale proprio come tutte le altre attività.

Aprì la bocca per rispondere, ma prima di poterlo fare, Gina tirò fuori una scatola di fazzolettini dal bancone e avanzò, creando una barriera fisica tra lei e Carol.

“Perché non ti siedi?” disse la donna alla proprietaria del B&B. “Parliamone meglio.”

Poi lanciò a Lacey un’occhiata che diceva ‘Me ne occupo io perché tu stai per scoppiare’.

Aveva ragione. Il panico che il non-evento di Carol aveva fatto scaturire in Lacey stava iniziando a svanire, ma avrebbe comunque preferito farne a meno. E di certo avrebbe preferito fare a meno di sentirsi chiamare ‘forestiera’ da Carol! Se c’era una cosa che poteva infastidire Lacey, era proprio questa.

Mentre Gina accompagnava Carol verso un divanetto in pelle rossa offrendole un fazzolettino – ‘Toh, prendi uno di questi per il naso’ – Lacey si allontanò e fece diversi respiri per calmarsi. Chester alzò il muso e la guardò mugolando solidale.

“Va tutto bene, amico,” gli disse. “Solo un po’ scossa.” Si chinò e gli accarezzò la testa. “Adesso sto bene.”

Chester mugolò ancora, come in riluttante accettazione della situazione.

Rinvigorita dal suo sostegno, Lacey si avvicinò al divanetto per scoprire cosa stesse realmente succedendo.

Carol stava completamente singhiozzando adesso. Gina ruotò lentamente gli occhi e guardò Lacey con espressione sarcastica. Lacey le fece segno di spostarsi con la mano e l’amica le lasciò subito il posto.

Lacey si sedette accanto a Carol, costretta dalla forma del divanetto a starle proprio appiccicata: un po’ troppo vicina rispetto a come si sarebbe messa potendo scegliere.

“È colpa di quel dannato nuovo sindaco,” piagnucolò Carol. “Sapevo che avrebbe creato guai!”

“Il nuovo sindaco?” chiese Lacey. Non sapeva che ci fosse un nuovo sindaco.

Carol voltò i suoi occhi, rossi e arrabbiati, verso di lei. “Ha fatto cambiare la destinazione d’uso alla parte orientale della città. Tutta quella zona dopo il club di canottaggio è passata da residenziale a commerciale! Ci farà costruire un centro commerciale! Pieno di orribili catene di negozi privi di carattere!” La sua voce diveniva man mano più incredula. “Vuole costruire un parco acquatico! Qui! A Wilfordshire! Dove piove per tre terzi dell’anno! E poi ha in programma di costruire questa mostruosità di torre panoramica! Sarà come un pugno in un occhio!”

Lacey ascoltò lo sfogo di Carol, anche se non riusciva a capire perché tutto questo fosse un grosso problema. Per come stavano le cose al momento, praticamente nessuno si avventurava oltre il club di canottaggio. Era praticamente uno spazio morto. Anche la spiaggia da quella parte della città era malcurata. Sviluppare l’area le sembrava una buona idea, soprattutto se ci sarebbe stato un B&B di classe a servirla. E di sicuro la cosa avrebbe portato beneficio a tutte le attività commerciali della via principale, con l’aumento del turismo.

Lacey guardò verso Gina per vedere se la sua espressione lasciasse trapelare che anche lei considerava tutto questo come una enorme crisi. Gina stava invece nascondendo un sorrisino. Ovviamente stava pensando che Carol si stesse comportando in modo esageratamente drammatico, e se Gina pensava che una persona fosse eccessivamente drammatica, allora quella persona aveva davvero dei problemi!

“È una specie di affarista di Londra,” continuò Carol, disperata.  “Ventidue anni. Appena uscita dall’università!”

Prese un altro fazzolettino dalla scatola e si soffiò rumorosamente il naso, prima di restituirlo, tutto zuppo, a Gina. Il sorrisino sul volto della donna scomparve all’istante.

“Come fa una ventiduenne ad aprire un B&B?” chiese Lacey, il tono meravigliato piuttosto che sprezzante come quello di Carol.

“Perché ha i genitori ricchi, ovviamente,” disse Carol. “I suoi genitori erano i proprietari di quella grossa casa di riposo nelle colline. Hai presente?”

Lacey se lo ricordò subito, anche se era raramente andata da quella parte. Da quello che ricordava, era una proprietà molto grande. Di sicuro ci sarebbe voluto un’enorme ristrutturazione per trasformarlo da casa di riposo a B&B, per non parlare degli sviluppi dell’infrastruttura. Era a una quindicina di minuti a piedi dal centro della città e c’erano solo due autobus all’ora che servivano quella parte della costa. Sembrava un investimento piuttosto grosso per una ragazza di ventidue anni.

“Comunque,” continuò Carol. “I genitori hanno deciso di andare in pensione e liquidare il loro portfolio pensionistico, ma ciascuno dei figli doveva scegliere una proprietà per poterne poi fare quello che voleva. Potete immaginarvi di avere ventidue anni a ricevere in regalo una proprietà? Io ho dovuto sudare sette camicie per avviare la mia attività, e adesso arriva la Principessina e avvia la sua con uno schiocco di dita.” Schioccò le dita lei stessa, con gesto aggressivo.

“Dovremmo considerarci fortunati che abbia scelto una cosa sensata come un B&B,” disse Gina. “Se alla sua età mi avessero regalato una casa enorme, probabilmente avrei avviato un locale aperto 24 su 24.”

Lacey non riuscì a trattenersi e scoppiò a ridere. Ma Carol si sciolse ancora di più in lacrime.

Allora Chester decise di avvicinarsi e vedere cosa fosse tutta quella confusione. Appoggiò la testa in grembo a Carol.

Che tesoro, pensò Lacey.

Chester non sapeva che Carol stava facendo tante storie per niente. Pensava solo che fosse un’umana angosciata e bisognosa di conforto. Lacey decise di seguire il suo esempio.

“A me sembra che tu ti stia impanicando per niente,” le disse sottovoce. “Il tuo B&B è iconico. I turisti amano la casa rosa-Barbie sulla via principale, proprio come adorano le sculture di macarons nella vetrina di Tom. Un B&B di lusso non può competere con la tua proprietà di gusto locale. Ha il suo stile bizzarro e alla gente piace un sacco.”

Lacey dovette ignorare le risatine che sentì venire da Gina. Bizzarro era stato un aggettivo meticolosamente selezionato per descrivere tutti i fenicotteri e le palme, e poteva solo lontanamente immaginare che descrizione ne avrebbe dato Gina: pacchiano, kitsch, sgargiante…

Carol guardò Lacey con occhi umidi di lacrime. “Lo pensi davvero?”

“Ne sono certa! E poi tu hai una cosa che la nostra Principessina non ha. Determinazione. Fegato. Passione. Nessuno ti ha offerto il tuo B&B su un piatto, giusto? E quale londinese ha davvero voglia di stabilirsi a Wilfordshire alla veneranda età di ventidue anni? Io scommetto che la Principessina si annoierà molto presto e tornerà ai suoi più verdi pascoli.”

“O più grigi pascoli,” intervenne Gina. “Sai, per tutte quelle strade a Londra. Che tornerà a… oh, lascia stare.”

Carol si ricompose. “Grazie, Lacey. Mi hai davvero fatto sentire meglio.” Si alzò e accarezzò Chester sulla testa. “Anche tu, tesoro di cane.” Si tamponò le guance con il fazzolettino. “Ora farò meglio a tornare al lavoro.”

Alzò il mento e uscì dal negozio senza aggiungere una parola di più.

Non appena la porta si fu chiusa dietro di lei, Gina scoppiò a ridere.

“Onestamente,” esclamò. “Qualcuno dovrebbe insegnare a quella donna a fare i conti con la realtà! Sta davvero facendo il lavoro sbagliato se pensa che una novellina di ventidue anni possa costituire una minaccia. Io e te sappiamo bene che questa bimba di Londra se ne sarà andata da qui non appena avrà fatto abbastanza soldi da comprare un enorme appartamento a Chelsea.” Scosse la testa. “Penso che ora farò la mia pausa, se non ti spiace. Ho avuto sufficienti emozioni.”

“Vai pure,” le disse Lacey, proprio mentre la porta tintinnava annunciando un altro cliente. “Questo lo faccio io.”

Gina si diede un colpetto alle ginocchia per richiamare l’attenzione di Chester. “Andiamo amico, passeggiatina.”

Il cane balzò in piedi e i due andarono alla porta. La giovane donna bassa e magra che era appena entrata fece un ampio passo alla sua sinistra, mostrando senza ombra di dubbio la sua paura del cane, come se si aspettasse che potesse saltarle addosso e morderla.

Gina le rivolse un cenno di saluto con la testa. Non aveva tempo per la gente a cui non piacevano gli animali.

Quando la porta si fu chiusa alle sue spalle, la ragazza parve rilassarsi. Si avvicinò a Lacey, facendo ondeggiare a ogni passo la gonna patchwork che indossava. Abbinata a un enorme cardigan fatto a mano, l’outfit nel suo complesso poteva sembrare perfetto per Gina.

“Posso aiutarti?” chiese Lacey alla donna.

“Sì,” rispose lei. Emanava un’energia timida e ritrosa, con i capelli castani e opachi che le scendevano sulle spalle totalmente privi di stile, contribuendo al suo aspetto da bambina, e i grandi occhi che facevano pensare a un coniglio abbagliato dai fari. “Tu sei Lacey, giusto?”

“Giusto.”

Lacey restava sempre senza parole quando incontrava persone che conoscevano il suo nome. Soprattutto considerato quello che era appena successo con Brooke…

“Sono Suzy,” disse la ragazza, porgendole la mano e stringendogliela. “Sto per aprire un B&B lungo la costa. Mi hanno dato il tuo nome come buon contatto per l’arredamento.”

Lacey avrebbe voluto che Gina fosse ancora lì per poter scambiare con lei un’occhiata sorpresa, ma purtroppo si trovava da sola, quindi si limitò a stringere la mano che le veniva offerta. Non poteva quasi credere che questo minuscolo pretesto di ragazza fosse la ricca laureata londinese che aveva fatto tanta paura a Carol. Sembrava avere a malapena più di sedici anni ed era timida come un topolino. Sembrava essere pronta per andare in chiesa, non per aprire un’attività.

“Cosa stai cercando?” le chiese Lacey, mascherando la propria sorpresa con la gentilezza.

La ragazza scrollò le spalle imbarazzata. “A essere onesta non ne sono ancora del tutto sicura. Quello che so per certo è che non voglio niente di moderno. Darebbe un’impressione aziendale e priva di anima, capisci? Voglio che appaia grazioso. Lussuoso. Antico.”

“Beh, perché non facciamo un giro per il negozio e vediamo se ci viene qualche ispirazione?” propose Lacey.

“Ottima idea!” rispose Suzy, mostrandole un esuberante e giovane sorriso.

Lacey la portò all’Angolo Steampunk. “Sono stata l’assistente di una designer d’interni per quattordici anni quando ancora stavo a New York,” spiegò mentre Suzy iniziava a curiosare tra gli scaffali. “Resteresti sorpresa nel sapere da dove si possa trarre ispirazione.”

Suzy stava guardando con curiosità la tuta da sommozzatore. Lacey ebbe un’improvvisa visione di un B&B a tema steampunk.

Andiamo da questa parte,” disse frettolosamente, deviando l’attenzione di Suzy verso la Nicchia Nordica.

Ma niente nella sua sezione di ispirazione scandinava sembrò stuzzicare l’entusiasmo della ragazza, quindi continuarono a girovagare per il negozio. Lacey aveva davvero messo su una notevole collezione di articoli nei suoi brevi mesi da antiquaria.

Percorsero la Via delle Lampade e finirono nella Vallata del Vintage.

“Visto niente che ti abbia colpito?” le chiese.

Suzy corrucciò le labbra incerta. “Non proprio. Ma sono sicura che tu riuscirai a trovare qualcosa.”

Lacey esitò. Aveva pensato che lo scopo del tour in negozio fosse di trovare qualcosa che potesse accendere l’ispirazione di Suzy, non la sua!

“Scusami,” disse Lacey un po’ perplessa. “Cosa intendi dire?”

La giovane era impegnata a rovistare nella sua borsetta di stoffa ed evidentemente non la sentì. Tirò fuori un’agenda, sfogliando tra le pagine e facendo poi cliccare il pulsante di una penna biro. Infine la guardò allegramente. “Sei libera domani?”

“Per che cosa?” le chiese Lacey sempre più confusa.

“La ristrutturazione,” disse Suzy. “Non…?” Si interruppe e le sue guance divennero di un rosso intenso. “Oh. Scusa.” Infilò rapidamente penna e agenda nella borsa. “Per me tutta questa cosa degli affari è completamente nuova. Continuo a mettere le cose nell’ordine sbagliato. Lascia che ricominci dall’inizio. Allora: il mio piano è di arredare il B&B in tempo per lo spettacolo aereo e…”

“Lascia che ti interrompa un secondo,” si intromise Lacey. “Quale spettacolo aereo?”

“Lo spettacolo aereo,” ripeté Suzy.

Dal cipiglio che era apparso sulla sua fronte, Lacey dedusse che toccasse a lei ora essere perplessa.

“Il prossimo sabato?” continuò la donna. “Le Frecce Rosse? Il Castello di Brogain? Davvero non sai di cosa sto parlando?”

Lacey era interdetta. Era come se Suzy stesse parlando un’altra lingua. “Avrai capito dal mio accento che non sono di queste parti.”

“No, certo,” disse Suzy arrossendo di nuovo. “Ecco, gli spettacoli aerei sono piuttosto comuni qui nel Regno Unito. Se ne vedono lungo tutta la costa, ma Wilfordshire è una vera perla grazie al Castello di Brogain. Le Frecce Rosse fanno una formazione davvero entusiasmante quando ci passano sopra, e tutti gli studenti che si interessano di fotografia fanno sempre a gara per fare le migliori foto in bianco e nero. La giustapposizione di vecchia e nuova guerra.” Fece il gesto di stampare le parole in aria con le mani e ridacchiò. “Lo so, perché una volta ero fra quegli studenti.”

Vale a dire quattro anni fa, insomma, pensò Lacey.

“Ci sono anche miliardi di fotografi professionisti che vengono all’evento,” continuò Suzy in modo che fece capire a Lacey che era una tipa piuttosto nervosa. “È come una gara, tutti che cercano di fare LA foto per eccellenza, quella che verrà usata per un cartellone turistico. E poi ci sono quelli che vengono a vedere lo spettacolo in onore dei loro antenati. E tutte le famiglie che vogliono semplicemente vedere gli aerei che fanno le loro acrobazie.”

“Mi sa che dovrò dare una rispolverata alla mia competenza di storia locale,” disse Lacey, sentendosi vergognosamente ignorante.

“Oh, sono solo una nerd della storia, tutto qua,” concluse Suzy. “Adoro pensare al modo in cui vivevano le persone qualche generazione fa. Cioè, non è passato poi tanto tempo che la gente andava a caccia per procurarsi il cibo! Mi affascinano in particolare i Vittoriani.”

“I Vittoriani,” ripeté Lacey… “La caccia.” Schioccò le dita. “Ho un’idea!”

Qualcosa negli occhi sgranati e pieni di entusiasmo di Suzy aveva messo in moto gli ingranaggi impolverati nella parte abbandonata della mente di Lacey che si era occupata di interior design in passato. Portò Suzy nella sala d’aste e lungo il corridoio in direzione dell’ufficio.

Suzy guardava con curiosità mentre Lacey apriva la cassaforte e tirava fuori la cassa di legno contenente il fucile a pietra focaia. Fece scattare i fermi, sollevò il coperchio e rimosse delicatamente l’antica arma.

Suzy ebbe un piccolo sussulto.

“Ispirazione per il tuo B&B,” disse Lacey. “Padiglione di caccia vittoriano.”

“Io…” balbettò Suzy. “È…”

Lacey non riusciva a capire se Suzy fosse scioccata o meravigliata dall’idea.

“Mi piace un sacco,” disse la giovane. “È un’idea brillante! Già me lo vedo. Tartan blu. Velluto. Velluto a coste. Un caminetto aperto. Pannelli in legno.” I suoi occhi si erano fatti tondi per la meraviglia.

“Ecco, questa si chiama ispirazione,” le disse Lacey.

“Quanto viene?” chiese Suzy allegramente.

Lacey esitò. Non era sua intenzione vendere il regalo di Xavier. Lo aveva mostrato solo perché diventasse un trampolino di lancio creativo.

“Non è in vendita,” spiegò.

Il labbro inferiore di Suzy si bloccò, leggermente abbassato, per la delusione.

Poi Lacey ricordò le accuse di Gina riguardo a Xavier. Gina pensava che il fucile fosse troppo, e allora cos’avrebbe pensato Tom quando l’avesse visto? Forse la cosa migliore da fare era davvero di venderlo a Suzy.

“… Però…” aggiunse, decidendo all’istante. “Sto aspettando dei documenti.”

Il volto di Suzy si illuminò. “Quindi posso prenotarlo?”

“Certo che sì,” disse Lacey, ritornandole il sorriso.

“E tu?” chiese Suzy con un risolino. “Posso prenotare anche te? Come designer d’interni? Per favore!”

Lacey era titubante. Non si occupava più di design d’interni. Aveva abbandonato quella parte di sé a New York con Saskia. La sua concentrazione era sul comprare e vendere antiquariato, imparare come gestire le aste e costruirsi una sua attività. Non aveva tempo di lavorare per Suzy e allo stesso tempo portare avanti il suo negozio. Certo, poteva affidarlo a Gina, ma con l’aumento dei turisti, lasciarla a gestire il negozio da sola le sembrava una cosa poco saggia.

“Non ne sono sicura,” rispose. “Ho un sacco di cose da fare qui.”

Suzy le posò una mano sul braccio in segno di scusa. “Certo. Capisco. Che ne dici di passare solo di là e dare un’occhiata al posto domani? Vedere se magari ti va di seguire il progetto, dopo aver visto meglio di cosa si tratta?” Lacey si trovò ad annuire. Dopo tutto quello che era successo con Brooke, aveva pensato che sarebbe stata più sospettosa nell’avvicinarsi ad altre persone. Ma forse dopotutto era riuscita finalmente a guarire da tutta quell’odissea. Suzy aveva una di quelle personalità contagiose che con facilità ti risucchiavano con loro. Sarebbe diventata una donna d’affari eccellente.

Forse Carol faceva bene a preoccuparsi.

“Immagino non ci sia niente di male nel dare un’occhiata, giusto?” disse Lacey.

A quest’ora la settimana dopo, Lacey avrebbe ripensato a questo momento in retrospettiva, definendolo con un classico idioma: le ultime parole famose.




CAPITOLO TRE


Lacey guidava sul lungomare nella sua Volvo color champagne, i finestrini abbassati, riscaldata da un delicato sole di mezzogiorno. Era diretta verso la ex casa di riposo che presto sarebbe diventata un B&B nuovo di zecca, e portava sul sedile del passeggero una sorpresa per Suzy. Non Chester: il fido compagno stava pisolando soddisfatto, anche lui baciato dal sole, e poi Lacey era piuttosto certa che Suzy avesse paura dei cani. No, le stava portando il fucile a pietra focaia.

Lacey non era sicura di fare la cosa giusta separandosi da quell’oggetto. Quando lo aveva tenuto in mano, le era sembrato che le appartenesse, come se l’universo le stesse dicendo che se ne doveva prendere cura. Ma Gina le aveva piantato questa pulce nell’orecchio su Xavier e le sue intenzioni e lei non riusciva a vedere con chiarezza attraverso le nubi.

“Mi sa che ora è troppo tardi,” disse Lacey con un sorriso. Aveva già promesso di venderlo a Suzy, e sarebbe sembrato molto poco professionale da parte sua rimangiarsi la parola sulla vendita ora, e per di più con la mera giustificazione di una strana sensazione!

In quel momento Lacey passò davanti alla vecchia caffetteria di Brooke. Era tutto sprangato. La ristrutturazione che aveva fatto, trasformando il vecchio capanno per canoe in un locale chic, era andata del tutto in malora.

Il pensiero di Brooke innervosì Lacey, ed era assolutamente l’ultima cosa che aveva bisogno di aggiungere all’inquietudine che già provava al pensiero di separarsi dal fucile.

Premette più a fondo il pedale dell’acceleratore, sfilando via più velocemente, nella speranza di lasciarsi alle spalle quelle orribili sensazioni.

Presto raggiunse la parte orientale della città, l’area meno popolata e priva dei negozi e locali che si diramavano da nord a sud nella zona occidentale e nel centro. Questa era l’area che – secondo Carol – il sindaco Fletcher avrebbe modificato in peggio.

Lacey si accorse della svolta che portava alla ex Casa di Riposo Sunrise, e girò quindi a sinistra. La strada sconnessa piegava leggermente in salita ed era fiancheggiata da faggi così alti da formare una galleria che schermava il sole.

“Per niente minaccioso…” disse Lacey con sarcasmo. “Neanche un po’.”

Per fortuna gli alberi presto si diradarono e la luce del giorno rifece capolino.

Lacey scorse per la prima volta l’edificio arroccato sul versante della collina. La sua mente da designer d’interni si accese subito mettendosi a valutare l’aspetto esterno. Era una struttura piuttosto moderna, a tre piani, in mattoni rossi. Ipotizzò potesse risalire agli anni Trenta e che fosse stata rimodernata negli anni. Il vialetto di accesso e la zona del parcheggio erano in cemento grigio, funzionale ma inguardabile. Le finestre avevano spesse cornici in plastica bianca, buone per tenere a bada i ladri, ma un terribile pugno in un occhio dal punto di vista estetico. Ci sarebbero voluti dei decisi colpi di mano strategici per far assomigliare la facciata a un padiglione di caccia vittoriano.

Bene: questo era il problema che Lacey avrebbe dovuto risolvere. Non aveva ancora preso nessuna decisione riguardo all’offerta di Suzy. Voleva parlarne con Tom per chiedergli consiglio, ma aveva lavorato fino a tardi per completare un ordine dell’ultimo minuto di cupcake con glassa arcobaleno per lo spettacolo estivo annuale del gruppo giovani locale.

Aveva anche mandato un messaggio nel gruppo che condivideva con sua madre e la sua sorella più giovane, e aveva ricevuto in risposta un Non lavorare troppo dalla prima, e un Se ti paga bene, vai dall’altra.

Lacey parcheggiò l’auto, quindi si diresse verso i gradini che fiancheggiavano l’antiestetica rampa per le sedie a rotelle. L’accesso disabili – e probabilmente anche le misure interne – sarebbero stati un grosso vantaggio da sfruttare. Né il B&B di Carol né la Coach House Inn erano adatti per ospiti con disabilità e non erano dotati di accesso esterno dalla strada in ciottoli. Per di più disponevano di scale interne strette e non erano dotati di ascensore.

In cima ai gradini, Lacey raggiunse un’ampia veranda in vetro in stile serra. Era così anni Novanta che le fece venire in mente a un centro ricreativo.

Le porte si aprirono e lei entrò. Qui i suoi occhi vennero assaliti da un’enorme distesa di linoleum, severe file di luci sul soffitto e delle pacchiane tendine da sala d’aspetto alle finestre. Nell’angolo si trovava un distributore di acqua fresca che emetteva un costante glu glu glu, accanto a una schiera di distributori automatici.

Quindi Suzy sapeva quanto lavoro ci fosse da fare.

“Lacey! Ciao!” le disse la ragazza con voce cinguettante.

Lacey si guardò attorno e la vide saltare fuori da dietro un bancone: un enorme mostruosità in finto legno che sembrava essere stata creata con lo stesso materiale dell’edificio.

“Stavo controllando la situazione delle prese qui,” spiegò Suzy. “Greg, l’organizzatore di eventi, deve sapere quanti punti disponibili ci siano per l’elettricità. È un vero drago, sul serio. Se avessi più tempo, assumerei qualcun altro. Ma chi mendica non può scegliere. Quindi vada per lo scorbutico Greg.” Sorrise.

“Per cosa ti serve un organizzatore di eventi?” le chiese Lacey.

“Per la festa di inaugurazione, ovviamente,” le rispose Suzy.

Prima che Lacey avesse la possibilità di chiederle altro, la ragazza le si avvicinò e l’abbracciò. Il gesto la colse di sorpresa, ma nonostante il fatto che si conoscevano a malapena, Lacey lo trovò tutto sommato piuttosto naturale. Era come se la giovane fosse un’amica di lunga data, anche se si erano conosciute neanche ventiquattr’ore prima.

“Posso offrirti una tazza di tè?” le chiese Suzy. Poi arrossì. “Scusa, tu sei americana. Preferisci del caffè, forse?”

Lacey ridacchiò. “Da quando mi sono trasferita qui ho acquisito un certo gusto per il tè, a dire il vero. Ma sono a posto, grazie.” Fu attenta a non lasciare che il suo sguardo andasse ai distributori automatici e al tè acquoso e presumibilmente di bassa qualità che ne veniva fuori. “Facciamo un giro?”

“Nessuna perdita di tempo. Mi piace,” disse Suzy. “Ok. Bene, questa ovviamente è l’area della reception.” Allargò le braccia e sorrise con entusiasmo. “Come puoi probabilmente notare, è fondamentalmente una veranda che hanno aggiunto negli anni Novanta. Oltre alla possibilità di buttare giù tutto, non ho idea di come far sembrare questo posto un padiglione di caccia vittoriano, ma immagino che in questo campo sia tu l’esperta. Cioè, se deciderai di lavorare per me.” Rise e le fece cenno di seguirla verso una doppia porta interna. “Da questa parte.”

Entrarono in un lungo corridoio scarsamente illuminato. Una serie di lucidi cartelli in plastica erano fissati al muro fornendo direzioni verso ‘sala TV’, ‘sala da pranzo’, ‘giardino’ e ‘infermeria’. C’era un odore molto caratteristico nell’aria, come di borotalco.

Lacey arricciò il naso. La consapevolezza dell’enormità di quel compito si stava facendo sempre più evidente e lei provava una crescente sensazione che sarebbe stato un impegno troppo grande da assumersi.

Seguì Suzy nella sala TV. Era uno spazio gigantesco, scarsamente arredato e con lo stesso rivestimento di linoleum con effetto finto legno sul pavimento. Le pareti erano rivestite di carta da parati.

“Stavo pensando di trasformare questa stanza in salotto,” iniziò a spiegare Suzy, gironzolando per la sala mentre la sua gonna zingaresca le fluttuava attorno. “Voglio un caminetto aperto. Mi pare ce ne sia uno di murato dietro a questa nicchia. E possiamo mettere della bella roba rustica in quest’angolo.” Fece un gesto vago con il braccio. “O in quello. Come preferisci tu.”

Lacey si sentiva sempre più incerta. Il lavoro che Suzy voleva da lei era più che un semplice incarico da interior designer! Non aveva neanche davanti la pianta della disposizione. Ma la ragazza sembrava una sognatrice, e lei non poteva che ammirare quell’aspetto. Lanciarsi in un compito senza nessuna esperienza pregressa era dopotutto quello che Lacey stessa stava facendo, e quel rischio l’aveva ripagata. Ma l’altro lato della medaglia era che Lacey non aveva avuto accanto nessuno che fosse per lei la voce della ragione. Oltre a sua mamma e Naomi – che erano ad anni luce di distanza l’una dall’altra – nessun altro le aveva detto che stava facendo una follia. Ma essere ora effettivamente quella persona e avere davanti qualcuno che si stava buttando a capofitto in un compito impossibile… Lacey non era proprio sicura sul da farsi. Non aveva il cuore di spezzare i sogni di Suzy, ma non era neanche tipo da tirarsi indietro e starsene ferma a guardare mentre la nave affondava.

“Alla sala da pranzo si può accedere da qui,” stava dicendo Suzy nella sua maniera spensierata. Condusse rapidamente Lacey nella stanza attigua. “Terremo questa come sala da pranzo, perché ha un accesso alla cucina da qui.” Indicò la porta a vento alla sua destra. “E da qui c’è la migliore visuale sul mare, e sui prati.”

Lacey non poté fare a meno di notare che Suzy stava già parlando come se lei avesse accettato il lavoro. Si morse il labbro con trepidazione e passò attraverso la porta a vetri scorrevole che occupava l’intera parete opposta. Il giardino, anche se piuttosto ampio, era costituito solo da erba e da sporadiche panchine rivolte verso l’oceano che si scorgeva in lontananza.

“A Gina piacerebbe un sacco questo posto,” disse Lacey, cercando un aspetto positivo.

“Gina?” chiese Suzy.

“La signora che lavora al negozio con me. Capelli spettinati. Occhiali rossi. Stivali di gomma. È strepitosa nel giardinaggio. Questa sarebbe come una tela bianca per lei.” Si voltò a guardare Suzy. “Ha cercato di insegnarmi qualche trucchetto di giardinaggio, ma penso di essere ancora troppo newyorkese per potermi dedicare alle piante.”

Suzy rise. “Beh, quando si tratterà di fare il giardino, farò una chiamata a Gina.”

Suzy continuò nel loro veloce tour, attraverso la cucina, in corridoio, attraverso l’ascensore e su fino a una delle camere.

“Sono tutte molto ampie,” le spiegò mentre le faceva vedere.

“Direi,” rispose Lacey, calcolando quanta mobilia sarebbe servita per arredarle in maniera adeguata.

Ci sarebbe stato bisogno di più del solito letto, armadio e comodino che avevano la maggior parte delle camere in un B&B. Erano tanto grandi da poter ospitare un’area separata con poltrona e divanetto con tavolino, e un angolo per la cabina armadio con tanto di specchiera. Lacey se la poteva immaginare, ma ci sarebbe voluta un sacco di coordinazione per realizzare tutto entro lo spettacolo aereo di sabato.

“E quante stanze hai detto che ci sono?” le chiese, guardando nervosamente verso la porta e il corridoio buio, che era fiancheggiato di porte da entrambi i lati. Non voleva far capire a Suzy con troppa brutalità quanto lavoro sarebbe servito per rimettere in sesto quel posto, quindi quando la ragazza rientrò nella stanza, Lacey cambiò fulmineamente espressione, mostrandosi il più ricettiva possibile.

“In totale ci sono quattrocento metri dedicati all’alloggio,” spiegò Suzy. “Sei camere da letto e una suite matrimoniale. Penso che due o tre possano bastare per cominciare.”

Sembrava così rilassata per tutta la faccenda, nonostante non conoscesse esattamente quante camere volesse realmente arredare!

“E hai bisogno di fare tutto entro lo spettacolo aereo di sabato?” chiese Lacey, come se un chiarimento in più potesse in qualche modo dare maggiore senso alla cosa.

“Venerdì, a dire il vero,” la corresse. “È lì che farò la festa di inaugurazione.”

Lacey ricordò che Suzy aveva parlato dello scorbutico Greg, l’organizzatore di eventi, e della festa di inaugurazione. Poi la sua domanda sul giorno in cui si sarebbe tenuta si era persa nel momento in cui Suzy l’aveva sorpresa con quell’abbraccio.

“Venerdì…” ripeté Lacey quasi ipnotizzata, mentre seguiva Suzy fuori dalla stanza e tornava con lei all’ascensore.

Le porte si chiusero dietro di loro e Suzy rivolse i suoi occhi speranzosi verso Lacey. “Allora? Cosa ne pensi?”

L’ascensore iniziò la sua discesa, facendole sobbalzare lo stomaco.

“Hai una bella chicca qui,” le disse, scegliendo con attenzione le proprie parole. “Ma il tempo a disposizione è limitatissimo. Questo lo sai, giusto?”

“È quello che ha detto lo scorbutico Greg,” rispose Suzy, le labbra che si corrucciavano e il tono più cupo. “Ha detto che organizzare uno spettacolo pirotecnico in tempo per venerdì sarebbe stato quasi impossibile.”

Lacey trattenne la lingua, anche se in realtà avrebbe voluto dire che trovare dei fuochi d’artificio sarebbe stato decisamente meno difficile che trasformare quattrocento metri quadri di ospizio in un padiglione di caccia vittoriano con l’arredamento del tempo. Se l’organizzatore di eventi pensava che i tempi fossero stretti, allora lei cosa avrebbe dovuto dire?

Le porte dell’ascensore si aprirono e le due uscirono nel corridoio principale al piano terra, con il suo pavimento in linoleum e una miriade di segnaletica e locandine mediche inchiodati alle pareti.

Lacey vide che Suzy li guardava come se li avesse notati solo adesso. Come se le fosse venuto in mente solo ora quanto lavoro sarebbe servito per trasformare quel posto. Per la prima volta le parve un po’ stravolta. La preoccupazione iniziava a intravedersi nei suoi occhi.

“Pensi che abbia fatto il passo più lungo della gamba?” le chiese mentre si dirigevano verso l’atrio.

L’istinto di Lacey le disse di non deluderla.

“Non intendo mentire,” spiegò con attenzione. “Ci vorrà un sacco di duro lavoro. Ma penso che sia possibile. Ho già un sacco di materiale che sarebbe appropriato per il tema. Ma ci sono alcune cose davvero grosse a cui devi dare priorità prima che possa avere inizio qualsiasi lavoro di ristrutturazione.”

“Tipo cosa?” le chiese Suzy, afferrando un pezzo di carta a caso, come se pendesse davvero da ogni parola da esperta che prendeva forma nella bocca di Lacey.

“I pavimenti,” iniziò Lacey, attraversando la stanza. “Questo linoleum deve sparire. I muri vanno ripuliti da quell’orribile carta da parati. Il soffitto spatolato. Solo l’apertura del caminetto richiederà una squadra intera…”

“Quindi, fondamentalmente eviscerare l’edificio e ricominciare da capo?” la interruppe Suzy, sollevando lo sguardo dai suoi appunti.

“Più o meno. E non prendere scorciatoie. Quando si parla di interni, la cosa importante sono i piccoli dettagli. Devi creare una fantasia. Non carta da parati finta con disegnati i pannelli di legno. Se decidi di avere i pannelli, falli veri. Il finto dà l’idea di economico. Quindi cercare i materiali veri è un’assoluta priorità.”

Suzy tornò a scribacchiare, annuendo per tutto il tempo mentre Lacey parlava. “Conosci un bravo tuttofare?”

“Suzy, hai bisogno di dieci tuttofare,” la corresse Lacey. “Almeno! E una dozzina di restauratori. Hai il budget per tutto questo?”

Suzy sollevò lo sguardo. “Sì, direi di sì. Cioè, non sarò in grado di pagare nessuno fino a che l’hotel non inizierà a portare soldi, il che forse mi complicherà la ricerca di persone disposte a fare il lavoro…”

La sua voce si interruppe e al contempo la ragazza rivolse a Lacey uno sguardo speranzoso, con occhioni da cucciolo implorante.

Lacey si sentiva ancora meno sicura di prima. Non essere pagata in anticipo sarebbe stato rischioso, dato che avrebbe dovuto procurare un sacco di merce che le sarebbe costata attorno alle diecimila sterline. E buttarsi su un progetto del genere quando il tempo a disposizione era così limitato, e quando aveva la sua attività da tenere a bada, poteva essere poco saggio. Ma d’altro canto il giro di perlustrazione le era piaciuto e poteva immaginarsi come le sarebbe sembrato il posto una volta riempito di tanti pezzi d’antiquariato. Si era anche divertita a dare mostra della sua competenza in ambito di design d’interni, combinata ora con i suoi nuovi talenti nella sfera delle antichità. Suzy le stava offrendo un’opportunità unica, e il B&B si sarebbe assolutamente rivelato un’attività redditizia in pochissimo tempo. Sì, sarebbe stato un grosso rischio finanziario, e un enorme uso di tempo ed energia per lei, ma quando le sarebbe mai ricapitata un’occasione come questa?

Non ancora del tutto pronta a dare a Suzy una risposta definitiva, Lacey disse: “Aspetta un attimo.”

Uscì e andò all’auto, da dove prese la cassa con il fucile, riportandola con sé dentro all’edificio.

“Il fucile!” disse Suzy raggiante, sorridendo quando lo vide. Sembrava entusiasta come la prima volta che Lacey gliel’aveva mostrato ieri al negozio. “Lo hai portato? Per me?”

“Già,” le rispose Lacey.

Lo posò sul bancone della reception e aprì i fermi.

Suzy allungò una mano e fece scorrere le dita lungo la canna. “Posso prenderlo in mano?”

“Certo,” disse Lacey.

Suzy lo tirò fuori dalla cassa e si mise in posa da tiratrice. Sembrava quasi una professionista, tanto che Lacey stava per chiederle se fosse mai stata a caccia. Ma prima che potesse chiederlo, si sentì il rumore delle porte automatiche che davano accesso all’atrio dall’esterno.

Lacey si voltò e vide un uomo con un abito scuro che passava attraverso le porte. Dietro di lui c’era una donna con un tailleur cremisi scuro con gonna, di taglio presidenziale. Lacey riconobbe la donna dalle assemblee cittadine. Era la consigliera Muir, la loro deputata locale.

Anche Suzy si girò, il fucile ancora in mano.

Vedendolo, l’uomo si fermò, allargando le braccia come a voler proteggere la consigliera Muir.

“Suzy,” starnazzò Lacey. “Metti giù il fucile!”

“Oh!” disse Suzy, le guance che avvampavano.

“È solo un pezzo d’antiquariato,” spiegò Lacey all’uomo della sicurezza, che stava ancora tenendo il braccio davanti alla consigliera Muir.

Alla fine, un po’ esitante, lo abbassò.

La donna si lisciò il vestito con le mani e si diede una ritoccatina ai capelli. “Grazie, Benson,” disse con tono rigido alla guardia del corpo che si era preparata a prendere un proiettile in corpo al posto suo. Sembrava più che altro imbarazzata.

“Scusa, Joanie,” disse Suzy, “se ti ho puntato un fucile in faccia.”

Joanie? pensò Lacey. Era un modo molto familiare per rivolgersi alla donna. Le due si conoscevano a livello personale?

La consigliera Muir non disse nulla. Il suo sguardo andò a Lacey. “Questa chi è?”

“Questa è la mia amica Lacey,” spiegò Suzy. “Si occuperà della ristrutturazione del B&B. Forse.”

Lacey fece un passo avanti e offrì la mano alla donna. Non l’aveva mai veramente vista da vicino, ma solo durante i convegni dal podio del municipio, o su occasionali volantini che venivano infilati insieme alla posta nella sua cassetta. Era sulla cinquantina, più vecchia che nella sua foto ufficiale: le rughe attorno agli occhi lo rendevano chiaro. Sembrava stanca e stressata e non prese la mano tesa di Lacey, dato che aveva il braccio occupato a tenere una grossa cartella di cartone.

“È la licenza per la mia attività?” squittì Suzy eccitata, quando si accorse del pacco.

“Sì,” disse la consigliera Muir frettolosamente, mettendole la cartella tra le mani. “Sono venuta qui proprio per consegnartela.”

“Joanie si è occupata per me di queste pratiche in maniera davvero rapida,” disse Suzy a Lacey. “Come si dice? Procedura accelerata?”

“Prioritaria,” la corresse la guardia del corpo, guadagnandosi un’occhiata piuttosto tagliente da parte della consigliera Muir.

Lacey si accigliò. Era piuttosto insolito che una consigliera portasse a mano una licenza. Quando Lacey aveva fatto domanda per la sua, c’erano voluti un sacco di moduli da compilare e lunghe attese in diversi uffici comunali prima che venisse chiamato il numero sul suo biglietto, come in fila dal macellaio. Si chiese come mai Suzy stesse ottenendo questo trattamento da tappeto rosso. E perché si stessero già dando del tu.

“Vi conoscevate già?” chiese Lacey, avventurandosi nel tentativo di scoprire come stessero realmente le cose.

Suzy ridacchiò. “Joan è mia zia.”

“Ah,” commentò Lacey.

Allora aveva perfettamente senso. La consigliera Muir aveva approvato il lavoro accelerato di passaggio dell’edificio da casa di riposo a B&B perché aveva un collegamento famigliare con Suzy. Carol aveva avuto ragione. Qui c’era in ballo una buona dose di nepotismo.

“Ex zia,” la corresse la consigliera Muir sulla difensiva. “E non di sangue. Suzy è la nipote del mio ex marito. E questo non ha avuto nessuna influenza sulla decisione di garantire la licenza. È semplicemente ora che Wilfordshire abbia un B&B di dimensioni decenti. Il turismo sta crescendo di anno in anno e le nostre attuali strutture non stanno al passo con la domanda.”

A Lacey appariva evidente che la consigliera Muir stava tentando di deviare l’argomento della conversazione dall’ovvio trattamento preferenziale che Suzy aveva ottenuto. Ma non era proprio necessario. Non cambiava l’opinione che lei aveva della giovane, dato che non era colpa sua se aveva dei buoni contatti. Per quanto la riguardava, la ragazza dimostrava un buon carattere e stava usando i suoi buoni contatti per fare qualcosa, piuttosto che per adagiarsi sugli allori. Se c’era qualcuno che ne usciva male, era la consigliera Muir stessa, e non perché avesse usato la sua influente posizione per garantire un grosso favore alla nipote del suo ex marito, ma perché si comportava al riguardo in modo così nebuloso e schivo. Non c’era da stupirsi che le Carol di Wilfordshire avessero tanto da ridire sui progetti di ristrutturazione della zona orientale!

La consigliera vestita di cremisi stava ancora spiattellando le sue scuse. “A dire il vero la cittadina ha tante domande da necessitare due B&B di queste dimensioni, soprattutto se si considerano tutti i commerci extra che otterremo dal ripristino del vecchio club di caccia.”

L’attenzione di Lacey fu subito ridestata. Pensò al biglietto di Xavier e al suo suggerimento che suo padre venisse a Wilfordshire per la caccia estiva.

“Il vecchio club di caccia?” chiese.

“Sì, quello alla villa Penrose,” spiegò la consigliera Muir, indicando con il braccio verso una generica direzione dall’altra parte della vallata, dove si trovava effettivamente quella proprietà.

“Lì una volta c’era una foresta, vero?” intervenne Suzy. “Ho sentito dire che Enrico VIII aveva fatto costruire il suo padiglione di caccia lì per poter venire a cacciare i cinghiali!”

“Esatto,” disse la consigliera annuendo in modo molto formale. “Ma alla fine la foresta è stata abbattuta. Come con altre proprietà inglesi, i nobili hanno intrapreso giochi di caccia agli uccelli non appena sono state inventate le armi da fuoco, e questo si è poi trasformato nell’industria che conosciamo oggi. Al giorno d’oggi ci sono allevatori di anatre selvatiche, pernici e fagiani solo per la caccia.”

“E conigli e piccioni?” chiese Lacey, ricordando il contenuto della lettera di Xavier.

“Quelli si possono cacciare tutto l’anno,” confermò la consigliera Muir. “Il circolo della caccia di Wilfordshire faceva lezioni per gli appassionati quando la stagione era chiusa, facendo pratica con piccioni e conigli. Non proprio elegante, ma da qualche parte bisogna pur cominciare.”

Lacey lasciò che l’informazione prendesse posto nella sua mente. Corrispondeva in modo così preciso con quello che diceva la lettera di Xavier che non poteva fare a meno di credere veramente che suo padre venisse davvero a Wilfordshire in estate per andare a caccia presso la Villa Penrose. Questo, insieme alla foto di suo padre che aveva visto a casa di Iris Archer, la precedente proprietaria, le faceva sembrare tutto più probabile.

Era per questo che il fucile le era sembrato così familiare? Perché da qualche parte nella sua mente c’erano ricordi a cui ora non riusciva ad accedere?

“Non avevo mai saputo che ci fosse un padiglione di caccia alla Villa Penrose. “Quand’è che il circolo di caccia ha smesso di essere operativo lì?”

“Circa una decina d’anni fa,” le rispose la consigliera Muir. Aveva un tono teso, come se quella conversazione non le piacesse molto. “Hanno interrotto l’attività per…” Esitò, evidentemente alla ricerca delle parole più diplomatiche per potersi spiegare. “… mala amministrazione finanziaria.”

Lacey non poteva esserne certa, ma sembrava esserci una nota di malinconia nel tono della consigliera, come se avesse una qualche forma di collegamento famigliare al circolo della caccia e alla sua recente chiusura un decennio prima. Lacey avrebbe voluto chiedere di più, scoprire se ci fossero maggiori indizi che la potessero ricondurre a suo padre, ma la conversazione si era già spostata con l’intervento entusiastico di Suzy: “Quindi vedi quanto potenziale ancora da scoprire c’è qui, e perché dovresti assolutamente salire a bordo di questo progetto!”

La consigliera annuì nella sua maniera rigida. “Se avessi una possibilità di coinvolgimento nella restaurazione della parte orientale di Wilfordshire,” disse, “la accetterei di certo. Il B&B è solo l’inizio. Il sindaco Fletcher ha piani molto grossi per questa cittadina. Se lei si fa un nome in questa attività, sarà in cima ai contatti di tutti quando si tratterà di progetti futuri.”

Lacey si sentiva decisamente sempre più intrigata dall’offerta di lavoro. Non solo per l’enorme possibilità che le offriva di dare visibilità al proprio nome – guadagnando potenzialmente un discreto profitto occupandosene – ma anche per il modo in cui la faceva sentire connessa a Wilfordshire, e quindi a suo padre. Si chiese se anche lui avesse visto tutte le potenzialità di quella cittadina quando l’aveva visitata. Forse era per questo che era venuto qui: perché aveva visto una possibilità lavorativa in cui avrebbe voluto investire?

O perché voleva fuggire dal suo matrimonio e dalla sua famiglia e stabilirsi in un posto diverso e più adatto a lui, pensò Lacey.

“Ora sarà meglio che vada,” disse la consigliera Muir, facendo segno al suo accompagnatore. L’uomo scattò subito in azione. “Devo presenziare all’orario di ricevimento. La gente del posto è furiosa per la pedonalizzazione che è stata proposta per la strada principale. Onestamente si comportano come se avessi deliberato il riversamento di lava nelle strade dove lavorano.” Rivolse a Suzy un breve ma significativo cenno e se ne andò.

Non appena fu uscita, Suzy si voltò verso Lacey con sguardo felice, la cartellina contenente la sua licenza ora ben stretta in mano.

“Allora?” le chiese. “Cosa dici? Ci stai?”

“Posso avere un po’ di tempo per pensarci?”

“Certo,” disse Suzy ridacchiando. “Apriamo tra una settimana. Prenditi tutto il tempo che vuoi per decidere quello che preferisci.”


*

Lacey aprì la porta del suo negozio di antiquariato. Boudicca e Chester le vennero incontro festosi peer salutarla. Lei ricambiò accarezzando la testa a tutti e due.

“Sei tornata,” le disse Gina, sollevando gli occhi dalla rivista di giardinaggio che stava sfogliando. “Com’è andata con la bambina prodigio?”

“È stato interessante,” disse Lacey. Le si avvicinò e si sedette su uno sgabello al banco accanto a lei. “È un posto eccezionale, con un sacco di potenziale. E sembra che anche la consigliera lo pensi.”

Gina chiuse la sua rivista di giardinaggio. “La consigliera?”

“Sì, la consigliera Muir,” le spiegò Lacey. “È la zia di Suzy. Questa faccenda del B&B sembra essere parte del progetto del sindaco Fletcher di risanare la zona orientale di Wilfordshire. Non che sia colpa di Suzy in sé, ma la fa sembrare ancora più al di là delle sue capacità. Chissà com’è il suo reale piano industriale, o se è stato approvato solo grazie a sua zia.”

Gina si accarezzò il mento. “Uhm. Quindi Carol alla fine aveva in parte ragione.”

“In un certo senso.”

“Ma mettendo da parte tutta questa roba politica,” aggiunse Gina, ruotando sul suo sgabello in modo da essere perfettamente di fronte a Lacey, “cosa vorrebbe dire per te esservi coinvolta?”

Lacey esitò. Una piccola scintilla di trepidazione le si accese nello stomaco. Se metteva da parte tutti i dubbi insinuanti che le ruotavano per la testa, questa era davvero un’opportunità straordinaria.

“Significa che avrò la responsabilità di arredare una proprietà di quattrocento metri quadri con pezzi di antiquariato. Per un’amante delle antichità, è fondamentalmente il paradiso.”

“E i soldi?” le chiese Gina.

“Oh, mi porterà un sacco di dollari. Si parla di migliaia di sterline di inventario. Un’intera sala da pranzo. Un foyer. Un bar. Sei camere da letto e una suite matrimoniale. È un incarico enorme. Aggiungici la potenzialità di altro lavoro in futuro mettendo così allo scoperto il mio nome, e il fatto che avere un B&B per occasioni speciali come lo spettacolo aereo porterà un effetto di lancio in avanti per il resto della città…”

Gina stava iniziando a sorridere. “Mi sembra di capire che hai accettato.”

Lacey annuì in modo evasivo. “Forse sì. Ma non sarebbe una follia? Cioè, vuole tutto pronto per lo spettacolo aereo. Che è sabato!”

“E da quando in qua ti fa paura lavorare sodo?” le chiese Gina con freddezza. Fece un gesto con le braccia a indicare l’intero negozio. “Guarda tutto quello che hai già ottenuto lavorando duramente.”

Lacey era troppo modesta per poter accettare il complimento, ma capiva il sentimento che ci stava dietro. Era diventata un’amante del rischio. Se non avesse lasciato il suo lavoro a New York, prendendo poi il primo volo per l’Inghilterra, non avrebbe mai costruito questa meravigliosa vita per se stessa. Sarebbe stata una triste divorziata che ancora portava il caffè a Saskia come una stagista, piuttosto che essere considerata un’assistente con quattordici anni di esperienza. Accettare questo lavoro con Suzy era il genere di cosa per cui Saskia avrebbe lottato con denti e unghie. Bastava questo come ragione per farlo.

“Penso che tu sappia cosa fare,” le disse Gina. Prese il telefono e lo posò davanti a Lacey. “Fai un colpo di telefono a Suzy e dille che sei a bordo.”

Lacey fissò il telefono, mordendosi il labbro inferiore. “E tutti i costi?” le disse. “Un inventario del genere in un tempo così breve sarà un’uscita enorme tutta in un colpo. Molto più di quanto spenderei di solito per una fornitura.”

“Verrai pagata, pero,” la incoraggiò Gina.

“Solo dopo che il B&B avrà iniziato ad avere un profitto.”

“Che è un dato di fatto, no? Quindi a suo tempo avrai anche tu il tuo guadagno.” Gina spinse il telefono verso di lei. “Penso che tu stia cercando delle scuse.”

Aveva ragione, ma questo non impedì a Lacey di trovarne un’altra.

“E tu?” le disse. “Dovrai occuparti del negozio per una settimana intera? Io non avrò tempo di fare nient’altro.”

“Posso gestire il negozio perfettamente da sola,” le assicurò la donna.

“E Chester? Dovrà stare con te mentre io lavoro. A Suzy non piacciono i cani.”

Lacey guardò Gina, il telefono, poi di nuovo Gina. Infine, con un rapido movimento, alzò la cornetta e digitò il numero di Suzy.

“Suzy?” disse nel momento in cui la ragazza rispose. “Ho deciso. Ci sto.”




CAPITOLO QUATTRO


“Oh, Percy, sono meravigliose!” disse Lacey al telefono, guardando la scatola aperta davanti ai propri occhi e contenente delle posate d’argento che aveva appena ricevuto dal suo commerciante d’antiquariato preferito a Mayfair. Si trovava nel disordinato ufficio sul retro del negozio, circondata da raccoglitori colmi di elenchi, bozzetti, tavole di stile, disegni di dettagli e una pila di tazze sporche di caffè.

“Sono tutte raccolte in set completi,” spiegò Percy. “Da insalata, da zuppa, da pesce, da cena, da dessert e da ostriche.”

Lacey era raggiante. “Non so neanche se Suzy avesse in programma di servire delle ostriche, ma se i Vittoriani avevano forchettine da ostriche sulle loro tavole, allora sarà meglio che anche noi abbiamo le nostre.”

Sentì Percy ridere affettuosamente attraverso il ricevitore. “È una cosa davvero entusiasmante,” disse. “Devo dire che non mi capita spesso di ricevere un ordine per tutto ciò che possiedi di Vittoriano.”

“Sì, beh,” disse Lacey, “sono sicura che non ti capiti spesso che uno dei tuoi clienti abbia il compito di trasformare una casa di riposo in una B&B a tema vittoriano nel giro di una settimana!”

“Dimmi un po’, hai tempo per dormire?”

“Quattro buone ore a notte,” rispose allegramente Lacey.

Nonostante stesse lavorando davvero sodo, fino ad ora aveva trovato l’intero progetto fortemente entusiasmante. Addirittura inebriante. Era come un enigma che solo lei poteva risolvere, con un orologio nell’angolo a scandire il tempo.

“Non sfinirti,” le disse Percy, assumendo come sempre il suo tono gentile e premuroso.

Lacey terminò la chiamata, afferrò un pennarello e mise un segno di spunta accanto alla voce ‘utensili’. Ora era a metà della lista, dopo essere riuscita a ottenere un centinaio di favori e aver guidato su e giù tra Bristol e Bath per andare a prendere alcuni pezzi particolarmente eccezionali, e addirittura a Cardiff per recuperare una meravigliosa fontanella di pietra che avrebbe fatto un figurone nell’atrio.

Il foyer si era rivelato l’ambiente più difficile da arredare nel complesso. La sua architettura era fondamentalmente quella di un giardino d’inverno, o veranda. Lacey aveva preso ispirazione dalle strutture vittoriane come l’Alexandra Palace a Londra e la serra dei Kew Gardens. Ora c’erano al lavoro i restauratori che stavano togliendo la pavimentazione in linoleum, eliminando le tendine da sala d’aspetto di studio dentistico e ricoprendo la cornice in plastica bianca con strati di metallo flessibile, colorato di nero per assomigliare a ferro.

Fino ad ora il lavoro era stato divertente, anche con il poco sonno e le ore in auto. Ma l’incidenza che aveva avuto sul suo conto bancario era un po’ allarmante. Lacey aveva raccolto mobilia per un valore di migliaia e migliaia di sterline, tutti pezzi perfetti per il tema padiglione di caccia di Suzy. E anche se sapeva che Suzy avrebbe saldato il conto non appena avesse messo insieme i soldi necessari, si sentiva comunque molto a disagio nel vedere quel grosso buco nel suo conto. Soprattutto considerando il patto che aveva stretto con Ivan riguardo al mutuo per il Crag Cottage. Odiava l’idea di non essere puntuale sul pagamento mensile che doveva a un uomo così dolce come quello che le aveva venduto la sua casa da sogno, ma se il conto con Suzy non fosse stato saldato entro la fine di giugno, sarebbe stata costretta a farlo.

Solo il fucile valeva 5.000 sterline! A Lacey era quasi andato di traverso il cappuccino che stava bevendo quando aveva cercato il valore dell’arma per poterla aggiungere al conto di Suzy, e aveva subito inviato un messaggio a Xavier per dirgli che gli avrebbe fatto un bonifico. Ma lui le aveva risposto con un ‘È un regalo’, il che l’aveva fatta sentire in colpa per averlo immediatamente venduto. Ma non così in colpa. Perché chi mai inviava regali del genere a una donna, senza avere certi pensieri in testa? Lacey stava iniziando a credere che Gina avesse ragione riguardo alle intenzioni di Xavier, e aveva deciso quindi di ridurre al minimo i contatti con lui. E poi aveva una pista tutta nuova da seguire nella ricerca di suo padre, adesso, con il vecchio circolo di caccia della Villa Penrose, quindi Xavier non le era più così essenziale come prima.

Nel salone principale del negozio, Lacey poteva sentire Gina che si dava da fare. Fino ad ora la donna aveva gestito piuttosto bene ciò che le veniva richiesto dal nuovo programma quotidiano. Il suo divieto di sollevare pesi era stato temporaneamente sospeso, e anche se a Gina non dava fastidio, Lacey era preoccupata di far lavorare troppo una pensionata.

In quel momento Lacey sentì risuonare il campanello nell’altra stanza, seguito dall’allegro abbaiare di Chester e Boudicca. Capì subito che significava che era arrivato Tom. Interruppe ciò che stava facendo e corse di là.

E il suo bello infatti era lì, già intento a dare le sue speciali carrube ai cani. Quando la sentì arrivare sollevò lo sguardo e le rivolse uno dei suoi disarmanti sorrisi.

A Lacey sembravano essere passati secoli da quando lo aveva visto o gli aveva parlato l’ultima volta. Lui era stato troppo impegnato a preparare cupcake con la glassa arcobaleno, e lei era sommersa dalle sue antichità vittoriane. Tra tutti e due non avevano avuto neanche un momento per inviare un messaggio, figurarsi per trovarsi nello stesso posto alla stessa ora!

Lacey gli corse incontro e gli diede un rapido bacio sulle labbra.

“Mio caro,” gli disse. “Da quanto tempo. Cosa ci fai qui?”

“È giovedì,” le disse lui. “Pranziamo insieme.”

Date le loro agende così fitte, avevano concordato di mettere in standby le loro pause quotidiane delle undici e di limitarsi a un più gestibile incontro settimanale per pranzo, di giovedì. Ma quel piano era stato approntato prima che entrambi si assumessero i nuovi incarichi dell’ultimo minuto, e Lacey aveva pensato che non sarebbe stato gestibile per nessuno dei due. Poi aveva permesso a quel programma di andarsene dalla sua mente, sostituito dal lungo elenco di articoli vittoriani che doveva rintracciare.

“Ti sei dimenticata?” le chiese Tom.

“Non direi esattamente dimenticata,” rispose lei. “È solo che siamo tutti e due così occupati…”

“Oh,” commentò Tom, la delusione particolarmente evidente nella sua voce. “Mi stai dando buca.”

Lacey si sentiva malissimo. Non si era proprio resa conto che stava annullando un programma. Però del resto non avrebbe dovuto dare per scontato che Tom avrebbe messo da parte il loro appuntamento così. A quanto pareva solo lei era tanto spietata.

“Mi spiace tantissimo,” gli disse, prendendogli la mano e stringendola giocosamente. “Sai che domani abbiamo la grande inaugurazione del Lodge. Praticamente lavorerò non stop per le prossime ventiquattro ore per riuscire a combinare tutto. Probabilmente non avrò neanche il tempo di andare a dormire questa notte, quindi faccio fatica a tirare fuori un’ora per il pranzo.” Si morse il labbro, pervasa dal senso di colpa.

Sembrava che Tom stesse evitando di guardarla negli occhi. Ovviamente aveva davvero ferito i suoi sentimenti.

“È un pranzo,” gli disse. “Ho solo questo ultimo ostacolo. Poi, dopo la festa di domani sera, tornerò al mio normale programma. E anche tu avrai finito con quel ben di Dio di cupcake, o come si dice…”

“… Giusto,” mormorò Tom.

“Ecco, appunto.” Lacey fece oscillare le braccia avanti e indietro, tentando di mantenere un tono leggero e frizzante. “Poi torneremo alla normalità, ok?”

Alla fine Tom annuì. Lacey non l’aveva mai visto così abbattuto. In un certo senso era quasi rincuorante, soprattutto considerando quanto si era sentita preoccupata pensando a Lucia. Ora scopriva che un ottimo antidoto per la gelosia era essere talmente a corto di sonno da muoversi praticamente come un automa.

“Ehi, sai una cosa? Dovresti venire alla festa,” disse Lacey. Si sentiva in colpa per non aver pensato di invitarlo prima. Dopotutto sarebbe stata una grandiosa inaugurazione, con fuochi d’artificio e cibo, ospiti distinti e via dicendo.

“Io?” disse Tom. “Non penso che un pasticcere sia sufficientemente di alta classe per quel posto.”

“Sciocchezze,” disse Lacey. “E poi non ti ho mai visto in smoking, e scommetto che ti sta da Dio.”

Vide un luccichio malizioso riaccendersi negli occhi di Tom, ricordandole il Tom che conosceva e amava, piuttosto che questo qui, così abbattuto e smorto.

“Beh, se a Suzy non dà fastidio,” disse. “Ma non posso fare tardi. Io e Luce dobbiamo iniziare a cucinare alle sei la mattina dopo.”

“Luce?” ripeté Lacey. Poi le venne in mente che probabilmente parlava di Lucia.

Le aveva dato un nomignolo? Che per di più assomigliava un sacco a quello con cui Lacey gli aveva chiesto di non chiamare lei, dato che era lo stesso che usava un tempo il suo ex marito: Lace.

Tutt’a un tratto la sensazione di disagio che provava nei confronti della giovane donna tornò con la forza di una ventata gelida. Niente: la sua teoria dell’essere troppo stanchi per provare gelosia non funzionava.

“Ehi, ecco un’idea! Potrei portare fuori a pranzo Luce oggi!” disse Tom, apparentemente ignaro del tono leggermente incredulo che Lacey non era riuscita del tutto a mascherare. “Sai, come ringraziamento per tutto il suo duro lavoro. Ho lavorato letteralmente senza sosta da quando l’ho assunta, e alla fine ho dovuto davvero spremerla fino all’osso. Ha fatto veloce a imparare e sta facendo enormi progressi di giorno in giorno. Devo dire che è una ragazza davvero notevole.”

Lacey sentì le mani che si stringevano in due pugni mentre ascoltava Tom che lodava la donna che aveva appena deciso di portare a pranzo al posto suo. Nel suo stomaco stavano ora vorticando una miriade di emozioni diverse. Delusione, ovviamente, perché stava perdendo l’occasione di passare del tempo con la sua persona preferita. Anche gelosia, perché un’altra persona avrebbe avuto le sue attenzioni al posto suo. Ma c’era dell’altro, più in profondità. La gelosia non era solo dovuta al fatto che un’altra persona stava ricevendo le attenzioni di Tom, ma al fatto che la persona in questione era una donna. Nientemeno che una ‘donna carina e notevole’, con la pelle priva di rughe, la personalità super-ottimista e i denti bianchissimi e perfettamente allineati. Poi, insieme alla gelosia, c’era anche l’imbarazzo, perché cosa avrebbe pensato la gente del posto? Se vedevano Tom fuori a pranzo con una ragazza carina, quanto tempo ci sarebbe voluto perché cominciassero a circolare i pettegolezzi? Taryn ci avrebbe sguazzato alla grande!

“E chi si occupa della pasticceria?” chiese Lacey, aggrappandosi disperatamente a qualsiasi scusa per evitare che accadesse. “Se tu e Luce siete tutti e due fuori a pranzo… insieme?”

“Paul, ovviamente,” rispose Tom, aggrottando la fronte confuso.

Per un momento Lacey si chiese se quell’espressione fosse un segno che il sempre ignaro Tom aveva davvero capito il sottotesto, questa volta.

“Anche se oggi si sta comportando in modo particolarmente maldestro,” continuò Tom. “Ha confuso frusta e spatola. C’è seriamente qualche rotella fuori posto nella testa di quel ragazzo.”

Quindi la fronte aggrottata era dovuta alla mancanza di buon senso da parte di Paul, e non alla loro relazione. Ovvio. Conoscendo il carattere di Tom, probabilmente non aveva idea che Lacey era gelosa di Lucia, né aveva alcun barlume del motivo per cui potesse esserlo. Ma dal punto di vista di Lacey, il fatto che Tom neanche si accorgesse di queste cose era snervante, perché si sentiva come una matta pronta a puntare il dito.

“Probabilmente non è una buona idea lasciarlo da solo, eh?” gli disse Lacey. “Voglio dire, è per questo che hai preso Lucia, no? Per essere sicuro che qualcuno che non sia Paul possa prendersi cura del negozio.”





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I CINQUE DEL SALOTTO (UN GIALLO INTIMO E LEGGERO DI LACEY DOYLE—LIBRO 3) è il terzo libro di un’affascinante nuova serie di ‘cozy mystery’ firmata Fiona Grace.

Lacey Doyle, 39 anni e fresca di divorzio, ha fatto un cambio drastico: ha abbandonato la sua frenetica vita newyorkese e si è stabilita in una pittoresca cittadina inglese sul mare: Wilfordshire.

L’estate è vicina e Lacey si è innamorata ancora di più della cittadina e del suo fidanzato pasticcere. Si è anche fatta una migliore amica: la nuova proprietaria di un B&B del posto. E quando l’amica ha bisogno di lei per la decorazione dell’albergo, comprando praticamente tutto quello che Lacey ha in negozio, i suoi affari hanno una grandiosa impennata.

Tutto sta andando alla perfezione, fino a che qualcuno muore misteriosamente nel nuovo B&B dell’amica.

La cittadina viene sconvolta e l’attività dell’amica è a rischio: tocca a Lacey e al suo cane andare a fondo del mistero.

Il libro #4 della serie sarà presto disponibile!

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