Книга - Una Moglie Per Collin

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Una Moglie Per Collin
Shanae S. Johnson


Charlotte Lee sa che non ci si può aspettare alcun romanticismo da un matrimonio di convenienza. Finché non comincia ad innamorarsi...








UNA MOGLIE PER COLLIN




INDICE


Capitolo 1 (#ud1c7522f-9a13-5283-ad19-add392a30f89)

Capitolo 2 (#u0423cd4a-c544-5f81-a12f-a2d8a61860ac)

Capitolo 3 (#ue4d270ec-0f2e-5918-902b-b26b74c2dc69)

Capitolo 4 (#ude92bca4-e335-5156-bc40-e3025d4bc1d8)

Capitolo 5 (#u825f6baa-fa3f-5a0b-a78a-833d09b78350)

Capitolo 6 (#u934793aa-98df-5e8d-9006-772ddcfb8992)

Capitolo 7 (#ubd7197b6-81fb-5ae0-bb51-a96b13994d8a)

Capitolo 8 (#u2c374f54-979a-58f8-a9c9-561d499c1f04)

Capitolo 9 (#u60334cab-9f08-5f01-830f-491ea606e138)

Capitolo 10 (#ud25a77d1-453f-5677-9e68-4ffa019b0414)

Capitolo 11 (#u488f21e2-4d19-562d-a915-7d801a82c041)

Capitolo 12 (#ua51398c3-8920-5e40-ba71-a21019eb9c21)

Capitolo 13 (#u789085d0-97d1-5f6d-b4ec-92f1d1029fa4)

Capitolo 14 (#u27ec1989-3488-5235-ac70-1222cab692b8)

Capitolo 15 (#u0481d4c0-8800-54a3-ba6b-1e818151b280)

Capitolo 16 (#ufa9461ad-3019-5031-a87b-ed3e2f86066c)

Capitolo 17 (#ub8958fcd-1ae6-54bf-a551-a6ffabe57660)

Capitolo 18 (#u64cf772b-b020-55ff-ad5c-f4b01b31e330)

Capitolo 19 (#u989c941e-ee2a-5512-9423-7cb52947c74a)

Capitolo 20 (#uadaaf5e9-83da-59a9-8951-3b00b33762da)

Capitolo 21 (#ue63b19aa-3dc9-5aeb-b944-db8d97fa4b6f)

Capitolo 22 (#u2141bf4f-fd6e-5b9c-9f17-3e876783ffc4)

Capitolo 23 (#uf37eb102-4d19-54a3-84f0-f024d2fdd039)




CAPITOLO UNO


"Penso sia pronto a chiedere la tua mano" dichiarò la rossa con aria sognante,

I capelli biondo fragola le incorniciavano dolcemente il viso con riccioli leggeri e delicati come il bacio di un amante. I suoi occhi verdi da cerbiatta erano colmi di speranza e anticipazione.

"Sei fuori di testa?" esclamò l'altra rossa, fissandola incredula.

I suoi capelli erano lisci e il loro era il classico rosso che si immagina quando si pensa ad una rossa, profondo, vibrante, più simile a quello di una mela che di una fragola. Gli occhi invece erano esattamente della stessa tonalità di verde.

"Siamo usciti insieme solo due volte. E la prima volta mi sono resa conto solo alla fine che si trattava di un appuntamento" disse, sul viso un’espressione più incredula che entusiasta.

"Il terzo appuntamento sarà la cena con la famiglia. Sai bene cosa significa" disse una terza rossa, i cui capelli cortissimi erano della tonalità più scura di rosso. Un castano ramato, che sfiorava i toni del marrone, ma che era tutt'altro che scialbo.

Charlotte Lee guardò il proprio riflesso nella finestra della cucina. Era facile riconoscersi: era la ragazza dai capelli castano topo in mezzo a quelle rosse vivaci, alte, statuarie e dalla carnagione di porcellana. La pelle abbronzata di Charlotte non era un prodotto del sole, piuttosto un dono di suo padre, che l'aveva portato con sé da Shanghai dove aveva frequentato l'università.

"Questo non è un appuntamento" disse quella dai capelli rosso classico. Eliza Bennett alzò gli occhi a cielo, torreggiando sulla testa delle sue sorelle. Un gesto rivolto esclusivamente a Charlotte, come se la sua migliore amica fosse l'unica in grado di comprenderla.

"Vuoi spiegarglielo tu, Charlie?"

Charlotte non si preoccupò di risponderle, perchè sapeva bene che la domanda era puramente retorica. Nemmeno un secondo dopo, Eliza lo confermò fornendo ella stessa la risposta.

"Quale uomo sano di mente chiederebbe la mano di una donna che sta chiaramente cercando di spingerlo al matrimonio?"

Giusta osservazione, pensò Charlotte, chiedendosi anche se quella di Eliza fosse un'altra domanda retorica e se fosse solo una battuta ironica. L'inglese non era mai stato il suo forte a scuola. Il suo interesse era più rivolto al programma di zootecnia del dopo scuola, al quale partecipavano i bambini i cui genitori lavoravano tutto il giorno. I genitori di Charlotte non lavoravano tutto il giorno, o, almeno, lei non pensava che lo facessero. Non riusciva propria ad immaginare che, in paradiso, le anime dovessero lavorare. Qui sulla terra, Charlotte preferiva lavorare con gli animali della fattoria ogni giorno dopo le lezioni, piuttosto che tornare a casa della zia, dove le veniva costantemente ricordato di essere un peso indesiderato e sgradito.

"Collin è venuto semplicemente a parlare d'affari con papà" disse Eliza come per decretare la fine di quella conversazione.

Le ragazze scrutarono dietro l'angolo della cucina che conduceva nella sala da pranzo, dove il muscoloso John Bennett sedeva di fronte all'alto e allampanato Collin Hunsford. Mr. Bennett sorseggiava il suo caffè, sfogliando il giornale. Collin guardava fuori dalla finestra, là dove il prezioso cavallo da corsa dei Bennetts era intento a pascolare. Da quando era arrivato, i due uomini non si erano scambiati una parola.

Il giovane sollevò di scatto lo sguardo e, con una rapida piroetta, le tre sorelle Bennett si tirarono indietro per non farsi vedere. Charlotte tuttavia perse il ritmo e restò lì, immobile, sotto i penetranti occhi blu di Collin. D'altra parte, era tutta la vita che sapeva di avere due piedi sinistri: le sarebbe risultato impossibile piroettare su se stessa senza finire a terra. Inoltre, non avrebbe potuto sollevarsi sulle dita dei piedi neanche se ci avesse provato, perché i tacchi dei suoi usurati stivali da cowboy sembravano aver messo radici nel pavimento.

Così eccola lì, pietrificata, sotto lo sguardo di Collin.

Collin Hunsford aveva quel tipo di sguardo che andava ben al di là dell'apparenza, ma puntava dritto al problema. A differenza di tutti gli altri ragazzi con cui era cresciuta, Collin non pretendeva che gli altri tacessero per essere ascoltato. Parlava solo se interrogato e rispondeva solo se sapeva cosa dire. Diversamente, la sua attenzione era interamente focalizzata sugli animali che aveva in cura.

Charlotte aveva trascorso buona parte del dopo scuola ad osservarlo per capire qualcosa di lui, anche se Collin non le aveva mai rivolto una seconda occhiata. Come d'altra parte faceva la maggior parte dei ragazzi.

Anche in quel momento, i suoi occhi scivolarono su di lei come se fosse invisibile. Cercava Eliza, senza dubbio. Nessuna meraviglia, dal momento che era proprio lei che stava corteggiando.

Charlotte pensò di togliersi di mezzo, in modo che potesse vedere meglio la sua migliore amica, ma, prima che avesse il tempo di allontanarsi, lui tornò a guardare fuori dalla finestra, osservando il cavallo che pascolava all'esterno.

Forse Jane e Lydia si erano sbagliate? Possibile che Collin non fosse lì per chiedere la mano di Eliza? E ancora...quale uomo avanzava una proposta di matrimonio dopo due soli appuntamenti? Erano cose che si leggevano solo nei romanzi d'amore.

Collin sembrava molto più interessato a Lefroy. Ultimamente, il pluripremiato stallone dei Bennetts aveva avuto qualche problema con le articolazioni. Quando lo aveva cavalcato, Charlotte aveva notato che la sua andatura era più lenta e avrebbe voluto parlarne all'addestratore. Il fatto era che Bert era stato mandato in pensione proprio quel fine settimana. Il cottage dove aveva alloggiato, ai confini della proprietà, era buio e silenzioso, in attesa che mr. Bennett assumesse un nuovo addestratore.

"Qualunque sia il motivo per cui è qui, non ha niente a che fare con me" dichiarò Eliza.

"Davvero?" esclamò Lydia "Allora cos'ha nella tasca dei pantaloni?"

Tre teste rosse si affacciarono simultaneamente all'angolo in cerca di prove. Charlotte si era già allontanata, di nuovo fuori tempo. Non aveva bisogno di dare una seconda occhiata a Collin, perchè una era stata più che sufficiente per permetterle di ricordare ogni dettaglio di quell'uomo.

Era alto e magro, dai lineamenti classici che sarebbero stati belli se solo qualche volta avesse sorriso. Lo faceva raramente. Non che Charlotte contasse i suoi sorrisi o i suoi cipigli, ma c'era in lui un'intensità pacata che attirava inevitabilmente il suo sguardo. Dunque, non c'era da stupirsi se aveva notato quel rigonfiamento nella tasca dei pantaloni appena lui aveva varcato la soglia della casa dei Bennetts, dov'era stato invitato a cena.

"Fidati di me" disse Eliza "Non è come credi".

"Pensavo fossero i piedi di un uomo a far capire...bè, lo sai" disse Lydia.

"Lydia" la ammonì Jane, sulle guance un accenno di rossore.

"No, non sono i piedi" dichiarò Eliza "In realtà è il naso".

"Eliza!" sbottò Jane, ormai completamente scarlatta.

Eliza e Lydia gettarono la testa all'indietro e risero. La stessa Charlotte non potè trattenere una risatina. Jane era la sorella Bennett che si adombrava più facilmente, con quella sua mania per le buone maniere.

Era in momenti come questo che Charlotte era felice di essere stata accolta nella loro casa, che aveva sempre considerato un rifugio caldo e accogliente. L'esatto opposto del freddo appartamento della zia, dove era obbligata a stare sempre ferma e zitta. Al Bennett Ranch, aveva imparato a correre, a gridare, a cavalcare.

Mr. Bennett non aveva mai proibito ad Eliza di invitare Charlotte a passare la notte da loro. Ma al mattino, dopo una ricca colazione a base di pancake alla banana, la caricava sul suo camion e la riportava dalla zia, dove Charlotte contava i giorni, le ore, i minuti fino al successivo fine settimana, quando sarebbe tornata al ranch.

E adesso che Bert si era ritirato, sperava che quel vecchio cottage diventasse un posto tutto suo dove vivere, accanto alle persone che amava di più al mondo. Tuttavia, per realizzare il suo sogno, doveva convincere mr. Bennett di essere la candidata più idonea per il posto di addestratore, nonostante si fosse appena laureata e avesse alle spalle solo uno stage e un'esperienza di volontariato.

"Eliza, cara, sei scortese con il tuo ospite" disse Mr. Bennett, rivolgendo un sorriso a Charlotte come se fossero complici di uno scherzo. Lei ricambiò il sorriso.

Da bambina, aveva segretamente sognato che lui la adottasse e la portasse a vivere in quel ranch, dove aveva trascorso praticamente tutto il tempo dopo che Eliza aveva deciso che sarebbero diventate amiche. Poi, mr. Bennett si era reso conto che, in quanto vedovo, aveva già abbastanza da fare con tre ragazze indisciplinate. Non poteva gestirne un’altra ancora.

Ma ormai non era più una povera orfana, bensì una donna adulta con una laurea e delle qualifiche, e teneva le dita dei piedi e delle mani incrociate, nella speranza che, in qualche modo, il nepotismo facesse la sua parte quando si sarebbe proposta per il lavoro di addestratore.

"Sto aiutando Jane con la cena" rispose Eliza, dal lato opposto della cucina, dove, con grande impegno, stava aiutando il muro a stare in piedi appoggiandosi ad esso. "E non è mio ospite. Ci siamo lasciati". L'ultima frase fu solo un sussurro, ma le donne radunate in cucina lo sentirono benissimo.

"Lui lo sa, Eliza?" le chiese Jane, sfornando un fragrante arrosto circondato da patate.

"Penso di sì, dal momento che è tutta la settimana che non rispondo ai suoi messaggi e alle sue telefonate" rispose Eliza, allontanandosi dal muro per seguire il profumo dell’arrosto.

Una alla volta, le ragazze uscirono dalla cucina: prima Lydia, poi Jane, che andarono a sedersi alla fine del tavolo, quindi Eliza e infine Charlotte. Quando arrivò il suo turno, a tavola erano rimasti solo due posti liberi: uno di fronte a Collin, l'altro al suo fianco.

Ovviamente, Eliza si affrettò ad occupare quello di fronte e a lei non restò che sedersi accanto al giovane. Ancora una volta, lui non la degnò di uno sguardo mentre prendeva posto, limitandosi ad alzarsi in piedi al loro arrivo in sala. Quattro paia di occhi si posarono sulla tasca anteriore dell'uomo: sì, c'era un rigonfiamento, lì sotto.

"Stai molto bene stasera, Elizabeth" disse Collin “Proprio in forma”.

"Grazie" risposa Eliza seccamente.

"C'è qualcosa di cui vorrei parlarti" continuò lui "Pensi che potremmo...".

"Si tratta delle corse di Pemberley?" volle sapere Eliza "Ho sentito che Darcy pensa di invitare una star televisiva come attrazione. Ne hai sentito parlare anche tu, papà?"

"Non mi sembra" rispose mr. Bennett, intento ad affettare l'arrosto.

"Sai di chi potrebbe trattarsi?" chiese Lydia, fissando Collin mentre si sistemava una ciocca dietro l'orecchio.

"No, mi spiace" rispose lui, ancora in piedi. Si passò una mano sui pantaloni, sfiorando il rigonfiamento nella tasca laterale "Come stavo dicendo, Eliza...".

"Scommetto che è Carlos Bingley, l'attore di quella telenovela" dichiarò Lydia "Come si chiama, Jane?"

"Ummm...non lo ricordo". Lo sguardo di Jane era fisso sulla tasca di Collin.

"Elizabeth...ho davvero bisogno di parlare con te privatamente".

"Qualsiasi cosa tu voglia dirmi, puoi farlo davanti alla mia famiglia".

Lo sguardo di Collin si posò a turno sulle tre sorelle Bennett. Charlotte fu ancora una volta ignorata, il che era abbastanza giusto, dato che non era un membro della famiglia, anche se era stata invitata da Eliza, che l’aveva sommersa di chiamate e messaggi per tutta la settimana, proprio come si fa tra migliori amiche.

Affettando la propria porzione di arrosto, Eliza sollevò gli occhi al cielo. Era un gesto che ripeteva spesso quando pensava che nessuno la capisse. Essere incompresa, aveva spiegato a Charlotte, era il destino dei secondogeniti. Ma Charlotte non riusciva proprio a capire come l’amica potesse considerarsi incompresa, quando esprimeva sempre a voce alta le proprie convinzioni e le proprie pretese.

"D'accordo" accettò Collin.

Infilò la mano nella tasca dei pantaloni. Le ragazze trattennero il fiato...per poi emettere un gemito collettivo quando lui estrasse quella che sembrava un'arma, ma che in realtà era uno strumento per calmare i cavalli, come sapevano tutti coloro che erano cresciuti in un ranch.

"Ve l'avevo detto" dichiarò Eliza, l'espressione trionfante.

Ma Collin non aveva finito di svuotare la tasca. Un attimo dopo, tirò fuori una scatoletta.

Intorno al tavolo cadde il silenzio.




CAPITOLO DUE


Collin infilò la mano in tasca per tirare fuori l’anello, ma, invece della scatola di velluto lasciatagli dalla madre, le sue dita trovarono qualcosa di duro e freddo. Lo strumento per calmare i cavalli gli pizzicò l’indice mentre lo afferrava e lo tirava fuori dalla tasca per posarlo sul tavolo. Lo aveva usato prima di venire da Bennett, per curare uno dei pregiati stalloni del cugino Darcy.

Il purosangue aveva avuto bisogno di una radiografia e di iniezioni alle giunture. Collin aveva preferito non sedarlo con le droghe, per evitare che fosse estromesso dalla prossima gara, così aveva usato un dispositivo che, a prima vista, sembrava uno strumento di tortura, ma che, usato correttamente, rilasciava gradualmente endorfine che tranquillizzavano il cavallo. In questo modo, era riuscito a medicarlo in tempo record e senza causargli alcun danno.

Chissà se poteva utilizzarlo anche lì, al Bennett Ranch. Aveva notato i che il loro cavallo da corsa, Lefroy, zoppicava in modo sospetto e la cosa non gli era piaciuta. Gli avrebbe dato un'occhiata.

Ma non adesso. Era lì con per uno scopo preciso ed era meglio occuparsene per primo. Aveva imparato che le donne non gradivano essere considerate meno importanti dei cavalli.

Infilò di nuovo la mano in tasca ed estrasse la scatola di velluto che conteneva l'anello di fidanzamento del set di Chanel che la madre gli aveva lasciato. Quando era lei ad indossarlo, Collin aveva sempre ammirato la disposizione dei diamanti sulla banda laterale. In particolar modo quello grande al centro scintillava ogni volta che sua madre era fuori, alla luce del sole, il che non succedeva spesso.

Eliza Bennett trascorreva le giornate all’aperto, con la pioggia o con il sole. Un vantaggio per la loro unione, perchè, quando fosse diventata sua moglie, avrebbe visto di nuovo l’anello scintillare.

"Elizabeth..." iniziò. Odiava il diminutivo Eliza. Non aveva mai capito la necessità di troncare o cambiare il proprio nome "Vorrei che tu diventassi mia moglie".

La scatola si aprì con uno scatto. I diamanti brillarono sotto la luce dei lampadari. Collin notò che nella stanza era caduto il silenzio. Avrebbe dovuto usare quell'espediente durante le future riunioni di famiglia troppo chiassose, pensò. Sarebbe stato sufficiente tirare fuori la scatola di una gioielleria e tutti avrebbero smesso di parlare.

Tuttavia, anche Elizabeth aveva taciuto. Non aveva ancora risposto sì. Forse era il caso di aggiungere qualcos'altro? O doveva aspettare?

Meglio aspettare.

Ogni volta che incontrava Elizabeth in compagnia della famiglia o degli amici, lei era sempre molto ciarliera. Aveva sempre qualcosa da dire e il più delle volte lo faceva a voce alta.

In effetti, questo era l'unico difetto della donna che aveva scelto come moglie: avere alle spalle una famiglia terribilmente rumorosa e frenetica. Tutta quell’attività logorava i nervi di Collin. Quando erano soli, invece, lei sembrava più calma e Collin la apprezzava molto di più.

"Non puoi dire sul serio" rispose infine Elizabeth quasi urlando.

Il suo tono di voce lo fece sobbalzare. Persino Lefroy, all'esterno, nitrì e si spostò qualche metro più in là, drizzando le orecchie per individuare la provenienza del suono. Come tutti gli animali, anche i cavalli avevano un udito molto sensibile.

Le orecchie doloranti, Collin si guardò intorno: mr. Bennett aveva la stessa espressione di poco prima, quando stava leggendo il giornale, ma i suoi occhi scuri vagavano da Collin alla figlia e dalla figlia a Collin, come se stesse leggendo la trama della storia che si stava svolgendo nella sua sala da pranzo. Non c'era l'ombra di un sorriso sul suo volto, nè di un cipiglio. Praticamente imperscrutabile.

Il che non fu per Collin di nessun aiuto. Aveva imparato a decifrare le espressioni facciali fin da adolescente, e non per scelta. La madre e la zia avevano fatto di tutto perchè diventasse un ragazzo più socievole, tessendo trame che non avevano funzionato. Ma in compenso aveva imparato qualcosa di molto utile: c'erano ben diciannove diversi tipi di sorrisi che potevano essere classificati, quantificati e identificati.

Lydia e Jane stringevano entrambe le labbra in quello che poteva sembrare un sorriso. Ma gli angoli delle loro bocche non erano sollevati, e il sorriso non raggiungeva gli occhi.

Il sorriso di Jane esprimeva imbarazzo, a giudicare dalle guance arrossate e dal modo in cui la testa era leggermente inclinata verso il basso e verso sinistra. Anche Lydia teneva la testa china, ma la bocca era chiusa e le guance erano gonfie, come se si sforzasse di trattenere una risata.

Incapace di muoversi o di dire qualcosa, Collin attese, torreggiando su ogni persona seduta al tavolo della sala da pranzo di casa Bennett. Era percorso da una miriade di brividi di freddo e i muscoli del suo stomaco si erano contratti, pronti a ricevere il colpo.

Ma non successe nulla. Nessuno rise di lui. Nessun dito lo indicò. Nessuno lo schernì per la sua diversità e inadeguatezza.

Infine, il suo sguardo cadde su Charlotte Lee, che aveva preso posto al suo fianco qualche minuto prima senza dire una parola. Aveva immaginato che sarebbe stata Elizabeth a sedersi accanto a lui, ma era stato un sollievo vedere Charlotte occupare quella sedia. Era sempre stata una ragazza tranquilla come un topolino, una caratteristica che aveva conservato anche adesso che era adulta.

Lei lo fissò, le labbra serrate, le sopracciglia inarcate. Non rideva di lui, piuttosto sembrava preoccupata. E anche un po' a disagio, come se fosse appena stato commesso un passo falso.

Ma dove aveva sbagliato? si chiese Collin. Aveva seguito il copione alla lettera: era uscito due volte con Elizabeth per mostrarle di essere interessato a lei e, sapendo che al terzo appuntamento ci si aspettava un impegno, si era presentato con un anello.

Cosa aveva dimenticato?

Guardò di nuovo Charlotte. Era sempre stato in grado di decifrare le sue espressioni, perchè, a differenza delle altre ragazze, non sapeva nascondere quello che provava.

Questa volta, lei gli sorrise. Un sorriso luminoso, che arrivava agli occhi, ma che non era nè di felicità nè di congratulazioni, perchè durò solo un attimo, come se fosse pesante da trattenere.

Fu allora che Collin si rese conto del proprio errore.

Girò intorno al tavolo, si avvicinò ad Elizabeth e si inginocchiò.

"Perdonami" disse "Adesso ricomincio daccapo".

"No!" esclamò lei, sollevando le mani come per allontanarlo "Non intendo sposarti".

"Ho dimenticato qualche altra regola sociale?" chiese lui, voltandosi a guardare Charlotte.

Lei si stava fissando le mani, mentre tutti i Bennetts fissavano lui, ogni sorriso di circostanza svanito dai loro volti.

"Cosa ti fa pensare che ti sposerei?" stava dicendo Elizabeth.

Collin riportò l'attenzione sulla futura sposa. Aveva bisogno della sua collaborazione per raggiungere il proprio obiettivo.

"Ho notato dei chiari segnali".

"Davvero? E quali?"

Durante il periodo dell'accoppiamento, le cavalle facevano in modo che gli stalloni sapessero che erano pronte per la monta lanciando segnali evidenti, come roteare la coda e urinare.

Elizabeth si toccava sempre i capelli mentre chiacchierava con la gente, ma Collin non accennò alla cosa. Aveva imparato che le donne non apprezzavano di essere paragonate ai cavalli. Esattamente come non amavano essere messe al secondo posto.

Posò sul ginocchio la mano che conteneva la scatola con l'anello.

"Ti ho sentito dire che è opinione comune che un uomo con un buon lavoro ha bisogno di una relazione seria".

"Quando avrei detto una cosa del genere?"

"Quando stavi iscrivendo Lefroy alle gare di Pemberley al ranch di mio cugino Darcy".

"Oh" Elizabeth aggrottò la fronte "Parlavo di Darcy e di tutte quelle innamorate che gli ronzano intorno".

A differenza dei sorrisi, Collin aveva sempre avuto problemi con il sarcasmo. Sfortunatamente, non c'era modo di comprendere il livello di ironia, a meno che uno non sorridesse subito dopo. Elizabeth aveva sorriso?

Ma quello non era stato l'unico segnale.

"Durante i nostri appuntamenti, andavi spesso al bagno".

Elizabeth spalancò gli occhi, confusa.

"Le giumente urinano per annunciare che sono pronte a riprodursi" spiegò lui.

"Andavo al bagno per allontanarmi per un po' da te" replicò lei, tirandosi indietro.

Jane sussultò ed esalò un brusco respiro.

Lydia fece una smorfia e batté rumorosamente i palmi delle mani

Collin si voltò a guardare Charlotte, l'unica a sembrare addolorata per come stavano andando le cose. La vide girarsi verso la porta come se volesse disperatamente trovarsi fuori da quella stanza.

Probabilmente, non avrebbe dovuto esternare quel paragone tra Elizabeth e una cavalla in calore. Per fortuna, non si era avventurato nella descrizione dei movimenti della coda con cui le giumente attiravano gli stalloni.

Non che Elizabeth lo avesse fatto.

In ogni caso, non erano solo queste le ragioni che lo avevano spinto a chiedere la sua mano.

"Abitiamo vicini, quindi non dovresti neanche trasferirti troppo lontano".

"Vivo anche accanto a Darcy. Ha forse chiesto la mia mano?"

"Tu e mio cugino non siete fatti l'uno per l'altra. Noi due, invece, andiamo abbastanza d'accordo". Collin pensò ai silenzi che avevano riempito i loro appuntamenti. Lei non aveva mai insistito per conversare a tutti i costi. In effetti, Collin non riusciva a ricordare alcuna conversazione tra loro.

"Andare d'accordo? Pensi che l'amore sia tutto qui?"

"Cosa c'entra l'amore in questa equazione? Ho scelto te perchè non invaderemo l'uno la vita dell'altro. Potremmo continuare esattamente come adesso. Un'alleanza tra noi farebbe comodo a tutti".

"Un'alleanza? Parli del matrimonio come se si trattasse di un affare economico".

Non era forse così? Il matrimonio dei genitori aveva consolidato i possedimenti terrieri di Rosings Ranch. Adesso Collin aveva bisogno dell'eredità che la madre gli aveva lasciato per trasformare il ranch in un paradiso per cavalli da corsa in pensione. Il problema era che non avrebbe avuto accesso al denaro finchè non avesse messo quell'anello al dito di una donna.

"Da un punto di vista tecnico e storico, il matrimonio è esattamente questo" disse "Un contratto, un'alleanza tra famiglie. Il concetto di sposarsi per amore è più moderno e le sue probabilità di successo sono molto basse, a differenza di quanto succede per i matrimoni basati su questioni economiche".

Il coro di sospiri che seguì la sua dichiarazione fu un chiaro segnale che aveva sbagliato di nuovo. Ogni Bennett presente lo guardava accigliato: Elizabeth teneva le mani serrate a pugno, Jane scuoteva lentamente la testa per esprimere la totale disapprovazione e Lydia aveva arricciato il naso come se avesse sentito un cattivo odore.

Per una volta, anche l'espressione di Charlotte era impenetrabile persino per lui.

"Basta così, figliolo" disse mr. Bennett in tono pacato ma inequivocabile "Penso sia il momento che tu te ne vada".

Collin si alzò in piedi, infilò la scatoletta in tasca e riprese il dispositivo dal tavolo. Nonostante non avesse idea di quale errore avesse commesso, fece come gli era stato detto e si diresse verso la porta.

La zia non sarebbe stata affatto contenta del suo fallimento.




CAPITOLO TRE


"Riesci a credere a quel che è appena successo?"

Una volta, qualcuno aveva detto a Charlotte che, quando si è in cerca di consigli, si va sempre dall'amico che sappiamo ci dirà quel che vogliamo sentire.

E lei sapeva benissimo cosa Eliza voleva sentirsi dire.

"Si, lo so" rispose.

"Voglio dire...Collin Hunsford non potrebbe mai rendermi felice. E sono sicura di essere l'ultima donna al mondo capace di rendere felice lui" continuò Eliza, camminando avanti e indietro per la camera da letto, dalla finestra alla porta e viceversa. E ad ogni giro, la folta chioma le ondeggiava sulle spalle, proprio come la coda di una cavalla che allontana le avances di uno stallone troppo insistente.

"Sì, lo so" commentò Charlotte, seduta sulla coperta rosa del letto. Gran parte della camera di Eliza era nei toni del rosa, un colore che mal si adattava a quella giovane donna del tutto priva di fronzoli. Quando Eliza aveva sentito dire che non era consigliabile che le donne dai capelli rossi si circondassero di rosa, aveva fatto l’esatto contrario. Era la sua natura.

"Ha creduto che gli stessi lanciando dei segnali? Figuriamoci...al secondo appuntamento, mi sono a malapena ricordata di mettere il lucidalabbra".

"Mmm...lo so" disse Charlotte, osservando Lefroy dalla finestra. Non le piaceva affatto il modo in cui l'animale spostava il peso da una zampa all’altra. La successiva coppia di passi fu normale, e la sua andatura sembrò stabilizzarsi. Si stava forse immaginando tutto? L’unico modo era portarlo da un veterinario. Peccato che il migliore della città fosse appena stato cacciato fuori, prima ancora di assaggiare l'arrosto.

"E' una situazione completamente irreale. Così irreale che potrebbe benissimo trattarsi di una scommessa organizzata da Darcy".

"Lo so".

"Davvero?"

I passi di Eliza si fermarono di botto. Incuriosita dal silenzio improvviso, Charlotte smise di guardare fuori dalla finestra e si voltò.

"Cosa?"

"Sai che Darcy ha scommesso con Collin riguardo al matrimonio?" le chiese l'amica, crollando sul letto al suo fianco.

Ecco, questo era l'argomento che Eliza preferiva in assoluto: gettare la colpa su Fitz Darcy. Tra i due era in corso una sorta di guerra fredda che durava da così tanto tempo che Charlotte non ricordava più come fosse iniziata.

"Non mi sembra qualcosa tipico di Darcy" disse.

"E come lo sai? Hai parlato con lui?"

"Pensavo stessimo parlando di Collin".

"Giusto". Eliza ricominciò a fare avanti e indietro "Non mi interessa quello che Darcy ha da dire".

"Lo so".

"Perfetto".

Charlotte aveva perso il filo della conversazione. Non aveva idea se stessero parlando di Collin oppure di Darcy. In ogni caso, la risposta fu la stessa.

"Lo so".

"Credeva davvero che avrei risposto sì a quella orrenda proposta".

Oh, stavano parlando di nuovo di Collin. In realtà, la proposta non era stata così orrenda. Quando aveva avuto modo di riflettere sulle sue parole, vi aveva trovato un senso. Certo, non era stata una dichiarazione romantica come Eliza avrebbe voluto, ma, in fondo, non tutte le ragazze vanno in cerca di romanticismo.

Collin aveva offerto ad Eliza ciò che Charlotte desiderava di più al mondo: una casa tutta sua. Meglio ancora, una casa all'interno di un ranch, con tanti cavalli e spazi aperti a vista d'occhio.

Sapeva che Collin intendeva trasformare Rosings Ranch in un paradiso per cavalli da corsa in pensione, ma era ovvio che, essendo lui un veterinario, avrebbe accolto qualsiasi animale avesse avuto bisogno di cure.

Per Charlotte, vivere a Rosings sarebbe stato il paradiso. Ma lui non si sarebbe mai sognato di chiedere la sua mano. Né lei si aspettava che un uomo le chiedesse di sposarlo in ginocchio. Il che non era un problema, perchè in quel momento il suo obiettivo era trovare un lavoro e assicurarsi un futuro.

"E' così sbagliato desiderare una relazione basata sulla passione?" chiese Eliza.

"Certo che no, se è questo che vuoi".

"E' quello che entrambe meritiamo. Siamo donne attraenti, intelligenti e sveglie. Abbiamo bisogno di uomini adatti a noi".

Charlotte sapeva quale risposta si aspettava l’amica. Ma, questa volta, lo so non ne volle sapere di uscire dalla sua bocca. Non un solo uomo, o ragazzo, di quella città si era mai degnato di rivolgerle una seconda occhiata.

"E’ stato tutto così bizzarro” continuò Eliza “Sono ancora convinta che Collin non facesse sul serio e che sia stato tutto frutto di una scommessa. Probabilmente, in questo momento, lui e Darcy stanno ridendo come matti".

Charlotte non pensava che Collin stesse ridendo. Aveva notato la confusione e l'imbarazzo sul suo volto per essere stato rifiutato. Quel poverino faceva sul serio. Anche se Charlotte non riusciva proprio a capire perchè avesse scelto Eliza.

Bugia.

Charlotte sapeva esattamente perchè qualsiasi uomo avrebbe scelto l'amica. Lei possedeva tutte le qualità che aveva elencato poco prima, e inoltre era la ragazza più bella della città, eclissata solo dal fascino etereo della sorella maggiore Jane. Ma Eliza era più intelligente e spiritosa.

Charlotte la adorava per tutte quelle ragioni, sebbene non avesse mai capito perchè Eliza avesse scelto proprio lei come confidente. Forse perchè era esattamente l'opposto? Non glielo aveva mai chiesto e nemmeno voleva saperlo. Era semplicemente felice di avere un'amica del genere.

"Vedremo Darcy domani, quando gli porteremo Lefroy per gli esami pre-gara" disse Charlotte.

Eliza sollevò gli occhi al cielo, spingendosi i capelli dietro la spalla. Un gesto che Charlotte aveva visto fare alle giumente quando volevano attirare l'attenzione di un particolare stallone. Mmm....

Forse, Collin aveva interpretato bene quel segnale. Solo che non era destinato a lui.

"A proposito delle gare di Pemberley..." continuò Charlotte "...volevo parlare con tuo padre del posto di addestratore".

"Oh, aspetta di incontrare Charlie".

"Charlie?"

"La nuova addestratrice. Papà ha finalmente capito che siamo nel ventunesimo secolo e ha assunto una donna, pensa un po'. Arriverà la prossima settimana, in tempo per le gare. Sono sicura che ti piacerà".

Charlotte si schiarì la gola, lottando per nascondere la delusione. Aveva perso il posto senza essersi nemmeno proposta. Guardò fuori dalla finestra, verso il cottage illuminato dai raggi del sole morente. Per la prima volta, notò che al tetto mancavano alcune tegole, la vernice era scrostata in qualche punto e tra l'erba c'era della sporcizia. Tuttavia, le sembrava mille volte migliore del freddo appartamento che negli ultimi due decenni era stata la sua casa.

"Vado a prendere una vaschetta di gelato" dichiarò Eliza "Dio sa quanto ne abbia bisogno, dopo quella terribile proposta. Resterai qui, stanotte?"

Ancora incapace di parlare per la delusione, Charlotte annuì.

Avrebbe passato la notte al ranch, ma al mattino dopo, come sempre, qualcuno l'avrebbe riportata dalla zia, in quella casa fredda, silenziosa e angusta dove nessuno l'aveva mai voluta.

Guardò di nuovo fuori dalla finestra, questa volta non verso il cottage, ma verso il box che ospitava Lefroy, il cavallo sul quale aveva imparato a cavalcare.

"Porterò Lefroy a fare un giro veloce, prima di andare a dormire".




CAPITOLO QUATTRO


Collin strinse le mani intorno alle redini. Una mossa che segnalò allo stallone che stava per succedere qualcosa, qualcosa di cui sia l'uomo sia la bestia avevano bisogno: una galoppata sfrenata che li portasse il più lontano possibile.

Sollevandosi leggermente sulle staffe, Collin premette i polpacci contro i fianchi del cavallo, che recepì immediatamente il segnale e partì al galoppo. Il vento che gli sferzava i capelli e l'aria fresca sul viso lo aiutarono a schiarirsi la mente. Solo un pensiero si intromise, un pensiero benvenuto: Collin desiderò che tutte le creature potessero comunicare con la stessa chiarezza di un uomo e il suo cavallo.

Collin avrebbe voluto galoppare così per sempre, ma i cavalli non erano macchine ed erano in grado di mantenere quel ritmo solo per poche miglia. Così, segnalò a Equus di rallentare. Purtroppo, quando la corsa del cavallo divenne un piccolo trotto, i pensieri tornarono ad affollare la sua testa.

Era andato così vicino ad accontentare le richieste di zia Catherine, e invece, poiché Eliza aveva rifiutato la sua più che logica proposta, era punto e accapo. Collin odiava giocare. Odiava in particolar modo i giochi di probabilità e soprattutto quando si trattava di mettere in campo la propria vita e quella degli animali

. Sfortunatamente, l'unico modo per riequilibrare le finanze e realizzare quello che aveva in mente per il ranch era mettere le mani sull'eredità. La stessa eredità che avrebbe ottenuto a condizione che si sposasse prima che il laccio che la madre aveva legato intorno alla borsa si stringesse. Persino dalla tomba, sua madre stava continuando a tentare di inserire in società quel figlio scontroso. Da bambino, e anche adesso che era un uomo, le uniche creature con le quali Collin si relazionava avevano tutte quattro zampe e una scarsa conoscenza della lingua inglese.

All'improvviso, Equus, uno dei cavalli meglio addestrati che Collin aveva nelle scuderie, si impennò, apparentemente senza motivo. Poi, proprio dietro una curva, vide Lefroy fare la stessa cosa.

Collin si destreggiò per restare in sella. Chiunque dei Bennetts stesse cavalcando Lefroy, non doveva essersela cavata altrettanto bene.

Grande. Questo, probabilmente, si sarebbe aggiunto alla lista di gelide bocciature che i Bennett avevano cominciato ad enumerare quella sera. Almeno, Collin sapeva che le regole sociali prevedevano che si occupasse prima della persona a terra e poi del cavallo. Quando smontò e si avvicinò al malcapitato, notò delle curve femminili. Non vide capelli rossi, ma del colore del terreno fertile che si ammucchiava intorno ai fili d'erba.

"Charlotte?"

Una smorfia di dolore sul viso, Charlotte Lee si mise faticosamente seduta. Collin le si inginocchiò accanto: durante l’addestramento, gli avevano insegnato che la prima cosa da fare in questi casi era controllare il sistema cardiocircolatorio, così posò l'orecchio sul petto della ragazza.

"Ehi!" esclamò lei, schiaffeggiandolo su un lato della testa "Cosa pensi di fare?"

"Controllo il tuo cuore".

Charlotte si irrigidì, il corpo completamente immobile. Il tonfo del suo petto contro il viso di lui sembrò raggiungere la stessa velocità alla quale aveva corso Equus pochi istanti prima. Era sana e salva, ma c'erano ancora da controllare le ossa. Cominciò a tastarle la caviglia destra. Usando una leggera pressione, si mise alla ricerca di un segnale qualsiasi di sofferenza. Quando arrivò al ginocchio, lei lo calciò via, colpendolo quasi sotto la fibbia della cintura.

"Basta così!" esclamò "Hai appena chiesto la mano della mia migliore amica".

Il cuore era a posto. E non sembrava avere qualche osso rotto. Ma Collin non era altrettanto sicuro delle facoltà mentali di Charlotte: cosa c'entrava la proposta con il suo esame?

"Non credevo ti piacessero due alla volta, Collin Hunsford".

Due alla volta? Due cosa?

Collin considerò la situazione. Era chino su Charlotte e, se fosse passato qualcuno, li avrebbe creduti due amanti che litigavano.

"Oh" fece, quando tutto gli fu improvvisamente chiaro "No, certo che no. Non farei mai un'avance sessuale nei tuoi confronti".

Le narici frementi, Charlotte sollevò il mento e serrò le labbra. Era arrabbiata, su questo non c'era dubbio.

"Voglio dire...sei una donna attraente, molto ben proporzionata" si affrettò a precisare Collin, inclinando la testa per esaminarle il busto, poi la vita e infine i fianchi. Sua madre avrebbe detto che aveva fianchi perfetti per generare un figlio. Un altro complimento che le donne non apprezzavano granchè.

"Guarda su" disse Charlotte, schioccando le dita.

Collin sollevò lo sguardo sul suo volto. Il centro delle sue pupille era color nocciola. Proprio come quello dei cavalli, sebbene le profondità marroni di Charlotte non fossero altrettanto insondabili. I suoi occhi brillavano come se un fiammifero fosse stato acceso dall'interno. Quello scintillio lo intrigò, tuttavia, poichè gli avevano insegnato che fissare non era educato, distolse lo sguardo.

"Sei una donna molto piacevole da guardare, ma non ho intenzione di provarci con te. Voglio solo assicurarmi che tu non abbia qualche osso rotto o che non ti sia slogata qualche giuntura nella caduta. Quindi...posso toccare il tuo corpo non per piacere ma perchè sono un dottore?"

Lei si accigliò ulteriormente, ma annuì. Collin avrebbe voluto chiederle quale parte del suo discorso l'avesse offesa, poi pensò che probabilmente non aveva niente a che fare con lui ma era l'effetto della caduta.

Tastò il polpaccio sinistro, senza riscontrare nessun problema. Quando invece premette il palmo alla base della colonna vertebrale, la sentì sussultare.

"Ti fa male?"

"No, sto bene. Posso camminare" rispose Charlotte, serrando le labbra ed evitando di incontrare il suo sguardo. Quando ignorò la mano che lui le stava porgendo per aiutarla a rialzarsi, Collin si limitò ad assicurarsi che riuscisse a rimettersi in piedi da sola. Dopodiché, rivolse la propria attenzione al cavallo.

Lefroy era un po' più in là, che pascolava con Equus, e spostava continuamente il peso da una zampa all'altra.

"Ha qualcosa che non va. Mi piacerebbe dargli un'occhiata".

"Sì...bè...non spetta a me darti il permesso" disse Charlotte "Non sono la sua addestratrice".

Collin percepì qualcosa nella sua voce, ma non capì cosa. Lei stava cercando di nascondere le sue emozioni, sebbene fosse quasi certo di riconoscere la tristezza. Era normale, pensò, perché anche Charlotte, come lui, amava i cavalli e probabilmente era preoccupata per la salute di Lefroy. Doveva anche dolerle la gamba destra, a giudicare dall'andatura zoppicante.

"Non puoi sforzare quella gamba e Lefroy non è in grado di sopportare il tuo peso. Ti riporterò io a casa".

"Dai Bennett? No, non puoi".

"E perchè? Sono stato bandito?"

"Certo che no" rispose lei, ma non sembrava convinta.

Neanche lui lo era. L'unica cosa certa era che Eliza non aveva alcun interesse a rivederlo, a giudicare dalla sua espressione corrucciata e dal tono di voce con cui aveva parlato. Eppure, Collin non aveva ancora capito dove avesse sbagliato.

Poi, c’era mr. Bennett che, pur avendo parlato in tono basso e tranquillo, lo aveva cacciato di casa. A volte, comunicare confondeva terribilmente Collin. Adesso persino Charlotte, le cui espressioni erano sempre state un libro aperto, stava tentando di mascherare le proprie emozioni.

Poi, quegli occhi scuri incontrarono quelli di Collin, andando oltre lo strato protettivo, come se volessero scrutarlo in profondità.

"Non sei imbarazzato?" gli chiese.

Imbarazzato dal rifiuto di Eliza? No, dal momento che nessuno aveva riso di lui. Piuttosto si sentiva irritato perchè gli toccava mettersi alla ricerca di un'altra donna. Dubitava che un’altra delle altre sorelle Bennett potesse accettare la sua proposta.

Aveva pensato di cercare online una donna compatibile. Molti siti di incontri ricorrevano agli algoritmi per verificare l’idoneità tra due persone. Tuttavia, avrebbe dovuto vagliare le potenziali candidate e poi fissare almeno due appuntamenti. Collin aveva sperato di poter sistemare il suo ranch prima dell’inizio delle gare di Pemberley, in modo da poter pubblicizzare i suoi servizi ai concorrenti e ai proprietari dei cavalli. Mancava solo una settimana.

A quel punto, la sua sembrava un'impresa impossibile, il che significava dover aspettare un altro anno perchè la sua attività decollasse. E, nel frattempo, aveva altri animali da curare e pochi fondi a disposizione. Collin non aveva mai abbandonato animali che avevano bisogno di cure. In quei giorni, in pratica, era lui a pagare i proprietari per occuparsi delle loro bestie. Non riusciva proprio a dire di no quando si trattava di creature che avevano problemi a comunicare le proprie sofferenze.

Così come non voleva abbandonare al loro destino le due creature che aveva davanti, Charlotte e Lefroy, che sembravano non curarsi delle ferite che probabilmente avevano riportato. Si mise subito al lavoro.





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