Книга - Tutte Le Lettere D’Amore Sono Ridicole

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Tutte Le Lettere D'Amore Sono Ridicole
Diego Maenza


Eloisa, una donna anziana che in gioventù fu vittima di un brutale abuso sessuale da parte di tre uomini, ricorda nell'ultimo giorno della sua vita questa cruda storia che la segnò.

La racconta a una delle infermiere della clinica nel quale si trova agonizzante, mentre sfoglia un quaderno che contiene tutte le lettere che scambiò in giovane età con Abelardo, l'unico amore della sua vita.

Maenza riflette sugli aspetti psicologici, etici e filosofici dell'amore occidentale e compone un discorso mieloso e intelligente in cui il tempo, i riti degli amanti e la presenza erotica vengono affrontati in modo sottile. Include una visione singolare della scrittura e una particolare e simbolica Teoria degli affetti, che usa nell'analisi della metafisica dei colori, lo zodiaco, le percezioni sensoriali, l'immaginario delle bestie alchimiste, gli elementi classici e gli arcani dei Tarocchi. In un epoca in cui le relazioni si susseguono a causa della vertiginosa modernità e in cui pullulano gli amori liquidi (secondo Bauman), ”Tutte le lettere d'amore sono ridicole” rivendica il rituale laico della corrispondenza amorosa, sempre più in decadenza, evadendo da quella lentezza che Kundera attribuisce ai romanzi sentimentali.

”Tutte le lettere d'amore sono ridicole” è costruito come una narrazione paradossale dei testi romantici ma è, allo stesso tempo, una dissertazione moderna sull'amore, unita a una storia d'affetto e a un tragico finale che fa riflettere su temi considerati dei tabù come l'abuso, la reificazione della donna e la violenza contemporanea.







Tutte le lettere

d'amore sono ridicole



Diego Maenza

Traduzione a cura di Silvia Casuscelli










www.traduzionelibri.it

www.diegomaenza.com


© Diego Maenza, 2020

© Tektime, 2020

© Silvia Casuscelli, traduzione, 2020

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www.diegomaenza.com


Tutte le lettere

d'amore sono ridicole



Diego Maenza

Traduzione a cura di Silvia Casuscelli


CONTENUTI

PREFAZIONE (#ulink_0fe9c7c7-2070-51d7-a62c-bc2e1d90f1d8)

CAPITOLO UNO (#ulink_b038648e-e4f3-5040-b193-56fe4e84996e)

CAPITOLO DUE (#ulink_d06c4cca-9321-5204-bb5d-3dd10289fd85)

CAPITOLO TRE (#ulink_75bc55c0-c7fc-5876-8f56-cbde2b8ae776)

CAPITOLO QUATTRO (#ulink_132f909b-bf60-5184-8312-3e0dd94eb384)

CAPITOLO CINQUE (#ulink_43bc9c63-fb0d-5df3-8e15-58c524221691)

CAPITOLO SEI (#ulink_95506e40-32a7-5395-ae62-589ae697ee03)

CAPITOLO SETTE (#ulink_2953cdd6-8196-56e0-ad7c-f56eb4e23247)

CAPITOLO OTTO (#ulink_e8d86801-ebfe-5315-ba59-1e469247ca30)

CAPITOLO NOVE (#ulink_e556330c-03fa-56ba-8f60-2750620f9a58)

CAPITOLO DIECI (#ulink_0fb45ec6-6424-50f1-9463-3dc072eb355c)

CAPITOLO UNDICI (#ulink_57480f8b-c403-59f0-a183-b59d785d909f)

CAPITOLO DODICI (#ulink_c689e777-62fe-5548-8cbd-6a4f17c768a9)

CAPITOLO TREDICI (#ulink_98e54f2a-a869-5651-bfd2-7c5c4122bddd)

CAPITOLO QUATTORDICI (#ulink_bb98671b-e7e3-5071-9df6-2b37f7a60dc6)

CAPITOLO QUINDICI (#ulink_95effee5-8ef5-5382-a0c1-b94cd4cc3580)

CAPITOLO SEDICI (#ulink_ece2c236-37c5-551f-adeb-c2d68948da44)

CAPITOLO DICIASSETTE (#ulink_a32df63f-ee13-5e94-b511-41a52fa49003)

CAPITOLO DICIOTTO (#ulink_1b583bee-84f6-5eab-a04c-d50c45e1ef56)

CAPITOLO DICIANNOVE (#ulink_149bff06-4222-5be7-82ee-58e493079698)

CAPITOLO VENTI (#ulink_d0342f68-f653-521e-9fab-338292190265)

CAPITOLO VENTUNO (#ulink_b3a93c6c-98c9-5e4f-be51-375efe63080b)

ESALTAZIONE (#ulink_51517b77-5641-5d2e-bbf3-9983d4482a65)

EPILOGO (#ulink_be9ff504-4a80-5612-9103-d47930a834bb)




PREFAZIONE


Abelardo ha lo sguardo rivolto verso il cielo. Sorride, soddisfatto, come non faceva da giorni, da settimane. Le nuvole prendono un colore grigio scuro, come se fossero premonitorie. Le sue gambe, nervose ed eccitate, lo conducono attraverso il sentiero, ma la sua mente vaga immaginandosi l'imminente incontro con Eloisa, l'amore della sua vita. Infilato sotto il suo il braccio destro ha un manoscritto, che stringe a sé come se volesse anticipatamente proteggerlo dalla burrasca che si avvicina. Sente la brezza accarezzare il suo volto, spettinargli i suoi voluminosi capelli, accarezzargli le guance. Abelardo guarda a terra. Osserva la spazzatura che vibra mossa dal vento. I suoi piedi continuano a camminare, tranquilli, come il suo istinto sognatore e i suoi occhi agitati che si perdono di nuovo tra le nuvole. Per questo non si accorge del veicolo che attraversa rapido la strada; per questo non percepisce, se non nell'ultimo ed inutile istante, il suono del clacson disperato dell'imprudente conducente. Il metallo della macchina colpisce il corpo di Abelardo. La sua pelle si increspa, la sua carne si lacera, le sue ossa si rompono, la sua anatomia piena di colpi viene scaraventata a vari metri nella stessa direzione in cui soffiava la brezza. Gli schizzi del suo sangue si confondono, mischiano, integrano, con la carrozzeria vermiglia dell'automobile. La testa del ragazzo sbatte contro il suolo e il colpo ne favorisce i traumi. La pioggia inizia a scendere, molto delicatamente. Il viandante più tranquillo, la cui natura inquisitoria propria dell'essere umano si sarebbe focalizzata sulla verifica dei dettagli circostanziali per riporgli la sua attenzione riguardo l'incidente (magari con l'intenzione di trarre dalla tragica situazione un profitto materiale), sarebbe stata l'unica persona a notare le tre parole che intitolano il manoscritto, caduto vicino a un tombino. Quelle tre parole che iniziano già a diluirsi su tutta la pagina, a causa dell'inconsistente pioggerellina, e che costituiscono il titolo dell'opera che desiderava pubblicare il ferito e giovane Abelardo: Teoria degli Affetti.




CAPITOLO UNO


Parlare di lei (l'ho sempre detto e lo mantengo) è parlare della creatura meno comune. Cosa potrei mai dire di lei che non risuonasse come qualcosa di usuale o una frase facile, come un tema banale? Il problema non è la carenza di aneddoti sui quali discorrere, la difficoltà deriva proprio dall’opposto perché, infatti, ci sono troppi prodigi che potrei raccontare sulla sua vita, ma non ne parlo perché non è di mio gradimento farlo all’inizio di questa storia. E devo affrontare il racconto con calma. Entrare nei dettagli della sua vita sarà un processo interessante, ma potrebbe essere un errore da parte mia sbagliare anche solo per un momento. Forse un altro interlocutore più loquace sarebbe la persona adeguata a captare con esattezza ed obiettività la sua essenza; nonostante questo, il mio scopo è molto più pretenzioso: ho bisogno, durante questo processo, di far capire quello che lei ha significato per me. Dove trovare la più cristallina fonte di verità, se non in lei? Alle sue labbra è vietata la menzogna, e questo le dà la facoltà di fare con me qualunque cosa desideri. La sua lotta per essere donna ha forgiato l'animale più utopico che conduce un'idolatria disperata verso la vita. Le piace amare... Le piace amarmi. Entrare nei dettagli del suo essere, sarebbe come profanarla. I credenti hanno forse cercato di descrivere i loro dei? Devo, però, assumerne il rischio, anche a costo di non salirne indenne. Il suo carattere crudo e signorile, gli altezzosi seni che disegnano curve nell'aria, la melodica voce ipnotica e dolce, lo sguardo malandrino che mi accarezza in maniera indelebile, la sua intelligenza pratica e il suo spirito generoso, il movimento delle sue anche sbattendo contro il vento nella sua peculiare maniera di camminare, il suo senso dell'umorismo, il suo abile sorriso che disegna il suo furbo profilo. Lei è tutto questo, e molto di più. Il prototipo della donna perfetta. Una favola diventata realtà. Il suo nome è Eloisa.



Il mio nome era Eloisa e non sono più giovane, Non dopo tutto quello che accadde. Anche con il passare degli anni e nonostante le mie cellule ancora giovani, mi ritrovai prematuramente divorata da una vecchiaia spirituale che ho conservato fino ad oggi e che non ha mai abbandonato le mie vene. Il corpo, a volte, è il riflesso dell'anima ma, in altre occasioni, la sua tortura. Perché venimmo al mondo in un tempo e in uno spazio in cui la bellezza è sinonimo di sfortuna, anche se ci si impegna per dire l'opposto.

Ero magra e bella, gracile e fragile come la gazzella che mostra la sua esilità senza rendersi conto delle iene affamate e lupi famelici che la aspettano nascosti nell'ombra.

Oggi, raccontandoti questo, giovane amica, posso addirittura sapere che cosa pensò ognuno di loro in quel momento. Il primo, il robusto, aveva notato le mie fini ed abbronzate gambe, che si mostravano appetitose per la sua voracità da rapace. Il secondo, il più forte, aveva riposto l'attenzione sui miei seni nascenti, piccoli bottoni che sporgevano dalla mia camicetta e che incitarono l'uomo a morderli durante tutto il lavoro. E al terzo, il giovincello, risvegliarono l'appetito i miei glutei vistosi, rotondi e sodi grazie all'aerobica e alla danza contemporanea. Erano tutti dei maiali.


LETTERA UNO



Ti disegno, come se delineassi sotto il leggero strato di pioggia un viso immaginario e perfetto, in cui le deliziose fossette rimangono sospese sopra le guance. Ti faccio sorridere, facendo sì che si assopiscano i tuoi dolori e le tue obbligazioni quotidiane che muovono il tuo viso come burattinai del tuo destino. Ti faccio vivere il desiderio impiantato nella tua parte più profonda.

Cominciare una lettera d'amore è difficile, come dare inizio ad una storia che non contiene nessun elemento difettoso e che potrebbe essere manifesto della piena soddisfazione dello scrittore di fronte alla sua opera. Appagamento che, a mio intendere, non sarà mai soddisfatto, allo stesso modo che non lo sarà in queste righe.

Trascrivere i sentimenti a volte è una difficoltà quasi senza soluzione. Assomiglia al compito dello scultore che deve far nascere dal duro marmo la sottile narice del modello ed i suoi rotondi testicoli. Eroico è lo sforzo del pittore che, mescolando le sue vernici, riesce a riprodurre sulla tele la perfezione di una mascella perfetta, dei seni piccoli ma ben definiti e che contrastano con lo splendore di una vulva nascosta dai peli. Non meno ardua e complessa, per non dire impossibile, è il compito del poeta che, appollaiato sul suo momento di lucidità, deve far diventare inafferrabile ciò che è comodamente palpabile e, in un caso paradossalmente analogo, rendere evidenti le grazie che senza il suo intervento sarebbero inaccessibili.

Davanti a questa parete mi trovo in questo momento, non come pittore, scultore o poeta, perché le mie abilità non arrivano a tanto. Sbatto contro questo muro con come artista, ma come essere umano. La mia anima (chiamo in questo modo l'insieme delle mie scarse qualità, che non gli si dia altra accezione) si inorgoglisce di appartenere al gruppo di persone che loda la condizione dell'essere umano al di sopra di ogni artificio del mondo, per quanto sublime possa essere. Prima di tutto siamo umani, e come tale mi esprimo.

A volte mi chiedo il motivo per cui mi consumo scrivendo. La risposta non può essere semplice. Per denunciare i mali che affliggono la società? No, sicuramente. Per risolvere problemi personali, convertendo la letteratura in una grande masturbazione psicologica? Nemmeno. Per raggiungere la fama o la ricchezza, o per rendere attuale il modo in cui utilizziamo la lingua (non l'organo ma il sistema di comunicazione verbale)? Ancora meno. Mi spiego: il mio modello da seguire, per quanto riguarda il comportamento, è lo Scrittore Fantasma. Solo penso a scrivere, il resto non importa.

Forse le risposte sono meno pragmatiche di quello che, generalmente, si creda.

Cerco di rispondere: scrivo per comprendere in maniera migliore ciò che mi circonda. Magari la risposta è la stessa che mi do ogni volta che mi domando il perché io pratichi la lettura: per rendermi più umano.

Divento più umano scrivendoti lettere d'amore? L'amore cresce forse per il fatto di scriverti? E l’'amore, quindi, può crescere, proprio come fanno i neonati o i girini o i fiumi? O sarà invece che scrivendoti una lettera a poco a poco si staccano (come se si trattasse di un frattale infinito) i pezzi che costituiscono l'intero amore e, in questo modo, a poco a poco ne rimani senza? L'amore appassisce come fa un anziano, come carne alla brace o come frutta marcia? Probabilmente, l'unica risposta valida è questa: scrivere mi fa sorgere dubbi, inquietudini, allo stesso modo di quando l'intento di descrivere il profumo marcato dei tuoi capelli ritorna confuso, opaco di fronte a quello che la mia mente mi risputa fuori. O nello stesso modo in cui il tuo viso si converte nella parola che mi sfugge, o come l'adorazione per i tuoi occhi mi fa deglutire con la perplessità di chi è estasiato e non prova poi più piacere per le storie o le poesie.

No, non si tratta nemmeno di questo. Non lo so. Non ne sono così sicuro.



Tuo, Abelardo.


AFFETTO



L'affetto nasce dal pancreas e si diluisce nei nostri vasi sanguigni, fino a ritornare all'ipotalamo. È di colore ambra, che simbolizza la felicità e la ricerca del benessere. Si manifesta con ultrasuoni e con un profumo floreale. Nella simbologia universale è rappresentato dalla Luna. Nei tarocchi lo identifico con La Forza, sinonimo di controllo e sicurezza. Nello zodiaco occidentale lo personifico nel segno della Vergine, caratterizzato dalla spiritualità, l'ordine, l'intelligenza. Nello zodiaco cinese, invece, lo trovo nel Coniglio, pieno di prudenza, tenerezza ed armonia. L'affetto è Liquido e si dirige al Nord su di un Unicorno, perché è verginale.




CAPITOLO DUE


Come è solito succedere nel processo di incontri della razza umana, le nostre vite si scontrarono per un caso arbitrario del destino. Lei, quindici anni e nel suo splendore del periodo mestruale; io, con quattordici anni e i deliri della masturbazione. Fu sufficiente come pretesto un incontro casuale, una fiera del paese e cinque amiche impiccione per far sì che la nostra relazione cominciasse.

Lei era la ragazza più bella della scuola ed io un aspirante galantuomo che iniziò ad abbandonare gli studi a causa dell’appena conosciuta filosofia dell'amore.

A me, l'inizio della nostra relazione, risultò tenero. A lei, non molto. Ciò che motivò il suo avvicinamento fu l'affanno di iniziare una storia non con me, ma con un mio amico. La cosa ironica (e, perché non dirlo, romantica) fu che, nel processo, alla fine si innamorò di me. La conquistai, e ci conquistammo.

Forse cerco di spiegare gli avvenimenti ricorrendo a complicate astrazioni, ciò invece un superficiale si avventurerebbe ad esprimere con un paio di vocaboli. Ma lo sottolineo, il mio obiettivo ha un'ambizione maggiore.

La sua allegria contagiosa di fronte alla mia costante battaglia contro la malinconia; il suo carisma ed intelligenza riflessi nei contorni dei suoi occhi curiosi e vivaci ogni volta che le veniva in mente un'idea o in ogni occasione in cui cercava delle scuse nell'immaginario più recondito di fronte ai suoi genitori per giustificare le nostre uscite furtive, o di fronte alle mie pretese fisiologiche; la sua passione per la danza e la mia per la scrittura. Tutto lo rendeva ingiustificabile e, caro lettore, amata lettrice, capirete che per noi è stata la relazione più intensa che sia mai esistita al mondo e spero potervi comunicare in modo adeguato tutte le mie sensazioni.



La notte scese con sorpresa alla fine di quell'estate. Ero uscita dalla lezione di ballo che un giovane e bell’istruttore europeo aveva iniziato ad impartire nel paese, e che si tenevano di pomeriggio nell'istituto in cui studiavo. Ricordo che quel giorno avevamo provato una danza turca che, dopo l'accaduto, non avrei mai più ballato. La madre di una delle mie compagne si era offerta di accompagnarmi a casa in macchina. Mi negai. Desideravo camminare e schiarirmi alcune idee da adolescente quale ero.

Presi la strada più grande costeggiata da grandi alberi, che avvolgono con la loro penombra il cammino. Le stelle si affacciavano timide e una grande luna faceva sì che le pietre sul terreno brillassero come magiche lanterne.

Il destino volle che dalla penombra emergessero i tre rapaci. L'uomo corpulento mi abbordò con la maschera di arcangelo. Non pronunciò nessuna parola e non l'avrebbe fatto per tutta quella angustiosa notte, ma si mise nel mezzo del cammino e aprì orizzontalmente le sue braccia per far sì che mi fermassi, e così capii che era il capo del gruppo. Fecero capolino le altre due figure. Un giovane magro e non molto alto, con corporatura d'adolescente, portava la maschera di un teschio. Disse ―non puoi passare―, e il suono della sua voce mi confermò la sua giovane età. L'individuo alto e tozzo indossava invece la maschera di un ariete. La sua voce era grossa come la sua pancia e mi consigliò di non gridare.

Il mio corpo sentì il pallore tipico dello spavento. I miei pensieri si paralizzarono, come i miei muscoli. I miei peli si rizzarono quando sentii il contatto forzato con quelle tre bestie. Come se quel grasso ariete fosse stato uno stregone e la sua minaccia fosse stata una maledizione: per quanto ci provassi non potei gridare.


LETTERA DUE



La mattina in cui mi svegliai sorpresa di aver capito di essermi innamorata di te, per me fu una rivelazione. Forse non riesco ad esprime la immagine precisa e mi trovo incapace di descrivere la sensazione esatta, ma il ricordo mi emerge quasi nitido, come un dejà vu che aspetta di essere plasmato. Fino a quel momento ero solo un'amica per te, una compagna di circostanze alla quale ti affidavi nei tuoi momenti di noia come se fosse la distrazione più adeguata di qualsiasi adolescente.

Un'altra mattina rivelatrice, nella quale mi resi felice, fu quando mi desti quell'innocente bacio. Arrivando a casa mi coricai nell'amaca e, mentre il vento leggero sfiorava il mio viso felice, il ricordo del tuo tatto mi evocava sensazioni quasi epilettiche, scosse interne che mi smuovevano come insetti rivoltando il mio petto o come dolci piccoli vermi che solcavano le mie viscere.

Le mattine... Forse sono premonitorie, o dei segnali. Le mattine a scuola non sarebbero state piacevoli se non fosse stato per la tua presenza durante le ricreazioni, anche solo per sentire emergere dalla tua bocca qualche sillaba, dato che io (come in varie occasioni ti ho fatto notare) dovevo tirarti fuori le parole con il cucchiaio, metafora in realtà adeguata a quell'epoca in cui eri un ragazzino pallido e silenzioso. La cosa importante era percepire le nostre figure sedute sulla panchina, con le mie gambe unite e le mie mani appoggiate sulle ginocchia, e captare il movimento dei miei capelli che interagivano con te, come due magneti estranei che vogliono attrarsi ma unicamente si toccano in un via vai di tensione. Fu in quei giorni che mi innamorai di te, delle tue lunghe pause di silenzio, del tuo sguardo proiettato verso l'orizzonte alla ricerca di idee e che mi incitavano ad esplorare l'enigma della tua prudenza.

Era una mattina quando mi aspettasti sotto quella pioggia torrenziale. Insistetti sull'appuntamento, senza renderti conto che sarebbe stato più pratico eludere il diluvio e rimandare il nostro incontro fino all'uscita dell'arcobaleno. Erano le mattine quelle che ci facevano incontrare in quel parco pubblico, nell'angolo che ribattezzammo usando un nome stravagante e che avremmo usato codice nelle seguenti occasioni, sempre essendo coscienti che ogni coppia lo aveva rinominato con un nome conforme alla loro relazione. Era un mattino quando sfiorasti i miei seni con l'impudenza propria dei tuoi ormoni. Fu una mattina (voglio sognarlo così) quando accarezzasti le mie natiche al di sopra della tela del pantalone di quei jeans che odiavo.

Fu di mattina la prima volta che facemmo l'amore, anche se il nostro amore già era si era fatto molto prima. Forse perché a quel tempo solo avevamo degli spazi nelle prime ore della giornata, quando il cielo si faceva più chiaro e ci svegliavamo desiderando arrivasse l'istante dell'incontro. E dopo arrivavano i pomeriggi, che chissà non sono così premonitori, ma molto speciali, senza dubbio. Quando il mezzogiorno si avvicinava e con gioia mi preparavo per gli incontri in città.

Il nostro amore maturava, e noi con lui, queste vite pesanti e tristi a causa della distanza, ma nonostante questo ci sentivamo vicini.

Ricordi il tempo in cui non avevamo telefoni e riuscivamo a scambiarci messaggi grazie ad un quaderno o ad un complice momentaneo. Dopo tutti questi ricordi felici, mi tornano alla memoria le nostre situazioni contemporanee, quelle che stiamo costruendo e distruggendo. Un uomo russo disse che anche i più grandi riformisti della società sono dei criminali, perché al promulgare nuove leggi, aboliscono le antiche che venivano conservate come sacre. Per questo dico che, per continuare ad edificare, dobbiamo demolire alcune cose, esorcizzare i nostri errori, praticare una depurazione nella nostra relazione per non lasciarla morire.

Forse non mi comprenderai completamente, è la cosa più probabile. Ma continuo ad essere qui, cercando di dirti che voglio interpretare i codici della tua angustia e iniziare un cammino mano nella mano con te. Magari non una soluzione radicale, immediata, ma una che serva ad aggiustare l'equilibrio di questa relazione che sta tremando come un castello di carte costruito sul sedile di un treno in corsa.

Questa lettera è un simbolo del mio impegno. Mi sento sconcertata perché avverto che ti ho chiesto troppo e, nelle tue circostanze, non hai potuto soddisfare i miei capricci, non perché non lo volessi ma perché la natura della tua tristezza ti ha assorbito e non sono stata capace di avvertirlo, fino a questo momento in cui il giorno si fa più chiaro in quest'alba sconfortante.

Forse si, le mattine sono premonitrici. Perché, proprio ora, mi arriva l'immagine di un ipotetico futuro, con il tuo caldo corpo riposando insieme al mio in un abbraccio mattutino, in un risveglio mentre siamo ancora immersi nei sogni, quando la rugiada ha distillato il sudore sull'erba vicino e il primo crepuscolo della giornata evidenzia il calore che non sarà del sole ma del nostro risveglio.



Tua oggi, domani e sempre.




CAPITOLO TRE


La nostra storia iniziò ai tempi della scuola. Una ragazzina esaltata gridava a gran voce le sue lamentele contro il direttore. Era l'aggraziata Eloisa. Esile, con il suo bacino di porcellana e il suo viso d'angelo, il suo chignon alto e il carisma che straripava per il suo impeto giovanile. Conoscendoci, a poco a poco, una vicinanza travestita da amicizia ci avvicinava. Il momento più importante della ricreazione era poterla vedere e dirigerle un saluto con lo sguardo. Le mattine si impegnarono a mettermi al suo fianco. Gradualmente le mie illusioni si fecero spazio; a volte, esaltato, non riuscivo a contenermi perché mi aveva scelto per una chiacchierata durante tutto il tempo che avevamo a disposizione; in altre occasioni predominava la tristezza, quando vedevo passare i minuti disponibili parlando allegramente con un gruppo di amici.

Un mattino, dopo essere usciti dall'istituto e dopo aver partecipato ad alcuni giochi di una fiera del paese, passai per una stradina che non percorrevo abitualmente, con l'intenzione di tornare a casa. Sentì un grido provenire da dietro di me. Da lontano, una squadriglia di ragazzine con uniformi scomposte mi incitavano con le mani ad avvicinarmi a loro. Un parco ricoperto di terriccio ci offrì il suo suolo come unico posto in cui sedersi. I commenti pieni di puerilità (a cui io non volevo intromettermi) di quelle giovani donne, mi impedivano di prendere parte alla conversazione. Brillai per il mio silenzio e diressero i loro sguardi verso di me. Forza, diglielo, mi disse una ragazza con le lentiggini dirigendo lo sguardo verso Eloisa. I nervi presero il possesso della mia pelle. Ricordai che qualche settimana prima, mi ero svegliato sapendo chiaramente di essere innamorato. Ceraci di riprodurre il discorso amoroso che avevo ripassato qualche giorno prima, ma le parole volarono ad una dimensione impossibile da oltrepassare. Fuoriuscì da me una risata leggera. Fu quando poi sentii dire: Dì pure. Lo aveva proferito l'amica più vicina ad Eloisa, e questo mi stimolò a parlare. La guardai. Era seduta con le gambe incrociate, nella posizione del loto.

Non passò nemmeno un minuto che un corto bacio (corto per quanto riguarda il corpo, ma sostanzioso nei nostri sentimenti) si fece spazio sotto gli sguardi piene di aspettative del gruppetto. Il grido giovanile delle compagne che erano rimaste in silenzio di fronte alla mia dichiarazione d'amore risuonò forte, misteriosamente unanime, come preparato in precedenza, svelando la consumazione del rituale di toccare la mia bocca con la sua ed estinguere finalmente la virginità labiale della loro cara amica.



Un tempo, ero vergine. Avevo sempre pensato che il primo uomo a cui avrei consegnato la mia purezza, sarebbe stato lui. Questa sensazione di solletico mi arrivava ogni volta che finivo di leggere le sue lettere d'amore, intelligenti, appassionate e ridicole, proprio come deve essere una lettera d'amore. Avevamo una relazione che durava da alcuni anni.

Però mi sto allontanando dal tema, cara amica, e dato che insisti nel conoscere la mia storia, cercherò di terminare il mio racconto.

Se c'è qualcosa che, ancora, non riesco a togliere dalla memoria, più che la visione, è l'odore dei loro corpi. Se, un giorno, mi chiedessero di indentificare qualcuno di loro sono sicura che sbaglierei ma, se dovessi farlo attraverso il loro odore, sicuramente no.

L'uomo silenzioso, al quale con il passare del tempo ho preferito soprannominare "muto", aveva un odore particolare di olio di macchinari, come se il suo lavoro fosse stato lubrificare tutto il giorno gli ingranaggi di complicati meccanismi. Il robusto puzzava di cipolla, un odore emanato dalle sue ascelle e che si intensificò quando iniziarono a cadere sul mio viso le gocce di sudore della sua fronte. Il giovane, invece, di cannella, ma a tratti l'ambiente era marcato da una fragranza nauseabonda di molluschi macerati.

Gli attacchi della grossa bestia erano stati i più atroci. Sopportare il peso della sua corporatura grande e ripugnante era nulla comparato a quello che provavo avendolo nelle mie interiora.


LETTERA TRE



Soffre di più chi è in attesa della carezza del suo amato, o è maggiore la tristezza di chi non ha nessuno da aspettare?

La Poetessa



Un francese assicurava che le lettere d'amore si iniziano a scrivere senza sapere quello che si dirà, e si concludono senza essere coscienti di quello che si è detto.

Ogni volta che ti scrivo cerco di farlo avendo nella mente un'idea precisa, che gradualmente sviluppo. Non è qualcosa che io abbia inventato, ma che ho estrapolato da una teoria del racconto, secondo la quale le tre prime linee hanno quasi la stessa importante delle tre linee finali. Credo che questa formula sia la definizione della scrittura, in qualsiasi ambito.

Però, passiamo al tema centrale. Una filosofa africana ha approfondito il tema dell'amore e, nella sua opera che per l'appunto è intitolata Profondità delle arti degli amanti, illustra il lato passivo del desiderio che arriva al suo culmine quando è soddisfatto e il carattere diligente dell'amore come fonte di attività. Lo condensò in una potente frase: L'amore è l'infinita insoddisfazione. Non esiste verità più inconfutabile.

Questa è la tesi che sviluppa durante la sua opera, a volte con tratti iperbolici, è vero, ma mai senza incanto. La parte interessante, è quella frase. Il desiderio, secondo la filosofa, culmina quando viene soddisfatto. Desideriamo qualcosa e, quando lo otteniamo, tutto finisce.

Ma, quando il desiderio è legato all'amore, è differente: esiste la possibilità che il desiderio possa far incamminare verso l'amore; l'amato, senza dubbio è desiderato, spiega la donna.

Oggi voglio che tu senta che posso accarezzarti attraverso le mie parole, e non con gli attriti prosaici che ci tributano le delizie del pudore, ma con queste carezze indelebili.

Proprio come i bardi immortalano le loro amate, questo umile praticante vorrebbe poter glorificare il tuo essere con delle canzoni che rinfreschino la tua sete giovanile, con poesie che ti cullino nei pomeriggi. Dichiararti quanto io sia innamorato di te, dea virginale, onnipotente, del mio amore proprietaria, del mio amore schiava, come le beate schiave dell'Antico Testamento, con un candore cosmico come Proserpina, regina infernale, o alcuna dea pagana. Sei una Musa della poesia. Tu: mille donne in una sola. Mille dee in una. La mia Pandora, la mia Eva, la mia Maria Maddalena così pura tra i baci di Gesù.

Tu, che sai così bene dominare il mio spirito, mi possiedi. E sei presente in ogni momento. Perché il tuo accogliente ricordo mi cura dalla malinconia: le tue parole sussurrate nel vento e il tuo viso illuminato nello spazio che potrebbe essere vuoto, se non fosse per questo pazzo che adori e che vive solo per te.

Il tuo essere è per me più ipnotico di un racconto fantastico, così avvolto nel mistero come un thriller, ma allo stesso tempo così reale e profondo come una novella che racconta la cruda realtà. E non si tratta di nessuna contraddizione, perché a volte mi sembri così precisa e paradossale.

Con una visione che eccede dal quotidiano cerco di arrivare a te e di addentrarmi nella parte più recondita del tuo amore. E riesco a vedere attraverso i tuoi occhi (che sono degli infiniti contenitori di chiaroveggenza, come lo sarebbe una sfera di cristallo per un'anziana affezionata alla cristallomanzia, ma così delicati e puri come l'oracolo di Delfi)… posso vedere, dicevo, attraverso i tuoi occhi, quella profondità di donna matura, quella forza indomabile che ti appartiene nella tua parte più nascosta, e che mi fa pensare alla forza di un dio. Alcune volte mi sembri essere troppo divina per procedere da una discendenza terrestre. Le tue antenate solo possono essere le stesse di Arianna, divina casta di dee.

E, nel frattempo, solo vedo un oscuro Minotauro che gira e gira nel labirintico circolare del mio cervello, in attesa che un Teseo (divino amore che mi professi) rompa con il suo filo questa brutale solitudine.

Per questo mi chiedo, insieme alla Poetessa: soffre di più chi è in attesa della carezza del suo amato, o è maggiore la tristezza di chi non ha nessuno da aspettare? Anche se la risposta è ovvia, il dolore, quando è prodotto dall'attesa dell'amore, non è amaro, e appare la mia promessa che anche avendoti vicina mai smetterò di scriverti lettere d'amore. Perché mi ami e perché ti amo, perché ti aspetto, e perché anche tu mi aspetti, ma soprattutto perché il nostro amore sempre sarà un'infinita insoddisfazione.



Tuo, in qualunque posto io sia.


GRATITUDINE



La gratitudine arriva dalle mani e si prolunga nelle nostre braccia fino al nervo spinale. È di colore viola, che personifica il temperamento e la riflessione. Si offre con un sapore dolce e un profumo legnoso. La sua effigie simbolica è il Legno e sempre sarà intarsiato in questo materiale. Nelle carte dei Tarocchi è rappresentata dall'Impiccato, che pende dal ramo di un albero e si fa esempio di dedizione e sacrificio. Nello zodiaco occidentale lo raffiguro con il segno del Capricorno, matrice di generosità. Nello zodiaco cinese si rivela nel Cinghiale, che non ha rancore ed ha uno spirito altruista. La gratitudine è Condensata e si dirige ad Ovest dietro un Lupo che si alimenta delle cose vecchie ed elogia le nuove.




CAPITOLO QUATTRO


Passarono nove giorni prima che la mia umanità entrasse nel limpido portale della sua casa nella festa dei suoi quindici anni. Arrivai presto, con il mio regalo innocente (a quel tempo mia madre lavorava come sarta e il presente che le portai era un taglio di una tela economica) e accompagnato da un sorriso che camuffava il nervosismo. Mezz'ora più tardi, ero seduto nella sala principale architettando un piano per non andare in pista. Al fondo, nell'atrio, le voci alte degli esperti in chiacchierate si intensificavano proporzionalmente all'aumento del vigore della musica. Erano presenti i suoi genitori, familiari e persone care, gente di cenacoli sabatini, tutti godendo dei piaceri della convivenza dell'istante (o, al meno, così lo immaginai; non mi venne la curiosità di osservare chi fossero e credo che, anche se l'avessi fatto, non avrei sicuramente riconosciuto nessuno). Per la maggior parte, ero circondato dai suoi compagni di scuola. La mia inettitudine nelle relazioni affiorava ad ogni instante, e non sapevo cosa rispondere: l'animale della caverna aveva per la prima volta davanti il mondo selvatico delle bestie sociali.

Arrivò il momento del ballo. Le mie gambe balbettavano e mi imploravano il sollievo del riposo e non perché fossero stanche ma per la vergogna della loro goffaggine. Lei era la esperta, e prendeva le mie mani come se avesse voluto insegnarmi in un istante le danze che, chissà, non avrei appreso nemmeno in una vita. Non ricordo se ballai con qualcun altro. La cosa più probabile, è che non lo feci. Mi ritirai con l’anticipo che mi imponeva l'orologio e, uscendo dalla festa, mi salutò con un bacio sulla guancia. Il dolce, incalzato dalla mia urgenza, apparve un paio d'ore più tardi sotto al mio portico. Le sue braccia delicate porgendomi il piatto costituirono un passo in più verso l'innamoramento.



Anche se il robusto era più rude, il muto era il più forte. Mi stropicciarono fuori e dentro mentre mettevano a tacere la mia disperazione tappandomi la bocca, che gemeva con sconsolazione e impotenza, e le mie lacrime cadevano sul pavimento.

Il giovane era il più impetuoso e, al contrario di quello che si poteva pensare, non mostrò mai indecisione ma si affondò su di me con la stessa predisposizione degli altri due più grandi.

Sicuramente qualche anima spaventata avrà visto l'atrocità. Ne sono certa, perché notai una luce lontana, qualche veicolo che illuminò ciò che stava accadendo e poi scappò. Potrai pensare, cara amica, che fu un'allucinazione propria della mia disperazione, come quelle oasi d'acqua che immaginano i pellegrini del deserto nell'aridezza dei loro esili. Può essere stata una visione o un ricordo inventato dalla mia memoria invecchiata, ma sono sicura che non lo è. Fu reale, così reale come la bestia a tre teste che possedette il mio corpo quella notte.


LETTERA QUATTRO



I mezzi di comunicazione di cui disponiamo oggigiorno, avvicinano le persone sempre più. Immagini e audio possono essere scambiati solo schiacciando un bottone. La Rete è un mezzo che ha accorciato le distanze. Se un antico pittore avesse osservato tale prodigio, avrebbe pensato che si trattasse di una potente alchimia. Una santa del medioevo, senza dubbio avrebbe creduto che fosse un artificio del maligno.

La tecnologia dipende dal tempo, e con lui avanza. Da quando il primo ominide plasmò la prima pittura rupestre in una caverna già dimenticata, fino a che in que sto preciso istante, in qualche parte del mondo, la meno sperimentata delle adolescenti invia dal suo telefono un messaggio di testo, la intenzione di comunicare non è cambiata. Sono solo cambiati i mezzi.

Quando l'essere umano fu capace di formare un linguaggio articolato (orale e scritto), il suo desiderio di espressione si fece più forte. Uno dei mezzi più usati in tutte le epoche è stata la lettera.

Le lettere degli scrittori, politici o oratori romani sono tutt'ora studiati per il loro valore letterario, e quelle dell'Antica Grecia per quello filosofico.

Le Sacre Scritture sono piene di queste manifestazioni. I Santi crearono i fondamenti dell'odierna teologia a base di epistole. E il gran libro contiene scritti diretti ai Colossesi, ai Filippesi, ai Galati, agli Ebrei, ai Romani, come anche quelli ai Corinzi o ai Tessalonicesi, in cui gli apostoli continuarono a propagare le loro idee.

Anastasia Dross, famosa filosofa latino americana, scrisse, a parte delle novelle, saggi, poemi e opere teatrali, anche più di venti mila lettere. In media scrisse una lettera al giorno.

All'altro estremo c'è Alessandra Zimbardo, filosofa italiana che morì lo stesso anni di Dross, che pensava che scrivere una lettera era un processo sfiancante e un vero tormento. Zimbardo lo confessò nelle sue memorie: non posso redigere nessuna lettera, indipendentemente dall'importanza, che non mi richieda ore di frustrazione.

Le lettere sono sempre state usate come una potente risorsa letteraria.

Uno scrittore francese, autore della famosa novella Lettere perdute, riesce, attraverso un rapporto epistolare tra due personaggi, a realizzare una forte critica alla società della sua epoca. In quest'opera non si salvò né la rispettata società borghese, né le istituzioni politiche e religiose, tantomeno la letteratura del suo tempo.

Uno dei casi che più mi colpì qualche anno fa fu l’opera di un’autrice islandese intitolata Le tribolazioni della giovane studentessa Dögg, che parla di una giovane appassionata che dirige ad alcuni amici gli scritti delle sue disavventure non potendole raccontare ad un ragazzo, disperazione che termina con il suicidio. Questa novella sembra che abbia avuto una grande influenza sulla gioventù di quel tempo, scatenando un'ondata di ragazzine che una volta finita la lettura dell'opera decidevano di suicidarsi. Questo mi incitò a leggerla. Un’enciclopedia narra: Le tribolazioni della giovane studente Dögg fu imitato dalle giovani non solo per l'abbigliamento, ma anche per il suo tragico finale. Secondo ciò che è stato detto, causò più suicidi di quante siano le parole contenute nelle sue pagine.

Leggendola, terminò la magia. Capii che era una novella di altri tempi e che in nessun modo avrebbe potuto influenzare le persone nell'epoca attuale.

Le lettere compiono uno scopo: esprimere le situazioni, le idee, i sentimenti ed i pensieri di chi le scrive. La tecnologia ci mette a disposizione ora le “lettere elettroniche”, ovvero le e-mail, che realizzano il lavoro in maniera molto più accelerata. I messaggi di testo sono un altro mezzo che, allo stesso modo, accorciano le distanze. Senza dubbio, il suo predecessore è il telegrafo.

Nonostante il lato positivo, mi piacerebbe anche evidenziare alcuna obiezione. Anche se queste raffinate tecnologie accorciano lo spazio ed il tempo, hanno il difetto di essere effimere, mentre uno scritto cartaceo immortala l'istante.

Questo è un buon motivo per considerare il valore di una lettera (nel senso tradizionale) come insostituibile in una manifestazione ed esaltazione del vincolo che abbiamo formato attorno al nostro amore. Per questo mi piace che ci scriviamo. Perché considero che le lettere (quelle che si scrivono dai tempi dell'antica filosofia greca) contengono un grado molto più alto di perdurabilità e significato che qualsiasi altro mezzo.

Forse ancora esistono persone che sentono la mancanza, in termini romantici, dell'attesa delle risposte che tardavano giorni o settimane ad arrivare. Mi immagino come sarebbe scrivere una lettera esprimendo tutto ciò che si sente o si conosce, come facevano le nostre care filosofe. Anche se la cosa più probabile è che nell'epoca attuale sono una totale eccezione le persone che pensano che l'esclusivo uso delle lettere tradizionali sia la migliore forma di comunicazione. Ad ogni modo, ogni epoca ha le sue opzioni e le persone si acclimatano alle sue risorse.

Secoli fa si iniziarono a pubblicare le prime cronache, che un secolo più tardi vennero chiamate notizie (che oggi possono essere lette ogni giorno, precisamente nei giornali) e le persone disponevano di un altro mezzo con cui comunicare. Il diciannovesimo secolo fu caratterizzato dal telegrafo, usato per unire popoli e continenti. Nel ventesimo secolo si fecero strada la radio, il telefono, la televisione. Oggi, nel ventunesimo secolo, possiamo contare su potenti risorse come la Rete o i mezzi senza fili come la tecnologia cellulare mobile. Risorse che sarebbero state inverosimili per i nostri antenati ma che sono, indubbiamente, possibili e quotidiani per noi. Ed ora viene la parte più sorprendente ed interessante. Risorse che per le nostre future generazioni saranno scontate e comuni, per noi oggi non sono altro che fantascienza. Probabilmente i nostri figli e nipoti potranno godere dell'illusione di avere al loro fianco una persona cara solo attraverso l’uso gli ologrammi. Pero sono convinta che la scienza non avrà limiti, concepirà mezzi che in questi giorni e a causa della nostra poca capacità d'immaginazione sono ancora inconcepibili. Mezzi così impressionanti che oggi li etichetteremmo come fantastici e, in casi più superstiziosi, come maledizioni o miracoli. Proprio come ad alcune sante del medioevo sarebbe sembrata una meraviglia celestiale il poter scriver un messaggio dal luogo in cui si trovavano, e che dopo pochi secondi fosse apparso scritto in un altro posto molto distante. O come ad un pittore sarebbe sembrato un prodigio poter osservare un'immagine in tempo reale attraverso un semplice schermo.

Ad ogni modo, sei tu, che alla fine deciderai il valore da dare ad ogni lettera che ti scrivo, perché a te sono destinate, e per te lo saranno fino a che io abbia la possibilità di scrivere.



Tua, con lettere o senza lettere (anche se preferirei con).





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Eloisa, una donna anziana che in gioventù fu vittima di un brutale abuso sessuale da parte di tre uomini, ricorda nell'ultimo giorno della sua vita questa cruda storia che la segnò.

La racconta a una delle infermiere della clinica nel quale si trova agonizzante, mentre sfoglia un quaderno che contiene tutte le lettere che scambiò in giovane età con Abelardo, l'unico amore della sua vita.

Maenza riflette sugli aspetti psicologici, etici e filosofici dell'amore occidentale e compone un discorso mieloso e intelligente in cui il tempo, i riti degli amanti e la presenza erotica vengono affrontati in modo sottile. Include una visione singolare della scrittura e una particolare e simbolica Teoria degli affetti, che usa nell'analisi della metafisica dei colori, lo zodiaco, le percezioni sensoriali, l'immaginario delle bestie alchimiste, gli elementi classici e gli arcani dei Tarocchi. In un epoca in cui le relazioni si susseguono a causa della vertiginosa modernità e in cui pullulano gli amori liquidi (secondo Bauman), ”Tutte le lettere d'amore sono ridicole” rivendica il rituale laico della corrispondenza amorosa, sempre più in decadenza, evadendo da quella lentezza che Kundera attribuisce ai romanzi sentimentali.

”Tutte le lettere d'amore sono ridicole” è costruito come una narrazione paradossale dei testi romantici ma è, allo stesso tempo, una dissertazione moderna sull'amore, unita a una storia d'affetto e a un tragico finale che fa riflettere su temi considerati dei tabù come l'abuso, la reificazione della donna e la violenza contemporanea.

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