Книга - La Lista Dei Profili Psicologici

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La Lista Dei Profili Psicologici
Juan Moisés De La Serna


―Al principio non c’era nulla, tranne la luce. Almeno così mi avevano raccontato, e anche che sarebbe stato così, precisamente quello che ho visto nei miei ultimi momenti. Ma non era proprio come speravo. Mi sentivo stranamente leggero, come se tutte le preoccupazioni che mi stavano logorando in quei giorni stessero svanendo . ―Al principio non c’era nulla, tranne la luce. Almeno così mi avevano raccontato, e anche che sarebbe stato così, precisamente quello che ho visto nei miei ultimi momenti. Ma non era proprio come speravo. Mi sentivo stranamente leggero, come se tutte le preoccupazioni che mi stavano logorando in quei giorni stessero svanendo . »Neppure la fretta che mi aveva fatto correre in autostrada, ora aveva alcun interesse per me. Mi sentivo leggero, tranquillo, senza compiti nè legami. Mi pareva allora di vedere tutto con più chiarezza e prospettiva. In verità, avevo perso molto tempo della mia vita, con tanti sforzi inutili per sembrare, per ottenere, per arrivare più lontano degli altri, e ora tutto mi sembrava così banale.





Juan Moisés de la Serna

La Lista Dei Profili Psicologici




La


Lista


dei


Profili


Psicologici


Juan Moisés de la Serna


Traduzione di Rita Carli


Edizioni Tektime


2020


“La Lista dei Profili Psicologici”

Scritto da Juan Moisés de la Serna

Traduzione di Rita Carli

1ª edizione: giugno 2020

© Juan Moisés de la Serna, 2020

© Edizioni Tektime, 2020

Tutti i diritti riservati

Distribuito da Tektime

https://www.traduzionelibri.it

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Prologo


―Al principio non c’era nulla, tranne la luce. Almeno così mi avevano raccontato, e anche che sarebbe stato così, precisamente quello che ho visto nei miei ultimi momenti. Ma non era proprio come speravo. Mi sentivo stranamente leggero, come se tutte le preoccupazioni che mi stavano logorando in quei giorni stessero svanendo .

»Neppure la fretta che mi aveva fatto correre in autostrada, ora aveva alcun interesse per me. Mi sentivo leggero, tranquillo, senza compiti nè legami. Mi pareva allora di vedere tutto con più chiarezza e prospettiva. In verità, avevo perso molto tempo della mia vita, con tanti sforzi inutili per sembrare, per ottenere, per arrivare più lontano degli altri, e ora tutto mi sembrava così banale.


Dedicato ai miei genitori







CAPITOLO 1. L’INVITO


―Al principio non c’era nulla, tranne la luce. Almeno così mi avevano raccontato, e anche che sarebbe stato così, precisamente quello che ho visto nei miei ultimi momenti. Ma non era proprio come speravo. Mi sentivo stranamente leggero, come se tutte le preoccupazioni che mi stavano logorando in quei giorni stessero svanendo .

»Neppure la fretta che mi aveva fatto correre in autostrada, ora aveva alcun interesse per me. Mi sentivo leggero, tranquillo, senza compiti nè legami. Mi pareva allora di vedere tutto con più chiarezza e prospettiva. In verità, avevo perso molto tempo della mia vita, con tanti sforzi inutili per sembrare, per ottenere, per arrivare più lontano degli altri, e ora tutto mi sembrava così banale. »All’improvviso ricordai i migliori momenti della mia vita, quando vivevo con i miei genitori, quando ero ancora un bambino, e poi durante l’adolescenza, con il mio primo amore, il matrimonio e i miei figli, e in cambio non avevo avuto sentore di grandi successi personali o almeno che potevo considerare tali, come la mia laurea, il mio primo lavoro, le mie promozioni.

Non ho visto molto neppure quello che sono riuscito ad ottenere, la mia casa, lo chalet, la macchina. Ho visto solo scene tenere, piene d’amore e tenerezza, che mi confortavano e mi facevano pensare che quello che contava veramente nella vita era questo, non tanto quello che si raggiunge o si vuole ottenere,quanto l’amore dato a e ricevuto dagli altri.

–Bene!, continui a fare progressi, ogni volta hai più coscienza di quello che ti è successo, ma hai ancora molte lacune.

–Dottore, crede che parlarne mi aiuterà a ricordare?

–E’ l’unico modo che c’è di ricordare. Quando una persona subisce una situzione come la tua, nella quale si è trovato così vicino alla morte, e, inoltre, con le conseguenze che ciò ha comportato, è importante parlarne.

–Ma perchè non ricordo nulla di me? Perchè non so nulla del mio passato, nè della mia persona?

–Caro, devi concentrarti su quello che ti ricordi, anche se sono momenti posteriore all’incidente. Potrei darti qualche informazione del rapporto dei pompieri che sono intervenuti per salvarti, ma preferirei che fossi tu stesso a ricordare― indicai la donna che era seduta accanto a lui.

–E se non riuscirò mai a ricordare?― protestó mentre mi sedevo su quel morbido divano, esausto per le molte ore che avevo trascorso ascoltando le centinaia di pazienti che prima di lui vi si erano sdraiati.

– e se non ricorderò chi sono?

– Di solito questo si supera, basta avere la sufficente pazienza, e soprattutto la fiducia nella natura umana, poichè, anche se ci sembra incredibile, quasi tutto si risolve da solo, col tempo necessario.

– Lo ha già visto prima? Intendo, un caso come il mio che si sia risolto.

–Non con le stesse caratteristiche– rispose lo psichiatra mentre finiva di scrivere qualche appunto in quel quaderno che usava come registro della seduta.

– Allora come fa a essere così sicuro che potrò recuperare la memoria? – Insistette il paziente mentre si alzava, dopo aver sentito la piacevole melodia dell’orologio che segnalava la fine della seduta.

– Non disperare, tutto arriva, al momento sarebbe bene che ti concentrassi su questi sentimenti che mi descrivi, che del resto sono molto positivi, può essere che prima fossi molto positivo ― rispose con un leggero sorriso, mentre sistemava la penna che usava per scrivere su quel quaderno dietro l’orecchio sinistro.

–Bene, farò quello che mi dice, perchè in realtà è l’unica speranza di sapere chi sono,― commentò mentre si alzava e si avvicinava allo psichiatra per congedarsi.

– Bene, allora la settimana prossima continueremo a parlarne ― disse mentre gli stringeva la mano, e lo accompagnava alla porta,toccandogli leggermente la spalla.

Aprì la porta e con un gesto della mano li congedò, osservandoli uscire dal suo studio. Una volta chiusa la porta, aspettò che fossero passati alcuni secondi e sospirò profondamente.

“ Quante difficoltà hanno certe persone!!”, pensò tra sè mentre tornava dietro la scrivania dove lo aspettava una comoda sedia, riccamente ornata di broccati a fiori efiniture in mogano, che gli davano una certa aria di dignità, così come desiderava quando l’aveva acquistata in quell’asta di beneficienza.

Si presume che sia appartenuto a una famiglia d’alto rango, niente più e niente meno che visconte o qualcosa di simile…, ma a prescindere dal sapere se fosse vero o meno, quello che si poteva dire è che quando si lasciava cadere sul morbido cuscino e appoggiava i gomiti sugli appositi braccioli si sentiva importante.

“Quasi posso immaginare, chiudendo gli occhi, come sarebbe la vita in un palazzo, dove non bisogna lavorare per guadagnarsi il pane tutti i giorni, in cui l’unico compito è passeggiare nella proprietà per assicurarsi che tutto vada bene. Una vita di privilegi destinata a poche persone, figli di alto rango , che perpetuavano nei propri eredi una casata discendente dai re.”

Ero assorto nei miei pensieri quando all’improvviso suonò il telefono:

– Dottore, non ha più pazienti per oggi, i due che mancano hanno cancellato la seduta per ragioni diverse, ― disse all’altro capo della cornetta la voce della segretaria.

– Le hanno dato appuntamento per un altro giorno? ― chiesi, stupito.

– Sì, la settimana prossima verranno come al solito.

– Perfetto, allora se vuole per oggi abbiamo finito, e continueremo domani, molte grazie.

–Va bene, a domani.

Riattaccai, ancora stupito di quella casualità che mi lasciava a metà pomeriggio senza pazienti di cui occuparmi. Era normale che durante la settimana ci fossero una o due cancellazioni, quasi sempre per motivi personali o per qualche imprevisto, ma non due di seguito.

Presi il giornale e aprendolo con avidità cercai qualche dato interessante in quella masnada di notizie quelle più importanti.

–Assolutamente no, nessuno rinuncia a una seduta per andare al ballo…, neppure questo, la prima di un film a metà settimana non è niente di che… Ah, ecco!, ora capisco, la finale della Minor Leauge. Sicuramente hanno un figlio nella squadra locale o saranno molto appassionati di questo sport.

Anche se non condividevo quella passione che in alcuni casi si trasformava in fanatismo, ero consapevole che fosse un’attività nella quale ci si può liberare delle proprie inibizioni, e identificarsi in un gruppo al quale normalmente non si appartiene, staccato dalla propria casa e dal proprio lavoro.

Era confortante vedere come la gente si riuniva nei bar a fare il tifo per la propria squadra e a soffrire per qualche evento sfavorevole o qualche goal che non veniva segnato; e, allo stesso modo, emozionarsi fino a scoppiare di gioia quando l’attaccante rubava la palla, avanzava nella propria area e finalmente riusciva a segnare.

Ma se quello era salutare, e anche catartico, perchè liberava le emozioni primarie, quello che più mi interessava era l’effetto che provocava quandoo giocava la squadra nazionale; è un risorgere del sentimento nazionalista, di fraternità nonostante le differenze, di unità nelle avversità.

Qualcosa che ho potuto verificare, attonito, quando sono andato all’estero, quando ho incontrato persone che non conoscevo affatto, che invece mi trattavano come un fratello quando c’era una partita in cui giocava la squadra nazionale, indipendentemente dal paese dove mi trovavo.

Un’ esplosione di gioia ed emozioni che sembrava aver spinto i miei pazienti di quel pomeriggio ad anteporre la loro passione alla seduta.

In quel momento ho sentito chiudersi la porta d’ingresso. La mia segretaria era uscita quasi silenziosamente, proprio com’era lei. Non voleva mai interrompermi, perchè a volte stavo rivedendo dei casi,scrivendo appunti nei rapporti dei pazienti che avevo finito di vedere, o consultando qualcuno di quei grossi libri di psichiatria che si trovavano negli scaffali della libreria.

–Non si finisce mai di imparare, ― le dicevo, quando mi rimproverava che quasi non mi riposavo tra un paziente e l’altro e credo che per questo non si disturbava a dirmi che usciva, anche fosse per prendere un caffè alla macchinetta.

Guardai fuori dalla finestra che dava su un parco vicino, e vidi che aveva cominciato a piovigginare. Erano le cinque del pomeriggio, ma il sole pareva avere fretta e non ci si vedeva quasi più per strada, per quei nuvoloni neri che si erano impadroniti del cielo azzurro che c’era quando era sorto il sole.

“Aspetto che smetta un poco e poi esco”, dissi tra me mentre mi sedevo sul divano. Mi guardai attorno, tra quelle quattro pareti, dove avevo trascorso buona parte della mia giovinezza, tentando di aiutare le persone a migliorare la propria vita, ciò che essi stessi si sono permessi di fare.

Era confortante vedere come alcuni, con un po’ di aiuto, riuscivano a superare quelle piccole asperità della vita che rallentano il nostro sviluppo; invece altri… per quante sedute facciano, erano incapaci perfino di rendersi conto della propria situazione, e il danno era identico sia per se stessi che per la relazione con gli altri.

“Se le pareti potessero parlare!”, pensai tra me e me. Chiusi il rapporto della persona che avevo smesso di vedere, dopo aver fatto alcune annotazioni sui suoi progressi, e mi alzai a cercare il suo fascicolo nello schedario dove tenevo classificati tutti i pazienti che al momento vedevo, lasciando i cassetti in basso per quelli che non avevano superato o avevano abbandonato la terapia.

Stavo cercando il posto dove mettere le carte del paziente in base al nome quando suonò il campanello.

“Che strano!!, ―pensai―, la mia segretaria ha le chiavi; può essere uno dei pazienti che hanno disdetto perchè la partita è stata sospesa per la pioggia, che venga a recuperare l’ora di seduta”, pensai mentre uscivo dallo studio e, attraversata la sala d’aspetto, mi avvicinai alla porta.

Aprendola in fretta, notai che dall’altra parte c’era una donna quantomeno trasandata che aveva iniziato a zampillare acqua sopra lo zerbino dell’ingresso.

–Entri, signora, ― dissi gentilmente mentre le cedevo il passo e mi spostavo dietro la porta.

–Grazie giovanotto, e mi scusi se vengo bagnata.

–Non si preoccupi, nessuno sapeva che il tempo sarebbe cambiato in questo modo,― dissi, giustificando il fatto che non avesse portato un ombrello, visto che si era protetta dalla pioggia solo con un fazzoletto legato sulla testa.

–Dove posso metterelo? ―chiese mentre se lo levava, facendo segno di volerlo strizzare.

– Da quella parte c’è un bagnetto, lì può strizzarlo se vuole, ― le dissi mentre le indicavo e chiudevo la porta alle sue spalle.

–Grazie, non volevo disturbare.

–Nessun disturbo.

La signora entrò in bagno e lì riuscì a scolare nel lavandino la maggior parte dell’acqua che quel fazzoletto era riuscito a frenare, evitandole di bagnarsi.

–E il cappotto?― chiese, uscendo dal bagno.

–Lo metto sull’appendiabiti― dissi mentre se lo toglieva.

–E’ molto gentile ―insistette, ―comunque, sa se il dottore può ricevermi, oggi?― chiese con voce dolce.

–Certo che sì, il dottore sono io,― risposi con un leggero sorriso.

–Ah!, Poichè lei è molto giovane, sembra che sia uscito ieri dall’università,―disse contrariata.

–E’ che mi tratto bene, si sa, un po’ di sport quotidiano e una corretta alimentazione.

–Ah!, allora deve darmi la ricetta, visto che i miei anni, non mi hanno trattato quel che si dice molto bene― ribattè mentre si metteva una mano sulla spalla, suppongo che fosse perchè aveva una vecchia frattura o qualcosa del genere. ―Bene, dove possiamo parlare? ―chiese la signora con tono impaziente.

–Se vuole, nel mio studio,― risposi, stupito da quella domanda.

–Preferisco su quella poltrona― disse, indicando quella della sala d’attesa.

–Allora, se preferisce qui…

–Sí, grazie ―disse, e si diresse verso la poltrona.

La seguii e mi sedetti sulla sedia della segretaria che presi da un lato per mettermi accanto.

–Mi dica, a cosa debbo la sua visita?

–Vede dottore, da diverse notti non riesco a dormire e non so bene perché, ma sta iniziando a darmi fastidio. All’inizio semplicemente mi sentivo stanca, e va bene, questo è sopportabile, ma ora non posso uscire in strada, perchè non so dove sono e cosa devo fare, e se entro in un bar a prendere qualcosa, mi addormento sul tavolo.

–Ha consultato il suo medico per vedere se ha qualcosa?

–Sono andata da tutti gli specialisti, ma nessuno mi ha saputo dire a cosa è dovuto.

–C’è qualcosa che lo ha provocato?, mi riferisco alle prime volte che si è resa conto di questo problema, sa se è successo qualcosa che ha modificato la sua vita, e che come conseguenza ha portato a questo?

– Ecco, niente che mi ricordi,o forse sì, non so se ha qualcosa a che fare, è una scatola che ho trovato in un parco. Non mi giudichi male, ma col poco che prendo di pensione, a volte raccolgo quel che trovo per strada per vedere se è utile. So che accumulo troppe cose, ma non asa il male che ho sopportato in gioventù.

–Accumula?― chiesi, stupito per quel commento.

–Sí, lo so, è molto strano, ma non posso evitarlo. Tutto quello che trovo ha un posto in casa mia, già so dove lo metterò.

–Soffre di Sindrome di Diogene?

–Sì, mi hanno detto così, quelli dei Servizi Sociali, quando sono venuti a sgombrare l’appartamento. Si può immaginare… tutta una vita a conservare cose, da un giorno all’altro me lo hanno lasciato vuoto, senza lasciare il più piccolo oggetto.

–Ma sa che non è salutare?― le chiesi,stupito per il verso che stava prendendo quella conversazione.

–Lo so, però sono molto pulita, a volte trasandata, ma tenevo tutto in ordine, e nessuno si è mai lamentato.

Non volevo insistere troppo su questo, primo perchè sembrava essere un argomento doloroso per lei, del quale ancora si vergognava, e secondo perchè non capivo cosa avesse a che vedere con la mancanza di sonno, quindi ho cercato di approfondire questo secondo aspetto.

–Ebbene?, Quale relazione crede che possa avere la mancanza di sonno e questo oggetto che ha recuperato?

–Ah!, sí, quella― disse, sconcertata. ―Vede, credo che sia preziosa, ma non ho neppure osato aprirla, era così bello che mi dispiaceva rompere l’involucro nel quale era avvolto.

– Ma se non sa cos’è, come fa a togliere il sonno?― dissi, mettendo in evidenza l’incoerenza di ciò che diceva.

–Precisamente, non so cosa sia, immagino siano un paio di scarpe nuove.

–Scarpe?― chiesi, sconcertato.

– Sì, o un bel fazzoletto per la testa. Non sa quanto ne vorrei uno― rispose emozionata con un gran sorriso.

–E perchè non apre e non lo scopre?― chiesi, stupito.

– Forse perchè è avvolto in una bella carta decorata.

–Come quella di un regalo?― chiesi, cercando di ottenere più informazioni possibili su quell’oggetto.

–Sì, di color rosso, per il mio gusto un colore molto attraente, e si nota che c’era un fiocco, ma ora rimane solo un pezzo incollato.

–Ma quando l’ha trovata c’era qualcuno?

–No, no, l’ho guardata e sono stata per un po’ con la scatola in mano, ma non è venuto nessuno a reclamarla, e non si fermava neppure chi mi passava accanto.

–E cosa vuole che faccia?― chiesi, sconcertato per la situazione.

–Forse che mi aiuti a dormire.

–E riguardo al pacchetto? Insistetti su quel dettaglio.

–Cos’ha che non va il pacchetto?

–Cosa vuol farne?

–Ah!, non lo so, lo riporterò dov’era, che c’è di male?

– No, assolutamente, è che pensavo che, se quello può essere la causa della sua mancanza di sonno…

–Sì, mi dica…―interruppe facendo molta attenzione.

–Bene, se è così, suppongo che se va a disfarsene tutto tornerà alla normalità.

–Crede?

–Certo!―affermai a chiare lettere, anche se non mi era così chiaro.

La signora mi guardò con pena, come se quella notizia le fosse arrivata al cuore dandole un gran dolore.

–Cosa crede che debba fare?

–Non lo so, ma se vuole risorverlo, deve aprirlo.

–Il pacchetto?

–Sí, il pacchetto ― ribadii.

–Ma se è un regalo che qualcuno sta aspettando, come posso aprirlo?

–Se lo ha lei non arriverà mai al suo destinatario, certamente lo da per perso― dissi, tentando di mostrare l’assurdità di quella situazione.

–Preferisco che lo tenga lei― disse la donna dopo averci riflettuto un poco.

–Cosa?― chiesi, sorpreso per quella decisione.

–Sì, così può dirmi cos’è, e può impacchettarlo di nuovo una volta che l’ha visto, e lo riporterà dove’era ― rispose con un sorriso nervoso.

– Ma, se lo apro…

–Con molta attenzione ― mi interruppe la donna con gli occhi grandi come piattini e uno sguardo penetrante.

–Sí, infatti, se lo apro, non perderà il suo fascino?

–No, guardi all’interno e mi dica cos’è, poi lo chiuda com’era, così credo di poter dormire come prima.

Personalmente non ero molto convinto di quale fosse la soluzione, ma vidi che questa signora era disosta a fermarsi per ciò che restava del pomeriggio se non avessi accolto la sua richiesta.

In verità non avevo mai affrontato una situazionetanto sconcertante e assurda, “Poteva aprirlo lei stessa senza necessità di venire a una mia seduta!”, ma, poichè volevo chiudere la questione, le dissi:

–Mi lasci vedere queste regalo!

La signora fece uscire da una borsa per la spesa una scatola bianca con una carta rossa e sopra un nastro dello stesso colore. “Sembra proprio una scatola da scarpe”, pensai tra me e me.

Con attenzione tolsi il nastro che ancora era presente e aprii la scatola alle spalle di quella signora, come mi aveva chiesto. Quale non fu la mia sorpresa quando la aprii del tutto.

–Cos’è?― chiese a voce alta tra il preoccupato e lo stupito.

–Sono scarpe?― chiese la signora, emozionata e ansiosa.

–No, è un anello di fidanzamento e un invito a un balletto.

–Un balletto?― chiese la signora, un po’ delusa dalle mie parole.

–Così sembra e c’è anche una dedica, “Anche se non ci conosciamo, sono sicuro che le nostre strade si incroceranno”.

–Non ha detto che era un anello di fidanzamento? ―rimarcò la donna, cercando di guardare mentre si copriva gli occhi per non farlo.

–Sí, perchè?― chiesi, senza capire la domanda.

–Come fa a sapere che è un anello di fidanzamento se non conosce l’altra persona?― puntualizzò la donna.

–Non lo so!― dissi, un po’ sconcertato, senza sapere se quello era una specie di scherzo o qualcosa del genere.

Sembrava che quella scatola non fosse stata persa, ma che fosse stata messa apposta per essere trovata da qualcun altro, una sorta di ‘messaggio nella bottiglia’,del quale avevo sentito raccontare delle storie, ma l’invito al balletto era molto strano, che fosse un appuntamento al buio?, ma, qualcuno sarà disposto ad andarci senza sapere con chi?

–Che delusione!―affermò la signora preparandosi a lasciare la seduta, ―tante speranze per nulla.

–Bene, penso che ora potrà dormire meglio sapendo cosa contiene― affermai con un sorriso forzato.

–Già!, bene, ma se almeno fosse stato un paio di scarpe, anche se di un numero diverso dal mio― protestó la signora.

–Prenda la sua scatola!― dissi, con l’intenzione di restituirgliela una volta richiusa e sistemato il tutto com’era.

–Non la voglio, che perdita di tempo!, addio― concluse la signora mentre chiudeva la porta alle sue spalle.

Uscii dietro di lei, cercando di farla tornare indietro per riprendersi la scatola e rimetterla dove l’aveva trovata, ma la signora non voleva saperne, e salendo sull’ascensore chiuse le porte in ferro e premette il pulsante per il piano terra.

Quella fu l’ultima volta che vidi la strana signora, che, lunghi dal cercare aiuto per il suo problema di accumulatrice seriale, aveva perso perfino il sonno per sapere cosa conteneva una scatola, questa sì, confezionata con gusto.

“Bene!, e io che pensavo di aver finito”, dissi tra me e me mentre tornavo nel mio studio, soddisfatto di aver fatto un’opera buona per una sconosciuta, “Ora potrà dormire tranquilla”.

Guardavo dalla finestra quando suonò l’orologio da parete così ben decorato, “Guarda un po’, si è fatto tardi”, pensai mentre mettevo le mani nella giacca per verificare di avere le chiavi dello studio.

“Ora sì che ho finito, per oggi”, dissi, mentre controllavo che il mio schedario fosse in ordine prima di lasciare il mio posto di lavoro, che era come una seconda casa, anche se, a dir la verità, passavo molto più tempo lì che dove abitavo.

Quelle quattro pareti, pieni di diplomi e di libri, erano diventate così familiari che quasi non mi rendevo conto di essere lì; soltanto quando qualcosa non era al suo posto sembrava rompersi l’equilibrio della stanza finchè non la rimettevo dove doveva stare.

All’improvviso, e sul punto di spegnere le luci, con la mano sull’interruttore, vidi sopra una sedia dello studio quella attraente scatola che aveva lasciato delusa la mia ultima paziente.

“A volte è più importante l’illusione che mettiamo su una cosa di ciò che possiamo davvero sperare da essa”, pensai,tenendo in conto le circostanze di quella signora che aveva perso perfino il sonno fantasticando su cosa potesse contenere quella scatola.

“Se solo le avesse datto un’occhiata prima, avrebbe evitato di rigirarsi così tanto nel letto”, riflettei su quello che avevo pensato di questa donna, “ma capisco che a volte l’illusione è l’unica cosa che ci interessa, e perrderla è molto difficile”.

La guardai e dissi tra me “e ora?”, ero in dubbio se liberarmene o lasciarla lì per vedere se il giorno dopo la donna sarebbe tornata a prendersela. Curioso percorsi la stanza, mi avvicinai a quella scatola e tornai ad aprire quell’attraente pacchetto così ben confezionato.

Cercai di verificare se ci fosse qualche altro oggetto nella carta da regalo che avvolgeva quei tre oggetti, ma non trovai nulla. Poi controllai se uno dei due pezzi di carta, il biglietto d’ingresso e la nota, avevano scritto qualcos’altro a parte l’ovvio e notai con sorpresa che l’ora del balletto era quel giorno stesso, entro circa un’ora.

“Bene!,almeno so dove trovare il proprietario di questa scatola!, ssarà meglio che gliela riporti, anche se non mi è chiara la ragione per cui abbandonare la scatola al suo destino. Quindi vado al ballo”, pensai deciso mentre raccoglievo la scatola, la chiudevo nel miglior modo possibile e uscivo dallo studio spegnendo le luci.

“Io al ballo?, Sono anni che non vado a un evento artistico come questo… molti anni”, pensai, cercando di ricordare l’ultima volta. Forse mi ero troppo concentrato sui miei pazienti, che trattavo come se si trattasse di un appuntantamento romantico, e quando venivano in ritardo senza avvisare, mi innervosivo.

Da tempo non andavo neppure in vacanza, poichè, in più di un’occasione, quando tornavo da un viaggio di piacere trovavo qualche paziente che era peggiorato, semplicemente perchè non aveva fatto la sua seduta settimanale con me.

Per questo, e per la mia ferma convinzione che la salute sia la prima cosa, abbandonai a poco a poco i viaggi che tanto mi piacevano. Non tanto a prendere il sole spaparanzato in qualche spiaggia dalla sabbia bianca, perchè sono chiaro di pelle e sotto i raggi del sole mi scotto subito, quanto per fare visite culturali in posti nuovi, addentrandomi nei loro musei.

Qualcosa che agli altri poteva sembrare noioso, per me era un fattore di arricchimento, vedere come pensavano e si comportavano ad altre latitudini, con riti e modi di esprimersi così caratteristici e particolari. Ma tutto questo è stato lasciato alle spalle e ciò che ne resta è a malapena qualche album di fotografie e nient’altro.

–Taxi!― gridai, non appena uscito dall’edificio dopo aver salutato il portriere, col quale avevo intrecciato un buon rapporto, anche se non avevo voluto intromettermi nei suoi affari personali, sebbene in qualche occasione avesse cercato di parlarmene.

A volte mi costava mantenere le distanze con gli altri, soprattutto quando sapevano della mia professione e volevano consultarmi per qualche problema proprio o di qualche familiare.

La verità è che non li biasimo, ma a volte diventava imbarazzante rifiutarmi di assisterli in mezzo a un corridoio o per strada, senza rendersi conto che esiste tutto un protocollo prestabilito, in modo che la persona fruisca della seduta col proprio tempo, il propio spazio e la propria tranquillità.

A nessuno verrebbe in mente di chiedere a un chirurgo di operarlo in mezzo alla strada, perchè è la stessa cosa che mi viene chiesto, di ‘operare l’anima’ in qualunque luogo.

–Taxi!― gridai ancora, mentre alzavo la mano.

–Dove vuole andare?― chiese il conducente quando salii sulla sua macchina.

–Al ballo, a vedere l’opera ―dissi mentre gli mostravo il biglietto che avevo tirato fuori dalla scatola, che avevo portato con me.

–Una bella serata?― chiese il tassista con un sorriso beffardo.

–Cosa?― chiesi, stupito per il suo gesto.

–Stanotte va a rimorchiare, questo è certo― rispose, mentre mi faceva l’occhiolino.

–Si riferisce alla scatola?― chiesi, notando che non la perdeva d’occhio ―ecco, non è mia, e la devo dare a qualcuno, ma non so a chi.

–Certo!, certo!― disse il tassista mentre si frugava nella camicia ―guardi, questa è mia moglie, siamo sposati già da dieci anni ed è stato in un posto come il suo. Ecco, è stato in un teatro, anche se a me non piacciono queste cose, ma a lei piace sistemarsi e andare nei posti eleganti.

»Ho risparmiato per tre mesi per avere una serata indimenticabile, e alla fine è stata un successo. Le avevo detto soltanto di vestirsi elegante e di tenersi la serata libera dal lavoro. E lì le ho fatto la grande domanda, e siamo rimasti assieme da allora― raccontava il tassista mentre guardava con affetto la foto quasi sbiadita di sua moglie.

– Ecco, farò delle domande, ma non questa― cercai di puntualizzare, anche se senza successo.

–Siamo arrivati― dissse il tassista con un grande sorriso. ―Buona fortuna!

–Sí, grazie― ho deciso di rispondere, per non dargli altri dettagli su quello strano pomeriggio in cui era venuta da me una donna con questa scatola che mi aveva portato a un’opera di balletto che non conoscevo.

Non ero un grande appassionato di quest’arte, ma in certe occasioni soprattutto quando andavo ai congressi, venivano organizzati eventi culturali, degni di partecipazione per il grande sforzo che gli organizzatori avevano fatto.

Mi trovai di fronte alla porta di un teatro, qualcosa che richiamò la mia attenzione, perchè non è il posto normale per un balletto. Al momento di entrare presentai il biglietto e il portiere mi disse:

–Buona serata!, la aspettavamo con una certa preoccupazione.

–Aspettavate me?― chiesi, stupito per quel saluto così strano.

–Per favore, aspetti che avvisi gli altri.

E detto questo aprì una porta interna e si mise a urlare:

–E’ già qui!, tutti pronti.

–A chi si riferisce il tutti?― chiesi, senza sapere bene perchè ci fosse tutto quel trambusto.

–Prego!, Prego!― disse una signorina aprendo una porta laterale che ostacolava il passaggio accanto alla finestrina di accesso.

–Grazie, ma non capisco a cosa devo tante attenzioni― dissi tra il sorpreso e il sopraffatto.

–Mi segua!― disse quella donna mentre ci addentravamo in uno stretto passaggio che sbucò in una saletta.

–Venga qui, per favore― disse un’altra persona da una poltrona.

–Da che parte devo scendere?― chiesi, vedendo che mi trovavo nel mezzo di un piccolo palcoscenico, mentre quella donna se ne andava.

–Alla sua destra ci sono tre scalini, non sono molto alti― rispose la persona che si alzava dalla poltrona.

Una volta trovata la strada, dissi alla persona che mi aveva accolto a braccia aperte,

–Qual è il mio posto?

–Uno qualsiasi!― affermò con un grande sorriso.

–Come dice?― chiesi, sorpreso.

– Sì, il posto che vuole, ora devo andare― disse mentre saliva sul palcoscenico da dove io ero sceso, e spariva dallo stesso posto da dove era sparita la donna che mi aveva portato fin lì.

–Signore e signori!, buona sera, prima di tutto vi ringrazio per la vostra presenza, spero che quest’opera sia di vostro interesse. E senza ulteriori indugi iniziamo― disse il bigliettaio che ora indossava una giacca verde e una calzamaglia dello stesso colore.

Mi guardai attorno per vedere se c’erano altri spettatori in quella sala, ma non vidi nessuno. Questo mi sorpese perchè non capivo cosa stava succedendo. Ero sicuro di essere arrivato nel modo giusto, l’indirizzo e anche il bigliettaio, tutto era in ordine, tranne quello che era successo da quando ero entrato.

Sul palcoscenico si presentavano contemporaneamente e in successione quelle tre persone che ballavano e cambiavano continuamente vestiti e intonazione.

All’inizio mi ci volle un po’ a capire di quale spettacolo si trattasse, ma capii in fretta di trovarmi all’opera più rappresentata della storia. Un’opera descritta come la più drammatica e al tempo stesso complessa, piena di amore, odio, vendetta e desiderio. Ma che è nota per la celebre frase “Essere o non essere? Questo è il dilemma”.

Amleto, una delle tragedie più conosciute di William Shakespeare ma adattata a un piccolo villaggio creato sul palcoscenico, invece di riflettere la nobiltà della Danimarca e dei suoi personaggi originali.

La trama non era molto lontana dai drammi attuali, anche se i ballerini mantenevano gli abiti medievali e usavano anche il linguaggio duro e poco diretto dell’opera originale.

Inoltre, siccome erano pochi gli attori-ballerini, rappresentavano vari personaggi, distinguendo un perionaggio e l’altro con i vestiti che usavano. Così, perchè fosse evidente il cambiamento, i due attori maschi facevano ruoli femminili, oltre che maschili.

In appena mezz’ora era finito, ed io ero perprlesso. Non che ricordassi tutta la trama, ma sapevo che aveva tre o quattro atti, ognuno abbastanza lungo, ma quello fu come un ‘Amleto espresso’.

Quando i tre ballerini rimasero in piedi in mezzo al palco con le braccia alzate dopo aver fatto un inchino piegandosi fino alle ginocchia, e si misero a guardarmi, non potei fare altro che applaudire.

–Come le è sembrato?― chiese l’attore-ballerino che aveva fatto il bigliettaio.

–Bello― dissi, cercando di riprendermi dalla sorpresa.

–Davvero le è piacuto?― chiese l’attrice, nervosa.

–Bene, in sostanza è corretto, ma mi è mancata la cosa più importante― dissi, poichè non volevo scoraggiarli.

–La più importante?― chiese il terzo.

–Sì, tutta l’introspezione dei personaggi, in particolare del principe Amleto. Mi è mancato un po’ di monologo.

–Lo sapevo!― disse il primo attore.

–Tranquillo!― disse il terzo.

–Come crede che potremmo migliorarlo?― chiese la donna.

–Non lo so, non è che sono un intenditore, nient’affatto.

–Questo è quello che desideriamo, da qui l’invito ―spiegò la donna.

–Non capisco!― dissi, confuso per quell’affermazione.

–Abbiamo abbandonato un invito al parco in modo che chiunque volesse potesse assistere in forma anonima alla nostra ‘prima’ per conoscere di prima mano l’impressione che fa la nostra opera sullo spettatore ―affermò il primo attore.

–Beh, forse non sono la persona imparziale che cercavate, sfaccio lo psichiatra e tendo ad analizzare alla luce della mia professione tutto quello che vedo e sento, è deformazione professionale!― dichiarai con una certa rassegnazione.

–Allora! Le è piaciuto?― insistette la donna che indossava una calzamaglia e un tutù neri.

–Sí, credo che sia interessante l’impostazione che gli avete dato, ma è diventato troppo breve, e mancano alcune scene importanti dell’opera.

–Di questo si tratta― affermò in tono ribelle il terzo attore. ―Se vuole vedere un’opera classica ha sbagliato sala, amiamo rischiare, siamo innovatori, e non vogliamo ripetere le stesse cose degli altri.

– A prescindere da questo, direi che un po’ più d’introspezione sarebbe un’ottima cosa perchè il pubblico rifletta sulla natura umana, così come voleva Shakespeare ― ho risposto.

–Riflessioni?, non è questo che cerchiamo, vogliamo emozionare, fare colpo, lasciare senza fiato…vogliamo che quando esce ricordi quello che ha vissuto come un’ esperienza unica. Niente riflessioni!― insistette il terzo attore in tono infastidito.

–Bene, dico solo quello che penso, credo che questo è un classico, e dobbiate rispettare l’opera originale.

–La ringraziamo per il suo tempo― disse la donna mentre scendeva i tre gradini del palcoscenico.

–A proposito, questo è vostro?― dissi, mostrando la scatola che mi aveva portato a quell’esperienza imprevista.

–Sí, è nostra― affermò la donna. ―Anche se speravamo che venisse accompagnato.

–Accompagnato?― chiesi, sorpreso.

–Sì, ma immagino che non abbia avuto nessuno con cui venire― affermò il terzo ballerino in tono molto sarcastico scendendo dal palco.

–La verità è che, se avessi saputo dove sarei capitato, potevo portare anche qualcun altro, ma fate come se non avessi detto niente.

–Come niente?― chiese il primo attore, quello che aveva fatto il bigliettaio ―C’era il luogo, l’ora e anche una descrizione dell’opera.

–Sí, certo, ma non mi immaginavo un luogo come questo, sul giornale avevo visto che annunciavano una compagnia di balletto che debuttava oggi, e pensavo che foste voi.

–Magari!― disse la donna. ―Noi non siamo neppure una compagnia, siamo solo degli amici che tentano di offrire un po’ d’arte al popolo, ma è vero, ci piace che sia di qualità, e che provochi emozioni nello spettatore.

–Ha sentito bene?, emozione!, non dialogo― affermò il terzo ballerino, mentre si sedeva accanto a me.

–Bene, allora congratulazioni, e continuate così― dissi cercando di finirla con quella situazione così strana,perchè era la prima volta che assistevo a una di quelle opere alternative o come si chiamavano.

Non andavo spesso a teatro, ma quando ci andavo mi accertavo sempre che fossero opere di compagnie internazionali.

–Un momento!― disse la giovane tirandomi per la manica della giacca. ―E questo cos’è?

–Cosa?― chiesi, meravigliato.

–Questo anello e il biglietto?, che significa tutto questo?― disse stupita mentre lo toglievo dalla scatola.

–Non ne ho idea, era nella scatola― risposi, senza conoscere il motivo del suo stupore.

–Noi abbiamo lasciato la scatola nel parco perchè la persona che volesse potesse venire e così potessimo conoscere la sua opinione, ma quello non ce l’abbiamo messo noi― affermò il primo attore.

–Eppure le assicuro che quando ho ricevuto la scatola era gà lì dentro― insistetti.

–Tenga!― disse la ragazza, porgendomi entrambi gli oggetti.

–E cosa vuole che ne faccia?― chiesi, contrariato per aver scoperto che non erano loro.

–Non so, ma non sono nostri, molte grazie per la sua visita, e per la sua opinione sul nostro spettacolo― disse la donna mmentre mi indicava il palcoscenico con la mano.

–La accompagno all’uscita― disse il terzo ballerino, mentre mi precedeva.

Mi accompagnò all’uscita attraversando il piccolo passaggio e dopo aver varcato la porta d’uscita, l’unica cosa che quell’uomo mi disse fu:

–Più dialogo?, che ne sa lei del balletto?

Detto questo chiuse la porta e rimasi per qualche secondo a guardarla prima di girarmi e guardarmi attorno.

Quasi tutta la strada era buia, tranne alcuni negozi di bevande o di scommesse, quelli che non chiudevano neppure alla notte.

Guardai da entrambi i lati e non vidi neppure una macchina. Consultai l’orologio e vidi che era passata più di un’ora da quando ero uscito dallo studio.

“E a quest’ora dove lo trovo un taxi?”, pensai mentre cominciavo a camminare lungo la strada, nell’attesa che ne passasse uno.

Poichè iniziavo ad avere freddo, mi strinsi nella giacca e misi le mani nelle tasche quando mi accorsi che avevo ancora l’anello nella giacca. Lo tirai fuori e vidi con difficoltà che aveva un’incisione, che prima non avevo notato, ma con quella poca luce non riuscivo a vedere bene.

Lo rimisi in tasca e toccai il biglietto, e mi accorsi che aveva un rilievo su una delle facce. Lo tirai fuori, lo osservai, ma non vidi nulla.

“Forse lo vedrò meglio alla luce”, pensai, mentre lo alzavo in direzione di una lampada che a svariati metri d’altezza faceva quello che poteva per illuminare la strada.

–Niente, così non si può ―dissi, dopo aver cercato di osservare il biglietto da diverse angolazioni.

Ero ancora lì quando la strada iniziò a illuminarsi e vidi che arrivava una macchina, quindi intascai rapidamente quel pezzo di carta e mi preparai a fermarla.

–Taxi!,taxi!…― urlai, facendo cenni con le mani per farmi vedere.

–Taxi, signore?― mi disse il conducente fermandosi accanto a me.

–Sí, grazie― risposi sollevato, mentre mi sedevo sul sedile posteriore.

–Dove la porto?

–All’ Hotel Plaza.

–Ha avuto fortuna che sia passato di qui!, non è una zona molto raccomandabile.

–Sí, sto iniziando a rendermene conto― dissi mentre l’auto procedeva e vedevo che era un quartiere un po’ trascurato.

–E’ qui in vacanza?― chiese il tassista.

–Cosa?― chiesi, mentre osservavo il quartiere che stavamo attraversando.

–E’ la sua prima volta in città?― insistette.

–Abito qui.

–Dove?, in hotel?― chiese il tassista con derisione.

–Sí, esatto― affermai categoricamente.

–Mi scusi, ma non capisco― disse l’uomo, sorpreso.

–Abito lì da anni, in questo modo posso concentrarmi sul lavoro senza distrarmi per cose necessarie come i lavori di casa.

–Che lavoro può essere così totalizzante?― chiese curioso il tassista.

–Faccio lo psichiatra,― risposi, mentre mi abbassavo il colletto della giacca.

–Psi…cosa?, lo strzzacervelli?― chiese mentre si faceva una bella risata.

–Colui che si prende cura della salute mentale degli abitanti di questa città― puntualizzai senza avermene a male per quel commento scherzoso, che non era certo il più offensivo che avevo dovuto sopportare.

–Bene, comunque sia, le da abbastanza per vivere in un hotel? Guadagnerà molto― disse mentre faceva un gesto con indice e medio, per indicare il denaro.

–Non tanto, ma poichè non ho molte spese, me lo posso permettere.

–Ah!, sí, certo― disse il tassista con un sorriso burlone.

–Se si rende conto di ciò che spende per affitto o mutuo, più le bollette di luce, acqua, assicurazione e cibo, probabilmente sceglierà una soluzione come la mia― dissi, tentando di illustrargliene i vantaggi.

–Se dicessi ai miei parenti che vado a vivere in hotel, la prima cosa che mi chiederebbero è se ho vinto al lotto ― ribattè scherzosamente il tassista.

–E la seconda? ―chiesi, continuando la battuta.

–Cosa farei con mia madre?― rispose ridendo.

–Ha una famiglia numerosa?―chiesi, curioso.

–Numerosa?, contando mia moglie, la suocera, gli zii e i cugini, quando ci riuniamo tutti insieme siamo in dieci, e un altro in arrivo. E lei non ha moglie? ―chiese in tono scherzoso.

–No, ecco, l’avevo, ma ora non c’è.

–Ah!, mi spiace― disse, cambiando tono.

–Allora non si dispiaccia, se è stata con un altro mentre io ero a un congresso.

–Dice sul serio?

E ci mettemmo a ridere per quella situazione così assurda. Poi ci zittimmo, un silenzio molesto quasi quanto quello che sentii quando tornai a casa e trovai un biglieto di mia moglie che diceva: “Spero che tu ragginga sempre ciò che desideri, io voglio provarci e per questo me ne vado”.

Un biglietto che tenevo sempre nel portafoglio, ma che non avevo mai fatto vedere a nessuno, non so se per vergogna o per paura di condividere i miei sentimenti. Era chiaro che lei non era felice con me e che voleva “esplorare nuove possibilità”.

Non appena arrivai a casa, e dopo essermi reso conto della situazione, feci le valigie e andai all’Hotel Plaza, dove sono rimasto.

Non mi è neppure venuto in mente di prendere una casa senza di lei. Tanto silenzio, tanta solitudine, nella casa che avevamo comprato con tante illusioni. Dovevamo avere dei figli, vederli crescere, e quella sarebbe stata la nostra dimora per il resto della nostra vita, e in due anni di matrimonio tutto è finito in questo modo. Nè una chiamata di scuse, nè una spiegazione, solamente un biglietto.

E’ certo che gli ultimi mesi erano stati frenetici da parte mia, concentrati sul nuovo progetto di essere cofondatore di un’associazione internazionale di psichiatri, nella quase volevamo offrire una nuova prospettiva a persone estranee alla nostra specializzazione, creare una rivista trimestrale, cercare finanziamenti per progetti di ricerca, occuparmi delle mie sedute…forse ho trascurrato ciò che amavo di più, ma non ho visto alcun segnale.

Quando tornavo a casa lei era sempre felice e contenta, mi raccontava del suo lavoro di professoressa, delle difficoltà che incontrava,e che c’era qualche bambino che la faceva impazzire.

Ricordo anche che avevamo parlato delle prossime vacanze, facendo progetti di trascorrere una settimana in una qualche isola tropicale, piene di palme da cocco e spiagge bianche, dove il cielo si confonde col mare, per poter stare da soli condividendo quel pezzetto di paradiso sulla Terra. E all’improvviso, da un giorno all’altro, solo un biglietto.

–Eccoci qui!― disse il tassista mentre si fermava di fronte all’ingresso principale dell’hotel.

–Grazie!― dissi, pagandogli la corsa e scendendo dall’auto.

–Buona notte!― disse il facchino dell’hotel.

–Buona notte!― risposi mentre mi tiravo su il collo della giacca ed entravo con una certa fretta perchè aveva iniziato a far freddo.

Dopo aver salito le scale ed aver superato la porta girevole mi diressi alla reception.

–Buona sera, stanza 311, c’è posta per me? ― chiesi, mentre aspettavo che mi dessero la chiave della stanza.

–No, dottore, ma c’è il giornale di oggi, come aveva chiesto.

–Molte grazie, buona serata― dissi, mentre prendevo i giornali internazionali che mi piaceva leggere prima di ritirarmi.

–Quale piano?― chiese il ragazzo dell’ascensore.

–Il terzo― risposi sapendo che lui già conosceva la risposta, perchè tutte le sere mi faceva la stessa domanda.

–Una buona giornata?― chiese ancora.

–Beh!, è stato un pomeriggio particolare.

–Lo dice per il tempo?

–Sí, anche per quello― risposi, con un sorriso forzato.

–Siamo arrivati!, le auguro una buona notte.

–Ci proverò, molte grazie― dissi, uscendo dall’ascensore e dirigendomi verso la mia stanza.

In fondo al corridoio, c’era una piccola suite, che disponeva di uno studiolo e un a stanza da letto. Non era molto grande, ma era il meglio che ero riuscito a concordare con il direttore dell’hotel, perchè non era normale avere clienti che alloggiavano per anni nella stessa stanza.

Non appena aprii la porta della suite mi accorsi che c’era qualcosa che non andava. Un forte odore di tabacco inondava la stanza, che di certo non era mio perchè non fumavo, e neppure invitavo amici nella stanza, così non ho potuto fare a meno di lasciarmi scappare un:

–Chi c’è?

Provai ad accendere le luci, ma non successe nulla, nonostante abbia premuto ripetutamente l’interruttore.

–Non si preoccupi dottore, va tutto bene― disse una voce dal mio divano.

Avevo trascorso talmente tanto tempo in quella stanza che ero capace di riconoscere ogni spazio e sapevo che da dove mi parlavano c’era solo un divano sotto una lampada dove di solito mi sedevo a leggere i quotidiani prima di coricarmi.

–Chi è lei?― chiesi, facendo un passo indietro e spostandomi verso l’uscita per aprire la porta e illuminare la stanza.

Ero sul punto di farlo, con la mano sulla maniglia, quando all’improvviso notai che qualcuno me la teneva chiusa impedendomi di abbasare la maniglia.

–Stia tranquillo!, glielo ripeto, se avessi voluto farle del male non saremmo qui a parlare.

All’improvviso si accese la luce dietro di me,l’uomo che mi stava parlando aveva acceso la lampada e per questo vidi che un altro, che aveva un cartellino di riconoscimento e i guanti, mi aveva preso una mano tra le sue.

Mi liberai e mi girai per protestare contro la violazione della mia intimità,perchè, anche se non era così, consideravo quella stanza come casa mia.

–Stia tranquillo!, le ho già detto che non vogliamo farle del male― disse l’uomo seduto sotto la lampada mentre si accendeva un sigaro.

–Qui non si può fumare!― protestai.

–In verità mi sorprende, che un uomo come lei, col suo talento, sia finito in un posto come questo― disse l’uomo del sigaro mentre buttava fuori una boccata di fumo.

–Non mi piacciono le lusinghe, non so cosa volete, ma avete sbagliato persona― insistetti, cercando di sganciarmi da una situazione così scomoda.

–Sicuro che a quest’ora si sarà fatto un’opinione su di me.

–Un’opinione?― chiesi, sorpreso.

–Non si fa, dottore. La conosciamo bene, o preferisce che le citi tutti i ibri che a scritto riguardo ai profili psicologici― rispose, in tono ribelle.

Parole che mi riportarono ai tempi dell’università quando ero ancora uno studente, e trascorrevo molte ore in biblioteca.

In un’occasione, studiando le materie Basi Psicologiche e Biologia della Personalità ho scoperto con meraviglia come si potesse indagare in una persona fino all’inverosimile.

Le forme di essere, provare sentimenti e pensare si scoprivano di fronte a un buon analista che era capace di scoprire i segreti di qualsiasi persona come se fossero trasparenti come cristalli.

Qualcosa che all’inizio avevo iniziato a leggere per hobby, perchè non rientrava nelle materie obbligatorie, ma che a poco a poco divenne parte della mia specializzazione, affrontandolo in diverse materie, approfondendo quelli che attualmente si chiamano Profili e che sono così utili per i giudizi attraverso le perizie, e anche nell’ambito della selezione delle risorse umane, al momento di scegliere il miglior candidato.

–Benjamín Franklin, Carl Gustav Jung, Albert Einstein… ha osato anche con Stephen Hawking, è audace o visionario?― chiese l’uomo del sigaro.

Mentre mi allontanavo dalla porta lasciai la giacca sull’appendiabiti e cercandolo su una mensola presi un voluminoso libro sui profili e dissi:

–Se vuole imparare, posso prestarle uno dei miei libri.

–Non sono venuto per prendere tempo nè per assistere a una sua lezione, voglio solo sapere se è qualificato per questo.

–Perchè?― chiesi, tentando di saperne di più di quella situazione.

–Mi spiace, ci siamo sbagliati― disse l’uomo, mentre si alzava.

–Intende dire che vuol vedere se sono in grado di dirle che, nonostante il suo suoi modi presuntuosi, lei non è altro che il figlio di un commerciante che gli ha insegnato il mondo della parola e dell’inganno, impiegando una certa teatralità mentre gestisce la paura e lo smarrimento, facendo capire di essere lei a dominare la situazione, quando in realtà non sa come reagirò.

»La sua cosidetta guardia del corpo non è altro che il suo autista, che ha tenuto la mia mano sulla maniglia con entrambe le sue e non con una sola, come si addice a qualcuno abituato a esercitare violenza.

»Lei, per esempio, indossa un abito troppo elegante per scarpe consumate, e il sigaro che fuma è d’importazione, il che mi dice che non le interessa la qualità, bensì l’utilità delle cose.

–Che altro?― disse l’uomo del sigaro sedendosi di nuovo sul divano dal quale si era appena alzato.

–E’ chiaro che avete bisogno di me per qualcosa per cui voi stessi non siete qualificati, probabilmente per analizzare qualcuno o dire se è veramente chi dice di essere. E il fatto che siate venuti qui significa che siete disperati o che non volete che si sappia,perchè è molto tempo che non me ne occupo, e per questo nessuno potrebbe sospettare di me.

–Molto bene!― disse l’uomo mentre osservava attentamente il sigaro. ―Ho un piccolo problema e ho bisogno del suo aiuto.

–Non credo che sia piccolo, violazione di domicilio, minacce… quando uscirà di qui, ne avrà più di quanti immagina.

–Non è ancora stato assunto!―disse l’uomo che continuava a stare seduto fumando il sigaro.

–Assunto?― chiesi, sorpreso.

–Per questo siamo qui― disse l’uomo che stava ostruendo la porta dellla stanza.

–Che altro sa?― insistette l’uomo che fumava.

–Vediamo!, da quello che vedo, lei deve essere una persona importante, ma non un politico o un imprenditore,perchè il suo amico alla porta la rispetta tanto che non è intervenuto finora, e lo ha fatto in tono rispettoso,e non come una puntualizzazione sulle sue parole. Ha quasi una venerazione, come la si ha per una guida o un maestro.

–Maestro?― chiese l’uomo che fumava il sigaro salendo sul sedile.

–Beh, ora si chiamerebbe così, ma sarebbe meglio dire Maestre― dissi in tono scherzoso.

–Cosa l’ha portata a questa conclusione?― chiese mentre si alzava e lasciava il sigaro sopra il tavolinetto dove c’era la lampada.

–Attenzione al tavolino!― dissi mentre stavo per avvicinarmi al mobile, quando mi sentii trattenere da dietro,notando che i due uomini mi tenevano per le spalle.

–Risponda alla domanda― disse da dietro di me l’uomo che mi stava trattenendo.

–Va bene!―dissi in tono di protesta mentre mi dibattevo per liberarmi.

–Lo ha tradito il segno sul suo anulare, che ora è nudo, ma presenta tracce di aver portato abitualmente un anello di grandi dimensioni, tipo quello di un vescovo o simili.

»Ma lei non indossa abiti larghi, altrimenti non si sentirebbe a suo agio nel vestito di buon tessuto che indossa. E neppure ha traccia di indossare un cappello cattolico o la kipa ebraica, o qualcosa di simile, quindi l’opzione religiosa l’ho scartata.

»Inoltre, ha sulla giacca una piccola ma inequivocabile croce ottogonale di Malta, con le sue otto punte rosse, nota anche come la croce di San Giovanni; per chi non la conosce può essere anche solo un ornamento, e anche confonderlo con il simbolo di una squadra di calcio, o di un ordine religioso come quello di Santiago, ma è senza dubbio la croce di Malta.

–E’ stato a Malta?― chiese l’uomo, mentre guardava quella particolare spilla.

–Sí, tempo fa, ma mi piace conoscere i posti che visito, soprattutto la loro storia, e quella di questo luogo è singolare.

–Singolare?― chiese mentre si avvicinava e prendeva il sigaro per continuare a fumare.

–Alcuni cavalieri, appartenenti alla nobiltà europea, esiliati dal proprio paese e reclusi su in’isola, alla mercè dei loro nemici.

–Non è andata così la storia!― rettificò in modo molesto il fumatore.

–Lo so, ma il suo linguaggio del corpo mi aiuta a definire il suo profilo. Per quello che vedo lei non è un cittadino di quest’isola, bensì un discendente intellettuale di quei maestri, e potrei perfino dire che potrebbe essere un discendente biologico.

–Questo ha importanza?― chiese mentre esalava lentamente una boccata di fumo.

–Ah!, lei è discendente diretto dei Maestri del luogo ―affermai categoricamente.

–La sua abilità mi sorprende― disse l’uomo, alzandosi dal mio divano. ―In verità è meglio di quello che pensavo, lei è stato assunto!

–Assunto?, e ora?― chiesi agitato mentre vedevo venire verso di me l’uomo col sigaro.

–Ho tre nomi e tre destinazioni in questo raccoglitore, voglio una relazione su ciascuno di essi, e mi piacerebbe averlo entro la fine del mese, buona notte!

Detto questo, mi allungò un raccoglitore che non pesava molto, e senza dire altro è uscito dalla stanza dietro l’uomo che lo aveva protetto. Lasciandomi in quella stanza, illuminata dalla luce proveniente dal corridoio.

Ero ancora perplesso per quello che mi era appena capitato, quando mi girai per chiedergli il motivo di quell’incarico, ma erano già spariti nel corridoio, prendendo lo stesso ascensore che avevo usato io pochi minuti prima.

In realtà, della storia di Malta sapevo molto di più di quello che avevo espresso,ma volevo vedere la sua reazione davanti a una mezza verità per sapere se anche quella persona la conosceva o no.

Una storia straordinaria che è iniziata migliaia di anni fa, ma ebbe il suo culmine con la decisione politica di Carlo I di Spagna e V di Germania che dopo aver saputo della sconfitta subita dall’Ordine di San Giovanni sull’isola greca di Rodi per mano degli ottomani, permise loro di stabilirsi su una piccola isola, la più a sud del Mediterraneo, ma che era un punto strategico, poichè era la porta di accesso tra l’Europa e l’Africa.

In cambio della cessione tutti gli anni, come forma di riconoscimento dell’atto, i cavalieri dell’Ordine di Malta devono consegnare come omaggio il Falcone Maltese.

Terra di pescatori che si vide trasformata in un porto senza eguali, ora trasformato in centro di commerci e religioso. Dove arrivavano tutte le grandi ricchezze d’Europa a contribuire alla costruzione di quello che sarebbe stato il maggior baluardo della sua epoca.

Un’isola destinata a distinguersi per l’arte e i progressi nella medicina, nella quale si recavano per studiare e istruirsi gli aspiranti cavalieri. Tutto ciò finanziato e sostenuto dalle case regnanti europee, che videro fiorire quella piccola isola.

Ma non era solo un contributo di beneficienza e disinteressato quello che davano le monarchie europee, poichè da quando l’Ordine si stabilì sull’isola dovette difenderla da ogni tipo di pirati e predoni che tentavano di impadronirsi dei bottini provenienti dall’Africa.

I leali cavalieri mantenevano le acque libere dagli empi, e proteggevano i coraggiosi mercanti che le attraversavano.

Luogo desiderato e temuto allo stesso tempo. Baluardo di una stirpe di cavalieri, si dice che siano discendenti dei crociati che andarono in Terra Santa.

Su questo argomento la realtà si confonde con la fantasia. La tradizione vuole risaltare la maestosità di quei cavalieri, suggerendo che erano guardiani di grandi tesori che accumulavano con sospetto, e che inoltre, possedevano reliquie portate dalla Terra Santa; tra queste, la più preziosa, il Santo Graal.

Ma beh, questo può essere vero oppure no, perchè così tanti luoghi si sono autoproclamati possessori temporanei di questa prestigiosa reliquia, che è impossibile conoscere la verità.

Se avessi avuto più tempo per scambiare informazioni con questo Maestre, di certo avrei potuto chiarire questa e altre situazioni, che ancora oggi circondano di mistero le mitologiche figure di uomini così valorosi e ingegnosi da essere stati in grado di tener testa alle orde di Solimano il Magnifico.

Un personaggio del quale ho fatto una delle mie analisi dei profili psicologici, come ad altri grandi della storia come Napoleone, o lo stesso Alessandro Magno ma, a causa del fatto che sono vissuti in un tempo molto lontano, non ho potuto raccogliere altro che aneddoti, che fossero dei loro sudditi che raccontavano la bontà della loro figura, o dei suoi avversari, che raccontavano quanto fossero crudeli e spietati.

Qualcosa che mi ha spinto a scegliere personaggi più recenti, dei quali esisteva documentazione e anche qualcosa scritto da essi stessi. In questo modo, mi era più facile avvicinarmi alla vera personalità, e scoprire quali erano le loro ambizioni e desideri, ma anche cosa temevano ed evitavano.

Chiusi la porta della stanza e mi diressi in camera da letto, dove mi sdraiai, pensieroso, sul letto. “Ma che situazione strana!”, dissi tra me e me, se già il pomeriggio era stato strano, quello era la ciliegina sulla torta.

Aprii il raccoglitore e sparsi il contenuto sul letto, erano tre mucchietti di fogli con una clip che teneva insieme ciascuno di essi; presi il primo e con mia grande sorpresa era il curriculum di un giovane di vent’anni, con le informazioni su dove aveva studiato, che pratica professionale aveva e i posti di lavoro a cui aspirava.

Nel secondo foglio dello stesso gruppo, ho trovato il suo certificato di nascita, con il giorno, l’ora, il luogo di nascita, i dati della madre e il nome dell’ospedale.

Nel terzo foglio, c’era una mappa della città di New York, e, spillato a essa, un biglietto aereo.

Lo esaminai con attenzione e mi resi conto, con mia grande sorpresa, che era un biglietto aereo a mio nome per il lunedì successivo, “Come?”, mi chiesi stupito,“e se non avessi superato la prova?”.

“Tutto qui?”― esclamai, rendendomi conto che non avevo molte informazioni su questa persona, nè su ciò che dovevo fare al riguardo.

La cosa più importante al momento di redigere un profilo è proprio avere più informazioni possibili, soprattutto se sono di prima mano, da parte di qualche familiare o amico stretto o dalla persona da analizzare, e con quelle informazioni potevo al massimo fare una descrizione molto generica.

Guardai gli altri due mucchi e avevano le stesse scarse informazioni, ma rispettivamente c’era dentro un biglietto per Parigi e uno per Vienna.

“Bene, almeno le destinazioni non sono male”― dissi tra me e me dopo essermi accorto che ciascuno dei biglietti avevano date divise di una settimana uno dall’altro.

Vale a dire, dovevo andare, incontrarmi con le persone, analizzarle e tornare a casa. Il tutto nel tempo record di una settimana, perchè il lunedì seguente dovevo fare lo stesso in un’altra destinazione.

Non ricordo di aver viaggiato con tanta fretta, neppure quando dovevo andare a qualche congresso scientifico ai quali andavo per conoscere le uiltime ricerche della mia materia; mi piaceva trascorrere qualche giorno nella città di destinazione per conoscere i suoi costumi e tradizioni, ma così era troppo.

“Meno male che Parigi e Vienna non sono molto lontane, non immagino quello che sarebbe potuto accadere se fosse stata Sydney, nel viaggio avrei perso almeno due giorni, uno all’andata e uno al ritorno, ma perchè avranno tanta fretta?”― mi chiedevo mentre raccoglievo i fogli e li rimettevo nel raccoglitore che mi avevano portato, sistemandolo su un tavolino che avevo in camera, quando all’imrovviso:

–Apra la porta!― si sentì dire con voce decisa.

–Apra o buttiamo giù la porta― disse un’altra voce in tono minaccioso.

–Chi siete?― chiesi, mentre mi avvicinavo alla porta della camera da letto.

–Apra, ho detto!― rispose in tono autoritario.

–Andatevene o chiamo la polizia!― risposi, stanco di tante sorprese in un solo giorno.

Non avevo ancora finito di parlare che sentii un gran rumore, e una luce accecante illuminò la camera da letto e misi la mano sulla porta per isolarmi così dal resto della suite, ma non ne ebbi il tempo.

Sentii un forte fischio nelle orecchie. Non ci vedevo più, gli occhi mi lacrimavano, e facevo fatica a respirare; era una sensazione così sgradevole che quasi non riuscivo a pensare a quello che stava succedendo.

–Si sieda!, si sieda!― disse qualcuno mentre mi evitava di barcollare per la stanza.

–Mi sente?― chiese una voce molto alta, ma la sentii appena perchè avevo la testa come se stesse per esplodere.

–Aspetti che le passi, metta la testa tra le ginocchia e si rilassi― disse qualcuno che sentii a malapena.

Non so quanto tempo sia passato, ma non ricordo di aver vissuto una situazione così sgradevole negli ultimi anni. Era come si mi facesse male tutto,ma allo stesso tempo mi sentivo stretto e volevo liberarmi. Avevo caldo e freddo nello stesso tempo,e nonostante aprissi gli occhi di tanto in tanto, vedevo solo ombre.

–Sta bene?― riuscii a sentire dopo un momento.

–Chi?― riuscci a chiedere, senza poter vedere nulla.

–E’ solo una granata stordente, non è niente di che!― rispose una seconda voce in tono sarcastico.

–Una granata, siete pazzi?― dissi in tono sarcastico tentando di alzarmi, quando mi resi conto che qualcosa mi teneva insieme le mani.

–Si calmi e non cerchi di alzarsi, è in arresto ed è legato mani e piedi con fascette di plastica a mo’ di manette.

–Ammanettato? Che ho fatto?― chiesi cercando di sfregarmi gli occhi, per capire se riuscivo a vedere qualcosa.

–Che cosa non ha fatto, vorrà dire― chiese quello che usava il sarcasmo come modo di parlare.

–Lei è d’accordo con le accuse di intralcio alla giustizia e coinvolgimento in un’organizzazione sospettata di riciclaggio di denaro?― disse la voce autoritaria.

–Appartenenza a cosa…?, io lavoro e basta― risposi, senza sapere a cosa si riferissero.

–E questo?, Stava organizzando le sue prossime vacanze?― chiese in tono sarcastico.

–Quale?― chiesi, cercando di pulirmi gli occhi per vederci, ma avevo ancora la vista appannata.

–New York, Parigi, Vienna… che cosa ci va a fare?, In vacanza?― tornò a chiedere con sarcasmo.

–Mi hanno dato un incarico― risposi, senza capire cosa ci fosse di male in questo.

–Molto bene, continui a collaborare e avrà una pena ridotta― affermò quello che parlava in tono autoritario.

–Pena? Quale pena?― chiesi senza sapere neppure con chi stavo parlando.

–Non crederà che arriveremo a un accordo per scagionarla?, per questo c’è bisogno di molto più della sua testimonianza, dovremmo arrivare alla testa dell’organizzazione.

–Quale organizzazione?,quale testa?― chiesi confuso, perchè non riuscivo a capire a cosa era dovuta tutta quella situazione.

–Non lo sa, la testa, il massimo dirigente, quello che chiamano Maestre― disse il sarcastico.

“Maestre?”― mi chiesi tra me e me, cercando di rispolvere i problemi nel poco tempo che ero riuscito a recuperare. ―“Stanno cercando quelli con cui ho appena finito di parlare”.

–Non conosco nessun Mestre― affermai categoricamente per vedere la loro reazione.

–Sí, certo, allora ci siamo sbagliati. Abbiamo passato mesi sulle sue tracce, e anche quando ci ha portati in città, non sa quello che fa?, si è incontrato con lei e ha preso il primo volo di ritorno. Non le sembra sospetto? ―rispose con sarcasmo.

–Forse la verità e forse no, può essere che avessero fretta― risposi con lo stesso tono sarcastico.

–Allora, conferma che lo conosce?― disse la voce autoritaria.

–Non ho detto questo― risposi, confuso per la sua affermazione.

–Ha appena detto che non conosce nessun Maestre e ora dice che aveva fretta, è chiaro che lo sta coprendo, perchè?― chiese la voce autoritaria.

Mi portai una mano sulla testa, e dissi rapidamente:

–Voglio un avvocato, non dirò altro senza un avvocato, conosco i miei diritti.

–Non siamo poliziotti, e neppure del fisco, siamo della Sicurezza Nazionale, e lei ha un grosso problema. Questa gente che difende è sospettata di molti delitti, traffico d’influenza, riciclaggio di denaro, tratta di esseri umani… e la lista continua, in realtà fanno quello che vogliono, quando vogliono e dove vogliono― affermò l’uomo con la giacca che aveva un’arma in mano e che parlava in tono autoritario.

Alla fine riuscii a vederci bene mentre mi si schiarivano le idee. Nella stanza c’erano sei persone oltre me. I due con la giacca che erano quelli che parlavano e altri quattro che avevano giubbotti antiproiettile e caschi, e i mitra, quelli di piccoli dimensioni,come la portano le forze di intervento rapido in caso di sequestro o simili.

Ma in quell’occasione io ero la vittima e loro i sequestratori, almeno così sembrava per la proporzione di sei a uno, e perchè tutti erano armati tranne io.

–Di quale corpo avete detto di essere?― chiesi, ricordando che non mi avevano mai letto i miei diritti.

–Non glielo abbiamo detto― affermò quello che doveva essere il capo, che parlava con voce autoritaria.

–Non so cosa volete, ma sono sicuro che avete sbagliato persona― insistetti sulla mia innocenza.

–E questi biglietti?― chiese il secondo con la giacca che agitava nervosamente la propria arma come se volesse sparare in alto, mentre mi mostrava i biglietti del treno e la documentazione che avevo ricevuto pochi minuti prima.

– E’ un incarico, ve l’ho già detto.

–Deve portare qualcosa?

–No.

–Deve andare a prendere qualcosa?

–No.

–Allora per cosa va?― chiese quello con la giacca, nervoso, sventolandomi i biglietti in faccia.

–A fare un profilo di queste persone.

–Un profilo?, ci prende in giro? Crede che qualcuno ricercato a livello internazionale si disturberebbe per un profilo?, ci ha presi per stupidi?― chiese duramente, abbandonando il suo tono ironico.

–Non so nulla di lui, nè cosa fa o non fa, vi dico solo che mi ha dato questo incarico.

–E quanto le ha offerto?

–Offerto?

–Sí, per il lavoro, quanto?

–A dire il vero non abbiamo parlato di denaro.

–Come? Stia a sentire!, non posso sentire altre sciocchezze, mi faccia prendere informazioni a modo mio― disse l’uomo con la giacca, nervoso, all’altro che doveva essere il capo ―dammi una mezz’ora con la porta chiusa e canterà come un usignolo.

–E’ la verità― dissi, mentre tentavo di alzarmi.

–Non si alzi!, le ho detto― affermò l’uomo autoritario mentre mi puntava la pistola in mezzo agli occhi.

–Va bene!, va bene!, rimango dove sono, ma vi assicuro che è tutto quello che so.

–Perchè vuole questi profili?, Chi sono queste persone?, bersagli?, contatti?,…

–Non so nulla, vi ho detto tutto quello che so― insistetti, guardando l’arma che teneva a pochi centimetri dalla mia fronte.

–Sarà meglio che sia così. Faremo così, vogliamo che continui con il piano e intervisti queste persone, e che porti a termine il lavoro, e quando porterà i profili interverremo noi― disse l’uomo autoritario mentre con un gesto faceva uscire gli altri dalla stanza.

–Quando e dove sarà la consegna?― chiese quello nervoso, mentre gli uomini armati di mitragliette uscivano dalla stanza camminando all’indietro.

–La consegna?, che consegna?― chiesi, vedendo che l’autoritario non aveva ancora abbassato l’arma.

–I profili!, quando e dove deve consegnarli?― chiese l’autoritario, avvicinando ancora di più l’arma.

–Non lo so, non l’hanno detto― risposi, cercando di essere il più convincente possibile.

–Vuole dirci che è venuto qualcuno a darle un incarico, e non sa se la pagherà, nè quando e dove deve consegnare il frutto dell’incarico?― chiese, sarcastico, il secondo uomo con la giacca.

–Sì!― cercai di dire con voce strozzata.

–Non è credibile, ci sta facendo perdere tempo, ma crede che siamo scemi?― chiese di nuovo l’uomo nervoso mentre camminava da un lato all’altro della stanza.

–Vi ho detto tutto quello che so, cos’altro volete da me?

–La verità!, per cominciare― disse l’uomo che mi teneva la pistola puntata con voce autoritaria.

–Ve l’ho già detta. E’ venuto, mi ha dato l’incarico,mi ha dato la busta, e poi se n’è andato. Dentro ho trovato le schede di tre persone e i biglietti.

–Molto astuto, lei è un corriere― affermò quello che aveva la voce autoritaria mentre abbassava l’arma.

–Un cosa?― chiesi, confuso.

–Un corriere, qualcuno che va in qualche posto senza conoscere la sua destinazione, così se la prendono non può dire nulla― spiegò in tono euforico l’uomo nervoso.

–E’ una buona cosa?― chiesi, senza sapere se era l’uscita da quella situazione.

–Non creda che per questo è libero, è colpevole come gli altri, solo che è meno informato― affermò l’uomo autoritario.

–Allora?― chiesi, vedendo che la situazione si stava tranquillizzando.

–Allora lei finisce il suo lavoro, ma noi saremo lì, non la perderemo mai di vista. Il problema è che è fuori dalla nostra giurisdizione, e non ho alcuna autorità in qiesti paesi, quindi le assegneremo un compagno.

–Un compagno?― chiesi senza sapere di cosa si trattasse.

–Sarà il suo cane guardiano e ci darà buon conto della sua performance. Se si comporta bene e collabora, potrebbero ridurre la pena.

–Ancora con la pena!― protestai contro quella minaccia.

–Non crederà mica che verrà liberato?― chiese l’uomo nervoso mentre guardava l’arma.

–Domattina avrà visite, e da lì deve fare quello che dico, intesi?

–Sí, certo, ho capito― risposi, mentre vidi che il nervoso raccoglieva i biglietti che aveva ritirato.

–Nel caso ci voglia fregare ci portiamo via i fogli con i biglietti, la sua carta di identità e il passaporto, certo, dov’è?

–Sul comodino― risposi mentre allungavo le mani unite con le fascette di plastica a mo’ di manette.

Dopo avermi sequestrato il passaporto e aver tagliato le fascette, mi dissero:

–E’ come un’operazione sotto copertura, non deve fare sciocchezze, nè far sospettare la nostra presenza, collabori e tutto andrà bene.

Detto questo, uscirono dalla stanza da letto, camminando all’indietro proprio come avevo visto fare a quelli che avevano i mitra.

Dopo aver respirato profondamente diverse volte, uscii dalla stanza da letto e vidi che sulla porta c’era una receptionist con la testa dentro la stanza, ma senza entrare.

–Va tutto bene?― chiese, vedendomi uscire dal dormitorio.

–Sí, credo di sì.

–Che è successo?― chiese ancora.

–Un equivoco― risposi, cercando di defilarmi.

–Mi hanno obbligata ad aprirgli― disse in tono di scuse.

–Va bene così!, non si preoccupi― dissi, mentre osservavo il disordine che avevano fatto entrando con la forza.

Uscii dalla stanza e mi diressi alla sedia dove ero solito stare a leggere i giornali e come se fosse una notte qualsiasi, mi lasciai cadere sopra di essa. Guardandomi attorno, dissi tra me e me “in che guaio mi sono cacciato?”.

E abbassando la testa, mi sono accorto che sopra il comodino c’erano ancora i resti del sigaro del mio primo visitatore.




CAPITOLO 2. LEI


La giornata era iniziata come una qualunque. Ricordavo a malapena i dettagli del giorno precedente, anche se quando misi mano al portafogli vidi che mancavano i documenti e ricordai quello che era successo la notte precedente.

A dir la verità, non riuscivo a ricordare i dettagli su quegli agenti che erano entrati con le armi, ma ricordavo che l’unica cosa che avevano fatto era minacciarmi e dirmi che mi avrebbero messo in prigione. Nessuno dei loro discorsi aveva senso, e i loro modi non mi sembravano molto professionali.

In qualunque paese civile che si rispetti, si ha bisogno di un mandato per entrare in una casa, e perchè avevano così tante armi?

Chiusi il portafoglio e finii di vestirmi quando sono uscito nel piccolo corridoio della mia stanza, dove per terra c’era ancora qualche oggetto , rotto da quegli agenti, dei quali non ricordavo bene a quale organo di governo avevano detto di appartenere.

Presi una valigetta che usavo per trasportare i libri, e guardai l’orologio, “se mi sbrigo riesco ancora a prendere il treno delle 7:00”.

Detto questo, uscii in fretta dalla mia stanza d’albergo, quando all’improvviso vidi, appoggiata a una delle pareti vicine all’ascensore, una donna vestita con una gonna plissettata rossa.

–Buongiorno― le dissi, pensando che fosse un’altra cliente dell’hotel.

–Buongiorno?, è così che tratta i suoi clienti? ― rispose con tono di disprezzo.

–Cliente?, deve esserci un errore. Non ho mai portato nessuno qui. Se ha un appuntamento faccia come gli altri, vada alle mie sedute, infatti, sto andando proprio lì.

–Un appuntamento?, non mi serve un appuntamento― rispose con quel tono di sfida.

–Beh, sarà per un’altra volta, ho dei clienti che mi stanno aspettando. Buongiorno― risposi, dirigendomi verso l’ascensore.

–Dove crede di andare?― chiese la donna, mettendosi accanto a me, con l’ascensore alle spalle.





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―Al principio non c’era nulla, tranne la luce. Almeno così mi avevano raccontato, e anche che sarebbe stato così, precisamente quello che ho visto nei miei ultimi momenti. Ma non era proprio come speravo. Mi sentivo stranamente leggero, come se tutte le preoccupazioni che mi stavano logorando in quei giorni stessero svanendo . ―Al principio non c’era nulla, tranne la luce. Almeno così mi avevano raccontato, e anche che sarebbe stato così, precisamente quello che ho visto nei miei ultimi momenti. Ma non era proprio come speravo. Mi sentivo stranamente leggero, come se tutte le preoccupazioni che mi stavano logorando in quei giorni stessero svanendo . »Neppure la fretta che mi aveva fatto correre in autostrada, ora aveva alcun interesse per me. Mi sentivo leggero, tranquillo, senza compiti nè legami. Mi pareva allora di vedere tutto con più chiarezza e prospettiva. In verità, avevo perso molto tempo della mia vita, con tanti sforzi inutili per sembrare, per ottenere, per arrivare più lontano degli altri, e ora tutto mi sembrava così banale.

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