Книга - La Volpe In Rosso

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La Volpe In Rosso
Dawn Brower


Rinunciare ai suoi sogni era l'ultima cosa che avrebbe voluto, ma ormai è costretta a fare una scelta tra ciò che vorrebbe fare della sua vita e l'uomo dei suoi sogni.

Collin Evans, il conte di Frossly, è costretto a tornare nella sua tenuta di famiglia dopo aver evitato per anni di assumersene la responsabilità. Il suo amministratore si è dimesso e spetta a lui ora assicurarsi che i suoi servi e lavoranti non soffrano per la sua negligenza. Non si sarebbe mai aspettato di trovare proprio nei dintorni una donna tanto seducente da tentarlo oltre ogni misura.. Dopo avere provocato uno scandalo, per punizione Lady Charlotte Rossington viene mandata in campagna a fare compagnia ad una zia zitella. Ciò che suo padre ignora e che è proprio ciò che lei voleva. Odia la società londinese e vuole scrivere un romanzo e la stagione dei balli non glielo permetterebbe.

Mentre si trova lì, incontra il conte di Frossly. È bello come il peccato e uno dei più malvagi lestofanti che lei abbia mai incontrato. Ma è fatalmente attratta da lui e finisce tra le sue braccia più spesso che alla sua scrivania. Rinunciare ai suoi sogni era l'ultima cosa che avrebbe voluto, ma ormai è costretta a fare una scelta tra ciò che vorrebbe fare della sua vita e l'uomo dei suoi sogni.





Dawn Brower

La Volpe in Rosso




LA VOLPE IN ROSSO


INTELLETTUALI CONTRO LIBERTINI LIBRO OTTAVO




DAWN BROWER


Questa è un’opera di fantasia. Nomi, persone, luoghi e avvenimenti sono il frutto dell’immaginazione dell’autrice o usati in modo fittizio o scritti in modo tale da non aver alcun riferimento con la realtà. Qualsiasi riferimento a luoghi reali, organizzazioni o persone, vive o morte, è assolutamente casuale.



The Vixen in Red 2020 Copyright © Dawn Brower

Copertina ed Edizione a cura di Victoria Miller (https://victoriamillerartist.com/)

Traduzione a cura di Patrizia Barrera

Tutti i diritti sono riservati. Nessuna parte di questo libro può essere utilizzata o riprodotta elettronicamente o stampata senza l’autorizzazione esplicita per iscritto dell’autore o dell’editore, fatti salvi alcuni paragrafi a solo scopo promozionale o per recensione.


Alla mia famiglia. Vi amo tutti.







RINGRAZIAMENTI


Uno speciale ringraziamento va a Victoria Miller per avermi aiutata nella costruzione e impaginazione del libro e per la sua meravigliosa copertina. Non ci sarei riuscita senza il tuo aiuto.



Elizabeth Evans, tu sei ugualmente importante per me. Senza il tuo costante sostegno non sarei riuscita a trovare in me la sufficiente motivazione per andare avanti in quei giorni in cui mi è difficile ricordare quanto conti per me scrivere. Grazie per esserci sempre e di fare parte della mia vita.




CAPITOLO UNO


Il sole splendeva luminoso nel cielo e il vento soffiava leggero sul viso di Lady Charlotte Rossington. Il giardino della casa londinese di suo padre, il marchese di Seabrook, aveva cominciato a fiorire. Erano solo boccioli, ma promettevano di raggiungere il massimo fulgore di lì a poco. Lei si chinò, accarezzò i boccioli con le sue piccole dita e sorrise.

"Siete sicura che i vostri progetti siano assennati, mia cara?" le stava chiedendo la sua più cara amica, Lady Pearyn Treedale.

I suoi magnifici capelli bruni erano imprigionati in un elaborato chignon, ma alcune ciocche erano sfuggite a causa della brezza. I suoi occhi azzurri avevano la stessa tonalità del cielo. Era davvero bella e un giorno sarebbe diventata una duchessa, se il suo fidanzato si fosse degnato di tornare in Inghilterra. Pear non sembrava preoccuparsi della sua assenza, almeno questo è quello che affermava quando era in compagnia di Charlotte … Le piaceva bazzicare la società senza la preoccupazione di doversi trovare uno spasimante. In un certo senso, Charlotte la invidiava. Non le piaceva prendere parte a quegli insulsi balli.

"È l'unico modo in cui posso far capire a mia madre ciò che desidero davvero. L’unica cosa che lei vuole da me è di vedermi sposata e avere dei figli.” Charlotte arricciò il naso per il disgusto. “Ma il mio cuore anela a qualcosa di più di un voto nuziale e anni e anni di convivenza. Di sicuro lei ha avuto un matrimonio felice con mio padre, ma io ho molte più ambizioni per il mio futuro!” Forse un giorno non le sarebbe dispiaciuto trovare un uomo a cui dare il suo cuore, ma non ora. Charlotte aveva bisogno di tempo per se stessa, per conoscersi meglio nel profondo e anche dedicarsi alla scrittura. Aveva così tante idee che le frullavano per il capo, e non desiderava altro che avere il tempo di metterle su carta. Condividerle con il mondo era il suo sogno più grande.

Ma non avrebbe mai fatto nulla di tutto questo, se sua madre avesse continuato a costringerla a partecipare ai balli e agli eventi sociali previsti per quell’anno.

Pear fece un respiro profondo. "Vi capisco, davvero, ma speravo che ci fosse un modo migliore." Contrasse la bocca in una smorfia di disgusto, che non si addiceva ad un viso così bello. "Lo scandalo …"

"È il motivo per cui lo sto facendo! – le ricordò Charlotte – Mia madre non avrà scelta. Dovrà lasciarmi tornare a Seabrook. Lì potrò sottrarmi allo scandalo e mi lasceranno in pace a scrivere il mio romanzo. Non temete, andrà tutto bene, ne sono sicura.”

Sua madre, Rosanna, la marchesa di Seabrook, di certo sarebbe diventata livida dalla rabbia!

“Sì, ma la cosa ancora non mi piace. Con voi confinata a Seabrook, sarò praticamente da sola a Londra per tutta la stagione. Mi mancherete." Pear sospirò. “Inoltre, per punirvi ancora meglio, vostra madre non organizzerà la consueta festa da ballo annuale. E voi non potrete partecipare nemmeno al ballo di Weston Manor. Oh, sinceramente, per me questo è troppo!” Si mise una mano sul fianco e inclinò la testa di lato. "Vale la pena di farvi rinchiudere e non vedere nessuno per mesi…per scrivere un semplice libro?”

Charlotte annuì con forza. "Sì, sì, e sì!” esclamò. Il solo pensiero di rimanere da sola a scrivere … le riempiva il cuore di felicità. "Non sarà così terribile. Potremo comunque scriverci delle lettere e non rimarrò da sola, ci sarà la mia famiglia con me. Insomma, mamma e papà. Non sono sicura di ciò che farà Rhys. Potrebbe voler trascorrere del tempo a Londra con sua moglie.”

Prima che suo fratello Rhys, il conte di Carrick, sposasse Lady Giacinta, Charlotte era stata entusiasta all'idea di partecipare a balli, serate, cene all’aperto, insomma qualsiasi cosa organizzasse la società. Il suo giovane cuore l'aveva vista come un'opportunità e, in qualche modo, lo era stata. Il primo anno era stato meraviglioso. Fino a quando si era infatuata di un furfante che le aveva spezzato il cuore. Da allora, aveva rinunciato alla speranza di trovarsi uno spasimante. Aveva sofferto troppo, quando quel vigliacco che lei considerava l’uomo dei suoi sogni le aveva distrutto il suo giovane cuore di ragazza. Da quel momento aveva deciso che sarebbe stata lei a gestire la sua vita, e quello scandalo era il primo passo.

Pear tamburellò con le dita sulla panca su cui sedeva, mentre Charlotte passeggiava in su e in giù per il sentiero del giardino. "Suppongo che vogliate vi sostenga in questa…impresa scellerata.” mormorò.

"Mi piacerebbe se foste al mio fianco, sì. “ rispose Charlotte, fermandosi di botto. Incontrò lo sguardo di Pear e aggiunse. "Avvalorerebbe le mie parole." Quella massa di stupidi aristocratici avrebbe ostracizzato di sicuro Charlotte, ma anche Pear, se l’avesse appoggiata, ne avrebbe pagato le conseguenze. Non era la prima volta che le dame della società tentavano di rompere il suo fidanzamento. Nessuno capiva che, in fondo, a Pear piaceva essere fidanzata. Ciò che non desiderava per nulla era sposarsi. In realtà l’amore le interessava ancor meno di quanto piacesse a Charlotte.

"Molto bene. – esclamò – Sarò felice di partecipare alla vostra rovina." Sospirò pesantemente. “È tutto parecchio complicato. Mi auguro che almeno riusciate a realizzare i vostri desideri. Non vorrei fare tutta questa fatica e perdere la mia dignità per niente!”

"E’ l’ennesima volta che lo dite! – sorrise Charlotte – Ma vi sono molto grata. Siete davvero l’amica migliore che potessi desiderare! " Poi batté le mani per l'eccitazione. "Non posso aspettare."

«Certo che potete! – disse seccamente Pear – Una volta scoppiato lo scandalo, probabilmente non vi vedrò fino a Natale."

"Oh, non fate quel tono acido! – la rimproverò Charlotte – È sconveniente su una giovane dama!" E sorrise.

«Adesso assomigliate a vostra madre – disse Pear, con disgusto – Forse non siete così diversa da lei come credete!”

Magari Charlotte e sua madre si assomigliavano un po’, certo, ma non più di tanto. "Non ci somigliamo affatto. Anche i miei colori sono quelli di mio padre. " Infatti le sue chiome erano dorate come quelle del padre, ma gli occhi di Charlotte avevano riflessi blu a metà tra quelli di suo padre e di sua madre.. Anche suo fratello era più simile al padre, fisicamente. “La mamma si lamenta sempre che né io né mio fratello le assomigliamo! A volte pensa che, se non ci avesse partorito lei, non avrebbe mai creduto che siamo suoi figli!”.

Non era una bella cosa, per Charlotte, strombazzare queste cose ad alta voce. Era quasi volgare. A questo pensiero, la ragazza ridacchiò e rincarò la dose. "Anche se per essere onesti, la prima volta che ha detto queste cose io e mio fratello eravamo ancora…animaletti selvatici”

"Non ne dubito – disse Pear – A volte siete ancora selvatica." Strinse lo sguardo. "Quando verrà fuori ciò che avete combinato, la società vi considererà astuta come una volpe. Siete pronta per tutti i pettegolezzi che vi cadranno addosso?”

Charlotte aveva riflettuto molto a lungo su questo aspetto. Di sicuro quegli stupidi aristocratici l’avrebbero presa di mira e ne avrebbero dette di tutti colori, su di lei. E molti commenti sarebbero stati sicuramente…difficili da digerire.

"Di certo, non sarà una passeggiata e soffrirò anche un po’, ma credo di potercela fare.” La maggior parte delle offese sarebbe venuta certamente dalla lingua tagliente di sua madre. "Una volta confinata a Seabrook, perderò i contatti con l’esterno, e quindi potrò fingere che nessuno stia sparlando di me. Mi metterò a scrivere il mio libro e, col tempo, lo scandalo si sgonfierà. Starò bene, non vi preoccupate per me.” Sorrise a Pear. "So che vi sta a cuore la mia feliciità, e vi ringrazio del vostro affetto.”

«Mi sembra che non posso fare molto per dissuadervi. – sospirò Pearl – Ebbene, allora diamo il via al vostro scandalo. Farò preparare i cavalli alle scuderie. Incontriamoci lì, dopo che vi sarete cambiata d’abito.”

"Perfetto -disse Charlotte. "Ci vediamo nella stalla tra venti minuti. Non ci vorrà molto. Dobbiamo allontanarci da casa e raggiungere Hyde Park prima che i miei genitori tornino dal pranzo con il Duca e la Duchessa di Weston ".

"Allora andate, su! – esclamò Pear, scacciandola con le mani come si fa con una mosca – Non c'è un attimo da perdere!"

Charlotte corse a casa e salì in camera da letto. Una volta lì, si liberò del suo vestito da donna e indossò rapidamente un paio di vecchi calzoni, una camicia di lino, e il gilet e la giacca di suo fratello. Aveva avuto la fortuna di trovare anche un vecchio paio dei suoi stivali da equitazione. Charlotte si sciolse i capelli e se li acconciò in una lunga treccia che poi fissò sulla nuca con uno spillone. Dopodiché li nascose sotto il cappello da uomo che si calcò in testa. Se non fosse stato per il suo seno e le sue curve, ad un’occhiata superficiale avrebbero potuto scambiarla per un uomo. Soddisfatta del suo aspetto si precipitò giù per le scale, badando bene a che nessuno la vedesse, quindi si recò alla stalla.

Pear era già seduta sul suo cavallo e uno stalliere teneva le redini della cavalla di Charlotte. Lei ci balzò su senza alcun aiuto. Aveva incaricato Pear di farle allestire una sella maschile e notò con soddisfazione che i suoi ordini erano stati eseguiti. Oddio, i calzoni da uomo erano così comodi! Avrebbe dovuto trovare un modo per indossarli più spesso. Cavalcare come un uomo la liberava dall’incombenza della sella laterale, che era incredibilmente seccante. Si voltò verso Pear e le chiese: "Siete pronta?"

"Ci allontaniamo…senza accompagnatore?"

"Un valletto vanificherebbe il nostro scopo, non credete?" Si mordicchiò il labbro inferiore. "Siete preoccupata per la vostra reputazione?" Charlotte non voleva fare del male alla sua amica.

"Non temete, ho le spalle solide – la rassicurò Pear – Non devo preoccuparmi di fare un buon matrimonio. Sono già abbastanza ricca, e in teoria sono anche fidanzata, sempre se un giorno o l’altro il mio fidanzato concluderà che viaggiare per il continente è noioso e avrà la decenza di tornare in Inghilterra. Non ero sicura di quanto grande voleste combinare questo scandalo, ma con questa vostra risposta ormai è chiaro che lo volete gigantesco. "

"Beh, se non avete nulla in contrario…"

"Non ne sono del tutto convinta.” mormorò Pear, poi premette un ginocchio sul fianco del suo cavallo e guidò la giumenta a un trotto moderato. Charlotte la imitò, e insieme si avviarono verso Hyde Park.

Non parlarono più per tutta la durata del viaggio. Charlotte era troppo nervosa per spiccicare una parola. Finora tutto era andato come previsto. Ma la parte più difficile doveva ancora venire. Altrimenti, l'intero piano sarebbe saltato. Teneva le labbra strette per il nervoso, mentre cavalcava accanto a Pear.

Alla fine, le ragazze raggiunsero il parco e guidarono i cavalli sul sentiero guidato. Hyde Park era il posto giusto per farsi notare, perché la maggior parte della società vi passeggiava nel tardo pomeriggio, per prendere una boccata d’aria. Quel giorno il parco non era molto affollato, ma comunque era ben curato e l’erba tutta tagliata, in previsione della stagione che stava per iniziare. Era solo primavera, e la maggior parte di quegli sciocchi aristocratici si sarebbe recata nelle loro tenute di campagna solo a metà maggio, ma comunque c’era abbastanza gente della buona società, quel giorno ad Hyde Park, per soddisfare le aspettative di Charlotte.

"Ci stanno guardando tutti?" chiese sottovoce a Pear.

"Oh, sì – rispose acidamente Pearl – Stanno già volando le chiacchiere e tutti gli sguardi e parecchie risatine sono puntate nella vostra direzione.”

Odiava essere al centro dell'attenzione. Charlotte non aveva mai voluto essere la reginetta del ballo. Ogni volta che le era capitato, si sarebbe volentieri nascosta nella sua biblioteca per allontanarsi dallo sguardo di tutta quella gente idiota. Le piaceva ballare, ogni tanto, ma il più delle volte trovava quelle occasioni stupide e noiose. "Bene." rispose con calma. Una cascata di pettegolezzi si sarebbe rovesciata sul palazzo di Seabrook entro la fine della settimana…o forse anche prima.

"Avevate ragione, mia cara – disse Pear – Indossare abiti da uomo vi ha sicuramente messo in berlina. Probabilmente più di quanto vi sareste aspettata. " Pearl si guardò intorno con stupore, mentre tutti gli occhi erano ancora puntati su di loro. "Dobbiamo proprio fare tutto il giro del parco o possiamo andarcene?” "L’avete detto – esclamò Charlotte, con forza – Un bel giro completo!”

Dentro di sé, però, stava già cominciando a dubitare e a chiedersi se non avesse davvero perso la testa. Mentre passava a cavallo davanti a quelle aristocratiche teste vuote le voci iniziarono a levarsi, e potè udire chiaramente delle parole offensive dirette verso di lei e la sua amica. Charlotte ricordò a se stessa che era proprio questo che voleva, ma non potè fare a meno di sentirsi addolorata per ciò che stava succedendo…

Raggiunsero la fine del sentiero e finalmente imboccarono l'uscita del parco. Ma improvvisamente Charlotte si bloccò, impietrita. I suoi genitori stavano passeggiando nel parco con il Duca e la Duchessa di Weston! Charlotte non aveva previsto una cosa del genere. Aveva programmato di mettersi in mostra, tornare a casa a cambiarsi e poi aspettare tranquillamente che i pettegolezzi giungessero alle orecchie della sua famiglia. Gli occhi di sua madre si spalancarono e suo padre si voltò, incredulo, a guardarla. L’espressione delusa che Charlotte vi intravvide fu come una pugnalata al cuore. Le pesò molto più che un rimprovero. Non sopportava l’idea di recare dolore a suo padre.

Charlotte deglutì a fatica e mantenne la testa alta. Il dado era tratto dal momento in cui aveva lasciato la sua casa vestita da uomo, e ormai non poteva più tornare indietro. Aveva ottenuto ciò che voleva e ora doveva assumersi le sue responsabilità e pagarne il prezzo … qualunque esso fosse.




CAPITOLO DUE


Il trambusto nel parco avrebbe dovuto attirare l'attenzione di Collin, il conte di Frossly. Di regola sarebbe stato così, ma in quel momento egli aveva troppe cose per la testa. Era entrato nel parco più per abitudine che perché avesse voglia di farlo. Il suo stallone nitrì e alzò la testa come se stesse richiamando l’attenzione di un cavallo nei pressi. Questo lo divertì. I due si stavano scambiando una sorta di saluto?

Collin tirò le redini e fermò il cavallo. Il suo buon amico, Cameron, il duca di Partridgdon, si fermò accanto a lui. Avevano passeggiato insieme in un silenzio condiviso. Nessuno dei due aveva molto da dire ed entrambi sembravano lieti di non essersi dovuti sforzare per intavolare una conversazione. Il duca era tornato in Inghilterra dopo un breve viaggio. Cameron soggiornava molto spesso all’estero: era il suo modo di evitare il matrimonio che la sua famiglia lo aveva costretto ad accettare. Se non l'avesse fatto, il ducato sarebbe andato in rovina. La dote fissata durante il fidanzamento era già stata intaccata per pagare i debiti. Cameron odiava quell’accordo e non sopportava l'idea di essere costretto a sposare una donna a cui era legato da quasi due decenni. Quando i suoi genitori avevano sottoscritto l’impegno matrimoniale, lei era poco più di una bambina.

La situazione di Collin non era certo migliore …

"Cosa pensate sia accaduto?" esclamò Cameron, rompendo il silenzio.

L’amico scrollò le spalle. "Dubito che la cosa rivesta una qualche importanza, per noi. Di sicuro si tratta di stupidi pettegolezzi in cui non ho intenzione di restare invischiato. E credo nemmeno voi.”

"Probabilmente avete ragione.” concordò Cameron. Strinse lo sguardo e lanciò un’occhiata al parco. "Tuttavia, la vittima mi sembra di conoscerla."

Collin si voltò a guardare in direzione del trambusto. Non riconobbe le due donne. Si accigliò. "La ragazza bionda indossa i calzoni?"

Ma era forse matta, quella donna? Non poteva immaginare il motivo per cui una lady si fosse acconciata in quel modo…assolutamente sconveniente! Tuttavia, dovette ammettere con se stesso che la cosa lo intrigava. Era forse quella, la mira della donna? Attirare l'attenzione di un gentiluomo? Ma non era certo il modo migliore per farlo. Se sperava di farsi notare, ci era sicuramente riuscita, ma dubitava che gli effetti sarebbero stati quelli sperati. Si sarebbe solo attirata addosso pettegolezzi e possibili adescamenti da parte dei peggiori lestofanti dell’aristocrazia.

"Sì, indossa un completo da uomo. – rispose Cameron – La conoscete?"

Lui scosse la testa. “Cerco di mantenermi alla larga da queste teste aristocratiche. Mia sorella probabilmente saprebbe di chi si tratta. Ma disgraziatamente non è qui con noi e non posso chiederglielo.”

Sua sorella, Kaitlin, era felicemente sposata con il conte di Shelby da più di quindici anni. Aveva tre figli che la tenevano occupata … due maschi e una ragazzina. Si rivolse a Cameron. "Quella donna vi interessa, caro amico?”

Cameron aggrottò la fronte. "Non quella coi calzoni, l’altra dama – chiarì il Duca – Credo che sia la mia fidanzata."

"Ah! – esclamò Collin, afferrando al volo la situazione – Allora dobbiamo eclissarci subito. Dubito che vogliate farle sapere che siete tornato in Inghilterra, o sbaglio?”

"Certo che no! – esclamò Cameron. Poi si acciglio di nuovo. "Anche se, a guardarla, mi sembra più avvenente di quanto ricordo." Le ultime parole furono quasi un sussurro, ma arrivarono comunque alle orecchie di Collin.

Questa piccola gita aveva dato a Cameron qualcosa su cui riflettere? La signora dai capelli scuri era davvero bellissima. Almeno per ciò che poteva vedere da quella distanza. La bionda però … quella svergognata … qualcosa in lei lo attraeva. Forse era perché, con quel vestito da uomo addosso, le sue curve erano tutte ben delineate e nulla era lasciato all’immaginazione. Non ci aveva mai pensato. Qualsiasi maschio dal sangue caldo avrebbe trovato eccitante una donna vestita da uomo e Collin era tutt'altro che santo.

"Oh, diamine!” esclamò Collin scorgendo il Duca e la Duchessa di Weston, in compagnia del Marchese e la Marchesa di Seabrook, passeggiare nel parco proprio in prossimità delle due donne. Aveva capito solo in quel momento chi fosse la dama bionda e, cosa più importante, chi erano i suoi genitori. "Temo che stia per scoppiare uno scandalo!”

Cameron inarcò un sopracciglio. "Non capisco."

L’amico gli indicò l’uscita del parco. "Credo che la marchesa di Seabrook stia per strangolare la sua unica figlia." Cameron lanciò un'occhiata ai signori anziani e poi alle due ragazze, che erano così nell’occhio di tutti. "Ah!– esclamò Colin, ridacchiando – Forse varrebbe la pena di sedersi comodamente e godersi lo spettacolo!” Ma poi scosse la testa. “Ma forse è meglio non lasciarsi invischiare. Anche se mi piacerebbe guardare tutta la scena!”

"Avete ragione – concordò Collin – La duchessa di Weston potrebbe rivelarsi la voce della ragione. Sta insegnando alcune pratiche medicinali a mia cugina, Marian, e non è quella che si potrebbe considerare una tipica signora della vecchia aristocrazia. Ha convinzioni … decisamente progressiste."

Cameron sospirò. "È meglio che ci affrettiamo. Questi nobili sono troppo occupati a spettegolare su chi hanno a tiro e non ci noteranno nemmeno, mentre voltiamo i cavalli.”

"Fatemi strada, vi prego.” disse Collin.

Preferiva di gran lunga tornarsene a casa di suo zio Charles, il conte di Coventry. Doveva capire il modo migliore per gestire la situazione in cui si trovava. Se Cameron non si fosse presentato all’improvviso, sarebbe rimasto nel suo studio ad esaminare attentamente i libri contabili della proprietà. Da ciò che aveva capito, il suo amministratore si era eclissato lasciando la tenuta in rovina. Aveva sottratto fondi dalle casse della proprietà e non aveva mai fatto alcuna ristrutturazione, né onorato le spese. Collin aveva intenzione di ritirarsi a Peacehaven e vivere nel suo castello finché non avesse trovato un modo per sanare tutti i debiti. Ormai non si fidava più di nessuno e intendeva occuparsene in prima persona.

Collin doveva ancora parlare con le autorità per rintracciare l'uomo. Si rimproverava per il fatto di essersene andato a sollazzarsi a Londra mentre lo stavano derubando. Che stupido era stato! Sarebbe dovuto andare a controllare ciò che avveniva nella sua tenuta già molto tempo prima. E se tornare non gli avesse causato così tanto dolore, di sicuro lo avrebbe fatto. Non si era più recato a Peacehaven dopo la morte dei suoi genitori. Ogni volta che ci pensava il cuore gli si spezzava nel petto, ma alla fine non aveva avuto altra scelta. Nessun altro poteva prendere il suo posto, ed era ora che crescesse e si assumesse le sue responsabilità.

Uscirono dal parco senza che nessuno se ne accorgesse. Collin lanciò un’ultima occhiata alla signora in calzoni. Una parte di lui sperava di incontrarla di nuovo. Era curioso di sapere cosa le era passato per la testa e perché si era conciata a quel modo. Sarebbe stato un racconto interessante … Tuttavia era molto improbabile che l’avrebbe rivista. Presto si sarebbe rintanato in campagna, affogato nella ristrutturazione della tenuta e nel resoconto della produzione agricola. Niente a che fare con una lady sui generis che aveva osato travestirsi da uomo e farsi guardare da tutti in un parco pubblico…


* * *

Charlotte camminava avanti e indietro nella sua camera da letto, dov’ era stata esiliata non appena tornata a casa. Una volta lì, si era spogliata dei vestiti maschili e si era rimessa i suoi abiti da donna. Sua madre si sarebbe fatta venire un attacco apoplettico, se l’avesse rivista con i calzoni addosso! Per un momento Charlotte aveva addirittura temuto che l’avrebbe strozzata davanti a tutti, nel parco. Non ricordava di averla mai vista così arrabbiata, in vita sua. La marchesa di Seabrooke aveva la faccia così rossa dalla rabbia che le sue guance sembravano delle mele! I suoi genitori erano davvero furiosi, molto più di quanto avesse preventivato… Quello che aveva fatto… sulle prime le era sembrata una buona idea, ma ora temeva di essersi solo messa nei guai. Odiava deludere i suoi genitori. Soprattutto suo padre: lo aveva sempre ammirato e sapeva quanto era stato valoroso in battaglia. Se mai si fosse sposata, sperava che il gentiluomo con cui avrebbe condiviso la vita sarebbe stato altrettanto coraggioso. Non che sperasse che il paese scendesse di nuovo in guerra, ma voleva comunque stimare, prima di amare, la persona che le sarebbe stata al fianco.. Non le sembrava di chiedere troppo …

La porta della sua camera da letto si spalancò. Una cameriera entrò e fece una riverenza. "Perdonate, milady – disse – I vostri signori genitori richiedono la vostra presenza in salone."

Il cuore prese a batterle all’impazzata. Era il momento. Era arrivata alla resa dei conti, il biglietto di ritorno per Seabrook. Lì sarebbe stata libera di dedicarsi al suo romanzo e di non preoccuparsi di eventuali impegni sociali. Charlotte deglutì a fatica e fece un grosso respiro.

"Vi ringrazio, Mildred.” disse alla cameriera. Era orgogliosa di come, esteriormente, riuscisse a mantenere la calma. La sua voce non mostrava alcun segno del nervosismo che, invece, la stava spossando dal di dentro. Era un miracolo che non stesse tremando in maniera inconsulta. Per qualche ragione, temeva che i suoi genitori non le avrebbero concesso la grazia che sperava e, nella situazione in cui si era messa, non poteva nemmeno chiederglielo per favore. Dopo quello che aveva combinato non aveva certo voce in capitolo. Charlotte era più che sicura che questa volta i suoi genitori l’avrebbero indotta a piegare la testa.

Sulla soglia del salone si fermò, per prendere fiato. Sapeva di dover contare su tutte le sue forze, in quel momento. Charlotte fece un passo incerto e poi entrò nel salone a testa alta. Non le sarebbe servito a niente mostrare la sua debolezza, anzi. Per quanto li amasse, in simili frangenti i suoi genitori potevano essere spietati. Se glielo avesse permesso mostrandosi fragile, l’avrebbero spezzata con le loro parole di rimprovero. Questo non significava che fossero cattivi, tutt’altro. I suoi genitori erano sempre stati amorevoli e premurosi con lei e l’avevano seguita per tutto il percorso adolescenziale, ma comunque non erano degli sciocchi. Charlotte era sicura che questa volta non l’avrebbe passata liscia.

Sua madre sembrava calma e non aveva un solo capello fuori posto. Era un po’ pallida, ma comunque non cadaverica. Le macchie di rosso sulla sua faccia erano sparite e ora il suo viso aveva ripreso un’espressione normale.

"Volevate vedermi?" Non era proprio una domanda, ma purtroppo la sua voce lasciò trapelare un minimo di indecisione…

"Vi prego, sedetevi.” esclamò suo padre, indicandole una sedia in prossimità del divano su cui si erano piacevolmente accomodati. Sua madre si versò con calma una tazza di the e vi mise dentro due zollette di zucchero. Poi si mise a sorseggiarla, come se non stesse per dare una punizione a sua figlia. Che strega …

"Non discuteremo delle vostre azioni.” Cominciò a dire suo padre. I suoi capelli biondo dorato erano un po’ spettinati. Doveva essersi passato la mano tra i capelli per il nervoso migliaia di volte, quel giorno. “È inutile rinfacciarvi i dettagli del vostro operato. Ciò che è fatto è fatto." Sollevò un bicchiere pieno di liquido ambrato e ne bevve un sorso. Niente the per suo padre … Era brandy, quello che aveva nel bicchiere. Diamine, aveva spinto il suo caro padre ad affogare la delusione nell’alcool! Si vergognò moltissimo di quello che aveva fatto. Purtroppo non poteva tornare indietro, ma ormai aveva ottenuto ciò che voleva e questo era il momento di capire se era anche riuscita a raggiungere il suo obiettivo. "Ciò di cui vogliamo parlarvi è come intendiamo punirvi per ciò che avete fatto.”

Sua madre prese una focaccina, la cosparse di marmellata e le diede un morso. Aveva intenzione di ignorare Charlotte per tutta la durata della conversazione? Era molto peggio che se l’avesse aggredita con parole di biasimo…

"Capisco", rispose. Non si sa come, ma Charlotte riuscì a mantenersi tranquilla. Per ora, nessun problema. Ma ci sarebbe riuscita fino in fondo?

"Avete qualcosa da dire in vostra discolpa?” continuò il padre.

Charlotte scosse lentamente la testa. Non sarebbe servito a niente giustificarsi davanti a loro. Si era vestita da uomo e aveva gironzolato per Hyde Park … apposta. Non c’era altro da aggiungere.

"Non ho nulla da dire. Mi assumo la completa responsabilità delle mie azioni.” rispose, tranquillamente. C'era solo un posto in cui avrebbero potuto spedirla. Pregò di non essersi messa nei guai per niente. Potevano solo rimandarla a casa, e basta. Non c’era molta scelta. A Charlotte dispiaceva di aver ferito i suoi genitori, ma quello scandalo era l'unico modo per ottenere ciò che voleva. Se avesse potuto, avrebbe rifatto tutto daccapo. A patto che, avesse davvero ottenuto ciò che desiderava…tornare a Seabrooke. Per questo non poteva permettersi di sentirsi in colpa o di scusarsi con i suoi genitori. Loro non sapevano cosa aveva in mente e quindi non potevano negarle quel desiderio. Erano molto delusi, e l’avrebbero rispedita a casa. Sicuro.

"Molto saggio da parte vostra. – la schernì il padre – Anche perché non avete scelta."

Ahi! La cosa si metteva male. Di colpo Charlotte ebbe un brutto presentimento. Si lasciò prendere dall’ansia.

"Va bene …" Deglutì a fatica. "Quale sarà la mia punizione?”

“C’erano due possibili castighi…” continuò suo padre.

Due? Ce n'era solo uno possibile: Seabrook … Che intendeva dire?

"Seabrook è stato il nostro primo pensiero ma, se vi rimandassimo a casa, non imparereste di certo la lezione. Quindi lo abbiamo escluso."

Il cuore saltò un battito e il suo stomaco si contrasse. Che stava succedendo? Dove l'avrebbero mandata? Era sbagliato, tutto sbagliato.

"Se non potrò tornare a casa, dove andrò?" Oddio, davvero si era messa nei guai per niente? Non aveva mai preso in considerazione la possibilità che non l’avrebbero rispedita a Seabrook! E ora… non riusciva a esprimere come si sentiva. Ma doveva essere rimanere forte. Forse poteva ancora realizzare il suo desiderio, anche se l’avessero reclusa altrove.

Una strana espressione apparve sul viso di sua madre. Un sorriso … minaccioso. "Ero sicura che avevate fatto tutto questo per tornare a casa." Posò la tazza di the e incontrò lo sguardo di Charlotte. "Invece, andrete a tenere compagnia alla vostra prozia Serafina. Vive da sola e sarà un vantaggio per lei avervi a portata di mano per i prossimi mesi."

La mente di Charlotte si oscurò per qualche istante, mentre cercava di fare mente locale. Era sinceramente delusa di come si stavano mettendo le cose. Impedirle di tornare a casa e spedirla in un posto che odiava! Questa volta i suoi genitori avevano voluto darle una lezione esemplare, e costringerla a pentirsi amaramente della vergogna che avevano provato a causa sua.

Zia Serafina … era vecchia. D'accordo, ma non decrepita. Charlotte immaginava come avrebbe trascorso i prossimi mesi. Come sua dama di compagnia, la zia l’avrebbe costretta a lunghe chiacchierate e a riunioni e passeggiate che lei invece aborriva! Era andato tutto a rotoli, e ora, che fare? Non poteva che rassegnarsi e bere l’amaro calice fino in fondo. Si era imprigionata con le sue stesse mani e ormai non c’era via di scampo.

Piuttosto: quanto sarebbe durata la sua prigionia?




CAPITOLO TRE


La carrozza procedeva a sbalzi nel suo tragitto e Charlotte non poteva fare a meno di pensare che il cocchiere prendesse appositamente ogni dosso che incontrava sulla strada. Aveva sobbalzato sul sedile così tante volte che ormai la sua schiena, i fianchi e il sedere dovevano essere pieni di lividi. Cosa aveva indotto i suoi genitori a pensare che mandarla nelle terre selvagge del Sussex fosse un’ottima scelta? Almeno Peacehaven era vicino al mare. Era ciò che più si avvicinava al suo concetto di casa, trovandosi a metà tra Seabrook e Weston. Si augurò che quella permanenza non sarebbe stata…terribile come temeva.

La carrozza sussultò di nuovo e lei si trovò protesa in avanti. Colpì un fianco della carrozza con il capo e il dolore la trafisse come un coltello rovente in un panetto di burro. Si portò una mano alla testa e mugolò. L’intero viaggio non era stato altro che una tortura. Per fortuna la carrozza aveva smesso di muoversi. Imprecò sottovoce e tentò di mettersi a sedere, ma scivolò di lato. La carrozza era inclinata e questo non era certo un buon segno. Doveva scendere da quella maledetta vettura e farsi dire dal cocchiere che cos’era successo. Se avesse sbattuto la testa con più violenza, si sarebbe fatta male per davvero. Mentre si sporgeva verso la maniglia della porta, questa si aprì.

"Tutto bene?" chiese un uomo.

Charlotte alzò lo sguardo e aggrottò la fronte. Non aveva mai visto quell’uomo, ma per qualche strana ragione le sembrava di conoscerlo. Aveva i capelli ramati di rosso … diciamo, una capigliatura biondo rossiccia, e straordinari occhi blu. Una combinazione vincente. In realtà era piuttosto belloccio, e lei lo avrebbe sicuramente apprezzato meglio…se non si fosse trovata in quella scomoda posizione. Gli porse la mano. "Grazie. Ho proprio bisogno di aiuto, per uscire da qui.”

Lui allungò un braccio, le afferrò la mano e l’aiutò a scendere dalla carrozza. Aspettò che i piedi di Charlotte fossero ben saldi sul terreno e poi si mise ad osservare attentamente la carrozza.

“Sembra che si sia rotta una ruota.”

Guardò meglio e aggrottò la fronte. Gli assi sembravano interi, ma una delle ruote era dichiaratamente spezzata in due parti.

"Dov'è il vostro cocchiere?" domandò.

"Sono qui, milady! – gridò una voce – Perdonate. Ho cercato di evitare l’ultimo fosso ma… ” s’interruppe. Il pover'uomo sembrava in ansia, tanto quanto la sua padrona.

"Va tutto bene, Samuel – lo rassicurò Charlotte – Comunque, siamo tutti interi. Ringraziamo il Cielo!” Si passò le mani sulla gonna, incerta sul da farsi e sospirò. Secondo i suoi calcoli sarebbe dovuta arrivare da zia Serafina prima di sera. Ora, con la carrozza in quello stato, dubitava che sarebbero riusciti ad arrivare prima di notte. Quella giornata era iniziata sotto una cattiva stella.

Lo sconosciuto si mise a fissarla.

"Che c’è?" chiese all’uomo. Aveva dello sporco o qualcosa del genere sul viso? Si guardò nel vetro della carrozza.

"Perdonate, ma avete un’aria familiare. – disse lui – Non vorrei apparire sfacciato, ma non riesco a ricordare dove vi ho veduta.”

Charlotte sospirò. Si trovava nel Sussex ed era diretta a Peacehaven. Non era possibile che lui si trovasse ad Hyde Park quando lei aveva dato…spettacolo. A meno che anche lui non stesse venendo da Londra. Lo stomaco di Charlotte si contrasse per la vergogna; sperò vivamente che l’uomo non fosse uno degli ignari spettatori della sua disfatta.

Non aveva alcuna intenzione di chiarire perché si fosse comportata a quel modo. Nessuno poteva capirla tranne, chiaramente, la sua amica del cuore, Pear.

"Sono sicura di non aver mai fatto la vostra conoscenza . – disse – Sono Lady Charlotte Rossington."

Lui annuì, come se in realtà se lo aspettasse, ma non disse nulla. Quel silenzio irritò ancora di più Charlotte. Comunque sia, l’uomo non si era ancora presentato. Con imperdonabile maleducazione.

"Mi sembrate spaesata, milady – disse l’uomo – Dove eravate diretta?"

"Milady – interruppe il cocchiere, avvicinandosi a loro – Non è possibile per me riparare la carrozza in questo posto. La ruota è andata, e tra poco calerà la sera. Sono costretto a usare uno dei cavalli per recarmi in città a cercare un fabbro che possa aiutarci.”

"Ma non siamo vicini a Peacehaven?" chiese lei.

"Sì, abbastanza vicini – intervenne lo sconosciuto – A circa trenta minuti di carrozza."

Charlotte trattenne un gemito. Perché erano ancora così lontani? Aveva un disperato bisogno di buttarsi su un letto e riposare, e non vedeva l’ora di arrivare da zia Serafina! Ardeva dal desiderio di un bagno caldo e di molte ore di sonno, per riprendersi da quel viaggio estenuante. Ma mantenne il controllo.

"Molto bene, fate ciò che dovete.” disse al cocchiere.

IL cocchiere si rivolse all’uomo.

"Mio signore, sareste così gentile da accompagnare Lady Charlotte alla proprietà della sua signora zia? Non posso lasciarla qui da sola. "

"Sarei felice di fare da cavaliere a Lady Rossingron. – rispose lo sconosciuto – Di grazia, ditemi di preciso dove devo accompagnarla."

"Al palazzo di Lady Serafina Bell – intervenne Charlotte – Contea di Sheffield."

L’uomo annuì. “Sì, conosco.”

Ciò significava che l’uomo bazzicava regolarmente Peacehaven. L’ultima volta che Charlotte c’era stata, invece, era ancora una bambina. Allora c’era suo padre con lei, una delle rare volte che andava a trovare la zia. Ricordava che era stata una visita piacevole. Il viaggio però non era stato un inferno come quello che aveva appena passato, perché in quel periodo villeggiavano a Seabrook ed erano abbastanza vicini. Ma da Londra a Peacehaven si trattava di un viaggio massacrante.

"Ottimo! Questo vi renderà le cose più facili. Vi ringrazio per la cortesia."

"È un piacere per me, milady. – rispose l’uomo, porgendole il braccio – Vi prego, accomodatevi nella mia carrozza. Il mio cocchiere si occuperà del vostro bagaglio. "

Charlotte si fece accompagnare alla carrozza. I sedili erano molto più morbidi di quelli su cui aveva viaggiato fino a poco prima. Di sicuro, i suoi genitori si era assicurati di procurarle la carrozza più scomoda che potessero trovare, per punirla meglio. Così, durante il tragitto, avrebbe avuto tempo e modo per pentirsi delle sue intemperanze.

Il cocchiere passò i suoi bagagli nella carrozza e infine il gentiluomo prese posto accanto a Charlotte. Quasi subito la carrozza si mosse.

Viaggiarono in silenzio e Charlotte ne fu molto felice. Lei e l’uomo erano perfetti sconosciuti, e una conversazione tra loro sarebbe stata alquanto sconveniente. Per tutto quel tempo l’uomo non pensò di presentarsi e lei non gli chiese chi fosse. Ma forse sua zia lo conosceva già.


* * *

Collin non poteva credere che l'audace signora che aveva visto in calzoni fosse diretta proprio a Peacehaven. Fin dal primo istante aveva avuto il sospetto che si trattasse della figlia dei marchesi di Seabrook, e a quanto pare non si era sbagliato. Era molto più bella di persona, e lui non si era mai sentito così a corto di parole. Comunque, avrebbe dovuto trovare modo di intavolare una piacevole conversazione..

"Quanto tempo vi tratterete a Peacehaven, milady?" Diamine, le parole gli uscivano fuori quasi stentate! Aveva decisamente perso l’abitudine di parlare con una signora: sembrava un orso! Lei sospirò. Non poteva mentire. “I miei genitori mi hanno mandato via per punizione. Dipende da loro, quanto tempo rimarrò qui.”

"Suona come una minaccia." A quanto pare, quella bravata di indossare abiti maschili in pubblico era stato troppo, per i marchesi. “E cosa avete fatto di così riprovevole, di grazia? Siete stata forse pescata a baciare qualche bellimbusto in Covent Gardens? "

Lei ridacchiò. La sua risata era pura e cristallina. A Collin piacque e desiderò vederla di nuovo ridere. “Certo che no, anche se questa cosa del bacio mi stuzzica un po’. Evidentemente, voi siete solito baciare molte donne in Covent Gardens. Forse è per questo che avete pensato subito a una cosa del genere."

Lui ridacchiò. "Non sono così birichino.” esclamò, sorridendo. Ma anche a lui quella cosa stuzzicava un po’. In verità, baciarla era ciò che avrebbe desiderato fare in quel momento. Ma non intendeva rovinarle definitivamente la reputazione, e in ogni caso avrebbe dovuto corteggiarla. Per ora non si conoscevano affatto e non voleva certo essere costretto a un matrimonio riparatore solo perché non era capace di tenere le mani a posto.

"Non sono neanche un santo, però." aggiunse. Non voleva passare ai suoi occhi per un damerino. Collin intendeva affascinarla. Anche se si erano appena conosciuti, desiderava già rivederla. Doveva fare qualcosa per attrarla, altrimenti lei avrebbe fatto la ritrosa e non avrebbe accettato un invito a rivedersi.

"È molto furbo da parte vostra non ammettere di aver fatto mai qualcosa di scandaloso, nella vita.” disse Charlotte.

“Per quanto riguarda voi, invece, forse non vi conviene sbandierare ai quattro venti che siete qui a Peacehaven perché vi trovate al centro di uno scandalo. – la rintuzzò Collin, con sarcasmo – Forse, sarebbe meglio dire che siete qui a tenere compagnia alla vostra vecchia zia. O creare un alone di mistero sulla vostra permanenza in questo luogo.”

“Credo che dire di essere costretta a tenere compagnia a mia zia sia la cosa più saggia. Zia Serafina è avanti negli anni. Non c’è niente di strano se mi hanno mandata qui a farle compagnia per qualche mese.” disse Charlotte. Ma poi aggrottò la fronte. "Credete che qualcuno crederà al fatto che preferisco stare con mia zia, piuttosto che godermi la mia stagione di balli?”

"E voi che ne pensate? – indagò Collin – E’ davvero una tortura per voi rinunciare agli eventi di quest’anno?"

"Assolutamente no! – esclamò Charlotte, con convinzione – Evitarli è ciò che speravo." Arricciò il naso. "Nel migliore dei casi la testa di quelle nobildonne è vuota, nel peggiore è piena di stupidaggini!” Chinò il capo. “Suppongo di apparirvi saccente e presuntuosa.”

"Forse un po' – ammise l’uomo – ma in linea di massima sono d’accordo con voi. Anch’io non amo affatto questi…eventi sociali. Anzi, cerco sempre di evitarli."

E in effetti Collin non riusciva a ricordare quando era stata l’ultima volta che aveva partecipato ad una festa. Sua sorella organizzava spesso balli e cene, ma lui aveva sempre declinato l’invito, adducendo una scusa o l’altra. Alla fine la sorella aveva smesso di invitarlo.

"Quindi comprendo perché preferiate starvene in un posto come questo ad ammuffire.” aggiunse, per stuzzicarla.

"Immagino che sarà proprio quello che farò qui. – disse lei, ignorando l’allusione – Probabilmente Zia Serafina non lascia spesso il suo palazzo."

"Non saprei – disse lui – Sono anni che manco da Peacehaven. Avevo lasciato le mie proprietà nelle mani di un amministratore ma…è dovuto andare in pensione.” Era dichiaratamente una bugia, ma ammettere la verità lo metteva in imbarazzo. Collin non voleva che quella bella signora venisse a conoscenza della sua incapacità nel gestire i propri affari. Avrebbe dovuto occuparsi lui, delle sue proprietà, e non demandare i suoi doveri ad altri.

“Nei prossimi giorni sarò molto indaffarato a rendermi conto di come vanno le cose, nella mia tenuta, e a decidere il da farsi. E’ probabile che mi cercherò un nuovo amministratore.”

Ma forse non era quella la cosa giusta da fare. Meglio occuparsene in proprio e non affidare mai più la proprietà a mani estranee. Gli bruciava ancora di essersi fatto buggerare da un bifolco qualsiasi. Aveva già parlato con le autorità e ormai sembrava certo che quel bastardo avesse lasciato l’Inghilterra.

"Come mai non siete tornato prima?" chiese Charlotte.

"I miei genitori …" Collin deglutì a fatica. Non gli piaceva parlarne. “Sono morti entrambi in questa tenuta. E non riuscivo ad avvicinarmi a questo posto senza soffrire." Accompagnare Charlotte dalla zia gli avrebbe concesso di evitare ancora per un po’ quel momento.

"Avete tutta la mia comprensione – disse Charlotte, dolcemente – Amo i miei genitori e, anche se adesso sono parecchio stizzita con loro, non riesco a sopportare l’idea di poterli perdere." Distolse lo sguardo e lui si chiese a cosa stesse pensando, così intensamente. Ma tacque.

"Quindi, non avete idea di quanto tempo rimarrete qui. –continuò Collin – I vostri genitori non vi hanno detto, per caso, quanto tempo sarebbe durato il vostro…esilio?” Voleva indurla a parlare. "Di sicuro, voi vi sarete fatta un’idea.”

Charlotte sospirò. “Mia madre mi è sembrata molto felice di punirmi. Oserei dire, che ci abbia provato gusto. Oh, quando vuole sa essere proprio una megera!” Scosse la testa. “Da bambina, ero convinta che tra i due mio padre fosse quello più severo. Diamine, da giovane lavorava come spia! Ma è un agnellino, in confronto a mia madre!”

Collin aveva dimenticato che il marchese di Seabrook aveva lavorato per Sua Maestà. Durante la guerra era stato una spia famosa.

Chiaramente, quella cosa non era a conoscenza di tutti. Tempo prima, Collin aveva casualmente ascoltato una conversazione tra il marchese e suo cognato, il conte di Shelby. Il padre del Conte era stato collega e amico del marchese, e quella volta a Seabrook stavano ricordando le loro imprese.

“Credo che tutte le madri siano brave nell’infliggere punizioni ai propri figli. Almeno, quelle che ci tengono a loro. "

"Mi spiace… – mormorò Charlotte – Continuo a parlare dei miei genitori mentre voi ancora piangete per la perdita dei vostri. E’ una terribile mancanza di tatto, da parte mia. "

"Non doletevi. – la rassicurò Collin – E’ passato tanto tempo, ormai."

Chiaramente, mentiva. Non importava quanti anni fossero passati, il dolore per la loro perdita era ancora vivo e bruciante nel suo cuore. Ma non voleva farla sentire in colpa. Tuttavia, era carino da parte di quella ragazza preoccuparsi per lui… Lo faceva sentire…amato.





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Rinunciare ai suoi sogni era l'ultima cosa che avrebbe voluto, ma ormai è costretta a fare una scelta tra ciò che vorrebbe fare della sua vita e l'uomo dei suoi sogni.

Collin Evans, il conte di Frossly, è costretto a tornare nella sua tenuta di famiglia dopo aver evitato per anni di assumersene la responsabilità. Il suo amministratore si è dimesso e spetta a lui ora assicurarsi che i suoi servi e lavoranti non soffrano per la sua negligenza. Non si sarebbe mai aspettato di trovare proprio nei dintorni una donna tanto seducente da tentarlo oltre ogni misura.. Dopo avere provocato uno scandalo, per punizione Lady Charlotte Rossington viene mandata in campagna a fare compagnia ad una zia zitella. Ciò che suo padre ignora e che è proprio ciò che lei voleva. Odia la società londinese e vuole scrivere un romanzo e la stagione dei balli non glielo permetterebbe.

Mentre si trova lì, incontra il conte di Frossly. È bello come il peccato e uno dei più malvagi lestofanti che lei abbia mai incontrato. Ma è fatalmente attratta da lui e finisce tra le sue braccia più spesso che alla sua scrivania. Rinunciare ai suoi sogni era l'ultima cosa che avrebbe voluto, ma ormai è costretta a fare una scelta tra ciò che vorrebbe fare della sua vita e l'uomo dei suoi sogni.

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