Книга - Frammenti Di Cuore

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Frammenti Di Cuore
Alyssa Rabil


L'amore trova sempre una strada.

L'amore trova sempre una strada.



Aaron Beaumont è un disastro. La vita non è mai semplice, quindi come poteva pensare che un po' di bondage sarebbe stato d'aiuto? Anche se così ha risolto il problema dei soldi, il prezzo da pagare è stato più alto di quanto si aspettasse. Per sua fortuna viene salvato da Silas Anderson. Silas, che è un medico, lo porta a casa e cura le ferite sul suo corpo, ma Aaron non può permettere che quel tocco gentile sfiori ciò che si nasconde sotto la sua pelle.



Quando Aaron tenta di tornare a casa il mattino seguente, scopre che il peggio è già accaduto. All'improvviso si ritrova senza un posto dove andare. Ancora una volta il suo mondo si scontra con quello di Silas.



Col futuro incerto davanti a sé, tra Aaron e Silas nasce qualcosa che nessuno dei due ha mai sperimentato prima, ed entrambi capiscono che è qualcosa che potrebbero non sperimentare mai più.



Tuttavia, la felicità è fuori dalla loro portata, e prima di poter avere il loro lieto fine dovrnno affrontare il passato e i demoni che esso porta con sé.









Table of Contents


Title Page (#uee6ba89f-f3d8-5cdf-88cf-bdfbde85a760)

Legal Page (#u682d3c08-1d72-584d-b60b-e4f44f1666fc)

Book Description (#u40447e5a-72a7-5214-b677-75133485be27)

Riconoscimenti (#u66bcd271-6983-5630-b9ab-21bc139571ef)

Capitolo Uno (#u1e0dbf2b-227a-5522-bf7d-207af4192467)

Capitolo Due (#ueb61f317-1fe5-574e-b39a-93a006de7213)

Capitolo Tre (#ua48adc46-0383-5959-b402-050b999d6706)

Capitolo Quattro (#uc310fd64-9608-5544-aee0-14c8d4a83c8f)

Capitolo Cinque (#u645406ae-dd18-5420-a4ac-f0f5bebfd9df)

Capitolo Sei (#u06298d67-50c2-5de9-aac2-47c338eddbed)

Capitolo Sette (#u4d666a1c-86e0-5609-b290-ba05658ea951)

Capitolo Otto (#ua44ad226-53bc-50e4-b34d-94123840e46d)

Capitolo Nove (#uea9e3717-b7b0-5dde-b61c-48d93621a777)

Capitolo Dieci (#u85173667-8155-5d89-9235-def502c99b76)

Capitolo Undici (#uf4a88900-2d6b-573c-8535-4e8ff83a9597)

Capitolo Dodici (#ud7e63763-799a-5994-a289-e314df7631ce)

Capitolo Tredici (#ufbb49a7b-670e-54fe-b12d-488528eb0614)

Capitolo Quattordici (#u59fc4399-a4e0-5342-ac73-da89140912e5)

Capitolo Quindici (#uc61269a4-cf58-590d-817b-a868fa67ce4b)

Capitolo Sedici (#ua3a1ab58-173f-5ec2-8c35-8025d423ad1d)

Capitolo Diciassette (#uded40cf4-93f1-5e56-8f0b-ee4738444b50)

Capitolo Diciotto (#uf23a2f9d-4653-5cef-8fa8-5552184317b7)

Capitolo Diciannove (#u3b3bfe0d-deaa-560d-b105-fb23f44c470f)

Capitolo Venti (#ubb01ed06-df43-5a3c-9b71-d29c4eb39fb4)

Capitolo Ventuno (#u4a230598-2b2a-5dd4-971b-7275f8dfa5e2)

Capitolo Ventidue (#u2a9f43b5-6e27-51c4-a896-814fa68c93ec)

Capitolo Ventitré (#u31d3fa19-2758-5acd-ad45-3306733b12f6)

Capitolo Ventiquattro (#uacb5e6b5-c865-5bbb-a9f7-211f54e5fa01)

Capitolo Venticinque (#u04016c0d-cd2b-5c44-b459-a0b1bb94b86a)

Capitolo Ventisei (#ue17916ed-1799-5d14-9f15-bfa258be285b)

Capitolo Ventisette (#uc8fa70b4-66b5-5c07-9ba5-dbace636741a)

Capitolo Ventotto (#u4634e761-09ef-50c7-99d2-a9a4caa36745)

Capitolo Ventinove (#u2b4e6bca-794b-54bb-8604-5c7a3d78503c)

Capitolo Trenta (#u40ca425d-aa12-5cd3-bca8-ba4528143494)

Capitolo Trentuno (#u0cbfb0d2-3e12-5d01-99df-21bdbf829329)

Capitolo Trentadue (#u2b4b27ac-87ba-5210-a2ec-71903a7fdba8)

Capitolo Trentatré (#ufde3dcda-db5b-5a8b-baea-87901fbf9b4b)

Capitolo Trentaquattro (#u89b4365c-ce69-52c5-981d-9e94be95a8cc)

Capitolo Trentacinque (#ucc8bdebd-a2fa-5083-8a62-cad19a5723ff)

Capitolo Trentasei (#ua06646d0-e988-5268-98f8-bddf060a0f8f)

Capitolo Trentasette (#uf3d467e8-ef67-5a85-8c94-74c8bb5f9292)

Capitolo Trentotto (#u144ec17c-c74c-5ad3-9007-4a805c1385bf)

More exciting books! (#u021ec328-c4d6-5bc9-9ec7-fb5d8c187632)

L'Autrice (#ude6e4f8d-491d-57c4-add7-1a03868f0b2b)


FRAMMENTI DI CUORE

ALYSSA RABIL


Frammenti di Cuore

ISBN # 978-1-80250-042-4

©Copyright Alyssa Rabil 2021

Cover Art by Louisa Maggio ©Copyright March 2021

Interior text design by Claire Siemaszkiewicz

Traduzione di Sara Coccimiglio 2021

Pride Publishing



Questa è un’opera di fantasia. Tutti i personaggi, i luoghi e i fatti sono frutto dell’immaginazione dell’autore e non rappresentano la realtà. Ogni somiglianza con persone, vive o morte, fatti e luoghi è puramente casuale.



Tutti i diritti riservati.



Nessuna parte di questo libro può essere riprodotta o trasmessa in alcuna forma, elettronica o meccanica, senza il permesso scritto dell’editore.



Eventuali domande devono essere indirizzate per iscritto ai responsabili. Atti non autorizzati o limitati in relazione a questa pubblicazione possono dar luogo a procedimenti civili e / o azioni penali.



L’autore e l’illustratore hanno rivendicato i rispettivi diritti ai sensi del Copyright Designs and Patents Acts 1988 (e successive modifiche) per essere identificati come l’autore di questo libro e l’illustratore dell’opera d’arte.



Pubblicato nel 2021 da Pride Publishing, United Kingdom.


L'amore trova sempre una strada.



Aaron Beaumont è un disastro. La vita non è mai semplice, quindi come poteva pensare che un po' di bondage sarebbe stato d'aiuto? Anche se ha risolto il problema dei soldi, il prezzo da pagare è stato più alto di quanto si aspettasse. Per sua fortuna viene salvato da Silas Anderson. Silas, che è un medico, lo porta a casa e cura le ferite sul suo corpo, ma Aaron non può permettere che quel tocco gentile sfiori ciò che si nasconde sotto la sua pelle.



Quando Aaron tenta di tornare a casa il mattino seguente, scopre che il peggio è già accaduto. All'improvviso si ritrova senza un posto dove andare. Ancora una volta il suo mondo si scontra con quello di Silas.



Col futuro incerto davanti a loro, tra Aaron e Silas nasce qualcosa che nessuno dei due ha mai sperimentato prima, e capiscono che è qualcosa che potrebbero non sperimentare mai più.



Tuttavia, la felicità è proprio fuori dalla loro portata, e prima di poter avere il loro lieto fine dovranno affrontare il passato e i demoni che esso porta con sé.


Riconoscimenti

L'autore riconosce lo stato di marchio registrato e i proprietari dei seguenti marchi menzionati in questa opera di fantasia:



Google: Google, Inc.

Xanax: Pharmacia & Upjohn Company LLC

Jurassic Park: Universal Pictures, Amblin Entertainment

Jeep: Stellantis

Il Laureato: Embassy Pictures

Olimpiadi: Comité International Olympique association

Stanford: Board of Trustees of the Leland Stanford Junior University

Batman: DC Comics

Adderall: Takeda Pharmaceuticals U.S.A. Inc.

Romeo: William Shakespeare

Tic Tac: Soremarter S.A.

Superman: DC Comics

Clark Kent: DC Comcs

Hulk: Marvel Characters, Inc.

Rocky: United Artists

Toyota: Toyota Jidosha Kabuslinki Kaisha TA Toyota Motor Corporation

Hans Gruber: Gordon Company, Silver Pictures, 20th Century Fox

Doogie Howser: Steven Bochco Productions, 20th Century Fox Television, 20th Television

Alcoholics Anonymous: Alcoholics Anonymous World Services, Inc.

Jacuzzi: Jacuzzi, Inc..


Capitolo Uno

Gay a Pagamento

Aaron si sedette sul bordo del letto con le mani in grembo. L'uomo dietro la telecamera cliccò qualcosa e si accese una luce rossa.

“Imbarazzato?” chiese l'uomo con un sogghigno.

“Infreddolito”, rispose Aaron.

“La timidezza rende meglio nella telecamera”, disse l'uomo. “Ma posso lavorare anche sull'ostinazione.” Ecco di nuovo quel sorrisetto. “Presentati.”

“Aaron. Hai bisogno anche del cognome?”

L'uomo roteò gli occhi. “No. E ora hai rovinato la ripresa.” Prese fiato. “Presentati.”

“Aaron.”

“Bravo ragazzo. Io sono Farley. Il tuo Dom arriverà tra poco. Lo chiamerai Signore o Padrone.”

“Va bene.” Aaron si spostò sul letto. Voleva muovere le mani – mostrarsi sicuro e dimostrare che non aveva paura – ma probabilmente avrebbe solo guadagnato altri commenti sprezzanti da parte di Farley. Non gli piaceva essere l'unico nudo. Peggio ancora, non era sicuro di quanto le cose sarebbero migliorate una volta che l'altro ragazzo nudo si fosse unito a loro.

Sarà nudo? si chiese Aaron. Per favore, fa che sia nudo. Oppure no. Forse non si farà vivo.

Non era troppo tardi per scappare. Non aveva firmato un contratto o cose del genere. I soldi erano ancora nella borsa in un angolo della stanza. Avrebbe potuto tirarsi indietro in ogni momento.

“Perché sei qui?” chiese Farley.

Aaron fece un cenno alla telecamera. Non sapeva dove guardare. Decise di guardare verso Farley, che roteò gli occhi. “Ho bisogno di soldi,” rispose.

“È la prima volta che fai porno?”

“Sì.” Aaron guardò la telecamera. “Voglio dire… sono già stato filmato prima, ma…”

“Stai zitto.” Farley aggiunse una lente all'obiettivo. “Questo lo taglierò più tardi. Non sono qui per ascoltare la storia della tua vita.”

Aaron sospirò. Avrebbe potuto andarsene, tornare a casa il più velocemente possibile, fare una lunga doccia calda e poi dimenticare che tutto quello fosse mai accaduto.

“Sei gay?”

“No”, rispose Aaron.

“Allora cosa ti ha portato qui?” chiese Farley.

“Il denaro.”

Farley avvicinò l'inquadratura. “È anche lontanamente possibile per te assomigliare meno a un gorilla di montagna arrabbiato e più a un twink vergine?” chiese. “Capisco che il tuo QI arriva solo a eguagliare quello di un primate deficiente, ma sicuramente puoi seguire le istruzioni di base.”

Aaron lo fissò. “Che cos'è un twink?”

“Oh Gesù”, sospirò Farley. “Va bene. Non importa.” Fece un'altra pausa. “Perché hai bisogno di soldi?”

“Eh…” iniziò Aaron. “È… è una faccenda privata.”

“Fidanzata?” chiese Farley.

“No,” rispose Aaron.

“Di' solo che è per la tua ragazza.”

“È per la mia ragazza.”

Farley alzò gli occhi al cielo. “Hai mai succhiato un cazzo prima, Aaron?”

“No.”

“Hai mai pensato di farlo?”

Aaron lanciò un'occhiata da Farley alla telecamera. “Sì.”

“Parlamene.”

“È… è stato molto tempo fa.”

“Spiegati meglio.”

“Mi sono incuriosito al liceo”, rispose Aaron. “Non è niente di che.”

“Uomo di poche parole”, disse Farley. “Va bene. Non avrai bisogno di parlare molto oggi. Hai mai pensato di prendere un cazzo nel culo?”

“Suppongo di sì.”

“Hai idea di quello che ti aspetta?”

“Ho cercato un po' su Google.” Aaron aveva trascorso l'intera settimana prima di quel giorno a setacciare Internet in cerca di consigli. Aveva fatto sette docce negli ultimi tre giorni e non mangiava da due. Si era detto che era solo accurato, che non era perché aveva perso l'appetito o perché si era sentito sporco dopo aver riattaccato il telefono per confermare l'incontro. Si era detto che era solo sesso. Agli uomini piace il sesso. Il sesso non era un grosso problema.

Farley prese un foglio di carta dalla scrivania dietro di sé. “Sai cosa rende la mia attività una società di produzione così speciale?”

“La tua personalità calda e frizzante?”

Farley sorrise mentre guardava in basso. “L'autenticità”, rispose. “Tutto è consensuale, ovviamente. Uomini come te entrano per qualsiasi motivo – compensando eccessivamente i loro nervi con la spavalderia maschile, – ma non se ne vanno finché tutte le parti non sono state completamente soddisfatte.”

“Sì, vuoi che i video vendano bene”, disse Aaron. “C'era scritto nella email.” Aveva trovato quel 'lavoro' online. L'annuncio era vago, ma promettevano un sacco di soldi per due ore di lavoro. Aaron aveva inviato loro una email, li aveva chiamati, poi si era presentato di persona. Farley gli aveva persino mostrato i soldi prima che Aaron si togliesse i vestiti. Non era affatto una messa in scena di alta classe, era solo ciò che ci si aspettava da una “chiamata per attori di film per adulti”. Probabilmente avrebbe dovuto dire a qualcuno dov'era nel caso le cose fossero andate male, ma poi qualcuno avrebbe saputo quello che stava facendo.

“Nessun falso orgasmo”, continuò Farley. “Al nostro pubblico piace sapere che ciò che provi è reale.”

“Va bene”, disse Aaron.

“La tua safe word per questo Dom è pietà. Usala con saggezza. Se le cose non andranno bene, sceglierò qualcuno che penso avrà più successo di te.”

Aaron annuì. Si sentiva un po' nauseato e chiuse gli occhi per un momento.

“Mi hai letto nel pensiero”, disse Farley. Attraversò la stanza e lanciò ad Aaron un pezzo di stoffa. “Legalo stretto sopra gli occhi e non sbirciare.”

Aaron si morse il labbro, ma fece come gli era stato detto. “Così?” All'improvviso qualcosa di morbido lo colpì in faccia. “Che diavolo?” sbottò. Armeggiò con quello che sembrava un cuscino e lo gettò di lato.

“Mi sto solo assicurando che tu non riesca a vedere.”

“Dannazione”, mormorò Aaron. Sentì la porta aprirsi, poi Farley tornare alla sua posizione vicino alla telecamera e infine un'altra serie di passi avvicinarsi al letto.

Non è troppo tardi. Manda tutto al diavolo e torna a casa. Nessuno saprà mai che sono stato qui. Posso trovare i soldi da qualche altra parte.

“Ciao, Aaron,” disse una voce profonda. Una mano ferma e ruvida gli passò tra i capelli. “Hai idea di cosa stai facendo?” chiese l'uomo… il Padrone.

“No,” sussurrò Aaron.

Farley tossì.

“No, Signore”, si corresse Aaron. Poteva sentire il proprio corpo tremare, ma si disse che stava solo giocando. Farley gli aveva detto di essere un twig… un twing… qualcosa di virginale, insomma. Stava solo recitando. Non aveva paura.

Il Padrone fece scorrere il pollice sulle labbra di Aaron. “Apri la bocca,” disse. Aaron obbedì.

Il Padrone spinse la sua gamba tra le ginocchia di Aaron, costringendo le sue gambe ad aprirsi. “Mani dietro la schiena”, ordinò.

Di nuovo, obbedì.

Corri. Non ne vale la pena. Vendi un rene. Dona il tuo sperma a una donna ricca. Impara a fare il giocoliere e unisciti a un circo.

Qualcosa di caldo e umido toccò le labbra di Aaron e lui sussultò. Il Padrone fece scorrere di nuovo le dita tra i capelli di Aaron e lo tenne fermo. Un bacio. Il Dom lo stava baciando. Lasciò una scia di baci fino all'orecchio di Aaron.

“Tutto bene?” sussurrò il Dom.

Aaron piegò la testa di lato. “Sì”, rispose. “Scusate. I nervi.”

“Fammi sapere se ti senti a disagio”, sussurrò il Dom. Mordicchiò il collo di Aaron.

“La safe word è pietà, giusto?” chiese Aaron.

“Giusto.” Il Padrone lo baciò di nuovo e sussurrò contro le sue labbra: “Ti giuro che non ti farò del male.” Si alzò, le dita ancora una volta impigliate nei capelli di Aaron. “Apri la bocca” ordinò di nuovo.

Aaron fece come gli era stato detto, e questa volta era sicuro al novanta per cento che quello che stava per entrargli in bocca fosse un cazzo. Una rapida spinta del Dom confermò i suoi sospetti. All'inizio il Padrone andò lento, mantenendo i movimenti calmi e leggeri. Le sue dita ancora stringevano i capelli di Aaron mentre con l'altra mano gli accarezzava la guancia.

Nonostante sapesse che quello che stava facendo avrebbe potuto rovinare in mille modi diversi e orribili la sua vita, Aaron era sorprendentemente rilassato.

Succhialo. Fallo venire. Poi vai a casa. Non è così male. Manca solo un'ora e mezza.

All'improvviso, Farley fece schioccare qualcosa. “Taglia”, disse.

Il Padrone si allontanò da Aaron. “Qual è il problema? Stai girando da meno di un minuto.”

“Il suo piccolo cazzo floscio e triste, ecco qual è il problema”, disse Farley. “Nessuno vuole vedere una cosa del genere.”

“Dagli un po' di tempo”, disse il Dom. “È nervoso.”

“Scusatemi”, disse Aaron, intuendo che i soldi erano in pericolo. “Posso avere un'erezione.” Si prese l'uccello in mano e cercò di reagire.

Mi stanno guardando. Diventa duro. Vieni. Prendi i soldi. Vattene. Porta il denaro a Daniel.

Aaron si sentì di nuovo nauseato. Se suo fratello minore avesse avuto la minima idea della provenienza di quei soldi, probabilmente non avrebbe mai più parlato con Aaron.

Se papà sapesse…

Se Robert Beaumont lo avesse saputo, si sarebbe assicurato che Aaron non rivedesse mai più Daniel.

“Questo è patetico”, disse Farley.

“Fammi provare”, disse il Dom. “Aaron, sdraiati sulla schiena.”

“Che cosa hai intenzione di fare?” chiese Farley.

“Tutto questo è difficile da sopportare per lui”, rispose il Padrone. “Dobbiamo aiutarlo a rilassarsi”.

“Non voglio sprecare il vostro tempo”, intervenne Aaron. “Posso farlo io.”

“Eppure eccoti qui, a sprecare il mio tempo”, disse Farley. Poi sospiro. “Silas, concedici un momento, ti va?”

“No. Possiamo aiutarlo a… chi stai chiamando?” chiese il Dom.

Farley doveva aver preso il telefono. Zittì il Dom. “Manda qui Regina. Ha l'attrezzatura per il bondage. Dille che abbiamo bisogno di Ralph.”

“Questa non è una scena di bondage,” disse il Dom.

“Tieni il tuo culo fuori da tutto questo”, disse Farley. “Regina saprà cosa fare con lui. Ora esci.”

Il Dom fece di nuovo scorrere le dita tra i capelli di Aaron. Era piacevole, ma non impedì ad Aaron di tremare.

“Posso farlo io” mormorò Aaron.

Il Dom tolse la benda dai suoi occhi e si inginocchiò tra le sue gambe. Mise una mano sulla coscia di Aaron e fece dei piccoli cerchi sui muscoli con il pollice.

Anche il Padrone era nudo. Aveva i capelli scuri e disordinati. I suoi occhi erano di un azzurro gelido e bellissimo. Lui era bellissimo.

“Questo tipo di lavoro non è per tutti”, disse il Dom. “Non c'è niente di cui vergognarsi se vuoi andartene perché non ti senti a tuo agio.”

“No”, disse Aaron. “Posso farlo.”

“Per l'amor di Dio,” sbottò Farley, “alzati. Avrei dovuto accoppiarlo con Ralph fin dall'inizio.”

“Non metterlo in coppia con Ralph. È troppo rude”, disse il Dom.

Farley alzò gli occhi al cielo. “Non puoi innamorarti di ogni piccolo verginello con gli occhi da cerbiatto.”

“Ti ho già detto che non dovremmo lavorare con i dilettanti”, rispose il Padrone. “È troppo rischioso.”

Farley mormorò qualcosa che suonava come 'il complesso del cavaliere dall'armatura scintillante' e si rimise il telefono in tasca. “Nuova regola”, disse. “Ogni volta che proponi una scena o una ambientazione per avere un po' di cuore con gli attori, prendo un dollaro dal tuo stipendio.”

“Questo non è giusto” disse Aaron.

“Ignoralo,” disse il Dom. “Deve essere meschino per sopravvivere, allo stesso modo in cui uno squalo deve continuare a nuotare per poter vivere.”

La porta si aprì. Una donna entrò portando un grande borsone e un uomo alto e con la barba trasandata la seguì.

“È arrivata la cavalleria”, disse Farley. “Silas, vattene.”

“No, io…”

“Vuoi che sottragga i soldi anche al verginello?” chiese Farley. “Ha bisogno di qualcuno più forte.”

“Allora perché scegliere me in primo luogo?” chiese il Dom.

“Volevo essere gentile”, sbottò Farley.

Il Dom si voltò di nuovo verso Aaron. “Puoi ancora dire di no.”

“Vattene adesso, o verrai licenziato”, disse Farley.

“Vai”, disse Aaron. “Ci penso io, qui.” Cercò di forzare un sorriso.

Il Dom scrutò i suoi occhi.

“Che ne dici di questo”, propose Farley. “Puoi restare, rallentare la produzione e assicurarti che questo prezioso ragazzo non venga ferito, e io in cambio gli taglierò la paga della metà e per oggi tu non sarai affatto pagato."

“No,” disse Aaron in fretta. Spinse via il Dom. “Vattene. So quello che sto facendo.”

Il Dom si alzò in piedi e fece un passo indietro.

“Vattene”, ripeté Aaron. Nessun contratto. Nessun testimone. Certo che quegli uomini potevano tagliargli lo stipendio come se niente fosse. Non era esattamente un membro del sindacato dei lavoratori del porno amatoriale.

Il Dom strinse la mascella. Si voltò, puntò un dito contro l'uomo appena entrato nella stanza e sussurrò qualcosa.

L'uomo lo ignorò. Il Dom se ne andò, sbattendo la porta dietro di sé.

“Chiudila a chiave”, disse Farley. Poi si rivolse ad Aaron. “Mi dispiace per tutto questo. Non eri quello che mi aspettavo. Normalmente una ripresa di due ore richiede solo due ore.”

Aaron guardò l'orologio sul comodino. “Sono passati solo quarantacinque minuti”, disse.

“E, di quei quarantacinque minuti, ne ho solo tre utilizzabili, e si tratta comunque della tua impacciata presentazione.”

Merda.

“Quindi, quanto manca?” chiese Aaron.

Farley guardò l'orologio. “Due ore. Forse meno. Non preoccuparti. Ralph è molto bravo.”

Lo sconosciuto, presumibilmente Ralph, si avvicinò ad Aaron. “Vuoi che sia veloce o vuoi divertirti?” chiese.

“Quanto veloce è veloce?” rispose Aaron.

“Due ore. Forse meno.” L'uomo fece eco a Farley.

“E se volessi divertirmi?”

“Nessuna garanzia che lo farai.”

Aaron fece un respiro profondo. “Veloce”, rispose.

“Bene. Sono il tuo nuovo Dom. Chiamami Signore. Ti è permesso parlare, ma devi mostrarmi rispetto o sarai punito. Capito?”

“Sì,” rispose Aaron.

Ralph lo afferrò per i capelli, lo fece voltare sullo stomaco e gli sbatté la faccia contro il materasso. Schiaffeggiò il culo di Aaron così forte che era sicuro che avrebbe lasciato un livido.

“Figlio di puttana”, gridò Aaron. “Sì, Signore. Fanculo.”

Ralph lo colpì di nuovo, più forte.

“Dio santo”, disse Aaron. “Cosa diavo…”

Ralph lo colpì di nuovo.

Aaron si morse la lingua. Dopo un momento di silenzio, Ralph tirò fuori la faccia di Aaron dal materasso. “Sai cosa hai fatto di sbagliato?” chiese.

“Sì, Signore”, disse Aaron.

“Sei inutile. Capito?"

“Sì, Signore."

“Sei mio."

“Sì, Signore.”


Capitolo Due

Safe Word

Ralph prese la benda e la legò sopra gli occhi di Aaron.

Era troppo stretta, il suo cazzo era ancora molle e il culo adesso gli faceva male. Si concentrò sulla mazzetta di contanti che lo aspettava in un angolo della stanza. Due ore. Solo altre due ore.

Ralph afferrò i polsi di Aaron. “Corda,” disse. Legò le braccia di Aaron dietro la sua schiena, il che probabilmente era un bene. Aaron non era sicuro di poter resistere all'impulso di colpire quell'uomo in faccia, visto come stava andando la sessione.

Fece rotolare Aaron sulla schiena. “Farley, segnati questa scena da tagliare. Potrebbe urlare. Regina, occupatene tu.”

Qualcuno gli afferrò l'uccello e iniziò a masturbarlo. Arron pensava che fosse Regina ma, sorpresa sorpresa, non ebbe molto più successo nel farglielo drizzare. La sentì spalmare quello che sperava fosse lubrificante sul cazzo.

Ricordati Ashley. Lo faceva sempre anche lei. Era fantastica… e propositiva. Pensa ad Ashley.

Qualcosa gli circondò le palle e la base dell'uccello. Aaron sussultò.

“Abbastanza stretto,” disse Regina. “Lo legherò qui. Sei tu il padrone di tutto il resto. Non verrà fino a quando non lo vorrai.”

“Cosa stai…”

Ralph gli fu addosso prima che potesse finire la frase. Gli tirò forte i capelli e allo stesso tempo gli pizzicò un capezzolo. Lo torse così forte tra le dita che Aaron temette la pelle si sarebbe strappata.

“Basta,” disse Aaron.

Ralph lo torse di nuovo, più forte.

La corda intorno al suo uccello si strinse. Aaron cercò di divincolarsi ma era sdraiato sulle braccia. Diede un calcio al letto nel tentativo di allontanarsi.

Ralph gli lasciò andare il capezzolo e lo spinse sullo stomaco. Aaron sentì un ginocchio premergli in mezzo alle scapole. Aveva il cazzo duro adesso, ma gli faceva anche male.

“Sbarra,” ordinò Ralph.

“Basta,” ansimò Aaron. “Non voglio farlo.”

Non riusciva a capire quante mani lo stessero toccando, ora, ma riuscirono a tenerlo fermo e a divaricargli le gambe.

“Pietà,” gridò Aaron. “Pietà, per favore. Non posso.”

Ralph lo schiaffeggiò di nuovo, il che, a quel punto, era più umiliante che doloroso.

“Dio santo, smettila!”

Ralph lo colpì ancora e ancora. Qualcosa di duro e freddo venne incastrato tra le caviglie di Aaron, che le sentì venire circondate da quelle che sembravano manette. Ralph non aveva smesso di picchiarlo e Aaron sentiva qualcuno ridere.

“Pietà,” gridò ancora Aaron. “Non è questa la safe word?” Sentiva le lacrime agli occhi… per colpa del dolore, della vergogna o di qualcos'altro, non ne era del tutto sicuro.

Ralph smise di colpirlo. “Passami il bavaglio.”

“No!” gemette Aaron.

“Allora stai zitto.”

“Qual è la safe word?” chiese Aaron. “Dico davvero, non credo di poterlo fare. Tenetevi i soldi. Lasciatemi andare.”

Qualcosa di scivoloso gli passò tra le natiche. “Che cazzo era quello?!”

Farley rise. “Per quanto tutto questo sia divertente, quanto tempo ci vorrà prima che io possa registrare qualcosa da usare?”

“Un minuto, promesso,” rispose Ralph.

Quel qualcosa scivolò di nuovo tra le natiche di Aaron, sfiorandogli l'apertura. Un dito. Doveva essere un dito. Aaron cercò di ritrarsi ma la sbarra doveva essere stata agganciata da qualche parte vicino al letto, perché non riuscì a muoversi che di pochi millimetri. Il ginocchio di Ralph era ancora premuto contro la sua schiena.

Aaron stava perdendo la sensibilità nelle braccia. Il suo cuore batteva così velocemente da soffocarlo. E doveva anche ricordarsi come si faceva a respirare.

“Non voglio farlo,” ripeté. “Lasciatemi andare. Tenetevi i soldi ma lasciatemi andare.”

All'improvviso Ralph smise di sfiorarlo e gli infilò un dito dentro. Aaron urlò.

Ralph mosse il dito, affondandolo e ritraendolo in un ritmo persistente.

“Registra,” ordinò. Premette con forza contro lo stretto anello di muscoli e inserì un altro dito. Bruciava.

Aaron era sicuro di stare sanguinando. Si schiacciò contro il letto e sussultò quando l'uccello premette contro il materasso. Aaron sentiva le dita di Ralph muoversi dentro e fuori. Le sentiva premere, allargarlo, torcerlo. Un dito si piegò e toccò qualcosa che gli fece vedere le stelle. Iniziò a piangere, ogni parvenza di dignità ormai sparita.

Ralph colpì ripetutamente quel punto, poi aggiunse un terzo dito. Aaron stava tremando ovunque. Aveva caldo. Ogni ondata di piacere provocata da quelle dita era subito seguita da una di nausea. La sua bocca si riempì di saliva e sale. Stava per vomitare. Stava per essere inculato lì, legato a un letto, nel suo stesso vomito, e sarebbe venuto come una vera puttana. E tutto sarebbe stato caricato online, in modo che migliaia di persone potessero vederlo. Aaron Beaumont è stato scopato nel culo e l'ha adorato. Aaron Beaumont è una puttana. Aaron Beaumont fa schifo.

Le dita di Ralph si muovevano ancora dentro e fuori dalla sua apertura. Gli strisciavano dentro e lui riusciva a sentire ogni dannato tocco. Tre, poi due, poi tre, tre, due, prostata, indietreggiano, due, tre, prostata, prostata, prostata.

Aaron voltò la testa e vomitò.

Ralph ridacchiò. Farley continuava a registrare, o forse no. Forse a quel punto si stava soltanto divertendo.

“Pietà,” sussurrò Aaron. La puzza di sudore, vomito e sesso era forte. Cercò di allontanarsi dal macello che aveva combinato, ma non riuscì a sfuggire a quell'odore, non riuscì a sfuggire a quelle voci.

“Pietà,” singhiozzò.

“Povero ragazzo,” rispose Ralph. “Non è la mia safe word.”

Aaron non riuscì a capire se urlò ancora. Sentì una risata. Venne colpito con forza sulla schiena. Udì qualcosa sbattere, poi un forte scoppio. Sentì qualcuno gridare. Ralph ritrasse le dita.

Lo stomaco di Aaron si rivoltò ma strinse i denti. Girò la testa in direzione dello scoppio. Era arrivato dalla parte opposta della stanza, quella vicino alla porta. Provò a togliersi la benda dagli occhi ma non ci riuscì.

All'improvviso calò il silenzio.

“Spostati da lui,” ordinò una voce profonda.

“Hai distrutto la telecamera,” protestò Farley.

Ci fu un altro scoppio. Il peso sulla schiena di Aaron sparì di colpo.

“Tutti fuori,” disse la voce.

Aaron udì dei passi. Pochi secondi dopo la benda venne tolta di mezzo e Aaron si ritrovò a fissare dei familiari occhi azzurro ghiaccio. Il Dom di prima adesso era vestito e aveva un lungo cappotto gettato su una spalla.

Il Dom non perse tempo per fargli le classiche domande – “Stai bene?” “Sei ferito?” –, piuttosto lavorò rapidamente per slegarlo. Prima le mani, poi la barra divaricatrice. Infine gli liberò l'uccello. Aaron non osò guardare in basso.

“Torneranno tra poco,” disse il Dom. “Dobbiamo sbrigarci.”

Aaron annuì, sbattendo le palpebre davanti alle luci troppo intense della stanza. Si strinse lo stomaco con le braccia.

“Aggrappati a me,” ordinò il Dom con voce tuttavia gentile. “Ti aiuto io ad alzarti.”

Aaron fece come gli era stato detto. Le sue ginocchia tremavano come impazzite ma le costrinse a collaborare.

Il Dom si tolse il cappotto dalla spalla e lo avvolse intorno ad Aaron. Infilò la pistola nella cintura dei pantaloni neri, poi, con un movimento fluido, sollevò Aaron tra le braccia.

Anche col peso di Aaron, si mosse veloce. Si diresse a passo svelto e sicuro verso la porta. Lasciò andare il ragazzo giusto il tempo di raccogliere la borsa con i soldi dall'angolo in cui era stata appoggiata e i vestiti di Aaron. Gli mise tutto tra le mani, poi lo afferrò saldamente e lo riprese tra le braccia.

Alcune voci echeggiarono nel corridoio dietro di loro. Il Dom si mise a correre e Aaron si aggrappò con forza alle sue spalle. Aprì la porta d'ingresso con un calcio, uscendo nell'aria fresca della notte.

“Qual è la tua auto?”

“Quella nera. Laggiù,” rispose Aaron. Indicò una macchina parcheggiata poco distante.

“Le chiavi?”

Aaron frugò nella pila di vestiti che aveva in grembo e recuperò le chiavi. Il Dom lo appoggiò con gentilezza sull'asfalto e Aaron si strinse i vestiti al petto.

L'uomo gli aprì la portiera, poi si affrettò dal lato del guidatore e si mise al volante. Aaron non aveva neppure le forze necessarie per protestare.

Farley era già davanti all'ingresso dell'edificio, affiancato da Ralph e Dio solo sapeva chi altro.

Il motore si accese ruggendo e il Dom fece retromarcia premendo con forza sull'acceleratore. Procedettero all'indietro fino alla fine del vialetto, raggiungendo la strada principale in pochi secondi. Il Dom mise subito la marcia senza fermarsi neanche per un secondo.

Ce l'avevano fatta. Aaron si voltò indietro, osservando la facciata di quel luogo terribile sparire dietro gli alberi. Si lasciò sprofondare nel sedile.

Lanciò un'occhiata all'uomo che in quel momento stava guidando la sua auto, mentre sentiva l'adrenalina scorrergli con forza nelle vene. “Non so neanche come ti chiami,” mormorò.

“Silas.”

Aaron annuì. “Grazie, Silas. Sono in debito con te.”


Capitolo Tre

Al Sicuro

“Dove vivi?” chiese Silas.

Aaron si premette le mani sugli occhi. “Vai a casa tua. Tornerò alla mia da lì.”

“C'è qualcuno che può prendersi cura di te?”

Aaron deglutì a fatica. Robert doveva essere a casa, a meno che non fosse rimasto ancora al bar. Se davvero c'era un Dio in paradiso, lo avrebbe fatto rimanere ancora a lungo fuori casa per impedirgli di assistere alla caduta di Aaron.

“Lo prendo come un no,” disse Silas.

Aaron doveva aver impiegato troppo tempo per rispondere.

“Mio padre,” disse. “Vivo con mio padre.”

“È sicuro?” domandò Silas. “Si prenderà cura di te?”

“Non preoccuparti.” Si spostò sul sedile e il culo gli inviò una fitta. Il fantasma della mano di Ralph gli toccò la carne martoriata. “Accosta,” farfugliò.

“Che succede?”

Aaron si afferrò lo stomaco. “Accosta e basta,” ringhiò. Silas rallentò e fermò l'auto sul ciglio della strada.

Aaron spalancò di colpo la portiera e si sporse fuori. Aveva voglia di vomitare ma non c'era più niente da buttare fuori. Rimase chinato in avanti, ansimando in cerca d'aria.

Silas gli toccò una spalla e Aaron sussultò così forte che quasi cadde a terra.

“Aaron,” mormorò piano l'uomo.

“Non toccarmi,” ansimò Aaron. Sentiva le mani di Ralph ovunque sul proprio corpo.

'Bravo ragazzo.'

Aaron scese barcollando dall'auto, una mano ancora stretta intorno alla portiera. L'erba fresca e bagnata di rugiada gli accarezzò le ginocchia. Sentì la portiera dal lato del guidatore aprirsi e poi richiudersi.

Silas si inginocchiò in modo da avere gli occhi alla stessa altezza dei suoi. “Penso che dovresti andare al pronto soccorso,” mormorò.

Il pronto soccorso. Non era un'emergenza. Non era stato violentato. Si stava solo comportando come un bambino. Aveva soltanto bisogno di calmarsi. Aveva soltanto bisogno di smettere di tremare. “Sto bene,” rispose. Il suo stomaco sussultò di nuovo.

“Hai bisogno di farti vedere da un dottore.”

“Non posso farlo.”

Non posso permettere a nessuno di vedermi così. E che io sia maledetto se rischierò di farmi riconoscere da qualcuno all'ospedale.

“Allora lascia che ti porti a casa mia,” disse Silas gentilmente. “Ero un medico, una volta. Ma capisco se non ti fidi di me.”

Aaron finalmente riuscì ad alzare lo sguardo dal terreno.

Le sopracciglia di Silas erano aggrottate dalla preoccupazione. La sua espressione in qualche modo faceva sentire ancora più dolore ad Aaron.

“Ho bisogno di sapere cos'è successo – se ti hanno drogato e in che modo ti hanno picchiato – ma non voglio metterti a disagio.”

“Mi ha solo messo alcune dita nel culo e schiaffeggiato un po',” borbottò Aaron. “Ecco tutto. Non mi ha violentato.” Barcollò leggermente e strinse la presa sulla portiera. “Non è un grande problema. Sto solo reagendo in modo esagerato. Ogni tanto lo faccio. Probabilmente per attirare l'attenzione. Ignorami e basta.”

“Aaron.” La voce di Silas era ancora dolce ma adesso conteneva anche una punta di autorità. “Questo è un grosso problema.”

“Non lo è,” ribatté Aaron. Aveva la vista offuscata dalle lacrime e stava per piangere di nuovo, dannazione. Non si meritava di tornare a casa. Non si meritava suo padre o suo fratello.

“Riesci a rientrare in auto?” domandò Silas.

Aaron chiuse gli occhi e annuì.

“Hai bisogno di aiuto?”

Scosse la testa. Il minimo che poteva fare era riuscire ad alzarsi da solo. Si sollevò, sentendo le ginocchia tremare con forza, e si rimise seduto. Silas gli chiuse la portiera e prese di nuovo posto dietro il volante.

“A casa mia?” domandò.

“Sì,” mormorò Aaron.

Silas guidò velocemente. Quando raggiunse il quartiere in cui viveva, fece più volte il giro dell'isolato, dicendo che era il modo migliore per assicurarsi che nessuno li stesse seguendo. Dopodiché, si fermò in un vialetto e parcheggiò la macchina.

“Aaron,” lo chiamò, con voce ancora gentile, “ho bisogno che tu prenda le chiavi e ti sieda al volante con le portiere bloccate. Vado a controllare la casa e il giardino per assicurarmi che siamo davvero soli.”

“Non dovresti andare da solo,” disse Aaron.

Silas sembrava quasi offeso. “Ti giuro che andrà tutto bene.” Gli consegnò le chiavi e prese la pistola. “Se vedi qualcosa di sospetto o qualcuno che non sono io avvicinarsi, non aspettarmi: guida il più lontano possibile e il più velocemente possibile, senza guardarti indietro.”

Col cazzo che lo farò.

“Va bene,” rispose comunque.

Silas annuì, anche se non sembrava del tutto tranquillo. Chiuse la portiera e aspettò che Aaron le avesse bloccate tutte prima di andarsene. La sua figura scomparve rapidamente nell'ombra e Aaron lo perse di vista. I dieci minuti successivi si trascinarono in modo estremamente lento.

Quando la luce del portico si accese, Aaron rilasciò un respiro che non si ricordava neanche di aver trattenuto. Silas ricomparve nel suo campo visivo, alzando un pollice in direzione dell'auto.

Aaron afferrò in fretta i vestiti e la borsa e scese. Silas si offrì di portarlo di nuovo in braccio ma Aaron rifiutò, la sua dignità era stata già calpestata abbastanza per un solo giorno. Silas lo condusse in soggiorno e gli disse di mettersi comodo sul divano mentre andava a chiudere la macchina e il garage.

Pochi minuti dopo era di ritorno. “La tua macchina è al sicuro. Il sistema di allarme è inserito e tutte le porte e le finestre sono bloccate. I sensori in giardino sono attivi e lascio la luce del portico accesa, quindi sarà difficile sgattaiolare in casa senza venire scoperti. Sei al sicuro, qui.”

“Porno attore, dottore, esperto di sicurezza…” elencò Aaron.

“Sono un ex-militare,” gli spiegò Silas.

“Oh. Non ci avevo pensato. Esercito?”

“Una cosa del genere.”

Quello spiegava molte cose. “Eri un medico nell'esercito?” domandò Aaron.

“Sì.” Silas fece il giro del divano. “Posso avvicinarmi?”

“Certo.”

Silas si avvicinò, la testa inclinata e le sopracciglia aggrottate. “Vorrei darti un'occhiata,” disse. “Ma non so se ti aiuterei o peggiorerei la situazione. Sono abituato a trattare i traumi fisici. Con quelli psicologici non ho molta esperienza.”

Aaron appoggiò la testa contro l'imbottitura del divano. Era ancora avvolto nel giubbotto di Silas, e si stringeva il borsone e i vestiti contro il petto. Gli avvenimenti delle ultime ore stavano sul serio iniziando a pesargli addosso. Si sentiva in bilico tra intorpidimento e pazzia. Aveva voglia di urlare.

“Non voglio vomitare sul tuo divano,” disse.

“Penso che il tuo stomaco sia completamente vuoto,” rispose Silas. “Quando è stata l'ultima volta che hai mangiato?”

“Non ne sono sicuro,” mormorò Aaron. “L'altro ieri?”

“Gesù,” sospirò Silas. “Hai bisogno di mangiare… niente di pesante, ovviamente, ma il tuo corpo ha bisogno di energie. Ti consiglio di farti una doccia, o un bagno se ti senti troppo debole, poi vorrei visitarti e dopo ancora darti da mangiare.”

“Va bene.”

Silas lo guardò. “Posso accompagnarti in bagno?”

“Sì.”

'Sì, signore.'

Aaron si coprì il viso con le mani. Trenta docce non sarebbero state sufficienti neppure per iniziare a lavare via quello che era successo. Era sporco. Ma avrebbe dovuto imparare a conviverci.

Permise a Silas di trascinarlo in piedi e di accompagnarlo in bagno.

“Doccia o vasca?” domandò Silas.

“Doccia,” rispose subito Aaron. “Non voglio rimanere immerso nella sporcizia.”

Silas fece scorrere lentamente il pollice sulla spalla di Aaron, poi aprì l'acqua e controllò la temperatura. “Hai bisogno di aiuto per lavarti?”

Aaron guardò il pavimento piastrellato e sentì come se la sua testa fosse diventata troppo pesante per poter essere sollevata. “No,” borbottò.

“Sei sicuro? Ho già aiutato molti pazienti a lavarsi. Non ti farò del male.”

Aaron trattenne un singhiozzo. Avrebbe dovuto dare ascolto a Silas quando gli aveva detto che Ralph era rude. Avrebbe dovuto insistere per restare con Silas. Non avrebbe dovuto dare ascolto alla propria avidità. Avrebbe dovuto accontentarsi della riduzione di denaro ma stare bene.

“La safe word non ha funzionato,” sussurrò Aaron, con lo sguardo sempre rivolto al pavimento. “L'ho detta, ma…” Trattenne un altro singhiozzo. Il rumore della doccia in sottofondo gli rendeva più facile parlare, faceva sembrare la sua voce più leggera e distante.

“Sono dei mostri,” disse Silas. “Non avrei dovuto lasciarti solo con loro.”

“Come puoi lavorare con persone del genere?” chiese Aaron. Si pentì delle proprie parole appena le ebbe pronunciate. Silas non era un mostro. Non avrebbe dovuto accostarlo a loro.

“Ho lavorato con loro per due settimane,” rispose Silas. “Questa è stata la prima volta che li ho visti fare qualcosa di così brutto. Anche se probabilmente sparare al regista e al Dom di turno mi farà ricevere una lettera di licenziamento molto presto.”

Aaron rise. Quella risata lo fece sentire un po' meglio, come se gli avvenimenti di quel giorno avessero fatto un piccolo passo indietro.

Alzò lo sguardo su Silas, che gli rivolse un mezzo sorriso venato di tristezza prima di dire: “Devo confessare che sono in parte, se non del tutto, responsabile di quello che ti è successo.”

“Come può essere colpa tua?”

“Ripicca,” rispose Silas. “Dicono che ci metto troppo tempo e che le mie scene non sono convincenti. Ti hanno punito per punire me.”

“Ne dubito,” lo contraddisse Aaron. “Farley era già piuttosto incazzato prima che tu entrassi nella stanza.”

Silas sospirò. “Mi dispiace così tanto averti lasciato da solo con loro. Sapevo che non avrei dovuto farlo, ma l'ho fatto lo stesso.”

“Non è colpa tua,” disse Aaron. “Ti ho detto io di andartene.”

Me la sono cercata. È stata colpa mia.

Aaron tornò a fissare il pavimento.

La mano di Silas era ancora appoggiata sulla sua spalla. “Non gli permetterò di farti ancora del male.”

Aaron annuì, ma si allontanò dal suo tocco.

Silas lo lasciò andare. “Chiamami se hai bisogno di aiuto.”

“Lo farò.”

Senza aggiungere altro, Silas si voltò e lasciò la stanza, chiudendosi la porta del bagno alle spalle.


Capitolo Quattro

Minestra e Cappotto

Aaron strofinò il proprio corpo fin quasi a scorticarsi vivo. Il suo uccello era dolorante e l'acqua calda gli pungeva la pelle dove Ralph lo aveva colpito. Si appoggiò alle piastrelle e ruotò la manopola fino a quando l'acqua diventò quasi troppo calda e il vapore così denso da impedirgli di respirare. Il bruciore dell'acqua annullava il ricordo del dolore causato da Ralph. Nella propria mente cercò di convincersi che la sofferenza che provava era dovuta all'acqua bollente. La doccia era troppo calda. Era un dolore che poteva controllare.

Da solo, a occhi chiusi e sotto il potente getto d'acqua, la sua mente iniziò a vagare e gli sembrò quasi di essere a casa propria e che non fosse accaduto niente, come se le ultime ventiquattro ore non fossero mai esistite.

Quando uscì dalla doccia, la sua pelle era arrossata e dolorante. Si asciugò e vide che Silas aveva lasciato per lui due pile di vestiti sulla tavoletta del water. La prima comprendeva i suoi vestiti, quelli che aveva indossato per le riprese. L'altro mucchietto era sconosciuto, morbido e profumava di pulito. Optò per i vestiti nuovi. Era quasi certo che avrebbe bruciato i propri appena ne avesse avuta la possibilità.

Iniziò a vestirsi, poi però si ricordò che Silas aveva detto qualcosa sul dargli un'occhiata. Per qualche ragione che non capiva, il pensiero di vestirsi e poi spogliarsi davanti a qualcuno gli faceva paura. Si avvolse un asciugamano intorno alla vita e si piegò sul lavandino.

Un lieve bussare risuonò nella stanza. “Ti ho sentito chiudere l'acqua,” disse la voce di Silas. “Va ancora tutto bene?”

Per un breve, orribile momento Aaron desiderò aprire la porta con un calcio e picchiare Silas fino a farlo sanguinare. Un'altra domanda, un'altra frase piena di preoccupazione, un'altra implicazione che Aaron fosse troppo debole per comportarsi in modo normale… Poi, con la stessa rapidità con cui era apparsa, la rabbia sparì.

“Aaron?”

“Sto bene,” rispose. “Puoi fare in fretta a darmi un'occhiata?”

“Sei sicuro di volerlo fare?” domandò Silas, sempre parlando attraverso la porta.

“No, ma probabilmente è la cosa migliore, vero?”

Silas fece una pausa. “Non ne sono sicuro,” rispose sinceramente. “Non ho mai avuto a che fare con una vittima di stupro, prima d'ora. Non voglio farti…”

Aaron afferrò il portaspazzolino dal bordo del lavandino e lo lanciò contro il muro. Il contenitore, che si rivelò essere di ceramica, andò in frantumi.

“Non sono stato violentato!” urlò Aaron.

Silas aprì la porta, guardandolo con gli occhi spalancati.

Aaron lo fissò, poi guardò i frammenti di ceramica sul pavimento. Si allontanò dalla porta fino a quando andò a sbattere contro la parete. Scivolò lungo il muro fino a ritrovarsi seduto, il viso stretto tra le mani.

Percepì Silas avvicinarsi e sedersi al suo fianco.

“Scusami,” disse Silas. “Non sono famoso per le mie buone maniere.”

“Non è colpa tua,” mormorò Aaron. “Sono solo un po' incasinato, in questo momento.”

“Hai tutto il diritto di esserlo,” rispose l'altro. “Non dovrei metterti fretta.”

“Ti comprerò un nuovo spazzolino. E anche un contenitore.”

“Questa è davvero l'ultima delle mie preoccupazioni, al momento,” lo rassicurò Silas. “Te la senti di mangiare un po' di minestra?”

Aaron sbuffò. “Sinceramente prima vorrei che mi dessi un'occhiata. Penso di stare sanguinando, e non voglio macchiarti i vestiti. E sicuramente non voglio continuare a rimanere nudo e seduto sul pavimento di un bagno.”

“Va bene,” disse Silas. “Assumi qualche farmaco?”

“L'alcol conta?”

“No. Beh, tecnicamente no. Ma ne prendo nota.”

“Allora no, non assumo niente.”

“Che ne dici degli integratori? Sia da banco che da erboristeria?”

“No. Solo alcol.”

Silas annuì e si alzò. Spinse di lato alcuni frammenti di ceramica e frugò nell'armadietto dei medicinali sopra il lavandino. Recuperò diverse bottigliette, poi indicò la porta con la testa. “Vieni con me.”

Aaron si tirò su e seguì Silas in soggiorno. C'erano una ciotola di acqua calda e un asciugamano sul tavolo, oltre a un grosso kit di pronto soccorso organizzato in modo quasi maniacale.

Silas notò che Aaron stava guardando i medicinali mentre appoggiava i flaconcini di pillole sul tavolo. “Volevo che fosse già tutto pronto, per fare più in fretta possibile,” disse. Aprì una delle bottigliette e si fece cadere una pastiglia sul palmo. “Hai mai assunto lo Xanax prima d'ora?”

“No.”

Gli porse la pastiglia. “Questa è la dose da un milligrammo. Ti aiuterà con l'ansia e lo stress. Potresti sentirti un po' assonnato. Se la tua vista inizia ad oscurarsi, o ti senti confuso in qualche modo, dimmelo subito.”

Aaron esitò prima di prendere la pillola tra le dita.

“Non devi prenderla per forza,” disse Silas. “Te l'ho data solo per aiutarti a calmare i nervi.”

Aaron la afferrò. Fino a quel momento si era fidato di Silas, che lo aveva aiutato. Senza indugiare oltre, la ingoiò, poi si mise in attesa di una reazione, sentendosi uno stupido quando non accadde nulla – non poteva avere una reazione immediata, no? Uno schiocco catturò la sua attenzione.

Silas si stava mettendo dei guanti di lattice. “Pensavo di controllare prima il tuo ano,” gli spiegò. All'improvviso sembrò avere difficoltà a mantenere il contatto visivo. “Il resto dell'esame sarà molto meno invasivo.”

“Facciamolo e basta,” sbottò Aaron. “Devo piegarmi e afferrarmi le caviglie?” Cercò di ridere ma la risata gli si strozzò in gola. Evidentemente il suo cervello pensava che fosse ancora troppo presto per fare delle battute.

“Se potessi sdraiarti su un fianco con le ginocchia divaricate, penso che sarebbe meglio,” disse Silas. Gli porse un cuscino e stese un asciugamano sull'imbottitura.

Aaron non seppe cosa rispondere, quindi rimase in silenzio e si stese come gli aveva detto Silas, infilandosi il cuscino tra le ginocchia.

“È importante che tu mi dica come ti senti mentre ti esamino,” gli spiegò Silas. “Se ti faccio male, dimmelo. Se ti senti a disagio, dimmelo. Se ti senti incapace di continuare, dimmelo.”

“Sono a disagio dalle cinque di questo pomeriggio,” ribatté Aaron con un grugnito.

“Sto per toccarti,” disse Silas. “Solo all'esterno. Ti aprirò soltanto le natiche.”

Aaron gemette e prese fiato. “Fammi un favore,” sbottò. “Evita di raccontare tutto per filo e per segno.”

“D'accordo,” gli assicurò Silas. Dopodiché tenne la bocca chiusa. Le sue dita erano scivolose, ma non appiccicose come quelle di Ralph. Le sue mani erano calde e decise, ma ancora gentili. Non era invasivo né brusco. Se Aaron sussultava, si fermava per un paio di secondi prima di continuare. L'intero esame durò più o meno cinque minuti.

“L'apertura è un po' lacerata,” disse Silas. “Guarirà da sola, ma vorrei applicare una pomata per alleviare il dolore e prevenire un'infezione.”

“Va bene,” rispose Aaron. Aveva il viso girato nell'altra direzione e guardava i cuscini azzurri del divano. Se ne tirò uno vicino al petto, come per proteggersi.

“Vorrei anche applicare una crema sulle natiche dove Ralph ti ha colpito. La pelle non è ferita ma molto arrossata. La crema ti aiuterà col dolore.”

“Va bene,” ripeté Aaron.

Sentì Silas toccargli il culo, poi allargargli di nuovo le natiche e sfregargli qualcosa di fresco contro l'apertura. Impiegò meno di trenta secondi per fare tutto.

Silas si tolse i guanti. “Puoi voltarti lentamente, adesso.”

Aaron si girò e trovò Silas pronto a coprirlo con un asciugamano tiepido.

“Devo controllare anche la presenza di lividi e segni di traumi sul pene e sui testicoli,” gli disse l'uomo.

Aaron fissò il cuscino.

“Te lo ripeto, la comunicazione è fondamentale.”

“Va bene,” bofonchiò allora Aaron.

Silas si infilò un altro paio di guanti e sollevò l'asciugamano dal suo inguine. Aprì delicatamente le ginocchia di Aaron, in modo molto simile a come aveva fatto quando si erano incontrati per la prima volta quel pomeriggio, quando era stato “Padrone” e non “Silas”.

Aaron era vagamente consapevole che le sue ginocchia stavano tremando.

“Quanti anni hai?” domandò Silas.

“Ventuno.”

“Da quanto tempo possiedi quell'auto?” chiese, mentre sollevava il pene di Aaron.

Aaron cercò di non sussultare. “Papà me l'ha regalata lo scorso anno.”

“Da quanto tempo vivi in città?” Premette delicatamente i polpastrelli sulla base.

“Abbiamo vissuto qui di tanto in tanto. Dopo un paio d'anni ce ne andiamo e dopo un altro paio ritorniamo.”

“Hai altri familiari nelle vicinanze?”

“Mio fratello minore,” rispose Aaron.

Silas gli alzò le ginocchia, facendogli cenno di rilassare di nuovo le gambe. “Quanti anni ha?”

“Diciassette,” rispose Aaron. “Andrà al college il prossimo autunno.”

Annuendo, Silas gli coprì di nuovo l'inguine con l'asciugamano e si tolse i guanti. “Ha già deciso che cosa studierà?”

“Legge,” rispose. Abbassò lo sguardo su Silas, che si era seduto sul bordo del divano.

“Deve essere bello avere un futuro avvocato in famiglia,” commentò.

“Sì. È anche molto intelligente. Non ho proprio idea da chi abbia preso quel cervello. Deve essere una eredità della famiglia di mamma.” Prese aria bruscamente appena la parola mamma ebbe lasciato le sue labbra.

Per fortuna Silas non insistette oltre. “Devi essere molto orgoglioso di lui.”

“Lo sono.”

“Vado a prenderti dei vestiti. Credi di poter mangiare qualcosa, adesso?”

Lo stomaco di Aaron rispose al posto suo, quasi ruggendo.

Silas sorrise e si alzò. Tornò pochi secondi dopo con i vestiti che avevano lasciato in bagno. “Vado a scaldare un po' di minestra. Hai qualche allergia?”

“No,” rispose Aaron.

“Sei vegano o vegetariano?”

Aaron rise. “No.”

“Bene. Vestiti mentre vado a prendere due piatti.”

Aaron non era sicuro del perché Silas fosse rimasto nella modalità medico sicuro di sé invece di tornare a quella di chioccia iperprotettiva, ma accolse con favore quel comportamento. Forse aveva qualcosa a che vedere col modo in cui aveva lanciato oggetti contro il muro poco prima.

Si alzò dal divano e si infilò un paio di boxer di Silas. Udì un suono raschiante nel corridoio e si sentì un po' in colpa. Probabilmente stava pulendo il casino che aveva combinato.

I pantaloni della tuta erano morbidi e consunti. Si adattarono perfettamente ai fianchi di Aaron, che poté solo immaginare come pendessero da quelli più magri di Silas. Era snello e di poco più basso di Aaron. La maglietta era un po' aderente, ma anche morbida. Aaron osservò il cappotto appeso all'attaccapanni nell'ingresso. Sentì uno strano bisogno di avvolgerselo intorno al corpo.

Fallo e basta. Ti ha messo della crema sul culo come se fossi un bambino. Se questo non ha attraversato la linea del 'e che cazzo', dubito che lo farà indossare il suo cappotto.

Aaron si sentiva un po' intontito mentre si avvicinava all'appendiabiti, ma non ci fece caso.

Forse era lo Xanax a parlare. Qualunque cosa fosse, gli piaceva. Si infilò il cappotto e se lo avvolse stretto intorno al petto, stringendolo così tanto da rischiare di non respirare. Come i pantaloni, anche il cappotto si adattava meglio alla figura di Aaron che a quella di Silas. Dovevano piacergli gli abiti comodi.

Ovviamente Silas scelse proprio quel momento per tornare.

“Ho del manzo con le verdure oppure dei noodle di… oh,” disse Silas, inclinando la testa di lato.

Aaron stava per spiegargli la situazione, ma Silas lo anticipò.

“O dei noodle di pollo,” concluse. “Lo ammetto, non ho mai imparato a fare molto altro oltre a uova e toast, e il più delle volte bruciacchio anche quelli. Spero che la zuppa in scatola vada bene.”

“Non sono schizzinoso,” rispose Aaron, ancora avvolto completamente dal cappotto.

“Vuoi mangiare sul divano oppure in cucina?” chiese Silas. “Se posso darti un consiglio, ti suggerisco il divano, è più morbido.”

“Uh, sì… va bene il divano,” disse Aaron. “Ecco… avrei dovuto chiederti il permesso.” Fece un mezzo gesto verso il cappotto. “Io… non ho… non so perché l'ho fatto.”

“Non hai bisogno di dire niente. Per quanto mi riguarda, questo è il tuo spazio sicuro e puoi fare quello che vuoi. Ciò che è mio è anche tuo.” Le sue guance si colorarono all'improvviso di un rosa acceso. “Sono felice di possedere qualcosa che ti dia un po' di conforto.”

Aaron sentì l'impulso irrefrenabile di correre verso di lui e seppellire il viso nel suo collo, di abbracciarlo e farsi abbracciare. Invece, strinse più forte il cappotto. “Oggi mi hai salvato,” disse con calma. “Spero tu te ne renda conto.”

Le sopracciglia di Silas si aggrottarono e le sue mani iniziarono a tremare. “Vorrei tanto abbracciarti, adesso, ma non voglio metterti a disagio o spaventarti in qualche modo.”

“Oh,” esclamò Aaron. “Puoi… sì, dovresti farlo. La cosa dell'abbraccio, intendo.”

Silas ridusse la distanza tra loro in due rapidi passi e lo prese tra le braccia. Aaron gli nascose il viso nell'incavo del collo. Silas gli appoggiò il palmo aperto sulla schiena, facendo scorrere la mano in un rilassante movimento circolare.

E, dannazione, Aaron si ritrovò a piangere di nuovo. Silas prese un respiro tremante e Aaron capì di non essere l'unico rimasto turbato dagli eventi della giornata. Si avvicinò ancora di più al suo corpo e Silas rispose stringendolo con più forza. In quel momento, Aaron si rese conto che anche Silas doveva avere una storia alle spalle. A un certo punto, qualcosa nella sua vita doveva essere andato storto e adesso lo faceva sentire a pezzi. Era successo senza dubbio qualcosa che gli stava permettendo di capire bene quello che Aaron stava provando. Qualcuno doveva averlo ferito molto profondamente.

Aaron chiuse gli occhi e deglutì. Silas era una brava persona. Aaron avrebbe ucciso qualsiasi figlio di puttana lo avesse fatto sentire come si sentiva in quel momento. Ma non Silas. Senza pensare, premette le labbra contro la pelle esposta della sua spalla.

Silas fece un altro respiro tremante ed emise un piccolo gemito. “Sei al sicuro con me, Aaron, te lo prometto.”

“Anche tu sei al sicuro con me, Silas,” gli assicurò. Fece scorrere una mano sul suo collo fino ad affondare le dita nei suoi capelli morbidi. “E sfido quegli stronzi a cercare di darci la caccia.”


Capitolo Cinque

Segreti

Silas preparò il brodo di pollo e lo mangiarono insieme sul divano. Mentre mangiavano, accese la televisione su qualcosa di neutrale.

Aaron guardò Silas con la coda dell'occhio e la sua immaginazione prese il sopravvento, dipingendo l'immagine di una giornata piovosa. Quel giorno l'ex dottore non stava molto bene, così Aaron aveva pensato di cucinare per lui, preparandogli la minestra di pollo e gnocchi di sua madre… senza l'ingrediente segreto. Era morta prima di potergli dire quale fosse. Aaron aveva ricomposto la ricetta attraverso la memoria e anni di tentativi ed errori.

Dopo anni di brodo troppo salato, gnocchi gommosi e verdure mollicce, Aaron si sentiva abbastanza sicuro di aver imparato dai propri errori e di aver raggiunto la giusta consistenza degli ingredienti. Danny diceva sempre che andava bene. Ma era un bambino quando la loro mamma era morta. Non aveva la vera ricetta con cui confrontare quella di Aaron.

Robert di solito non lo mangiava. Nelle rare occasioni in cui lo faceva, dava ad Aaron qualche consiglio. 'Tua madre faceva prima rosolare le verdure,' oppure 'June si lamentava sempre che l'impasto fosse troppo appiccicoso.' Aaron aveva ricostruito le ricette di sua madre attraverso i propri ricordi spezzati e qualsiasi cosa suo padre fosse stato disposto a condividere. Aveva raccontato a Danny molte storie su di lei, per mantenere vivo il ricordo nella loro casa il più a lungo possibile. La mamma aveva amato Danny, e Danny sicuramente l'avrebbe amata a sua volta.

Aaron sbatté e palpebre. Il pensiero di piangere di nuovo lo faceva stare male. Il pensiero di vomitare di nuovo lo faceva stare addirittura peggio.

Lanciò un'occhiata dall'altra parte del divano e la sua immaginazione continuò a lavorare. Silas avrebbe adorato la sua zuppa. Era certo che gli sarebbe piaciuto tutto quello che avesse cucinato per lui. Avrebbe insistito sul fatto che non aveva bisogno che Aaron si prendesse cura di lui. Aaron avrebbe insistito per continuare ad accudirlo. Silas, allora, gli avrebbe ricordato chi era il dottore.

Aaron sorrise al pensiero di un Silas scontroso, con i capelli arruffati dal sonno dal quale si era appena svegliato e le guance arrossate mentre litigavano… ma che alla fine si arrendeva. Aaron lo avrebbe aiutato a dormire – probabilmente avrebbe preso tutto quello che Silas gli avrebbe dato – e…

Aaron lasciò cadere il cucchiaio nella ciotola.

Merda.

La sua pelle formicolava e una sgradevole sensazione di freddo gli attraversò tutto il corpo, infilandosi nel suo stomaco e aggrovigliandolo. Lanciò un'occhiata a Silas. Sì, era attraente. Sì, era gentile. Sì, ad Aaron era piaciuto baciargli la pelle, poco prima. Sì, Silas era l'unica nota positiva di quella giornata. Silas era l'unica cosa buona da un bel po' di tempo.

“Tutto bene?”

A quanto pareva, il brivido interno di Aaron non era stato poi così interno. “Sì,” borbottò. “Sono solo stanco.” Aveva bisogno di tornare a casa. Non poteva essere di nuovo gay. Robert avrebbe raccontato a Daniel tutte le cose brutte che suo fratello maggiore aveva fatto e avrebbe distrutto l'immagine che aveva di lui.

Silas prese il piatto dalle sue mani. “Stai tremando.” Toccò con due dita l'interno del polso di Aaron. “E la tua frequenza cardiaca è più alta del normale.” Prese la sua mano tra le proprie. “Sono qui, se vuoi parlarne.”

“Ti ho già detto tutto,” rispose Aaron, sperando che Silas si riferisse solo a quello che era successo quel giorno.

Non posso andare a casa. Sono sporco. Robert capirà subito quello che è successo.

Il cuore di Aaron perse un battito. Non avevano discusso di dove avrebbe passato la notte, giusto? Non riusciva a ricordare. Silas voleva che rimanesse? Dove avrebbe dormito? Robert avrebbe scoperto anche quello?

“Che ore sono?” chiese Aaron.

“Quasi mezzanotte.”

Se Silas non lo avesse invitato a restare, avrebbe dormito in auto. Prese il telefono dalla tasca dei pantaloni della tuta. Era la prima volta che controllava il telefono da ore. Nessun messaggio. Nessuna chiamata persa.

Silas alzò la mano e la posò sulla sua spalla. “Dovresti dormire. Ho alcune pillole da farti prendere prima di andare a letto.” Strinse un po' la presa prima di alzarsi dal divano.

Aaron fissava ancora il telefono. Se fosse scomparso, quanto tempo sarebbe passato prima che qualcuno lo cercasse?

Silas gli toccò di nuovo la spalla e gli diede una manciata di pillole. Aaron le ingoiò tutte in una volta.

Sentì Silas sospirare dietro di lui. “Dormirò sul divano,” disse l'uomo. “Dammi il tempo di mettere delle coperte pulite sul letto, poi puoi stenderti e riposare.”

Aaron chiuse gli occhi e sprofondò nel divano. “Dormirò qui,” disse. “Hai già fatto abbastanza.”

“Ordini del dottore,” disse Silas con un sorriso. “Hai bisogno di una stanza tutta tua dove stare tranquillo.” Poi se ne andò, senza dare ad Aaron la possibilità di ribattere.

Aaron guardò la TV, senza seguire molto il programma su cui era sintonizzata, fino a quando Silas tornò. “Sul comodino ho messo una scatola di medicinali e un po' d'acqua. Ci sono due antidolorifici, un antibiotico e un altro Xanax. Fammi sapere se ti serve altro. Non ti sto tenendo nascosti i farmaci, ho solo bisogno di tenere traccia di quello che prendi per non mischiarli troppo.” Silas era in piedi di fronte a lui e lo guardava con la testa leggermente piegata di lato.

Aaron non riusciva a capire bene. “Come fai ad avere così tante medicine?”

“Mia sorella possiede una farmacia.”

Aaron alzò un sopracciglio. “Quindi non dovresti avere quella roba in casa, giusto?”

“Tecnicamente no,” sbuffò in risposta.

A quanto pareva, aveva premuto un qualche interruttore dentro di lui. Non riuscì a trattenersi dall'insistere. Per la prima volta, non era Aaron quello sotto la lente di ingrandimento. “Sei ancora un dottore?”

“Sì. Sarò sempre un dottore. Ma se mi stai chiedendo se ho una licenza, allora no.”

Aaron sbatté le palpebre, poi sorrise lentamente. “Hai dei segreti,” commentò.

“Sì.”

Aaron si alzò dal divano, il cappotto di Silas ancora avvolto intorno al corpo. “Ex militare, medico senza licenza, dannatamente bravo con le armi, pieno di medicine prese sotto banco, ex pornostar e uomo gay… o quest'ultima cosa faceva parte della recita?”

“Gay,” confermò Silas.

Aaron annuì. “Quali altri segreti hai?”

“Pratico arti marziali e ho una cintura marrone.”

“Che cazzo, Silas! Sul serio?”

“Sì. Ho intenzione di raggiungere la cintura nera il prossimo anno.”

Aaron rise. “Beh, cazzo. Questo di certo era un segreto di Stato!”

Le labbra di Silas si contrassero in un'ombra di sorriso. “Dovresti riposare, adesso.”

“Stai cercando di dirmi che devo smetterla di fare domande stupide?”

“No, sto solo cercando di prendermi cura del mio paziente,” rispose Silas. Si voltò e si diresse verso la camera da letto, senza aspettare che Aaron lo seguisse.

Aaron alzò gli occhi al cielo e gli andò dietro.

Il suo personale medico-senza-licenza scostò le coperte, poi indicò il comodino per mostrargli dove fossero i medicinali.

“Se non riesci a dormire, nella libreria ci sono molti libri. Quelli sullo scaffale più in alto sono i miei preferiti, quindi ti consiglio di iniziare da lì.” Sollevò una piccola scatola. “Queste sono le tue medicine. Ogni flacone è etichettato con il nome e la descrizione del farmaco che contiene.” Posò la scatola e sollevò un tubetto di crema. “Questa è una pomata per alleviare il dolore alle natiche.” Ne sollevò un altro. “Questa invece è per le ferite più interne.”

Aaron prese la scatola con i flaconi delle pastiglie. Sicuro come l'inferno, ogni flacone aveva una sua etichetta e una descrizione dettagliata nel caso in cui Aaron si fosse confuso.

“Se ti svegli col dolore e hai bisogno di qualsiasi cosa, vieni a svegliarmi. Anzi, grida e io arrivo subito, okay?” Indicò un foglietto sul comodino. “Questo è il mio numero di cellulare. Terrò il telefono acceso e vicino a me per tutta la notte. Puoi anche chiamarmi lì.”

Aaron si sedette sul bordo del letto e passò una mano sulle lenzuola fresche e pulite, poi alzò lo sguardo verso il dottore.

Silas si strofinò una mano sul collo e arrossì per la seconda volta quella notte. “Ho anche un materasso ad aria,” disse. “Non ero sicuro di come ti saresti sentito al pensiero di rimanere da solo, stanotte. Volevo darti la possibilità di… ecco… avere compagnia.”

“È la tua stanza,” gli ricordò Aaron. “Non devi chiedere.”

“Sì, devo farlo.” Il rossore svanì rapidamente e gli occhi di Silas si fecero più freddi. “Ti ho promesso che non ti avrei fatto del male. Ho intenzione di mantenere la parola.”

Aaron distolse lo sguardo e lo concentrò sulla stanza. Sobbalzò improvvisamente quando vide una luce rossa che brillava in un angolo e una figura scura in piedi lì accanto. Sbatté le palpebre ed era sparita. Si voltò verso Silas, trovandolo inginocchiato ai suoi piedi.

“Il trauma ti perseguiterà per un po',” gli spiegò. “Vorrei con tutto me stesso essere capace di portar via anche quel dolore, così come posso fare con quello fisico. Mi dispiace di non essere in grado di fare di più.”

“Resta con me,” disse rapidamente Aaron. Pronunciò quelle parole prima ancora di pensare a quello che gli stava chiedendo.

Silas annuì, poi si alzò.

Aaron gli afferrò una mano. “Intendevo qui” Indicò il letto. “A meno che tu non consideri strano dormire insieme.”

Il gelo svanì dal viso di Silas. “Per niente.” Si staccò dalla presa di Aaron e si voltò verso la libreria. Estrasse diversi volumi, li rimise a posto, alla fine tornò con un tascabile consumato.

“Jurassic Park?” chiese Aaron.

“È una affascinante storia di creazione,” rispose Silas.

“Sto aggiungendo 'scienziato pazzo' alla tua lista di segreti.”

Le labbra di Silas fremettero di nuovo. “Vado a fare una doccia. Ho pensato che ti sarebbe piaciuto avere qualcosa da fare mentre sono in bagno. Di solito è il libro che uso per rilassarmi.”

“Grazie, Silas.” Aaron si rigirò il libro tra le mani. Era stato chiaramente letto molte volte. Il dorso era piegato in più punti, segni indelebili di dove Silas lo aveva aperto ripetutamente su una parte ben precisa. Aaron decise di iniziare da lì.

Silas andò in bagno e il rumore della doccia arrivò fino alla camera.

Inizialmente, Aaron cercò di immergersi nella storia, ma si ritrovò ben presto a cercare le pieghe e gli orecchi in cima alle pagine, tentando di capire quali fossero le parti preferite di Silas e perché.

Silas fece abbastanza in fretta. Aveva i capelli umidi e indossava un paio di pantaloni del pigiama e una maglietta. Sembrava esile e stanco.

Aaron voleva abbracciarlo. Non avrebbe dovuto chiedergli di restare a dormire lì. Non avrebbe dovuto accettare l'offerta di Silas di restare a casa sua. Non avrebbe dovuto leggere le sue pagine preferite di quel libro cercando di capire qualcosa dell'uomo che ora si trovava davanti. Non avrebbe dovuto importargli di lui, non avrebbe dovuto volerlo confortare e addirittura abbracciare.

“Ti serve qualcosa?” chiese Silas, indicando i medicinali con un cenno della testa.

“No,” rispose Aaron. Mise da parte il libro e si sfilò il cappotto. Lo appese al bordo della testiera e strisciò sotto le coperte.

“Luci accese o spente?” domandò Silas.

“Spente.”

“La lampada accanto a te funziona. Se cambi idea e preferisci la luce accesa, non mi darai fastidio.” Poi premette l'interruttore della plafoniera.

Aaron guardò la sagoma del dottore avvicinarsi al letto. Chiuse gli occhi. Una notte. Si sarebbe concesso una notte al sicuro. Poi sarebbe andato avanti.

Il letto si abbassò quando Silas si mosse al suo fianco. Quando Aaron tirò su le lenzuola si accorse che l'uomo era rimasto sopra le coperte, creando una sorta di barriera tra di loro.

Aaron sussurrò: “Grazie, Silas.”

“È il minimo che posso fare.”

Aaron si girò nella sua direzione, aspettandosi di trovarsi davanti la sua schiena, invece Silas era rivolto verso di lui e lo guardava.

“Buonanotte, Aaron.”

“Notte, Silas.”


Capitolo Sei

Jurassic Park

Aaron vide il ragno muoversi con la coda dell'occhio. Si voltò per schiacciarlo, ma lo mancò. Era piccolo, bianco e veloce. Doveva ucciderlo. Non riusciva a ricordare la specie, ma sapeva che era letale.

Se lo avesse morso, sarebbe morto. Se gli avesse permesso di uscire dalla stanza senza schiacciarlo, avrebbe percorso il corridoio fino ad arrivare nella stanza di Robert, e poi in quella di Daniel. Dormivano entrambi. Non avrebbero potuto difendersi.

Con orrore, Aaron si rese conto che la fessura sotto la porta della sua stanza stava diventando sempre più grande. Prese una coperta e cercò di tapparla. Aveva perso le tracce del ragno.

La stanza era piena di luce. Non riusciva a trovare il maledetto interruttore per spegnerla. Qualcosa gli diceva che, se fosse stato in grado di spegnere la luce, il ragno si sarebbe illuminato e lui avrebbe potuto vederlo.

Qualcosa gli fece il solletico sul braccio, poi saltò via. Il ragno si arrampicò sul suo ventre, poi sul petto. Non poteva schiacciarlo. Iniziò a strapparsi i vestiti mentre il ragno cercava un posto dove nascondersi. Si sarebbe annidato da qualche parte sul suo corpo e poi avrebbe attaccato Daniel appena Aaron avesse lasciato la stanza.

Aaron si batté i pugni sul petto nel disperato tentativo di schiacciarlo. Gli facevano male le braccia. Il petto gli doleva. Tutto faceva un male atroce. Le forze gli vennero meno e si accasciò contro la porta. Il ragno salì fino al suo orecchio. Lo sentiva. Aaron non riusciva a muoversi. Il ragno stava per saltare sulla parete e uscire dalla stanza. Avrebbe ucciso Daniel.

Il ragno scivolò lungo la sua schiena, lasciando dietro di sé una ragnatela umida e appiccicosa mentre avanzava. Aaron si rese conto di essere nudo. Non c'era niente che gli impedisse di morderlo.

“Papà,” piagnucolò. “Non riesco ad ucciderlo.”

Qualcuno disse qualcosa dall'altro lato della porta. Aaron non riuscì a capire le sue parole. “Aiuto!” implorò.

La ragnatela ormai copriva tutto il suo corpo, lucida e indistruttibile. Aaron intravide il ragno che si spostava di nuovo sul suo stomaco. Sentì ogni piccola zampa picchiettargli sulla pelle mentre si muoveva per poi sparire di nuovo…

“Aaron!”

Si svegliò di soprassalto e la stanza vorticò violentemente davanti ai suoi occhi. Ansimò in cerca d'aria, tenendosi il petto. La ragnatela era sparita. Era vestito. Non era nella propria stanza. Non c'era nessun ragno. Non c'era nessun pericolo per lui o per la sua famiglia.

Qualcuno gli passò una mano sulla schiena e lo stomaco di Aaron ebbe un sussulto. Si sollevò, portandosi una mano alla bocca, e corse in bagno. Silas. Era con Silas. Quello che era accaduto prima che si addormentasse gli tornò in mente mentre si piegava sul water e vomitava per la seconda volta nel giro di neanche ventiquattro ore.

Sentì qualcuno avvicinarsi. Afferrò il water con una mano e allungò l'altra. “Non farlo,” gemette. “Dammi un secondo.” Lo stomaco gli si rivoltò di nuovo e vomitò ciò che ancora non aveva buttato fuori. La mano sollevata divenne pesante e ricadde sul pavimento mentre la testa gli ciondolava di lato.

“Posso avvicinarmi?” chiese Silas. La sua voce era dolce, intenzionata senza dubbio a rassicurarlo e farlo sentire protetto.

Invece di calmarsi, Aaron sentì un caldo respiro fantasma contro l'orecchio, mentre una voce maschile sussurrava 'bravo ragazzo'. Tossì. Gli faceva male il petto. Si rese conto di essere appoggiato al water col petto, proprio dove Ralph gli aveva storto il capezzolo tra le dita, e si spostò leggermente, senza tuttavia voltare la testa. Non riusciva a guardare Silas. Non riusciva a guardare niente e nessuno in quel momento.

Si sollevò di nuovo, un filo di saliva che dalla sua bocca cadeva nel water. L'odore di succhi gastrici e sudore lo fece rabbrividire. Sentì il tocco delicato dei polpastrelli picchiettare lungo la sua spina dorsale, muovendosi verso il basso.

Silas era ancora in piedi dietro di lui, probabilmente si stava pentendo di averlo fatto restare a dormire lì. Aaron si aggrappò alla tavoletta con entrambe le mani. Sentiva i suoi occhi sulla propria schiena. Silas lo aveva visto senza vestiti, sapeva com'era fatto il suo corpo. Adesso poteva vedere ben poco ma lo aveva già visto nudo.

Aaron pensò al modo in cui si erano conosciuti. Ansimò in cerca d'aria, il corpo a un passo dall'avere le convulsioni. Aveva appena dormito nello stesso letto di Silas, il suo Dom. Gesù, non sapeva neppure se Silas gli aveva fatto qualcosa mentre era addormentato. Aveva preso così tante pillole da quando era arrivato.

“Aaron.”

Perché aveva detto a quegli uomini il suo vero nome? Perché aveva lasciato che lo chiamassero così? Perché aveva lasciato che lo toccassero? Avrebbe dovuto reagire dopo che la safe word non aveva funzionato. Avrebbe dovuto sforzarsi di più. C'era stato un momento, prima che gli bloccassero le gambe con la barra divaricatrice, in cui era stato solo il peso di Ralph a tenerlo fermo… Aaron avrebbe dovuto approfittare di quel momento per divincolarsi e fuggire.

“Aaron.”

'Sì, Signore?'

Un altro conato lo squassò. Non uscì niente. Lasciò andare il water e si coprì la testa con le braccia. Forse poteva annegarsi. Quanto poteva essere difficile farlo? Poteva semplicemente trattenere il respiro fino a perdere i sensi, poi la sua faccia sarebbe caduta nel water e lui sarebbe annegato.

Qualcosa si mosse al suo fianco, facendolo sussultare.

“Non preoccuparti,” disse Silas. “Non ho intenzione di toccarti. Voglio solo assicurarmi che tu stia bene.” La sua voce era di nuovo fredda, clinica. Era meno 'povero bimbo stai bene' e più 'fammi dare un'occhiata, sono un dottore'.

Il respiro di Aaron si perse nel water.

“Temo che andrai in iperventilazione se continui a rimanere in quella posizione,” disse Silas. “Riesci a sederti?”

Aaron prese un respiro pesante e si scoprì la testa. Si tenne aggrappato alla ceramica senza aprire gli occhi.

“Molto meglio,” disse Silas. “Stai dondolando avanti e indietro.”

Non si era reso conto di farlo.

“Mi sa che quel movimento sta solo aumentando il senso di nausea che provi.”

Aaron smise di dondolare. Ora che non si muoveva più, riusciva a sentire quanto tremassero le sue mani. “Scusa,” mormorò.

“Non hai nulla di cui scusarti,” lo tranquillizzò Silas. “Vorrei sentire la tua frequenza cardiaca. Posso toccarti il polso?”

Aaron non rispose, si limitò a tendere un braccio. “È accelerata,” sussurrò. “Lo sento anche da solo.”

Silas non era come gli altri. Certo che non lo era: aveva letteralmente buttato giù una porta a calci ed era accorso, pistola in mano, in aiuto di Aaron. Silas era buono.

“Ho un'idea,” disse Silas.

“Quale?”

“Penso che dovresti sederti di fronte a me con una mano sul mio cuore.”

Aaron spalancò gli occhi e si voltò per guardarlo. Era in piena modalità dottore. Lo stava osservando attentamente, con la testa piegata di lato.

“A cosa servirà?” domandò Aaron.

“È un esercizio di respirazione,” gli spiegò. “Ti aiuterà a far sincronizzare il tuo respiro col mio. Conterò anche a voce alta.”

“Sembra una di quelle stronzate dei corsi di meditazione,” borbottò Aaron. Tuttavia, si allontanò lentamente dal water e si sedette a gambe incrociate sul pavimento del bagno, davanti a Silas.

“Metti la mano qui,” disse l'uomo. Toccò un punto in alto sul lato sinistro del proprio petto.

Aaron si avvicinò un po' e alzò una mano tremante. Fece un mezzo singhiozzo quando tentò di prendere aria, poi allargò le dita sul petto di Silas.

Silas sorrise. “Bene. Ora, inspira. Uno, due, tre, quattro, cinque. Espira. Uno, due, tre, quattro, cinque, sei, sette.”

Aaron sentì il petto di Aaron sollevarsi e poi abbassarsi sotto le proprie dita. Aveva la mano lucida, e si rese conto che aveva ancora la saliva che gli copriva un lato del viso. Cercò di pulirla con la mano libera.

“Inspira. Uno, due, tre, quattro, cinque.” Silas gli porse un asciugamano pulito che aveva appoggiato al proprio fianco. Silas era sempre preparato. Forse era il dottore in lui. O forse era la conseguenza di un altro segreto.

Aaron seguì il respiro di Silas finché il singhiozzo si calmò e il braccio smise di tremare. Da qualche parte in quello strano tentativo di farlo calmare, la sua mano si era stretta a pugno e ora stringeva il davanti della camicia di Silas. Allentò le dita e la lasciò andare. “Scusa,” mormorò di nuovo.

“Le prime notti sono le peggiori,” disse Silas. “Ma ti assicuro che poi va meglio.”

Aaron si passò una mano sul viso. Si sentiva di nuovo appiccicoso e il suo alito era terribile. Non riusciva neanche a prendersi cura di se stesso. Non meritava che qualcuno come Silas si occupasse di lui.

Silas tirò lo sciacquone e chiuse il coperchio. “Vuoi guardare un film?” propose. “Il divano si trasforma in un letto e ho tutti i film di Jurassic Park in DVD.” Fece una pausa. “Devo essere onesto. È molto difficile resistere alla tentazione di obbligarti a riposare e infilarti una flebo nel braccio per assicurarmi che tu sia reidratato.”

“Preferisco di gran lunga guardare Jurassic Park,” disse Aaron.

“Posso almeno convincerti a sdraiarti nel caso in cui ti venga sonno?”

Aaron emise una specie di risata. “Sì.”

“E posso convincerti anche a vedere se riesci a tenere un po' di pane tostato e un bicchiere d'acqua nello stomaco?”

Aaron sospirò. “Silas, dovrei andare a casa. È tardi. Papà e Daniel probabilmente stanno dormendo. Rimarrai sveglio tutta la notte se resto qui.”

“Non ho niente di meglio da fare,” rispose Silas. “Se te ne vai, starò comunque sveglio tutta la notte a preoccuparmi per te, e non posso garantirti che non ti seguirò a casa per tenerti d'occhio.”

“Questa cosa è folle.”

“Ne sono consapevole.”

Aaron scosse la testa. “Dove lo tieni il DVD di Jurassic Park?”



* * * *



Silas praticamente costruì una sorta di barricata con i cuscini per dividere in due parti il divano letto. Si preoccupò che Aaron fosse più comodo possibile, gli sentì di nuovo il polso, rifletté a voce alta se fosse il caso di fargli prendere un altro Xanax e infine gli portò due fette di pane tostato e un bicchiere di acqua fresca.

Aaron passò la mano su uno spazio vuoto vicino alla muraglia mentre Silas gli consegnava il cibo.

“Non sono del tutto sicuro che sia una buona idea stendermi con te,” disse Silas.

Aaron si morse un labbro e ritirò la mano, perché, beh, a cosa diavolo stava pensando? Non era il caso di immaginarsi rannicchiato su un divano insieme a un uomo. L'ultima volta che Silas aveva tentato di consolarlo, Aaron aveva vomitato. Per non parlare del fatto che era sporco e imbrattato in un modo che non avrebbe mai potuto lavare. E per di più Silas era stato costretto a prendersi cura di lui per tutta la cazzo di serata. Il minimo che Aaron poteva fare era riuscire a stare seduto con lui sul suo divano.

Aaron diede un morso al toast e fece una smorfia. “È cartone ricoperto di olio per motori?”

“È pane integrale con un sostituto del burro,” rispose con noncuranza Silas. Sparì per qualche secondo e poi tornò con due tazze di tè. “Devi bere tanta acqua, ma ho pensato che avresti apprezzato qualcosa di caldo nello stomaco.”

Dopodiché, afferrò il telecomando e accese la televisione. Lanciò un'occhiata al divano, poi si avvicinò con cautela e strisciò dietro ai cuscini per prendere posto accanto ad Aaron.

Nel momento in cui percepì il calore di un altro corpo, il cuore di Aaron sobbalzò e tutto il suo corpo venne percorso da un brivido. Il suo cervello decise di reagire facendogli serrare le braccia sul petto, ma al tempo stesso si avvicinò un po' a Silas.

Silas non nascose in nessun modo il fatto che adesso lo stava studiando. Dopo diversi minuti passati a fissarsi, Silas sollevò il braccio e lo lasciò ricadere sullo schienale del divano, proprio dietro le spalle di Aaron.

Aaron guardò in basso e decise che, tra tutte le emozioni che in quel momento gridavano per far emergere la propria voce, la speranza era quella che stava avendo il sopravvento.

Silas premette il tasto play e il film cominciò.

Quando il T-Rex distrusse il recinto e ottenne la libertà, i cuscini erano stati spostati e Aaron e Silas erano ormai seduti spalla a spalla, col braccio di quest'ultimo avvolto saldamente attorno ad Aaron.

Quando, invece, il piccolo dinosauro velenoso uccise uno dei personaggi sul sedile anteriore della jeep infangata, la testa di Aaron era appoggiata sotto il mento di Silas.

Aaron si rilassò completamente contro Silas mentre la corrente tornava a percorrere il recinto e i velociraptor venivano attaccati dal T-Rex. Si sentiva sempre più assonnato.

Quando Silas fece partire il film successivo, Aaron si svegliò di soprassalto, ma solo per avvicinarsi ancora di più al dottore e mormorargli un “grazie” prima di riaddormentarsi.


Capitolo Sette

Il Video

Aaron si svegliò sentendo il telefono vibrare accanto al proprio viso. Stava sudando, mentre lottava per separare la realtà da quello che stava sognando. Raggiunse il telefono con una mano. Era l'una del pomeriggio. Aveva tredici chiamate perse, venti nuovi SMS e cinque messaggi nella segreteria telefonica. Controllò le chiamate perse. Daniel lo aveva chiamato dieci volte. Le altre tre provenivano da un numero sconosciuto. Farley?

Controllò la segreteria telefonica. Il primo messaggio era proprio di Farley.

“Sono sicuro che pensi di essere intelligente, piccolo ladro che non sei altro. È una fortuna che Silas abbia un cuore grande e tenero e un cervello delle stesse dimensioni di una noce. Peccato che io mi arrabbi molto facilmente e odi, odi, chi non fa niente per guadagnarsi il pane. Hai un'ora per rispondere. Restituiscimi i soldi e ci dimenticheremo che quel piccolo incidente sia mai successo.”

Farley aveva lasciato quel messaggio alle nove del mattino. Il messaggio successivo era sempre da parte sua.

“Sul serio, Aaron, non pensavo che ci avresti dato il tuo vero nome. Abbiamo fatto una piccola scommessa. Io confidavo nella tua intelligenza. Ho perso. Perché non sei intelligente. È la seconda volta nel giro di ventiquattro ore che perdo dei soldi per colpa tua. Comunque, questo è solo un avvertimento. Ti restano dieci minuti.”

Farley ne aveva lasciato un altro alle dieci e un quarto.

“Per fortuna ho trovato un altro piccolo Beaumont online. Si chiama Daniel. È 'amico' di un certo Aaron Beaumont, anche se il povero Aaron non sembra avere una vita virtuale molto attiva. Daniel ti ha taggato in alcune foto, però. 'Festeggiando il mio sedicesimo compleanno con papà e Aaron'. Che ragazzo dolce. Presumo che sia tuo fratello? Sai, gli ho scritto un'ora fa, subito dopo averti chiamato. Gli ho detto che avevo alcune informazioni su di te. Gli ho dato il mio numero. Ha chiamato subito ma non ho risposto. Ho aspettato. Speravo davvero che tu mi chiamassi, fremo per sentire ancora la tua voce. Ma, visto che tu non mi hai chiamato, ho scelto Daniel. Gli ho inviato un bel video. Ora non smetterà più di chiamare. Oh, sento un telefono squillare, potrebbe essere lui. Meglio che vada.”

Il messaggio successivo era da parte di Daniel. Tutti i successivi erano da parte sua. Non c'era niente da Robert e nient'altro da Farley.

Un russare dall'altra parte del divano fece sobbalzare Aaron.

Doveva andarsene. Avrebbe ascoltato il resto dei messaggi in macchina. Le sue mani tremavano mentre scivolava sul materasso. Sgattaiolò in bagno e indossò velocemente i suoi vecchi abiti. Non poteva rischiare di presentarsi a casa indossando il pigiama di un altro uomo. Prese le chiavi e il portafoglio e, finalmente, fu pronto.

I soldi li aveva presi Silas quando erano fuggiti. Ce li aveva lui. Aaron tornò in camera e vide la borsa appoggiata sul bordo del letto. Il denaro era ancora tutto dentro. Con i soldi in mano, se ne andò il più velocemente e silenziosamente possibile.

Hanno rapito Daniel. Dovrò ucciderli. Ma cosa ne so io di come si nascondono dei cadaveri?

Aaron allontanò quei pensieri dalla propria mente e si mise dietro il volante. Tenne il telefono premuto contro l'orecchio mentre si allontanava dalla casa di Silas. Ascoltare i messaggi era l'unico modo per cercare di capire se Daniel era al sicuro. Farley aveva detto di avergli inviato un video. Quello poteva dire una sola cosa. Silas aveva sparato alla telecamera ma questo non significava che avesse distrutto anche la scheda SD o la memoria. Aaron aspettò ansiosamente che il messaggio di Daniel iniziasse. Anche se Farley non lo avesse rapito, Aaron era certo che non lo avrebbe più rivisto, non dopo aver visionato il contenuto di quel video. La sua famiglia lo avrebbe rinnegato.

Aaron decise di ascoltare prima l'ultimo messaggio che gli aveva mandato Daniel.

Iniziò con un sospiro profondo, poi suo fratello parlò. “Non so cosa stia succedendo e perché non rispondi al telefono. Papà continua a non farmi chiamare la polizia. Mi sta facendo davvero arrabbiare. Non so cosa fare. Per favore, torna a casa.”

Aaron si fermò. Le mani gli tremavano troppo per permettergli di tenere il volante in modo saldo. Daniel era al sicuro, ma adesso Robert sapeva quello che aveva fatto. Quanto sapeva?

Fece partire il primo messaggio di Daniel.

“Aaron, questo tizio mi ha scritto circa un'ora fa dicendo che aveva alcune informazioni su di te. Pensavo fosse una stronzata ma poi mi ha mandato… ha mandato… chiamami, okay?”

Aaron deglutì a fatica e scorse i messaggi scritti. Li lesse in fretta, come se prestare solo la metà dell'attenzione necessaria potesse rendere la situazione meno grave. Ascoltò anche l'ultimo audio di Daniel, confermando i propri sospetti.

Farley aveva provato a chiamare Aaron, che però stava dormendo e quindi non aveva potuto cogliere l'unica occasione di sistemare le cose. Daniel aveva quindi chiamato Farley che, alla fine, gli aveva inviato il video.

Nei messaggi Daniel non fu in grado di spiegargli bene cosa aveva visto. Continuava a chiamarlo 'il video'. Dopo aver tentato e non essere riuscito a contattare Aaron, Daniel lo aveva detto a Robert. Robert gli aveva consigliato di aspettare, sperando probabilmente che Aaron tornasse a casa. Nel frattempo Daniel aveva cercato di contattare in qualche modo Aaron.

Il telefono gli vibrò in mano e lui sobbalzò. Era Daniel. Aaron gettò il telefono sul sedile del passeggero e riportò la macchina sulla carreggiata. Doveva prima tornare a casa, poi avrebbe accettato le conseguenze delle proprie azioni, infine avrebbe cercato di capire come rimediare a quel disastro.


Capitolo Otto

Ritorno a Casa

Quando Aaron entrò nel vialetto di casa, la porta principale della piccola villetta familiare bianca si spalancò. Un adolescente allampanato con i capelli biondi e arruffati si precipitò verso la macchina. Aaron ebbe a malapena il tempo di chiudere la portiera prima che Daniel gli arrivasse di fronte, guardandolo come se si trovasse davanti un fantasma.

“Stavo letteralmente per chiamare il 911,” sbottò Daniel. Alzò il telefono. “Che diavolo è successo? Dove sei stato? Volevo venire a cercarti ma papà non mi ha permesso di prendere la Jeep.”

“Scusa,” disse Aaron. “Sono rimasto fuori fino a tardi, ho bevuto troppo. Mi sono fermato a casa di un amico.”

Daniel scosse la testa. “Ma quel tizio strano… Hai ricevuto i miei messaggi? Questo tipo mi ha scritto in privato dicendomi che aveva delle informazioni su di te, poi un'ora dopo mi ha mandato questa… questa… una cosa, e ho pensato… non lo so. Pensavo fossi stato rapito. Sei stato rapito?”

“No,” rispose Aaron. “Posso controllare il tuo telefono?”

Daniel alzò un sopracciglio.

“Voglio vedere il video che quel tizio ti ha inviato,” disse Aaron. “Puoi descrivermelo tu stesso oppure darmi il telefono e farmi guardare.”

Daniel gli consegnò il cellulare senza protestare.

Aaron scorse la chat fino a trovare il file inviato da Farley. Abbassò il volume dell'audio prima di avviare la riproduzione. Sei secondi. E basta. Sei secondi in cui succhiava il cazzo di Silas. Era una ripresa troppo vicina e a fuoco per dire che non si trattava della sua bocca intenta a leccare quell'uccello. Non mostrava nient'altro. Non mostrava Aaron che si dibatteva o urlava. Non mostrava Aaron che ripeteva più volte la parola 'no' singhiozzando. Erano solo sei secondi di Aaron bendato che, all'apparenza, succhiava ben volentieri un cazzo.

Aaron cancellò il file, poi riconsegnò il cellulare a Daniel.

“Pensavo,” iniziò Daniel, con la voce leggermente incrinata. “Pensavo che fosse il video di un ricatto… o qualcosa del genere.” Si morse il labbro. “Lo è? Sei stato ricatt…”

“No,” sbottò Aaron.

“Stai bene?”

“Sì, Danny, certo che sto bene.” Incrociò le braccia sul petto per nasconderne il tremito. Non riusciva a smettere di tremare, cazzo. Il suo stomaco si rivoltò.

“Allora non capisco,” mormorò Daniel.

“Qualcuno si è solo comportato come una testa di cazzo,” disse Aaron.

“Hai detto di aver bevuto troppo. Ricordi cosa è successo la scorsa notte?”

Aaron si passò una mano sul viso. “Non è successo niente. Questo,” indicò il telefono, “non ha niente a che vedere con la scorsa notte.”

Che le Olimpiadi della Menzogna abbiano inizio.

“Non so che cosa sia,” continuò Aaron. “Ma non si tratta di me e non devi preoccuparti.”

Daniel guardò il telefono. “L'hai cancellato,” disse. “Aaron, quella era una prova.”

“Papà l'ha visto?”

Daniel alzò gli occhi al cielo. “Sì, ma non è stato affatto d'aiuto. Era sfinito la notte scorsa ed era ancora stanco morto quando si è alzato. Diavolo, probabilmente è già di nuovo ubriaco.”

“Dov'è?”

“Dentro,” rispose Daniel. “È andato al lavoro, ma lo Zio Jack l'ha rimandato a casa.”

Jack Miller era il loro zio non ufficiale, e anche l'unico motivo per cui Aaron e Robert avevano un lavoro. Jack possedeva un'officina in città. Aaron era un meccanico a tempo pieno e Robert lavorava part-time. Jack mandava regolarmente a casa Robert.

Se Robert quel giorno fosse stato sobrio, sarebbe stato al lavoro. Se fosse stato al lavoro, non avrebbe visto il video. Poi pensò che, se Robert fosse stato al lavoro, Daniel sarebbe stato da solo e avrebbe chiamato la polizia, e Robert lo avrebbe comunque scoperto.

“Non è arrabbiato,” lo tranquillizzò Daniel. “Non è stato semplicemente di alcun aiuto.” Scosse la testa e i capelli gli caddero sulla fronte, così li spostò. “Dio, sono felice che tu stia bene.”

“Credo sia il caso di dire a papà che sono tornato,” sospirò Aaron.

“Vengo con te.”

Non serviva a niente. Con Daniel a casa, sveglio e preoccupato, Robert non avrebbe detto niente. Aaron era qualcosa da eliminare ma Robert avrebbe aspettato che Daniel fosse da un'altra parte. La loro madre era morta in un incidente d'auto quando Daniel era ancora piccolo ma il ragazzo aveva ancora gli incubi. Dopo la morte di June, Robert aveva dedicato la propria vita a mantenere il mondo intorno a Daniel puro, pulito e sicuro. Daniel aveva odiato quella premura e un giorno aveva confidato ad Aaron che il motivo per cui voleva trasferirsi in un college così lontano, era principalmente per allontanarsi da Robert.

Aaron pensò all'incidente. All'epoca, Aaron era già sporco. Quando andava ancora al liceo, infatti, Robert lo aveva beccato a pomiciare con un ragazzo, e quello aveva compromesso per sempre le cose. Era stato il suo primo e ultimo appuntamento. Era stata anche la prima volta che Robert lo aveva colpito. Aveva detto ad Aaron che non sarebbe mai diventato un vero uomo. Aveva fatto credere ad Aaron di essere troppo sporco per stare vicino a Daniel: se voleva continuare a far parte della sua vita, da quel momento avrebbe dovuto comportarsi bene.

Daniel, ovviamente, non sapeva niente di tutto quello.

Robert gli aveva giurato che, il giorno in cui avesse deviato di nuovo dalla retta via, sarebbe stato anche l'ultimo un cui avrebbe visto Daniel. Non aveva spiegato bene il significato della parola 'deviare', ma Aaron aveva sempre avuto troppa paura per chiedere chiarimenti. Ma non aveva bisogno di spiegazioni per capire che quello che era successo il giorno precedente rientrava tra le 'deviazioni'.

Seguì Daniel in casa. Robert era seduto sul divano e stava guardando la televisione. Fece un cenno con la testa in direzione di Aaron quando i due ragazzi entrarono.

“Te lo avevo detto,” disse Robert a Daniel. “Ti sei preoccupato per niente. Aaron, sono felice che tu sia tornato.”

“Grazie,” rispose Aaron. “Mi dispiace avervi fatto preoccupare.”

“Non ero preoccupato,” disse Robert.

Daniel alzò gli occhi al cielo. “Dovreste essere entrambi preoccupati. Quello che è successo è stato strano.”

Aaron finse di sbadigliare. “Vi dispiace se faccio un pisolino? Mi sento ancora un po' intontito per via dell'alcol.”

Robert non disse niente. Non lo guardò neppure. Daniel scosse la testa, chiaramente esasperato e probabilmente per niente convinto dalla falsa tranquillità che Robert e Aaron stavano cercando di dimostrare. Aaron non era mai stato bravo a fingere e Daniel era troppo intelligente per continuare a lungo a vivere nel mondo perfetto che gli avevano costruito intorno. Sapeva già troppo. Ma Robert aveva ragione a volerlo tenere ancora un po' al sicuro. Robert aveva sprecato la propria vita. Quella di Aaron ormai era irrecuperabile. Daniel era l'ultima speranza. Se nascondergli la verità poteva tenerlo alla larga dalle cose brutte del mondo, abbastanza a lungo da permettergli di trovare la propria strada, allora Aaron era ben felice di mentire.



* * * *



Aaron rimase chiuso nella propria stanza fino al tramonto. Non si cambiò i vestiti. Non gliene importava niente. Non riuscì neppure a dormire un po'. Una parte di lui stava disperatamente sperando di poter restare lì. L'altra sapeva che doveva andarsene. Le persone che aveva tentato di ingannare lo stavano inseguendo e la prima cosa che avrebbero fatto sarebbe stato allungare le mani e distruggere il mondo di Daniel.

Si sedette sul letto, prendendosi la testa tra le mani. Robert non gli avrebbe mai permesso di restare lì.

Sentì la porta di Daniel chiudersi verso mezzanotte. Robert entrò nella sua un'ora dopo. Non bussò. Aprì la porta e, quando vide che Aaron era sveglio, gli fece un cenno. Non potevano parlare lì, avrebbero rischiato di svegliare suo fratello.

Aaron seguì suo padre al piano di sotto, attraversando il soggiorno e l'ingresso e poi uscendo in giardino. Era buio. Non c'era la luna, solo un'infinità di stelle luminose.

“Che cosa hai fatto?” domandò Robert.

Aaron non riuscì a guardarlo. Il suo stomaco si rivoltò di nuovo.

“Devi dirmelo, così posso prepararmi.”

“Ho rubato dei soldi,” disse Aaron. I soldi, si rese conto, erano ancora nel bagagliaio della sua auto.

“Cos'era quel video?”

Non aveva senso mentire ma una parte di Aaron, quella meno razionale, lo spinse comunque a rispondere: “Non lo so.”

Robert lo colpì forte, sul viso. “Cos'era quel video?” ripeté.

“Ho accettato di farlo per soldi,” rispose Aaron. Sentì il sapore del sangue in bocca. Robert non era mai stato il tipo da andarci piano. “Mi sono spaventato all'ultimo minuto e sono scappato. Ma ho preso lo stesso i soldi. Li rivogliono indietro.” Aaron si rese conto solo in quel momento di aver lasciato Silas fuori dal racconto, e neanche lui riuscì a capirne il motivo.

“Parla chiaro, ragazzo,” disse Robert. “Loro chi? Quanti sono? Ci daranno la caccia?”

Aaron scosse la testa. “Ho preso io i soldi,” ripeté. “Glieli restituirò e chiuderò la faccenda. Non ci faranno del male.”

Robert lo colpì di nuovo. “Loro chi?” ripeté. “Voglio i numeri precisi, Aaron. Quanti sono?”

“Due uomini e una donna,” mormorò. “Uno degli uomini è il tizio che ha contattato Daniel. Ma, dopo che gli avrò restituito i soldi, andrà tutto bene. Quello sistemerà tutto.”

Robert non disse niente e Aaron non rialzò lo sguardo. Fissò i piedi di suo padre. Non gli sfuggì il fatto che Robert avesse deciso di avere quella conversazione vicino alla sua auto. Aaron sentì la propria voce risuonare nell'aria prima di rendersi conto di stare parlando.

“Non voglio andarmene,” mormorò.

“Non rendere le cose più difficili del necessario,” rispose Robert.

“Per favore.” Sapeva che doveva andarsene. Aveva messo Danny in pericolo. Quando June era morta, avevano giurato di proteggerlo da tutto. Ma adesso Aaron era un pericolo per lui. Doveva andare via.

Sentì le chiavi tintinnare e capì che Robert doveva averle appoggiate sul cofano dell'auto. “Gli dirò che abbiamo litigato,” disse. “Gli dirò che hai un ragazzo. Che ti sei ubriacato, hai fatto quel video e che il tuo fidanzato lo ha mandato per scherzo a Daniel.”

Aaron annuì.

“Non hai pensato che fosse una gran cosa,” continuò Robert. “Io e te ne abbiamo parlato, ti ho detto che quello che è accaduto è una cosa grossa. Tu ti sei arrabbiato e sei andato a vivere dal tuo ragazzo. Probabilmente non ci parlerai per un po', credendo di essere dalla parte della ragione. Ecco quanto sei pazzo. Capito?”

Aaron annuì di nuovo.

“Non dirlo a Jack. Ha la bocca larga. Si lascerà sfuggire qualcosa con Daniel, e Daniel penserà che hai bisogno di aiuto. Ma non ti aiuterà, dico bene?”

“Sì,” sussurrò Aaron.

“Risolverai tutto.”

“Sì, papà.”

“Riporta indietro il denaro. Fai quello che devi fare. Non tornare a casa.”

Aaron sentì qualcosa spezzarsi nel proprio corpo, come un osso, ma più in profondità. Chiuse gli occhi e si mise una mano sullo stomaco. “Per favore,” mormorò.

“Non dire niente,” lo interruppe Robert. “Non farlo.”

Aaron si morse la lingua.

“Prendi la macchina,” disse Robert. “Ti ho messo un po' di cose sul sedile posteriore: cibo non deperibile e acqua. Temo di non poterti dare di più. Hai fatto le valigie?”

Aaron scosse la testa.

“Avresti dovuto farle. Non venirmi a dire che non ti immaginavi quello che sarebbe successo. Ti avevo avvertito.”

“Lo so.”

“Ora dovresti andare.”

Portafoglio, chiavi, auto. Aaron aveva tutto. Non riuscì a muoversi.

Robert lo afferrò per il colletto della camicia, aprì la portiera e lo spinse nella macchina. Gli gettò le chiavi in grembo. “Vattene.”

Le mani di Aaron iniziarono a tremare di nuovo violentemente. Non riusciva a smettere di tremare, cazzo. Robert chiuse la portiera.

Aaron finalmente alzò lo sguardo verso il padre, fissandolo attraverso il finestrino. Robert lo guardava torvo e ogni tanto lanciava un'occhiata in direzione della casa. Quando Aaron non riuscì a inserire la chiave nel quadro, Robert fece un passo in direzione dell'auto.

Aaron riuscì a mettere in moto. Se avesse tardato ancora, Robert lo avrebbe picchiato di nuovo, più forte. Tuttavia, Daniel era al sicuro. Robert non lo avrebbe mai picchiato. Aaron chiuse gli occhi e pregò che fosse vero.

Cercando di ingoiare le lacrime, afferrò il volante con una mano e inserì la marcia con l'altra. Non si guardò indietro neanche una volta mentre si allontanava.


Capitolo Nove

Semantica

Aaron tirò fuori una scatola di cartone dal cassonetto dietro l'edificio dove aveva visto Farley l'ultima volta. La ricompose e ci ficcò dentro il denaro, poi scrisse 'Farley' sulla parte superiore con un pennarello nero. Appoggiò la scatola vicino alla porta e corse alla macchina. Aspettò un po', con le portiere ben chiuse, poi inviò un messaggio a Farley. Erano le quattro del mattino.

La donna che aveva visto durante le riprese uscì dall'edificio. Rimase in piedi sotto il lampione, guardandosi intorno nel parcheggio. Quando vide la sua macchina, fece un cenno ad Aaron e prese la scatola. Alcuni minuti più tardi, Farley gli inviò un messaggio. “È un piacere fare affari con te.”

Aaron se ne andò. Guidò fino al posteggio di un negozio di alimentari ancora chiuso e parcheggiò sul retro. Controllò che le portiere fossero ancora bloccate e si circondò il busto con le braccia.

I soldi non c'erano più. I soldi che avrebbero aiutato Daniel ad andarsene, erano spariti. Robert non avrebbe mai permesso a Danny di andarsene. Daniel aveva bisogno dell'aiuto di Aaron per mettere insieme il denaro necessario e poi lasciare quella casa.

Stai cercando delle scuse per tornare a casa. Ma non puoi farlo.

Aaron si appoggiò alla portiera. Non dire a Jack quello che era successo equivaleva a non poterlo neanche vedere, il che significava che non poteva più lavorare, che a sua volta voleva dire non avere più uno stipendio. Non aveva fatto le valigie, quindi non aveva neppure un cambio di vestiti oltre quelli che indossava. E quelli erano sporchi. Il suo petto si strinse. La camicia che aveva addosso sapeva di Ralph, anche se Ralph non l'aveva mai toccata. O forse lo aveva fatto. Aaron non lo avrebbe mai scoperto.

Si passò una mano sul viso. Sentiva caldo. Voleva abbassare il finestrino, ma aveva paura. Digrignò i denti e iniziò a spogliarsi, cercando di fare del suo meglio visto lo spazio ristretto. Getto i vestiti, le scarpe e i calzini sul sedile posteriore. Sentì qualcosa scricchiolare e si ricordò che Robert gli aveva detto di aver lasciato alcune cose.

La tristezza lasciò il posto alla paura, che ben presto lasciò il posto alla rabbia. Aaron conosceva bene la rabbia. Lo aveva reso forte. Non aveva bisogno di pensare a niente, quando era arrabbiato, doveva solo agire.

Completamente nudo, scese dall'auto e aprì la portiera posteriore. Gettò sull'asfalto tutto quello che Robert ci aveva messo, senza controllare neanche cos'era. Soddisfatto, richiuse la portiera e tornò dietro il volante.

Il motore tornò alla vita con un ruggito e Aaron diede gas. Alcuni minuti dopo, fece un inventario mentale di quello che gli era rimasto. La macchina era sua. Era un regalo di Robert e Jack. Il telefono era suo, ma lo stava pagando Robert. Probabilmente il suo numero sarebbe stato bloccato presto. Aveva bisogno di farsi un altro numero. Robert non voleva certo rischiare che Daniel lo chiamasse. Aaron poteva ignorare i messaggi e le e-mail, ma una chiamata dal suo fratellino… scosse la testa e tornò a concentrarsi.

Nel portafogli c'erano la patente, alcune carte, qualche tessera fedeltà di negozi a caso e venti dollari.

Aveva sempre tenuto l'auto pulita ai limiti della follia, conosceva ogni oggetto lì dentro, e, dopo aver buttato fuori quello che gli aveva dato Robert, sapeva che non c'era più niente che avesse un valore.

Avrebbe dovuto rubare dei vestiti nuovi… ma non poteva certo entrare nei negozi completamente nudo. C'era una coperta nel bagagliaio. Si sarebbe accontentato, per il momento. Era quasi l'alba. Il telefono di Aaron squillò. Sullo schermo apparve un numero sconosciuto. Non era quello che aveva usato Farley in precedenza, ma qualcosa gli disse di non rispondere. Ignorò il proprio istinto.

“Ciao, bellezza,” disse Farley.

“Ho restituito i soldi,” sbottò Aaron. “Cosa vuoi?”

“Non c'è bisogno di usare questo tono,” sogghignò l'uomo. “Volevo solo dirti di informare Silas che, se non sporgerà denuncia, riceverà comunque il suo ultimo stipendio.”

“Cosa?”

“Immagino che tu sia rimasto in contatto con lui? Non risponde alle mie chiamate, e questo è un affare abbastanza urgente.”

“Non sono in contatto con lui.”

“Ah, capisco. Non importa allora. Addio.”

“Perché dovrebbe sporgere denuncia?” chiese Aaron. La sua domanda cadde nel silenzio. Farley aveva già riattaccato. Aaron gettò il telefono sul sedile. Dentro di lui prese vita una strana lotta tra il desiderio di richiamarlo e quello di fuggire lontano. Ignorando entrambi i desideri, recuperò la coperta dal bagagliaio e tornò in città.

Mezz'ora dopo stava parcheggiando nel vialetto della casa di Silas. Il sole aveva appena iniziato a sorgere. La luce del portico era spenta. Aaron riusciva a vedere dei frammenti di vetro per terra. Si strinse la coperta intorno al corpo e scese, avvicinandosi alla casa. Quando bussò alla porta si rese conto che era socchiusa. Entrò in fretta e se la chiuse alle spalle.

L'interno era devastato. Il divano dove aveva dormito con Silas era squarciato. Il tavolo era stato ribaltato. C'erano carte e frammenti della vita di Silas sparsi ovunque, sul pavimento.

“Silas,” lo chiamò. Si diresse a grandi passi in cucina e quasi inciampò nella gamba spezzata di una sedia. “Silas, sei qui?” Si tenne la coperta addosso con una mano e afferrò il legno con l'altra, per usarlo come una mazza in caso di bisogno.

Continuò il giro della casa. La porta del bagno era chiusa. Tenendo su la coperta con le braccia, provò ad abbassare la maniglia. Era bloccata. Bussò. “Silas? Sei lì dentro?” Nessuna risposta.

Bussò più forte e chiamò di nuovo il suo nome. Ancora nessuna risposta. Fece qualche passo indietro, sperando di guadagnare abbastanza slancio nel corridoio, poi sbatté la spalla contro il legno.

La serratura si ruppe e l'anta si aprì. Aaron si precipitò dentro il bagno, una mano stretta attorno alla coperta e l'altra intorno alla gamba della sedia. Gli ci volle un lungo secondo per elaborare quello che stava vedendo.

La stanza puzzava di erba ed era piena di un misto di fumo e vapore.

Silas era seduto nella vasca da bagno, le sopracciglia sollevate in una espressione allarmata. Si tolse un grosso paio di cuffie e le fece cadere sul pavimento piastrellato. Il suo telefono era appoggiato sul bordo della vasca, collegato alle cuffie. Reggeva una canna proprio sopra il bordo dell'acqua.

“Ciao, Aaron,” disse. Il suo viso era coperto di varie sfumature di blu e viola. Aveva un labbro spaccato e un occhio così gonfio da essere quasi chiuso. Aveva un brutto taglio su una spalla e il petto era disseminato di lividi. Nonostante le ferite, si accigliò quando vide il volto di Aaron. “È stato Farley?”

“A fare cosa?” domandò Aaron.

“A picchiarti. In faccia.”

“Oh,” fece Aaron, mentre il suo cervello ricominciava a funzionare. “No, non è stato lui. Che ti è successo?”

Silas scrollò le spalle. “Farley era convinto che avessi rubato i soldi. Il che, tecnicamente, è vero.”

“Mi dispiace,” mormorò Aaron. Farley aveva ovviamente picchiato Silas, convinto che avesse lui il denaro. “Glieli ho restituiti.”

Silas inclinò la testa.

“Ho dovuto farlo,” gli spiegò. “Ha contattato la mia famiglia. Ha mandato a mio fratello un pezzo del video dove noi… di quello che abbiamo fatto.” Scosse la testa. “Mi dispiace. Ho dovuto farlo,” ripeté.

Silas sbatté le palpebre. “Aaron,” disse lentamente. “Stai indossando una coperta?”

Aaron si sentì arrossire. “Oh. Ehm, sì.”

“Hai qualcosa sotto?”

Aaron scosse la testa.

“Aaron,” lo chiamò di nuovo Silas. “Le coperte non sono vestiti.”

“Sì, lo so. Quanto sei fuori? Ti sei fumato anche il sapone?”

Silas scosse la testa. “Il sapone mica si fuma.” Porse lo spinello ad Aaron. “Vuoi fare un tiro?”

Aaron sospirò. “Sicuro.” Si avvicinò alla vasca e prese nota delle ferite di Silas. L'acqua del bagno era pulita ma con una leggera sfumatura rosa. Dopotutto Silas era ferito dalla testa ai piedi. Prese la canna. “Stai sanguinando.”

“Ormai ha smesso di sanguinare.”

Aaron osservò il taglio sulla sua spalla.

Silas seguì la direzione del suo sguardo. “C'è solo quell'osso martoriato e il mio naso. È rotto. Il naso, non l'osso della spalla.”

“Non dovresti bendarlo, o qualcosa del genere?” domandò Aaron.

“Lo farò più tardi.” Strinse gli occhi mentre lo osservava a fondo. “Chi ti ha colpito?”

“Mio padre.”

“Ah. Tuo padre ha visto il pezzo di video che Farley ha inviato a tuo fratello?”

“Quindi stai prestando attenzione alla conversazione.”

“Certo,” rispose Silas. “È una cosa seria.” Si guardò intorno nella stanza. “Immagino che il luogo non sia dei migliori. E, se non hai intenzione di fumarla, restituiscimela.”

Aaron gli ripassò la canna.

Silas fece subito un tiro. “Penso che sia il caso di uscire dalla vasca da bagno. Voltati, o se preferisci guarda pure, io comunque ti ho avvisato.”

Aaron si voltò e si fermò sulla soglia. Sentì un tonfo, poi il rumore dell'acqua che scendeva nello scarico.

“Sono coperto,” gli disse Silas. “Se è quello che ti spaventa.”

Aaron si voltò. Silas aveva un asciugamano avvolto intorno alla vita e aveva gettato via lo spinello.

“Vuoi continuare questa conversazione in camera da letto, in soggiorno o in cucina?” domandò. “Se posso permettermi, ti suggerirei il soggiorno, è quello meno incasinato al momento.”

“Andiamo in soggiorno,” concordò Aaron.

“Dopo di te.”

Quando raggiunsero il soggiorno, Silas si lasciò cadere sul divano rovinato. Il sangue gli colava ancora dal naso.

Aaron tornò in bagno e recuperò una scatola di fazzolettini, che poi porse a Silas.

L'uomo guardò prima i fazzolettini, poi Aaron. “Grazie.” Se li appoggiò in grembo.

Aaron alzò gli occhi al cielo. “Stai sanguinando di nuovo,” gli fece notare.

“Oh, giusto.” Piegò la testa indietro, afferrò una salvietta e iniziò a tamponare il naso. “Quindi,” disse poi, la voce leggermente soffocata, “tuo padre ti ha picchiato.”

“Sì.”

“È successo altro?”

“No.”

“Allora spiegami come mai hai buttato giù la porta del mio bagno indossando una coperta.”

Aaron sospirò, poi si sedette accanto a lui sul divano.

“Puoi dirmelo dopo,” disse Silas.

“Sì, forse più tardi. Cosa ti hanno fatto?”

Silas si strinse nelle spalle. “Ralph pensava che prendermi a calci e distruggere la casa avrebbe fatto apparire dal nulla i soldi spariti. Non vorrei essere io a dirtelo, ma si sbagliava.”

Aaron si portò una mano allo stomaco. “Lui… cosa ti ha fatto? Ti ha fatto del male?” 'Male' non era la parola giusta. Certo, Ralph ovviamente lo aveva ferito. Ma non era quello che intendeva Aaron. Tuttavia non ebbe il coraggio di chiederglielo. Non riuscì neppure a mantenere il contatto visivo. Si tirò la coperta sulle spalle e si guardò i piedi.

“Ha tirato un paio di pugni,” disse Silas. “Farley e Regina hanno perquisito la casa. Hanno fatto in fretta, però.”

La quantità di lividi sul corpo di Silas raccontava una storia del tutto diversa. “Perché non hai detto loro che ho preso i soldi quando me ne sono andato?” domandò Aaron.

“Farley ha insistito che stava cercando i suoi soldi,” ribatté Silas. “I soldi che tu hai preso erano tuoi. Non ho idea del perché pensasse di trovare i suoi soldi a casa mia.”

“Amico,” lo fermò Aaron. “Un gioco di parole? Sul serio? Hai usato la semantica in un momento del genere?”

“L'ho fatto anche in momenti molto più critici,” rispose Silas, un angolo della bocca che fremeva come se stesse cercando di trattenere un sorriso.

Aaron scosse la testa. “Dov'è il tuo kit di pronto soccorso?”

“Sul comodino nella mia stanza, o forse da qualche parte sul pavimento.”

Aaron si alzò e andò in camera di Silas. Il kit era sul pavimento, parzialmente aperto. Raccolse il contenuto sparso, lo gettò di nuovo dentro e tornò da Silas.


Capitolo Dieci

Pistole e Coperte

Tornando in soggiorno, vide che Silas si era spostato in cucina. “Che stai facendo?” gli domandò.

Silas stava frugando in un armadietto sopra il microonde. Tirò fuori una grande tavola di legno, che somigliava in modo sospetto alla base dello stesso armadietto. “Rifornimenti,” rispose. Estrasse una borsa nera e rettangolare di grosse dimensioni e la porse ad Aaron. “Se avessero sprecato meno tempo a cercare di intimidirmi e più a frugare in giro, forse avrebbero trovato qualcosa di utile.”

“Sei davvero preparato a tutto, a quanto vedo,” commentò Aaron.

“La parola che stai cercando è paranoico,” lo corresse Silas. Afferrò un sacchetto del ghiaccio e un pacco di piselli surgelati dal congelatore. Tornò in salotto e Aaron lo seguì. Silas iniziò a svuotare la borsa nera: era piena di flaconi di pillole. “Ti fa male la faccia?” chiese ad Aaron.

“Non molto.” Faceva male ma non era un dolore insopportabile. Robert di solito evitava di colpirlo in viso. I lividi sarebbero stati troppo visibili. I segni sulla schiena e sullo stomaco di solito impiegavano un paio di settimane per sparire del tutto ma nessuno poteva vederli.

Silas prese un tubetto di crema dal kit di pronto soccorso. “Vieni qui, questo ti aiuterà.”

“Prima occupiamoci di te,” ribatté Aaron. “Senza offesa, ma sei un disastro.” Prese la crema dalle mani di Silas e lesse le istruzioni. Era una specie di antibiotico generico. “Questo posso metterlo sulla tua spalla, vero?”

“Sì.”

Aaron prese uno dei guanti usa e getta dal kit, immaginando che fosse necessario indossarli per evitare la contaminazione incrociata, o qualcosa del genere. Trovò un pacchettino contenente una salvietta imbevuta di disinfettante e ripulì la ferita dal sangue. Lasciò passare una manciata di secondi perché si asciugasse, poi si spremette un po' di crema sulla punta delle dita e la strofinò con cura sul taglio.

Silas si sedette più dritto, improvvisamente immobile, e guardò Aaron con un'espressione tra il divertito e l'intrigato.

Aaron prese una garza e la attaccò sopra la ferita, poi controllò il resto del corpo di Silas in cerca di altri tagli e lesioni di cui poteva occuparsi.

“Ci sono solo lividi,” gli disse Silas. “Guariranno da soli.”

“E il tuo naso?”

Silas alzò il pacchetto di piselli surgelati. “Questi sono per la mia faccia, e questo,” gli porse il sacchetto del ghiaccio, “è per la tua.”

Afferrò un po' di cotone sterile, ci spremette sopra la crema e, prima che Aaron potesse protestare, la spalmò rapidamente sulla sua guancia, appiccicandoci poi un grosso cerotto. Per tutto il tempo continuò a premersi il sacchetto di verdure sul naso.

“Grazie,” mormorò Aaron. Seguì il suo esempio e si appoggiò il ghiaccio sulla guancia.

“Ti ha picchiato altre volte?” domandò Silas.

“Non voglio parlarne,” rispose Aaron. “Così come tu non vuoi dire quello che ti è successo davvero.”

Silas sospirò. “Dammi la mano, per favore.”

“Perché?”

“Voglio dire qualcosa e vorrei sembrare il più sincero possibile.”

“Sembra già una bugia.”

“Va bene, allora lo dirò e basta.” Silas prese aria. “Farley, Ralph e Regina sono entrati in casa mia. Farley e Regina hanno iniziato a cercare tra le mie cose, Ralph invece mi ha stuzzicato e io ho reagito. Ovviamente ha vinto lui. È più grosso di me, ma mi consolo sapendo che gli ho provocato quasi altrettanti danni. Ho afferrato un coltello e lui me lo ha preso, facendomi il taglio che hai appena fasciato. Poi mi ha rotto il naso e poco dopo Farley lo ha chiamato. Ecco tutto.” Scrutò Aaron, probabilmente per vedere se lo stava ascoltando. “Abbiamo fatto a botte. È stato spiacevole. Ma questo è davvero tutto quello che è successo.”

Aaron si morse il labbro. “Mi dispiace di essermene andato senza dirti niente.” Avrebbe dovuto svegliarlo. Erano complici ormai. Avrebbe dovuto lasciare i soldi a casa di Silas. Non avrebbe dovuto farsi prendere dal panico. Il panico era sempre stato la sua prima reazione. Robert faceva bene a tenerlo alla larga da Daniel. Aaron non era di alcun aiuto nel momento del bisogno. Se si fosse fermato a riflettere, avesse svegliato Silas e poi chiamato Daniel per spiegare la situazione a suo fratello, probabilmente avrebbero potuto ideare un piano d'azione e Silas non sarebbe stato attaccato. Se Aaron non fosse stato completamente addormentato durante le chiamate di Farley, Silas adesso non sarebbe stato ridotto a uno straccio maciullato.

“Aaron.”

Alzò lo sguardo su Silas.

“Non è stata colpa tua,” disse l'uomo. “Non mi hanno violentato. Sono stato meglio, questo è vero, ma sono solo ferite esterne, che guariranno in fretta. Non è stata colpa tua.”

Aaron si allontanò un po' da lui. Era bello sentirsi dire che perlomeno qualcosa non era colpa sua… troppo bello. Non poteva rischiare di abituarsi, oppure avrebbe cercato l'assoluzione per tutti i suoi errori.

“Non sei tu il responsabile di quello che è successo,” disse Silas con forza. “Lo capisci?”

“Sì.”

“Prima o poi mi spiegherai perché non indossi niente a parte una coperta?”

Aaron si appoggiò contro lo schienale del divano. “Ho avuto una sorta di attacco nel parcheggio di un supermercato. Non lo so. È una cosa stupida. Semplicemente, non volevo più indossare quei vestiti.” Non aveva idea di quanti pezzi della storia Silas stesse riuscendo a mettere insieme. Aaron sapeva di non avergli fornito molto materiale su cui lavorare.

Silas non curiosò oltre. Si stiracchiò e sbadigliò. “Non ho dormito molto stanotte. Mi rendo conto che tecnicamente è mattina, ma non ho un programma da rispettare. Direi che anche tu sia stanco?”

Aaron annuì.

“La mia camera da letto è un disastro, come avrai notato, ma il materasso è ancora in buone condizioni. Io userò il divano.”

“Userò io il divano,” ribatté Aaron. “Sei messo peggio di me.”

Dormiamo insieme. Lo abbiamo già fatto. Non deve essere per forza lui a proporlo.

“Grazie, ma no. Anche se,” rifletté Silas, “il materasso gonfiabile potrebbe essere ancora tutto intero. Vado a controllare.” Si alzò, ondeggiò e poi barcollò lungo il corridoio. Tornò un attimo dopo portando con sé una pompa elettrica e un insieme di plastica sgonfia. “Io uso questo. Tu prendi il letto.”

“Non è sicuro dormire qui,” gli fece notare Aaron. “Possiamo condividere la camera da letto. Non è un problema.”

“Ti sentiresti a tuo agio?”

“Non te lo avrei proposto se mi fossi sentito a disagio.”

“Allora va bene.” Silas tornò in camera da letto.

Aaron si concesse un momento per calmare l'improvvisa tensione nelle spalle e nello stomaco, poi lo seguì. Esaminò la porta della camera da letto. “Il legno è cavo,” disse.

“È importante?”

“È più facile da buttare giù.”

“Non torneranno,” disse Silas. “E, se lo faranno, gli sparerò.” Fece un cenno in direzione della pistola posata sul pavimento lì vicino. Aaron non si era neanche accorto che l'avesse presa. “Dormirò tra te e la porta.”

“Okay,” disse Aaron. “Io terrò d'occhio la finestra.”

“Oppure potrei serrare la finestra, dormire tra te e la porta e lasciarti riposare in pace sapendo che siamo al sicuro.”

“Non siamo al sicuro,” gli fece notare Aaron. “Siamo degli… obiettivi. E se questa casa è così sicura, come hanno fatto ad entrare?”

“Oh,” fece Silas. “Capisco. Pensi che abbiano fatto irruzione qui dentro.”

“Non è così?”

“No, li ho fatti entrare.”

“Perché cazzo avresti dovuto farlo?”

“Perché non avevo niente da nascondere,” rispose tranquillamente. “Ed è stato divertente vedere Farley sbuffare e lanciare minacce ma andarsene comunque a mani vuote.”

“Questo è…” iniziò Aaron. “Non lo so. È strano.”

Silas si strinse nelle spalle e infilò la pompa elettrica nel materasso gonfiabile. Si avvicinò al comò mentre si gonfiava. Prese una manciata di vestiti e raccolse alcuni oggetti che erano stati gettati sul pavimento. Consegnò tutto ad Aaron. “Nel caso in cui tu voglia abbandonare quella coperta.”

Afferrò altri vestiti dal pavimento e uscì dalla stanza, sicuramente, pensò Aaron, per dargli un po' di privacy mentre si cambiava. Per la seconda volta nel giro di poche ore, si infilò di nuovo i vestiti di Silas. Si sentiva più pulito, ma più stanco. Si tirò la sua coperta fino alle spalle. Quando Silas tornò, Aaron notò che aveva indossato un pigiama al posto dell'asciugamano.

“Prendo io il materasso ad aria,” disse Aaron.

“No.”

“Sì. Ho visto i tuoi lividi. Le tue costole potrebbero essere rotte o incrinate. Non sono un medico, ma sono sicuro che ti abbiano colpito abbastanza forte.”

“No,” ripeté Silas. “Inoltre, avrò una visuale migliore dal pavimento.” Fece un cenno verso la sua pistola. Si stese in fretta al centro del materasso gonfiabile, il cuscino infilato sotto la testa e il corpo coperto dal soffice piumino.

“D'accordo,” sospirò Aaron. Chiuse la porta e girò la chiave nella serratura.

“Apprezzo la tua preoccupazione,” disse Silas. “Ma sono io quello esperto di medicina. Sono abbastanza sicuro di sapere cos'è meglio per me stesso.”

“Sei anche quello che tra i due ha uno strano desiderio di morte.”

“Non ho nessun desiderio di morte.”

“Certo, come no.” Aaron strisciò sul letto. Il materasso cedette leggermente sotto il suo peso.

Silas si girò, dando le spalle ad Aaron. “Se ti svegli prima di me, questa volta preferirei che non te ne andassi senza farmelo sapere.”

“Va bene.” Si sarebbe concesso un giorno per riposare, poi se ne sarebbe andato. Non poteva restare in città. Robert non glielo avrebbe permesso. Aveva solo bisogno di dormire e recuperare un po' di energie, a quel punto sarebbe stato pronto per partire.

Si addormentò cercando di ricordare quanti soldi gli fossero rimasti nel conto in banca.





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L'amore trova sempre una strada.

L'amore trova sempre una strada.

Aaron Beaumont è un disastro. La vita non è mai semplice, quindi come poteva pensare che un po' di bondage sarebbe stato d'aiuto? Anche se così ha risolto il problema dei soldi, il prezzo da pagare è stato più alto di quanto si aspettasse. Per sua fortuna viene salvato da Silas Anderson. Silas, che è un medico, lo porta a casa e cura le ferite sul suo corpo, ma Aaron non può permettere che quel tocco gentile sfiori ciò che si nasconde sotto la sua pelle.

Quando Aaron tenta di tornare a casa il mattino seguente, scopre che il peggio è già accaduto. All'improvviso si ritrova senza un posto dove andare. Ancora una volta il suo mondo si scontra con quello di Silas.

Col futuro incerto davanti a sé, tra Aaron e Silas nasce qualcosa che nessuno dei due ha mai sperimentato prima, ed entrambi capiscono che è qualcosa che potrebbero non sperimentare mai più.

Tuttavia, la felicità è fuori dalla loro portata, e prima di poter avere il loro lieto fine dovrnno affrontare il passato e i demoni che esso porta con sé.

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