Книга - Luna Piena

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Luna Piena
Ines Johnson


Lei non era una damigella in pericolo, ma lui l'ha salvata lo stesso.

Non si può più tornare a casa tranquilla...

Viviane Veracruz sta tornando a casa dall'università con una laurea in una mano... e un bambino nella pancia. Disperata per sfuggire al giudizio della sua famiglia, accetta l'offerta di uno sconosciuto sexy di fingersi il padre per qualche giorno. Il piano è che lui scappi lasciando la sua famiglia all'oscuro di tutto. Ma più Pierce Alcede rimane, più lei non può lasciarlo andare.

La casa è dove si trova il cuore...

Pierce Alcede ha finalmente accettato il fatto di essere un lupo solitario, incline a vagare da solo nella natura e a non stabilirsi mai con una famiglia propria. Quando incontra una donna incinta in difficoltà, non ci pensa due volte a intervenire per prendersi il peso dell'ira della sua famiglia. Ma tra il lavoro al Veracruz Ranch di giorno e l'infilarsi nel letto di Viviane di notte, Pierce dimentica di scappare.

Può una donna in cerca di un posto a cui appartenere trovare una casa con un uomo che vive per vagare?



Translator: Laura Sguigna








Luna Piena


Copyright © 2017, Ines Johnson. Tutti i diritti riservati.

Tutti i diritti riservati. Nessuna parte di questo libro può essere riprodotta, memorizzata in un sistema di recupero, o trasmessa in qualsiasi forma, o con qualsiasi mezzo, elettronico, meccanico, fotocopia, registrazione o altro, senza previa autorizzazione dell'autore.

Prodotto negli Stati Uniti d'America

Prima edizione 2017




Indice


Capitolo 1 (#u38b4c7fe-a1a8-5b71-aa51-c3c5f666ab4d)

Capitolo 2 (#uf9c12d79-7194-5fbf-a800-7dc7da0de1b8)

Capitolo 3 (#u09d0cb06-b0c4-5d80-bbed-70c1f1543c0f)

Capitolo 4 (#u969b31d2-c578-54d1-a38d-fc94116370a9)

Capitolo 5 (#u6eeac758-c6fc-53f4-80d1-5ea0242c435d)

Capitolo 6 (#u4e70599d-407d-547c-bd82-a5d314dc0694)

Capitolo 7 (#ude7cf17f-908c-566d-b385-6dc95aed4720)

Capitolo 8 (#u37fb0aa3-ec62-58ff-a208-f0f0e07ab399)

Capitolo 9 (#udf21bcc4-d7e4-5861-af5d-8f812a1c1c81)

Capitolo 10 (#u6072c301-ac3e-5c8e-82bd-e52912375c1e)

Capitolo 11 (#uf8ab0fd5-c1a8-5aa0-bf14-b0fd44aa5e6e)

Capitolo 12 (#u1f44bade-b053-5f89-9e82-63d55cc34024)

Capitolo 13 (#ud42ab2ca-5609-5562-9398-791544521676)

Capitolo 14 (#u629507b8-4e29-515c-9e4d-ee47ef5a0300)

Capitolo 15 (#u7d04ab58-96bd-5035-84ac-35ee010c1ac1)

Capitolo 16 (#u0b2f154c-95e3-5e78-b9a0-cb7ffa9a281e)

Capitolo 17 (#ue5b97ac9-32e9-5c8c-a7da-948d0c295227)

Capitolo 18 (#u1bd28e51-2635-56a5-9a89-ff1723863a13)

Capitolo 19 (#uf5f2c8f3-b4f1-5acb-aa79-e8a736c73c6a)

Capitolo 20 (#u55bb9558-12f6-58c9-873a-66477be2075e)

Capitolo 21 (#u78ebe347-4451-53cb-b330-08ec2f048272)

Capitolo 22 (#u978f921b-2401-54c1-9029-94578890731f)

Capitolo 23 (#ub346322b-b676-5b8b-ab47-64e27aedb5a8)

Capitolo 24 (#uf19d8411-06af-5d19-a154-7331d574a1be)

Capitolo 25 (#u6d26f82c-1869-5e72-a7b4-5c4d404f0e25)

Capitolo 26 (#u4d3b4aa9-ca87-5248-846d-6f2fcbfa7bcf)




Capitolo Uno


Pierce guardò la città ritirarsi mentre il treno prendeva velocità. Le guglie degli edifici si restringevano. Le luci brillanti e fluorescenti svanivano nello scintillio dell'orizzonte e lasciandosi alle spalle le stelle. Chiudendo gli occhi, si accasciò sul sedile e fece la prima inspirazione profonda dopo gli ultimi due mesi.

I dolori che gli erano venuti dalla collisione della nuca con i binari del treno erano un lontano ricordo. L'unica cosa che rimaneva dell'incidente era una leggera fitta al collo quando girava la testa troppo a destra. A parte quello, Pierce era di nuovo sé stesso, di nuovo da solo.

Guardò il lungo corridoio del vagone del treno. La calca dei corpi si muoveva. I genitori stringevano le mani sui polsi dei bambini che si dimenavano. Coppie camminavano in tandem lungo una corsia unica, non volendo lasciare che lo stretto passaggio si frapponesse al loro amore.

Pierce si distese sul suo sedile, da solo nella cabina in fondo al vagone. Girò il volto dall'altra parte della folla. Immediatamente gli tornò il torcicollo. Lo ignorò. Sarebbe passato presto.

Guardò fuori dal finestrino il paesaggio in rapido movimento. La Luna incombeva grande, sempre presente. Nell'oscurità del nuovo giorno, i raggi della Luna chiamavano la sua natura, il lupo impaziente dentro di lui.

Le sue dita si srotolarono dal pugno che non si era reso conto di aver chiuso. Si passò la zampa tra i riccioli stretti e uniformi in cima alla testa. Era andato da un barbiere prima di lasciare Sequoia City. Entro la fine di quella settimana, nella natura incontaminata, la sua criniera sarebbe stata di nuovo selvaggia.

Gli uomini Alcede erano noti per veder apparire i peli della loro prima barba a tredici anni. Pierce era del tutto Alcede. Ma a differenza di suo padre e di suo fratello maggiore, che avevano entrambi rapporti di lunga data con i loro rasoi, Pierce non si era mai preoccupato dei peli liberi che coprivano quasi ogni area del suo corpo.

La mattina precedente, sua madre lo aveva trascinato dal barbiere, proprio come quando era bambino. Aveva insistito perché fosse presentabile per il suo viaggio. Lui aveva scherzato sul fatto che nessuno l'avrebbe visto tranne gli animali. La pelle si era raggrinzita intorno agli occhi stanchi di Karyn Alcede. La mascella di sua madre si era serrata così forte che si vedevano le sue vene del collo pulsare. Invece di rispondere, gli aveva dato una pacca sulla spalla e poi si era ritirata in un angolo a guardare i capelli cadere dalla sua testa e dal suo viso.

Ora, solo al suo posto, il petto di Pierce si era irrigidito. Un dolore gli saliva in gola mentre cercava, senza riuscirci, di reprimere le emozioni non espresse. Quando chiuse gli occhi, vide il labbro tremolante di sua madre mentre gli sorrideva sulla banchina del treno. Gli aveva passato la mano tra i capelli tagliati. Sentì la zampa ferma di suo padre sulla sua schiena mentre Harold Alcede augurava a suo figlio un buon viaggio. I suoi genitori fermi sul binario mentre il treno si allontanava.

Da dentro il vagone, Pierce aveva visto i suoi genitori serrare i ranghi mentre lui si allontanava sempre di più da loro. Aveva visto lo smarrimento nei loro volti; mentre il suo respiro si alleggeriva. Li vedeva stringersi insieme per riempire il vuoto che lui aveva lasciato; mentre il suo cuore si alleggeriva. Più leggero perché si era tolto il peso di stare fermo, di non muoversi, di fingere di essere qualcosa di diverso da quello che era.

Il treno si allontanò e i suoi genitori divennero punti fissi all'orizzonte. A ogni rotazione delle ruote del treno, Pierce si sentiva libero, e la libertà lo appesantiva sotto una montagna di senso di colpa. Quel senso di colpa e quella leggerezza si agitavano nel suo cuore come succedeva sempre all'inizio di un nuovo viaggio.

Nel corso degli anni, aveva cercato di frenare la sua voglia di correre. Ma ogni anno che passava, diventava sempre più forte. Mentre il treno prendeva sempre più velocità, il lupo di Pierce si agitava, eccitato dall'idea di uscire in uno spazio aperto e correre; correre fino a quando il suo cuore non fosse esploso. Si sarebbe riposato, poi si sarebbe alzato, e poi avrebbe ricominciato tutto da capo. Il suo pelo sarebbe cresciuto selvaggio senza nessuno che se ne curasse. Avrebbe dovuto tenersi al sicuro senza nessuno che gli coprisse le spalle.

Al rumore crescente delle ruote, le sue orecchie si drizzarono. Il suo sguardo acuto colse il movimento nel paesaggio incolto fuori dalla finestra di vetro. Le sue dita tamburellarono contro il bracciolo. Il suo piede batteva contro la moquette sottile.

La punta del suo naso era fredda. Era appoggiato al finestrino. Il suo respiro sembrava una nuvola ansiosa sul vetro. La condensa si sciolse, lasciandosi dietro una forma che ricordava un cuore.

Pierce sorrise tristemente. L'amore era l'ultima cosa in programma per lui. Aveva finalmente accettato chi era: un lupo solitario. La sua vita sarebbe trascorsa vagando per le terre di quel mondo ferito. Non ci sarebbero stati legami a lungo termine per lui. Nessuna compagna con cui condividere un sentiero stretto. Nessun cucciolo che avrebbe cercato di scappare dalla sua presa.

Lasciò uscire un altro respiro. Questa volta, quando la condensa appannò il finestrino, non lasciò una forma. Non lasciò alcuna traccia di lui.

"Questo posto è occupato?"

La voce femminile roca richiamò l'attenzione di Pierce lontano dal finestrino e su per le lunghe gambe, giù per i fianchi pericolosamente curvi, intorno ai seni alti e impertinenti per finire su un viso a forma di cuore inghiottito da un alone di riccioli scuri. I riccioli scuri e le curve lussureggianti la definivano un lupo.

Pierce si schiarì la gola e si spostò sul sedile. Fece cenno con le mani alla lupa di prendere il posto di fronte a lui. Lei si sforzò di sollevare il suo bagaglio nello scomparto in alto. Pierce si alzò per offrire assistenza.

"Ci penso io," insistette lei e sollevò la massa sopra la testa con un grugnito.

Pierce fece un passo indietro. Era abituato alle donne forti e indipendenti. Ne era stato circondato per tutta la vita. Non si offendeva che quella donna non volesse il suo aiuto. Non significava che non fosse un gentiluomo. Aspettò per essere sicuro che lei avesse messo a posto la valigia. Poi aspettò ancora un po' finché lei non si fu seduta.

Quando lei finì con la valigia ed entrò nella cabina, si fermò davanti al suo posto e sbatté le palpebre verso di lui. Confusione e poi irritazione si susseguirono sul suo bel viso. Le sopracciglia le salirono fino all'attaccatura dei capelli. Inclinò la testa verso il suo posto. Quando lui non si sedette, lei fece un cenno con la mano.

Pierce si afflosciò sul suo sedile, distogliendo lo sguardo. Aveva commesso un errore? Forse non era un lupo? Forse era una strega?

Non sarebbe stata la prima volta che aveva scambiato una strega per un lupo. Il suo ultimo incontro con una strega, nientemeno che su un treno, aveva portato a un matrimonio. Era stato quasi il suo di matrimonio. Finché suo fratello maggiore, Jackson, non era intervenuto e aveva reclamato Lucia come compagna della sua anima. Il lupo e la strega adesso vivevano felici in un piccolo e caratteristico cottage nei boschi di Sequoia.

Con Pierce ormai al suo posto, la donna si sedette. Incrociò quelle gambe lunghe un chilometro. Poi si schiarì la gola.

Pierce sbatté le palpebre. Poi si rese conto che la stava fissando. Fu allora che capì che non era una strega. Se lo fosse stata, a quest'ora sarebbe stato vittima di un incantesimo.

Alzò lo sguardo per porgere delle scuse ovvie. Quando i suoi occhi incontrarono quelli di lei, il respiro gli si bloccò in gola. Sotto l'aureola di capelli scuri e folti, lei aveva occhi di un azzurro chiarissimo. Pierce aveva visto l'oceano dell'Artico. Quella massa d'acqua era una palude scura e torbida in confronto ai cristalli incastonati nel viso di questa donna.

Era un lupo solitario, incline a vagare. Era anche un uomo con dei bisogni. Sia l'uomo che il lupo trasalivano davanti a quella donna. Era certo che il suo interesse fosse evidente. Si sentì ansimare. Aveva l'acquolina in bocca. Si passò il pollice sull'angolo del labbro per nascondere la prova.

In risposta, la lupa chiuse gli occhi e sospirò. Il suo piede batté un ritmo nervoso sulle assi del pavimento. Girò la testa e concentrò la sua attenzione all'esterno sul paesaggio.

"Questa è una bella campagna," provò.

Erano ormai lontani da Sequoia e più vicini al confine messicano.

"Sì," disse lei. Girò la testa dal finestrino e prese un libro dalla borsa che teneva in grembo. Tenne il libro davanti al viso, impedendo a Pierce di vedere la sua bellezza.

La risposta secca indicava che non era interessata a lui. Il che avrebbe dovuto calmarlo. Ma non successe. L'ultima cosa che voleva era un coinvolgimento. Il suo disinteresse per lui gli sarebbe servito. Se fosse riuscito a capovolgere quel disinteresse, e per estensione lei, quella mattina.

Pierce raramente andava con le lupe. Le femmine dal sangue caldo potevano formare legami con maschi che non erano i loro compagni. Era nella loro natura.

Non vide segni di morsi sulla sua clavicola. Non sentì nessun altro lupo sulla sua pelle. Anche se notò un odore maschile: probabilmente umano. I lupi giocavano con gli umani, ma non si accoppiavano per la vita. Il che significava che probabilmente lei stessa non stava cercando alcun legame. Se solo fosse riuscito a catturare la sua attenzione, avrebbe potuto suscitare il suo interesse.

"Spero che non ti dispiaccia se te lo dico," iniziò, con un sorriso da lupo sul volto. "Ma tu hai la più bella..."

"Sai, mi va benissimo se rinunciamo a tutti i convenevoli e ci sediamo qui in un silenzio di compagnia." Lo disse con il più educato e beatificante dei sorrisi.

Quel sorriso fece pompare il sangue di Pierce e gli fece indurire il pene. Avrebbe dato qualsiasi cosa perché lei continuasse a sorridergli in quel modo. "Se è quello che desideri."

"Lo è." Lei puntò il sorriso verso di lui.

Dalla sua vista periferica, colse un'occhiata allo stupido ghigno sulla sua faccia nel finestrino. "Allora è quello che avrai."

"Grazie." Lei tirò su il libro, nascondendo il suo sorriso e quegli occhi, rompendo l'incantesimo.

Con il sorriso di lei sparito, quello di Pierce si trasformò in un cipiglio. Lesse la copertina dello spesso libro nelle sue mani: Salute, allevamento e malattie delle pecore. Dubitava che fosse una lettura di piacere. Forse era un libro di testo? Forse era una studentessa? La Sequoia University era vicina alla stazione ferroviaria.

"Sei una studentessa?"

Lei abbassò il libro e gli puntò addosso quegli occhi chiari. "Pensavo fossimo d'accordo di rinunciare ai convenevoli." Lei sorrise, ma l'espressione del viso era accigliata in pieno ed educato fastidio.

Il suo lupo voleva punzecchiarlo con una zampa. "Non posso farci niente. Sono sempre gentile. Mia madre ha cresciuto un gentiluomo."

La sua falsa facciata cadde alla parola gentiluomo. "L'unico momento in cui i maschi sono gentiluomini," praticamente sputò la parola, "è quando vogliono infilarsi sotto la gonna di una femmina."

Gli occhi di Pierce sfrecciarono su quelle lunghe gambe e sull'orlo della gonna. Quando tornò al suo viso, sapeva di essere stato scoperto. Spalancò il suo sorriso più vincente. Lo stesso che gli aveva procurato una A nella classe di chimica della signorina Peckham, anche dopo aver fallito sia l'esame intermedio che quello finale. Le fate cadevano in ginocchio davanti a quel sorriso. Diavolo, anche una strega era caduta sotto il suo incantesimo. Pierce lo spalancò verso la lupa di fronte a lui.

Prima che lui potesse pronunciare una parola, lei aprì la bocca per parlare. Poi deglutì. Si strofinò la mano sull'addome piatto. Infine, si sporse in avanti, vomitando sul suo grembo.

Alla faccia della partita della sua vita.




Capitolo Due


Viviane si era spruzzata dell'acqua in faccia per la terza volta, ma il sapore della bile le restava ancora sulla lingua. Come si era messa in quella situazione? Appoggiò la testa contro la superficie fredda dello specchio mentre il dondolio del treno continuava a stuzzicare il suo stomaco inquieto.

Si guardò allo specchio. Aveva le borse sotto gli occhi per aver pianto tutta la notte e per non aver dormito fino all'alba. Non si era mai considerata una donna debole, né una damigella di nessun tipo. Non nella famiglia da cui proveniva. Apparteneva ad un ceppo che avrebbe tenuto testa a qualsiasi uomo, anche se fosse stato alto tre metri e largo il doppio. Ma era stato un uomo medio che l'aveva portata così in basso. Non c'era un’arma, non c'era forza, non c'era argomento che potesse usare per batterlo.

Viviane prese un fazzoletto di carta e si asciugò il viso. Gettò l'asciugamano ed uscì dal bagno. Guardando fuori dalla finestra, notò che il paesaggio cominciava a sembrarle familiare. Un cactus Saguaro alto più di dieci metri si ergeva nel cielo notturno. Le sue braccia si allungavano come i rami di un albero per darle il benvenuto a casa.

Oh, Dea. Era solo a un'ora da casa sua.

Il panico aumentava mentre il treno si avvicinava sempre più a Sonora. Le venne l'istinto improvviso di scendere subito, girarsi e correre nella direzione opposta. Ma non aveva altro posto dove andare. Non poteva tornare a Sequoia e affrontare i suoi occhi indifferenti e pietosi. Una volta tornata a casa, la sua famiglia avrebbe saputo del casino in cui si era cacciata, e l'avrebbe sicuramente intimata ad andarsene.

O peggio. Sua madre avrebbe insistito per farla restare, e allora sarebbe iniziata la vera tortura.

Il treno sobbalzò e Viviane dovette appoggiarsi ad un sedile per stabilizzarsi. Il suo stomaco vuoto protestò con un gemito. Solo quando stava tornando al suo posto si ricordò del ragazzo a cui aveva rovinato la serata offrendo il suo ultimo pasto. Non era al suo posto quando lei tornò. Probabilmente si era spostato in un vagone completamente diverso dopo essersi ripulito.

Si sentì malissimo per quello che aveva fatto ai suoi pantaloni. Ma, in sua difesa, lui era stato il classico uomo. Interessato solo a quello che c'era sotto la sua gonna. Non a quello che c'era nella sua testa, o a quello che usciva dalla sua bocca. Non appena lei aveva mostrato di avere dei pensieri nella sua bella testa, lui si era girato ed era scappato, proprio come qualsiasi uomo medio. La rabbia sostituì la bile mentre lei era ferma nel corridoio a guardare il suo posto vuoto.

"Ehi, tesoro, perché non vieni a sederti con noi."

Viviane si voltò per vedere un branco di ragazzi umani dall'altra parte del vagone. Sembrava che fossero appena saliti. Altrimenti l'avrebbero guardata male insieme al resto dei passeggeri che avevano sentito l'odore della sua performance precedente.

"Andiamo." Uno dei ragazzi le si avvicinò. Era di altezza media con la pelle chiara, i capelli castani e gli occhi marroni. Non era bellissimo, ma nemmeno poco attraente. Sembrava... un tipo nella media. "Noi non mordiamo. Ma sembra che tu lo faccia."

Dov'era il suo stomaco ribollente quando ne aveva bisogno? Questi erano i tipi perfetti a cui vomitare addosso. Ma il suo stomaco sembrava essersi ricordato che lei era fatta di roba più forte. Era una Veracruz. Incrociò le braccia sul petto e si preparò a mandare a quel paese gli uomini, proprio come avrebbe fatto qualsiasi donna Veracruz.

"Lasciatela stare."

Lo sguardo di Viviane si alzò per vedere il suo compagno di posto arrivare dietro i ragazzi della confraternita.

"Non ho sentito la donna dire di non volere sedersi con noi, " disse il capo della confraternita.

"Non ho sentito la donna dire di sì," disse il lupo.

Viviane passò lo sguardo dal maschio alfa al lupo alfa, perché ora si rese conto che il suo ex compagno di sedia era decisamente un lupo e decisamente alfa. Lui si era ripulito, ma lei poteva ancora avvertire il sentore di vomito sui suoi pantaloni.

"Mi scusi, ma la donna può parlare da sola," disse lei.

"Beh, vieni qui, cucciola," disse il ragazzo della confraternita.

"Cucciola?" Lei stropicciò il naso all'odore di pulito dell'umano. "I mutaforma e i cani non sono la stessa specie. La stessa classe, sì. Ma non la stessa famiglia."

Il ragazzo della confraternita la guardò con aria assente. Viviane si sentiva sicura di aver identificato correttamente la sua classificazione biologica nella gerarchia tassonomica. Classe dei fraternalis. Famiglia dei Greci. Una specie idiota.

Il coglione le afferrò il gomito. "Lascia che ti presenti una nuova razza divertente."

La sua battuta furba non cambiò la stima che Viviane aveva di lui. Era un maschio umano medio, dalla pelle sottile. Dove aveva preso tutta questa spavalderia? Da dove prendeva la sua infondata sicurezza uno qualsiasi di questi uomini medi che davano risposte mediocri a domande complesse? Aveva passato due anni in un campus con loro. Per due anni aveva sgranato gli occhi di fronte alle loro risposte sconsiderate. Per due anni aveva cercato, senza riuscirci, di chiudere la bocca di fronte alle loro nozioni e soluzioni idiote.

Ed ecco un altro maschio mediocre che traboccava di convinzioni infondate. Come donna e come lupo, doveva lavorare il doppio per guadagnare la metà del suo valore. Ed era stata comunque calpestata e usata da un uomo come quello. Viviane guardò le sue mani tozze sul suo gomito. "Mi lascerai andare," disse lei dopo aver fatto un respiro profondo.

Il ragazzo strinse la presa e le diede uno strattone nella direzione in cui voleva che andasse. "Oh, andiamo, piccola. Ho sentito che a voi puttane cagne piace farlo in modo violento. Userò anche i miei denti."

È vero, 'cagna' era il termine scientificamente corretto per classificarla, e Viviane amava tutte le cose scientifiche e concrete. Ma c'era qualcosa nel fatto che un uomo chiamasse una donna di qualsiasi razza 'cagna'. Aprì e chiuse le dita cercando di avere pazienza. Il suo lupo ululava per uscire e sbranare quella piccola bestia. Ma non poteva farlo uscire. Non per i prossimi nove mesi.

Sentì un basso ringhio. Era sorpresa che non provenisse da lei. Era il lupo alfa. I suoi occhi lampeggiarono, e raggiunse il ragazzo. Quindi il braccio del ragazzo si allontanò dalla lupa. Il piccolo idiota strillò come un maiale.

"Ehi, ehi," piagnucolò il ragazzo. "Mi dispiace."

Gli altri ragazzi della confraternita, il lupo alfa e i passeggeri fissarono Viviane. Avevano guardato con diffidenza quando i ragazzi la stavano molestando. Nessuno era venuto in sua difesa, tranne il lupo. Ma probabilmente era venuto in sua difesa solo per qualche idea di solidarietà razziale. O per vuotare le sue palle da alfa. Probabilmente per lo svuotamento delle palle.

"Non mi interessano le tue scuse." Viviane tese il muscolo del ragazzo della confraternita. Conosceva quel muscolo e la quantità di dolore che stava causando. L'anno precedente aveva superato gli esami di anatomia. E non era perché aveva fatto delle ripetizioni extra con il suo professore. Anche se aveva esplorato ogni centimetro del corpo del professor Lui. "Non sono qualcosa che puoi manipolare e poi buttare via come un pezzo di spazzatura quando hai finito di giocare con me."

"Mi dispiace. Non penso che tu sia spazzatura. Non avevo intenzione di usarti."

"Solo perché sono forte e indipendente e ho le mie idee, non significa che non abbia sentimenti. Non sono qui ai tuoi ordini." L'ultima parola si ruppe mentre lasciava le sue labbra.

Viviane lasciò andare il ragazzo. Crollò a terra. Sembrava un bambino ferito. Fece un respiro profondo per ricomporsi. Non aveva pianto davanti a Daniel e non avrebbe pianto ora davanti a quell’idiota.

"E non chiamarmi cagna," ringhiò.

Tutti i passeggeri, seduti e in piedi, tremarono quando il treno si fermò. I ragazzi caddero sui loro sedili. Il lupo alfa accanto a lei rimase fermo. Viviane vacillò. Il lupo tese le mani, ma non la toccò. Le sue braccia si allargarono intorno a lei come una gabbia aperta.

"Scendete, voi due cani," gridò uno degli ufficiali del treno. Guardò tra Viviane e il lupo alfa.

Viviane sospirò. Non aveva voglia di ripetere la lezione di biologia. C'erano ancora dei razzisti nel mondo che avevano paura dei figli della luna. Sembrava che questo ragazzo fosse uno di loro.

"Senti, io scendo," disse lei. "Ma lui non ha fatto niente." Indicò il lupo.

"Non mi interessa," disse l'ufficiale del treno. "Non voglio altre sciocchezze sul treno."

Sciocchezze? Da dove veniva questo tizio? Dal ventesimo secolo?

Viviane tornò al suo posto e tirò giù la borsa. Il lupo fece lo stesso. Questa volta non si offrì di aiutarla con la valigia.

Scesero in mezzo all’oscurità del deserto. Non appena furono lontani dai binari, il treno si alzò e corse via.

"Mi dispiace," disse Viviane. "Ma non ho chiesto il tuo aiuto. Avresti dovuto restarne fuori."

"Non ti ho chiesto la colazione," disse lui.

Viviane aprì la bocca per lanciarsi in una discussione, ma invece di parole dure, ne uscì un singhiozzo. Non riusciva più a sopportarlo. Si sedette su un sasso e divenne pallida. L'unica cosa che sapeva per certo era che le lacrime avrebbero sempre allontanato un uomo, il che andava bene perché lei voleva essere lasciata in pace. Invece, braccia calde la circondarono.

Viviane si irrigidì. "Cosa stai facendo?" Si piegò all'indietro, rompendo l'abbraccio di lui.

Il lupo la guardò, perplesso. "Stai piangendo."

"È quello che sto facendo io. Cosa stai facendo tu?"

Lui era in ginocchio con le braccia intorno a lei. "Ti sto confortando. È quello che si fa quando qualcuno è triste."

"Ma tu non mi conosci."

"Ha importanza? Hai bisogno di essere confortata". Lui spalancò le braccia.

Il suo busto si mosse indipendentemente dal resto del corpo, e prima che lei se ne rendesse conto, era tra le braccia di quello sconosciuto. Anche se sentiva l'odore di rigurgito su di lui, si trovava benissimo a riposare contro il suo petto.

"Non devi farlo," disse lei mentre il suo viso riposava su uno dei suoi pettorali morbidi come cuscini.

"Sì, lo so," disse lui. "Mia madre dice che la mia debolezza è che cerco sempre di fare la cosa giusta. Anche se finisce per farmi del male."

"Mia madre dice che faccio sempre la cosa opposta. Dice che sono testarda e che questo mi metterà nei guai."

"Sembra che tu stia sulla strada giusta."

Girò la testa e la appoggiò sul pettorale opposto, che era altrettanto comodo del primo. "Non sai tutta la storia."

"Vuoi dirmela? Abbiamo molta strada da fare prima della prossima stazione."

"Posso tornare a casa a piedi da qui." Lei guardò il paesaggio incombente. I Saguari sembravano appoggiarsi all'indietro per mostrarle la strada verso la sua casa nativa.

"I tuoi piedi non sembrano muoversi," disse il lupo.

"Questo perché so che quando tornerò a casa, mia madre mi ucciderà."

"Sono sicuro che stai esagerando."

"Non sto esagerando," disse lei.

Lui si tirò indietro e Viviane ne fu dispiaciuta. Non riusciva a ricordare l'ultima volta che era stata abbracciata così. Sua madre non era una che abbracciava. Suo padre non era stato molto presente. Daniel l'aveva abbracciata molte volte. Prima o durante il sesso. Non aveva mai cercato di consolare i suoi sentimenti feriti. Soprattutto perché era stato lui la causa di molti di quelli.

Viviane fece un respiro profondo e lasciò andare la cosa a cui si era aggrappata per più di due mesi. "Sono incinta."




Capitolo Tre


Pierce inspirò profondamente alle sue parole. Non per lo shock. Non era la prima donna nella storia che non era entusiasta di una gravidanza. Respirò profondamente cercando di cogliere un soffio della verità.

Era un odore debole. Ma era lì. Sotto la sua ricca e naturale fragranza c'era qualcosa di nuovo.

Non aveva mai sentito il profumo di una nuova vita prima. C'era qualcosa di fresco e prezioso in quel profumo. Gli fece venire voglia di sporgersi in avanti e proteggere questa donna con il suo corpo.

Aveva respirato normalmente mentre la tratteneva quando la sua intenzione era stata quella di confortarla. Ora i suoi polmoni si riempivano di quel profumo inebriante. Sembrava una lupa di città nel suo vestito aderente e nei suoi tacchi, ma odorava di terra trasformata, di vento e di luce del sole. La bestia sotto di lui si mosse verso la cerniera dei suoi pantaloni per avere un assaggio per sé.

Pierce fece una doccia fredda mentale al suo pene e al suo lupo. Non ci sarebbe stato nessun rapporto con questa donna in quel momento. Non importava quanto delizioso fosse il suo odore. Era sotto shock, disperata e bisognosa. Lui avrebbe fatto ciò che era giusto e l'avrebbe riportata dal suo compagno.

Si tirò indietro e diede un’occhiata alla clavicola di lei, fissando i piani, i contorni e le pendenze della sua pelle color miele. Gli ricordava il tempo trascorso sui pendii innevati delle montagne del Montana e le tracce che si lasciava dietro con i suoi sci. Ma a differenza di quel paese delle meraviglie invernale, il collo di questa donna era nudo.

"Non sono accoppiata," confermò lei.

Si girò come se cercasse il padre del bambino. Aveva rifiutato il padre? Anche se un lupo maschio sentiva il desiderio di reclamare una femmina, lei non era obbligata ad accettarlo.

"Lui non fa più parte del quadretto." Le sue spalle si irrigidirono e il suo mento si irrigidì.

Pierce non fece la domanda che aveva in mente. Si chiese se il maschio fosse un solitario. Il padre della sua nuova cognata era stato un solitario. Ma il padre di Lucia aveva amato sia lei che sua madre. Si era preso cura di loro. Le aveva tenute al suo fianco mentre la sua natura lo spingeva a vagare per le terre.

Le due femmine lo avevano seguito finché la madre di Lucia non si era ammalata. Poi erano dovute tornare alla sua congrega. La congrega delle streghe non avrebbe permesso a un lupo, o a qualsiasi uomo, di salire sulla loro montagna.

Il lupo solitario era impazzito e si era fatto sbattere in prigione. Questo fece credere a Lucia che lui l'avesse abbandonata. Ma Jackson, con la sua formazione giuridica, aveva ottenuto la libertà per il lupo catturato. Il padre di Lucia era uscito di prigione e si stava riavvicinando a sua figlia.

Quella storia non era la normalità per i solitari. Pierce sapeva che i lupi solitari spesso avevano figli e li abbandonavano. Era determinato a non avere mai figli suoi. Era stato già abbastanza difficile abbandonare la sua famiglia. Non l'avrebbe mai fatto ad un cucciolo.

"Cosa devo fare?" La donna tra le sue braccia disse quelle parole più a sé stessa che a lui.

Sul treno, quando era stata affrontata dai ragazzini di bassa lega, Pierce le aveva coperto le spalle. Certo, c'era la solidarietà nel loro essere della stessa specie. Ma si era sentito responsabile per lei. Non era esattamente sicuro del perché? Forse perché una parte di lei era finita sui suoi pantaloni?

Non si era bevuto tutto l'atteggiamento che lei gli aveva mostrato, prima che lei gli desse anche la sua colazione. Lei non era come lui. Non era una solitaria. Le femmine non lo erano mai. Aveva bisogno di un branco che la sostenesse. Così lui era intervenuto.

Non esistevano le madri single nella cultura lunare. I bambini venivano cresciuti da famiglie, branchi, congreghe o clan. Suo padre avrebbe potuto inseguire il lupo fannullone e strappargli il muso. La famiglia era la famiglia. Si prendevano sempre cura dei loro, anche se c'era discordia all'interno dei ranghi.

"Potresti dire loro la verità," disse. "Sono la tua famiglia. Ti copriranno sempre le spalle."

Pierce ci aveva messo del tempo a dire ai suoi genitori la verità sulla sua natura. Naturalmente avevano sempre saputo la sua vera natura. L'avevano solo negata e avevano cercato di tenerlo legato a casa. Non gli piaceva che se ne andasse in giro da solo. Non era sicuro se fosse per la parte 'da solo' o la parte 'in giro'.

La donna davanti a lui scosse la testa. "La mia famiglia non era d'accordo con la mia decisione di andare all'università. Mia madre non riusciva a capire perché un lupo avesse bisogno di un'educazione umana. Non venne nemmeno alla mia laurea. E mi andò bene così."

Incrociò le braccia sul petto e si strofinò l'avambraccio. Era un gesto che aveva visto fare molte volte a sua sorella quando i suoi fratelli maggiori la lasciavano indietro. Gli occhi di Pierce si ammorbidirono alla sua vista. Quando la lupa si accorse del suo sguardo, lasciò cadere le braccia e raddrizzò la schiena.

"Lui lo sa?" Chiese Pierce. "Il padre del cucciolo?"

Lei fece un cenno con la testa. "Non gli stavo chiedendo di mantenermi. La mia famiglia è benestante. Non sono così stupida da credere che mi amasse." Il suo mento, d'acciaio un momento prima, vacillò a quelle parole. "Volevo solo che il mio bambino sapesse chi fosse suo padre. Ma lui nega che sia suo."

Pierce le mise le mani sulle spalle. Le spalle di lei erano ferme sotto il suo tocco; come argilla dura. Ma presto si ammorbidirono e divennero malleabili. Lui allungò di nuovo le braccia intorno a lei.

Lei lo guardò. All'inizio con circospezione. Quando la guancia di lei toccò il petto di lui, le sue spalle si abbassarono e lei si lasciò abbracciare.

"Perché sei così gentile con me?" disse lei. "Stai cercando di sedurmi? Hai visto cos'è successo la prima volta."

Pierce ridacchiò, il suo respiro soffiò su una ciocca dei suoi folti capelli. Il movimento gli fece entrare nelle narici un altro po' di quell'odore di terra. Fu sorpreso di notare che il suo lupo, che era stato impaziente di correre solo mezz'ora prima, sedeva calmo e vigile.

"Rischi del mestiere," rispose. "Per servire e proteggere."

"Sei un poliziotto?"

"Beh... non esattamente. Credo che, tecnicamente, lo sono. Mi sono diplomato all'accademia, ma il lavoro non faceva per me."

"Allora non è un rischio professionale."

"No," ridacchiò di nuovo. "Immagino che sia solo una vecchia e regolare abitudine. Vedo qualcuno in difficoltà e mi offro di aiutarlo."

"Potresti tornare alla Sequoia University e trascinare l'uomo che mi ha messo incinta ad affrontare mia madre? Mi aiuterebbe molto."

Aveva una mezza idea di farlo. Non riusciva a immaginare nessun padre che abbandonasse volontariamente suo figlio. Ma d'altra parte, se il lupo non fosse stato disposto a prendersi le sue responsabilità, non avrebbe meritato il dono di un figlio. Pierce inspirò e colse un altro accenno della preziosa vita che cresceva dentro di lei.

"Mia madre mi ucciderà quando tornerò a casa con una laurea in mano e un bambino nella pancia."

La bocca di Pierce si aprì prima di sapere quali parole fossero in arrivo. "Deve essere lui per forza?"

"Chi?" Lei si staccò da lui, ma non dal suo abbraccio. Quanto bastava per scrutarlo in viso.

Fu colpito da quegli occhi blu penetranti. I lupi vedevano benissimo al chiaro di luna, ma i suoi occhi gli fecero sentire il bisogno di strizzare i suoi di fronte alla loro cristallina luminosità. L'unica cosa che mancava era il suo sorriso; quello che gli aveva regalato quando gli aveva chiesto di risparmiarle i convenevoli. Ignorò ancora una volta quella richiesta. Quella donna aveva bisogno di qualcuno di gentile nella sua vita.

"Suppongo che tu non l'abbia mai portato a casa a conoscere la tua famiglia?" Chiese Pierce.

Lei scosse la testa per confermare i suoi sospetti.

"Allora potrebbe essere qualsiasi uomo," disse lui. "Tua madre non lo saprebbe mai."

"Di che cosa stai parlando?"

Lei si alzò e lui venne con lei. Le sue braccia rimasero appena sopra la vita di lei in una specie di abbraccio aperto.

"Potremmo far finta che io sia il padre," disse lui. "Che siamo accoppiati."

"Sei pazzo?" Lei si staccò completamente dall'abbraccio di lui, a quella affermazione.

"No. Sono un solitario."

Il suo viso si schiarì in segno di comprensione. La simpatia si diffuse nei suoi lineamenti angolati.

"Sai cosa significa," disse lui. "Non mi sistemerò mai. Non ho intenzione di avere figli miei perché non abbandonerei mai un cucciolo. Ma per aiutarti? Reclamerò il bambino e poi farò ciò che è nella mia natura e scapperò."

Pensò per un secondo.

Scosse la testa con decisione.

Poi si fermò e lo guardò pensierosa.

"Perché dovresti fare una cosa del genere?" Il suo labbro fremette sull'ultima parola.

Ce l’aveva sulla punta della lingua, stava per dirle che era nella sua natura fare la cosa giusta. Ma era anche nella sua natura abbandonare le persone che amava. Il pesante senso di colpa che aveva provato prima, all'inizio del viaggio in treno, gli martellava il cuore.

I lupi solitari spesso non lasciavano altro che promesse infrante, cuori infranti e sogni infranti sulla loro scia. Forse Pierce aveva trovato l'unica cosa per cui la sua natura era buona.

Non era la sua famiglia che sarebbe rimasta delusa da lui. Era quella della donna. Non aveva niente da perdere. Il cucciolo e sua madre avevano tutto da guadagnarci.

"Mi dà la possibilità di usare il mio talento di andarmene a fin di bene."

Inspirò il suo profumo di terra. Dentro di sé, il suo lupo si leccò i baffi. Non poteva negare di volerla. Ma lui colpì il suo lupo per sottometterlo. Aveva già avuto abbastanza maschi che si approfittavano di lei nella sua vita. Inspirò di nuovo e l'odore fresco e pulito che era la nuova vita dentro di lei riempì un vuoto da qualche parte dentro di lui.




Capitolo Quattro


Viviane guardò il ragazzo, lo guardò davvero, per la prima volta.

Era bello. Davvero bello. Aveva un aspetto quasi perfetto, con il mento forte di un principe africano, un lungo naso patrizio che indicava l'aristocrazia europea e le labbra carnose di un cherubino deliziato.

Per finire, aveva un taglio preciso, come un lupo di città. La sua barba e la sua criniera erano rasate a zero. La sua pelle bruna brillava al chiaro di luna crepuscolare. Ma l'aspetto soave e da gentiluomo della metà superiore di lui era fuori posto rispetto alla metà inferiore.

I suoi occhi si inclinarono verso il basso verso gli scarponi da trekking ben consumati, con del vecchio letame incrostato sulle punte. La stessa sostanza che colpiva i suoi piedi era una macchia sbiadita sulle rotule dei suoi pantaloni cargo. Il suo naso le disse che la camicia di lino che indossava era fresca di bucato, ma anch'essa aveva visto giorni migliori.

"Sei molto bello," disse lei.

Quando lui sbatté le palpebre, lei si rese conto che le sue parole avrebbero potuto suonare affrettate. A differenza delle donne della città, lei non aveva mai imparato a moderare le sue opinioni. Aveva sempre alzato la mano in classe, a differenza delle altre ragazze che demordevano di fronte al corpo studentesco in gran parte maschile e per lo più mediocre. Viviane era cresciuta circondata da donne, gli uomini erano scarsi. Non aveva mai imparato a tenere a freno la lingua di fronte ai maschi. Diceva sempre esattamente quello che pensava.

"Sei gay?" Chiese lei.

"No," ridacchiò lui.

Non sembrava insultato dalla sua domanda. La sua risatina si dissolse in un sorriso paziente mentre aspettava che lei facesse quello che voleva della sua offerta di fingere di avere una relazione con lei. Viviane non abbassò la guardia. Daniel aveva trovato la sua schiettezza divertente. All'inizio.

"Ho pensato che forse anche tu avessi bisogno di una copertura," disse lei.

Lui rise sul serio, sembrando non offendersi della sua offerta di essere il suo finto compagno per nascondere la sua sessualità. "Sono appena uscito allo scoperto come lupo solitario. Vado in esplorazione."

A quanto pare non aveva bisogno di nascondere nulla. Era un etero, virile, lupo alfa. Era proprio come tutti i maschi del suo paese.

Viviane non si era interessata a nessuno dei lupi della sua città natale. Erano tutti indomiti, rozzi, incivili, incolti, un gradino sotto gli animali. Ognuno di loro credeva di essere un alfa. Nessuno di loro lo era.

Un tempo, abbaiavano ordini contradditori. Si aspettavano che le loro donne rimanessero a casa e si prendessero cura della casa e dei cuccioli. Trascorrevano le loro giornate affermando il loro dominio, pisciando su linee invisibili di territorio e combattendo le rivendicazioni di altri maschi. Ma non era più così.

La superiorità dell'Alfa del suo branco era assoluta. Il loro territorio era recintato. E nessuno si sarebbe azzardato ad attaccare briga con i lupi di Veracruz. A meno che non volessero che gli venissero strappate le palle, arrostite con un rametto di salvia e riconsegnate su un piatto d'argento.

Quella sicurezza era sufficiente per i lupi del suo branco. Ma non per lei. Viviane aveva sempre voluto di più dalla vita. Aveva voluto un'istruzione. Voleva modernizzare la fattoria di famiglia.

Sua madre era stata contraria. Insistendo sul fatto che, come lei non aveva bisogno di nessun uomo nella sua vita, sua figlia non aveva bisogno di un'educazione umana. Le vecchie maniere funzionavano bene, insisteva Gloria Veracruz. Viviane pensava che sua madre fosse un'ipocrita. Il branco dei Veracruz non seguiva le vecchie abitudini, non nel senso convenzionale del termine.

Viviane osservò l'uomo bello, caritatevole e paziente che le stava davanti. Non sapeva nemmeno il suo nome. Ma non aveva importanza. Il piano era folle. Se lo avesse portato a casa, il branco lo avrebbe fatto a pezzi e servito con un contorno di patate schiacciate.

"Non so se sei pazzo o gentile?" Disse lei.

"Un po' di entrambi," scrollò le spalle. "Non è un problema fare una sosta, soprattutto se ti aiuta."

"Non sono stata altro che un problema per te dal momento in cui ci siamo incontrati. Prima ti vomito addosso. Poi ti faccio cacciare dal treno."

Un'altra scrollata di spalle. "Comunque, ero in preda ai crampi. Ho bisogno di correre." Si guardò intorno. I suoi occhi brillavano alla luce della luna. Il suo lupo sbirciò da dietro quegli occhi nocciola e le sorrise.

Quel ghigno furtivo la accecò per un attimo, ma Viviane si scosse. L'ultimo uomo che le aveva lanciato un sorrisetto furtivo l'aveva lasciata incinta e sola. "Come ti chiami?"

"Pierce. Mi chiamo Pierce Alcede. E tu?"

"Viviane. Viviane Veracruz."

"Che bello. All'antica."

"Aspetta di conoscere la mia famiglia." Lei alzò di nuovo lo sguardo verso quel ragazzo. C'era un'innocenza nei suoi occhi. Sua madre gli avrebbe dato un'occhiata e l'avrebbe fatto piagnucolare come un piccolo cucciolo. Se l’avesse considerato davvero, allora avrebbe dovuto almeno dare a questo ragazzo un avvertimento su quello che sarebbe successo. "La mia famiglia è... molto poco tradizionale."

Lui fece un lungo e drammatico sospiro. "La mia famiglia è ficcanaso."

"Anche la mia."

Si chinò, in modo cospiratorio, e sussurrò con l’intento di essere sentito nella notte tranquilla. "E prepotente?"

"Lo stesso la mia." Viviane perse il controllo del sorriso che le sfuggì dalle labbra.

Pierce ricambiò il sorriso. Poi la sua espressione divenne pensierosa. "Ma amano molto e farebbero di tutto per proteggermi. Verrebbero in mio soccorso in un minuto. Anche se a loro non piace che io abbia bisogno di vagare. Non credono proprio che io sia un solitario. Sperano che sia solo una fase."

Anche la madre di Viviane aveva pensato che i suoi obiettivi di apprendimento superiore fossero una fase. Gloria Veracruz era stata orgogliosa della sua figlia intelligente. Per tutta la vita sua madre le aveva insegnato che doveva essere la migliore, che la Luna era l'unico limite. Ma quando la sete di conoscenza di Viviane aveva oscurato la sua vita nella fattoria, Gloria aveva iniziato a strappare i libri dalle mani della figlia. Sua madre si era negata quando era arrivata la lettera di accettazione dell'Università di Sequoia.

"Ma ti sostengono?" Lo stomaco di Viviane si indurì mentre soffocava le parole.

Lui annuì. "È quello che si fa in una famiglia."

Lei sentì la bile in fondo alla gola. "Beh, tu non sei la mia famiglia. E io non sono la tua."

"Sei la cosa più vicina alla famiglia che io abbia in questo luogo e in questo tempo." Quel sorrisetto furtivo tornò sul suo bel viso. "Sai, sei la seconda donna che ho cercato di salvare e che non ne aveva bisogno. La prima ha sposato mio fratello e ora fa parte della famiglia. Porta il nome della mia famiglia e ha la loro protezione. Forse questo è il destino? Forse è questo che devo fare per il resto della mia vita? Cavalcare treni e salvare donne in difficoltà."

"Non ho bisogno di alcun salvataggio," insistette lei.

Lui si tirò in bocca una di quelle labbra da cherubino e trattenne la lingua. Le lanciò un'occhiata, non per sfidarla. Semplicemente era in attesa.

Viviane non sapeva cosa fare con quel ragazzo. Lui non ringhiava e non insisteva. Presentava fatti logici, soluzioni plausibili, e poi faceva un passo indietro e aspettava il verdetto. Non era nella media, né mediocre.

E forse aveva un po' ragione. Forse aveva bisogno di essere salvata. Temporaneamente, naturalmente. Una cosa che le aveva insegnato sua madre, una cosa che aveva imparato anche all'università, era che tutti gli uomini potevano andare al diavolo.

Viviane non voleva più alcun diavoletto nella sua vita. Per la Dea, sperava che il bambino fosse una femmina. Più che volere una bambina, non voleva che sua madre sapesse di aver avuto ragione su quel punto. Avrebbe potuto creare un pericoloso precedente: sua madre che credeva di avere ragione su qualsiasi cosa nella vita di Viviane.

Forse questo lupo davanti a lei era la soluzione perfetta. Sua figlia avrebbe avuto un padre, temporaneamente. Sua madre e il branco avrebbero potuto coagulare la loro ira intorno a lui. Lui se ne sarebbe andato prima che potesse essere colpito. Sua madre e il branco avrebbero concentrato la loro rabbia su un fantasma e abbracciato lei e il suo cucciolo. Avrebbe potuto funzionare.

"Bene," disse lei. "Se dobbiamo farlo, lo faremo a modo mio."

Viviane incrociò le braccia al petto e aspettò che lui obiettasse.

Pierce Alcede rimase lì, sembrando aspettare le sue istruzioni.

Lei sbatté le palpebre, rendendosi conto di non avere altre istruzioni. E così tirò da parte la parte superiore della camicetta.

"Facciamolo," disse. "Marchiami."




Capitolo Cinque


Pierce strizzò le labbra mentre Viviane si tirava giù il colletto della camicetta. I muscoli della gola si tesero alla distesa della sua pelle mielata. La vista generò una marea di desiderio che gli impastò la lingua. La carne nuda brillava sotto la luce della luna come un faro nel buio, attirandolo più vicino.

Non ci aveva pensato granché a fare il capro espiatorio per lei. Non perché fosse bella, e lo era. Aveva notato per la prima volta i suoi lineamenti sotto le abbaglianti luci fluorescenti del treno. Nel bagliore naturale della Luna, lei gli aveva tolto il fiato.

La stava aiutando perché era nella sua natura. Veniva da una lunga stirpe di alfa che erano programmati per proteggere e salvare chiunque avesse bisogno, specialmente se si trattava di una femmina. E come i suoi antenati, Pierce si trovava spesso al servizio delle donzelle, ma raramente ne era attratto. Come suo fratello e suo padre, Pierce amava le donne forti.

Viviane Veracruz era forte. Nel corpo, così come nella mente. Sul treno, aveva facilmente e abilmente messo fuori gioco quel giovane umano. Come l'aveva chiamato? Un coglione.

Pierce ridacchiò. Era intelligente il modo in cui aveva usato la scienza per denigrarlo. Peccato che l'idiota non avesse capito la battuta. Pierce stesso la capiva a malapena. La scienza e la matematica non erano il suo forte. Gli angoli e i piani del collo e delle spalle esposte di Viviane lo ispiravano a fare un altro tentativo con la geometria. Avrebbe voluto prestare più attenzione durante la lezione per avere i termini corretti per descrivere la visione che lei provocava.

Lei aveva la testa girata e il tendine pulsante che si estendeva da appena sotto l'orecchio per tutta la lunghezza del collo, attirandolo più vicino. L'osso che si estendeva oltre le scapole e bisecava la linea della clavicola per formare una T era elegante, regale, la perfezione. Tutte le linee puntavano dritte al suo cuore.

Lui fece un passo più vicino a lei, diretto verso quell'occhio di bue pulsante. Ma poi si fermò. Tutte le linee puntavano al centro del suo petto. Il cuore era sul lato sinistro del petto. Il cuore non era il suo obiettivo, solo l'osso sotto il punto di pulsazione del collo. Il marchio sarebbe stato visibile con una camicetta o un vestito a collo alto. Marcare una donna in quel punto mostrava al mondo che si fidava del suo compagno a costo della vita. Pierce spostò la sua attenzione su quel punto sul lato destro del corpo di lei.

Mentre si avvicinava, il suo lupo si sollevò alla vista della clavicola esposta. Pierce si sentì come un cane a cui era stato appena regalato un grosso osso. L'uomo e il lupo si avvicinarono a Viviane. Il suo lupo scalpitava, tirando il guinzaglio di controllo per avere un'occhiata migliore, un'annusata più profonda, un primo assaggio.

Pierce mise la mano sulla schiena di Viviane. Ne percepì il calore. Le sue dita si adattarono perfettamente allo spazio della sua schiena. La vide allargare gli occhi mentre lui abbassava la testa. Si chiese se lei stesse avendo dei ripensamenti.

Troppo tardi.

Il suo profumo gli riempì le narici e fece girare la testa al suo lupo. Spalancò la bocca, gli incisivi si affilarono. Non aveva mai marcato una donna prima. Non aveva mai pensato di farlo. Non si era mai sentito obbligato a farlo.

Non si sentiva esattamente obbligato adesso. Era il suo cervello a dirgli che quella era la cosa giusta da fare, offrire aiuto a quella donna e protezione al suo cucciolo. Almeno così ripeteva a sé stesso mentre si avvicinava sempre più al suo obiettivo. Lo faceva per il cucciolo, il cucciolo innocente e il suo futuro. Se Pierce non avesse avuto figli propri, il minimo che potesse fare sarebbe stato assicurare a questo cucciolo la strada per l'inizio della vita.

Le labbra di Pierce toccarono per prime la pelle di Viviane. La pelle sottile del suo labbro inferiore si scaldò come se avesse delle vesciche per essersi avvicinato al sole. Ma era la notte fresca e profonda. Una leggera brezza attraversò il piccolo spazio tra le sue labbra e la pelle di lei. L'aria sfrigolò, e lui vide la nebbia di calore salire.

Chiuse le labbra sulla pelle di lei. Prima che potesse liberare la lingua per assaggiare, la nebbia gli riempì le guance. La sua lingua colpì la sua pelle, e lei sussultò. La sua inspirazione fece sì che i suoi seni sfiorassero il suo petto. Di sua iniziativa, l'altra mano di Pierce andò al suo fianco. Con entrambe le mani piene delle sue curve lussureggianti, la tirò a filo del suo corpo.

Leccò la sua pelle. Pensava che sarebbe stata dolce; un sapore delicato. Ma non lo era. Era una miscela inebriante di terra e cielo e luce della luna nella sua bocca. Aveva il sapore di una lunga corsa sotto la luna piena. Lui fece rotolare il sapore intorno alla punta della sua schioccando, sfogliando, leccando e succhiando finché il sapore non fosse svanito.

Non lo fece.

Pierce si tirò indietro per un breve secondo; meno del tempo necessario per prendere un respiro. Meno del tempo che Viviane impiegò per sbattere le palpebre. E poi era di nuovo su di lei.

I suoi denti si strinsero intorno all'osso. Le perforò la pelle. Lei gemette, basso e profondo in gola. Lui la portò ancora più vicino. Il suo cuore batteva contro quello di lui. Il suo ventre morbido premette contro i suoi addominali duri. L'inguine di lui premeva contro l'osso pubico di lei. Era magnifico.

Sapeva che quello che stava vivendo era solo istinto. Era il lupo, non l'uomo, che era in prima linea. Era il lupo, non l'uomo, che voleva affondare i suoi artigli in questa donna e fare più che segnarla. Era il lupo, non l'uomo, che voleva spingerla contro il cactus, sfilarle la gonna e seppellirsi dentro di lei.

Nessuna di queste cose accadde. Invece, la distanza si fece strada tra loro. Pierce strinse Viviane più forte, deciso a non separarsi da quella donna.

Qualcosa fece breccia nella foschia. La forza che si frapponeva tra loro era la mano di Viviane. La voce di Viviane lo raggiunse da lontano, chiamando il suo nome. Era una voce che respirava, una voce a cui il suo lupo si rianimò. Era un lupo, non un uomo, ad ascoltarla.

Pierce espirò, lentamente. Rilasciò i denti dalla pelle di lei. Abbassò lo sguardo sul disordine che aveva fatto sul suo bellissimo petto. Voleva dare una leccata al punto della clavicola per raddrizzare la direzione sbagliata dell'inclinazione del suo segno. Ma Viviane si allontanò da lui con gli occhi spalancati.

Coprì la zona con la mano. Alcune gocce di sangue fecero capolino tra le sue dita sottili. Gli incisivi di Pierce gli fecero male alla vista. Chiuse la bocca. Sulla sua lingua assaggiò il sangue di lei, denso e ammuffito. Deglutì e il suo lupo seguì il suo percorso lungo la gola.

"Mi dispiace," disse infine. "Non l'ho mai fatto prima."

Lei evitò il suo sguardo. "Nemmeno io l'ho mai fatto."

"Non ero preparato all'effetto che avrebbe avuto sul mio lupo."

"Nemmeno io."

Pierce guardò Viviane. Gli sembrava piccola allora. Poteva ammettere a sé stesso di desiderarla, doveva anche ammettere che tutto questo era strano. I lupi maschi di solito stanno alla larga dalle femmine incinte. La sua attrazione per lei era probabilmente dovuta al fatto che non aveva avuto una donna da mesi. Era stato in giro a vagabondare. E poi si stava riprendendo in ospedale dall'ultima donna che aveva cercato di salvare su un treno.

Pierce si stampò un sorriso in faccia, spingendo il suo lupo verso il basso. Aveva fatto un patto con questa donna. I patti erano un sacramento per i lupi. Lui sarebbe stato il cattivo, il capro espiatorio della sua famiglia, in modo che lei e il suo cucciolo non ne avrebbero sopportato il peso.

"Ci sto ancora," disse. "Un padre fannullone al tuo servizio."

Fece un inchino. Quando si alzò, lei ancora evitò il suo sguardo. Le sue labbra si strinsero, incerte. C'era una domanda sulla sua fronte, ma lei non la fece.

Pierce temeva che avesse cambiato idea. Che, dopo averlo dovuto allontanare, ora dubitava che lui avrebbe mantenuto la sua parola. Diavolo, non riusciva a tenere per sé i suoi dannati denti e la sua lingua e le sue labbra.

Una leggera brezza soffiò, e lui si avvicinò di più, catturando un'altra zaffata del suo profumo di terra. Le sue labbra si contrassero mentre guardava la mano di lei che copriva il suo marchio. Le sue dita divennero pugni quando lei tolse lentamente la mano.

La vista della sua richiesta suscitò qualcosa dentro di sé. Aveva deluso così tante persone nella sua vita. Aveva fatto troppe promesse che non aveva potuto mantenere. Ma questa volta non stava promettendo di restare. Stava promettendo che se ne sarebbe andato. Era una promessa che poteva mantenere.

Pierce allungò la mano verso di lei. "Andiamo?" Chiese.




Capitolo Sei


Viviane fissò la mano tesa di Pierce. Le sue dita si contraevano, mentre nella sua mente si chiedeva in cosa si fosse cacciata. Non si era mai lasciata marchiare da un uomo. Non le erano mai piaciuti molto i succhiotti.

La prima volta che un ragazzo le aveva sbavato sul collo lo aveva spinto via, gli aveva dato un calcio nei testicoli ed era corsa sotto la doccia. Non aveva idea di cosa fosse tutto questo casino con i ragazzi. Sembrava che volessero tutti la stessa cosa: sbavarle sul collo o metterle la lingua in bocca.

Viviane aveva evitato i maschi in gioventù. A meno che non si trovasse nei campi per una gara, o nella stanza dei giochi per una sfida di abilità. Era molto più divertente batterli negli sport, nei giochi o negli studi. Ci voleva un maschio che la battesse in una battaglia d'ingegno per farla soccombere alle astuzie fisiche.

Non le era dispiaciuto lo sbavare di Daniel. Era sempre stata desiderosa di superare i preliminari e passare direttamente all'atto di fare l'amore.

Ah! Fare l'amore.

Non era mai stato amore. Avevano scopato. Era stato bello, anche la parte in cui lui aveva insistito per metterle la lingua sul collo e sui seni. Ma dopo averlo fatto un po’ di volte, lui l'aveva fregata.

E ora, quest'uomo, questo lupo, le aveva offerto la sua gentilezza. Le aveva offerto il suo aiuto. Viviane guardò dalla sua mano tesa al suo viso, in particolare alle sue labbra.

Erano state meravigliose sul suo collo. Aveva sentito il loro impatto nel suo cuore. Il suo marchio le era sembrato una cosa viva, pulsante. Il suo battito batteva nel punto del suo marchio come se avesse un proprio battito cardiaco.

C'era qualcosa nel suo volto, qualcosa che le diceva che poteva fidarsi di lui. Che non l'avrebbe delusa. E questo la spaventava.

Daniel non si era mai esposto per lei. L'aveva usata finché non ne aveva avuto abbastanza e poi l'aveva scartata. Beh, lei aveva imparato la lezione. Avrebbe fatto lo stesso con questo ragazzo.

L'avrebbe usato per i suoi scopi, e l'avrebbe buttato sul marciapiede alla fine. Lui non avrebbe potuto farci nulla. Nessuna discussione che potesse lanciare. Nessuna equazione razionale che potesse annullare.

Viviane strinse i pugni e mise le mani nelle tasche della gonna. Non si sarebbe mai più fidata di un uomo. Compreso quello che le aveva mostrato solo gentilezza.

Era come tutti gli altri. Da qualche parte in quel corpo di dura perfezione muscolosa, c'era solo un altro uomo mediocre che approfittava del suo fascino. Le avrebbe mostrato i suoi veri colori ad un certo punto nel loro breve tempo insieme. Aveva solo bisogno di liberarsi di lui prima che accadesse.

Lei prese l'iniziativa, superando la sua mano e afferrando la maniglia della sua valigia. "È da questa parte."

Pierce ritrasse la mano, prese il suo sacco e la seguì senza fare commenti.

Lui era un enigma per lei. Era chiaramente un alfa. Ma non si era mai imposto né aveva mai cercato di guidarla. Nemmeno sul treno. Non aveva insistito per aiutarla con il suo bagaglio quando lei faticava a metterlo nello scompartimento in alto. Si era fatto da parte e aveva lasciato che fosse lei a occuparsi della faccenda quando lo stupido bagaglio gli era sfuggito di mano.

"Dove siamo esattamente?" disse lui, tenendo il passo accanto a lei.

"Nella valle di Sonora."

"Pensavo che la Sonora fosse un deserto."

"Non nell'ultimo secolo," disse lei. "Non da quando le acque dell'Oceano Pacifico sono entrate nell'entroterra."

I maestosi Saguari erano rimasti come ricordo di ciò che la terra era una volta, un deserto sterile. Ora, alla base dei cactus, dove una volta c'era la sabbia, c'era un fogliame verde e rigoglioso.

Per lo più. C'erano ancora chiazze di terra secca qua e là. L'oceano non arrivava sempre così lontano nell'entroterra. La pioggia era poco frequente e la siccità era una preoccupazione costante per gli abitanti della valle.

Viviane e Pierce camminarono in silenzio per un po’. Pierce guardava il paesaggio con occhi meravigliati. Il marrone dei suoi occhi passava dal nocciola all'oro e viceversa. Non riusciva a distogliere lo sguardo dai cactus e lei non riusciva a toglierlo da lui. Finché Pierce si allontanò da lei e uscì dal sentiero.

"Cos'è quello?"

Viviane lo afferrò. "Pierce, non farlo."

Aveva a malapena un’influenza su di lui, ma lui si fermò all'istante alle sue parole. Girandosi verso di lei con quell'espressione paziente, aspettò una spiegazione.

"Questa non è la nostra terra," avvertì lei. "Appartiene ad un altro branco di lupi. I Guerrero. Sono in qualche modo rivali della mia famiglia. L'ultima cosa di cui ho bisogno è quel branco. Dobbiamo rimanere sulla strada. È un terreno neutrale."

Pierce annuì e tornò al passo con lei. "Sembra un terreno agricolo."

"È un vigneto. I Guerrero producono vino." Erano troppo lontani dal sentiero battuto per vedere i filari e le file di viti ordinate e tozze che sembravano aridi cespugli di rose. "La mia famiglia, siamo allevatori di pecore. Abbiamo un piccolo appezzamento dove coltiviamo il cibo per le nostre cucine. Sono solo circa dieci acri."

"Dieci acri solo per il cibo?" Il suo tono era incredulo. "Quanta terra per tutta la fattoria."

"Non lo so..." Viviane scrollò le spalle. "Un centinaio o giù di lì?"

"Wow." I suoi occhi si illuminarono di più al pensiero. "Non ho mai visto tanta terra rigogliosa in tutta la mia vita. Sono stato al nord, nel Canada. Questa è la mia prima volta così a sud." Viviane guardò il terreno. Doveva ammettere che le era mancato vedere l'erba libera invece dei ciuffi tra il cemento e i mattoni. Era bello vedere i Saguari all’orizzonte invece dei grattacieli. L'aria era pulita e piena di vita, invece che intasata da sostanze chimiche e smog. Era bello essere a casa.

Un rombo provenne dal fogliame alla loro destra.

Pierce mise il suo corpo davanti a quello di lei per farle da scudo. Avrebbe dovuto essere infastidita. Non aveva dimostrato di saper badare a sé stessa? Ma d'altra parte, le piaceva quella vista.

Pierce aveva le spalle larghe. Era grosso e muscoloso, al contrario del corpo agile di Daniel. Viviane si era spesso chinata perché aveva un centimetro di altezza in più di Daniel. E, ad essere onesta, le sue spalle erano più larghe. Pierce aveva un paio di centimetri più di lei e le sue spalle erano abbastanza larghe da bloccarle la vista. Aveva il desiderio di appoggiare la testa nella fessura tra le sue scapole.

"Cosa c’è lì, Vivi?"

Viviane sospirò a quella voce. Era stata così distratta dall'odore di Pierce, e dalle pulsazioni al collo, e dalla larghezza della sua schiena, e forse aveva dato un'occhiata al suo culo sodo, che non aveva percepito il pericolo avvicinarsi.

Jesus Guerrero uscì dal sottobosco; nudo come il giorno in cui era nato. Il lupo alfa era alto e largo come Pierce. Invece della pelle marrone terra che ricopriva i muscoli di Pierce, il tono della pelle di Jesus era abbronzato come la sabbia che ricopriva il terreno sotto i suoi piedi nudi. I suoi capelli scuri erano arruffati, come se fosse venuto da un’avventura con una o due lupe. I suoi occhi brillavano d'argento al chiarore della luna.

"Un tuo amico?" Domandò Pierce, senza allentare la sua posizione.

Pierce tenne un braccio in fuori come barriera tra Viviane e il lupo che si avvicinava. Nella sua mente, Viviane sapeva che avrebbe dovuto prendersela con quel braccio e con la sua incursione nella sua autonomia. Ma notò che l'enorme zampa di Pierce si posava proprio davanti al suo ventre. Stava proteggendo il suo cucciolo. Il gesto la immobilizzò.

"Non sono certo un tuo amico," disse Jesus valutando Pierce. "Stai sconfinando."

"Siamo sulla strada," disse Viviane. La sua voce di qualche ottava sopra il respiro.

Jesus la guardò con aria interrogativa. Intorno a lui, lei non aveva mai parlato con quel tono di comando e superiorità.

Viviane deglutì e ritrovò il suo tono naturale. "Non preoccuparti, nessuno sta cercando di fare breccia nella tua fortezza di solitudine." Si guardò intorno per osservare il paesaggio. Tecnicamente erano al confine tra la terra della sua famiglia e quella di lui. La fattoria dei Guerrero era a chilometri di distanza da lì. "Cosa ci fai così lontano, comunque?"

Jesus ignorò la sua domanda. "Non è la strada che lui sta violando." L'Alfa Guerrero guardò il braccio di Pierce che bloccava il corpo di Viviane. Jesus emise un ringhio basso e minaccioso.

Pierce fece lo stesso.

Viviane uscì e si mise tra i due maschi. "Oh, metti via quel coso, Jesus. Né quello né la tua lingua bavosa sono desiderati qui."

Le narici di Jesus si allargarono. "Non è possibile che tu stia con questo cucciolo di città?"

"Non sono affari tuoi."

"Certo che sono affari miei.” Batté il piede nudo sul marciapiede. "Tu ed io..."

L'abbaiare di Viviane fermò la conclusione della frase. "Non c'è nessun tu ed io. Non c'è mai stato. E a meno che tu non voglia un problema con il mio Alfa, ti suggerisco di toglierti dalla nostra strada."

Jesus aprì la bocca per parlare e non ci riuscì. I suoi occhi si strinsero sul segno del morso fresco sul collo di lei. Fissò Pierce. Un luccichio argenteo e omicida invase i suoi occhi.

Per fortuna, Pierce non fece alcuna mossa aggressiva. Un semplice cenno della fronte e Jesus avrebbe preso la scusa per saltargli addosso. Invece di una sfida, Pierce si avvicinò di un passo alla schiena di Viviane. Le scostò le ciocche di capelli sciolte dalla spalla, scoprendo un po' di più del suo marchio. Poi trascinò lo stesso braccio sulle sue spalle.

La rabbia attraversò il volto di Jesus. Lui chiuse i pugni. Batté l'altro piede. Ma poi, all'improvviso come aveva iniziato, si fermò. Fece un passo indietro e rise. "Lo porti a casa, Vivi?"

Lei non rispose.

"Allora non deve piacerti. Il modo più facile per sbarazzarsi di un lupo è presentarlo al tuo branco." Jesus puntò un dito in faccia a Pierce. "Non durerà un giorno su al Ranch dei Cruz. Il vostro Alfa se lo mangerà vivo."

Viviane sentì Pierce muoversi accanto a lei. Prima che Pierce potesse fare qualcosa, afferrò il dito teso di Jesus e lo girò. Il lupo nudo salì sulle punte dei piedi ed emise un patetico lamento.

"Abbiamo fatto questo discorso quando eravamo cuccioli, Jesus. Non. Toccare. La mia roba."

Invece di farsi intimidire, quello sorrise al dolore della sua mano che si torceva. Con un'ultima stretta, lei lo spinse via. Lui si accasciò all'indietro, ma il sorriso rimase fermo.

"Vai a casa e pesta un po' d'uva,” disse lei.

Jesus si mise in bocca il dito restituito e leccò il polpastrello. Viviane rabbrividì, il suo stomaco si preparò a venire in soccorso. Poi i suoi occhi andarono a Pierce. "Ci vediamo al tuo funerale, cucciolo di città."

E con quel minaccioso addio, cambiò forma e il suo lupo se ne andò nel bosco.

Viviane si voltò verso Pierce. I suoi occhi erano in qualche modo larghi e stretti allo stesso tempo mentre la guardava.

"Ex ragazzo?" C'era un tocco di umorismo nella sua voce.

"Gli piacerebbe. Ha sempre avuto un debole per me. Ma l'ho respinto quando eravamo cuccioli."

"Quindi non è il padre del cucciolo?"

"Che schifo." Viviane si mise le mani sulla pancia nel tentativo di sistemarla.

Pierce sorrise e poi: "Viviane? Sto cadendo in una trappola?"

"No." Viviane allargò le braccia all'idea. Notò che la sua postura poteva essere interpretata come se stesse cercando di impedirgli di scappare nella direzione opposta.

Un luccichio da diavolo illuminò gli occhi di Pierce. Una risatina leggera sfuggì a quelle labbra cherubiche. "Andiamo?" disse di nuovo lui.

Lei abbassò le braccia, si morse il labbro e lo guardò. Non poteva fare a meno di chiedersi, ancora una volta, se quel tipo fosse un po' pazzo.





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Lei non era una damigella in pericolo, ma lui l'ha salvata lo stesso.

Non si può più tornare a casa tranquilla…

Viviane Veracruz sta tornando a casa dall'università con una laurea in una mano… e un bambino nella pancia. Disperata per sfuggire al giudizio della sua famiglia, accetta l'offerta di uno sconosciuto sexy di fingersi il padre per qualche giorno. Il piano è che lui scappi lasciando la sua famiglia all'oscuro di tutto. Ma più Pierce Alcede rimane, più lei non può lasciarlo andare.

La casa è dove si trova il cuore…

Pierce Alcede ha finalmente accettato il fatto di essere un lupo solitario, incline a vagare da solo nella natura e a non stabilirsi mai con una famiglia propria. Quando incontra una donna incinta in difficoltà, non ci pensa due volte a intervenire per prendersi il peso dell'ira della sua famiglia. Ma tra il lavoro al Veracruz Ranch di giorno e l'infilarsi nel letto di Viviane di notte, Pierce dimentica di scappare.

Può una donna in cerca di un posto a cui appartenere trovare una casa con un uomo che vive per vagare?

Translator: Laura Sguigna

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