Книга - I fantasmi: Dramma in quattro atti

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I fantasmi: Dramma in quattro atti
Roberto Bracco




Roberto Bracco

I fantasmi: Dramma in quattro atti / (Taken from Roberto Bracco Teatro, Vol. VII)




PERSONAGGI:

Il professore Raimondo Artunni

Giulia, sua moglie

La signora Marnieri

Luciano, suo figlio

La signora Gilberta Mirelli

La marchesa Antonucci

Adalgisa

Donna Sofia

Faustina

Suora Elisabetta

Una vecchia

Manlio, Roberto, Almerico, Paolo, Ernesto, discepoli del professor Raimondo Artunni

Altri discepoli di lui

Giuseppe, vecchio servo del professore.




ATTO PRIMO


Il salotto della dimora di campagna del professor Raimondo Artunni. Non eleganza, ma una signorilità severa, quasi solenne, e una certa aria di casa antica. Sembra un po' la stanza di un vecchio castello. Le suppellettili hanno lo stesso carattere. Verso il lato destro, una tavola su cui è un vaso contenente pochi fiori, qualche pila di libri rilegati, un campanello a timbro. Accanto alla tavola, una poltrona di pelle scura. In mezzo alla parete di fondo, la porta comune, che dà adito a un altro salotto più piccolo. Nella stessa parete, a destra della porta, una finestra, da cui si vede la campagna. Un'altra porta alla parete destra, un'altra a quella sinistra: tutte e due al primo piano della prospettiva scenica.


SCENA I


IL VECCHIO SERVO GIUSEPPE, MANLIO e LUCIANO


Giuseppe

(entrando, lento, dalla comune) Abbiano la compiacenza di aspettare qui.

(Lo seguono Manlio e Luciano. – Manlio porta in petto un piccolo fiore con qualche fogliolina.)


Giuseppe

(preoccupato) Si accomodino; ma… vedranno che, come ho già loro avvertito, non potrò annunziarli al professore.


Manlio

Se il professore è impedito davvero, annunziateci a sua moglie.


Giuseppe

Cercherò di accontentarli… Non mi hanno ancora detto chi devo annunziare…


Manlio

(indicando Luciano) Non vi ricordate neppure di Luciano Marnieri?


Giuseppe

Di lui sì che me ne ricordo.


Manlio

E il suo nome basta. Io sono una quantità trascurabile.


Luciano

Scusa, perchè proprio il mio nome?


Manlio

(canzonandolo) O cielo! «Perchè proprio il mio nome?» Sei stato l'assistente prediletto del professor Artunni. È semplice. Ci riceverà più facilmente.


Luciano

Io mi sono unito a te perchè i nostri compagni lo hanno voluto: non per mia iniziativa.


Manlio

E che c'entra questo?


Luciano

Per me, c'entra.


Manlio

(spazientito, al servo:) Va bene. Annunziate: «due discepoli del professor Artunni». Niente altro.


Giuseppe

(senza affrettarsi, esce a sinistra, aprendo la porta con circospezione e richiudendola sùbito.)


Luciano

In verità, a me pare inutile di parlare con lei. Potremmo andarcene per poi tentare un altro giorno.


Manlio

Andarcene, dopo esserci fatti annunziare?! Sei matto. Sarebbe una bella sconvenienza.


Luciano

(ha un gesto di condiscendenza forzata.)


Giuseppe

(ritornando) La signora verrà a momenti. (Mogio mogio, esce dal fondo.)


Manlio

Ma questo vecchietto è diventato d'una ipocondria allarmante! L'aria della campagna gli è deleteria! Già, ho constatato che avvicinandoci a questa casa non abbiamo più vista una faccia allegra. Ma che ha tutta questa gente?


Luciano

(astratto, si è accostato alla finestra, contemplando l'orizzonte.)


Manlio

Non so se hai notato che anche quella contadinotta paffutella, ch'era quaggiù a guardia del giardino, malgrado la sua abbondante salute, aveva un aspetto molto malinconico. Stesa sulla paglia, con in mano la codetta del maiale che la voleva fuggire, pareva Arianna sul punto d'essere abbandonata da Teseo. «Bella ragazza, è questa la casa del professor Artunni?» Ha risposto un sissignore che mi si è messo come una pietra, qui, sulla bocca dello stomaco. E sai perchè poi le ho chiesto come si chiamasse? Perchè ho sperato di vederla sorridere. Tutte le contadine sorridono quando pronunziano il loro nome. O chiamarsi Mariantonia o chiamarsi Eufemia, per esse è sempre un vivissimo piacere. Ma la fanciulla del maiale ha pronunziato un Carolina con la profonda mestizia con cui avrebbe potuto dire di chiamarsi Ofelia. (Pausa) Che guardi con tanta attenzione?


Luciano

Nulla.


Manlio

Non si vede la nostra comitiva?


Luciano

(distratto) No. (Si scosta come per cedergli il posto.)


Manlio

Sì che si vede. Eccola lì: dove il prato è più verde. Ma che fanno? Sembra che stiano a pascolare come pecore. Hai sentito la promessa di Roberto?.. Se non riesce a trovare un trifoglio a quattro foglie, paga la colazione per tutti. Ma io ci scommetterei la testa che non pagherà nemmeno un panino gravido, perchè egli troverà magari un trifoglio a cinque foglie. Capacissimo! Vuoi vedere fino a che punto è fortunato quel ragazzo lì?.. Senti questa.

(Entra Giulia dalla sinistra, curando di chiudere la porta.)


SCENA II


MANLIO, LUCIANO, GIULIA


Luciano

(che guardava da quella parte, vedendo Giulia, tira per la giacca Manlio per farlo tacere, e, timidamente, rispettosamente, s'inchina) Signora…


Manlio

(voltandosi sùbito, striscia una riverenza con vivacità) I nostri ossequi, Signora Artunni.


Giulia

(salutando con un cenno del capo) Desiderano?


Manlio

Lei, naturalmente, non ha riconosciuto che l'insigne benchè venticinquenne dottor Luciano Marnieri. (A lui:) Ringrazia quando ti do dell'insigne. (A Giulia:) Egli è stato per un anno l'occhio destro del professore suo marito, e quindi lei ha avuto per un anno il fastidio di vederselo fra i piedi. Ma sono sicuro che di questo chiacchierone (accennando a sè stesso) che la sta importunando, lei non ricorda nè il nome, nè la fisonomia.


Giulia

(seria) La fisonomia, sì; ma mi perdonerà: non ho in mente i nomi di tutti gli allievi di mio marito.


Manlio

(presentandosi) Manlio Ardenzi, di professione laureando in medicina. Laureando da parecchi anni, e, credo, per tutta la vita.


Luciano

Non infastidire la signora con le tue celie. Dille invece lo scopo della nostra venuta.


Manlio

E parla tu. Chi te lo impedisce?


Luciano

(redarguendolo con cortesia) Manlio, ti prego!..


Manlio

Già, è inutile: l'oratore della situazione sono io. E la signora mi permetterà un po' di buonumore, perchè oggi ha da essere una giornata di festa per noi. Lei avrà bell'e capito, signora, che noi siamo qui… per essere ricevuti dal professore. E non si è in pochi, sa. Noi due formiamo il drappello d'avanguardia. Il grosso dell'esercito… sta lì, a pascolare, e aspetta i nostri cenni per dar l'assalto al castello. Il nostro primo progetto era di giungere tutti all'impensata. Ma poi è prevalso il parere dei più prudenti. Si è detto: «In fondo, il professore è in campagna con sua moglie per non essere disturbato e per godersi con lei questa bella primavera: noi quindi non dobbiamo commettere troppe indiscrezioni». E non creda che io scherzi, adesso. Oh no! Le dico sul serio che tra noi discepoli del professor Artunni l'adorazione ch'egli le tributa è proverbiale. E anzi, veda, proprio questa adorazione, che lui tiene a dissimulare come un giovanettino timido dissimula il suo primo amore, ha sempre dato a quell'uomo, così austero nella scienza, delle gentili sfumature d'ingenuità che più ce lo hanno reso caro. (Celiando di nuovo un po', con effusione cordiale) Tutto questo sta bene. Ma l'adorazione per sua moglie non deve toglierlo a noi. Ah, egli ci ha abbandonati? Ha voluto lasciare la cattedra? Ha voluto lasciare i suoi pupilli, come lui stesso ci chiamava, per venire qui, in campagna, a fare… A fare che cosa? Il Cincinnato?.. Altro che Cincinnato, sa!..


Luciano

(severamente) Manlio!


Manlio

E no: fammi dire. È meglio ch'io mi sfoghi prima del ricevimento ufficiale. E poi, visto che ho il piacere di parlare con la signora, ne approfitto per ottenere il suo appoggio. (A Giulia, con serietà:) Certo, una donna che ha così nobili sentimenti sarebbe addolorata come noi se suo marito si sottraesse davvero alla missione che l'ingegno gli ha assegnata. Non ho ragione, signora Artunni, di sperare che lei ci aiuterà a farlo tornare in mezzo a noi?


Giulia

(ha ascoltato con gran pena le parole scherzose e le buone parole espansive, stando con le spalle quasi voltate a Manlio e a Luciano come per un ritegno della sua commozione; e finalmente, a questa domanda, si decide a rompere il suo silenzio.) Vedo bene che lei e i suoi compagni non sanno ancora nulla.


Luciano

(notandone l'espressione triste) Di che?!


Manlio

Lei ci impensierisce.


Giulia

Il povero Raimondo è così ammalato che, se pure volesse, non potrebbe più tornare tra loro.


Luciano

(a un tratto diventa pallidissimo.)


Manlio

(inquieto) Ammalato da quando?


Giulia

Chi lo sa! Per molto tempo egli ha nascosta a tutti la sua malattia. La nascondeva anche a me. Credo anzi che per nasconderla a me si affaticava a nasconderla agli altri. Solo l'anno passato, poco prima di prendere la decisione di ritirarsi in questa nostra vecchia casa di campagna, mi rivelò di essere in balìa di una tisi inguaribile. Ricorderanno che per più d'un mese non uscì di casa. Quando loro venivano a trovarlo, egli si sforzava di sembrare gaio, sereno. E se qualcuno notava il suo deperimento, egli si affrettava ad assicurare che era un deperimento causato da un eccesso di lavoro. Ma precisamente dopo quel periodo egli rinunciò a celarmi la verità. Ed ora mi ripete ogni giorno che non c'è nessuna speranza di salvezza.


Luciano

(ha un brivido visibile, una contrazione nel volto.)


(Breve silenzio.)


Manlio

Ma non è improbabile che un po' di esagerazione ci sia in tutto ciò. Lei gli è così attaccata che esagera senza volerlo, ovvero non fa la tara alle esagerazioni di lui. Ed egli… sì, è un grande medico, ma è pure un uomo nervoso, suggestionabile… Può egli avere la sua consueta percezione trattandosi di sè stesso?


Giulia

Si esamina e si studia con una esattezza che atterrisce.


Manlio

Ma la calma necessaria per curarsi…


Giulia

Il desiderio intenso di prolungare la vita vale in lui molto più della calma.


Manlio

Nondimeno, si dovrebbero invitare degli altri medici autorevoli… Si dovrebbe tenere un consulto… Non so… Qualche cosa bisogna fare. Non è così, Luciano?.. Qualche cosa bisogna fare!


Luciano

(col corpo come impietrito, le labbra livide, non può profferire una sillaba.)


Giulia

Ho tanto insistito!


Manlio

Noi gli imporremo di ascoltare i consigli dei suoi colleghi migliori.


Giulia

Vedranno che non vorrà, dicendo che oramai è inutile.


Manlio

Ma tu ci pensi, Luciano? Tu ci pensi?.. E noi che venivamo qui allegramente per tempestarlo di preghiere, di rimproveri e di entusiasmo e per levarlo in trionfo sulle nostre braccia!.. (A Giulia:) E dica, dica in cortesia, signora: potrà egli riceverci? Noi, s'intende, vorremmo ossequiarlo, vorremmo almeno vederlo; ma se lei teme, se lei non lo crede opportuno…


Giulia

Io suppongo che riceverà volentieri i suoi buoni discepoli. La loro visita gioverà, se non altro, al suo morale.


Manlio

È a letto?


Giulia

In questo momento riposa, perchè nella notte non ha avuto requie. Ma, di solito, o è lì rinchiuso nel suo studio a lavorare o è in giro per la casa, attivo, agitato, vibrante, in una sovraeccitazione continua, e mostra tale una vigoria che a vederlo e a parlare con lui non è possibile credere alla gravità del suo stato. È un fenomeno strano.


Manlio

Io sostengo che, se egli dispone di tanta vitalità, il caso non è così disperato come asserisce lui.


Giulia

Che vuole che le dica!..


Manlio

Allora, senta, noi andiamo ad avvertire i compagni. Oh, che schianto ne avranno!.. E fra mezz'ora, saremo qui tutti. Poi, se non potremo vederlo subito, aspetteremo ancora, o ce ne andremo per ritornare più tardi… Insomma, quando ci avrà annunziati, deciderà lei stessa. Noi ci mettiamo completamente a sua disposizione, e lei deve figurarsi di avere in noi… oso dire… dei fratelli, ecco.


Giulia

Grazie, ne sono persuasa.


Manlio

Vada, vada. Potrebbe essersi svegliato.


Giulia

No. Se si fosse svegliato, certamente mi avrebbe fatta chiamare. (Accomiatandosi) Permettano.


Manlio

A ben presto, dunque.


Luciano

(senza guardarla e senza poter pronunziare un saluto, s'inchina.)


Giulia

(esce a sinistra, aprendo e richiudendo la porta, cautamente.)


SCENA III


MANLIO e LUCIANO


Manlio

(mettendosi le mani in testa) Io ho come l'impressione di un sogno!.. Non era prevedibile! Assolutamente, non era prevedibile! (Breve pausa di desolazione.) E d'altronde, non c'è da dubitarne. Così è!.. Su, Luciano! Andiamo.


Luciano

(cercando di dissimulare il tremito da cui è preso) Sì, Manlio. (Fa qualche passo. Poi si ferma.)


Manlio

Ebbene?


Luciano

Aspetta un momento. Aspetta che io mi calmi. Quella notizia mi ha…


Manlio

Eh, lo capisco. Egli aveva tanta bontà per te!

(Tutti e due parleranno moderando molto la voce, in una concitazione crescente.)


Luciano

Sarebbe forse più giudizioso consigliare ai nostri compagni di non venire a turbare questo disgraziato.


Manlio

Sua moglie ci ha detto che forse egli ne avrà qualche sollievo.


Luciano

Costringerlo a riceverci, costringerlo a dirci ch'egli è un povero condannato al quale non restano a vivere che pochi mesi o pochi giorni, a me pare una vera crudeltà.


Manlio

Ma, scusa, perchè non l'hai espressa dinanzi a sua moglie questa opinione? Ti sei ammutolito. Non hai saputo nemmeno balbettare una frase di rammarico…


Luciano

Ero così funestato, ero così sconvolto…


Manlio

E adesso, mio caro, non possiamo ritrarci. Animo, Luciano! Non perdiamo più tempo! I nostri compagni erano d'una allegria bambinesca. Si adornavano di fiori e di frasche come per andare a uno sposalizio. Senza essere informati, potrebbero giungere facendo del chiasso, e ciò sarebbe una stonatura insopportabile.


Luciano

Ma bada ch'io ho risoluto che con voi non ci sarò.


Manlio

Ragione di più, intanto, per venir via.


Luciano

Prima d'andarmene… vorrei almeno giustificarmi con la sua signora.


Manlio

Oh, alle corte: lascia che io te lo dica francamente: questa tua risoluzione è odiosa!


Luciano

Non ho il coraggio di vederlo così ammalato, Manlio, non ho il coraggio di stare lì a guardarlo e ad ascoltarlo pensando che tra breve egli dovrà sparire.


Manlio

Ma questa è una sensibilità che confina con la debolezza.


Luciano

(in uno scatto involontario, ma sommessamente) No, no, Manlio! Non è debolezza! Non è debolezza! È coscienza.


Manlio

(sorpreso) È coscienza!?


Luciano

E il più grave è che, mentre sento che non potrei arrischiare di trovarmi alla sua presenza perchè non ci resisterei, io sono qui inchiodato animo e corpo, sono qui come per un bisogno invincibile di aspettarlo, di parlargli, di gittarmi in ginocchio dinanzi a lui.


Manlio

(anche più vivamente sorpreso) E per quale motivo?


Luciano

… Non lo so…


Manlio

Non lo sai!

(Breve pausa.)


Luciano

(quasi aggrappandosi a lui con le mani nervose) Manlio!..


Manlio

(spaventato) Luciano?


Luciano

(abbassando di più la voce fremente) Tu mi hai sempre creduto un uomo buono?


Manlio

Il più buono degli uomini.


Luciano

E se invece io fossi un infame?


Manlio

Non dire delle sciocchezze! E, del resto, non ci può essere alcuna relazione fra queste tue parole pazze e il fatto di cui ci stiamo occupando.


Luciano

(parlandogli sul viso, col fiato cocente, con gli occhi iniettati di sangue) Vuoi sapere la relazione che c'è? Vuoi inorridire? Vuoi disprezzarmi come mi disprezzo io?


Manlio

Ma non ti eccitare così. Ricordati dove siamo!


Luciano

(continuando freneticamente, con voce soffocata) Quando la signora Giulia ha annunziata la malattia mortale di suo marito, nel mio turbamento c'era un moto istintivo di egoismo nefando!


Manlio

Che cosa bestemmii?!


Luciano

In quell'istante, io sono stato invaso dalla cupidità d'una passione insensata contro cui da tanto tempo combatto!


Manlio

(sgranando gli occhi) Una passione che tu nutri per lei?!..


Luciano

Sì, per lei, per lei, e m'è parso che la morte di quell'uomo mi avrebbe forse permesso…


Manlio

(interrompendolo e mettendogli sulla bocca il pugno stretto in una contorsione di raccapriccio) No! Non ti voglio ascoltare!.. (Poi, come preso da un timor panico) E questa signora…?


Luciano

(con l'urgenza di rassicurarlo) Nulla! Nulla! Non una parola, non uno sguardo d'incoraggiamento.


Manlio

Ma dunque tu hai smarrito perfino il senso della logica!


Luciano

E tu vorresti trovare la logica in ciò che è un mistero anche per me? Avevo passati i miei anni di adolescente fra i dibattiti del mio spirito solitario senza nemmeno pensare all'esistenza delle donne… Quando conobbi lei, provai quello che proverebbe un cieco nato vedendo per la prima volta la luce… E da allora vivo come un ossessionato. Io non so dirti che questo.


Manlio

E adesso… volevi giustificarti con lei… affinchè ella t'indovinasse?!..


Luciano

(covrendosi il volto con le mani) Infame sino a questo punto poi no! Io non avrei avuto l'impulso di rivelarti tutto se in me non fosse sopravvenuto sùbito il ribrezzo di me stesso.


Manlio

Per ora, tu mi seguirai. E giacchè la tua assenza sarebbe notata da lui, tu tornerai insieme con noi e compirai il tuo dovere. Al resto ci penseremo dopo. Ti allontanerai da questa casa, ti allontanerai da questa città, andrai ad abitare in un altro paese, e così, per forza maggiore, ogni pericolo di turpitudine sarà scongiurato.


Luciano

(spasimando, ma con fermezza) Io ti giuro che lo farò!


Manlio

(allarmandosi ed incalzando) Per carità, sento la sua voce! Se t'incontrassi con lei, avrei paura della tua commozione come dell'audacia d'un malfattore.


Luciano

Non contribuire tu pure a farmi perdere la fede nella mia onestà!


Manlio

(afferrandolo violentemente per un braccio) E vieni con me, perdio! Vieni con me!..


Luciano

Vengo, sì… vengo…


Manlio

(quasi trascinandolo, esce con lui.)


(Qualche istante di vuoto.)


SCENA IV


GIULIA e RAIMONDO. – Indi GIUSEPPE


Giulia

(entra dalla sinistra con passo affrettato, come se cercasse un rifugio e siede mormorando:) Come mi tortura! (Piange, con la testa fra le mani, un pianto senza singhiozzi.)

(Silenzio.)


Raimondo

(entra dalla medesima porta, livido e smunto, e si ferma diritto, con le mani piantate sulla spalliera d'una sedia.)


Giulia

(accorgendosi di lui, leva la testa e non piange più.)


(Ancora silenzio.)


Raimondo

(senza ira, senza rancore) Te ne sei scappata?


Giulia

(ha un lievissimo gesto di diniego affettuosamente gentile.)


Raimondo

Sei venuta qui per piangere?


Giulia

Sì… è vero… volevo piangere.


Raimondo

Perchè?


Giulia

Perchè! (Dolce) Sempre la stessa punta nelle tue parole! Sempre la stessa punta nei tuoi sguardi! Ti svegli come ti addormenti. E sempre da capo a interrogarmi, a scrutarmi, a guardarmi stranamente… È naturale che qualche volta mi venga da piangere.


Raimondo

Non è una ragione per nasconderti.


Giulia

Io non ti vorrei nascondere che le mie lagrime.


Raimondo

Anche se non le vedessi, io lo saprei di essere il tuo tormento. (Pausa) Povera creatura! Quanto ti faccio soffrire!


Giulia

Sono specialmente le sofferenze tue che mi fanno soffrire.


Raimondo

E dell'eterna inquisizione, a cui ti sottopongo, non soffri tu forse?


Giulia

Sì, ma il peggio è che la tua inquisizione m'intimidisce, mi mette addosso un tremito nervoso, mi vieta di assisterti con la forza e con la serenità che sarebbero necessarie. Questo, questo è il peggio, Raimondo.


(Pausa.)


Raimondo

E, purtroppo, sarà incessantemente così! Fino all'ultimo!.. Sentendo approssimarsi la catastrofe, appunto in questi giorni, avevo risoluto di fingermi abbastanza tranquillo: m'ero prefisso di risparmiarti la continua inchiesta che ti fa tremare. Volevo crearti l'illusione che io mi fossi liberato, in certo modo, dagli artigli d'una gelosia indomabile. E questa illusione, guarda, io te la volevo creare un po' per dare tregua a te e un po' per preparare a me un'agonia meno orribile: un'agonia soccorsa dalle tue braccia non più tremanti e dalla tua bontà non più adombrata dal rancore. E intanto neppure il beneficio ch'io mi ripromettevo dalla mia finzione è bastato a trattenermi, perchè, anzi, l'avvicinarsi della fine ha centuplicata la mia frenesia. Sino all'ultimo io ti tormenterò, e quando, nel momento del distacco, io ti chiederò il conforto della tua indulgenza e della tua pietà, tu, invece, non saprai che maledirmi!


Giulia

No, Raimondo mio: tutta l'indulgenza, in ogni istante della vita mia, e tutta la pietà a chi mi ha fatto penare per avermi troppo amata.


Raimondo

Ebbene, per la pietà che vuoi concedermi, non cercare adesso di opporti a questo mio pazzo bisogno d'indagare, perchè la sete d'indagine, che mi consuma più della tisi, mi soffocherebbe addirittura se tu m'impedissi di guardare nei più profondi recessi dell'animo tuo. Tanto, alle unghie della gelosia è inutile tentare più di sottrarmi. Fui geloso sin dal giorno in cui ti sposai, e quel giorno tu eri un fiore d'innocenza, appena sbocciato. In dieci anni di unione tu sei stata una moglie affettuosa, paziente, perfetta, e, nondimeno, in questi dieci anni io non ho mai cessato di essere geloso, e ti ho oppressa, ti ho sorvegliata e talvolta ti ho perfino tenuta come una prigioniera. Ti giudicavo io capace di tradirmi? No. Avevo forse qualche vago sospetto? No! No! Ti assicuro di no! Ma il vero geloso, Giulia, non attende nè la denunzia, nè la calunnia, nè un qualunque indizio di tradimento per sentire la necessità di chiudere in una custodia di ferro la donna per cui vive. Chi crede che la gelosia nasca soltanto col sospetto, non la conosce no, non la conosce questa malattia diabolica! La gelosia nasce, nel cuore di chi ne ha l'istinto, insieme con l'amore, strettamente congiunta all'amore, e diventa tirannica, diventa mostruosa, diventa immensa, se l'amore è immenso!


Giulia

Non ti dicono nulla, proprio nulla, dieci anni di fedeltà?


Raimondo

Tu… mi vedesti medico e benefattore presso tua madre, che moriva, e mi sposasti perchè io volli salvarti dai pericoli della solitudine e della povertà. La fedeltà tua è stata esemplare, lo riconosco; ma era fatta di gratitudine, che è il sentimento che meno somiglia all'amore. E poi dimmelo tu, dimmelo tu, se lo sai, dove cominci, precisamente, l'infedeltà. Comincia dalla dedizione, dalla caduta, dall'abbandono completo del corpo, o comincia già dal desiderio al quale si resiste sentendo il peso del sacrifizio? Comincia dall'infrazione brutale del proprio dovere o già dal turbamento intimo che spesso non si lascia sorprendere nemmeno dalla coscienza? Tu non lo sai, e, se pure lo sapessi, preferiresti forse, prudentemente, di non dirmelo. Del resto, il dubbio che più mi martella non riguarda ormai nè il passato, nè il presente. Finchè vivo io, tu non mi tradirai. Questo è assodato. Ma… dopo?


Giulia

(con uno sguardo di meraviglia e di spavento) Che altro pensi, adesso?!


Raimondo

(accendendosi in questa interrogazione) Dopo?!.. Dopo?!.. Ecco qual'è il mio martirio nuovo, a paragone del quale quello dei dieci anni trascorsi è stato una festa. Ecco qual'è il martirio che la visione della morte è venuta ad impormi e che nell'agonia mi darà spasimi a cui non è mai stato condannato un agonizzante!


Giulia

(assorgendo desolata ed energica) Per amor di Dio, Raimondo, stràppati dal cervello quest'altro pensiero, perchè esso ci getterebbe tutti e due in una fornace ardente!


Raimondo

(andando a lei eccitato, convulso, delirante) Ma come, come strapparmelo dal cervello se qualunque tua affermazione rassicurante non avrebbe per me, dinanzi all'avvenire ignoto, nessuna importanza?


Giulia

Tu non sospettasti mai che io ti potessi mentire. Mai! Mai! La probabilità della menzogna, tra me e te, è stata esclusa dal primo momento della nostra convivenza, ed una irremovibile persuasione di sincerità scambievole fu ed è tuttora l'unico rifugio delle nostre anime, l'unico spiraglio della nostra povera casa così piena di tristezza.


Raimondo

E che mi giova, che mi vale la tua sincerità di ieri? Che mi vale la tua sincerità di oggi? Oggi, sì, tu dici di sentirti mia per l'eternità, ed io voglio ammettere, voglio credere, voglio credere ciecamente che oggi davvero tu non sapresti nemmeno concepire di non essere legata alla mia memoria dopo la mia morte come sei stata legata alla mia persona durante la mia vita. Ma quale lavorio, quale trasformazione compirà il tempo nel tuo cuore, nella tua mente, nella tua carne? Quale influenza eserciteranno su te le tentazioni che dovrai affrontare quando io sarò sparito?


Giulia

Non ci sono tentazioni per chi non vuole averne.


Raimondo

Tu le fuggirai, non è vero?


Giulia

Sempre, Raimondo!


Raimondo

T'inseguiranno dovunque! E anche prima d'inseguirti non ti consentiranno di metterti in fuga! Per resistere certamente alle tentazioni che ti si affolleranno intorno, dovresti essere cieca, dovresti essere sorda, dovresti non avere sensibilità di donna, dovresti non avere nervi, dovresti non avere sangue… Oh come ti vedo, sola, nella lotta funesta!.. E come già mi sembra di guardarti dal mio sepolcro! (Toccandosi il petto quasi volesse squarciarselo) Dio, che lacerazioni qui dentro! Che punture infernali!


Giulia

(disperatamente) Raimondo, fammi la grazia di strapparti questo pensiero dal cervello!


Raimondo

(gridando) Io mi venderei l'anima per poter morire con la sicurezza assoluta di non essere tradito! (Si getta affranto sulla poltrona.)


Giulia

(sedendo anche lei, abbattuta, scoraggiata, esausta) Che strazio! Che strazio!


(Un lungo silenzio.)


Giuseppe

(sta per entrare dalla comune, ma s'arresta sotto l'arco della porta, chiamando, prudentemente, con poca voce:) Signora! (Pausa)(Poi un po' più forte) Signora!..


Giulia

(scuotendosi, si volta) Dite pure, Giuseppe.


Giuseppe

(entra, avanzandosi.)


Giulia

(gli si accosta.)


Giuseppe

(pianissimo) Quei due di stamattina sono tornati con i loro amici.


Giulia

(titubante e parlando ugualmente piano) Ora non so se…


Giuseppe

Dirò loro di pazientare un poco?


Giulia

Sì, Giuseppe. Pregateli di pazientare.


Giuseppe

(esce.)


Raimondo

(ha visto Giulia confabulare col servo, ma non ha colte le parole. Trasognato, le chiede:) Che voleva Giuseppe?


Giulia

… I tuoi discepoli, che, come ti ho detto, avevano espresso il desiderio di ossequiarti, sono di là e attendono una risposta.


Raimondo

(recisamente) Non li ricevo! (Breve pausa) La loro presenza in casa mia… mi avvilirebbe di più. Io ne avrei la sensazione d'una minaccia. (Con le lagrime agli occhi) Essi sono coloro che, come te, mi sopravviveranno lungamente…


Giulia

Ti adorano.


Raimondo

Che importa! Hanno nell'animo tutto l'ardore dell'età bella e rappresentano dinanzi a me il fascino e le seduzioni della giovinezza, che sarà la mia grande nemica! Appunto dalla giovinezza, Giulia, tu sarai tentata e messa alla prova: dalla giovinezza, che sa amare e sa farsi amare… (Piange.)


Giulia

Raimondo!.. (Lo abbraccia, lo bacia, lo carezza, piange con lui.) Raimondo!..


Raimondo

Sì, baciami, carezzami… Piangi con me… Mi fa tanto bene! (Poi asciugandosi gli occhi) Lo vedi che è meglio quando piangi senza nascondere le tue lagrime? Io divento più ragionevole. Ora, per esempio, convengo che non devo essere cattivo con quei bravi ragazzi. E, non solo li riceverò affettuosamente, ma anche li intratterrò su certe cose molto interessanti, che da qualche tempo avevo l'intenzione di comunicar loro. Vengano, dunque. Io li aspetto.


Giulia

(si avvia verso il fondo.)


Raimondo

(vedendola avviarsi, ha un moto infrenabile, di cui attenua l'espressione nell'accento mitissimo) No… Non andarci tu. Li farò chiamare da Giuseppe.


Giulia

(si ferma.)


Raimondo

(suona il campanello che è sulla tavola.)


Giuseppe

(ricompare sotto l'arco della porta) Sono qui, eccellenza. (E resta discretamente, sulla soglia.)

(Pausa.)


Raimondo

(a Giulia, dopo una reticenza timida, quasi temesse di essere compreso:) Non ti ritiri nella tua stanza?


Giulia

(con bontà) Sì, Raimondo. (Fa per andare.)


Raimondo

E… te ne vai così?


Giulia

(ritorna a lui, gli dà un bacio in fronte con tenerezza compassionevole, e quindi lentamente esce a sinistra.)


Raimondo

(la segue con lo sguardo di sottecchi; e, quando ella è sparita, rivolge la parola a Giuseppe, senza guardarlo, con la voce tremola, a cui cerca di dare una intonazione ferma e serena:) Giuseppe… dite a quei giovani… che possono entrare.


Giuseppe

(esce dal fondo.)


(Sipario.)




ATTO SECONDO



Lo stesso salotto


SCENA I


RAIMONDO e I SUOI DISCEPOLI

(Raimondo è seduto tuttora sulla poltrona accanto alla tavola. Attorno a lui, ma non troppo dappresso, in piedi, sono i suoi discepoli. Una dodicina. Il più discosto è Luciano, la cui figura, appartata, accasciata, immobile, con la faccia bianca, con gli occhi che di sbieco guardano Raimondo senza mai volgersi altrove, si distingue sùbito fra quelle degli altri. Essi hanno atteggiamenti vari, tra di angoscia e di attenzione intensa. Sui loro volti giovanili nessun lume di sorriso; e quel loro aspetto grave e triste contrasta con la gaiezza dei loro abiti primaverili, sui quali spiccano i ciuffetti d'erbe e di fiori pratensi messi all'occhiello o cacciati nelle saccocce delle giacche un po' in disordine.)


Raimondo

(ha già parlato con vivacità, ed ora tace per riprendere lena.)

(Tutti tacciono con lui, in attesa ch'egli continui.)


Raimondo

Concedetemi qualche altro momento di riposo.


Paolo

(mite e premuroso) Voi non dovreste parlare tanto, professore. Vi nuoce.


Raimondo

Vi assicuro di no.


Roberto

(ai compagni, con voce discreta) Ma quest'aria rarefatta gli fa mancare il respiro. Siamo in troppi qui dentro.


Almerico

Si potrebbe aprire la finestra.


Raimondo

E sì: aprite la finestra. Fate che mi prenda anch'io un poco di questa primavera. (Girando lo sguardo sui discepoli) Voi ve ne siete già fregiati.

(Qualcuno, senza far rumore, apre la finestra.)

(Il silenzio si protrae sulla immobilità e sul raccoglimento di tutti.)


Raimondo

(respira allargando il torace. – Quando si sente ben rinfrancato, continua.) Vi dicevo, dunque, che, per mia volontà, voi sarete i miei eredi…


Manlio

(osando d'interrompere) Ma perchè occuparvi oggi di queste cose? Siete ancora così energico! Siete ancora così vivo! Basta guardarvi in faccia per vedere che la vostra energia non sarà esaurita nè domani, nè fra un mese, nè fra un anno…


Raimondo

Credo assai prossima, caro Manlio, una crisi mortale. So bene ciò che dico. Questo deve essere il giorno del commiato. Oggi, nel perfetto dominio della mia ragione, posso disporre lucidamente del mio piccolo tesoro scientifico. Domani, forse, non potrei. Lì (indicando l'uscio a destra), nella mia stanza di lavoro, troverai sulla scrivania un voluminoso manoscritto. Portalo qui.


Manlio

Obbedisco. (Esce, quasi lentamente, a destra. Poi ritorna, e, in atto devoto, porge al professore il grosso manoscritto. – Quindi, si ritrae.)


Raimondo

(mostrando ai discepoli, col braccio un po' levato, lo scartafaccio) Ecco! (Lo pone sulla tavola. Si passa la mano sulla fronte.) Ascoltatemi, ragazzi miei. Un medico che ha modo di studiare sulla propria persona una delle malattie più gravi che affliggono l'umanità, è un medico privilegiato. Questo privilegio è toccato a me, e credo di averne attinto un grande profitto. Lo spirito di conservazione e il bisogno di difesa, che sono insiti nella nostra natura, in me hanno raggiunto proporzioni formidabili. Nessun uomo ha sentito quanto ho sentito io la necessità di prolungare la sua vita, e nessun uomo, per ritardarne la fine, ha mai combattuto con tanto accanimento! Io debbo a questo accanimento le preziose ricerche che ho fatte e la scoperta dei rimedii sperimentati. Per molto tempo, io sono riuscito a vincere il male che tornava all'assalto con un impeto singolare. Vi dico in coscienza che, se non avessi dovuto lottare contro quella violenza a dirittura eccezionale, la vittoria del medico sarebbe stata completa! (Breve pausa) E, chiuso in questo manoscritto, io conto di affidare a voi il frutto dei miei bizzarri studi. (Riflettendo tristamente) Così, sulle mie rovine sarà fiorita un'opera di salute per gli altri. (Indi, con balda animazione) Volete voi assumere il còmpito di utilizzare a pro dei sofferenti la mia eredità con la vostra vigoria giovanile, col vostro ingegno e col vostro fervore? (Dopo avere aspettata invano la risposta) Nessuno risponde?!.. Questo silenzio mi addolora.


Manlio

Questo silenzio, professore, non è che una protesta del nostro affetto. Io sono uno sciamannato a cui non dovrebbe essere permesso di chiamarsi vostro discepolo: tuttavia, ciò che sento io non è certamente diverso da quello che sentono i miei compagni, ed io ve lo esprimo alla meglio, per me e per loro. Il nostro affetto non crede, non può credere che voi dobbiate davvero abbandonarci per sempre. Voi ci parlate già con la serenità con cui ci parlano da un mondo lontano i morti che ci sono più cari; e invece noi vi siamo vicini e vediamo e ascoltiamo un uomo del quale non sapremmo negare la perfetta vitalità e da cui non ci sembra verosimile di doverci separare tra poco. Ma, certo, ogni parola detta da voi, appena uscitavi dalla bocca, diventa il pensiero migliore del nostro cervello, quasi che in noi realmente si trasfondesse qualche cosa di vostro. Questa, professore, è la risposta che possiamo darvi.





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