Книга - Ogni Minuto

a
A

Ogni Minuto
C. J. Burright


Insegnante introversa contro violinista inarrestabile. Lei vuole restare da sola. Lui vuole il suo cuore. Che i giochi abbiano inizio... Dopo la morte inaspettata di suo fratello musicista, l'insegnante di terza elementare Adara soffoca il suo dolore, evita la musica e giura di continuare a vivere senza legami. La solitudine sociale funziona perfettamente... fino a quando non è costretta a condividere la sua classe con il nuovo insegnante di musica, un uomo che scuote la sua gabbia accuratamente costruita e scatena emozioni che preferisce tenere incatenate.



Sempre pronto per una sfida, il violinista Garret è un maestro di pazienza e persistenza, e non appena incontra Adara, sa cosa vuole. L'umorismo tagliente e gli occhi tormentati di lei lo ispirano in un modo che non ha mai provato prima. La sua missione è quella di abbattere il muro di lei e di riportarla in vita, non importa quanto duramente lei resista.









Table of Contents


Libri di C.J. Burright (#u2316dbde-a036-5a48-9005-9f230f0d16d2)

Title Page (#ue5cc8497-674d-5ee5-8480-8fbac6f9dfda)

Legal Page (#u47c4e2f9-3e3f-5b5f-86f9-b8185de940a1)

Book Description (#u9d90210c-c8ec-523e-a43c-9281bf970180)

Dedica (#u9fc30d2a-4520-5609-9838-e66d808c7fc5)

Riconoscimenti dei marchi (#u1867b2b4-def7-5755-a8e8-12ff0edcab86)

Capitolo uno (#u24926814-c2fa-59fc-a0a1-6a3a3afb4b95)

Capitolo Secondo (#u82bd8ddd-1023-5502-8a5f-75dc17dec9ee)

Capitolo terzo (#ue5483852-0a19-5011-a7ac-5b3ef49f1ed3)

Capitolo quarto (#uce763ea7-bb9b-53cd-aa99-6a32f2763f53)

Capitolo quinto (#u2caef507-e204-5130-abb7-dab2e9b7a650)

Capitolo sesto (#ucf4d0205-b743-5e28-9916-cd5c089de5ae)

Capitolo Sette (#u0a6c6f86-1e6b-5be8-ada1-65a5bcddbc4d)

Capitolo Otto (#ue3701d88-8f25-516a-91b6-b89e887adca0)

Capitolo Nove (#u2df0fd1f-1623-58b8-859f-6bc533ee7ba2)

Capitolo Dieci (#u3d3077d2-ad94-5432-9448-6a1f10abb20a)

Capitolo Undici (#u44e6e49c-dd4e-5cfc-ace8-bb533547497e)

Capitolo Dodici (#u8b8c62f6-73c2-56f3-b11b-c9d77db3f6ab)

Capitolo tredici (#u38735e68-3efc-5afd-81e4-afa7be57c552)

Capitolo quattordici (#ubb307fd4-a78f-5604-aa64-a683f36209ae)

Capitolo quindici (#u7632e36b-41cd-5a24-9d8a-7218a2d7af50)

Capitolo sedicesimo (#u688b6249-0713-5805-b5ad-f50a49473e96)

Capitolo diciassette (#u624e5658-2396-570c-af35-82d8410207e3)

Capitolo Diciotto (#u83ce2901-79b1-5053-81ee-61e5eb85f494)

Capitolo diciannove (#u675f353c-77c9-5cb1-ae20-b19f6549a6da)

Capitolo Venti (#u9063f97e-d773-5b23-922f-edd24e8e1186)

Capitolo ventuno (#uc1cc1daa-c041-578a-aef1-a72defbbcff2)

Capitolo Ventidue (#u95b24630-a6a3-5470-b190-e8c95225a56e)

Capitolo Ventitré (#ua2da88ad-7053-5a33-b39a-865b8129cad3)

Capitolo ventiquattro (#ufc221990-3a60-5279-8abe-b3ec56f1617b)

Capitolo Venticinque (#u24343ae7-30a6-59bc-ab09-2a442ae2ea29)

Capitolo ventisei (#u08249de1-e406-55ee-ad92-d1d431a4d1d6)

Capitolo Ventisette (#u5a70861c-5f2b-55be-8ea3-4dacf68d69b6)

Capitolo Ventotto (#u3867648a-e6c4-51fb-b976-044eb0799129)

Capitolo Ventinove (#ufc138fde-e484-5ed8-bc0d-20891f2413f1)

Capitolo Trenta (#u72ee15f8-5f4c-5b7d-aa64-fca3eeca3b74)

Capitolo trentuno (#ucfef6f78-c961-52fc-bbee-baf04186bbff)

Capitolo trentadue (#u5f66c48a-a2c7-513e-aa24-5ec94727bf49)

Capitolo trentatré (#ucdde06f5-15a8-5b24-9621-16230697dc94)

Capitolo trentaquattro (#u1a9b0fd2-9a9b-5292-8783-1090716e7c07)

Capitolo trentacinque (#u6698d691-a640-5510-9233-4ec0babdd07f)

Capitolo trentasei (#u0b4a0be6-9cb6-5528-81e0-dec5e50b3af8)

Capitolo trentasette (#ucc006c92-b765-5d70-83f8-22481a36be06)

Capitolo trentotto (#uefcdee26-33bb-51b5-bd44-70a778e5c6de)

Capitolo trentanove (#ue37f5990-7f06-55e2-b7e1-777f60325b2d)

Epilogo (#u7dd6688e-05c3-5122-a5c9-61f6c5f15a59)

More exciting books! (#udc05c0b5-25ad-5434-ba26-da642b1e84fe)

L’autrice (#u84fb41dd-f943-534f-9b3b-2e0349bdd045)


Totally Bound Publishing libri di C.J. Burright



Music, Love and Other Miseries

Every Kiss (http://www.totallybound.com/every-kiss)

Every Minute (http://www.totallybound.com/every-minute)

Every Breath (http://www.totallybound.com/every-breath)

Every Step (http://www.totallybound.com/every-step)


Musica, amore e altre sofferenze

OGNI MINUTO

C.J. BURRIGHT


Ogni Minuto

ISBN # 978-1-80250-076-9

©Copyright C.J. Burright 2019

Copertina di Erin Dameron-Hill ©Copyright Dicembre 2019

Tradotto da Cecilia Metta 2021

Design testo interno di Claire Siemaszkiewicz

Totally Bound Publishing



Questa è un’opera di finzione. Tutti i personaggi, i luoghi e gli eventi sono frutto dell’immaginazione dell’autore e non devono essere confusi con i fatti. Qualsiasi somiglianza con persone, in vita o morte, eventi o luoghi è puramente casuale.



Tutti i diritti riservati. Nessuna parte di questa pubblicazione può essere riprodotta in qualsiasi forma materiale, sia tramite stampa, fotocopia, scansione o altro senza il permesso scritto dell’editore, Totally Bound Publishing.



Le richieste devono essere indirizzate prima di tutto, per iscritto, a Totally Bound Publishing. Atti non autorizzati o limitati relativi a questa pubblicazione possono comportare procedimenti civili e/o penali.



L’autore e l’illustratore hanno fatto valere i loro rispettivi diritti ai sensi del Copyright Designs and Patents Acts 1988 (e successive modifiche) per essere identificati come autore di questo libro e illustratore del lavoro artistico.



Pubblicato nel 2021 da Totally Bound Publishing, Regno Unito.



Nessuna parte di questo libro può essere riprodotta, scannerizzata o distribuita in qualsiasi forma stampata o elettronica senza permesso. Si prega di non partecipare o incoraggiare la pirateria di materiale protetto da copyright in violazione dei diritti degli autori. Acquistare solo copie autorizzate.



Totally Bound Publishing è un testo stampato di proprietà di Totally Entwined Group Limited.



Se avete acquistato questo libro senza copertina, dovete sapere che questo libro è proprietà rubata. È stato segnalato come “invenduto e distrutto” all’editore, né l’autore né l’editore hanno ricevuto alcun pagamento per questo “libro spogliato”.


Libro due della serie Musica, amore e altre sofferenze

Un’insegnante introversa contro un violinista inarrestabile. Lei vuole restare da sola. Lui vuole il cuore di lei. Che i giochi abbiano inizio...



Dopo la morte inaspettata del fratello musicista, Adara, un’insegnante di terza elementare, soffoca il suo dolore, evita ogni tipo di musica e giura di continuare a vivere senza avere legami. La solitudine sociale funziona perfettamente… fino a quando non è costretta a condividere la sua classe con il nuovo insegnante di musica, un uomo che scuote la gabbia costruita con cura da lei e le scatena emozioni che preferirebbe tenere incatenate.



Sempre pronto per una sfida, il violinista Garret è un maestro di pazienza e persistenza e, non appena incontra Adara, sa cosa vuole. L’umorismo tagliente e lo sguardo tormentato di lei lo ispirano come non ha mai provato prima. La sua missione è abbattere le difese di Adara e di riportarla in vita, non importa quanto duramente lei resista.



Anche se Adara si sforza di tenere Garret a distanza, a ogni sorriso che lui le chiede, a ogni bacio che le ruba, la sua resistenza si sgretola. Ma quando il passato li raggiunge entrambi, scopriranno che alcune promesse sono destinate a essere infrante... e che per altre vale la pena rischiare tutto.


Dedica

A Tatum, per avermi irrimediabilmente rubato un pezzo di cuore quando, alla tenera età di sei anni, sei entrata e hai gridato: “Esci dalla mia cucina”.


Riconoscimenti dei marchi

L’autore riconosce lo stato di marchio di fabbrica e i proprietari dei seguenti marchi menzionati in quest’opera di fiction:



Darth Vader: Lucasfilm Ltd. Corporation

Jeopardy!: Jeopardy Productions Inc. dba Merv Griffin Enterprises Corporation

Thunderstruck: Angus Young, Malcolm Young

Thor: Marvel Comics Group

Kashmir: Jimmy Page, Robert Plant, John Bonham

Wherever I May Roam: James Hetfield, Lars Ulrich

Toy Story: Buena Vista Pictures Distribution

He’s a Pirate: Klaus Badelt, Hans Zimmer

Somebody to Love: Freddy Mercury

(Let Me Be Your) Teddy Bear: Kal Mann, Bernie Lowe

Think of Me: Andrew Lloyd Webber, Charles Hart

The Phantom of the Opera: Andrew Lloyd Webber, Richard Stilgoe, Charles Hart

Star Wars: Lucasfilm Ltd. Corporation

Skype: Skype Technologies SA Group

Toy Story: Buena Vista Pictures Distribution

The Wizard of Oz: Lowe’s Inc.

The A-Team: Frank Lupo, Stephen J. Cannell

Velcro: Velcro Industries B.V. LLC

Pride and Prejudice: Jane Austen

Peter Pan: J.M. Barrie, Disney Enterprises Inc.

The Addams Family: Charles Addams

Maserati: Maserati S.p.A.

Peppermint Pattie: The Hershey Company

Name That Tune: Station Syndication Inc., Sandy Frank Film Syndication Inc.

Google: Google Inc.

With or Without You: U2

Red Is the Rose: Tommy Makem, R. Burns

Misguided Angel: Margo Timmins, Michael Timmins

The Devil Went Down to Georgia: Charlie Daniels Band

World Stand Still: The Tenors

I Knew I Loved You: Daniel Jones, Darren Hayes

Facebook: Facebook Inc.

Twitter: Twitter Inc.

YouTube: Google Inc.

Frankenstein: Mary Shelly

Vaseline: CONOPCO Inc.

Wanted Dead or Alive: Jon Bon Jovi, Richie Sambora

Enter Sandman: Kirk Hammett, James Hetfield, Lars Ulrich

Curtis Institute of Music: Mary Louise Curtis Bok

The Julliard School: The Julliard Foundation

The Four Seasons: Antonio Vivaldi

Converse: Converse Inc.

Wookie: Lucasfilm Ltd. Corporation

Chewbacca: Lucasfilm Ltd. Corporation

Shrek: Dreamworks Animation LLC

Girls Just Want to Have Fun: Robert Hazard

Salvation Army: The Salvation Army International

The Richter Scale: Richter, Jake Individual

Game of Thrones: David Benioff, David Weiss, HBO, George R.R. Martin

CSI: King World Productions, CBS Television Distribution

The Hardy Boys: Edward Stratemeyer, Franklin W. Dixon

Doc Martens: Dr. Martens International Trading GmbH Corporation

Charlie Brown: Charles M. Schulz

Polo: PRL USA Holdings Inc.

ESPN: Disney Enterprises Inc.

U2: Not Us Limited Corporation

A Whole New World: Alan Menken, Tim Rice

Back in Black: Angus Young, Malcolm Young

Welcome Wagon: SFM Acquisition LLC

Popsicle: Unilever United States

Clue: Hasbro Inc.

iPod: Apple Inc.

Bad: Michael Jackson

Spiderman: Marvel Characters Inc.

Por Una Cabeza: Carlos Gardel, Alfredo Le Pera


Capitolo uno

Adara non avrebbe mai dovuto fare promesse a suo fratello sul letto di morte. Il brecciolino scricchiolava come ossa sotto i suoi tacchi mentre arrancava tra le siepi di bosso che costeggiavano il parcheggio del country club. Se non avesse fatto il sacro voto di accettare tutti gli inviti sociali di Gia, la fidanzata ancora viva di suo fratello, non si sarebbe trovata ad affrontare la tortura di un’altra Hamilton & Associates Belated Yule Celebration... a febbraio. A quanto pareva con il prestigio e il potere era arrivata la capacità di riprogrammare il Natale.

Si abbassò per respirare tra due auto costose, le luci scintillanti della villa la guidavano. Pur essendo a pochi chilometri dalla città, il country club le sembrava un altro universo, soprattutto quella sera. Più di un anno era passato in un lampo e le sembrava che non fosse trascorso molto tempo da quando aveva percorso la stessa strada con le stesse scarpe e lo stesso vestito nero.

Un’Adara diversa.

Si morse il labbro. No, non ci vado. Soprattutto non stasera che doveva affrontare il pubblico.

I ciottoli rotolanti lasciarono il posto alle pietre lisce del cortile. Gia la aspettava accanto alla fontana centrale gorgogliante con un’anca alzata, carina avvolta come sempre in numerose paillettes e dello chiffon rosso che accecava gli occhi.

“Halloween è passato da due mesi.” Gia inarcò un sopracciglio biondo perfettamente modellato. “Cos’è successo al classico bianco invernale?”

Adara percorse gli ultimi passi che le separavano. Ora non posso più scappare. Gia avrebbe mandato la squadra della SWAT per rintracciarla ed era più che disposta a tenerla sotto tiro. “Il nero è appropriato per ogni occasione. Inoltre, comprende tutti i colori.”

“Anche un buco nero.” Gia sbatté le ciglia a punta, con un’espressione affatto innocente.

“Hai ragione.” Adara tornò indietro verso la sua macchina. “Vado a casa a cambiarmi.”

“Neanche per sogno.” Gia si allungò e le afferrò il braccio, sollevando una brezza di profumo speziato. “Ho previsto la tua solita tragedia del guardaroba e sono venuta preparata.” Con la mano libera, Gia rovistò nella sua pochette e tirò fuori una striscia di materiale lucido. “Stai ferma o ti prendo a schiaffi.”

Adara obbedì riluttante mentre Gia le avvolgeva una fascia a quadri verde e rossa intorno alla vita e la annodava, il Natale resuscitato con due mesi di ritardo. Adara cercò di non rabbrividire quando lo sguardo di Gia si spostò dal nastro al suo viso struccato.

Il sopracciglio biondo si alzò di nuovo. Più veloce di un tiratore scelto, Gia aprì un tubetto di rossetto color scarlatto e lo puntò come un’arma alla bocca di Adara. “Resistere è inutile. Clown o alla moda, Dar. A te la scelta.”

Resistere era allettante. Un look da circo avrebbe potuto tenere alla larga le persone. D’altra parte, sembrare una squilibrata avrebbe offerto alla gente un motivo in più per parlare. Alcuni segreti non avevano bisogno di essere condivisi. Adara si accigliò per una questione di principio.

“Sapevo che potevi essere razionale.” La sessione di trucco finì in tre secondi. Gia sorrise, trionfante. “Ecco. Ora sei perfetta.”

“Perfetta per cosa?” Adara non si preoccupò di nascondere il ringhio nella sua voce.

“Per stare nel mondo dei vivi.” Le parole erano stuzzicanti, ma il tono di Gia era gentile, comprensivo.

Un’unica fitta le trafisse il cuore, tagliente come una freccia, così feroce che minacciò di toglierle il respiro. Era un miglioramento, però. Un anno prima il dolore era stato incessante, debilitante. Riuscì a emettere un sussurro rauco. “Non avrei mai dovuto fargli quella promessa.”

“Come se tu avessi potuto avere altra scelta.” Gia sbuffò, ignorando fortunatamente il suo lapsus emotivo. “Joey avrebbe potuto convincere una suora a spogliarsi - e sarebbe stata lei a pagarlo. Sapeva che saresti rimasta per sempre nella tua bolla, sempre che non avesse forzato il tuo giuramento di vivere davvero dopo che lui”- la sua gola funzionò e il suo sorriso vacillò per un secondo “dopo che se ne fosse andato.”

Adara si concentrò sull’ingresso della villa adornato da colonne. Voleva pensare alla morte di suo fratello quasi quanto voleva essere a questa festa. Si schiarì la gola e con essa l’ombra del dolore. “Vivere davvero equivale a serate con completi imbottiti che usano l’allegria liquida come scusa per un comportamento lascivo? Passi di danza che la mia mente non può non vedere? Schivare il vischio piazzato di nascosto e qualsiasi lingua in attesa?”.

“Stasera sì.” Gia passò il braccio attraverso quello di Adara e la trascinò su per le scale di mattoni. “Fammi vedere che sai ancora sorridere.”

La cognata le mostrò i denti.

Gia rabbrividì. “Lascia stare. Fatti bella e concentrati sul tuo obiettivo.”

“Ho un obiettivo?” Adara pensava che il solo presentarsi fosse una vittoria.

“Sì. Sii carina.”

“Io sono gentile.”

“Con le piante e i bambini, non tanto con gli umani adulti.”

Le piante e i bambini erano facili da trattare. Non si aspettavano conversazioni profonde o manifestazioni emotive. Adara trascinò i piedi, la villa era abbastanza vicina da far trapelare accenni della festa all’interno. Luci rosse e verdi lampeggiavano attraverso le finestre sul marciapiede di pietra e chiacchiere ronzanti filtravano libere, lasciando percepire ogni tanto una risata. Ancora niente musica. Una volta che la band avesse iniziato, avrebbe potuto fingere una scusa per andarsene. Nemmeno il generale Gia era così senza cuore da farla restare a soffrire se fosse iniziata una musica particolare.

“Su con la vita, Dar.” Gia le strinse il braccio aprendo la grande porta di ferro e liberando un’ondata di aria calda. “Ci sarà anche Ian.”

Adara quasi ringhiò. Ian, l’avvocato dal sorriso supersonico che aveva approfittato del dolore di Gia alla festa dell’anno precedente... Squalo schifoso succhiasangue. “Perfetto. Posso castrarlo per Natale. Non è mai troppo tardi per i regali.”

Gia si fermò nell’atrio e la fissò. “Onestamente, non sorridere. Mi piace il mio lavoro. Se fai venire un infarto al signor Hamilton, dovrò farti da assistente e sai che sono allergica al gesso e ai bambini.”

Chiudendo la porta dietro di loro, Adara trasse un lungo respiro misto di pino e cannella. “Che il divertimento abbia inizio.”



* * * *



Garret aveva appoggiato la giacca di pelle sulla custodia del violino e si era sistemato la camicia bianca con i bottoni. Non si era nemmeno cambiato dopo l’atterraggio dell’aereo, caricando invece i suoi bagagli e gli strumenti in una macchina a noleggio, confermando una seconda volta l’odioso invito via e-mail di Ian e dirigendosi qui, al Milionarie Estate. Ian probabilmente pensava che gli avrebbe dato buca - e forse avrebbe dovuto - ma erano passati anni da quando si erano incontrati, anni da quando era stato a casa e, eseguire qualche pezzo a una festa di lavoro rimandata per le vacanze, era il calcio di ricarica di cui aveva bisogno.

Una risata sommessa s’insinuò nel guardaroba, quel suono intimo gli alleviò l’ultima tensione del viaggio dalle spalle, sussurrandogli che aveva fatto la scelta giusta a tornare. Non che dubitasse della sua decisione... Nel momento in cui aveva messo piede sul marciapiede, l’energia aveva ronzato attraverso i suoi stivali come un fulmine. Tre anni nel circuito dei concerti d’oltremare e il grande pubblico distaccato gli avevano rubato un pezzo di sé.

Era tornato a casa per riprenderselo - con gli interessi.

Infilando il violino e l’archetto sotto un braccio, Garret entrò nel corridoio illuminato dalle candele e drappeggiato da ghirlande di chiodi di garofano e seguì il morbido pulsare della musica degli anni ‘60. Era passato troppo tempo dall’ultima volta che aveva festeggiato il Natale con la famiglia o con gli amici e non gli dispiaceva tornare indietro di un paio di mesi, per recuperare le cose che si era perso durante il tour. Questa festa in particolare stava procedendo da almeno un’ora, abbastanza a lungo perché gli ospiti piacevolmente cotti non si accorgessero di eventuali ritardatari che entravano per i festeggiamenti, ma non così tanto che i vecchietti se ne fossero andati.

Attraversò l’ingresso a doppia porta e fu investito dall’atmosfera vacanziera. Gli invitati erano riuniti in gruppi e stavano parlando fra loro, in piedi o seduti, la maggior parte con una bottiglia o un bicchiere in mano. Altri ballavano al ritmo della canzone dei Beach Boys che risuonava da altoparlanti invisibili. Anche con il vantaggio dell’altezza di Garret, Ian sarebbe stato difficile da individuare. Una fusione di glitter e vetro abbagliava da ogni direzione, dominata da un albero gigante con orpelli scintillanti e ornamenti odiosi, il suo profumo di pino un ricordo dei Natali passati.

Rivolgendo la sua attenzione sulla folla, alla ricerca di un accenno di Ian, Garret superò le persone che chiacchieravano e intorno ai tavoli decorati con pigne al profumo di cannella. Urtò contro qualcosa e riprese l’equilibrio proprio quando cadde una renna gigante di plastica con la coda in aria, ai piedi di una donna appoggiata al muro, omaggiandola con la punta del suo naso rosso lampeggiante. Per un momento breve e intenso, lo sguardo della giovane incontrò quello di lui.

Il festival del caos e dei colori svanì sullo sfondo, lasciando spazio solo a lei. Si confondeva con le ombre, come se sperasse di scomparire con la notte. Il dolore le perseguitava gli occhi, mille note intrappolate.

Garret sbatté le palpebre e il momento passò. Ben-zonna. La sua maledizione straniera preferita si adattava all’occasione. Mille note intrappolate? Era notevolmente sdolcinato, anche per lui.

Nessun sorriso, nessuna parola, raccolse la mostruosità di Rudolph e posò saldamente tutti e quattro gli zoccoli scintillanti sul pavimento. Senza guardarlo di nuovo, riprese a fissare le persone come se fossero su una giostra che le girava intorno, muovendosi troppo velocemente per essere toccata.

Chiunque potesse far fermare il suo mondo anche solo per un battito del cuore esigeva almeno una presentazione. Tenendo il suo violino protettivamente vicino, oltrepassò la renna decorativa e imitò la posa da tappezzeria della donna, restando a una distanza di pochi centimetri.

Lei non lo riconobbe, teneva il suo sguardo fisso su qualcosa o qualcuno nella folla.

Garret seguì lo sguardo della giovane e soffocò un gemito. Ovviamente doveva essere Ian. Il suo amico d’infanzia era con un gruppo di donne che indossavano cappelli da Babbo Natale e minigonne. Tutto sorrisi e mani, Ian stava facendo la sua parte. Era interessante notare che gli sguardi di Ian continuavano a vagare verso la bionda minuta con il vestito rosso, che stava parlando con altri invitati.

Garret si chinò leggermente verso la donna. “Allora, è Ian o la bionda in rosso?”

L’increspatura appena accennata delle labbra generose color cremisi prometteva che aveva sentito e il silenzio che seguì durò abbastanza da segnare una protesta. La donna sospirò dolcemente, senza rivolgergli uno sguardo. “Che cosa?”

Non importava l’impazienza che s’insinuava nel tono della giovane, la sua voce roca aveva una canzone tutta sua, bassa e inebriante, che lo colpiva dritto nelle viscere. “Mi stavo chiedendo se stai complottando per uccidere Ian o la bionda.” Garret scrollò le spalle. “Dallo sguardo di fuoco e zolfo che stai rivolgendo in quella direzione, uno dei due sta per crollare.”

“Ian è l’unico che merita una forca nei punti sensibili.” La donna incrociò le braccia e le lasciò cadere sui fianchi, continuando a non stabilire un contatto visivo. “Sto solo guardando Gia alle spalle. E nel caso te lo stessi chiedendo, non ho bisogno di un drink, non sono sola e detesto ballare. Qualsiasi vischio che troverò su di te ti verrà infilato prontamente nel naso.”

L’uomo si lasciò scappare una risata stupita. “Ne prendo atto. Per la cronaca, bevo raramente, non mi dispiace la solitudine e tengo i miei passi di danza privati per evitare di creare il panico pubblico. Il vischio mi fa venire l’orticaria, quindi sono relativamente al sicuro dal tuo assalto anti-vegetazione.”

La bocca di Adara si contrasse, un semplice tremito e niente che si avvicinasse a un sorriso, ma era un inizio.

Prima che lui potesse trasformare quel tic in un vero sorriso o chiederle il suo nome, la musica da spiaggia si soffocò e un uomo dai capelli color neve con un abito firmato salì le scale fino a un palco situato dall’altra parte della stanza, presumibilmente era lo stimato signor Hamilton.

La donna misteriosa accanto a lui si raddrizzò e si spostò verso il palco. A quanto pareva, l’unico modo per farsi guardare da lei sarebbe stato se lui fosse stato lì, in mostra. Garret strinse la presa sul violino. Diventare il centro dell’attenzione era una delle sue abilità straordinarie.

Il signor Hamilton si lanciò in un discorso sul successo e sul sistema giudiziario e Garret non lo sentì, concentrato sulla donna così vicina. I capelli di lei brillavano come ossidiana sotto le luci scintillanti e si fermavano in modo smussato sulla linea sottile del collo. Non indossava glitter, eyeliner o cipria come le altre donne, il che rendeva le sue labbra cremisi ancora più peccaminose.

Scoppiò un applauso educato, l’unica ragione per cui Garret capì che il discorso era finito. Il vecchio Hamilton lasciò il palco e Ian si fece da parte, come un principe in attesa di salire una volta che il suo re avesse liberato la strada.

A certe opportunità non si poteva resistere. Garret si sistemò il violino sotto il mento e preparò l’archetto. Quando la scarpa lucida di Ian toccò il primo gradino, la sigla di Darth Vader si alzò dallo strumento e salì sul soffitto a volta, scuotendo la folla in un momentaneo silenzio. Alcune anime coraggiose sghignazzarono e non gli sfuggì come la donna accanto a lui s’irrigidisse. Tutti si voltarono verso di lui che, però, stava osservando la risposta di Ian.

Il capovolgimento delle emozioni sul volto del suo amico era tutto quello che aveva sperato, dal fastidio alla realizzazione e al divertimento. Ian impiegò meno di un millisecondo per puntare Garret nell’ombra. Afferrò il microfono e disse con voce pesante: “Se solo tu conoscessi il potere del lato oscuro.”

Le risate si sollevarono dalla folla e Garret sorrise. Ian non aveva perso il suo senso dell’umorismo negli ultimi tre anni, un buon segno. Fare l’avvocato poteva strangolare la felicità fino far restare solo l’amarezza e le opinioni sbiadite

“Sono venuto qua per diffondere l’allegria con regali troppo costosi e frivoli, ma questo dovrà aspettare ancora un po’.” Ignorando i gemiti, Ian raddrizzò il suo cappello da elfo. “Pazienza, gente.”

Garret eseguì un pezzo del tema del game show Jeopardy. Aveva perfezionato le molestie musicali decenni prima, come poteva testimoniare sua sorella maggiore London. Era la sua migliore tattica di autodifesa oltre alla prontezza di riflessi.

Ian indicò minacciosamente Garret e sfoggiò uno dei suoi sorrisi caratteristici, bianco e brillante. “Se hai intenzione di suonare, sali sul palco e fallo bene.”

Quando aveva accettato l’invito di Ian di partecipare alla festa, Garret sapeva che la compagnia e la conversazione non erano tutto ciò che Ian si aspettava. A Ian piaceva fare colpo e con avvocati stoici che apprezzavano la buona musica in mezzo a loro, probabilmente sperava di avere un vantaggio quando si sarebbe trattato di ottenere l’ambito titolo di socio. Essere amico di un musicista affermato poteva essere un buon motivo - Garret tamburellò una volta le dita sui jeans, proprio in corrispondenza del buco sfilacciato vicino alla tasca - oppure no. Non tutti a quella particolare festa avrebbero apprezzato la sua interpretazione di Thunderstruck. Non aveva l’aria del musicista da concerto e i suoi gusti non erano sempre orientati verso Bach e Mozart, come Ian ben sapeva. Non era mai rientrato nello stereotipo del musicista classico, nemmeno nei lunghi anni in cui si era concentrato sui classici. Garret si raddrizzò dal muro. Preferenze classiche o no, poteva rendere tutti felici.

La sua intrigante compagna piegò le braccia e si spostò mettendosi in una prospettiva ancora più netta verso il palco. Non l’aveva ancora guardato di nuovo, come se fosse determinata a bruciare vivo Ian con il suo sguardo e a tenere tutti gli intrusi, compreso il violinista, fuori dalla sua bolla.

Mettendo il pollice in tasca, Garret si mise sulla linea visiva diretta di Adara, resistendo all’impulso di guardarsi alle spalle e catturare il suo sguardo. Rompere le bolle era un’altra delle sue abilità straordinarie.


Capitolo Secondo

Il suo cuore batteva all’impazzata, Adara si concentrò sul palco mentre il suo interlocutore chiacchierone trovava una vittima più adatta in Ian. L’uomo si mise di fronte a lei facendo sì che la sua schiena imponente le ostruisse la vista. La conseguenza dell’ignorare le persone era che le sfuggivano dei piccoli dettagli, come i violini che potevano tenere in mano.

Un violino. Adara fu scossa da un brivido gelido. Era un violino, vero?

La giovane appoggiò le mani umide sulla parete. Quando le corde erano esplose proprio accanto al suo orecchio, il tempo si era fermato e frantumato in mille secondi stridenti. Aveva avuto un flashback di quando Joey era ancora vivo, quando la sua musica fluttuava nella loro casa, ricordandole che non importava lo spazio che li separava, lei non era mai stata sola. Altrettanto velocemente, la realtà si era abbattuta di nuovo su di lei, demolendo il ricordo e sussurrando la verità.

Joey non c’era più.

Lei era sola.

“Ti stai già divertendo?” Gia le scivolò accanto, sapendo abbastanza da non chiederle se stesse bene. Gia fece un cenno con il mento verso l’uomo che si stava dirigendo verso il palco. “Ti stai facendo dei nuovi amici?”

Adara respirò velocemente e seguì lo sguardo di Gia. Dei lunghi capelli biondi pettinati all’indietro in stile Thor, jeans e camicia sbottonata, stivali da combattimento, violino nero lucido. Joey avrebbe approvato.

“Il tipico secchione adulto della band.” Gia si avvicinò, il suo alito odorava di agrumi e tequila. “Sta ancora cercando di uscire dalla scatola della figaggine.”

Grata per essere stata distratta, Adara sbuffò dolcemente manifestando il suo accordo.

“Probabilmente preferirebbe cavarsi un occhio piuttosto che suonare Beethoven.” Gia fece roteare il suo bicchiere di margarita e fissò Adara con i suoi occhi blu scintillanti. “Scommetto che domani a pranzo da Antoine propone Kashmir o Wherever I May Roam - sai, qualche melodia da vero uomo.”

“Non accetto questa scommessa, perché probabilmente hai ragione.” La morsa intorno al cuore di Adara allentò la sua presa. Gia aveva fatto centro. In nessun modo qualcuno che sembrava un pirata part-time avrebbe suonato qualcosa che potesse abbattere le sue difese.

“Karen della contabilità mi ha dato uno scoop su di lui,” continuò Gia, mantenendo l’attenzione rivolta sul palco, dove il violinista aveva raggiunto Ian sotto i riflettori. “Immagino che sia molto conosciuto oltreoceano. È cresciuto con Ian e si sta prendendo una pausa per fare da mentore ai bambini delle scuole elementari.” Le diede una gomitata nelle costole. “A Graywood.”

Mentore. Scuola elementare. Merda. Adara chiuse gli occhi per un istante. Qualche settimana prima, il preside Austin aveva avvertito lo staff della possibilità di un mentore part-time per insegnare musica, ma non aveva dato molti dettagli. Adara aveva pensato che l’idea fosse caduta nel dimenticatoio, perché era stata l’ultima volta che ne aveva sentito parlare. E, poiché la piccola Graywood, dove tutti conoscevano praticamente tutti, aveva solo una scuola elementare, le probabilità di incontrarlo in giro salivano alle stelle. All’infinito e oltre.

“Perfetto. William Kidd reincarnato in un musicista.” Adara si risistemò nella sua posizione ‘lasciami in pace’. “Il mondo adesso è completo.”

Gia mostrò un sorriso malizioso e rivolse di nuovo la sua attenzione verso il palco.

Guardare il signor Gabby da lontano non era una punizione. Aveva un sorriso sempre smagliante, una barba leggermente accennata - presumibilmente per accompagnare l’aspetto da pirata - e ostentava la sicurezza di un uomo che lasciava trapelare chiaramente la sua identità. Non avrebbe avuto problemi a trovare uno degli aiutanti di Babbo Natale per fargli compagnia.

Gli anelli d’argento scintillarono sulle sue dita mentre appoggiava il violino sulla spalla. Adara sgranò gli occhi e si trattenne dal canticchiare He’s a Pirate. Deve aver dimenticato la sua bandana. Per un momento l’uomo guardò verso Adara, come se cercasse di individuarla tra le ombre e la folla. Poi, chiuse gli occhi e appoggiò l’archetto sulle corde.

Dal violino si diffusero note lente e lamentose e Adara si rilassò immediatamente ascoltando la melodia familiare. Somebody to Love dei Queen - niente classico, niente che potesse raggiungere la sua anima. Era al sicuro per qualche minuto.

Dopo una breve e lenta introduzione, il violinista batté il piede seguendo il ritmo di una batteria e la folla impiegò meno di due secondi per iniziare a battere le mani, prendendo il ritmo da sola. Al ritornello, tutti cantavano insieme - una folla felice e saltellante per le vacanze.

Adara tenne le braccia incrociate e lasciò che Gia applaudisse abbastanza forte per entrambe. Aveva sopportato la festa per quasi due ore, più a lungo di quanto avesse pianificato, ma era passata un’eternità da quando aveva visto Gia divertirsi senza indossare una maschera sorridente per nascondere la sua perdita.

Adara sapeva tutto sul bisogno di indossare delle maschere.

Continuando a suonare, il musicista fuse le note con quelle di un’altra canzone e, mentre gli applausi e l’ondeggiamento continuavano, il canto si spegneva.

Adara si morse il labbro, quasi tentata di sorridere per la seconda volta quella sera. Teddy Bear, una scelta decente di Elvis Presley. Vicino al palco, il signor Hamilton scoteva la testa, manifestando chiaramente che era un fan del Re. Tutti gli altri, non tanto. La tensione residua sulle sue spalle svanì. Non avrebbe dovuto rinforzare le sue difese, non per la selezione musicale di questo tizio, ma doveva ammettere che era bravo. Veramente bravo. Coinvolgeva la folla, mostrando chiaramente di essere a proprio agio con l’attenzione. Prendeva ogni nota con una precisione esperta, la relazione d’amore con il suo strumento era evidente in ogni corda pizzicata e in ogni movimento dell’archetto. Il sorriso sognante che indossava parlava di segreti condivisi solo tra un musicista esperto e la melodia che si diffondeva. Aveva visto la stessa espressione sul volto di Joey.

Il vuoto nella sua anima risuonava al ricordo. Quel violinista era tutto ciò che Joey avrebbe potuto essere. Avrebbe dovuto essere.

Senza perdere un colpo, il violinista fuse di nuovo una canzone all’altra, cambiando genere, in modo sottile e inaspettato. Dolci note avvolsero Adara, facendo scivolare lentamente un ago affilato nel suo cuore. Il battito delle mani si spense in un silenzio attonito e il violino gemette, riempiendo tutti gli spazi vuoti, di nuovo solo, più vivo e terrificante nel suo isolamento.

Adara soffocò un singhiozzo immane che le saliva dal profondo. Think of Me. Invece delle mille altre canzoni che non riuscivano a toccarla, lui ne aveva scelta una che aveva distrutto le sue difese. Il Fantasma dell’Opera era stato il primo musical cui Joey l’aveva trascinata, la prima volta che aveva pianto in pubblico, il primo passo per convincerla a unirsi a lui nel suo amore per la musica.

Punto dopo punto, la musica la squarciava. Il vuoto le artigliava la gola come se un demone volesse farsi largo fino in superficie, un vuoto che non poteva affrontare, non in quel posto, non in quel momento. Non importava come fingesse, come cercasse di affrontare la situazione, non stava bene.

Prima di crollare completamente sotto gli occhi di tutti, Adara superò Gia e si affrettò a uscire dalla sala poi dalla villa, incamminandosi nella notte fresca. Non rallentò fino a quando il rumore del lastricato sotto i suoi tacchi cambiò in un tintinnio di ghiaia e si fermò solo quando le luci della villa diventarono un riflesso opaco sulle auto parcheggiate.

Le lacrime le bruciavano gli occhi e il suo cuore le trafiggeva il petto a ogni battito, un coltello implacabile che scavava le ceneri della sua anima. Aveva abbandonato Gia e non aveva mantenuto la promessa fatta a Joey.

La notte e il silenzio la circondavano, due aiuti familiari che la calmarono lentamente, attirandola nel loro abbraccio. Aspirò un respiro tremolante di aria frizzante e sollevò il viso verso il cielo scuro e infinito. Avrebbe rimesso tutto a posto e si sarebbe ricucita, rinchiudendo questa notte con tutti gli altri ricordi. Domani sarebbe tornata alla sua versione di normalità.



* * * *



La mattina dopo il debutto nella sua città natale, Garret appoggiò gli stivali sulla scrivania di ciliegio scintillante di Ian e inalò il profumo di cuoio, di scartoffie e di benessere macchiato dal conflitto. “Ieri sera ho incontrato qualcuno alla festa, ma non conosco il suo nome”. Nascose un sorriso osservando il sopracciglio di Ian inarcarsi infastidito. “Tu conosci tutte quelle che indossano una gonna, quindi ho pensato che potresti aiutarmi.”

“Vero.” Ian si chinò sulla scrivania, spinse via gli stivali di Garret e si raddrizzò la cravatta rosso sangue. “Le mie capacità sono all’altezza del compito, nonostante le innumerevoli groupie che, ieri sera, hanno ceduto alla tua seduzione musicale. È stata la leggiadra assistente legale con i capelli rossi che ti fa pensare se... ”.

“No.”

Garret si sistemò di nuovo sulla pomposa sedia di pelle e sorseggiò il suo mocaccino alla menta.

“La biondina tutta curve con la minigonna nera?”

“No.”

Ian strinse gli occhi, l’azzurro scintillante di quelli che dovevano essere i suoi tipici pensieri lascivi. Alcune persone non abbandono mai la mentalità sessuale del liceo. Quando si trattava di relazioni con le donne, il suo più vecchio amico si librava felicemente in quell’abisso emotivamente sicuro. Schioccò le dita. “Quella stagista con la pelle color caffè che continuava a portarti ciliegie ricoperte di cioccolato. Non dirmi che non te la sei fatta!”

Garret si pizzicò il naso ed espirò forte. “La ragazza che sto cercando è il motivo per cui sono saltato giù dal palco a metà canzone. Se n’è andata mentre stavo ancora suonando. Ho cercato di raggiungerla, ma se n’era già andata!”

Ian incrociò le braccia sul blazer abbottonato, inclinò la testa, facendo scricchiolare la sedia. “Ho bisogno di altri dettagli. Che aspetto aveva?”

“Un po’ più alta della media.” Disse Garret portando una mano all’altezza della clavicola. “La sua testa arrivava quasi qui. Bruna. Difficile dire quanto fosse scura con quella luce, ma liscia, non riccia - uno di quei tagli lunghi fino al mento. E la sua bocca, chara”. Il suo polso scalciava al ricordo. “Era fatta per essere baciata.”

“Parla inglese.” Ian si grattò la mascella pulita e rasata, a quanto pareva quel giorno voleva dare l’impressione del ragazzo della porta accanto. Chiunque lo avesse conosciuto non si sarebbe fatto ingannare. “Sei stato troppo tempo in giro con il tuo chitarrista israeliano e stamattina non ho bevuto abbastanza caffè da sopportare la tua poesia su una donna a caso alla quale hai dimenticato di chiedere il nome.”

“Non a caso. Magnetica e non l’ho dimenticato. La mia musica di solito non allontana le donne. Mi ha confuso. L’unico trucco che portava era del rossetto rosso su quella bocca deliziosa, quindi perdonami se sono stato rapito. Non credo che lei volesse stare lì e non le piaceva tanto che tu ti avvicinassi alla sua amica.”

“Le donne sono sempre gelose l’una dell’altra.” Ian si batté il mento con una penna. “Quale amica?”

“La biondina con il vestito rosso che hai guardato tutta la sera, ma non hai sfiorato e con cui non hai nemmeno parlato.” A Garret non sfuggì la smorfia di Ian, fuori luogo considerando l’argomento in questione: le donne, il suo argomento preferito. “Cosa che trovo interessante, considerando chi sei tu!”

Gli occhi di Ian si spalancarono e saltò in piedi così velocemente che la sedia girò dietro di lui in un folle cerchio stridente. “Non la principessa Stark!”

“Principessa Stark?”

“Titolo appropriato, fidati di me su questo. È gelida come l’inverno!” Ian si passò le dita tra i capelli corti e scuri. “Ascoltami, amico mio. Dimenticala. È così fuori dalla portata di chiunque che non riusciresti a passare attraverso la sua armatura neanche con la Morte Nera sotto steroidi. Lascia che ti organizzi un incontro con Karen della contabilità, invece. È accessibile, totalmente malleabile dopo due birre e una pizza.”

Ogni terminazione nervosa di Garret si accese al quadro dipinto da Ian e non aveva niente a che fare con la pizza e la birra. Gelida, inaccessibile, bisognosa d’ispirazione. Poteva lavorare su questo.

Ian lo fissò in silenzio, seguendo una tattica da avvocato esperto, ma non ebbe alcun effetto sul suo amico. Alla fine, si accasciò e impostò la mascella. “Non hai intenzione di seguire il mio saggio consiglio, vero? Stai cercando quello che non puoi avere. Di nuovo.”

“Non ho più quattordici anni.” Garret sorrise. “E non mi piace la malleabilità. Lo sai bene. L’ispirazione è tutto.”

“Sei un idiota. Questo è un fatto inconfutabile!”

“Obiezione. Questa è l’opinione di un avvocato cinico che non ha alcuna attinenza con la verità. Hai intenzione di aiutarmi o no?” Garret conosceva già la risposta. Ian poteva non approvare la sua scelta, ma non avrebbe mai smesso di cercare di conquistare una donna. La differenza principale tra loro era che Ian era più un conquistatore da una notte, un fine settimana al massimo. Garret puntava a un tempo maggiore e, una volta trovata la ragazza giusta, se la teneva stretta per tutta la vita.

Ian sprofondò nella sedia di pelle vuota accanto all’amico, offrendo una zaffata della sua colonia. Puntellò una caviglia sul ginocchio e fissò Garret dritto negli occhi. “Sei sicuro? Idiozia a parte, sei ancora mio amico: sei troppo ottimista e le tue ideologie romantiche sono superate, per non dire poco pratiche. Tu cerchi il meglio nelle persone e posso dirti subito, amico mio, che le persone fanno schifo. Faranno finta di preoccuparsi mentre ti portano via tutto quello che sei e ti lasciano a sanguinare nel fosso senza far cadere una volta il loro dolce e innocente sorriso.”

“Lo dice l’avvocato.” Garret aggrottò un sopracciglio.

“Il problema del sistema giudiziario è che si vede il peggio, la realtà, la vera oscurità che c’è dietro - le cose che sono sotto i riflettori solo perché sono state catturate o non possono manipolare, costringere o comprare la loro strada per ottenere quello che stanno cercando di ottenere. Questo è ciò che la maggior parte delle persone è in realtà dietro i loro travestimenti.” Giocherellò con il laccio delle scarpe, mantenendo la sua attenzione concentrata. “Tu non sei come tutti gli altri, Garret.” Ian affilò la voce facendola diventare simile alla lama di un coltello. “In qualche modo hai mantenuto i tuoi ideali senza lasciare che il mondo ti macchiasse ed io non voglio avere alcun ruolo nel cambiare questa situazione.”

“Ah, lui si prende cura di me.” Garret si portò la mano sul cuore e fece un cenno per attenuare il bruciore della sorprendente confessione. “Anch’io ti amo. Vuoi un abbraccio?”

“Stai zitto!” Ian arricciò il labbro in un ringhio. “Tieni le tue zampe da finocchio musicista lontano dal mio corpo. Solo donne.”

“Ora che il nostro affetto reciproco è sistemato,” Garret interruppe gli insulti di Ian, “concentriamoci sul mio problema. Come si chiama?”

Ian appoggiò la testa sulla sedia e chiuse gli occhi, come se rivelare qualsiasi dettaglio lo addolorasse. “Adara Dumont. Introversa, rabbiosa. Resistente a qualsiasi fascino. Un’insegnante, credo. È tutto quello che so.”

Adara. “Aspetta... Hai detto insegnante? Per caso un insegnante della scuola elementare?”.

Un gemito si alzò da Ian e le rughe gli solcarono la fronte, ma tenne gli occhi chiusi. “Non è troppo tardi per cancellare il tuo ultimo capriccio. Dimenticati di fare da mentore ai bambini. Anche le donne sexy e sole dei pub e delle sale da biliardo hanno bisogno di mentori.”

Un tentativo di distrazione equivaleva a una conferma quando veniva da Ian. Quindi, avrebbe lavorato con lei. Adara. Garret non riuscì a contenere il suo sorriso. “Serendipitoso.”

“No... sfortunato!”

“Cos’altro sai di lei?” incalzò Garret, appoggiando gli avambracci sulle cosce.

“Non è abbastanza?” La voce di Ian rasentava un colpo di frusta, un’ultima resistenza.

“E la sua amica, la biondina da cui eri attratto ieri sera?”

Ian aprì un occhio. “Lei?”

“Lei saprebbe di più, qualcosa di utile alla mia causa. Anche lei è un avvocato?”

“No.”

La risposta spietata risvegliò la curiosità di Garret. C’era un mistero che circondava il suo amico e questa donna, e lui voleva sapere di cosa si trattava. Chiaramente, Ian non avrebbe svelato nessun dettaglio volontariamente. Avrebbe dovuto essere sottile, scoprire la risposta pezzo per pezzo senza avvertire Ian.

“Ma lei lavora qui, vero?” Garret posò la tazza di caffè sulla scrivania e si avvicinò alla parete di finestre che si affacciavano su un parco cittadino. Alcuni bambini infagottati correvano e giocavano, le loro risate erano attutite dal vetro. Un peccato. La musica delle risate avrebbe potuto contagiare quello spazio più freddo.

Una pausa, seguita da un’espirazione. “Sì.”

“Puoi usare i tuoi famosi poteri di persuasione della scuola di legge per carpire sottilmente qualche dettaglio o no?”

Un’altra pausa, più lunga questa volta. La pelle della poltrona scricchiolò e i vestiti frusciarono mentre Ian si alzava. “Torno tra un istante.”

La porta si chiuse di scatto e Garret rimase al suo posto vicino alla finestra. Nel giardino sottostante, un uomo lanciava una palla da tennis al suo labrador color crema, il cui respiro creava temporanee nuvole bianche nell’aria. Il cielo grigio ardesia prometteva presto la neve, una tela vuota per tracce di slitta, angeli di neve e tracce d’impronte. L’ultima volta che si era fermato a fissare lo spettacolo per godersi il piacere di una battaglia a palle di neve era stato durante le vacanze invernali di tre anni prima con Tatum e Bryan, i suoi nipoti. Quanti anni hanno adesso? Otto e dieci anni? Era stato via troppo tempo. Le e-mail e le chiamate via Skype non bastavano.

La porta si aprì di nuovo e Garret si girò.

Entrò la bionda della sera precedente, senza Ian, con una cartellina in mano. Lo sguardo della giovane si posò su di lui e le sue sopracciglia si sollevarono. “Lei è il musicista di ieri sera.”

L’uomo fece un piccolo inchino. “Garret Ambrose. E lei è?”

“Gia Hellman.” Lei guardò la porta e poi di nuovo lui, rosicchiandosi il labbro inferiore. “Scusate l’interruzione. Dovevo consegnare questa documentazione a Ian.” Un lieve rossore trapelò sulle guance di Gia e si sistemò la gonna. “Il signor O’Connor, voglio dire.”

Garret mantenne un’espressione impassibile, memorizzando ogni dettaglio. Il nome di battesimo. Un rossore. Interessante. “Non c’è bisogno di scusarsi. Stavo semplicemente aspettando Ian.”

Gia fece un passo avanti e posò il faldone sulla scrivania lucida di Ian, i suoi tacchi a spillo silenziosi sul tappeto persiano. “Tutti parlano ancora della sua esibizione di ieri sera. La sua interpretazione di Think of Me è stata brillante, tra l’altro. Da quanto tempo suona?”

“Da quando ho potuto tenere un archetto tra le mie dita paffute - e grazie.” Garret si appoggiò al davanzale della finestra. “È una fan dei Phantom?”

Gia rise un po’ e scosse la testa, facendo cadere un ricciolo biondo dal suo chignon. “Merda, no. Sono una rocker fino in fondo, nonostante i molti tentativi infruttuosi di allargare i miei orizzonti.”

Una scintilla di speranza divampò in Garrett. Questo significava che Adara era più intenditrice di musica di quella donna e avrebbe potuto apprezzare la sua dedizione? Non che ci fosse qualcosa di sbagliato nella musica rock in tutte le sue forme, ma se aveva uno spunto su cui lavorare, l’avrebbe colto. “E la sua amica che ha lasciato la festa ieri sera senza salutare? Anche a lei piace il rock?”

Il sorriso di Gia vacillò per un istante prima di tornare al suo posto, non più reale. “Non la prenda sul personale. Non è una gran festaiola.” Gia si voltò verso la porta. “Piacere di averla conosciuta, signor Ambrose.”

“Chiamami Garret. E prima che tu vada, ho una domanda.”

Fece una pausa, con gli occhi lucidi.

“Quali sono le probabilità che la tua amica prenda un caffè con me?”

Di fronte a lui, Gia incrociò le braccia sul maglione rosa, del tipo che invitava al contatto. Lo esaminò con un lungo sguardo di valutazione, dalla punta degli stivali da combattimento ai jeans sbiaditi, dalla maglietta del Sean’s Pub alla croce con la collana di platino. Indugiò il doppio del tempo sul viso dell’uomo, abbastanza da farlo contorcere. Garret non si sentiva così a disagio da anni ma dieci secondi sotto l’esame di Gia lo fecero tornare indietro nel tempo alle scuole medie, quando aveva zero fiducia in se stesso, un’imbottitura extra in tutti i posti sbagliati e l’essere un secchione di una band non era alla moda in nessun circolo sociale oltre agli altri secchioni della band.

“Per prima cosa, di’ a Ian che non mi piace essere manipolata.”

Garret trasalì per il tono glaciale nella voce della donna. “Non ha...”

“Risparmiatelo”. Gia sollevò un palmo, il segno universale femminile per indicare di stare zitto. “In secondo luogo, il solo fatto che tu sia un musicista ti mette nella zona no-appuntamenti per Adara, non che lei esca con qualcuno, ma comunque…”

“Vuoi spiegarmi?” Nonostante una potenziale avversione per i musicisti, non poteva negare un lento calore. Se non usciva con lei, avrebbe avuto la sua completa attenzione, tanto meglio per svelare i suoi segreti.

“Non particolarmente.” L’espressione di Gia si ammorbidì un po’, afferrando la maniglia della porta. “Tu puoi scegliere tutte le donne che vuoi. Questo era ovvio ieri sera. Adara non fa la difficile e non ha bisogno di essere inseguita.” Gia aprì la porta, continuando a guardare Garret da sopra la spalla e quindi non avendo idea che Ian fosse sulla soglia. “Soprattutto da un amico di Ian.”

Ian fece un ringhio poco professionale e poco da avvocato.

Lei sussultò e lo affrontò.

Ian era ancorato allo stipite della porta con le mani, bloccandole la strada. “Innanzitutto, signora Hellman, non l’ho manipolata. Avevo bisogno del fascicolo Jackson.” Il giovane avanzò verso Gia che indietreggiò, tenendo perfettamente il tempo con i passi lenti di lui. “Secondo, Garret è l’uomo migliore che io conosca, molto più di me, e se lui crede che Adara sia una principessa che ha bisogno di essere aiutata a evadere dal suo castello del nord, allora farò tutto ciò che è in mio potere per aiutarlo. Se Adara non riterrà degno prendere un caffè con lui, sarà una sua scelta e, francamente, spero che lei lo respinga in modo che lui non perda tempo e non si faccia spezzare il cuore. Ma di nuovo, questa è la sua scelta, non la mia, non la sua, signora Hellman. Capito?”

Il sedere di Gia colpì la scrivania e lei ne afferrò il bordo con entrambe le mani, come se altrimenti potesse cadere. “Sì, signore.”

Ian mostrò il sorriso di un avvocato che sapeva di aver vinto la causa.

Il ballo di coppia era stato stranamente affascinante. Gia era senza fiato, con il volto arrossato, come se avesse appena superato una performance difficile. Ian incombeva su di lei, il naso a pochi centimetri da quello di Gia, ma quella che avrebbe dovuto essere una posa minacciosa emanava qualcos’altro, qualcosa d’ingabbiato, affamato e desideroso di liberazione. Improvvisamente, Garret aveva voglia di trovarsi da qualche altra parte, qualsiasi altra parte, e poiché non poteva semplicemente passargli accanto senza aggiungere altro imbarazzo, si schiarì la voce.

Ian si raddrizzò immediatamente e si sistemò la giacca, dando a Gia lo spazio per respirare. “Molto bene.” L’avvocato girò intorno alla scrivania. “Si sieda, signora Hellman. La sua deposizione sta per iniziare.”


Capitolo terzo

Giovedì pomeriggio, Adara rivolse un’occhiataccia al preside Austin, cercando di non balzare in piedi e di dare sfogo alla sua pazza interiore. “Che cosa significa che probabilmente il mio lavoro sarà tagliato a giugno? Anche se i votanti non approvano il nuovo prestito, gli studenti non possono permettersi di perdere un altro insegnante. Sicuramente ci sono altre spese che possono essere tagliate o ridotte.”

“Nessuna che equivalga a uno stipendio.” Austin fece fare un mezzo giro alla sedia cigolante, prese dalla libreria sovraccarica un enorme raccoglitore a tre anelli e lo gettò sulla scrivania che li divideva. Tonò come un cadavere che colpisce il suolo. “Si fidi di me, signorina Dumont. Ho riorganizzato il budget una dozzina di volte, sempre con lo stesso risultato: una posizione deve sparire. E poiché lei è l’ultima a essere stata assunta, tocca a lei.” Il preside allargò le mani con un gesto d’impotenza.

Adara si aggrappò ai bordi della sedia di plastica, ancorandosi al suo posto. Il caso peggiore in assoluto. Una piccola città significava opportunità limitate e perdere il lavoro avrebbe richiesto ore di pendolarismo o il trasferimento e questo solo se fosse stata abbastanza fortunata da trovare un altro lavoro da insegnante, molto raro in quel periodo. E se avesse perso il suo unico sbocco, l’unica attività che aveva ancora un significato per lei, avrebbe perso tutto. “Ma questa è la peggiore delle ipotesi. Il vincolo scolastico...”

“Sembra triste.” Austin sollevò gli occhiali con la montatura di ferro. “La gente ha già abbastanza problemi a tenere a galla le proprie famiglie in difficoltà, figuriamoci il sistema scolastico. Le cinghie sono state già strette. Abbiamo più probabilità di trovare il petrolio sotto i giochi per i bambini che i contribuenti approvino altri fondi, il che mi lascia capire come dare agli studenti l’istruzione di cui hanno bisogno con i soldi che già non abbiamo.”

“Mi faccia dare un’occhiata al bilancio.” Adara ingoiò il nodo alla gola. “Sono specializzata in contabilità. Forse vedrò qualcosa che lei non ha notato.”

Il preside rise e spinse il raccoglitore più vicino a lei. “Ottima lettura per il fine settimana con un cartone di vino. Si accomodi pure, ma non si faccia troppe illusioni. Mi sono laureato in contabilità e poi ho deciso che l’insegnamento è la professione dei nobili.” Accarezzò la sua pancetta. “Mi guardi ora.”

Adara prese il faldone dalla scrivania, facendolo quasi cadere. Era ancora più pesante di quanto sembrasse.

“Porti in giro quel coso e potrà saltare la sua corsa quotidiana.” Austin sorrise e prese la ciambella mezza mangiata appoggiata alla spillatrice di dimensioni mostruose. “Entrambe le cose sembrano ugualmente divertenti.”

“O posso infilarlo in uno zaino e correre con il peso extra mentre lei si riempie la bocca di veleni che intasano il cuore.” Adara si alzò, caricandosi il fascicolo sul fianco come fosse un bambino. “Quanti alberi sono morti per questo mostro? Che fine ha fatto l’era dell’informazione elettronica?”.

Austin ingoiò il boccone e si spazzolò le briciole dai baffi. “Non vada oltre. C’è di più... una buona notizia. Siccome sono sicuro che lei memorizzi tutti i miei annunci come le gemme importanti che sono, si ricorderà del programma di mentori musicali di cui ho parlato qualche settimana fa.”

No. No, no, no.

Austin ignorò il frenetico messaggio mentale di lei e continuò. “La sua classe è stata selezionata. Inizia la prossima settimana.”

“Cosa? Perché? Perché la mia classe?”

Il preside alzò le sopracciglia. “Ho pensato che sarebbe stata contenta che i suoi studenti avessero quest’opportunità e qualsiasi pubblicità generata da ciò, potrebbe influenzare qualche voto a nostro favore. Il signor Ambrose è un musicista di talento e sta donando generosamente il suo tempo e le sue capacità. Non si può sbagliare con la gratuità.”

Questo dipende dalla prospettiva. Austin aveva ragione nel dire che lei doveva essere felice per i suoi studenti, ma si trattava di musica e di un particolare violinista chiacchierone che aveva già invaso troppo il suo spazio. Adara mostrò un’espressione serena. “Volevo dire, come abbiamo fatto a essere così fortunati?”

Austin le fece un sorriso da donnola, reso più viscido dai baffi. Adara non l’aveva affatto ingannato. “Ho pensato che la sua classe ne avrebbe beneficiato maggiormente e, anche se questo è un insegnamento a scelta, da lei e dal signor Ambrose mi aspetto un rapporto settimanale sui progressi. Ho bisogno di documentare che gli studenti stanno imparando qualcosa.” Il telefono squillò prima che Adara potesse protestare e Austin sospirò. “Non c’è riposo per il malvagio preside del West.”

Adara si voltò mentre l’uomo rispondeva alla chiamata. Voleva davvero essere arrabbiata con lui sia per aver suggerito che il suo lavoro sarebbe stato tagliato sia per averle assegnato il contrattempo, ma come tutti i presidi, lui era giusto, pratico e aveva davvero a cuore gli interessi dei ragazzi. Non tutte le scuole erano così fortunate.

“Aspetti,” disse Austin, tenendo la cornetta in mano. “Un’ultima cosa, signorina Dumont. La signora Johnson mi ha fatto notare che mancano alcuni volontari per la festa di Carnevale di domani sera. Ha anche notato che ha dimenticato di iscriversi.”

Adara rabbrividì. Dimenticato, era un modo carino per dire trascurata mentre era bloccata in uno stato di apatia. La signora Johnson, presidente del comitato di volontariato, teneva una tabella con tutte le attività della scuola e la percentuale di volontariato di ogni insegnante, il tabellone perfetto per individuare chiunque si fosse dimenticato della festa di Carnevale, intenzionalmente o meno. Adara mostrò un’espressione tranquilla prima di affrontarlo di nuovo. “Mi faccia indovinare. Sono rimaste solo le pulizie.”

Gli occhi di Austin brillarono dietro gli occhiali, un segno evidente che si stesse trattenendo dal sorridere o che le stesse rivolgendo un’occhiata pietosa. “Ancora meglio. Si tenga forte. È in servizio per l’ultimo turno di pattugliamento.”

Così tanto da cucinare biscotti da sola e lasciarli, senza bisogno di contatti. Sarebbe stata bloccata lì fino alla chiusura, facendo rispettare i limiti, bloccando le liti tra fratelli e trattenendo i genitori dall’uccidere la loro preziosa carne, tutto mentre cercava di tenere insieme i suoi pezzi. Questa settimana diventa ogni giorno più luminosa.

Lasciando il signor Austin alla sua telefonata, Adara scivolò nel corridoio vuoto e il suo telefono vibrò. La giovane si destreggiò con il faldone del bilancio ed estrasse il telefono dalla tasca della giacca. Il numero di Gia lampeggiò. Non voleva parlare del suo esaurimento della sera precedente, ma aveva anche infranto la sua promessa. Gia meritava almeno una spiegazione. Appoggiata a una locandina della festa di carnevale, affrontò l’inevitabile.

“Stai saltando la tua corsa della sera.” Gia non le diede un secondo per salutarla, parlando veloce e forte. “Abbiamo degli impegni.”

Adara avvertì una stretta al petto. Per quanto quella sera non volesse andare da nessuna parte, non poteva infrangere di nuovo la promessa che aveva fatto a Joey. Aspetta un attimo. Gia non aveva minimamente accennato al fatto che la sera prima se ne fosse andata. Molto sospetto. “Quali impegni?”

“Cena. Da Antoine. Alle sei in punto.”

Adara si allontanò dal muro e s’incamminò verso l’uscita, tenendo nell’altro braccio il quadernone come se fosse un peso morto. Il peso in più fece risuonare i suoi passi più forte del solito. “Non mi è richiesto di essere presente quando decidi di avere voglia di mangiare italiano. Joey ha specificato gli eventi sociali. La cena da Antoine non è un evento sociale.”

“Dobbiamo parlare.”

“Ti prego, dimmi che questo non ha niente a che fare con i guai in cui ti sei cacciata dopo che me ne sono andata ieri sera.”

“Più o meno. Forse.”

Adara gemette. “Quanti margarita hai bevuto?”

“Solo due.” Gia sbuffò. “Non è quel tipo di problema, non come l’anno scorso.” Esitò. “Mi hai abbandonata.”

Adara chiuse gli occhi. “Scusa.”

“Vediamoci da Antoine.” Disse Gia con tono supplichevole. “Mangeremo pane e pasta e il dolce cancellerà il conto di tutti i tradimenti.”

“Non posso.” Spostando il quadernone, Adara riprese a camminare verso la porta. “Austin mi ha appena detto che se la proposta di fondi non passa, sono licenziata, quindi stasera studierò i numeri per vedere se posso salvare il mio lavoro.”

“Cavolo!” Gia respirò profondamente. “Ok, lo farò senza pane all’aglio per ammorbidirti. Non dare di matto”.

Adara si fermò di scatto. Qualcosa di brutto stava per succedere. Qualsiasi combinazione di Gia e la parola matto equivaleva a una catastrofe. “Devo distruggerti ora o dopo le lasagne?”

La risata di Gia era troppo stridula per essere credibile. “Nessuno ha bisogno di essere mutilato, torturato o squartato. Inoltre, questo non riguarda me. Si tratta di te.”

“Me?”

“Ho capito che la vita senza Joey fa schifo per te e che stai facendo del tuo meglio perché gli hai promesso di farlo.” La voce di Gia diventò un sussurro e l’insolita gravità fece avvertire un brivido ad Adara. “Anch’io gli ho fatto delle promesse. È trascorso più di un anno, e invece di uscirne, ogni giorno sprofondi di più nell’indifferenza. Dar, tu sei la cosa più vicina a lui che ho e non posso - non voglio - veder svanire anche te.”

Quel gelo s’intensificò, insinuandosi nelle ossa di Adara che non aveva l’energia per affrontare la simpatia indesiderata e le buone intenzioni. “Come mi comporto non sono affari di nessuno, se non miei.”

“Vero.” Gia sembrava malinconica. “Andare avanti è una decisione che solo tu puoi prendere. Il fatto è che questa mattina mi sono imbattuta in una teoria interessante. All’inizio ero scettica, non voglio mentire, ma dopo un’indagine approfondita” - esitò - “sono convinta che meriti un’opportunità. Tutto quello che ti chiedo, è che tu gli dia una vera possibilità, non solo le parole di Gia.”

Perfetto. Un movimento di Adara e il braccio si stava stancando. Mise giù il quaderno e ci piantò il sedere sopra. Se avesse ammesso di non essere andata affatto avanti, Gia non avrebbe mai smesso. Sarebbe stata tormentata da frivoli inviti sociali fino a vomitare. D’altronde, accettare umilmente avrebbe sollevato ogni sorta di sospetto. La sua reazione doveva essere una via di mezzo per renderla credibile.

“Non ti fidi di me?” Avrebbero potuto utilizzare il tono ferito di Gia come sottofondo di una pubblicità di un animale maltrattato.

“Neanche un po’.“ Adara si piegò e si sistemò i capelli dietro l’orecchio. “Ho bisogno di qualche dettaglio.” È un cane da terapia? O forse una sessione di consulenza in cui lei avrebbe fatto finta di avere tutto insieme abbastanza a lungo da placare tutti, qualsiasi cosa servisse per tenere Gia felice e fuori dal suo caso.

“Una parola: Garret Ambrose. So che tecnicamente sono due parole, ma un solo nome.”

Ambrose. Perché questo nome mi suona familiare? Ambrose. I campanelli d’allarme suonarono nella testa di Adara. Ambrose... lo stesso nome che aveva sentito dal preside Austin. La voce di Adara, facendo eco al calore che si stava accumulando nelle sue viscere. “Che cosa hai fatto, G.?”

“Mi ha chiesto di te e mi ha convinta a rivelare qualche dettaglio.”

“Allora è deciso. Sei morta prima della pasta.” I traditori non meritano il dessert.

“Non l’avrei mai fatto se non fossi stata convinta che è un bravo ragazzo,” si affrettò Gia. “Come minimo, prendi un caffè con lui - o dimentica il caffè e saltagli addosso. Scommetto che potrebbe curare qualsiasi tristezza.”

Mantenendo la voce gelidamente disinvolta, Adara si alzò. “Vado a correre. Punto.”

Spense il telefono, rifiutando di sentire la risposta di Gia. Con il faldone tra le braccia, sfrecciò oltre gli armadietti e le fontanelle, avendo bisogno di stare all’aria aperta. Le mani le tremavano e il cuore le martellava le costole come se avesse già corso. Di tutte le cose con cui si aspettava che Gia la sbattesse, l’ultima era un appuntamento... con lui. La terapia dell’uomo poteva essere la droga di Gia, ma non la sua. Ma per favore. Come se un ragazzo potesse sostituire il legame perduto con il proprio fratello. Nessuno l’aveva mai capita come Joey e non importava quanto le mancasse suo fratello, la solitudine era preferibile all’affrontare di nuovo il dolore.

Dopo aver spinto le porte della scuola, si fermò, inspirando un profondo respiro di aria gelida nei polmoni. Il freddo le colpì il naso e le guance. Sbatté un fiocco di neve dalle ciglia e sollevò lo sguardo verso un cielo carico di nuvole nere. Neve, prima di quanto il meteorologo avesse previsto. Con un po’ di fortuna, la roba bianca si sarebbe attaccata e sarebbe durata abbastanza a lungo da tenere a casa alcuni dei più cauti appassionati di carnevale.

Per la prima volta in quella settimana, quasi sorrise.


Capitolo quarto

La bufera di neve divoratrice di energia, che Adara aveva sperato cancellasse la festa di Carnevale, lasciò solo un’inutile spolverata, niente che potesse rallentare la folla. Si unì alla folla dei bambini che si agitavano e ondeggiavano con le mani macchiate, gli occhi grandi e delle voci ancora più grandi e si mise in disparte, dove l’insegnante di quinta elementare e attuale supervisore della sicurezza, Olivia, stava discutendo con un genitore.

“Non faccio io le regole, signor Vergara.” Le guance di Olivia vacillavano a ogni parola e sembrava pronta a pugnalare il signor Vergara con i ferri da maglia che teneva sempre a portata di mano. “Billy ha violato la regola dodici.”

Il signor Vergara se ne andò come una furia portando con sé un Billy lamentoso e borbottando parole in spagnolo che violavano decisamente la politica linguistica della scuola.

“Sei in ritardo di due minuti,” gridò Olivia al di sopra dei suoni circostanti, il ronzio di troppe persone stipate nello stesso posto. “Due minuti eterni e tormentosi.” Si tolse a fatica il giubbotto di sicurezza color verde fosforescente e spinse l’indumento tra le braccia di Adara. “I mostri sono tutti tuoi e non sto parlando dei bambini. Se devo dire ancora una volta al signor o alla signora ‘sono meglio di te’ che devono controllare il loro figlio perfetto, verrà fuori il mio ninja interiore, e nessuno lo vorrebbe.”

Immaginare quella donna in carne e ossa facesse la ruota nel suo vestito di percalle e lanciasse i ferri come stelle nel sedere di alcuni padri amanti del football e delle loro mogli trofeo, m’ispirò un piccolo sorriso. “Ottima idea per la nostra prossima raccolta fondi.”

Olivia le posò una mano pesante sulla spalla e si avvicinò, abbastanza da permettere ad Adara di contarle le rughe intorno agli occhi. “Tesoro, certe cose non le faccio gratis e la scuola non potrebbe permetterselo.” Olivia si raddrizzò e i suoi occhi si sgranarono, segno di pettegolezzi da spargere. “Dopo la scuola mi sono imbattuta nel tuo nuovo mentore musicale nell’ufficio di Austin.”

Adara digrignò i suoi molari.

“Se non fai figli con lui...”

“Non succederà. Né con lui né con nessun altro.” Adara aggiunse un ringhio al suo tono e lasciò vagare liberamente il suo sguardo. “Mi piace stare da sola e questo non cambierà mai. Mai. Fine della discussione.” Adara non aveva bisogno di spintoni che si aggiungessero alle occhiate complici che già riceveva in sala relax. Cos’era questa storia che tutti cercavano di farla incontrare con il signor Musicalità?

“Tanto per dire.” Olivia scrollò le spalle, chiaramente indifferente allo sguardo persistente di Adara da Mister T. “Buona fortuna per stasera. Ho un appuntamento con i miei ferri e un nuovo rocchetto di filato rosso per il maglione che ti sto facendo. Sono stanca di vederti vestita di nero.” Olivia si fece largo tra la folla dirigendosi verso la porta.

“Mi piace il nero,” disse Adara alla schiena che si allontanava. “È il mio colore felice.”

Olivia agitò le dita in segno di saluto.

Adara prese in mano la festa di carnevale. Che incubo. Bambini senza accompagnatori correvano in tutte le direzioni, cinguettando e urlando con manciate di premi di plastica e palloncini. Era un miracolo che non ci fosse stato ancora nessuno spargimento di sangue. I trucchi trasformavano i volti in clown, tigri e fate dementi. La tintura temporanea per capelli aggiungeva arcobaleni fosforescenti sulle piccole teste. Alcuni dei genitori più rispettosi seguivano i loro figli o li tenevano per mano, mentre altri si erano raggruppati in piccoli gruppi, ignorando le regole e lasciando che la loro prole corresse indisturbata.

I giochi interattivi circondavano la palestra e l’aria era soffocante a causa di una miscela di cibo spazzatura, compresi popcorn imburrati, hot dog e grasso. Era abbastanza da ostruire i suoi pori semplicemente respirando. In un angolo, la sempre popolare casa gonfiabile tremava e sbuffava, come se fosse posseduta. Joey adorava salire sulla casa gonfiabile con i bambini. Si rifiutava di uscire finché Gia non lo minacciava.

Adara tentò di cacciare indietro il ricordo, cercando di concentrarsi di nuovo sul qui e ora. Che modo di trascorrere il venerdì sera. Avrebbe preferito studiare il bilancio e capire come mantenere il suo lavoro.

Srotolando il gilet di sicurezza, Adara staccò un biglietto rosa attaccato storto sulla schiena. Si leggeva in una rozza calligrafia a matita: “Voglio sposare il preside Austin.” Qualunque ragazzino coraggioso lo avesse attaccato sulla schiena di Olivia, era fortunato che lei non l’avesse notato. Si sistemò l’indumento, lasciando libere le cinghie di velcro. Questo avrebbe reso più facile toglierlo e controllare se ci fossero state delle note vaganti sulla sua schiena.

“Signorina Dumont!” Tatum, la sua migliore allieva nonostante l’amore della ragazza per le bravate rivolte al ragazzo per cui si era presa una cotta, sbandò fino a fermarsi. Il viola aveva sostituito i suoi capelli dorati, stridendo con il serpente verde dipinto dalla fronte al mento. La sua lingua rossa guizzava tra le sopracciglia. Niente cuori o fiori tipici delle ragazze per Tatum. “Guardi cosa ho vinto!”

Adara accettò il bastoncino di zucchero filato dalle mani rosa e appiccicose di Tatum. “Non dovresti stare vicino ai tuoi genitori?”

“Non sono con i miei genitori.” La bambina riprese la caramella, ne strappò un pezzo e lo infilò in bocca. “Papà sta facendo volontariato al Lancio della carta igienica. La mamma è rimasta a casa con il piccolo G, quindi mi ha accompagnata mio zio.”

“Fallimento totale dell’accompagnatore.” Adara pizzicò il naso di Tatum. “Di’ a tuo zio di darsi una mossa.”

“Non è proprio colpa sua. Ho aspettato che aiutasse Bryan con un gioco per inseguire Zachary.”

Zachary. L’attuale cotta di Tatum. La storia d’amore in terza elementare era così semplice: acchiappa e rilascia. “L’hai accalappiato?”

“L’ho messo all’angolo sulla passerella ma è scappato. Corre molto, molto veloce. Lo prenderò la prossima volta.” Tatum sorrise mostrando un sorriso un po’ spaventoso con tutti quei denti e un serpente arrotolato intorno a metà del suo volto. Zachary era stato furbo a scappare.

“Non si corre in palestra, ricordi?”

Tatum strascicò i piedi, sfoderando un appropriato sguardo colpevole.

“Rintracciamo tuo zio prima che si metta nei guai per averti perso.” Adara prese la mano piccola e appiccicosa della bambina. “Andiamo?”

“Lo faremo, signor Collins,” rispose Tatum con tono altezzoso, tenendo il naso sollevato e la mano sporca di zucchero filato sul fianco.

Adara strinse le labbra finché non le passò l’impulso di sorridere. “Non l’hai imparato nella mia classe. Chi t’insegna queste cose?”

“Mamma, abbiamo le serate di Orgoglio e Pregiudizio,” rispose Tatum con voce cantilenante, “I ragazzi non sono ammessi.”

“È... fantastico.” Non era stata abbastanza grande da apprezzare Orgoglio e Pregiudizio con sua madre prima che l’incidente stradale le portasse via entrambi i genitori, ma ricordava vagamente le sessioni di coccole sul divano. Poteva immaginarsi mentre piangeva con sua madre davanti a una ciotola di popcorn, guardando più e più volte Mr. Darcy conquistare Elizabeth - la versione televisiva, non il film.

Scrollandosi di dosso il se, Adara si unì alla fantasia da terza elementare. “Ma io protesto. Non sopporterò di essere chiamato signor Collins. È uno stolto, signora.”

Tatum ridacchiò mentre aspettavano che alcuni ragazzi che scherzavano con i palloncini si togliessero di mezzo. “E Kitty?”

“Kitty?” Adara sbuffò. “Per favore. È una sostenitrice e non consiglia nemmeno la signora Bennet o Lydia.”

Tatum storse la bocca di lato. “E Lady de Bourgh?”

Adara sussultò, fingendo solo in parte. Tatum pensava davvero che lei fosse vecchia e pomposa come Lady Catherine? “Come ti permetti?”

“Va bene.” Tatum aggiunse un saltello al suo passo. “Lei è Jane. Non può essere Lizzy, perché quella sono io. Ma se lei è Jane,” disse Tatum, con sguardo indagatore, “ha bisogno di un signor Bingley!”

“Infatti, non lo so.”

La ragazzina le afferrò la mano in un modo sorprendentemente forte e la trascinò lungo un percorso prefissato. Evitò gli altri bambini e, senza rallentare, passò attraverso un capannello di genitori.

Adara riuscì a malapena a evitare di scontrarsi con un padre che teneva un gigantesco dinosauro rosa fosforescente di peluche sotto l’altro braccio. Adara avrebbe dovuto passare il suo giubbotto di addetto alla sicurezza a Tatum. La ragazza aveva una certa autorità. “Rallenta, Tatum. Dobbiamo trovare tuo...”

“Zio Garret!”

Garret.

Il nome scattò prima che gli occhi di Adara potessero inviare un segnale al suo cervello ed eccolo lì, il capitano senza la sua nave, il fratello di Tatum, Bryan, al suo fianco. Aveva abbandonato il suo strumento, ma il suo aspetto non era cambiato molto: capelli biondi tirati all’indietro, la barba di due giorni che gli dava un’aria da ruffiano, jeans con qualche buco in posizione strategica, gli stessi stivali neri da rocker e una camicia casual su una maglietta. Quella sera sembrava meno un pirata e più simile a uno zio in preda al panico che aveva perso sua nipote nel caos dei bambini selvaggi. Il sollievo sul volto di Garret le fece quasi provare pena per lui. Quasi.

Il musicista posò lo sguardo su di lei poi su Tatum e di nuovo su di lei. “Quasi non la riconoscevo alla luce diretta senza una renna gigantesca che s’inchina ai suoi piedi.”

Adara cercò di liberarsi abilmente dalla presa di Tatum e di scappare, ma non ebbe successo. Come faceva a non sapere che era lo zio di Tatum? Forse avrebbe dovuto prestare più attenzione a ciò che la circondava invece di bloccare il ficcanaso di Graywood ogni volta che poteva. Dopo tre anni che viveva in quella città, non si era ancora abituata.

“Garret Ambrose, lo zio preferito di Tatum.” L’uomo tese la mano. Se quell’uomo pensava che il suo sorriso l’avrebbe intenerita, si sbagliava di grosso.

Adara nascose un sospiro, affrontando l’inevitabile. Da lunedì avrebbero lavorato insieme e Austin gli aveva senza dubbio già detto il suo nome. Non poteva scappare, ma non doveva fare la gentile. “Adara Dumont.” Lei contraccambiò la presentazione di Garret stringendogli la mano e lasciandola subito, ignorando come la grande mano di lui inghiottisse la sua. “Un‘insegnante straordinaria.”

Tatum tirò la camicia di Garret con l’altra mano, spalmando dello zucchero filato rosa sulla manica dello zio. “La signorina Dumont è Jane ed io sono Lizzy.”

“Ehilà, Lizzy.” Il giovane si grattò la guancia e guardò Adara. “Jane?”

“Non sei della famiglia. Non puoi usare il suo nome di battesimo.” Tatum si esibì in un inchino quasi decente. “Chiamatela signorina Bennet, buon signore.”

Bryan gemette e sgranò gli occhi. “Stupido Orgoglio e Pregiudizio. Come può piacere quella serie? Tranne la versione con gli zombie. Quella è forte!” Il piccolo sollevò un pugno affinché Garret lo colpisse.

Ignorando completamente il fratello, Tatum guardò lo zio con i suoi occhi blu innocenti e supplicanti. “Zachary è il mio signor Darcy ma Jane ha bisogno del suo signor Bingley!”

No. Adara vide il treno che stava arrivando verso di lei, ma non poteva muoversi abbastanza velocemente da togliersi di mezzo.

“Sarai il signor Bingley, zio Garret? Per favore?”

“Certo!” Il sorriso di Garret faceva sembrare fioca una torcia.

“Questa particolare Jane è in servizio per la sicurezza della festa di carnevale.” Adara incontrò lo sguardo di Garret. “Non vuole né ha bisogno di un signor Bingley.”

“Oh, suvvia, signorina Bennet. Ogni Jane ha bisogno del suo Charles,” disse Garret.

Dannazione. ConoscevaOrgoglio e Pregiudizio. Non era d’aiuto nella sua ricerca di non piacergli.

Le tattiche di persuasione di Tatum si rivolsero su di lei, quegli occhi blu enormi, speranzosi e supplichevoli, su un viso da elfo.

Adara rimase ferma sotto l’assalto. “Ripensandoci, scelgo Mary. Con il signor Collins sposato con Charlotte, nessun altro potrebbe soddisfare i suoi standard molto particolari.” Adara inarcò un sopracciglio verso Garret, ma non ebbe alcun effetto sul sorriso di lui. “Preferiva stare da sola.”

“Con la sua musica,” aggiunse Garret.

“Con i suoi libri.” rispose Adara

“Chi se ne frega!” Bryan lanciò allo zio un’occhiataccia mostrando quanto fosse infastidito. “Sei cattivo come le ragazze.”

“Sono cresciuto con tua madre. Mi ha stravolto.” Garret arruffò i capelli biondo rossicci di Bryan. “Ma la questione deve essere risolta.” L’uomo si tirò su e sollevò il mento, imperioso. “Signorina Bennet, propongo una gara.”

“Accetto!” Tatum saltò su e giù con lo zucchero filato pericolosamente vicino a cadere dal suo bastoncino.

“Le mie scuse, signorina Lizzy!” Garret appoggiò il palmo della mano sulla testa di Tatum, tenendola ferma. “Stavo sfidando l’altra signorina Bennet!” Prima che l’espressione affranta di Tatum si trasformasse in lacrime, aggiunse: “Ma, naturalmente, può unirsi a noi. Se vinco io, sarò il signor Bingley. Se perdo, la signorina Bennet rimarrà senza legami.”

Bryan gemette di nuovo e si afflosciò. “Posso andare a prendere un hot dog?”

“Ci vediamo da tuo padre.” Garret gli diede dei soldi e il ragazzo scappò via.

“Non si corre!” Adara lo richiamò diligentemente.

“Non credo che abbia sentito.” Garret mantenne il suo tono sereno ma la sua bocca si contorse in un povero tentativo di non sorridere. Tese il braccio. “Andiamo?”

Adara fissò il braccio di lui, sperando di sembrare ostile. “Non ho accettato la sua sfida e sono sicura al novantanove per cento che i giochi siano per i bambini.”

Garret si scambiò un’occhiata con Tatum e, come se avessero coreografato la mossa, Tatum si lanciò in una danza del pollo, sbattendo le ali, mentre Garret faceva dei rumori striduli. Chiaramente, l’intera famiglia era mentalmente instabile e desiderava richiamare l’attenzione, non importava come. Bambini e adulti si fermavano a guardarli. Ed io dovrei lavorare con quest’uomo insopportabile? Come addetta alla sicurezza della festa di carnevale, Adara aveva il compito di scortare fuori i partecipanti che disturbavano e, per quanto le sarebbe piaciuto cacciare Garret dalla porta, Tatum e Bryan sarebbero dovuti andare con lui. Non poteva fare questo ai bambini.

“Bene,” Adara scattò. “A quale gioco stai per perdere?”

Tatum diede il cinque a Garret. Idioti.

“Il lancio della carta igienica.” Garret le lanciò un’occhiata sorniona, così simile a quella di Tatum da essere inquietante. “Sempre che tu non preferisca una competizione più femminile, come il ring della lotta sumo.”

Lottare per entrare in una di quelle tute gonfiabili non era possibile e andare in giro con Garret Ambrose? Sicuramente no. Adara arricciò il labbro. “Il lancio della carta igienica va bene.”

L’uomo le offrì di nuovo il braccio, che lei ignorò ancora una volta, e si fecero largo tra la folla verso il gioco.

“Hai sentito la buona notizia?” Garret sollevò lo sguardo verso di lei. “Sono il nuovo tutor di musica della terza elementare. Lavoreremo insieme.”

“Speravo che se avessi ignorato quel brutto pettegolezzo, sarebbe andato via.” Adara si sforzò di concentrare lo sguardo su Bozo il clown che trasformava i palloncini in animali e sui bambini che gli si stringevano intorno. Preferiva i clown inquietanti ai musicisti che si fingevano pirati.

“Non me ne vado così facilmente,” le sussurrò Garret vicino all’orecchio.

“Nel suo racconto, Gia deve aver dimenticato di menzionare che non provo alcun interesse per le abitudini dei tutor di musica.” Adara gli mostrò i denti.

Garret ebbe la grazia di trasalire. “La colpa non è di Gia. Ian ha un dono particolare per la persuasione... o la coercizione.” Il giovane si schiarì la gola. “Le sue intenzioni erano buone.”

“Buone intenzioni? Ian?” Adara sbuffò. “Giusto.”

Garret scrollò le spalle. “Succede più spesso di quanto si pensi.”

Il padre di Tatum, Bob, si occupava del Lancio della carta igienica, un sistema composto di varie tavolette da water appese al soffitto a varie distanze. Lo scopo era lanciare rotoli di carta igienica attraverso i fori - più alto era il sedile, più alto era il punteggio. Adara non aveva idea di chi avesse pensato a questi giochi contorti.

“Fatevi avanti, signore e signori, e mettete alla prova le vostre abilità con il fantastico Lancio della carta igienica!” Per quanto ne sapeva Adara, il carnevale non aveva un tema particolare o fisso per i costumi ma Bob faceva di tutto per conferire un’atmosfera da fiera medievale. Indossava una tunica multicolore che qualsiasi zingaro avrebbe invidiato, degli stivali alti di pelle e quelli che sembravano pantaloni di camoscio, completando il tutto con un cappello che metteva in risalto una lunga piuma di pavone.

“Biglietti per favore, signorina,” disse Garret a Tatum, con la mano tesa.

“Signorina Bennet,” lo corresse lei con un tono da signora spocchiosa. “Anche se suppongo che tu possa chiamarmi Lizzy, perché sei della famiglia.”

“Infatti. Anche così, Signorina Lizzy, ho bisogno di un biglietto prima di permetterle di giocare al grande Lancio della carta igienica, dove solo l’abilità e la resistenza le faranno guadagnare un premio.”

Senza voltarsi, Tatum schioccò le dita sopra la spalla. “Signor Bingley, tre biglietti.”

Il sorriso di Bob si trasformò in un cipiglio di disapprovazione. “Le buone maniere, signorina Lizzy.”

Tatum sospirò. “Signor Bingley, tre biglietti. Per favore.”

“Meglio,” disse Bob, mentre Garret pescava tre biglietti dalla tasca, sorridendo sopra la testa di Tatum. “La prossima volta, niente sospiri da contadina oppressa.”

“Sì, papà.” Sbuffò la piccola. “Possiamo giocare ora?”

“Per prima cosa, dobbiamo stabilire la posta in gioco.” Garret passò un rotolo di carta igienica a Tatum e poi ad Adara.

“Gioca anche lei, signorina Dumont?” Le sopracciglia di Bob salirono verso l’attaccatura dei capelli.

La ragazza Interazione non era stata il suo modus operandi dai tempi di Joey. L’anno precedente non aveva partecipato alla festa di Carnevale e nessuno l’aveva spinta a fare volontariato, ma l’anno prima aveva partecipato a migliaia di giochi. Forse anche tutti gli altri avevano dimenticato chi fosse una volta.

“Oh sì, sta giocando.” Garret lanciò un rotolo in aria.

“Non la signorina Dumont, papà. Jane Bennet.” Tatum lanciò al padre uno sguardo serio. “Lo zio Garret sta cercando di vincere per essere il suo signor Bingley.”

Bob guardò Garret poi Adara e di nuovo Garret, con la fronte corrugata nel suo sguardo da ‘padre preoccupato’.

Adara strinse il tessuto molle. Giusto. Nessuno voleva che il proprio cognato fosse interessato all’insegnante emotivamente indisponibile. L’aveva capito, era persino d’accordo, ma comunque... non aveva chiesto niente di tutto questo. “Non si preoccupi, signor Sullivan. Perderà.”

“Parole di lotta, signorina Bennet.” Garret le urtò la spalla, facendola quasi inciampare. “Vuole che io inizi per primo, così capirà quanto sia veramente troppo sicura di sé?”

“Continui. Ma non lasci che della carta igienica scadente ferisca quelle fragili dita da violinista.”

Sul volto di Adara comparve un ghigno e la sfida sottostante risvegliò una lieve eco della sua rivalità fraterna con Joey, anche se la loro era stata molto più feroce. Era stato il suo gomito a rompere il naso di Joey in una zuffa di spartiti, non che lui si fosse poi lamentato molto. Tutte le ragazze sembravano amare quel bernoccolo permanente. Adara strinse il rotolo cercando di cancellare il ricordo.

“Si prepari a essere corteggiata in stile Bingley.” Con la voglia di sfida che gli brillava negli occhi, Garret alzò lo sguardo verso le tavolette del water appese dietro Bob. Saltellò un paio di volte e lanciò il rotolo sull’anello più alto. Lo mancò.

Adara scosse la testa. Tipico dell’uomo... Non ha nemmeno provato con quello più basso.

“Ne ho altri due.” Il tono di lui era freddo, sicuro di sé.

“Posso provarne uno prima io?” Tatum tenne il suo rotolo sopra la testa e girò. Bob salvò lo zucchero filato mentre le volava di mano, prendendolo prima che colpisse il pavimento della palestra. Un punto per i papà esperti di tutto il mondo.

“Vai, tesoro!” Garret fece un passo accanto ad Adara e mise le mani dietro la schiena mentre Tatum giocava il suo turno. “Mancare una volta non significa nulla. Era un tiro di prova.”

“Come vuole, Ambrose.” Adara si allontanò da lui, dal suo calore e dal leggero odore della sua colonia agli agrumi. Purtroppo, non aveva l’odore di un pirata. “Non tutti hanno più di un’abilità.”

Tatum piegò le ginocchia e lanciò il rotolo in aria, in stile lancio del peso. Il rotolo rimbalzò sulla tavoletta più alta e oltrepassò quella più bassa. “Dieci punti per me!” Tatum iniziò a saltellare come una molla. “Sto battendo lo zio Garret!”

Il musicista guardò Adara. Alcune ciocche troppo lunghe dei capelli biondi di lei erano scivolate via dalla fascia sulla nuca e le incorniciavano la mascella, aggiungendosi al suo aspetto bohémien. “Quindi ammetti che ti piace la mia musica?”

“Non stavo insinuando che il tuo singolare talento abbia qualcosa a che fare con la musica.” Adara afferrò il rotolo di carta e lo fece passare ordinatamente attraverso la tavoletta da trenta punti. Sollevò un fianco e sollevò il mento.

Garret prese il secondo rotolo lanciatogli da Bob. “Mi hai appena conosciuto, hai parlato con me solo per necessità, eppure conosci magicamente i talenti che possiedo?” Si avvicinò di più, abbastanza da sfiorarle la guancia con il suo respiro, caldo e intimo. “Racconta.”

“Talento. Singolare.”

“Se non è la mia musica - che mi ferisce gravemente, tra l’altro - e non è fischiare mentre parlo, cosa credi che sia?”.

“Molestare gli innocenti, ovviamente.”

“Presumo che parli di te,”

“Infatti.”

Garret si concentrò sul tiro da cinquanta punti, si preparò e sbagliò di nuovo. Il suo sorriso si spense. “E si aspettano che i bambini segnino con questo?”.

“Che sfiga!” Adara strinse le labbra. “Tutto quello che devo fare, è segnare un’altra volta e il signor Bingley va via da solo.”

“Il signor Bingley non si arrende mai. Il suo ultimo lancio è stato pura fortuna.”

Tatum lanciò il suo secondo rotolo che volò tra due tavolette. La piccola batté un piede e guardò suo padre. “Hai accorciato le corde mentre non guardavo, vero?”

“Tutto è onorevole, equo e giusto al Lancio della carta igienica di Bob.” Bob fece roteare un rotolo su un dito, con la bocca impostata in modalità padre severo. “E la scarsa sportività metterà fine al tuo turno proprio ora, signorina.”

Tatum borbottò delle scuse, che furono sufficienti a farle guadagnare l’ultimo rotolo di carta.

Adara si mise di fronte ai bersagli, prese la mira e fece centro. Non riuscì a trattenere un piccolo sorriso. “Addio, signor Bingley.”

Tatum piantò i pugni sui fianchi. “Bella mossa, zio Garret. Pensavo che tu fossi un cestista...”

Garret smorzò il resto della frase con una grande mano. “Non annoiamo la signorina Dumont con il mio illustre passato.”

“Fammi indovinare, panchinaro della fascia B della scuola media?” Adara agganciò un dito nel cinturino del gilet. Non era difficile immaginarlo mentre faceva sport. Avrebbe indovinato la sua altezza a un metro e ottanta e con quei lunghi arti e la forma snella, probabilmente aveva un po’ di atletismo naturale nelle vene oltre alla sua musica. Ma, a quanto pareva, non abbastanza da mantenere la sua abilità di tiratore.

“La mia vita girava intorno alla musica.” Garret le fece l’occhiolino e Adara fece finta di non vederlo. Con un po’ di fortuna, il suo viso non sembrava così caldo come si sentiva. “Non avevo tempo per altre attività.”

Suona familiare. Per strappare Joey dal suo violino ci voleva la forza, l’inganno o una torta al cocco, a volte tutte e tre le cose. Adara avvertì un nodo alla gola e si girò.

“Il doppio o niente!” esclamò Bob, attirando l’attenzione di tutti. “È stato un colpo di fortuna o la fortuna della principiante. Inoltre, nessun altro sta facendo la fila.” Disse l’uomo riempiendosi un braccio di rotoli di carta igienica. “Alziamo la posta. Se Garret vince, detiene il titolo onorifico di signor Bingley, solo per la notte di carnevale, e...?” Guardò con attenzione Garret.

Sul volto di Garret tornò il sorriso. “E Adara accetta di cenare con me.”


Capitolo quinto

Non ci sarebbe stata nessuna cena con Garret Ambrose. Adara infilò le mani nelle tasche dei jeans. “No. Devo andare ad accaparrarmi un palloncino a forma di cane da salsiccia. Roba top-secret per la sicurezza del carnevale.”

“Bene.” Garret prese dei rotoli di carta igienica in ogni mano e la guardò con, gli occhi scintillanti. “Mi aspettavo che accettassi e che mettessi i tuoi paletti affinché non molestassi mai la tua persona innocente al di fuori del lavoro. Graywood è una piccola città. Ci incontreremo” disse Garret con un sorriso smagliante ”spesso.”

Il giovane aveva fatto un’osservazione valida. Condividere l’aula con lui sarebbe stato già abbastanza brutto. Sarebbe stato ancora peggio avere a che fare con lui nella corsia dei prodotti femminili del supermercato. Adara gli strappò un rotolo dalla mano. “Va bene, a patto che non mi rivolgerai parola al di fuori del lavoro.”

Adara aveva pensato che prima lui avesse mostrato tutti i suoi denti? No, ne aveva di più e tutti risplendevano verso di lei, bianchi e dritti. Se non altro, aveva davvero un bel sorriso. Era contagioso. Pericoloso. “La fortuna del principiante, tesoro un...”

Tatum la guardava, attenta a ogni sua parola.

“Pezzo di torta di mele di zia Mary.” Come insegnante di scuola elementare, aveva fatto molta pratica con le parolacce creative. Di solito non si preoccupava abbastanza da scivolare. Fastidioso musicista aspirante pirata e con un sorriso contagioso.

“Bel salvataggio,” mormorò Garret, grattandosi l’orecchio e guardando il soffitto della palestra.

“Zitto,” gli rispose lei sottovoce, concentrandosi sulle tavolette. Un tiro da cinquanta, le avrebbe quasi garantito la vittoria, e, dato che cenare con lui non era una possibilità, puntare su ciò le sembrava la cosa da fare. Se avesse sbagliato, aveva ancora due colpi per batterlo. Un pezzo di torta. Alle mele della zia Mary, per essere precisi.

Espirando, Adara lanciò il rotolo verso il bersaglio ma rimbalzò sul bordo e cadde a terra, lasciando dietro di sé una scia bianca.

“Quasi.” Bob emise un “tsked”, il suo disappunto non era affatto convincente.

“La vittoria è così dolce. Ne sento già il sapore.” Garret piegò le dita e ruotò il collo. Saltò alcune volte, agitando le braccia come un pugile che si prepara per salire sul ring.

“Signorina Dumont, non è educato alzare gli occhi al cielo. Questo le costerà un adesivo.” Tatum allungò una mano, aspettando il prezzo del roteare gli occhi.

Mettere in pratica ciò che predicava in classe non era facile con Garret Ambrose. “Hai ragione. Sono stata scortese e mi scuso.”

La piccola mano non si mosse, restando in attesa.

“Non ho nessun adesivo con me... Oh, aspetta.” Tirò fuori dalla tasca il biglietto rosa che aveva trovato in precedenza attaccato al gilet. “Ecco qua. È tutto quello che ho.”

Tatum lesse il biglietto e il suo volto si corrugò. “Che schifo. Vuole sposare il preside Austin?”

Il riscaldamento di Garret si fermò all’improvviso e anche Bob fece una pausa.

“Sì, certo.” Adara sospirò con un’aria sognante. “Tutte vogliono sposare il preside Austin. È come un signor Darcy dei giorni nostri.”

Tatum sembrò così inorridita che Adara dovette sforzarsi per non ridere. Tenendo il biglietto come se contenesse una malattia, la bambina lo lanciò di nuovo verso la maestra. “Non voglio un adesivo.”

“Bene.” Adara lo attaccò sul gilet, mostrando le lettere scarabocchiate a matita da una mano giovanile. “Lo terrò per me.”

Garret scorse il biglietto e il sollievo negli occhi scuri di lui suscitò dietro lo sterno di Adara un piccolo, fragile battito, nel posto in cui un tempo risiedeva il suo cuore. Garret voleva veramente vincere quella scommessa, per trascorrere più tempo con lei. Non aveva alcun senso. Adara sapeva che alcuni uomini la trovavano attraente, nonostante che non si fosse mai preoccupata di truccarsi, indossasse sempre vestiti neri minacciosi e scoraggiasse senza pietà le avances romantiche. Forse a lui piaceva solo il brivido della caccia. La giovane sollevò il mento. Questa particolare preda non sarà catturata.

Sembrò che Garret avesse terminato le sue mosse di preparazione, si girò e lanciò il rotolo verso la tavoletta dei quaranta punti. Il rotolo la attraversò in pieno, un colpo perfetto.

“Quaranta punti per il signore,” annunciò Bob, mentre Tatum saltellava, applaudendo.

“Traditrice.” Adara strinse gli occhi verso la sua studentessa preferita. “Pensavo fossi dalla mia parte.”

“Lo sono.” Tatum pronunciò la parola con il tono lamentoso che i bambini amano utilizzare quando protestano. “Voglio che tu sia Jane, non Mary, e Jane ha bisogno di un signor Bingley.” La piccola sbatté le ciglia. “Lo zio Garret sarà un perfetto signor Bingley.”

“Grazie, signorina Bennet.” L’uomo eseguì un elegante inchino in modo così esperto che doveva essere un movimento che praticava spesso. “La fiducia che dimostra nei miei confronti mi scalda il cuore.”

“Per quanto sia fuori luogo in questa circostanza.” Adara strappò dalle mani di Bob il secondo rotolo. “Inoltre, per quanto mi ricordi, in nessuna versione di Orgoglio e Pregiudizio il signor Bingley aveva una predilezione per i pirati.”

Bob ridacchiò. “Grazie, signorina Dumont. Lo dico da anni e nessun altro pretende di vedere il suo malcelato desiderio di essere Barbanera.”

“Non ho affatto voglia di essere un pirata.” Il tono di voce di Garret diventò affilato e lanciò al cognato un’occhiata degna di qualsiasi mascalzone. “L’anello con il teschio è stato un regalo di tua moglie e della tua prole, come ben sai. Che razza d’ingrato sarei se non lo indossassi?”.

“Nessun giudizio.” Bob alzò le mani, gli occhi scintillanti. “Scommetto che ti piacerà la benda sull’occhio che ti regaleranno per il tuo compleanno.”

Il ghigno bloccato nella gola di Adara esplose.

“Ho capito come stanno le cose. Mancanza di rispetto e slealtà da tutte le parti.” Garret incrociò le braccia e i suoi bicipiti si strinsero sotto le maniche della camicia, braccia che avrebbero fatto invidia a molti uomini. Dev’essere perché tiene il violino. Con fare minaccioso Garret si avvicinò al cognato. “Sarà meglio che ci sia una sciabola con quella benda sull’occhio, cane rognoso.”

Adara sorrise, in un modo involontario e genuino. Soffocò velocemente quell’espressione, il suo cuore scalciava forte. Poteva vedersi all’interno di quella famiglia, connettersi, avvicinarsi, condividere le risate, essere vulnerabile... permettendo che il dolore debilitante non si ripetesse.

Adara distolse lo sguardo da Garret, rivolgendolo alle tavolette. Cinquanta punti. Perdere non era una possibilità. Costringendo le mani a stare ferme, tirò. Il rotolo colpì il bordo, rimbalzò e passò. Non era stato un bel tiro, ma aveva funzionato.

“Dan...” Garret colse appena in tempo lo sguardo spalancato di Tatum. “-nazione.” Il giovane iniziò a passare il secondo rotolo di carta da una mano all’altra, scrutando i bersagli, con un’espressione seria. “O la va o la spacca, giusto?” Lanciò il colpo verso il cinquanta... e lo mancò.

“Metticela tutta, zio Garret!” urlò Tatum, osservando con cipiglio l’uomo che tre secondi prima aveva guardato con tanta ammirazione.

La sensazione di nodo alla gola di Adara si allentò un po’. Erano di nuovo quasi alla pari. Le mancavano solo altri cinquanta punti e sarebbe stata libera da ogni impegno, libera dal fastidioso violinista fuori dal lavoro, libera di stare nel suo bozzolo sicuro.

Incontrò lo sguardo di Garret. “Vuoi fare il tuo ultimo tiro adesso? Se non fai centro, mi risparmierai la fatica.”

Lui la studiò per un istante molto lungo. Senza sorridere con il solo scopo di concentrarsi soltanto su di lei, Adara riusciva a capire perché lui eccellesse nella sua musica. Quella determinazione le suggerì che una volta che la mente dell’uomo era impostata, non si arrendeva mai, non importava quale fosse la difficoltà o la sfida. Conquistare o morire. Garret scosse lentamente la testa.

Adara scrollò le spalle e aggiustò la presa sull’ultimo rotolo. Cinquanta punti avrebbero assicurato la vittoria, ma quaranta sarebbero stati un colpo più facile e un pareggio se Garret avesse avuto fortuna. In nessun modo avrebbe potuto batterla in uno spareggio. Puntò ai quaranta punti.

Il tiro ripeté il punteggio precedente di Tatum, rimbalzando sul bordo dei quaranta. Il rotolo si capovolse, cadendo e rimbalzando nei trenta. Merda. Poteva ancora batterla. Non avrebbe mai dovuto permettere a Tatum di trascinarla in quella situazione. Già, i bambini di terza elementare sono ottimi capri espiatori.

Garret riprese a studiarla, arrotolando distrattamente la carta igienica tra i palmi delle mani - quella stessa, seria concentrazione che le faceva sentire come se lui potesse vedere ogni vulnerabile frammento della sua anima. “Cinquanta punti per vincere, Adara.”

Quasi ipnotizzata dallo sguardo di lui, Adara avvertì il tono basso e sensuale di Garret avvolgerla. La giovane tossì per rompere l’incantesimo. Lui aveva sempre mancato i cinquanta punti. Non c’era modo che lo colpisse ora. “Quaranta punti per pareggiare.”

Sul viso di Garret tornò il sorriso che non era affatto come l’amichevole scatto di gioia che aveva indossato prima. Era il sorriso a denti stretti di un lupo, sicuro di sé e affamato. “Non mi piace pareggiare.”

Fece perno, puntò e affondò la carta igienica nel cinquanta.

Adara sbatté le palpebre. Merda.

Sia Tatum sia Bob esultarono.

Garret saggiamente esternò i suoi festeggiamenti con un piccolo sorriso, una mossa intelligente. Una danza della vittoria avrebbe scatenato la violenza. “Per la cronaca, il mio unico trofeo di pallacanestro è il premio di plastica del negozio “tutto a un euro” vinto sul campo del vialetto di famiglia. È passato tutti i giorni tra le mie mani e quelle di mia sorella London mentre crescevamo. Ho vinto la nostra ultima partita, così ho reclamato il suo ultimo posto.” Garret si stiracchiò lentamente, come se stesse scaricando la tensione di una vittoria emozionante. La sua fossetta riapparve. “Non ti ho ingannata, davvero. È stato un colpo fortunato.”

Lo stomaco di Adara si contorse. Avrebbe dovuto cenare con quell’uomo che la impressionava anche senza il suo violino, da sola, senza bambini a distrarla. Sopportarlo senza conseguenze avrebbe potuto richiedere qualche nuovo trucco.

Un colpetto sulla spalla la riportò alla realtà. Accanto a lei c’era una bambina con un lecca-lecca appeso tra i lunghi capelli biondi. “Ho un problema.”

Grazie a Dio. Qualcosa su cui concentrarsi che non riguardasse scommesse perse, inviti a cena o musicisti. “Andiamo nella mia classe. Ho un barattolo d’emergenza di burro d’arachidi a portata di mano.” Appoggiò una mano sulla spalla della bambina e la spinse in avanti. Se non si fosse voltata indietro e avesse fatto finta che gli ultimi quindici minuti non fossero trascorsi, forse avrebbe potuto pensare di aver avuto un incubo.

“Verrò a trovarla, signorina Bennet.” La voce di Garret la seguì, piena di umorismo consapevole, come se sapesse esattamente cosa lei avesse pensato. “Charles Bingley mantiene sempre la parola data.”

La bambina guardò Adara di sottecchi, sollevando le sopracciglia.

“È meglio che tu non lo sappia. Fidati di me.” Adara scosse la testa. “Vorrei poter dimenticare.”



* * * *



Garret appoggiò un fianco contro il bancone del Lancio della carta igienica mentre Adara si dirigeva tra la folla con la bambina con il lecca-lecca tra i capelli. Lei non si voltò mai, anche se lui l’aveva aspettato, sperato. La forma snella di lei scomparve dietro un groviglio di adolescenti. Il giubbotto fosforescente dell’addetto alla sicurezza lampeggiò una volta e poi lei sparì, come un corvo inghiottito dal mare colorato del carnevale.

Garret non si preoccupò di trattenere un sorriso. Chara, l’umorismo tagliente di lei lo uccideva, una sincerità spudorata che gli era mancata oltreoceano. Non gli importava che lei volesse allontanarlo, le sue risposte rivelavano quanto fosse veramente attenta, e se non fosse stata un po’ interessata, non avrebbe prestato attenzione.

Più minuti passava con lei, più lui voleva sapere. Stasera aveva scalfito la sua superficie e ciò che si era liberato aveva risvegliato ogni senso. La sua risata era sufficiente a ispirare cori di angeli, ma lei era più timida di una creatura dei boschi. Guadagnarsi la sua fiducia avrebbe richiesto pazienza. Per fortuna, la pazienza era un’altra delle abilità particolari di Garret. Avrebbe usato un martello gioiello per scalfire la sua armatura finché non fosse rimasto nulla tra di loro.

“Qual è il problema, Bob?” Si voltò verso il cognato e incrociò le braccia. “Il doppio o niente? Non sono sicuro se stessi cercando di aiutarmi o di affondarmi.”

“È passato molto tempo da quando ho visto Adara anche solo lontanamente divertirsi.” La pietà offuscò l’aperta cordialità nell’espressione di Bob. “Continuare a giocare ancora per un po’ sembrava la cosa da fare.”

Garret odiava che il dolore la annebbiasse, isolandola. “Quindi non aveva niente a che fare con l’aiutarmi.” Il violinista picchiettò sul bancone, liberando il battito che gli pulsava nella testa. “E se avessi perso? Dubito che persino una doppia sfida l’avrebbe fatta andare avanti.”

Bob strizzò gli occhi, cancellando ogni preoccupazione. “London si è lamentata abbastanza di quel ridicolo trofeo di basket di plastica. Odia che tu l’abbia ancora. Mi fidavo di te.”

“Non ci hai mai visto giocare? Facciamo schifo entrambi.” Garret afferrò un altro rotolo e lo lanciò, mancando il centro. “Ma solo un disastro naturale mi avrebbe fermato. Probabilmente mi hai risparmiato mesi di figuracce. E questo solo per rimediare un misero appuntamento.”

“Ti fermi così a lungo?” La sorpresa nella voce di Bob non era offensiva. Da quando aveva ottenuto la sua libertà di adulto, raramente Garret aveva pianificato la sua mossa seguente, lasciando che il suo cuore lo guidasse. Non aveva pianificato nulla se non il suo lavoro temporaneo di tutor musicale, grazie alle suppliche di Tatum e ai legami che Bob aveva con il preside. Il suo manager gli aveva riferito un paio di offerte, se avesse deciso di tornare. Quelle offerte non sarebbero rimaste disponibili per sempre.

“Non c’è niente di definitivo. Forse vedrò come vanno le cose come tutor di musica” – Garret si schiarì lo strano graffio alla gola - “e con la signorina Dumont.”

“Basta fare attenzione. Non puoi ispirare tutti.”

Garret squadrò le spalle e sollevò il mento. “Guardami.”

“Santo cielo, sei testardo come London.” Bob allungò il pugno e aspettò che Garret lo battesse con il suo. “Non c’è di che.”

“Andiamo, zio Garret.” Tatum gli tirò la manica, lasciando un’altra serie d’impronte rosa appiccicose, apparentemente stanca di sopportare i discorsi degli adulti e dimenticando tutto sul fingere di essere Elizabeth Bennet. “Hai promesso che potevo andare nella casa gonfiabile e Bryan non è ancora tornato, quindi scommetto che è già lì. Andiamo.”

Mentre Tatum lo trascinava per un braccio, Bob lo chiamò. “Attento, Garret. Quando London saprà di stasera, chiederà la rivincita. Rivuole quel trofeo.”

Garret sollevò la mano per indicare che aveva sentito, poi sorrise a nessuno in particolare.

È bello essere a casa.


Capitolo sesto

Il sabato mattina arrivò troppo presto e non abbastanza presto. Adara si stiracchiò le braccia mentre il sole si rivelava lentamente, ammiccando grigio attraverso i sempreverdi misti e gli alberi spogli del suo cortile. Da quando Joey si era ammalato, il sonno era stato una bestia imprevedibile e lei aveva imparato a non combatterlo. Le pillole non sempre funzionavano e meglio essere una brontolona naturale che una zombie chimica.

Dopo essersi riscaldata e aver fatto stretching, indossò la giacca e fece scivolare la fascia in pile dal collo alle orecchie. Anche se il nero era il colore dominante del suo guardaroba, faceva delle eccezioni per le corse in penombra e indossò dei guanti, degli scaldaorecchie e una giacca di colore rosso. Restare da sola non voleva dire aver voglia di morire.

L’aria fredda le punse il viso mentre apriva la porta. Adara indossò i guanti e scese con cautela i gradini, verificando che non ci fossero punti scivolosi. La neve scintillava alla luce appena accennata e i rami degli alberi spogli mostravano un paio di centimetri di lanugine bianca. Non c’era nessun altro sul marciapiede. Solo gli psicopatici, gli idioti e gli squilibrati andavano in giro così presto in un sabato mattina invernale. Il tipo di folla che Adara amava.

Impiegava solitamente mezz’ora per arrivare da casa al parco, abbastanza da avere il sangue che pompava caldo con un ritmo sincrono. Il silenzio dell’alba, quando la vita era sul punto di risvegliarsi, aveva sempre qualcosa di magico, come se corresse abbastanza velocemente da poter scivolare in un mondo diverso. La neve scricchiolava con un ritmo costante sotto le sue scarpe e l’aria, fresca e frizzante, le frustava i capelli, un richiamo alla libertà temporanea dal suo passato, dal suo dolore, dai suoi pensieri. Aumentò il passo, lasciandosi tutto alle spalle tranne il sangue che le ruggiva nelle vene, il battito dei piedi e il bruciore delle gambe.

Se solo fosse stato possibile lasciare tutto alle spalle così facilmente.

Svoltando nel parcheggio che conduceva ai sentieri dedicati al jogging, non rallentò. Il sentiero più difficile la chiamava, ma era più lungo degli altri e le nuvole color grigio canna di fucile e la temperatura in calo promettevano presto altra neve. O peggio, ghiaccio. Inoltre, aveva bisogno di tempo in più per capire il budget di quel fine settimana, per trovare una soluzione e presentarla ad Austin, per dargli il tempo di studiarla da solo. Qualunque fosse stato il piano, doveva renderlo abbastanza buono e convincente da salvare il suo lavoro.

Amava il suo lavoro. Prima di Joey, sapeva di essere stata un’insegnante divertente, quella che piaceva ai bambini e che i genitori speravano che avessero i loro figli. Dopo Joey, era passata alla severità, e non sapeva se poteva tornare come prima, ma non aveva idea di cosa avrebbe fatto se non fosse stata un’insegnante, come avrebbe potuto ricominciare da qualche altra parte. Da sola. Il suo respiro intorbidò l’aria, un fantasma momentaneo scomparso in un batter d’occhio. Doveva mantenere il suo lavoro.

Il terreno passò dall’asfalto alla terra, schiacciandosi sotto le scarpe tanto da farla rallentare. Una macchia colorata balenò tra gli alberi più avanti, dietro una curva del sentiero. Accidenti. Un altro mattiniero. Voleva i sentieri tutti per sé.

Ogni passo fangoso la portava più vicina all’altro corridore. Spalle larghe, fianchi stretti, sicuramente un uomo e stava faticando. Ansimava al ritmo della sua corsa lenta e un berretto rosa e arancione brillante gli rimbalzava sulla testa, scivolando lentamente. Buon per lui, lavorare per mettersi in forma.

Il berretto scivolò di un altro centimetro e cadde a terra, esponendo i capelli del corridore, dorati nella luce tenue, tirati indietro in uno chignon disordinato. Il corridore si fermò e si voltò per prendere il cappello.

Garret.

Ma stiamo scherzando! Sia che si girasse e corresse nella direzione opposta sia che scattasse in avanti, Adara non poteva evitare di essere notata. L’uomo era a meno di dieci metri di distanza.

Garret si fermò e appoggiò le mani sulle cosce, ansimando. Almeno non stava vomitando. Il giovane ripulì dalla neve il cappello che assomigliava molto al copriteiera trasandato che Tatum le aveva fatto all’uncinetto come regalo di Natale.

Adara provò qualcosa d’inquietante al petto. Garret avrebbe potuto scegliere qualsiasi cappello, ma aveva scelto una mostruosità colorata fatta all’uncinetto dalle dita inesperte di terza elementare di sua nipote. Adara scosse la testa, scacciando il pensiero dalla sua testa e dal suo cuore. Qualsiasi zio decente avrebbe fatto lo stesso.

Continuando ad ansimare, Garret si rimise il berretto in testa e cercò di sorridere. Sembrava più la smorfia di qualcuno che stava per lanciare i suoi biscotti. “Bella mattinata” - inspirò con un respiro veloce - “per una corsa.”

Sospirando, Adara si fermò accanto a lui. “Non sono sicura che quello che stai facendo possa essere chiamato correre. Sembri un po’... flaccido.”

“Flaccido?” sussultò l’uomo, sollevando le sopracciglia. “Come quel piccolo fornaio”-huff-”fatto di pasta”-puff-”che ridacchia quando gli dai un pugno nello stomaco?

Adara gli toccò la pancia e una sensazione di calore si diffuse sul suo viso. Che cosa sto facendo? Toccare qualcuno che conosco a malapena, per non parlare di punzecchiarlo come una pasta poco cotta?

A suo credito, Garret cercò di farsene una ragione e di ridacchiare, ma il risultato fu più un gorgoglio da Wookie morente.

Adara si asciugò la fronte per nascondere un lieve sorriso. Il pallore di lui poteva sembrare pastoso, ma il suo stomaco non si era sentito molliccio. Per niente. Adara si mise a correre prima di fare qualcos’altro di stupido. “Va bene, allora. Buona zoppicata.”

“Potrei usare un mentore per la corsa,” disse Garret, “per avere una motivazione.” La sua voce divenne più distante mentre lei metteva spazio tra di loro. “O per andare in rianimazione!”

Dato che lui non poteva vederla, Adara si arrese a un sorriso. Uno piccolo. Se Garret stava abbastanza bene da scherzare, ce l’avrebbe fatta senza di lei e sperava che se ne fosse andato per quando lei avrebbe fatto il secondo giro.

Il freddo mantenne il ritmo del calore che si stava accumulando con la sua corsa e il cielo si oscurò lentamente in un inquietante colore blu-nero. Adara corse più velocemente, spingendo le gambe e i polmoni. Il suo respiro lasciò delle nuvole persistenti nell’aria. La neve non la preoccupava, ma se il cielo avesse deciso di spargere ghiaccio, sarebbe stato lento e difficile tornare a casa a piedi.

A tre quarti del suo secondo giro, trovò Garret che zoppicava. Adara rallentò. Se ci fosse stata una tempesta di neve e lui fosse morto assiderato perché non era riuscito a tornare a casa in tempo, la sua morte avrebbe potuto pesarle sulla coscienza. D’altra parte, se lui avesse avuto una barretta di muesli a portata di mano e l’avesse condivisa con lei, avrebbe potuto contare totalmente come adempimento della loro scommessa per la cena. L’idea di cena di lei era aperta a qualsiasi interpretazione. A volte erano popcorn, quando si ricordava di mangiare.

Adara rallentò per andare al passo con lui. “Ti sei fatto male alla caviglia?”

Sul volto di Garret esplose un sorriso come la luce del sole da dietro una nuvola. “Sapevo che ci tenevi a me.”

Adara sbuffò e si aggiustò lo scaldaorecchie, avvertendo il suo sangue che pulsava caldo e veloce. Morire di freddo non sarebbe stata una preoccupazione per almeno qualche altro minuto. “Stai sopravvalutando il tuo fascino.”

“Adara, non hai bisogno di fingere, non con me. Ammetti semplicemente che non potevi aspettare il nostro appuntamento a cena per godere della mia presenza.” Gli occhi scuri di lui brillarono. “Non mi offendo... davvero.”

Adara riuscì a non sollevare gli occhi al cielo. “Hai una barretta di muesli a portata di mano?”

L’improvviso cambio di argomento lo spiazzò. Il suo sorriso si smorzò e si diede una pacca sulla giacca, come se cercasse uno spuntino. “Mi dispiace, no!”

Tanti saluti al suo piano di evitare la cena con lui. Adara s’infilò le mani in tasca e calmò il respiro. “Con la tua andatura probabilmente finirai il sentiero in un’ora o giù di lì. Sono sicura che ce la farai prima che arrivi la tempesta.” Come se anche il tempo tramasse contro di lei, una spolverata di neve scelse quel momento per scendere dal cielo. Lasciarlo diventare un ghiacciolo era troppo insensibile, persino per lei. Poteva almeno assicurarsi che lui uscisse dal parco. Se fosse crollato per strada, alla fine qualcuno l’avrebbe trovato. “Quando lunedì vedrò Tatum, le chiederò se sei arrivato a casa. Altrimenti, saprò dove inviare la squadra di ricerca.”

“Mi vedrai prima di lunedì. Non si può sottrarre alla nostra scommessa, signorina Dumont.”

“Non abbiamo fissato un giorno o un’ora particolare. Chi ci dice che non possa accadere tra un anno? O meglio ancora, tra dieci anni? Se tu avessi una barretta di muesli, potrebbe accadere anche adesso.”

“Furbacchiona.” L’espressione di Garret lasciava trapelare un misto di accusa e approvazione. “Stavi cercando di evitare il nostro appuntamento?”

“Non è un appuntamento. È una cena per gongolare per una vittoria molto fortunata.”

Garret si mise una mano sul cuore. “Io non gongolo. Io festeggio.”

“È una questione di semantica. Perché corri così presto stamattina? E proprio qui, tra tanti posti?” Adara avrebbe ucciso Gia per aver divulgato quali fossero le sue abitudini quando andava a correre.

Il rapido cambio di argomento non sembrò averlo turbato. “Questo parco confina con il mio cortile, ero già sveglio e ho trascurato l’esercizio fisico. Non sono pronto per essere di nuovo paffuto.”

Adara lo fissò dalla testa ai piedi, camminando, incapace di immaginarlo se non alto, magro e forte.

“È vero,” continuò lui, senza che lei lo pungolasse. “Da anatroccolo grassottello a cigno sexy.” Garret ignorò la battuta esagerata di Adara. “La mia vita era violino, scuola e sonno. Esercitazioni di violino prima della scuola, violino a scuola, lezioni private dopo la scuola, violino, violino, violino. In più, amavo il cibo.” Le rivolse un sorriso. “Amo ancora il cibo.”

Adara non voleva conoscere il passato di Garret, non voleva trascorrere altro tempo con lui, non voleva continuare a camminare accanto a lui come se fossero una coppia uscita per la solita corsa mattutina, perché sembrava così. Le sembrava che sarebbe stato semplice continuare al passo con lui e mantenere quel ritmo per giorni, mesi, anni. Adara aumentò il passo. “Così hai superato il tuo aspetto paffuto e le tue lezioni di violino hanno dato i loro frutti. Fine della storia.”

“Sì e no.” Garret abbassò lo sguardo sul sentiero, accigliandosi leggermente. “A volte ho fantasticato di smettere per qualcosa di figo, come il football o il basket, ma il mio momento di chiarezza è arrivato quando ho chiesto alla ragazza che mi piaceva di andare al ballo della terza media. L’evento più importante della scuola media, giusto? Lei mi ha riso in faccia e mi ha detto che non sarebbe mai andata da nessuna parte con un grasso secchione della band.”

“Che sfortuna.” Adara mantenne la sua voce senza tono. Non le importava, ma ahi. Fu dura.

“Devastante.” Garret non sembrava particolarmente infastidito dal ricordo. “Decisi allora che non avrei mai permesso a nessun altro di emarginarmi. Ho fatto il punto su quello che mi piaceva e non mi piaceva di me stesso, su quello che potevo cambiare e su quello che non volevo. Il violino è una parte essenziale di ciò che sono, un fatto che ho capito già allora. Mi piace il cibo, e questo non sarebbe cambiato. La mia imbottitura extra, invece, era una fonte di dolore.”

Adara nascose un altro sorriso. A malapena. “Una fonte di dolore?”

Garret annuì, solenne. “Ho iniziato ad alzare presto il mio grosso sedere dal letto e mi sono allenato prima delle prove mattutine di violino. Ho eliminato le ciambelle, le patatine e le caramelle e ho imparato ad apprezzare le verdure, il che è stato più difficile che suonare Bach, tra l’altro. Ma non credo nella resa.”

Non le importava quanto lui fosse determinato, nell’inseguirla, lui avrebbe smesso. Lei se ne sarebbe assicurata. “È questo che ti ha fatto desiderare di essere un pirata? Per sfuggire a tutte quelle ragazze meschine navigando per i sette mari e suonando il tuo violino mentre pulisci il ponte? Non posso credere che tu abbia lasciato gli stivali e gli anelli d’argento durante la tua fuga e nessun dente d’oro? Un fallimento totale”.

Garret la fissò un momento poi gettò la testa indietro e rise, un suono che sembrò riempire il parco ed espandersi nel cielo.

Per un secondo, il respiro di lei si bloccò e, per quanto lo volesse, non riuscì a voltarsi. Lui era la gioia personificata, pura e disinteressata, assolutamente accattivante.

La risata di Garret svanì ma il suo sorriso no. Si sistemò il cappello e sospirò. “Ah, mi ricordi com’è tornare nel mondo reale!”

Adara distolse lo sguardo. “Al contrario dell’Isola che non c’è?”

“L’Isola che non c’è è la descrizione esatta dei miei ultimi tre anni. Le giornate erano tutte uguali finché non sono riuscito a ricordare l’ultima volta che avevo visto la mia famiglia. Ho composto la mia ultima canzone prima di andare in tour.” Garret abbassò lo sguardo sulle sue scarpe, i suoi occhi si strinsero mentre il suo sorriso si affievoliva. “Nella sfilza di pubblico anonimo e feste vuote con gente ancora più vuota, ho avuto un momento di chiarezza. Se non fossi sceso dalla giostra, almeno per un po’, mi sarei bruciato. Stavo realizzando il mio sogno ma non vivevo veramente.” Garret sollevò la testa e incontrò lo sguardo di Adara. “A volte, devi allontanarti dalla folla e concentrarti sul singolo. Così sono tornato a casa ed eccomi qui.”

Quella sensazione svolazzante nel suo cuore si agitò di nuovo debolmente e lei la contrastò rivolgendogli uno sguardo freddo. È questa la sessione di terapia che Gia voleva per me con il dottor Violinista? Non sta succedendo. “Qualunque cosa ti abbia detto Gia, io non sono il progetto di nessuno. Non ho bisogno di essere aggiustata.”

“Non ti aggiusterei per niente al mondo,” disse lui dolcemente, senza più umorismo. “Sono le nostre rotture che ci rendono ciò che siamo. Senza i pezzi in frantumi, la nostra luce non filtrerebbe mai al resto del mondo.”

Il battito nel petto di lei aumentò, fuori portata. Serrò i pugni, per ancorarsi alla terra cui apparteneva, dove era al sicuro.

“Il che mi ricorda,” disse lui, “a che ora è il tramonto?”

Strano cambio di argomento, ma se si allontanava dalle cose rotte e dalle storie di vita, ci stava. “Immagino alle sei meno un quarto.”

Lui annuì. “Va bene le sei meno un quarto?”

“Per un’altra corsa?” Adara guardò l’orologio, fingendo che lui non stesse parlando della loro scommessa. Si rifiutava di chiamarlo appuntamento. “Certo.”

“Ti piace fare la difficile, vero?”

“Fare la difficile mantiene il mio spazio personale libero, come piace a me.” Lei inarcò un sopracciglio vedendo il ghigno di lui. “Di solito.”

“Deve richiedere molta energia, tenere la gente lontana.”

“Tonnellate.”

“Faresti meglio a fare scorta di carboidrati, ragazza.” La urtò con la spalla, facendole fare un passo di lato. “Ne avrai bisogno”.

Adara riacquistò l’equilibrio e si concentrò sugli abeti famigliari che costeggiavano il sentiero, segno che il parcheggio era vicino. Grazie a Dio. Per ragioni che andavano oltre la sua comprensione, Garret si rifiutava di essere ignorato. Le piacevano le altre persone, ma i legami più che casuali erano rari, e solo Joey l’aveva spinta ad abbandonare la sua solitudine. Con Garret, le sembrava di approdare accidentalmente sulla terraferma dopo aver fluttuato nel vento, e qualunque cosa significasse, non poteva tornare a essere parte di qualcun altro. Faceva troppo male quando il pezzo più importante veniva a mancare.

Gli alberi si aprivano sul parcheggio vuoto. Il cielo incombeva basso, le nuvole si contorcevano in forme minacciose modellate dalla mano di un vento rastrellante e l’oscurità ombreggiava la neve, rubandone la luminosità. Era ora di tornare a casa, il più velocemente possibile, il più lontano possibile da Garret Ambrose.

“Lunedì inizieremo a lavorare insieme.” Il tono di lui era ragionevole e logico. “Dovremmo prima conoscerci meglio.”

“Ne so abbastanza di te.” Adara scivolò più velocemente nella neve. Aveva aspettato con lui più del necessario. Poteva tornare a casa da solo.

Garret le rivolse uno sguardo da cucciolo indifeso, la sua zoppia sembrava migliorare. Un uomo insopportabile.

Ma farla finita era meglio che dargli un altro motivo per tormentarla. “Bene. Cinque e quarantacinque. Cena. Solo questo.”

“Per essere chiari, stasera cinque e quarantacinque. La cena. L’inizio...” Garret usò la stessa enfasi di Adara, con l’eccezione delle ultime due parole che proferì con un tono delicato e seducente.

Adara sbuffò, il suo respiro si annebbiò nell’aria. “E tu dici che io sono difficile?”

“Ostinata,” rispose lui senza problemi, cercando qualcosa nella tasca della sua giacca. “Completamente diverso.” Tirò fuori una penna e un pezzo di carta e scarabocchiò qualcosa.

“Porti sempre della carta e una penna quando corri?” Strano.

“Certamente. Quando arriva l’ispirazione, bisogna essere preparati.” Con dita agili, Garret piegò la carta in un origami a forma di barchetta e gliela mise in mano.

“Non ho bisogno del tuo numero di telefono.”

“Non è il mio numero di telefono.” Anche se Adara lo conosceva appena, riconosceva un sorriso subdolo quando ne vedeva uno.

La giovane spiegò il biglietto. ‘GAA’ era impresso in basso in argento e piccoli numeri ordinati occupavano il centro. Quarantasette. Non aveva alcun senso. “Cos’è questo?”

“Qualcosa che devi capire.” Garret continuò a camminare verso il marciapiede, con aria compiaciuta. “Ho sentito che ti piacciono i puzzle.”

Adara strinse i denti. Odiava i puzzle, soprattutto perché non era capace a farli ed era troppo orgogliosa per ammetterlo. In qualche modo, si sarebbe vendicata con Gia per aver rivelato dettagli personali non autorizzati. Le buone intenzioni non significavano nulla.

“Non preoccuparti, Adara. Se ti blocchi, ti darò un suggerimento.” Garret si voltò per affrontarla, indietreggiando all’indietro di qualche passo, abbastanza a lungo da muovere le sopracciglia. “Anche se potrebbe costarti.”

Adara stropicciò il numero in mano e lo mise in tasca. Si mise a correre e lasciò lui e le sue risate alle spalle. Se solo lui l’avesse sfidata a una gara. Così non sarebbe dovuta uscire con lui quella sera. Sollevò il viso verso le scaglie di ghiaccio che cadevano dal cielo scuro. D’altra parte, convincerlo a puntare altrove durante la cena sarebbe stata una sfida più soddisfacente.

E quella era una sfida che non avrebbe perso.


Capitolo Sette

Dopo un’estenuante giornata di calcoli, Adara si guardò allo specchio del bagno, gli occhi iniettati di sangue per aver fissato i conti, un prezzo che avrebbe pagato di nuovo per i progressi che aveva fatto. Non era l’ideale, ma aveva un piano per salvare il suo lavoro se il bilancio fosse fallito.

Ora doveva superare la cena con Garret Ambrose -violinista ostinato, gongolante e il corridore più lento di sempre.

Sorrise davanti al suo riflesso. Aveva in mente un piano anche per quell’ostacolo. I suoi migliori jeans logori e una vecchia felpa universitaria, l’impertinenza e l’ironia. Nessun uomo sarebbe durato a lungo, non sarebbe importato quanto lui avrebbe sorriso e si sarebbe lasciato scivolare le cose addosso. Sarebbe rientrata a casa per le otto e non avrebbe più dovuto preoccuparsi di lui, se non in classe. Tre mesi e lui se ne sarebbe andato anche da lì.

Nonostante il fastidio persistente per il tentativo d’intervento, Adara si era costretta a mandare un messaggio a Gia, per scoprire quali informazioni aveva fatto trapelare. A quanto sembrava, non abbastanza da serbare rancore. La morte di Joey era di dominio pubblico, così come la sua occupazione. Gia giurava che il resto della sua discussione con Garret aveva ruotato intorno a lui che le aveva assicurato che le sue intenzioni erano onorevoli.

Puah! Era amico di Ian. Ed era abbastanza.

E quando Gia le aveva di nuovo suggerito che saltare addosso a Garret Ambrose avrebbe messo fine alla sua depressione, Adara aveva interrotto la conversazione con alcune frasi su teorie assurde, sulla gioia della solitudine e su come prepararsi al meglio per un trattamento silenzioso di durata indeterminabile. Gli amici erano sopravvalutati.

Arricciò il naso, esercitandosi nel suo sguardo disgustato. La perfezione. Aveva ancora pochi minuti per prepararsi all’Operazione Shutdown. Garret, purtroppo, aveva ricevuto un elenco del personale e, cosa molto fastidiosa, aveva trovato il suo numero e il suo indirizzo. Le aveva mandato un messaggio non molto tempo dopo il loro sfortunato incontro sui suoi sacri sentieri di corsa, incontro che Adara stava ancora cercando di dimenticare, e lei aveva accettato di farsi venire a prendere da lui. In questo modo, sarebbe stata costretta a trattare con lui e a metterlo in riga. Aveva la sensazione che quello fosse l’unico modo in cui Garret Ambrose avrebbe capito che non lei era materiale per una relazione e nemmeno per una sola notte.

Chinandosi sul lavandino, guardò il suo riflesso più da vicino, la prima volta che si studiava davvero da mesi. Non c’era da stupirsi che la gente mormorasse. Le occhiaie aggiungevano cinque anni ai suoi venticinque. La sua pelle pallida poteva rivaleggiare con quella di qualsiasi vampiro e con i suoi lisci capelli neri si sarebbe adattata perfettamente alla famiglia Addams. La sua bocca era contornata da rughe che non c’erano prima della morte di Joey.

Contrasse le labbra in un leggero sorriso, ammorbidendo quelle rughe. Joey l’aveva sempre presa in giro per la sua bocca alla Steve Tyler, l’unica cosa che salvava la sua faccia dall’essere severa. Un dolore le trafisse il cuore. Probabilmente adesso non l’avrebbe detto. Si passò per l’ultima volta un pettine tra i capelli già perfetti. Fare un’apparizione pubblica in abiti volutamente trasandati non era un problema. I suoi capelli erano una storia diversa.

Il suono della Quinta di Beethoven vibrò attraverso le pareti, impossibile da non notare. Una delle prime implementazioni di Joey dopo l’acquisto della casa era stata di personalizzare il campanello. Garret era arrivato. È l’ora dello spettacolo.

Spense la luce del bagno e camminò nel corridoio vuoto, i tacchi dei suoi stivali erano un’eco nitida e sicura nel silenzio. Quella sera, avrebbe interrotto questa strana e indesiderata connessione tra loro. Qualsiasi intenzione lui avesse, lei l’avrebbe stroncata sul nascere. Prese il cappotto dall’attaccapanni nell’atrio e lo indossò. Una rapida occhiata alle tasche confermò che chiavi e telefono erano ancora lì. Soffocando un sospiro, aprì la porta.

Garret stava in piedi sulla veranda, le mani nelle tasche dei jeans, le spalle inarcate. Il suo sorriso era quasi timido. Non era vestito come lei si aspettava, non era la presentazione di un ragazzo deciso ad affascinare un appuntamento riluttante. I jeans di lui erano più sporchi dei suoi. Aveva nascosto i suoi capelli troppo lunghi sotto un berretto nero. Indossava una maglietta scura su una camicia a maniche lunghe e, se aveva portato un cappotto, doveva averlo lasciato nella sua - lei sbatté le palpebre - bestia a motore.

Nera. Elegante. Il tipo di automobile che urla troppi soldi. Ecco perché non sente il bisogno di vestirsi bene. Garret aveva lasciato che le sue quattro ruote facessero tutto il lavoro, un errore da parte sua. I beni materiali non la impressionavano.

“Hai delle gomme da neve su quella cosa?” Adara scosse la testa, abbottonandosi il cappotto per ripararsi dal freddo. “Non sono sicura di potermi fidare delle tue capacità alla guida, sempre che tu non guidi come corri.”

“Le gomme sono a posto, burlona.” Garret si raddrizzò. “E non ho mai ricevuto una multa né fatto un incidente, nemmeno un tamponamento.”

“Facile da dire quando per tre anni sei andato in giro in limousine o bus turistici.”

“Non cambia i fatti.” Le offrì il braccio. “Pronta?”

“Nemmeno un po’.” Adara ignorò il braccio dell’uomo e scese le scale, inspirando a lungo l’aria gelida. “Facciamola finita.”

Garret sorrise guardando la schiena magra di Adara dirigersi verso la sua Maserati, due passi avanti a lui, come se fosse determinata a fargli mangiare la polvere. Non importava cosa lei dicesse o facesse, il suo atteggiamento distaccato era un espediente. Qualsiasi idiota che si fosse preso due secondi per guardarla veramente se ne sarebbe accorto. Stava aspettando di essere trovata, non lasciata indietro.

Garret avvertì sussultare il suo cuore. Il salto si riferiva a una serata da solo con Adara. La stretta era per tutto ciò che era nascosto sotto la superficie e che si aggrappava per uscire. Spingerla in quell’area non avrebbe portato da nessuna parte, il che andava bene. A volte l’ispirazione richiedeva intervalli improvvisi, scintille spezzate, lunghi minuti per collegare i punti e prendere il volo e, mentre lui intendeva essere l’innesco, lei controllava l’assorbimento e la reazione. Il giovane controllò l’orologio. Il timer scattò, avviandosi esattamente al tramonto.

Garret s’incamminò e la precedette alla portiera della macchina, fortunatamente senza scivolare sulla neve incrostata sul marciapiede. Rendersi ridicolo non era il modo in cui sperava di iniziare il suo appuntamento. E per quanto lei protestasse, scommessa o no, quello era un appuntamento. Il nostro primo appuntamento.

“Posso aprire lo sportello da sola.” Lei diede un calcio a un cumulo di neve mentre lui schiacciava il pulsante della serratura e le apriva lo sportello.

“Certo che puoi.” Garret fece il suo miglior inchino da standing ovation. “Permettimi di fingere di essere un gentiluomo.”

Tenendo la mano sul telaio dello sportello, Adara si fermò e incontrò lo sguardo di lui. “Questo non è un appuntamento.”

Il lampo di sfida negli occhi di lei riaccese il sorriso sul volto di Garret. “Stare in piedi al freddo non fa parte del tuo obbligo, Adara.”

La donna serrò le labbra, si sistemò sul sedile del passeggero e gli strappò lo sportello dalle mani, sbattendolo. L’intera macchina ondeggiò.

Garret strinse le labbra per trattenere una risata. Lei era in una forma speciale stasera, il che significava che lui la stava raggiungendo. Era solo una questione di minuti prima che lei cedesse e lo facesse entrare.

Garret scivolò sul sedile del conducente e chiuse fuori il morso dell’inverno. Adara guardò dritto davanti a sé oltre il parabrezza, tenendo le mani strette sulle cosce.

“Perché sei così tesa?” domandò lui con un tono da presa in giro. “Pensavo avessi detto che questo non era un appuntamento e Tatum mi ha fatto promettere di essere gentile con la sua insegnante preferita. Non c’è niente di cui preoccuparsi.”

“Non sono preoccupata.” Adara rilassò le dita e si accasciò sul sedile. Non era sicuro di volerlo guardare, ma inclinò il viso verso di lui. “Tatum ha detto che sono la sua insegnante preferita?”

“Tra le altre cose.” Dopo aver girato la chiave, il motore si avviò e la macchina si allontanò dal marciapiede.

“Tra le altre cose?” Lei lo guardò dritto, con la fronte corrugata. “Che cosa vorresti dire con questo?”

Garret scrollò le spalle con un gesto casuale. La serata era appena iniziata e non voleva parlare di argomenti pesanti, ma dubitava che Adara potesse tirare fuori l’argomento. Era meglio approfittare dell’apertura che perderla del tutto. “Mi ha detto che sei stata la sua insegnante anche l’anno scorso, che quando il preside ti ha spostata in terza elementare, le hai chiesto di fare da guida agli studenti.”

“A volte mi dispiace.” Le parole di Adara erano addolcite da un senso di affetto nel suo tono. “Tatum dovrebbe essere un esempio per i miei studenti più difficili, non la loro capobanda.”

“Ha anche detto che l’anno scorso eri molto più divertente.”

Adara avvertì di nuovo un nodo alla gola e concentrò lo sguardo davanti a sé.

Garret allentò la presa sul volante. Adara non aveva dato di matto all’insinuazione che fosse una persona diversa dalla morte del fratello, un segno promettente. Piccoli passi. Garret ammorbidì ciò che aveva detto incolpando Tatum. “Credo che sia stanca di mettersi nei guai.”

“Ci sono delle conseguenze quando si diventa la regina del dramma.”

“Strano. Non l’ho mai vista fare la regina del dramma.” L’uomo sorrise vedendo lo sguardo incredulo di Adara. “Almeno non più di quattro volte il giorno.”

“Non mi aspetterei che la mia studentessa modello trascurasse di tormentare la gente anche fuori dall’aula.” Adara appoggiò la testa all’indietro. “È troppo intelligente per il suo stesso bene, e, o ha una capacità naturale di manipolare le persone o gliel’ha insegnata qualcuno con una competenza straordinaria.” Adara rivolse uno sguardo tagliente verso di lui, come per accusarlo.

“Io no.” Garret si mise una mano sul cuore. “La mia influenza non è altro che buona, pura e gentile. Ha anche menzionato i Peppermint Patties che tieni nell’ultimo cassetto.”

La bocca di lei si spalancò per la sorpresa. “La piccola fetente. Tengo quel cassetto chiuso a chiave.”

“Ha il talento naturale degli Ambrose. Le serrature non ci tengono fuori a lungo, non importa il tipo.” Non si preoccupò di dirle che il catenaccio che lei teneva sul cuore non lo avrebbe tenuto fuori. Lo avrebbe scoperto abbastanza presto.

“Dove mi stai portando?” Adara guardò fuori dal finestrino nell’oscurità. I lampioni erano diminuiti fino a che solo i fari rompevano la notte. “Sarei felice di riempirmi la bocca e adempiere quest’obbligo con un corn dog del minimarket che abbiamo superato un chilometro fa”.

“Ti pentiresti di quel corn dog durante la tua corsa mattutina.” Garret annuì, felice di condividere la saggezza acquisita attraverso l’esperienza personale. “Fidati di me su questo.”

Le labbra di Adara si contrassero in un lieve sorriso.

Forse l’espressione era intesa come condiscendente o maliziosa, ma lui la prese come un incoraggiamento. Qualsiasi cosa anche solo vicina a un sorriso da parte di lei, se la sarebbe tenuta stretta al cuore. “Ho vinto la scommessa, quindi sono io che devo scegliere il luogo.”

Adara sollevò gli occhi al cielo ma la tensione tra i due non tornò.

Dopo qualche minuto arrivarono a destinazione, e Garret parcheggiò nella prima fila del lotto del centro scientifico, vicino alla porta d’ingresso.

Quando il motore tacque, Adara si chinò in avanti, quasi premendo il viso contro il vetro. “Sono abbastanza sicura che la caffetteria del centro scientifico sia chiusa per la notte. Bene. Possiamo tornare indietro per il corn dog.”

Garret fece tintinnare una chiave, aggrottando le sopracciglia. “È tutto chiuso, tranne che per noi.”

Adara sembrò veramente impressionata. “Hai rubato la chiave di proprietà dell’università? Hai imparato da Tatum?”

“Non rubato... manipolato. C’è una grande differenza.” Garret scese dalla macchina e si affrettò a raggiungere lo sportello dalla parte di lei, troppo lentamente. I muscoli delle gambe gli bruciavano ancora per il suo tentativo di jogging mattutino nell’inferno ghiacciato. Adara aveva già chiuso lo sportello e, quando lui la raggiunse, stava con un fianco appoggiato all’auto e teneva lo sguardo rivolto verso il centro scientifico. Senza l’agitazione degli studenti o della facoltà, il posto aveva l’aspetto inquietante e silenzioso di un cimitero.

“Se sei un serial killer che si nasconde dietro la maschera da musicista che scommette con le donne ai giochi di carnevale sperando di vincere per poterle trascinare di notte in centri scientifici deserti, luoghi perfetti per uccidere, sii sincero e dillo.”

“Un assassino sincero? Sembra legale.” Garret le fece cenno di seguirlo sul sentiero di cemento che conduceva sul retro, spalato per lo più senza neve.

Dopo un attimo di esitazione, Adara lo seguì.

Il pizzicore nelle sue spalle si attenuò. Non gli sarebbe piaciuto doverla trascinare con sé e confermare la teoria di lei. “E se fossi un musicista che commette semplicemente dei piccoli crimini?”

“Come le molestie?” Gli occhi di Adara scintillarono, mettendo in ombra la sua espressione seria.

“Più che altro attraversamento fuori dalle strisce pedonali, eccesso di velocità e, ogni tanto, aver fatto il bagno nudo.” Anche se aveva oltrepassato alcune linee semplicemente per portarla lì, non si era guadagnato lo status di stalker molesto. Lo stalking sfiorava il limite dell’ossessione egoistica, qualcosa che non avrebbe mai fatto. Ma se Adara avesse deciso di perseguitarlo, sarebbe stato una vittima volontaria.

“Il bagno nudo?” Lei lo guardò, abbastanza a lungo da dare l’impressione che lo stesse immaginando in acqua. Nudo.

Bene.

“Non hai vissuto veramente finché non ti sei ghiacciato i testicoli nel lago dei Quattro Cantoni in primavera.” Garret rabbrividì. “Quella era una scommessa che ho perso.”

“Oh, accidenti. Immagino che non vivrò mai quest’esperienza.” La bella bocca di Adara, la bocca cui lui non aveva smesso di pensare, si contorse. “Perché non ho i testicoli.”

“Esilarante.”

Si fermarono davanti alla solida porta di metallo che conduceva al planetario. Garret premette il codice dell’allarme, aspettò il bip e aprì la porta con la chiave che aveva scambiato per una futura esibizione al violino. C’era voluta più una negoziazione amichevole che una manipolazione con il direttore - il legame tra compagni di band della scuola media era eterno - ma Adara non aveva bisogno di saperlo. Inoltre, si sarebbe abbassato alla manipolazione, se necessario. Non gli dispiaceva infrangere qualche piccolo codice morale per una buona causa.

Garret le fece cenno di entrare e aspettò che lei oltrepassasse la soglia prima di seguirla. La porta si chiuse di scatto, inghiottendoli nel buio più totale.

“Avrei dovuto chiedere il tuo modus operandi.” La voce roca di Adara attraversò l’oscurità. “Usi un coltello, una pistola o un’ascia? Devo aspettarmi una sessione di tortura con parti del corpo tagliate ogni minuto?” Seguì uno schiocco di dita. “È per questo che mi hai dato quel biglietto con un numero sopra, vero? Ecco quante volte mi pugnalerai.”

Senza vedere, Garret seguì la voce di lei e il suo braccio percepì il calore di lei. Non si era reso conto che fosse così vicina, ma non aveva intenzione di allontanarsi. Si chinò, dove pensava potesse essere l’orecchio di Adara. I suoi capelli lisci gli solleticarono il mento. “Tatum ha ragione,” mormorò. “Hai una mente malata, Adara. Veramente morbosa. Ma se vuoi saperlo, preferisco una lima per unghie. Riduco le mie vittime, lentamente e inesorabilmente, finché non implorano la resa”.

Adara sbuffò, un rumore pericolosamente vicino a una risata. “Tatum ti ha detto che ho una mente malata?”

“Quando ti minacciano di morte con una lima per unghie, è questo che vuoi sapere?” Si arrese all’impulso di sfiorarle i capelli, una breve carezza. Forse lei avrebbe fatto finta di non accorgersene al buio o avrebbe pensato che lui l’avesse urtata. Era seta, morbida e liscia contro i suoi polpastrelli. Dei formicolii gli pulsavano lungo la spina dorsale, una scarica inebriante. Avrebbe voluto sentire anche i suoi capelli sulla bocca.

“Ci vuole una mente malata per conoscerne una.” La voce di lei si abbassò vellutata nel vuoto, accelerando l’elettricità che gli pompava nelle vene. “Comincio a pensare che sia una caratteristica della linea di sangue degli Ambrose.”

“Huh. E per tutto questo tempo ho pensato di essere un prodigio, non un genio pazzo.”

“Wow. Sei così sicuro di te?”

“Onesto. C’è una differenza.” Garret accese l’interruttore della luce.

Il planetario era stato allestito esattamente secondo le sue istruzioni. Lampade incandescenti circondavano l’intero pavimento della cupola, una luce appena sufficiente per vedere cosa ci fosse davanti. Un piccolo tavolo era stato sistemato al centro dell’auditorium, le candele al profumo di vaniglia donavano una delicata sfumatura nell’aria ma Adara non sembrò nemmeno notare quei dettagli. Il suo sguardo si sollevò immediatamente e il suo sussulto di meraviglia rese ogni secondo di preparazione utile. Se non avesse saputo cosa aspettarsi, avrebbe sussultato anche lui. Il cielo si estendeva sopra di loro, un cielo notturno limpido che mostrava innumerevoli stelle, nuvole vorticose tinte di rosa e viola, accentuate da uno sfondo di mezzanotte. Era lo spazio portato sulla Terra, solo per lei. In quel secondo, tutte le maschere di Adara caddero, lasciando solo una ragazza impressionata dalla natura, le ombre del suo dolore dimenticate.

Il petto di Garret si strinse, le meraviglie del planetario sparirono sotto la meraviglia di Adara. Ben-zonna, voleva vederla sempre così, felice, estasiata e libera. Peccato che lei non gli permettesse di usare la sua musica per metterle in faccia la stessa espressione. Un giorno. Un giorno, la meraviglia sarebbe stata solo una delle espressioni che lui le avrebbe ispirato. Lo scenario sarebbe stato pura magia con la musica, ma non voleva ancora mettere alla prova Adara in quell’area. Per lei, aveva scartato la colonna sonora di Star Wars che il regista aveva suggerito e si era accontentato del silenzio. Così com’era, non troppo male.

“Non voglio sapere cosa tu abbia escogitato per fare questo.” Adara era ancora rivolta verso le stelle, le rughe sul suo volto erano sparite. “Ne è valsa quasi la pena perdere al Lancio della carta igienica.”

Garret sorrise. “Quasi?”

“Confesso,” sussurrò lei. “Ne vale assolutamente la pena.”

Il corpo di Garret s’irrigidì in punti scomodi. Avrebbe scambiato il suo violino per sentirla parlare di lui con quella voce sexy e senza fiato. “C’è anche del cibo.” Il giovane aveva voglia di prenderle la mano, di stabilire un qualche tipo di contatto fisico. Invece, s’infilò le mani in tasca. “Meglio dei corn dog freddi e stantii.”

“Con questo scenario, non m’importa se si tratta di haggis e ostriche delle Montagne Rocciose.” La voce di Adara era ancora bassa, stupita.

“Questo è semplicemente sbagliato.” Forse avrebbe dovuto conservare le stelle per dopo, quando lei sembrava ansiosa di andare, qualcosa per convincerla a restare. Così com’era, non era sicuro di come avrebbe rivolto la sua attenzione su di lui. “Mangiamo. Puoi guardare le stelle tutta la notte, se è quello che vuoi.”

“Lo voglio.” Adara usò lo stesso tono affannato.

Garret si contorse immaginando lei che gli si rivolgeva in quel modo, con quella voce. Lo voleva anche lui e le stelle non ne facevano parte. Anche se avrebbero potuto. Più avanti, durante la loro relazione, una notte nel planetario da solo con Adara sarebbe stata astronomica: le stelle sopra la testa, lei tra le sue braccia, pelle contro pelle. Si grattò la mascella. Dato che Adara doveva ancora guardarlo di nuovo, aveva del lavoro da fare prima che ciò accadesse.

Delicatamente, le fece strada tenendole una mano sulla schiena esile. Le sue dita stese la abbracciarono per intero. Aveva bisogno di più cibo e meno corse. Le afferrò il gomito mentre lei inciampava in una delle sedie a sdraio per osservare le stelle sparse per il planetario. “Le stelle non vanno da nessuna parte, Adara. Se inciampi e ti fai male, dovrò portarti all’ospedale. Allora non ci saranno più stelle e ci sarò solo io per molto più tempo della cena.”

“Ottima osservazione. Sarebbe terribile.” Il fatto che la sua voce fosse ancora avvolgente e affannata ammorbidì qualsiasi insulto intenzionale. Lei oltrepassò il divano, interrompendo il lieve contatto con la mano di lui.

Raggiungendo il tavolo, Adara si girò improvvisamente e lo affrontò. A pochi centimetri di distanza, il profumo di lei scivolò lungo i suoi sensi, qualcosa di dolce e tropicale. Forse cocco. “Perché stai facendo questo? Non m’interessa avere una relazione e se dovessi uscire con qualcuno, non sceglierei mai un musicista.” Adara sollevò elegantemente un dito in aria, come se le fosse appena venuta in mente un’idea brillante. “Dovresti chiedere a Gia di uscire. Sareste perfetti insieme. Le piacciono i musicisti.”

“Gia non è il mio tipo.” Anche se Gia poteva essere attratta dai musicisti, Garret sospettava che le sue preferenze si fossero spostate verso i vestiti, le cravatte e le aule di tribunale, non che avesse intenzione di tirare fuori quel particolare argomento. Voleva concentrarsi su Adara, non sulla collisione di Ian e Gia che si profilava all’orizzonte. “Non devi avere paura di me e scappare dalle tue paure non le risolverà. Credimi, lo so. La maggior parte delle persone non si rende conto che avevo il terrore del palcoscenico. Le mie mani tremavano così tanto che riuscivo a malapena a tenere in mano il violino, figuriamoci a suonare, finché la mia insegnante, una novantenne ebrea che parlava a malapena l’inglese, mi diede questo consiglio.” Abbassando la voce, le si avvicinò di più. “Dai un nome alla tua paura. Possiedila e lei non ti possiederà.” Le fece l’occhiolino. “Yutzi. “

Gli occhi di Adara scintillarono e la sua bocca si contorse. “Idiota. La tua insegnante sapeva di cosa stava parlando. Tu, invece, non ne hai la minima idea. Io ho paura di te?” Sollevò il mento. “Non credo.”

“No?” Garret le scivolò più vicino, costringendola a inclinare il mento per reggere il suo sguardo. “Allora lasciami suonare il violino per te.”

“Non mi piace molto la musica.” Disse la giovane in un modo troppo disinvolto per essere creduta.

Garret inarcò un sopracciglio. “A tutti piace la musica di qualche tipo. In un modo o nell’altro riempie tutto il mondo. Gli uccelli, il vento tra gli alberi, il mare contro la riva, gli insetti, la pioggia... È ovunque, ineluttabile. Cercare di evitarlo è come cercare di impedire al tuo cuore di battere. Fa parte di te, anche quando lo neghi.”

“Hai mai sentito un gallo cantare all’una di notte?” Adara agitò le dita, sprezzante, impaziente. “Non la chiamerei musica.”

“Le galline potrebbero non essere d’accordo.” Garret si strofinò il labbro inferiore, il suo battito accelerò. La stava perdendo. Il cibo non l’avrebbe tentata e nemmeno le stelle l’avrebbero trattenuta lì se lui avesse fatto la mossa sbagliata. “E se promettessi di suonare solo canzoni che non hanno un significato personale? E se creassimo nuovi legami emotivi, tu, la musica ed io?” Schioccò le dita. “Indovina la canzone.”

Lei lo guardò come se avesse perso la testa. “Cosa?”

“Ti sto sfidando a una partita di Indovina la canzone. Se riesci a nominare le venticinque canzoni che suono con il mio violino, ti porto a casa, scommessa compiuta. Tre strike e sei fuori. Più velocemente le nomini, meno dovrai sopportarmi.”

“Hai portato il tuo violino?” La voce di Adara tremò sull’ultima parola, quel tanto affinché qualcuno che prestasse attenzione lo notasse.

Lui annuì, pronto a rincorrerla se fosse scappata.

“Hai fiducia in te stesso.” L’insieme teso delle sue spalle non si allentò.

“Speranzoso.” Garret infilò le mani nelle tasche posteriori. “C’è una grande differenza.”

Dopo un momento, gli occhi di lei s’illuminarono in segno di sfida e lui si rilassò. Che contraddizione, Adara. Se la solitudine era il suo obiettivo finale, non avrebbe rischiato accettando la scommessa di carnevale. Non l’avrebbe accompagnato mentre zoppicava lungo il sentiero di corsa. Non avrebbe risposto quando lui aveva suonato il campanello.

Sembrava che le sfide avessero eclissato la solitudine nella playlist di Adara Dumont.

“Controfferta.” Adara armeggiò con i bottoni del cappotto. “Dieci canzoni ma devono essere state rilasciate al pubblico e suonate alla radio, niente canzoni composte da te o da qualche altro artista obsoleto. Devono contenere parole... niente musica classica.”

“Artista obsoleto? Mi hai ferito.” Garret nascose il suo sorriso trionfante dietro una maschera di tranquillità. Almeno per quella sera, lei era sua. Adara non lo sapeva ancora e lui non voleva rovinare tutto dicendoglielo, ma non era possibile che lei conoscesse più canzoni di lui. “Sono famoso in Belgio - cercami su Google se hai il coraggio - e accetto le tue condizioni ma dieci sono troppo poche. Venti.”

“Undici.”

Garret incrociò le braccia. “Sono sceso di cinque e tu ne aggiungi una? Che razza di negoziatrice sei?”.

“Il tipo non disperato.”

“Determinata, non è la stessa cosa di disperata. Diciannove.”

Adara sollevò lo sguardo. “Bene. Quindici.”

Quindici, venti, il numero non aveva molta importanza. Quella era una scommessa che non poteva perdere. Garret abbassò il mento e sorrise lentamente. “Aggiudicato.”

Il sorriso di lei era ampio, bello e un po’ sornione, come se fosse stata lei a fregarlo. Garret avvertì una sensazione di calore irradiarsi nel suo petto, riempiendone ogni angolo. Anche se aveva fatto un errore con questa scommessa, non poteva pentirsene. Lei aveva sorriso e, per il momento, questo era tutto ciò che contava.





Конец ознакомительного фрагмента. Получить полную версию книги.


Текст предоставлен ООО «ЛитРес».

Прочитайте эту книгу целиком, купив полную легальную версию (https://www.litres.ru/pages/biblio_book/?art=67033236) на ЛитРес.

Безопасно оплатить книгу можно банковской картой Visa, MasterCard, Maestro, со счета мобильного телефона, с платежного терминала, в салоне МТС или Связной, через PayPal, WebMoney, Яндекс.Деньги, QIWI Кошелек, бонусными картами или другим удобным Вам способом.



Insegnante introversa contro violinista inarrestabile. Lei vuole restare da sola. Lui vuole il suo cuore. Che i giochi abbiano inizio… Dopo la morte inaspettata di suo fratello musicista, l'insegnante di terza elementare Adara soffoca il suo dolore, evita la musica e giura di continuare a vivere senza legami. La solitudine sociale funziona perfettamente… fino a quando non è costretta a condividere la sua classe con il nuovo insegnante di musica, un uomo che scuote la sua gabbia accuratamente costruita e scatena emozioni che preferisce tenere incatenate.

Sempre pronto per una sfida, il violinista Garret è un maestro di pazienza e persistenza, e non appena incontra Adara, sa cosa vuole. L'umorismo tagliente e gli occhi tormentati di lei lo ispirano in un modo che non ha mai provato prima. La sua missione è quella di abbattere il muro di lei e di riportarla in vita, non importa quanto duramente lei resista.

Как скачать книгу - "Ogni Minuto" в fb2, ePub, txt и других форматах?

  1. Нажмите на кнопку "полная версия" справа от обложки книги на версии сайта для ПК или под обложкой на мобюильной версии сайта
    Полная версия книги
  2. Купите книгу на литресе по кнопке со скриншота
    Пример кнопки для покупки книги
    Если книга "Ogni Minuto" доступна в бесплатно то будет вот такая кнопка
    Пример кнопки, если книга бесплатная
  3. Выполните вход в личный кабинет на сайте ЛитРес с вашим логином и паролем.
  4. В правом верхнем углу сайта нажмите «Мои книги» и перейдите в подраздел «Мои».
  5. Нажмите на обложку книги -"Ogni Minuto", чтобы скачать книгу для телефона или на ПК.
    Аудиокнига - «Ogni Minuto»
  6. В разделе «Скачать в виде файла» нажмите на нужный вам формат файла:

    Для чтения на телефоне подойдут следующие форматы (при клике на формат вы можете сразу скачать бесплатно фрагмент книги "Ogni Minuto" для ознакомления):

    • FB2 - Для телефонов, планшетов на Android, электронных книг (кроме Kindle) и других программ
    • EPUB - подходит для устройств на ios (iPhone, iPad, Mac) и большинства приложений для чтения

    Для чтения на компьютере подходят форматы:

    • TXT - можно открыть на любом компьютере в текстовом редакторе
    • RTF - также можно открыть на любом ПК
    • A4 PDF - открывается в программе Adobe Reader

    Другие форматы:

    • MOBI - подходит для электронных книг Kindle и Android-приложений
    • IOS.EPUB - идеально подойдет для iPhone и iPad
    • A6 PDF - оптимизирован и подойдет для смартфонов
    • FB3 - более развитый формат FB2

  7. Сохраните файл на свой компьютер или телефоне.

Книги автора

Рекомендуем

Последние отзывы
Оставьте отзыв к любой книге и его увидят десятки тысяч людей!
  • константин александрович обрезанов:
    3★
    21.08.2023
  • константин александрович обрезанов:
    3.1★
    11.08.2023
  • Добавить комментарий

    Ваш e-mail не будет опубликован. Обязательные поля помечены *