Книга - Il Conte Libertino

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Il Conte Libertino
Dawn Brower


Cosa succede quando un conte libertino incontra una donna intellettuale che ha una missione da compiere? Jonas Parker, Conte di Harrington, non ha alcuna intenzione di sposarsi. Preferisce essere libero, e una moglie complicherebbe le cose. Il suo club è il suo paradiso e non è pronto a rinunciarvi per il matrimonio. Suo nonno, il Duca di Southington, desidera solo che si sposi e che torni all'ovile. Per questo motivo, lui eviterà debitamente le donne e il matrimonio. Lady Marian Lindsay preferisce rimanere nubile e seguire la sua strada intellettuale. Sta studiando per diventare un medico e spera di essere una brava dottoressa. Vuole essere presa sul serio in campo medico, ma i suoi sforzi passano inosservati. Dopo un'attenta riflessione, escogita un piano infallibile, ma le serve l’aiuto di uno degli amici di suo padre per metterlo in pratica. Harrington è sconvolto dalla richiesta di Marian e rifiuta apertamente; tuttavia, lei riesce in qualche modo a convincerlo ad accettare. Prima che lui se ne renda conto, la porterà nel Kent, ad una festa privata alla quale partecipano tutti i suoi peggiori incubi. L’etichetta deve essere rispettata a tutti i costi perché lui non si sposerà alla fine della sua missione, o forse sì?





Dawn Brower

Il Conte Libertino




IL CONTE LIBERTINO


DONNE INTELLETTUALI CONTRO UOMINI MALANDRINI VOLUME 1




DAWN BROWER




Traduzione di ILARIA FORTUNA


Questa è una storia di fantasia. Nomi, personaggi, luoghi ed eventi sono frutto dell’immaginazione dell’autrice o sono usati in modo fittizio e non devono essere considerati come reali. Qualsiasi riferimento a fatti realmente accaduti o a persone, in vita o defunte, è puramente casuale.

When an Earl Turns Wicked Copyright © 2018 Dawn Brower

Copertina e modifiche a cura di Victoria Miller

Tutti i diritti sono riservati. Nessuna parte di questo libro può essere utilizzata o riprodotta elettronicamente o stampata senza autorizzazione scritta, fatta eccezione per brevi citazioni inserite nelle recensioni.

Pubblicato da Tektime








Questo libro è per mio padre, Archal Brower Jr. Lui ha sempre pensato che avrei dovuto scrivere un libro, ma io non avrei mai pensato di riuscirci. Vorrei che potesse essere qui per vedere che finalmente l’ho scritto, non uno ma più di uno. Mi manchi papà, il mondo non è lo stesso senza di te.




NOTA DELL’AUTRICE


Questo libro fa due cose: lancia una nuova serie e si collega a una vecchia. Cercate gli altri libri della serie “Donne Intellettuali contro Uomini Malandrini” che arriveranno in futuro, nonché un estratto del prossimo libro alla fine di questo, e per chi che non ha familiarità con la mia serie “Linked Across Time” può iniziare con il primo libro: “Saved by My Blackguard”. E nel secondo libro, “Searching for My Rogue”, compaiono Alys e James. Magari avete voglia di sapere dov’è iniziata la loro storia.




RINGRAZIAMENTI


Come sempre, grazie alla mia meravigliosa editrice, Victoria Miller. Mi fai venire voglia di lavorare di più e scrivere libri sempre migliori. Grazie anche a Elizabeth Evans, rendi la scrittura un divertimento. Grazie per avermi aiutata e per aver letto tutte le mie bozze.




PROLOGO




Castello di Southington, Inghilterra, 1808


Era una giornata era come tante, in Inghilterra. La pioggia era diventata un evento così normale che Jonas non se ne accorse nemmeno, anche se gli gocciolava sul viso, inzuppandolo completamente. Fissava le lapidi incise del cimitero accanto alla cappella di Southington. Solo i membri della sua famiglia erano sepolti lì, molti dei quali non aveva mai conosciuto di persona. Le loro foto riempivano la grande sala ma per lui appartenevano alla storia, ed era riuscito a prendere le distanze da loro. Sarebbe stato molto diverso.

La sua vita non sarebbe mai stata come la loro. La morte di suo padre aveva portato alla luce una verità immutabile. Il duca ora aveva il controllo sulla vita di Jonas. Suo nonno era un tiranno e aveva sempre cercato di imporgli la propria volontà. Suo padre era stato l’unico su cui potesse contare. Un muro di difesa che il duca non riusciva a sfondare, nonostante ci avesse provato spesso.

Quindi, no, non gli importava del freddo perché era intorpidito fin nelle ossa. La pioggia? Non era niente in confronto a ciò che doveva ancora affrontare. Il duca di Southington, suo nonno, non aveva ancora iniziato, più che altro perché non poteva. Erano presenti altre persone e non poteva scatenare una scenata. Quando tutti se ne sarebbero andati, le cose si sarebbero messe ancora peggio per lui. Suo nonno gli avrebbe permesso di tornare a Eton? E sua madre? Sarebbe riuscita a tenergli testa? Ad ogni modo, lui dubitava di tutto e pregava che la sua vita tornasse com’era prima della morte di suo padre.

«Lord Harrington.» disse un uomo, poggiando una mano sulla spalla di Jonas. Come poteva essere lui il conte, adesso? Quello era il titolo di suo padre e dubitava che si sarebbe mai abituato. «È ora di rientrare.».

Alzò lo sguardo verso l’uomo mentre la pioggia continuava a gocciolargli sul viso. I suoi capelli erano neri, ma avevano già iniziato ad ingrigirsi sulle tempie. Jonas lo conosceva a malapena, ma Lord Coventry era un amico di suo padre. «Non sono pronto.» gli disse.

«George era un brav’uomo.» disse Lord Coventry. «Vi voleva bene.».

«Lo so.» rispose Jonas freddamente. Da tempo aveva smesso di provare sentimenti e ora stava accadendo lo stesso ai gesti del corpo. Che altro poteva fare? Lord Coventry aveva ragione, era passato molto tempo, eppure non riusciva a muoversi. Una volta che se ne fosse andato, sarebbe diventato tutto troppo reale per lui. Suo nonno avrebbe iniziato ad impartire ordini, e ci sarebbero voluti anni prima di potersi liberare di lui. Tre lunghi anni per l’esattezza, una volta compiuti diciotto anni avrebbe potuto prendere il controllo della sua eredità. Finché suo nonno non avesse trovato il modo di eludere il testamento. «Ma ciò non cambia le cose.».

«No.» concordò Lord Coventry. «Se n’è andato e niente potrà mai riportarlo indietro.».

Se Jonas fosse stato capace di piangere, lo avrebbe fatto giorni fa. Forse era stato meglio così. Qualsiasi segno di debolezza avrebbe scatenato l’ira di suo nonno. Doveva essere coraggioso e trovare in qualche modo la forza per andare avanti prima di quanto avrebbe voluto. Suo padre meritava di essere compianto, ma avrebbe capito perché Jonas non poteva farlo apertamente. «Possiamo andare.». Jonas non guardò Lord Coventry. Si voltò e iniziò il lungo viaggio di ritorno al Castello di Southington. Odiava la casa di suo nonno, era fredda quanto lui. Non aveva nulla di accogliente.

«Lord Harrington…»

«Non chiamatemi così.» lo interruppe Jonas. Sentirsi chiamare con il titolo che era appartenuto a suo padre gli inviò una fitta di dolore al suo cuore già provato. Non voleva pensare né sentire niente. Ogni cosa gli ricordava suo padre e la perdita che non aveva potuto evitare. Il titolo… era più di quanto potesse sopportare.

Lord Coventry si schiarì la gola. «È quello che siete adesso.».

«Può darsi.» Jonas deglutì a fatica. «Ma prendere il posto di mio padre è un qualcosa per cui non sono ancora pronto. Non riesco a sentire quella parola senza pensare a lui e a ciò che ho perso.».

«Capisco.» disse Coventry e sospirò. «Siete troppo giovane per aver già perso vostro padre. Se io avessi un figlio…», scosse la testa. «Non importa. Avete una lunga strada da percorrere e, probabilmente, non c’è nessuno di cui vogliate fidarvi. Potreste non saperlo ancora, ma potete fidarvi di me.». Si fermò per un momento prima di continuare: «Come vorreste che vi chiamassi?».

«In nessun modo.» disse Jonas. «Dubito che ci rivedremo ancora, dopo oggi.».

L’uomo più anziano rise. Era un suono inconsueto, considerando l’ambiente circostante. La tristezza permeava tutto ciò che li circondava, eppure il conte aveva trovato qualcosa di divertente. Coventry sembrava un tipo simpatico e, in un’altra occasione, a Jonas sarebbe piaciuto. Dubitava che avrebbe considerato qualcosa attraente o gioioso per diverso tempo.

Coventry indicò il castello in lontananza. «Vedremo. Venite, ripariamoci da questa pioggia.».

Il conte seguì Jonas mentre entravano nel castello. Non si trattenne per molto. Aveva parlato in privato con il duca prima della sua partenza, e il duca non aveva discusso né impartito ordini. Ciò portò Jonas a chiedersi di cosa avessero discusso.

«Ora che tutti se ne sono andati, abbiamo alcune cose di cui discutere, figliolo.». Suo nonno attraversò la stanza e lo guardò. «A partire dalla tua educazione… io ti avrei tenuto qui, ma Coventry ha addotto una giusta osservazione. Dovrai allacciare dei rapporti e i tuoi contatti sono ben radicati a scuola. Quindi ti permetterò di tornare a Eton, almeno per il resto dell’anno scolastico. Rimanderemo la decisione al prossimo termine.».

Doveva al conte molto più di quanto immaginasse. Non aveva mai pensato che suo nonno gli avrebbe permesso di tornare a scuola. «Grazie.».

«Aspetta a ringraziarmi.» disse il nonno burbero. «Ci aspetta molto lavoro per prepararti al ruolo di duca.».

Era appena diventato conte e doveva già preoccuparsi del titolo di suo nonno? Il titolo di Southington non veniva più trasmesso per eredità, ma non glielo avrebbe ricordato. Jonas avrebbe solo voluto accoccolarsi e dormire per giorni, anzi no, per settimane. Tuttavia, quello era un comportamento da codardi e lui si rifiutava di arrendersi. «Dov’è la mamma?».

«È andata a vivere con sua sorella.» rispose. «Tua madre è troppo delicata per vivere a Southington. Non preoccuparti. Tuo padre ha fatto in modo che non le mancasse nulla.».

Sua madre lo aveva abbandonato? Era sempre stato più vicino a suo padre, ma… lei l’aveva lasciato da solo con il duca pur conoscendo la sua natura rude. Non temeva di usare il pugno di ferro per esprimere un’opinione. Il titolo degli Harrington era prestigioso, ma lui non avrebbe avuto il controllo della tenuta ancora per molti anni. Disponevano di molti fondi purché facessero ciò che voleva il duca. Suo padre aveva deciso di tagliare i ponti il più possibile con Southington. Vivevano in una piccola villa a Londra e suo padre aveva investito in una proficua compagnia di spedizioni con le entrate che aveva a disposizione. Non vivevano nel lusso, ma si erano sentiti a proprio agio.

La cosa non aveva reso felice il duca ma, d’altra parte, nulla lo rendeva felice. Gli piaceva avere il controllo della sua famiglia, e perderlo lo avevo portato a tagliarli fuori dalla propria vita. Questo finché suo padre non era morto e lui aveva visto l’opportunità per tornare indietro. Ora Jonas era sotto la sua tutela finché non avrebbe avuto pieno accesso alla sua eredità. Non era una somma enorme, ma sarebbe stata sufficiente per liberarsi da lui.

«Posso congedarmi?». Il duca lo colpì con un pugno in bocca, cogliendolo di sorpresa. Jonas scattò involontariamente all’indietro, ma poi riprese subito il controllo. Alzò lo sguardo e fissò il duca negli occhi, ripetendo la sua domanda: “Posso congedarmi, ora?”. Congedarsi senza permesso avrebbe prolungato la tortura e lui non voleva un altro pugno in faccia né da nessun’altra parte.

Il duca annuì e Jonas se ne andò il più in fretta possibile. Non corse via come avrebbe voluto perché non avrebbe ceduto al bullismo del duca. Se fosse uscito di corsa dalla stanza, suo nonno avrebbe trovato un motivo per farlo rimanere. Invece, camminò a passo svelto e costante fino alle sue stanze. Solo allora, dopo aver chiuso la porta e ottenuto la sua privacy, cedette alle emozioni che lo tormentavano. Alla fine, le lacrime che aveva trattenuto fluirono liberamente e pianse suo padre.








Londra, 1812

Jonas prese il bicchiere di brandy sul tavolo e ne bevve un sorso. Lo posò di nuovo e fissò le carte che aveva in mano. Fino a quel momento, la fortuna non era stata dalla sua parte e stava continuando a perdere i fondi che aveva. Avrebbe dovuto rinunciare già da tempo ma, stoltamente, pensava che avrebbe vinto se avesse continuato a giocare. La libertà lo aveva condotto fuori strada invece di portargli la felicità. Imparò presto che quest’ultima era un’emozione sfuggente non adatta a lui.

«Penso che per stasera possa bastare.» disse Jason Thompson, Conte di Asthey. Si passò le dita tra i suoi capelli biondo scuro e sorrise come un gatto che aveva catturato l’agognato topo. «È stata una serata produttiva.».

Almeno per uno di loro era andata bene. «Sono d’accordo.». Jonas lanciò le sue carte sul tavolo. «Ho già perso troppo.». E aveva ben poco da poter perdere ancora. Suo nonno controllava buona parte delle finanze. In qualche modo aveva trovato il modo per ottenere il controllo di gran parte della sua eredità. Jonas aveva ottenuto la sua indipendenza un anno fa, ma non era veramente libero. L’unica cosa che gli era rimasta, che il duca non poteva toccare, era una piccola somma che gli aveva lasciato sua nonna materna. Bastava a malapena per sopravvivere. Doveva trovare un modo per aumentare le proprie entrate, ma non riusciva a capire quale.

«È un peccato.» disse Asthey. «Sbancare risolverebbe molti dei tuoi problemi.».

Jonas alzò gli occhi al cielo. «Mi serve più di quanto vincerei con una partita a carte, per risolverli tutti.». Se suo nonno si fosse deciso a tirare le cuoia sarebbe stato di aiuto, e invece no, non accadeva ancora. Il vecchio era troppo stupido per fare qualcosa di così congeniale per liberare il mondo dalla propria meschinità. «Dov’è Shelby?». Gregory Cain, Conte di Shelby, era l’altro membro del trio. Jonas scrutò la stanza alla ricerca dei capelli corvini di Shelby. Erano il suo segno distintivo. Nessun altro aveva i capelli così neri come i suoi. Il suo amico non si vedeva da nessuna parte al tavolo dei giochi.

«Ha trovato una donzella di suo gradimento e ha occupato una stanza per fare un po’ di sport.».

Ovviamente… Shelby era più che dissoluto e adorava ammaliare qualsiasi donna ben disposta nei paraggi. «Dovremmo aspettarlo?».

«Conosce la strada di casa.» rispose Asthey. «Preferirei non aspettare che finisca. Potrebbe volerci tutta la notte o potrebbe finire tra un’ora. È difficile dirlo.».

«Hai ragione.» concordò Jonas. Si alzò, indossò la giacca sul gilè e se la abbottonò. «Io sono stanco e preferirei dormire nel mio letto.».

Entrambi si diressero verso la porta principale ed uscirono. Era ancora buio e, per una volta, era una notte serena a Londra. La pioggia era durata per giorni. Le strade erano piene di pozzanghere e fango. Camminarono in silenzio per alcuni istanti mentre si dirigevano verso una carrozza. Mentre si apprestavano ad attraversare, Jonas si sentì tirare all’indietro. Cadde a terra, sbattendo la testa contro la superficie dura.

«Maledizione.» disse gemendo. «Che vi è saltato in mente?».

«Ho un messaggio per voi.». Un uomo grosso e corpulento torreggiava su di lui.

Jonas alzò un sopracciglio. «Dovrebbe migliorare la modalità di consegna. Non consiglierei i suoi servizi a nessuno.».

«Non ne ho bisogno.» rispose l’uomo corpulento. Jonas non riuscì a distinguere i suoi lineamenti nel buio, ma sentì bene il pugno che lo colpì alla mascella. «Il messaggio non è verbale.».

Il furfante era pronto a sferrare un altro pugno, ma fu tirato all’indietro prima che potesse farlo. Cadde a terra quasi allo stesso modo di Jonas. Che gli serva di lezione… Jonas balzò in piedi prima che l’altro potesse rialzarsi. Si passò una mano sulla mascella dolorante. «Ce ne hai messo di tempo.» disse, voltandosi verso colui che pensava fosse Asthey, ma fu sorpreso di trovare Lord Coventry.

«Dov’è Asthey?».

«Laggiù.» disse Coventry indicando in lontananza. Stava facendo a pugni con un altro furfante. Gli sferrò un duro colpo e l’uomo cadde a terra. «Che cosa sta succedendo?».

«Sfortunatamente, questa è opera di vostro nonno.» rispose. Un accenno di tristezza velava le sue parole. «Ho sentito delle voci ed ero venuto a verificarne la fondatezza.».

«Dunque?» a Jonas non piaceva la piega di quella conversazione. Suo nonno era capace di causare molti danni, se avesse voluto, e sembrava che avesse deciso di usare il suo potere. Doveva ottenere tutte le informazioni in possesso di Coventry per poter elaborare un proprio piano. I contatti di suo nonno erano estesi e la sua portata lo era ancora di più. Per batterlo al suo stesso gioco, Jonas avrebbe potuto trovarsi costretto a giocare sporco.

«Visto come stanno le cose, temo che fossero corrette.» rispose Coventry.

Asthey si unì a loro, agitando una mano mentre camminava. «Mi fa più male di quanto io voglia ammettere. Forse dovrei imparare un paio di cose su come sferrare correttamente un pugno.».

Coventry annuì, «Potrei essere in grado di aiutarvi entrambi.». Poi si rivolse ad Asthey: «Andate dentro e chiamate il vostro amico Shelby. Ho una proposta per tutti voi.».

Asthey non si oppose all’ordine di Coventry, annuì e tornò nell’inferno del gioco. Jonas lo osservò finché non scomparve all’interno, poi si voltò verso Coventry. «Che cosa sapete?».

«Molto più di voi.» rispose in modo criptico, «Il duca ha dei piani per voi e non è contento della vostra riluttanza nel seguirli.».

«È una situazione che conosco fin troppo bene.». Si augurava che il vecchio lo lasciasse da solo. «Era questo il suo piano per costringermi ad andare a Southington?».

«Non sono del tutto sicuro di ciò che sperava di ottenere stasera.» ammise Coventry. «So che lo ha organizzato, e sono qui per aiutarvi, se me lo permettete.».

Jonas era stanco di combattere costantemente contro suo nonno. Doveva esserci un modo per impedirgli di seguirlo ovunque. «Che cos’avete in mente?».

Asthey e Shelby uscirono dall’edificio e li raggiunsero. Shelby portava la cravatta in mano e si stava raddrizzando la giacca. «Spero che sia importante.» mormorò Shelby, «Quella donna era…».

«Non ci serve saperlo.» disse Asthey, interrompendolo.

Coventry sorrise. «Credo che vi troverete bene.».

«Non vi seguo.» disse Jonas, poi si accigliò. «Trovarci bene dove?».

«In un club molto speciale.» rispose lui. «Venite. Vi spiegherò tutto, anche come vi aiuterò con Southington, con la vostra vita sociale, e persino finanziariamente, se lo desiderate.».

Non capiva come un club potesse fare tutto ciò, ma era disposto ad ascoltare Coventry. Lo aveva salvato da una rissa e, finché lui avesse avuto i suoi due amici al proprio fianco, non ci vedeva niente di male. Avrebbero potuto decidere insieme se ne valeva la pena. Erano amici da così tanto tempo.

Seguirono Coventry fino a una carrozza e vi salirono. Percorsero facilmente la strada acciottolata. L’interno era elegante e i sedili piuttosto comodi. Jonas non era mai salito su una carrozza così comoda. Dopo un breve tragitto, la carrozza si fermò. Scesero e si trovarono davanti ad un’elegante villa con una “W” incisa sulla porta. Dov’erano? Che cosa aveva detto Coventry in precedenza? Qualcosa a proposito di un club.

«Dove siamo?» chiese Asthey, dando voce ai pensieri di Jonas.

«Non mi sembra granché.» rispose Shelby. «Perché ho lasciato da sola quella bella donna?».

Coventry estrasse dalla tasca una chiave con sopra la stessa “W”. La infilò nella serratura e aprì la porta. «Signori, prego, entrate.». Li condusse dall’atrio fino alla parte principale della casa.

L’esterno nascondeva sapientemente la lussuosa decadenza che si trovava all’interno. Un sontuoso velluto decorava le finestre. I divani, le chaise longue e tutte le sedie avevano una combinazione di colori simile, rosso scuro e marrone brunito. Su un lato c’era una lunga ringhiera di ciliegio che avvolgeva una scala elaborata. Sull’altro lato c’era una grande stanza con un camino acceso. Diversi uomini erano seduti a uno dei tavoli e giocavano a carte. Ognuno di essi teneva in braccio una bella donna in abiti succinti. Jonas rimase a bocca aperta per tutto ciò che vide, e non riusciva a credere di non sapere dell’esistenza di quel posto. Si rivolse a Coventry e disse: «Avete la nostra attenzione. Volete spiegarci tutto, adesso?». Continuava a fissare il lusso di ciò che lo circondava.

Coventry sorrise. «Benvenuti al “Coventry Club”. Siete stati nominati per l’ammissione, se volete unirvi. Ci sono delle regole, ovviamente.» li informò Coventry. «Niente di così drastico, credo che le troverete ragionevoli. Mantenere segreto il club e rinunciare all’iscrizione una volta sposati. Solo il leader del gruppo può avere una moglie e mantenere l’iscrizione. Se vi state chiedendo chi sia… attualmente sono io il responsabile del club e dei suoi membri.». Li guardò e chiese loro: «Desiderate far parte di tutto questo?». Allargò le braccia.

Annuirono tutti all’istante. Jonas non ci pensò due volte e neanche gli altri due, probabilmente. Gli eccessi di quel posto li avevano conquistati. Il resto lo avrebbero compreso in seguito.

Era stata una decisione di cui non si era mai pentito…




CAPITOLO UNO




Londra, 1823


Nuvole grigio scuro fluttuavano nel cielo, minacciando di scatenare la pioggia su tutti coloro che osavano camminare per le strade di Londra. Lady Marian Lindsay le fissava mordendosi il labbro inferiore. Non era un buon segno e sperava che quel cattivo presagio non portasse ad un disastroso incontro con Sir Anthony Davis. Non che la pioggia non fosse all’ordine del giorno in Inghilterra, perché sicuramente onorava il Paese con regolarità; tuttavia, la fortuna di Marian non aveva mai gli effetti sperati quando pioveva. Quindi il suo incontro con Sir Anthony era sicuramente condannato.

Tuttavia, aveva intenzione di andare fino in fondo. Aveva dei piani e Sir Anthony era l’ostacolo. Senza il suo consenso, non sarebbe mai entrata nella Royal Medical Society. Loro avevano questa idea sbagliata della medicina e le donne non s’intromettevano. Sperava di fargli cambiare idea e ottenere una buona parola per l’ammissione.

Aveva studiato medicina ed erbalismo per tutta la vita. D’accordo, forse non da così tanto, eppure le sembrava di sì. Il suo interesse era iniziato quasi un decennio prima, dopo la morte di sua zia e suo zio. Entrambi avevano avuto un terribile incidente in carrozza nei pressi della tenuta di famiglia. Suo padre era il Conte di Coventry. Suo zio, il Conte di Frossly, aveva sposato sua zia Belinda ed era entrato a far parte della famiglia. Dopo la loro morte, la madre di Marian si era disperata per il dolore e per la perdita della sua adorata sorella minore.

Da allora, era cambiato tutto nella vita di Marian. I suoi due cugini andarono a vivere da loro e sua madre si ammalò dopo il loro arrivo, lasciando nell’oblio il debutto in società suo e di sua cugina. Non che la cosa le importasse molto, soprattutto quando sua madre cedette alla malattia e se ne andò per sempre. Il suo dolore era stato troppo grande e aveva deciso che voleva di più nella vita. Marian non voleva sposarsi né avere figli. Aveva obiettivi molto più alti, come diventare un vero medico e guadagnarsi da vivere aiutando le persone.

Il che la riportò a Sir Anthony: doveva farla entrare nella società. Quello era il passo successivo per acquisire le conoscenze necessarie per diventare un medico. Alzò di nuovo gli occhi al cielo.

«Ti prego, aspetta finché non avrò finito.» implorò, «Ho bisogno di un po’ di tempo.». Si affrettò finché non raggiunse la casa di Sir Anthony e aprì la porta. Marian entrò mentre la pioggia iniziava a cadere. Batteva sulla strada, creando pozzanghere quasi all’istante. Marian chiuse la porta ed emise un respiro di sollievo.

Qualcuno si schiarì la voce. Lei si voltò e vide due uomini in piedi, che la fissavano con una lieve sorpresa sui loro volti. Il signore più anziano doveva essere Sir Anthony. Aveva i capelli scuri striati di grigio. L’altro gentiluomo era piuttosto bello, addirittura affascinante. Aveva i capelli scuri e dei diabolici occhi blu. Con suo grande disappunto, lo aveva sempre trovato attraente, e non perché fosse il maschio più bello che avesse mai visto. C’era qualcosa in lui che le faceva battere forte il cuore nel petto. Il corpo di Marian era pervaso da un’energia indescrivibile. Jonas Parker, lo stimato Conte di Harrington, la metteva sempre messa a disagio e, a volte, credeva che lui ne fosse consapevole. Accidenti a lui. «Buongiorno, milord.» lo salutò Marian, poi si rivolse all’uomo più anziano. «Sir Anthony.». Sperava che la sua intuizione fosse corretta e che fosse lui l’uomo che lei credeva, o sarebbe stato imbarazzante…

«Lady Marian.» disse Lord Harrington con voce lenta, «Vostro padre sa che siete qui?».

Accidenti. Era ovvio che quella sarebbe stata la sua prima domanda ma, almeno, non aveva sbagliato persona. «Mio padre è a conoscenza delle mie attività.». Non era una completa bugia. Lui sapeva che sperava di diventare medico e la assecondava. Certo, non credeva che ci sarebbe riuscita, ma lei aveva intenzione di dimostrargli che aveva torto. Gli uomini avevano tutti i vantaggi nella società e le donne avevano poca voce in capitolo. Una situazione che odiava dal profondo della sua anima. «Non siate in pensiero per me.».

«In che modo possiamo esservi di aiuto?» le chiese Sir Anthony. «La pioggia vi ha costretta ad entrare?».

Lord Harrington alzò un sopracciglio, «Non credo sia questo il motivo.». Continuava a guardare Marian, irritandola. Stava osservando troppe cose e lei non gradiva quell’esame. «Siete qui per via del vostro piccolo progetto, non è vero?».

Chiunque conoscesse suo padre, e quindi lei, era consapevole del suo desiderio di diventare medico. Suo padre si vantava del suo “hobby”, anche se dubitava di lei. Era il suo modo di sostenerla. Non che fosse granché né un segno di approvazione, ma finora era riuscito ad aiutarla nella sua ricerca. «E se fosse così?» alzò il mento, «Mirate ad impedirmi di compiere il passo successivo?».

Lui allungò le mani. «Lungi da me l’ostacolare una donna intellettuale in missione. Di fatti, esponete la vostra argomentazione e vedremo se Sir Anthony è disposto ad aiutarvi.».

Sir Anthony guardò entrambi, ma Marian se ne accorse a malapena. Era irritata più di quanto avrebbe dovuto essere. Lord Harrington era stato “gentile” a concederle la parola… che uomo sardonico, arrogante e presuntuoso. Alzare gli occhi al cielo non l’avrebbe aiutata a convincere Sir Anthony ad ammetterla nella Royal Medical Society. Fece un respiro profondo per calmarsi. Offenderlo mentalmente non avrebbe giovato ai suoi obiettivi. Doveva ricomporsi e cercare di mostrare il meglio di sé a Sir Anthony.

«Richiedete il mio aiuto?» chiese Sir Anthony, dandole tutta la sua attenzione, «Di che si tratta?».

«Ecco…» iniziò lei. Era molto più difficile di quanto pensasse. «Avrei una richiesta che spero accettiate.».

«Oh.».

Tutto lì. Non aggiunse altro né la incoraggiò a continuare. Lord Harrington, la canaglia, si appoggiò ad un tavolo vicino e incrociò le braccia sul petto. Aveva un sorriso malvagio sul quel viso troppo bello. Se Marian non fosse stata una donna, avrebbe fatto di tutto per cancellare quel sorriso compiaciuto. Qualcuno doveva tenerlo a bada, forse non sarebbe stato più così condiscendente.

«Studio per diventare medico da molto tempo e…».

«Davvero?» Sir Anthony si accigliò, «E vostro padre ne è al corrente?».

«Sì, certo.» rispose lei, «Come ho già detto, è a conoscenza delle mie attività.».

«È un’intellettuale.» aggiunse Lord Harrington, «Si sa come va quando hanno un’idea in testa. È per questo che non l’ho fermata quando è venuta, se ricordate.».

Marian si arrese e alzò gli occhi al cielo, non poteva più trattenersi. Perché doveva sentirsi così attratta da lui? La faceva arrabbiare in più modi di quanti ne immaginasse, eppure era l’unico uomo per il quale il suo corpo si animava. Lo odiava per questo. «Grazie, milord.» si stampò un sorriso sul viso, «Dispensate consigli brillanti.».

«È il minimo che io possa fare.» rispose lui con quella sua voce peccaminosa. Le fece venire i brividi lungo la schiena. «Come potete vedere, Sir Anthony è piuttosto scandalizzato dal vostro “hobby”. Ha perso la parola per lo shock.».

Accidenti a lui, aveva ragione. Sir Anthony la fissava come se fosse un insetto da studiare a lungo. Non diceva una parola da diversi secondi. «Speravo che avreste favorito la mia ammissione alla Royal…».

«Assolutamente no.» rispose lui con veemenza, «Le donne non diventano medico né studiano alcunché. Non capisco questa generazione e il bisogno di ficcare il naso in cose di cui è meglio non fare parte.».

«Alcune donne trovano interessanti la scienza e il sapere.» disse Marian, alzando la testa in segno di sfida. «L’intelligenza è una risorsa piuttosto interessante a cui ispirarsi.».

«Touché.» concordò Lord Harrington, «Ma io farei un ulteriore passo avanti e suggerirei che, in una donna, ci sono cose che un gentiluomo trova più attraente di ciò che è nella sua testa.».

Lei scosse la testa, «Non sono venuta qui per discutere delle qualità che una persona cerca in un potenziale coniuge. Io voglio diventare un membro attivo della Royal Medical Society.».

«Non succederà, mia cara. Temo che alle donne non sia permesso e non lo sarà mai.». Sir Anthony raddrizzò le spalle, preparandosi alla battaglia. Bene, lei aveva intenzione di dargli qualcosa per cui combattere.

«“Mai” è un tempo troppo lungo da rispettare.» rispose Lady Marian, «Volete limitarvi quando ci sono infinite possibilità se accettasse la loro ammissione?».

«Non dipende da me.» le disse Sir Anthony, «La Società ha delle regole per un motivo. Andate a casa e dedicatevi a qualcosa di più femminile. È meglio così.».

Lei restrinse lo sguardo e serrò le labbra. Femminile? Lui era molto peggio di Lord Harrington. Almeno il conte fingeva di darle lo spazio per discutere della sua posizione. Sir Anthony era un lacchè vecchio stile. Pensava che, sottolineando i suoi tributi femminili, l’avrebbe convinta ad abbandonare la sua vocazione per dedicarsi al ricamo. Perché un uomo poteva fare tutto ciò che voleva, mentre una donna aveva alternative inadeguate? Se lei avesse deciso di dedicarsi alla pittura o al pianoforte, l’avrebbero incoraggiata. Diventare medico, invece? Era un’idea ridicola.

«Grazie per il vostro saggio consiglio.» rispose Marian con falsa dolcezza, «Vi lascio a ciò di cui stavate discutendo. È ora che io torni a casa. Buona giornata.». S’inchinò e si voltò verso la porta.

«Aspettate.» disse Lord Harrington facendo un passo avanti, «Vi accompagno.».

«Non ce n’è bisogno.» lo informò lei. Marian non voleva che la seguisse fino a casa. Se avesse parlato con suo padre, sarebbe stato peggio del fallito tentativo di entrare nella Royal Medical Society. «Sono arrivata qui in sicurezza senza accompagnatori. Non ne ho bisogno per ritrovare la strada di casa.».

«Può darsi.» rispose lui cordialmente, «Ma rimarrò al vostro fianco durante il tragitto, insisto. Non mi perdonerei mai se vi succedesse qualcosa che io avrei potuto impedire.». Un angolo della sua bocca si curvò in modo sensuale. «Ammiro vostro padre e solo per questo vi scorterei fino ai confini della Terra. Nulla di ciò che direte mi farà cambiare idea.».

Accidenti a lui. Lo maledisse per la millesima volta nel giro di mezz’ora. Di questo passo, avrebbe iniziato a farlo ad alta voce. Non avrebbe mai vinto in una discussione con lui. Il modo più semplice sarebbe stato assentire, ma ciò la irritava comunque.

«Bene.» rispose lei, «Faremo come dite.».

«Succede sempre così.» ribatté lui, «Buon per voi che abbiate ragionato.». I suoi occhi blu brillavano di malizia. Era un presuntuoso mascalzone.

Lei strinse i denti e si astenne dal rispondere. Invece, si voltò e uscì dall’edificio, lontano dalla misoginia di Sir Anthony. Non avrebbe rinunciato al suo sogno. Doveva esserci un altro modo, e se c’era, lo avrebbe trovato.

La pioggia non si era fermata mentre era all’interno. La colpiva ad intermittenza, facendole rimpiangere di non essere rimasta all’interno un po’ più a lungo o di non essersi procurata una carrozza. Perché non aveva pianificato tutto un po’ meglio? Perché sarebbe stato troppo sensato… e lei era accecata dalla sua ambizione e dalla necessità di far parte di qualcosa molto più grande di lei. Un giorno avrebbe compreso i vantaggi di un piano ben definito. Sfortunatamente, non era quello il giorno.

«Venite con me.» Lord Harrington si chinò e le parlò all’orecchio. Il suo calore la avvolse, facendole dimenticare per un momento dove si trovava. La prese a braccetto per condurla nella direzione scelta da lui. «La mia carrozza è dietro l’angolo.».

Lei sbatté le palpebre più volte mentre la pioggia continuava a soffocare i rumori di London Street. Che cosa le stava succedendo? Scosse la testa e fece come aveva detto Lord Harrington. Con quel tempo, una carrozza era l’ideale e, per la prima volta da quando lo aveva visto a casa di Sir Anthony, era felice di averlo accanto.

Per fortuna, la carrozza di Lord Harrington non era lontana. Lui l’aiutò a salire ma, purtroppo, era già fradicia. Non vedeva l’ora di tornare a casa e mettere una certa distanza tra di loro. “Disagio” non era una parola abbastanza forte per descrivere come si sentisse, ed essere inzuppata dalla testa ai piedi non le era di alcun aiuto. Doveva avere un aspetto orribile… ma che sciocchezza, perché le importava di sembrare poco desiderabile? Lord Harrington non era un potenziale pretendente neanche se fosse stata in cerca di marito. Era uno dei peggiori mascalzoni e lei aveva i piedi ben piantati a terra. Marian era una donna intellettuale e nubile, il più intoccabile possibile, ed era piuttosto contenta di quel destino. La sua sconsideratezza repressa poteva ridursi al nulla. Non aveva bisogno di un uomo per trovare la felicità.

Forse aveva trovato un po’ di fortuna in un mare di sfortuna. Aveva solo fatto un paio di passi indietro rispetto al suo obiettivo principale. Ciò non significava che non avrebbe trovato un modo per andare avanti. Per ora, avrebbe permesso a Lord Harrington di vedere dove abitava, poi avrebbe incontrato le sue due più care amiche per pensare a un nuovo piano. Quella non era la fine di tutto. Marian decise di vederlo come un inizio. Persone come Sir Anthony e Lord Harrington non l’avrebbero scoraggiata.




CAPITOLO DUE


Un incommensurabile silenzio avvolgeva la carrozza mentre si dirigevano verso la casa di Coventry. Jonas non era sorpreso dal fatto che Lady Marian avesse tentato di ottenere l’accesso alla Royal Medical Society. Coventry parlava spesso di quella sua inclinazione. Il conte caldeggiava l’hobby di sua figlia quando avrebbe dovuto scoraggiarla molto tempo prima.

Una donna non poteva guadagnare praticando qualcosa di rozzo come la medicina. La loro sensibilità era troppo delicata per tali questioni. In teoria, probabilmente Lady Marian pensava che fosse una grande idea ma, se mai avesse affrontato la realtà, senza dubbio sarebbe svenuta alla vista di una persona malata. Le malattie e le ferite erano una questione complicata e spiacevole. Lui quasi rabbrividiva all’idea di avvicinarsi a qualcuno malato o insanguinato.

«Credevate davvero che Sir Anthony avrebbe permesso a una donna di diventare membro?» le chiese Jonas. «È più all’antica della maggior parte degli uomini della sua generazione.».

«Speravo che comprendesse le mie ragioni.» rispose Lady Marian, «Sono abbastanza ferrata e tutto ciò di cui ho bisogno è una guida adeguata per raggiungere il livello successivo. Non permetteranno mai a una donna di studiare liberamente all’università. Questa era la mia ultima possibilità per acquisire le competenze necessarie per assistere le persone bisognose di cure mediche.». Emise un respiro esasperato. «Ma non mi aspetto che voi capiate.».

In effetti, lui non capiva e non aveva intenzione di provarci. Perché qualcuno, uomo o donna che sia, si lascerebbe coinvolgere dalla medicina? Jonas non ne comprendeva l’attrattiva. C’erano cose migliori da fare con una donna, specialmente nel suo letto. Riguardo agli uomini, l’idea di toccarne uno per qualsiasi motivo al di fuori degli incontri di pugilato al “Gentlemen Jack” lo faceva rabbrividire. Preferiva colpirli, piuttosto che sanare qualunque malattia li affliggesse.

«Bene.» le disse con calma, «Dovremo convenire di non essere d’accordo sulla questione. Fortunatamente per entrambi, non dipende da me che voi proseguiate con questa ridicola abitudine. Lascerò che sia vostro padre a guidarvi correttamente.».

Lei si voltò a guardarlo. «Avete perfettamente ragione. Se io dovessi sopportare la vostra compagnia ogni giorno, potrei persuadere un essere supremo affinché ponesse fine alla mia miseria. Grazie al cielo, il destino ci ha collocati agli opposti di ogni questione immaginabile e ci ha salvati da un innegabile disastro.».

«Dubito che sia così grave, mia cara.» rispose lui seccamente, «Deve pur esserci qualcosa che ci accomuni.».

«Non credo.» ribatté lei, «Voi siete il peggior tipo di uomo. Condiscendente e ignorante, convinto del contrario.».

Lui alzò un sopracciglio. «Come mai? Che cosa ho fatto per darvi un’impressione così riprovevole?».

«Respirate.» gli disse lanciandogli un’occhiataccia, «Non è già abbastanza?».

Jonas non riuscì a ricordare di essersi divertito di più. Di solito gli piaceva colpire qualcosa per alleviare la mente dallo stress di vivere la sua vita. Apparentemente, gli sembrava di avere tutto. Un futuro titolo di duca e una considerevole fortuna di diritto… peccato che non desiderasse ottenere il titolo di suo nonno né cercasse moglie. Era in guerra con se stesso. Voleva che il Duca di Southington morisse di una miserabile morte e vivesse per sempre allo stesso tempo. Ad ogni modo, lui era sia vincitore che vinto. Lady Marian gli aveva fatto dimenticare tutto per qualche istante. Una cosa che non accadeva spesso, e avrebbe dovuto ringraziarla per questo. Tuttavia, non pensava che lei avrebbe accettato la sua gratitudine.

«È increscioso che troviate irritante la mia capacità di vivere.» le rispose, «Odio creare fastidio.». Mantenne la voce più neutra possibile, «Fortunatamente per voi, stiamo per essere separati. Forse, quando ci incontreremo di nuovo, non sarete così avversa alla mia esistenza.».

«Preferirei non rivedervi mai più.», lei si agitò sul sedile. I suoi capelli rossi, ancora umidi per la pioggia, si erano appiccicati al suo collo. Grosse ciocche ricadevano dagli spilloni che li tenevano in ordine, conferendole un aspetto quasi mascolino. Il che le si addiceva abbastanza: aveva idee contro natura e un’aura selvaggia che la circondava. Niente e nessuno avrebbe potuto impedirle di fare ciò che voleva. Jonas la trovava piuttosto attraente e la cosa non gli piaceva. «Le buone maniere prevedono che io vi sia grata per il vostro aiuto e vi esterni la mia gratitudine… non sono in grado di soddisfare tali aspettative. Vi trovo piuttosto rozzo e indelicato. È stato difficile trattenere la mia piena opinione.».

«Allora lasciatela andare.» la incoraggiò. La sua voce aveva un tono forte che lui non poté evitare neanche se avesse voluto. Quella conversazione aveva preso la piega sbagliata e trasformarla in qualcosa di più piacevole era al di sopra delle sue capacità. «Non vorrei che soffriste per lo sforzo. Fidatevi di me, sono in grado di gestire tutto ciò che vorrete scagliarmi contro.».

«Per quanto sia tentata di fare come suggerite, devo rifiutare.». Gli rivolse un sorriso sensuale, quel piccolo sfacciato doveva sapere che cosa stava facendo. Ciò aumentò il livello di calore tra loro, già sull’orlo dell’ebollizione; tuttavia, questa volta bruciava in un modo completamente diverso. La rabbia che si scatenava nel profondo si era placata, e rapidamente si era trasformata in un desiderio che non aveva mai provato prima. L’impulso di baciarla era troppo allettante e dovette tenersi a distanza. Lei lo aveva incantato con le sue parole dure, l’arguzia acuta e il viso stupendo.

«Non vi capiterà di nuovo.» ribatté lui, non poteva fare a meno di provocarla. Si comportava come il mascalzone che lei credeva che fosse e non le mostrava un briciolo di più. Se lei voleva che fosse scortese, allora non avrebbe potuto deluderla. «Siete sicura di voler rifiutare?». La parte malata e contorta di sé preferiva quel loro fervido battibecco.

«È meglio che io rifiuti.». La carrozza si fermò e lei aprì la porta per uscire in fretta. «Se mi vedrete di nuovo, fate un favore ad entrambi e ignoratemi. Sarebbe spiacevole dover trovare qualcos’altro di odioso l’uno dell’altra… ma, d’altra parte, che cosa abbiamo da perdere? A mai più rivederci, Lord Harrington. Non mi trovereste così ben disposta, se accadesse. Non ho paura di dire ciò che penso.». Con quelle ultime parole, scese dalla carrozza e non si voltò indietro.

Non c’era bisogno che lo informasse della propria schiettezza, lui lo aveva dedotto appena l’aveva incontrata. Era sempre stata una donnina sfacciata. Ad essere onesti, quella era stata forse la conversazione più lunga che avessero mai tenuto. Una parte di sé non poteva fare a meno di ammirare la sua tenacia. Una cosa era certa però, lei si era fatta strada e aveva ottenuto la sua attenzione. Non c’era modo di tornare indietro. Che cosa diavolo era successo? E, ancora più sorprendente, non vedeva l’ora di farlo di nuovo…








Marian entrò in casa e andò direttamente in salotto. Le sue care amiche dovevano essere già lì, in attesa del suo arrivo. Le risate che echeggiavano lungo il corridoio la misero a suo agio. Entrò e vide sua cugina, Lady Kaitlin Evans, con la sua cara amica Lady Samantha Chase, che confabulavano. Le due donne erano tutto per Marian, non sapeva che cosa avrebbe fatto senza di loro. Sostenevano e incoraggiavano i suoi sogni, mentre suo padre non credeva che li avrebbe mai realizzati. Marian voleva dimostrargli che si sbagliava. Lo amava, dopotutto era suo padre, ma in qualche modo era cattivo come Sir Anthony e Lord Harrington.

Samantha alzò lo sguardo all’arrivo di Marian. Le sue trecce color mezzanotte erano raccolte in un elegante chignon, con dei riccioli che incorniciavano il suo bel viso. I suoi occhi erano di un blu così scuro da sconfinare nel nero. Un tratto distintivo della sua famiglia che era stato tramandato di generazione in generazione: anche suo fratello, Gregory Cain, l’attuale Conte di Shelby, li aveva uguali. Lo rendevano quasi diabolico. Un qualcosa che molte donne immaginavano, e ognuna di esse credeva di poterlo accalappiare. Era un libertino e un mascalzone peggiore di Lord Harrington.

«Oh, sei tornata.» disse Samantha alzandosi in piedi. «Vieni, siediti e raccontaci tutto.» disse indicando un posto vuoto.

«Sir Anthony ha accettato di aiutarti?» chiese Kaitlin. Si portò una ciocca dorata dietro l’orecchio, i suoi occhi blu erano l’opposto di quelli di Samantha, erano del colore di un fiordaliso. Kaitlin era l’epitome di tutto ciò che un gentiluomo inglese avrebbe potuto desiderare. Era bionda, con gli occhi azzurri e dolce come i dessert più deliziosi. Sfortunatamente, la sua timidezza la penalizzava. La maggior parte dei possibili pretendenti la ignorava perché non spiccava.

Marian scosse la testa, «Ha rifiutato.».

«Mi dispiace.» disse Kaitlin.

«Non è colpa tua, Katie.» disse Marian dolcemente, «Ad essere sincera, non mi aspettavo che accettasse.».

Anche se Lord Harrington non fosse stato lì, Sir Anthony l’avrebbe comunque allontanata. Non era incline a pensare che le donne fossero abbastanza intelligenti per le letture, figuriamoci per studiare medicina. Non avrebbe dovuto darvi peso, ma doveva tentare qualcosa. In quale altro modo avrebbe potuto continuare gli studi?

«Può darsi.» iniziò Samantha, «Ma ci sarà un altro modo.».

«Per essere ammessa?» Marian era confusa. Non c’era un altro modo per essere ammessa alla Royal Medical Society. «Non è possibile.».

«Hai ragione.» disse Samantha, «Non ha niente a che vedere con quegli uomini antiquati e presuntuosi.» disse Kaitlin, poi sorrise. «Abbiamo sentito parlare di una dottoressa che sa più cose di tutti i membri della Royal Medical Society messi insieme.».

«Una diceria non è mai veritiera.» rispose tristemente Marian. Loro volevano il suo bene, ma lei non poteva affidare tutte le sue speranze e i sogni a qualcosa che non avrebbe mai potuto realizzarsi. Non esisteva nessuna mitica dottoressa in grado di insegnarle. «Non ho speranze.», voleva continuare a lavorare per il suo sogno, ma a volte sognare è l’unica cosa che rimane.

«Non capisci.» insistette Samantha, «È tutto vero.».

«No.» replicò Marian, «Non posso continuare così. È ora di lasciar perdere.».

Kaitlin sussultò sulla sedia e iniziò a battere le mani. «Tu non farai niente del genere. Andrai a una festa privata.». Prese un invito dal tavolo e lo porse a Marian. «La Duchessa di Weston sarà lì e le parlerai dei tuoi sogni.».

«E perché mai questa duchessa dovrebbe degnarsi di ascoltare che cosa ho da dire?». Era ridicolo. Doveva finirla una volta per tutte. «Una festa in casa non fa per me. Non socializzo, lo sapete entrambe. Inoltre, dubito che mio padre mi darebbe il permesso di andare. I suoi affari lo tengono occupato qui a Londra e non si prenderà il tempo di portarmi lì.».

«Penseremo a questo più tardi. Sono sicuro che ci sia qualcuno in grado di farlo, potrei parlare con Shelby.».

«A mio padre piace tuo fratello.» disse Marian, «Ma dubito che gli affiderebbe la mia virtù.». Non che lei avrebbe ceduto a quel mascalzone, ma non aveva importanza. Se fosse rimasta da sola con lui per un lungo viaggio in carrozza, la sua reputazione sarebbe stata rovinata. Anche la breve distanza percorsa con Lord Harrington era stata rischiosa, avrebbe dovuto trovare un modo per rifiutare. Non aveva una dama di compagnia come accompagnatrice, e se qualcuno li avesse visti… in questo caso, la pioggia era stata la sua ancora di salvezza. Di solito, nessuno nella società si prendeva la briga di uscire con un forte acquazzone.

«Ti accompagno io, ovviamente.» disse Samantha, «Questo eviterebbe ogni biasimo.».

Marian sospirò, «So che lo fate per me ma…».

«Non puoi dire di no.» la interruppe Kaitlin, «La duchessa è un medico. Lo so.».

«Come puoi esserne certa?», odiava essere dura… beh, almeno con sua cugina. Kaitlin aveva avuto una vita difficile e lei non voleva rincarare la dose. Adesso la sua famiglia erano loro due, il fratello di Kaitlin, Colin, e suo padre. Dovevano restare uniti. Colin si trovava a Eton per terminare gli studi e raramente tornava alla residenza, quindi in realtà erano solo loro due. «E se ti sbagliassi?».

«Impossibile.» disse, «Ho sentito per caso il Marchese e la Marchesa di Seabrook ad un ballo. Non si erano accorti della mia presenza, come accade sempre.».

Povera Kaitlin… «E che cosa hanno detto?», Marian poteva almeno ascoltarla. «Qual è il loro legame con la duchessa?».

«La marchesa è la sorella del duca. Sono parenti.».

Questo cambiava tutto. Se erano imparentati, dovevano essere a conoscenza delle abilità della duchessa. Forse incontrarla non era una cattiva idea, dopo tutto. Tuttavia, aveva bisogno di ulteriori informazioni prima di prendere una decisione.

«Ti abbiamo convinta, vero?» disse Samantha. Le sue labbra si curvarono in un sorriso, «Non dire una parola. Vado a casa e inizio l’opera di convincimento con Shelby affinché ci accompagni. Mio cara, dovrai preparare le valigie per due settimane in campagna.».

«Non ho detto di sì.» la informò Marian.

«Ma lo farai.» ribatté Samantha. La sua voce conteneva un pizzico di arroganza. «So come la pensi, ti abbiamo irretita con quelle poche informazioni. Ammettilo.».

Marian sospirò, «D’accordo. Sono curiosa. Di che cosa hanno discusso il Marchese e la Marchesa?».

«Erano piuttosto riservati e cercavano di mantenere la voce bassa.» rispose Kaitlin, «Ma hanno detto che, una volta, lei ha salvato la vita a suo marito. Ha eseguito un intervento chirurgico su di lui prima che si sposassero. Ma, soprattutto, pensavano che fosse in grado di aiutare qualcuno che conoscevano e che era stato ferito nello stesso modo in cui era stato ferito il duca. Il marchese non credeva che il duca sarebbe stato felice di darle il permesso.».

«Oh.». La storia era affascinante. Che cosa sapeva esattamente la duchessa, e come lo aveva appreso? «Di che ferita si trattava?».

«Un colpo di pistola.» rispose Kaitlin compiaciuta.

Accidenti… il cuore le batteva per l’emozione… quante possibilità… «D’accordo. Avete ragione, devo incontrarla.». Poi si rivolse a Samantha: «Fammi sapere quando avrai convinto tuo fratello.». Incrociò lo sguardo di Kaitlin, «Verrai anche tu?».

Lei annuì, «Questo è il tuo sogno, Mary. Voglio essere presente quando lo raggiungerai. E poi mi piacerebbe conoscere la duchessa.».

«Sembra decisamente audace.» rispose Marian allegramente, «Non vedo l’ora di incontrarla.».

«Ti scriverò dopo che avrò parlato con Shelby.» disse Samantha alzandosi, «Mi aspetto che tu sia pronta non appena avremo organizzato tutto, spero che non ci voglia molto a convincerlo.».

Con queste parole, Samantha uscì dal salotto, lasciando Kaitlin e Marian da sole. C’era molto da fare. Prima di tutto c’era da convincere suo padre a permetterle di viaggiare. Poteva dare ordine alla cameriera di iniziare a preparare le valigie mentre lei studiava l’approccio migliore. Doveva funzionare, era la sua ultima speranza.




CAPITOLO TRE


Jonas fischiettava mentre si dirigeva verso il club. Aveva trascorso una giornata particolarmente lunga e non vedeva l’ora di rilassarsi con alcuni dei suoi amici più cari. Asthey e Shelby sarebbero arrivati, prima o poi. Avrebbero deciso se rimanere al club o andare a divertirsi altrove. Talvolta Shelby doveva accompagnare sua sorella a un ballo o a una festa. Quando Jonas e Asthey erano dell’umore, si univano a lui per supporto morale o per prenderlo in giro.

Fortunatamente, lui non aveva una sorella minore di cui occuparsi, e neanche un fratello, per dirla tutta. La sua era stata un’infanzia solitaria, ma era grato che suo nonno non avesse nessun altro da torturare. Era già abbastanza difficile proteggere se stesso, figuriamoci un fratello o una sorella. Ciò era incluso nel motivo per cui Jonas non voleva sposarsi. Certo, non dare a suo nonno un altro erede era un ulteriore motivo, ma in particolare non intendeva mettere in pericolo una moglie o un figlio. Sarebbero stati una debolezza che il duca avrebbe sfruttato ben volentieri. Era meglio che rimanesse solo per il resto dei suoi giorni. Almeno finché suo nonno non si fosse deciso a morire e a lasciarlo in pace. Il vecchio stava combattendo fino all’ultimo respiro. Probabilmente sapeva che sarebbe andato all’inferno e non voleva entrare nelle sue profondità infuocate.

Alcuni giorni erano peggiori di altri. Dopo la morte di suo padre, Jonas non aveva avuto molti giorni felici. Fortunatamente, Charles Lindsay, Conte di Coventry, lo aveva preso a cuore. Jonas non ne capiva ancora il motivo, ma gli era grato per il suo aiuto. Il Coventry Club era stato la sua salvezza sotto tanti aspetti. Gli aveva offerto una fratellanza e un faro di speranza. Coventry era stato determinante nell’aiutarlo a costruire la sua fortuna e, a sua volta, a tenere suo nonno il più lontano possibile da lui. Il duca non si arrendeva facilmente e cercava comunque di farlo tornare all’ovile. Cosa che Jonas non avrebbe mai fatto.

Un vento leggero lo sorprese mentre girava l’angolo. Accelerò il passo quando scorse il club. Il sole stava iniziando a tramontare e presto l’edificio sarebbe stato gremito di gente. Non tutti i conti erano in città nello stesso periodo ma, se anche lo fossero, c’era abbastanza spazio per tutti. Non tutti ricevevano l’invito di ammissione. Ognuno veniva attentamente esaminato e, se il leader lo riteneva idoneo, formalizzava l’invito. Coventry era il loro leader e aveva l’ultima parola su tutti i nuovi membri.

Udì un colpo alle sue spalle. Si voltò per capire cosa stesse succedendo. Asthey teneva premuto il tacco del suo stivale sul petto di un furfante. L’uomo si dimenava, cercando di scappare, finché Asthey non estrasse la pistola che portava e gliela puntò. «Avanti. Dammi una ragione per usarla. Dopo la giornata che ho avuto, mi farà sentire molto meglio.».

«Vi prego, milord.» implorò l’uomo, «Non uccidetemi. Ho una famiglia che ha bisogno di me.».

«Forse avresti dovuto pensarci prima di provare ad aggredire il mio amico.». Jonas spalancò gli occhi mentre ascoltava la conversazione. Era così perso nei suoi pensieri da non aver notato quell’uomo? Era probabile. Dopotutto, era di umore particolarmente sdolcinato. A trent’anni si diventava uomini, o almeno così gli avevano detto. Asthey alzò il grilletto mentre il furfante iniziava a tremare. «Chi ti ha mandato?».

Jonas accorciò la distanza tra loro e scrutò l’uomo. «C’è bisogno di chiederlo? Sono certo che siamo in grado di capire chi è stato così stupido da mandare qualcuno a farmi del male.».

«Non dovevo farvi più male del necessario.» disse l’uomo, «Lui voleva che vi consegnassi relativamente integro.».

«È così, dunque?». Jonas alzò un sopracciglio, «Suppongo sia vero. Non ho adempiuto al mio dovere di generare un erede. Lui non vorrebbe che io morissi prima di averlo fatto.».

«Non essere così superficiale.» Asthey quasi ringhiò, «È la tua vita, queste aggressioni devono finire.».

Jonas era d’accordo, ma non aveva idea di come dissuadere suo nonno dalle proprie idee ridicole. Quell’uomo era troppo insistente e non lo avrebbe lasciato in pace per nessun motivo. «Perché non usiamo il ragazzo per inviare un messaggio a quel vecchio caprone?».

«Vuoi che gli spari e lo faccia consegnare a Southington a pezzi?».

«Che cosa macabra.» disse Jonas. Asthey non faceva sul serio. Oh, avrebbe sparato a quell’uomo, se necessario, ma non aveva mai commesso un omicidio. Qualche tempo prima aveva avuto uno spiacevole incidente che lo aveva reso diffidente verso le persone che non conosceva o di cui non si fidava. Ecco perché portava con sé una pistola. «Non credo ci sia bisogno di arrivare a tanto.».

«Vi prego, non uccidetemi.», l’uomo era diventato bianco come un lenzuolo, «Farò tutto quello che volete.».

«Visto? Vuole solo rendersi utile.» Jonas sorrise. Un pizzico di malvagità lo pervase, e lui non riuscì a trattenersi neanche se avesse voluto. «Se non farà ciò che gli chiediamo, puoi sempre sparargli più tardi.».

«Preferirei farlo adesso.» rispose Asthey quasi maniacalmente, «Ma colgo la saggezza del tuo piano.». Scostò lentamente lo stivale dal petto dell’uomo. «Non scappare. Sono un asso con questa pistola e non faresti tre passi prima di sentire una pallottola bruciarti nel petto.».

Jonas scosse la testa, doveva molto ad Asthey per il suo aiuto in tutti questi anni. E questa era un’altra cosa da aggiungere alla lista. Non avrebbe mai potuto ripagare appieno i suoi amici per tutto quello che avevano fatto per lui.

«Che cosa volete che faccia?» chiese il furfante, con una mano ancora alzata. Asthey non aveva ancora abbassato la pistola. «Ditemelo e lo farò questa sera stessa.».

«Vai dal duca.» iniziò Jonas, «Raccontagli di questa nostra breve conversazione, nei dettagli. La prossima volta che manderà qualcun altro a fare il lavoro sporco, non sarà felice del risultato. Questo è l’unico avvertimento che gli daremo. Ho chiuso con i suoi giochetti, tutto questo finirà.».

Il duca, probabilmente, non avrebbe ascoltato l’avvertimento, ma Jonas doveva provarci. Tutti gli uomini inviati da suo nonno non erano serviti, ma era ora di cambiare la sua strategia. Non avevano mai minacciato di ucciderne e smembrarne uno, finora. Asthey era abbastanza pazzo che quell’uomo, probabilmente, lo credeva capace di tutto.

«E non tornare più qui.» disse Asthey, «Se lo farai, significa che hai gradito l’attenzione che ti ho riservato stasera.».

L’uomo annuì freneticamente, poi si girò e corse più veloce che poté. Jonas rise quando il furfante scomparve alla vista. «Pensi che andrà a Southington?».

«Se ci tiene alla sua vita, lo farà”.» rispose Asthey, «Quindi direi di sì.».

«Grazie per essertene occupato.» disse Jonas, «Non mi ero accorto che fosse lì.».

«Andiamo dentro.», ad Asthey non piaceva l’emotività. Non avrebbe risposto al suo ringraziamento, ma Jonas aveva capito. Era fatto così ed erano amici di così vecchia data da conoscere i segreti più oscuri e profondi l’uno dell’altro.

«Dopo di te.» Jonas allungò una mano, «Te lo sei meritato.».

«Sei impazzito?» gli chiese Asthey, «Non ho intenzione di perderti d’occhio. Porta subito dentro le tue chiappe.».

Jonas scosse la testa e si diresse all’interno, con Asthey alle calcagna. Entrarono nella stanza principale e Jonas rimase sorpreso di vederla affollata al limite. Quasi, se non tutti, i conti erano nel club. C’era un incontro di cui non era a conoscenza? Come Mosè che spartì le acque, i conti si scostarono per far passare Coventry. L’uomo si diresse verso Harrington. La sua età iniziava a manifestarsi. I suoi capelli erano diventati un misto di bianco e grigio, e attorno ai suoi occhi verde chiaro iniziavano a comparire le rughe. Nonostante ciò, sembrava forte e robusto per la sua età. Quando Coventry raggiunse Jonas, lo abbracciò e poi fece un passo indietro. Poggiandogli le mani sulle braccia, gli disse: «Buon compleanno.». Quindi tutti i presenti sollevarono i calici e ripeterono le stesse parole ad alta voce.

«Che cosa sarebbe?».

«Una celebrazione.» rispose Coventry, «Per questo compleanno e per molti altri a venire, ma soprattutto, per la tua libertà.».

«La mia cosa?».

«Deve aver battuto la testa.» disse Asthey. «È il tuo compleanno, o l’hai dimenticato?».

«No.» disse Jonas con calma, «So bene che giorno è oggi. È la questione della libertà che non capisco.».

«Hai il pieno controllo della tua eredità, ora.» disse Coventry, «Southington non ha più voce in capitolo sulle tue tasche.».

Jonas sospirò, «Ormai da molto tempo non ho più bisogno del denaro degli Harrington per sopravvivere. Non ha importanza per me.».

Aveva rinunciato alla speranza di avere qualcosa a che fare con la tenuta. Il titolo, in pratica, era solo una formalità da anni. Suo padre non aveva assunto il titolo di cortesia come figlio del duca. Se lo avesse fatto, allora sarebbe stato il Marchese di Starling, così come Jonas dopo la sua morte. Invece, aveva assunto il titolo dell’altro nonno, dalla parte di sua madre, ed era diventato il Conte di Harrington. Era l’unico erede vivente e ciò comportava un onore maggiore.

Con la morte di suo padre, Jonas era stato posto sotto la custodia di suo nonno. Il duca aveva cercato di fargli assumere il titolo di Starling, ma lui lo aveva rifiutato come aveva fatto suo padre. Sfortunatamente, ciò diede al duca il controllo sulla tenuta Harrington e, di conseguenza, macchiò quell’onore. Suo nonno aveva le mani su tutto ciò che riguardava la tenuta Harrington e la governava con ordini duri e crudeltà. I fittavoli erano infelici e il duca provava piacere.

«Non ha importanza?» disse piano Coventry, «Pensaci e, quando sarai pronto a reclamare di nuovo la tua casa, io ti aiuterò.».

Forse doveva rivendicare il suo patrimonio. Odiava avere a che fare con suo nonno, ma lo doveva ai fittavoli da sottrarre al controllo del perfido bastardo. Avrebbero potuto trovare un po’ di felicità, almeno. Qualcuno doveva farlo, anche se non fosse stato lui. Annuì, «Come hai fatto a riunirli tutti qui?».

«Lo stavamo organizzando da un po’.» disse Asthey, «Shelby ed io avevamo deciso che il tuo trentesimo compleanno non sarebbe dovuto passare inosservato senza festeggiamenti.».

Aveva degli amici splendidi. «Grazie.». Jonas si guardò attorno. «Dov’è Shelby?».

«Sono qui.» annunciò Shelby da dietro, «Scusate per il ritardo. Ho avuto una discussione con mia madre.».

Shelby litigava sempre con sua madre, era lei che lo costringeva a scortare sua sorella a qualsiasi ballo. Era suo dovere come parente maschio più anziano. Purtroppo per sua sorella, Shelby odiava le feste e cercava di evitarle il più possibile. Troppe innocenti in cerca di marito, per i suoi gusti.





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Cosa succede quando un conte libertino incontra una donna intellettuale che ha una missione da compiere? Jonas Parker, Conte di Harrington, non ha alcuna intenzione di sposarsi. Preferisce essere libero, e una moglie complicherebbe le cose. Il suo club è il suo paradiso e non è pronto a rinunciarvi per il matrimonio. Suo nonno, il Duca di Southington, desidera solo che si sposi e che torni all'ovile. Per questo motivo, lui eviterà debitamente le donne e il matrimonio. Lady Marian Lindsay preferisce rimanere nubile e seguire la sua strada intellettuale. Sta studiando per diventare un medico e spera di essere una brava dottoressa. Vuole essere presa sul serio in campo medico, ma i suoi sforzi passano inosservati. Dopo un'attenta riflessione, escogita un piano infallibile, ma le serve l’aiuto di uno degli amici di suo padre per metterlo in pratica. Harrington è sconvolto dalla richiesta di Marian e rifiuta apertamente; tuttavia, lei riesce in qualche modo a convincerlo ad accettare. Prima che lui se ne renda conto, la porterà nel Kent, ad una festa privata alla quale partecipano tutti i suoi peggiori incubi. L’etichetta deve essere rispettata a tutti i costi perché lui non si sposerà alla fine della sua missione, o forse sì?

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    Другие форматы:

    • MOBI - подходит для электронных книг Kindle и Android-приложений
    • IOS.EPUB - идеально подойдет для iPhone и iPad
    • A6 PDF - оптимизирован и подойдет для смартфонов
    • FB3 - более развитый формат FB2

  7. Сохраните файл на свой компьютер или телефоне.

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