Книга - Dannato Malloppo!

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Dannato Malloppo!
Mario Micolucci


Western all'italiana.

Ho indirizzato lo sforzo creativo nel ricreare le atmosfere, il linguaggio e il “sapore” dei film western italiani degli anni sessanta e settanta. Per realizzare quest'intento, ho raccolto a piene mani sia dai cosiddetti spaghetti western che, in dosi più circostanziate, dai fagioli western -quelli di Bud Spencer e Terence Hill, per intenderci-; ma non solo, essendo personalmente convinto che questo particolare genere sia figlio della commedia, ho attinto anche da lì.







DANNATO MALLOPPO!

Romanzo Western

di Mario Micolucci



Progetto e immagine di copertina di Mario Micolucci


Copyright © 2017 Mario Micolucci

Tutti i diritti riservati.

ISBN: 978-1973816584



Visita il blog: lalunaclessidra.blogspot.com


A mio padre con il quale ho condiviso la passione per questo genere


Pur essendo ambientata in un contesto geo-storico reale, trattasi di un'opera di fantasia. Pertanto, nomi, personaggi, luoghi e avvenimenti sono frutto dell'immaginazione dell'autore. Ogni somiglianza con fatti, luoghi o persone è del tutto casuale. La menzione di personaggi famosi realmente esistiti serve solo a definire lo sfondo storico delle vicende. Infatti, gli stessi non prendono mai parte attiva nello sviluppo della trama.

Qualsiasi riproduzione totale o parziale e qualsiasi diffusione in formato digitale dell'opera, non espressamente autorizzata, è da considerarsi violazione del diritto d'autore.





Indice generale

Little Pit. (#ulink_31cea278-92ef-5074-bf7a-b48f2f252c46)

Riconoscenza. (#ulink_9a1078c7-98dd-50dc-b01a-2faed3bd49f8)

Dalla parte della legge. (#ulink_360e014d-a129-59dc-801d-81313f130e36)

Le buone maniere. (#ulink_c32b1930-4c9c-5459-802a-1e89659ef7e8)

Buoni affari. (#ulink_b88b16b3-e40e-54a7-8fe9-a807cb037c0b)

Un piano folle. (#litres_trial_promo)

Madri bagasce. (#litres_trial_promo)

Un uomo onesto. (#litres_trial_promo)

La pulzella da marito. (#litres_trial_promo)

Alla vecchia maniera. (#litres_trial_promo)

Inferno e paradiso. (#litres_trial_promo)

Come i fagioli. (#litres_trial_promo)

Un diritto sacrosanto. (#litres_trial_promo)

Anime senza un nome. (#litres_trial_promo)

La febbre… dell'argento. (#litres_trial_promo)

Un atto di misericordia. (#litres_trial_promo)

Maledetto caprone! (#litres_trial_promo)

La giusta ricompensa. (#litres_trial_promo)

Un verdetto già scritto. (#litres_trial_promo)

Dannato malloppo! (#litres_trial_promo)

Note dell'autore. (#litres_trial_promo)

Ringraziamenti. (#litres_trial_promo)






Little Pit.

Little Pit era un villaggio misero, lo era da sempre. Misero, polveroso e malandato.

Era nato decadente come un marmocchio che viene alla luce decrepito, e il sole rovente non aveva fatto altro che peggiorare le cose. L'unica ragione della sua sussistenza era quel piccolo pozzo da cui poter attingere qualche secchio d'acqua limacciosa per irrigare gli ortaggi rinsecchiti. Era l'unico nel raggio di diverse miglia, ma ciò non lo rendeva prezioso, se non per i malcapitati che si trovavano ad attraversare quello squallido canyon fatto di clivi brulli e riarsi.

Di certo, se passavano di lì, non lo facevano per diletto, ma per ragioni oscure e che spesso trascendevano la loro volontà. Per farla breve, o fuggivano da qualcosa o erano stati sbattuti in quella landa di crotali e scorpioni a morire di stenti. Pertanto, i visitatori erano sporadici, stremati e moribondi, ma soprattutto senza un penny in tasca: nulla che potesse favorire l’esistenza di una locanda. E Little Pit di locande non ne aveva, o meglio non ne aveva più. In realtà, un giorno, Joe Otthims era tornato con un carico di whiskey e birra sulla cui provenienza era meglio non indagare. Insomma, qualcosa da mettere dietro un bancone: così, aveva allestito uno squallido saloon nella sua stalla. Come era prevedibile, gli anni erano passati, ma i clienti no, e il vecchio Joe, giorno dopo giorno, aveva finito per scolarsi tutto lui, facendo la fine dell'alcolizzato senza nulla da bere. Della locanda, era rimasta solo l'insegna a penzolare per uno solo dei ganci arrugginiti. Dondolava mestamente ad ogni alito di vento e il cigolio sinistro che produceva era, di norma, l'unico rumore a riempire l'inquietante silenzio di quel posto. Un posto fatto di edifici in rovina abitati da individui consunti e lerci, nel corpo, ma soprattutto nell'anima. Il villaggio era un'accozzaglia di evasi, ricercati e donne reiette: mogli ripudiate o baldracche troppo sfiorite persino per i peggiori bordelli, oppure, assai più spesso, entrambe le cose.

A dire il vero, non proprio tutti i viandanti che avevano ottenuto ristoro dal pozzo erano giunti completamente sguarniti; tuttavia, lì, in quel luogo dimenticato dal mondo e anche dalla legge, si era persa l'attitudine a usare la sottile arma del commercio per spillare quattrini, ma non quella di usare le armi da fuoco. Così, il primo che ci si trovava faceva fuori il malcapitato e gli sottraeva gli averi. Poi, qualche dollaro da spendere per ubriacarsi come si deve ci usciva pure. Di fatto, quei pochi clienti che Joe aveva avuto erano stati in prevalenza i suoi stessi paesani.

Un giorno simile a tanti altri, giunse un tizio a cavallo. Fatti salvi gli stivali e il cappello, indossava solo cenci impolverati. Però alla sella, era stato assicurato un fagotto sospetto, e agli abitanti di Little Pit piacevano molto i fagotti sospetti: spesso e volentieri nascondevano piacevoli sorprese. Inoltre, l'uomo era ben armato e sembrava avere una gran fretta di ripartire: tutti ottimi segnali. Dall'atteggiamento, doveva essere un duro, però non ebbe modo di dimostrarlo, poiché, proprio mentre era intento a tirar su il secchio, Hugg Badfinger gli infilò un bel pallettone in testa. La finestrella della latrina aveva una splendida visuale sul pozzo, tanto valeva usarla per puntare il fucile senza essere visti. Badfinger non cagava mai senza Jagy: era così che chiamava il suo fucile Jacob Hawken. Nulla di strano: d'altra parte, c'erano imbrattacarte che, pare, non lo facessero senza un libro a portata di mano. Purtroppo, Hugg non sapeva leggere; in compenso, sapeva sparare.

Il colpo attirò l'attenzione degli altri, ma la preda era sua e non aveva intenzione di dividere il bottino con nessuno. Così, mandò il suo moccioso a ripulire l'ospite, mentre lui si assicurava che a qualcuno non venisse la malaugurata idea di avvicinarsi troppo. In effetti, nessuno lo fece: tutti a Little Pit sapevano che il dito indice della mano sinistra di Hugg non si faceva problemi a premere il grilletto. Non se ne era fatti neanche quando, per futili motivi, aveva sparato all'altro suo figlio e alla moglie che cercava di difenderlo. Pace all'anima loro.

Non vi erano dubbi: di tutta la feccia di Little Pit, quell'individuo era il più marcio e di conseguenza, il più temuto e rispettato.

Sgattaiolando come un furetto, lo sbarbatello provvide a perquisire il cadavere requisendo le cose di valore, poi afferrò le briglie e rientrò nella sua dimora fatiscente portandosi dietro il cavallo. Il tutto, con perizia navigata. Nel frattempo, anche Hugg uscì dalla latrina badando più a tenere il fucile ben puntato che a risalirsi adeguatamente le brache. Con passo misurato e circospetto, imboccò anch'egli l'uscio di casa.

«Allora, marmocchio, cosa abbiamo rimediato?» La mole corpulenta dell'uomo incombeva sul ragazzo che, invece, era di corporatura smilza e minuta: in ciò, era tutto sua madre; tuttavia l'uomo non aveva dubbi sulla sua paternità. Questo, non perché si fosse mai fidato di quella sgualdrinella che aveva malauguratamente sposato: per quanto lo riguardava, solo una bella calibro quarantaquattro nel cinturone era degna di fiducia. Non aveva dubbi, perché i capelli rossicci spessi e arruffati, uniti alla carnagione lentigginosa e ai denti laschi, li accomunavano in maniera inequivocabile.

«Sì, pa'. Ho qui un bel cinturone di cuoio buono: nella fondina, c'è una nuovissima Colt Navy, e poi ho trovato questo fermacarte d'oro con attaccati, più o meno, un centinaio di dollari. In realtà, anche gli stivali e il cappello non erano male, ma nella fretta, non li ho presi. Vuoi che vada a recuperarli?» Il ragazzo rispose evitando di incrociare il suo sguardo. Non guardava mai nessuno negli occhi: usava scrutare il mondo con minuziosa attenzione, ma sempre sottecchi. Era l'unico, in tutto il villaggio, in grado scambiare più di quattro parole con Hugg senza mandarlo su di giri: bastava ciò a certificare la sua fine scaltrezza. Finn era il suo nome di battesimo, ma per tutti era Donnola.

«No, lascia che quei quattro straccioni lì fuori si scannino per le cianfrusaglie: così, almeno, non ci romperanno le scatole per un po'. Sai, figliolo? Se vuoi toglierti di torno un branco di cani, getta un osso e aspetta che si sbranino tra loro.» Ovviamente, l'adolescente era già giunto a quelle considerazioni da sé e, consapevolmente, aveva preferito non ripulire del tutto il generoso ospite; tuttavia era bravissimo a far credere al padre che fosse lui quello che gestiva le cose.

«Meno male: temevo di aver sbagliato anche stavolta. Vediamo cosa c’è nel fagotto, pa'?»

«Calma, ragazzo! Togli la sella al cavallo e portalo nella stalla, prima che ci caghi sul parquet!» Con un ghigno ironico, l’uomo sputò sul pavimento fatto, sì, di legno, ma tagliato in tavole grezze, scheggiate, raffazzonate e lorde.

Il giovane eseguì e condusse l’animale per una porta sul retro che consentiva l’accesso alla rimessa senza dover uscire di casa. Quando tornò, trovò il padre che aveva aperto sul tavolo il panno del fagotto per valutarne il contenuto. I suoi occhi erano lucidi, commossi addirittura.

Tutti dicevano che Badfinger non avesse un cuore: ebbene, si sbagliavano, e di grosso! Ciò che Hugg provava per gli oggetti di valore era qualcosa di struggente e totalizzante.

Si trattava, senza dubbi, della refurtiva rimediata da una diligenza ed era esattamente ciò che l'uomo aveva sospettato; tuttavia, mai, si sarebbe aspettato tanto. Lo aveva intuito già da quelle banconote: erano accuratamente ripiegate in un fermaglio d’oro. Non potevano appartenere a uomini come lui o come il ceffo che aveva fatto fuori. Loro, i soldi, o li spendevano subito o li tenevano accartocciati nelle brache, e poi il cappello, gli stivali erano da damerini e ancora troppo nuovi: stridevano con il resto del vestiario come un bicchiere di latte sul bancone di un saloon.

«Allora, pa’, com’è andata?» Dannatamente bene... eccessivamente bene. Donnola lo sapeva benissimo e, nel suo intimo, era assai preoccupato.

«Quando imparerai a valutare una refurtiva? Non lo vedi da te?» rispose con il fiato spezzato per l’emozione. «E’ chiaro: il tizio e i suoi compari hanno puntato molto in alto. Devono aver ripulito la famiglia di qualche pezzo grosso. Guarda che gioielli: mai visti diamanti così! E questa piccola rivoltella? Ha decorazioni in oro massiccio e finiture in madreperla e avorio: è deliziosa. Un’arma inutile, ma deliziosa: quel genere di gingilli che piacciono tanto ai gentiluomini con la puzza sotto il naso.» Ci sputò sopra e tentò di lustrarla con la manica lurida. «Ha persino la retrocarica: guai a imbrattarsi le nobili manine con la polvere da sparo! Il suo vecchio proprietario deve essersela fatta fare apposta per lui.» continuò, esaminandola.

«Caspita, pa'! Ne avevo sentito parlare, ma non avevo mai visto una pistola che puoi caricare con un unico gesto!»

«Frena gli entusiasmi! La retrocarica è un'invenzione balorda che non troverà mai impiego reale e che mai troverai in commercio. Se vuoi sparare come si deve, devi essere tu ad armare la camera di scoppio. Gingilli come questo lasciamoli a chi le pistole non le usa. Per come la penso io, questa qui non è diversa dalle collanine e dai braccialetti della refurtiva: roba buona per essere scambiata con un bel gruzzoletto, ma di certo, non per infilare del piombo su per le chiappe di qualcuno.» Estrasse la sua pistola a canna lunga: la portava infilata nei pantaloni, stretta tra il ventre prominente e il cinturone. Quindi, la poggiò con vigore accanto all'altra più piccola, come a volerla soverchiare. «Questa è un'arma. Mangia polvere nera come una scrofa e caga piombo a pallottole da quarantaquattro! Il progresso avanza e il mondo diventa sempre più incomprensibile, ma di una cosa sono certo: tra i revolver, nulla spara meglio di una Walker Colt e sarà così anche tra cent'anni. Poco, ma sicuro.»

Il valore complessivo del bottino era assai cospicuo: molto di più di quanto avesse mai posseduto. Pertanto, l'uomo era decisamente di buon umore e, dopo aver dato un pizzicotto nulla affatto delicato sulla guancia del figlio, scoppiò in una sonora risata.

«Finn, prendi la Navy e portamela.» Il tono si fece serio, ponderato.

«Subito, pa'!» "Lo sta facendo veramente?" pensò il ragazzo mentre gliela porgeva con tutta la fondina di cuoio nero e lucido.

Hugg estrasse la rivoltella, la soppesò e se la rigirò in mano. Essendo una calibro trentasei, era una pistola di media potenza, ma in quegli enormi palmi legnosi, appariva quasi un'arma da borsetta.

«Sembra fatta bene. È un po' piccolina, poco più che un giocattolo, ma per un moccioso come te, andrà benissimo» disse, porgendola al figlio. Lo fece con una certa riluttanza: non aveva alcuna intenzione di usarla lui; tuttavia poteva farci qualche bigliettone rivendendola, ma ora che disponeva di quel piccolo tesoro doveva procurarsi qualcuno che gli guardasse le spalle. Non che si fidasse granché del suo marmocchio, però, era la persona verso la quale provava meno diffidenza, e poi era a buon mercato: tutto sommato, lo aveva implicitamente ingaggiato con una comune pistola e qualche munizione.

«Grazie! Ne farò buon uso. D'altra parte, ho avuto un ottimo maestro.» Non che il suo vecchio avesse perso troppo tempo per insegnargli a usarla, ma era da quando aveva memoria che lo osservava, mentre ripuliva l'arma, o mentre la caricava, o soprattutto, quando sparava, e Finn era un eccellente osservatore. Inoltre, suo padre gli aveva permesso di esercitarsi con una vecchia Paterson arrugginita che aveva trafugato dal cadavere di un militare. Aveva un brutto gioco tra la canna e la testa del tamburo, ma, tutto sommato, era pur sempre una pistola e per anni, era stato l'unico giocattolo di cui aveva disposto. Ciò, fino quando aveva definitivamente smesso di funzionare.

«Semmai dovessi trovarmi con le spalle al muro: ricordati di quest'uomo. Promettimi di non essere di memoria corta.»

Se esisteva qualcuno in tutto l'Ovest con una memoria d'acciaio, quello era Finn Badfinger. Ogni cosa, sin nel più infimo particolare, era indelebilmente incisa nella sua mente. No, la sua memoria era tutt'altro che corta e, presto, glielo avrebbe dimostrato...

«Lo prometto, pa'!» Donnola prese la rivoltella, la rimise nella fondina e se l'assicurò al cinturone. Poi, con un gesto repentino, la estrasse fingendo di puntarla, la lanciò in aria, la riafferrò, la fece ruotare su un dito e la rimise a posto con rapidità e destrezza. Il premio per la sua esibizione fu un violento ceffone: il giovane si ritrovò a terra con la guancia gonfia e il labbro tumefatto.

«In quale circo, hai visto queste cretinate? Quando si estrae la pistola, è per sparare e quando si spara, si spara. Punto. Vuoi essere un pistolero o un giocoliere?»

«Scusa, pa'.»

«Ma quali scuse. Semplicemente, fallo un'altra volta e stanne certo che mi riprendo quel giocattolo, te lo infilo tra le chiappe e faccio fuoco.» Non c'erano dubbi che l'avrebbe fatto sul serio.

Hugg tornò a esaminare, o meglio, a rifarsi gli occhi con la refurtiva. Bisbigliando tra sé e sé, si sforzava di fare due conti su quanto avrebbe potuto ricavare, e le somme che farfugliava erano in migliaia di dollari. Lo sguardo gli si guastò quando si trovò a srotolare un grosso foglio: odiava ciò che non comprendeva e non c'era nulla che capisse meno di un documento pieno di scritte. Però, una cosa la sapeva: i potenti riuscivano a fare miracoli esibendo pezzi di carta come quello. Inoltre, vi erano su dei timbri assai familiari, poiché molto simili ai disegni impressi sulle banconote. E se le banconote erano piccoli pezzi di carta dal grande valore, il suo era un pezzo di carta bello grosso e magari...

Nel vederlo, Donnola si preoccupò ulteriormente. Il padre aveva intuito che il ceffo non avesse agito da solo; tuttavia, preso dall'avidità, aveva messo in secondo piano quel particolare rilevante. Se il tizio prima non era solo e dopo sì, significava che, probabilmente, si era intascato il meglio della refurtiva e se l'era data a gambe, ma ciò comportava, anche, che avesse i suoi ex-compari alle calcagna. Si trattava di una banda di fuorilegge capace di assaltare la carrozza di un pezzo grosso. Quel posto non era più sicuro. Quindi, urgeva riportare il discorso sull'argomento dei complici.

Tutto sommato, il suo vecchio era un uomo arguto: se gli si dava un po' di tempo, arrivava sempre a conclusioni sensate. La minaccia, però, era imminente, mentre quel bastardo bramoso che si ritrovava per genitore era totalmente inebriato dalle ricchezze e non sembrava troppo lucido: serviva un aiutino.

«Pa', sai cos'è quel foglio?» esordì.

«No, ma potrebbe fruttare qualcosa.» Come poteva essere altrimenti: se era stato scelto e riposto tra i gioielli più preziosi, ci doveva essere un motivo più che valido.

«Perché, prima, hai detto: "il tizio e i suoi compari"?»

«Smettila di fare domande stupide: hai idea di quante guardie dispongano i ricconi quando si mettono in viaggio? Pensi che quel bellimbusto le abbia fatte fuori da solo?»

«Sì, pa'. Ma ora, gli altri dove saranno?»

«Che vuoi che ne sappia? Per quel che mi riguarda, possono starsene tutti ad ardere nell'inferno...» L'uomo si interruppe di colpo, s'irrigidì e imprecò: «Per tutti i diavoli! Dobbiamo svignarcela da qui!»






Riconoscenza.

Hugg Badfinger e il figlio si affrettarono con i preparativi per lasciare il villaggio. Per non dare troppo nell'occhio, distribuirono il bottino tra le tasche dei gilet e le sacche appese alle selle dei due cavalli: la nuova recluta e il buon vecchio Frik. Quest'ultimo era un ronzino orribile, quasi un mulo sia nell'aspetto che nel portamento, però era affidabile e faceva sempre il suo con assoluta dedizione. Ovviamente, non bisognava pretendere troppo dai suoi modesti mezzi fisici. Inoltre, la sua bruttezza era un ottimo deterrente per i ladri: se si voleva rubare un cavallo, tanto valeva procurarsi una gran bella bestia. Ad ogni modo, nonostante anni di onorato servizio, il suo padrone non ci pensò un secondo a scaricarlo a favore del bel sauro appena rimediato. Frik fu lasciato a Donnola che, comunque, gradì l'offerta.

Di fatto, disponevano di due cavalcature e ciò rendeva decisamente più piccolo il deserto che li circondava; tuttavia mezzogiorno era passato da poco e attraversarlo a quell'ora non sarebbe stato comunque piacevole. Magari, sarebbe stato più agevole attendere un paio d'ore, per poi raggiungere il paese più vicino al calar della notte. Meglio ancora, partire prima dell'alba e arrivare con il sole già alto, ma non ancora davvero rovente. Inoltre, così facendo, avrebbero sfruttato il favore delle tenebre per lasciare il villaggio e non esporsi al tiro di quei pezzenti che avevano per vicini. Certo, non è che si sparassero tra loro a ogni occasione, ma quel curioso fagotto e la loro improvvisa sortita avrebbero potuto stuzzicare le brame di qualcuno, e la strada per assecondarle, spesso e volentieri, passa per una cinquantina di grani di polvere nera, un po’ di piombo e una canna fumante.

Tutte valide considerazioni, ma l’evidenza meno trascurabile era che, assai probabilmente, degli spietati professionisti avrebbero potuto farsi vivi da un momento all’altro e se avessero intuito qualcosa, magari, avrebbero pure organizzato una bella festa in paese. Una festa di spari, fuoco e morte.

L’alternativa alla fuga poteva essere quella di nascondere il cadavere e depistare gli eventuali inseguitori: sarebbe stata, senza ombra di dubbio, la via più comoda e sicura, se non fosse stato per il fatto che generare un tale allarmismo tra i suoi concittadini avrebbe spazzato via ogni loro dubbio sulla cospicua consistenza della refurtiva. In tal caso, le sopracitate brame sarebbero divenute inevitabilmente incontenibili così come il desiderio di soddisfarle...

Badfinger giunse alla conclusione che, come sempre, la via suggerita dal cinismo era quella da seguire. Il suo malloppo valeva troppo, valeva molto più delle misere esistenze di un manipolo di straccioni. La vita di nessuno, a parte la sua, era più preziosa di quel bottino. Se quegli ipotetici fuorilegge avessero fatti fuori tutti quei pezzenti, gli avrebbero persino fatto un favore: si riduceva il numero di potenziali testimoni. Quella roba era sua. Sua e basta! Ne era geloso e non sopportava l’idea di condividere con alcuno neanche il segreto della sua esistenza. Non lo sopportava al punto che sopì a stento pensieri malsani in merito alla sorte del suo stesso figliolo.

A Hugg bastò un’occhiata e Donnola capì subito come agire. Montarono in groppa e schizzarono fuori dalla stalla a spron battuto. Così facendo, non concessero a nessuno il tempo di organizzare le idee e agire di conseguenza.

«Pa’, se sfianchiamo così i cavalli, non ce la faranno mai ad attraversare il deserto!» obiettò il ragazzo, mentre Frik ansimava e sbuffava per tenere il passo del sauro. Il ronzino reggeva il confronto, solo perché l’altra cavalcatura era provata per il viaggio appena affrontato.

«Non stiamo attraversando il deserto, ci stiamo nascondendo. Taci e seguimi, cretino!» I modi irosi e la brutalità potevano farlo apparire come il classico uomo senza cervello, che faceva affidamento sulla sola violenza; ma Finn sapeva benissimo che suo padre non era affatto uno sprovveduto. Anche stavolta, aveva optato per la soluzione migliore.

Spronarono i cavalli fino a sparire dietro un’altura dando, così, l’impressione di inoltrarsi nel profondo del deserto. Una volta lontani da sguardi indiscreti, cambiarono direzione e risalirono un alto colle dal fianco meno impervio. L’altro suo versante, quello visibile dal villaggio, era invece caratterizzato da uno strapiombo tipico dei canyon. Lì, il terreno era calcareo e caratterizzato da innumerevoli grotte e anfratti: il luogo perfetto dove celarsi o celare ed era anche il posto ideale da cui osservare senza essere visti.

Nascosero la refurtiva in una piccola cavità naturale che si curarono di occultare con delle fronde e legarono i cavalli in una caverna, poi strisciarono fino all’argine del burrone per seguire le sorti di Little Pit.

«Partiremo per Agua Dulce prima che albeggi» stabilì Hugg.

«Non capisco pa': visto che è a due passi da lì, perché non andiamo direttamente a El Paso? E’ una città, e un paio di gringo in più non si notano. Ad Agua Dulce sono quattro gatti e ci metteranno subito gli occhi addosso. Sei stato tu a insegnarmelo!»

«Non credere che, adesso che hai una pistola, possa permetterti di darmi dei consigli! Se sono stato io a insegnarti quelle cose, vuol dire che so qualcosa più di te. Molte delle persone dirette a El Paso fanno una sosta a Agua Dulce per rinfrescarsi e per abbeverare i cavalli. Quindi, pulcioso insolente, passeremo piuttosto inosservati anche lì. Inoltre, come hai appena detto, non sono che quattro gatti e ciò significa che riduco il rischio di imbattermi in un fottuto cacciatore di taglie che conosca la mia faccia. Sai? Quella bagascia di tua madre e l’altro imbecille di tuo fratello non sono le uniche persone che si sappia abbia ammazzato.»

«Perdonami, ho ancora molto da imparare.» Negli occhi di Donnola divampò una fiamma fugace. Però, il suo sguardo era basso, come sempre d’altra parte; così l’uomo non ebbe modo di notarlo.

Calò la notte e con essa, il gelo. Quel dannato deserto era sempre così: ti arrostiva di giorno per poi assiderarti dopo il tramonto; tuttavia i due abitavano lì da anni e non viaggiavano mai senza portarsi dietro una coperta. Anche Finn ne aveva una tutta sua: certo, era mezza tarlata e ospitava più di qualche pidocchio, ma era calda e ciò era sufficiente.

Non attesero molto. Nella piana sottostante si palesò, alla luce della luna, un gruppo di otto individui. Fermarono i cavalli a una certa distanza dal paese e mandarono in avanscoperta uno di loro. L'uomo, liberatosi della giacca, si rotolò nella polvere e procedette a piedi. A quanto pareva, dovevano essere a conoscenza della curiosa accoglienza che Little Pit era usa praticare con gli ospiti che recavano con sé doni appetitosi. Il tizio, così conciato, appariva come un malcapitato di nessun interesse e ciò gli avrebbe consentito di attingere indisturbato acqua dal pozzo e indizi dai suoi stessi occhi.

Giunse in paese e subito fu approcciato da Studd Mash, detto Saloon. L'uomo aveva una gamba più corta: ebbero modo di riconoscerlo da quella distanza e alla penombra, proprio, grazie alla caratteristica postura inclinata da un lato e all'andatura sbilenca che lo facevano assomigliare all'insegna penzolante della vecchia locanda di Joe su cui, appunto, pareva ci fosse scritto "Saloon". Videro lo storpio avvicinarsi all'ospite, perquisirlo per poi andarsene scuotendo le braccia in segno di frustrazione. Nell'allontanarsi, gli cadde il copricapo a terra e lo raccolse.

«Pa', quel fesso porta il cappello del nostro generoso finanziatore!»

«Per l'alito di Giuda, figliolo! Come fai a vederlo!»

«Non l'ho visto, l'ho intuito. Il suo non sarebbe mai caduto a terra perché ha un nastrino che glielo assicura al mento. Ce l'ha messo per non stare sempre a raccoglierlo. Quel poveraccio, non riesce proprio a stare con la testa dritta.»

«Penso che tu abbia ragione: solo Studd è così idiota da fare sfoggio di un oggetto appena rubato con il primo sconosciuto che gli capiti a tiro. Be', a questo punto, penso che la festa sia inevitabile.»

L'esploratore in incognito si sedette a terra con la schiena contro una parete di legno fingendo di riposarsi. Passato un po' di tempo, si alzò guardingo e sparì dietro il granaio. Un istante dopo, divampò un incendio: doveva aver nascosto l'olio infiammabile nell'otre. Quello era anche il segnale. Mentre gli abitanti del villaggio si riversavano sullo spiazzo per cercare di domare le fiamme, il gruppo di fuorilegge si lanciò al galoppo. Giunsero cogliendoli di sorpresa e, come un'onda di morte, spararono all'impazzata facendo strage di tutti coloro che ebbero l'impudenza di estrarre l'arma. Bastarono pochi concitati attimi e già i pochi abitanti di Little Pit, quelli superstiti, erano stati disarmati e allineati per essere interrogati. Degli assalitori, solo uno sembrava averci rimesso le penne.

Nel frattempo, alcuni di quei professionisti si prodigarono a ripulire le sparute abitazioni per evitare di essere cecchinati alle spalle. Il rischio era reale. Infatti, prima che potessero abbatterlo, qualcuno aveva sparato un paio colpi di fucile dalla casa di Sean. Il primo dei due era andato a segno facendo fuori un altro aggressore.

«Ora, ne rimangono sei» constatò Hugg.

«Ti sbagli! Non hai contato me.»

Clack

L'inconfondibile rumore del cane che veniva armato gli mandò di traverso le parole che aveva in bocca e gli fece contorcere le budella.

Padre e figlio alzarono le mani e si voltarono lentamente. Un uomo magro e dallo sguardo malizioso li teneva sotto tiro. Con quei baffetti appena accennati e quel sorriso strafottente, era un'autentica faccia da schiaffi; tuttavia stava dal lato giusto della pistola, quindi, aveva ragione lui. Pertanto, Hugg, quella faccia lì, doveva farsela piacere per forza: così, si limitò a fare una smorfia e sputare a terra.

«Ero salito su questo colle per avere una buona visuale sullo scenario. Sapete? Non ci piace avere brutte sorprese. E guarda che ci trovo appollaiati sulla cima: due brutti avvoltoi pronti a far festa con i cadaveri.» L'uomo si passò la lingua sulle labbra. «Forza! Che fate lì impalati! Slacciatevi i cinturoni e lanciateli sotto i miei piedi. Provate a fare scherzi e vi ritroverete una pallottola tra gli occhi!»

C'era poco da fare, dovettero ubbidire.

«Bene! Ora bestione, dai un calcio a quella vecchia carabina e mandala di sotto.»

Non era una carabina, era un fucile, e di quelli buoni! Hugg esitò per un attimo, cercò istintivamente conforto nello sguardo del figlio, ma non lo intercettò, poiché il ragazzo si guardava i piedi. Era come se gli avessero chiesto di calarsi le brache: senza il suo Jagy si sentiva nudo come un verme. L'indice del suo aguzzino cominciò a fare pressione sul grilletto e anche stavolta, dovette eseguire l'ordine. Mandò l'arma, la sua amata arma, a fracassarsi sulle rocce sottostanti. Se fosse sopravvissuto a quel fatto, avrebbe, come prima cosa, dovuto procurarsi un fucile o, perlomeno, una buona carabina.

«Forza, ragazzi! Sbrigatevi a raggiungere gli altri al villaggio: non vorrete perdervi la festa!» Badfinger si rese conto di odiare la voce di quel ceffo più della sua faccia.

«Non è che, per caso, nel corso della giornata, vi siete imbattuti in un pistolero a cavallo? Sapete? Abbiamo attraversato il deserto per trovarlo? Ci teniamo tanto a lui...» indagò l’aguzzino nel discendere l’acclive. Camminava dietro di loro tenendoli sotto tiro.

In quei casi, la cosa migliore da fare era stare zitti e infatti, i due tacquero.

«Ho capito: non volete cantare, d'altra parte, non mi risulta che gli avvoltoi lo facciano. Certo, è davvero triste dover partecipare a una festa senza poter stornellare. Ma non disperate: una volta là sotto, vi presenterò Lane, e vi assicuro che saprà farvi cantare come fringuelli.»

Eh sì, parlava decisamente troppo. Ad ogni modo, Hugg sentì il sangue gelarsi nelle vene alla prospettiva di andare incontro a delle torture.

Quella giornata era iniziata nel migliore dei mondi, ma si avviava a concludersi nella maniera peggiore.

Bang!

«Voi due! Giratevi lentamente.» Decisamente, la voce non era quella di prima.

Il loro precedente aguzzino fissava la volta celeste da un ripiano roccioso diversi piedi giù dal sentiero. Lo faceva con gli occhi sbarrati e un buco in fronte. Un uomo dallo sguardo di ghiaccio e con abiti da viaggio relativamente curati li scrutava da dietro una Colt. Aveva un’altra rivoltella sul lato sinistro del cinturone lungo il quale si notava una batteria di tamburi già carichi. Il tizio aveva l'aria di uno sbirro.

«Sono Cardigan Smith e sono un Texas Ranger. Mi dite cosa ci facevate in compagnia di quel criminale?» Era proprio uno sbirro e di quelli pericolosi. Non si trattava del solito pallone gonfiato con i gradi: era un ranger, quindi, un abile pistolero o un ex cacciatore di taglie che aveva deciso di lavorare per lo Stato. Il braccio operativo della legge.

«Grazie di averci salvati, Signor Tenente. Noi non siamo che povera gente, contadini in questa terra maledetta» esordì Hugg.

«Non sono un tenente... magari. Comunque, continua.»

«Sì, Signore. Abitiamo qui vicino, a Little Pit. Lì su, ho sepolto la mia amata moglie e l'altro mio figlio quando morirono di vaiolo.» Hugg indicò un'altura vicina dove sapeva che effettivamente ci fossero due tumuli senza iscrizione. I corpi della sua coniuge e la sua prole, invece, li aveva lasciati a marcire nella vecchia dimora in Louisiana: commesso il delitto, era fuggito per darsi alla macchia. Strozzò un singhiozzo, finse di pulirsi una lacrima e continuò: «Oggi sarebbe stato l'anniversario del nostro matrimonio, sedici anni. Così, io e il mio figliolo siamo andati lì per stare tutti insieme... in famiglia. Al calar della notte, ci siamo riavviati verso casa, ma abbiamo visto del fumo levarsi dal nostro villaggio. Temendo il peggio, abbiamo risalito questo monte per accertarci di cosa fosse accaduto. Purtroppo, quell'uomo ci ha teso un agguato. Voleva sapere da noi notizie su di un pistolero: proprio non ho capito cosa intendesse. Noi non sapevamo cosa rispondergli, allora ha detto che ci avrebbe portato da un certo Lane che ci avrebbe fatto cantare.» Una mezza verità era sempre meglio di una bugia.

«Lane, Lane Sadlann, suppongo. Allora, finalmente, ci siamo!» disse tra sé.

«Come? Non ho capito?» cercò di speculare Hugg.

«No, nulla che vi riguardi. Grazie, mi hai risparmiato di dover recuperare il cadavere di quel fuorilegge lì sotto: ho già appurato ciò che mi serviva. La vostra faccia, non mi sembra che sia tra i ricercati, almeno tra quelli che ricordo. Comunque, non mi fido ancora di voi: quindi, dovrete venire con me all'accampamento della mia squadra. Se siete ciò che dite di essere, non avete nulla da temere. Dove avete messo i cavalli?»

«Ma Signore, noi non possediamo cavalli! Magari averne uno: potremmo attraversare questo dannato deserto in poche ore.»

«Lo immaginavo. Maledizione, a piedi impiegheremmo troppo a raggiungere gli altri a Cactus Cross!» L'uomo temeva che potessero essere in combutta con la banda di fuorilegge a cui dava la caccia e quindi, onde evitare che facessero scherzi, avrebbe preferito portarli con sé. Tutte le evidenze facevano pensare che non fosse così, ma in certi casi, la prudenza non è mai troppa. D'altro canto, intendeva raggiungere al più presto la sua compagnia d'armi per ottenere i rinforzi necessari. Se fosse stato il cacciatore di taglie di una volta, nel dubbio, li avrebbe fatti fuori per avere campo libero; tuttavia era ormai un uomo di legge e aveva messo da parte un gran parte del suo cinismo.

«Ragazzo, lega tuo padre a quell'albero» ordinò lanciandogli una corda. Quando vide il giovane esitare aggiunse: «Non preoccupatevi, è solo una precauzione: devo prima sbrigare una faccenda, poi verrò a liberarvi. Guardate, vi presto anche la mia coperta per ripararvi dal freddo.»

Mestamente, Donnola eseguì.

«Ora devo legare anche te. Mi raccomando, non fare idiozie e non provare a dartela a gambe.»

«Non scapperò! Voglio restare col mio pa'!» piagnucolò emulando la voce di quel cetrullo di Denner, l'altro ragazzo di Little Pit.

Lo sbirro rinfoderò la pistola e lo prese per un braccio con l'intento di legarlo. All'improvviso, Donnola gli piantò un tacco sul piede e fece per fuggire; tuttavia la presa dell'uomo era salda. L'unica cosa che ottenne fu strappargli un'imprecazione, oltre che, naturalmente, distrarlo per quell'attimo necessario al padre per fracassargli il cranio con una pietra. Il ragazzo era abilissimo con i legacci, e il falso nodo era la sua specialità.

«L'hai ucciso, pa'?»

«Ti sembra vivo?» Per l'impatto, il bulbo oculare del malcapitato era fuoriuscito dall’orbita.

«Potevi tramortirlo. In fondo, ci ha salvato la vita.»

«Certo, e siccome tu gliene sei così riconoscente, andrai ad avvertire i suoi compari al posto suo. Da queste parti, non mi conoscono in molti, ma ciò non significa che non mi conosca nessuno.» Qualora i ranger avessero fatto fuori quei fuorilegge, avrebbe definitivamente scongiurato il rischio che qualcuno lo potesse braccare per la refurtiva.






Dalla parte della legge.

Dannazione! Il suo vecchio poteva andarci un po' più piano!

Prima di mandarlo ad approcciare i ranger, per rendere la scena struggente e credibile, il padre aveva praticamente pestato il povero Finn. Probabilmente, non voleva ridurlo così male, ma l'appetito vien mangiando, e quel deviato ci aveva preso gusto a picchiarlo.

L'idea di base era, comunque, condivisibile: molti sbirri erano corrotti e opportunisti; tuttavia non erano rari quelli che ringalluzzivano quando si trattava di correre in aiuto di un povero ragazzino inerme e massacrato dai fuorilegge. In pratica, si trattava di cretini che volevano sentirsi eroi. Donnola stentava a capacitarsi che esistessero adulti così ingenui: non si stupiva dell'ingenuità, ma del fatto che fossero sopravvissuti tanti anni nonostante quella.

Giunse trafelato e ansimante all'accampamento di Cactus Cross, non dovette recitare per quello: era realmente messo male. Alzò una mano, implorò aiuto e cadde con la faccia nella polvere: lì, ci mise un po' di suo.

Erano otto uomini. Subito, uno di loro accorse a sollevarlo e gli versò dell'acqua in bocca per rianimarlo.

«Figliolo! Cosa ti è successo?» Il tizio era massiccio e dall'aspetto rude, ma si vedeva che si sforzava di essere tenero con lui. "Bingo! Ecco il primo aspirante eroe."

Aprì gli occhi lentamente e finse di non riuscire a mettere bene a fuoco la scena, poi diede un paio di colpi di tosse e iniziò a piagnucolare frasi convulse e incomprensibili.

«Dai, ragazzo! Manda giù un altro sorso e parla lentamente. Vuoi o non vuoi che ti aiutiamo?»

«Uccideranno tutti! Mamma! Papà!» delirò.

«Chi ucciderà tutti? E dove?»

«Hanno incendiato il granaio! Pistoleri a cavallo. Sparavano, ammazzavano! Ci hanno messo tutti in fila davanti al muro della vecchia locanda di Joe. Io piangevo e mi hanno picchiato!» Doveva fingere di riaversi dallo shock lentamente fornendo informazioni sempre più sensate.

«Maledizione, figliolo! Sii più chiaro! Qui, sei al sicuro: noi rappresentiamo la legge. Innanzitutto, da dove vieni?»

«Da Little Pit, Signore!» Si ricompose e tirò su aria dal naso. «Ero a terra dolorante. Dalla sua soffitta, Sean ha provato a sparare a quei farabutti e io ne ho approfittato per nascondermi nel vespaio della locanda, poi ho strisciato fino all'altro lato e sono fuggito nel deserto.»

«Così, va meglio! Cerca di darmi più informazioni: è importante! Qualsiasi particolare riuscirai a fornirci ci sarà di grande utilità. Per cominciare: li hai sentiti fare qualche nome?»

«Lane, così lo chiamavano. Era il più cattivo, ha pestato tante persone. È stato lui a ridurmi così.»

«Lane dici? Bravissimo, ragazzo!» Fu premiato da una carezza amorevole sulla testa che gli diede il voltastomaco. «Ehi! Avete sentito? Forse, il moccioso si riferisce a quel macellaio di Sadlann. A quanto pare, i sospetti di Cardigan erano fondati. Muoviamoci!»

«Allora, perché non è venuto ad avvisarci?» obiettò un tizio biondo che sonnecchiava nei pressi del bivacco usando la sella come cuscino. Aveva tutta l'aria di non volersi scomodare.

«Potrebbero averlo fatto fuori o, peggio ancora, potrebbero averlo fatto prigioniero per estorcergli informazioni! Ammettilo che te la stai facendo sotto!» lo incalzò l'altro.

«Ehi, modera le parole! Non ti spacco la faccia, solo perché per farlo, mi dovrei alzare, e io ho tutta l'intenzione di farmi un altro paio di ore di sonno. Inoltre, cribbio! Ieri ci siamo fracassati le natiche a seguire la pista e ora pretendi che mi rimetta in groppa prima ancora dell'alba. Va bene essere ligi, ma per quella miseria che ci dà il Governatore, non sono disposto a tanto!»

«Forza e coraggio, Rick alza le chiappe! Non c'è tempo da perdere!» insisté.

«Tu non sei nessuno per darmi ordini! Non rompere!» L’uomo si girò dall’altra parte come a voler riprendere sonno.

«Suvvia! Ci molli proprio ora che abbiamo l'occasione di acciuffare quei banditi!»

«O quella di farci impallinare da loro!»

«Ha ragione Gregory, non è il momento di starsene con le mani in mano.» L'atteggiamento del nuovo intervenuto era quello di chi, là, comandava.

«Signor sì, Capitano! Ma visto che l'esito dell'incursione non è poi così scontato, la prassi non prevederebbe che uno di noi faccia rapporto al comando più vicino? A titolo precauzionale, intendo. Magari potrei approfittarne anche per scortare questo povero ragazzino all'infermeria di El Paso: dobbiamo o no, tutelare l'incolumità dei cittadini?» mediò il Biondo.

«Non devi essere tu a dirmi ciò che prevede la procedura e, soprattutto, non spetta a te stabilire chi debba andare a fare rapporto! Il tuo menefreghismo rasenta la diserzione. A ogni modo, se ci tieni tanto, ti voglio accontentare, cagasotto! Fai come hai detto, ma sappi che questa storia ti costerà tre settimane di stipendio e, ovviamente, l’annullamento dei tuoi diritti sul premio per la cattura di quei criminali.» Il capitano scribacchiò due righe su un foglietto, lo accartocciò e glielo tirò addosso. «Agente Richard Keen, qui ci sono le sanzioni che ti ho comminato!»

«Non ti sembra di esagerare James? Addirittura tre settimane! D’accordo, mi hai convinto: ora mi alzo e vengo con voi.» Si mise a sedere.

«Non James, Capitano Bluemann per te! E poi, mi spiace, ma è troppo tardi per cambiare idea. Il mio è un ordine, non una proposta. Sarai tu a fare rapporto e ti giuro: prova solo a non consegnare il foglio delle sanzioni, che quando torno, ti metto su un verbale tale da mandarti dritto alla forca! Ne ho abbastanza di te, buono a nulla!» L’uomo era paonazzo.

«Fate presto voi capi: buttate giù due righe e un povero ranger perde diverse decine di dollari di salario. E questo, dopo giorni di duro lavoro!» si lamentò Rick.

«Smettila di piagnucolare, e ricordati ciò che ti ho detto! Uomini, armatevi di coraggio e salite groppa! La legge chiama!» Il capitano montò sul cavallo, batté sugli speroni e si avventurò nel deserto seguito dagli altri.

«Idioti!» blaterò il Biondo passandosi una mano sulla faccia. Si alzò assai lentamente, il suo fisico era prestante. Sbadigliò, si stiracchiò per bene e, con un balzo improvviso, fu su Donnola.

«Allora moccioso, sputa il rospo!» lo minacciò tenendolo per i capelli cisposi come le piante di quelle squallide lande.

«Ma signore, non so a cosa ti riferisca!» Finn rese la voce tremante.

«Senti piccoletto! Potrai darla a bere quel pallone gonfiato di James o all’altro babbeo di Greg, ma non a me! Primo: così conciato non ce l’avresti mai fatta ad arrivare sin qui. Secondo: figuriamoci se dei fuorilegge navigati possano farsi sfuggire un marmocchio sotto il naso. E terzo: conosco come lavora Lane Sadlaan. È un raffinato, un perfezionista, direi quasi un artista del dolore. Le sue vittime non vengono semplicemente pestate, ma mutilate con grande perizia.»

“Hai capito lo sbirro?” constatò Finn. Il tizio non era il superficiale che voleva apparire, sembrava un avversario alla sua altezza: in termini di malizia, s'intende. Se voleva spuntarla su di lui, doveva rimanere in silenzio il più possibile onde capire quali fossero i suoi pensieri e agire di conseguenza.

«Ora taci, eh? A quanto pare, ho colto nel segno! Va bene, vorrà dire che ti darò un aiutino: vediamo quanto la mia congettura si avvicina alla realtà. Probabilmente, sei spaventato e penso di sapere perché; tuttavia se le cose sarò stato io a dirle, non sarai stato tu a spifferarle e avrai mantenuto la parola!» Era furbo, ma lo stava sottovalutando. Pertanto, stava commettendo l’errore di parlare troppo. Quando si gioca a poker, bisogna badare a che l’avversario non scorga la tua mano: questo, l’uomo lo sapeva benissimo, ma non si era reso conto che l’avversario fosse proprio quel moccioso che teneva per i capelli. In quelle terre di sciacalli, il fisico emaciato e il fare timido avrebbero potuto essere limiti non trascurabili; tuttavia il ragazzo aveva imparato a sfruttarli a suo vantaggio per apparire innocuo.

«Iniziamo. Lane e i suoi sono giunti al tuo villaggio e lo hanno messo a ferro e fuoco: su questo non ho dubbi. Ora, mi resta oscuro il perché di tutto ciò! Non è che tu mi puoi aiutare? Avete fatto qualcosa per provocarli?»

A questo punto, doveva fornire una mezza verità, altrimenti avrebbe cominciato a dubitare di lui.

«Prima di loro era giunto un uomo solo. Aveva un bel cappello e dei bei stivali. Inoltre, appena attinto dal pozzo, aveva guardato l’ora da un orologio da taschino che sembrava d’oro. Studd ha pensato che potesse avere con sé altri oggetti di valore, così gli ha sparato per prendere la sua roba. In effetti, gli hanno trovato addosso alcuni preziosi, quindi è scoppiata una ressa per accaparrarseli. Sul più bello, però, sono arrivati i suoi compari: erano in nove e hanno fatto tutto quello che ho detto prima.»

«Ecco, adesso il racconto mi sembra più coerente! A Little Pit, avrebbero potuto attenderli degli sbirri, così hanno mandato uno di loro a controllare, forse il volto meno noto. Evidentemente, il tizio non sapeva che non è mai opportuno mostrare a un branco di cani affamati una bistecca succulenta. Bene, visto che hai cominciato a collaborare, ti do un altro aiutino. Secondo me, sei stato mandato qui dalla banda di Sadlann. Ti hanno imposto di metter su questa messa in scena per far scattare una trappola e, onde evitare che facessi scherzi, tengono in ostaggio i tuoi famigliari. Dico bene?» Era chiaro che, dagli indizi a sua disposizione, il Biondo era stato abile nel trarre la conclusione più plausibile. Un ragazzino malridotto era l’esca perfetta: d’altra parte, per altri scopi, anche suo padre aveva pensato la stessa cosa. Fortunatamente, non vi erano evidenze che potevano far dedurre all’uomo che uno dei criminali fosse fuggito intascandosi tutto il bottino. Inoltre, ciò che era realmente accaduto dopo aveva seguito risvolti casuali e impossibili da immaginare.

Il silenzio di Finn fu preso per un’esitazione nel dare una risposta affermativa. Se la risposta fosse stata negativa, il no sarebbe stato immediato. Voleva dare l’impressione di voler parlare, ma di aver paura di farlo. Ci riuscì benissimo.

«Ecco vedi. L’ho detto io. Tu non hai spifferato nulla.» La presa sui capelli divenne un'arruffata. «Allora, continuiamo con questo gioco. Se tu sei qui, vuol dire che qualcuno ha detto loro dove stavamo: hai visto qualche prigioniero?»

Tacere era il modo migliore per farlo giocare a carte scoperte e fu esattamente quello che Donnola continuò a fare.

«Benissimo!» Anche se non ricevette risposta, era evidente che si fosse convinto del fatto che avessero catturato Cardigan e lo avessero fatto cantare. «Ora, ascoltami bene, ragazzo. Potrei fare ancora in tempo a raggiungere i miei compagni, metterli in guardia e far saltare l’agguato.»

«No! Ti prego, se qualcosa andasse storto ucciderebbero papà, mamma ed Emily!» Ecco, la ciliegina sulla torta.

Lo sbirro continuò: «Oppure! Potrei lasciare i miei colleghi al loro infausto destino: in minoranza numerica e colti di sorpresa, non penso che riporteranno a casa la pelle.» Assai cinicamente, il tipo aveva scommesso a mani basse sui fuorilegge. La realtà, però, era diversa da quella che si era figurata. Innanzitutto, non erano in minoranza numerica, poiché i banditi avevano subito la perdita di due uomini oltre a quello di cui anche il Biondo era a conoscenza. Inoltre, il fattore sorpresa l’avrebbero avuto i ranger, visto che quella, in realtà, non era affatto una trappola.

«Farò qualsiasi cosa, ma non voglio che i miei cari muoiano! Non siamo che poveri contadini.» Finn mostrò uno sguardo implorante.

«Allora, vai a dire all'omone, che cerca di nascondersi laggiù, che quella roccia è troppo piccola per lui… e poi, digli che ho capito tutto, ma che sono disposto a non interferire con i loro piani. In cambio, mi faccio bastare tremila dollari o qualcosa di equivalente. Stando alle mie stime, la cifra dovrebbe corrispondere a metà della sua parte della refurtiva. Se il tizio che hanno ucciso a Little Pit aveva con sé qualche prezioso, ritengo che abbiano già spartito il bottino. Quindi, che non mi mandi a dire di non avere niente con sé. Ah! Digli anche che se non ci accordiamo sull'affare, saranno le armi a farlo per noi.» Quel corrotto, oltre a essere scaltro, aveva una vista d'aquila. Hugg si era appostato a quasi mille iarde dall'accampamento. Si trattava di una distanza ragguardevole: diversi fucili superavano quella gittata, ma pochi lo facevano con sufficiente precisione e ancora meno erano le persone in grado di farglielo fare. Visto che il suo Jacob Hawken era andato, tanto valeva tenersi fuori tiro.

«Tre... tremila dollari?» L'ingenuo miserabile che voleva apparire doveva considerare inconcepibile una cifra del genere.

«Riferisci quello che ti ho detto. Tremila dollari per chiudere un occhio; anzi, tremila dollari più te. Non credo che quei fessi dei miei colleghi sopravviveranno, ma devo tutelarmi rispetto a ogni eventualità. Quindi, devo fare rapporto, consegnare questa cartastraccia al comando e portarti in infermeria. Ovviamente, marmocchio, prova solo a fare menzione a qualcuno di quanto è accaduto e non solo ammazzo te, ma vado a Little Pit e, se non sono già crepati, faccio fuori anche i tuoi. Non sarà difficile individuarli: so come si chiama tua sorella. Emily, giusto? E poi, pensaci bene: crederanno a un moccioso figlio di un qualche rifiuto della società o ad un integerrimo uomo di legge?»

«No, no, Signore, non ne parlerò con nessuno! Ma a dire il vero, vorrei tornare al mio villaggio.» Lui e suo padre avevano affari ben più importanti da sbrigare e non poteva andarsene a spasso con quello sbirro.

«Senti, per me è importante che ti scorti fino all'infermeria di El Paso, faremo subito. Poi, puoi anche dartela a gambe. Anzi, se sparisci, per quel che mi riguarda, è pure meglio.» Lo spinse senza garbo nella direzione di Hugg e lo spronò: «Muoviti! Prima, sbrighiamo questa faccenda e prima potrai tornartene al tuo mondezzaio.»

“Il modo migliore per fare affari facili facili è godere di una posizione privilegiata nel bel mezzo della ressa”. Questa frase l'aveva sentita dire dal vecchio Kent, il sedicente straordinario professionista del crimine: forse, lo era stato, ma se era finito a mangiare polvere a Little Pit, tanto straordinario non lo era. A ogni modo, la massima calzava a perfezione con la rivelazione che Finn aveva appena avuto: stare dalla parte della legge ti imponeva di mettere le mani in loschi giri di denaro, ma nel contempo ti consentiva di attingerne un po'. Ovviamente, operando con la dovuta cautela. Altro che stare in quel letamaio del suo villaggio ad aspettare che passasse qualche sprovveduto con una miseria in tasca. Il Biondo, tenendo gli occhi bene aperti e chiudendone uno al momento opportuno, si stava per guadagnare la bellezza di tremila verdoni e chissà quante altre volte l'aveva già fatto.

Dalla parte della legge, era quello il posto giusto per far fruttare la sua furbizia. Pensò che, probabilmente, potesse essere quella la sua strada. D'altra parte, è cosa buona e giusta che un giovane coltivi sani propositi per il futuro…

Comunque, in quel momento, le incombenze del presente erano ben più rilevanti: aveva raggiunto suo padre e doveva convincerlo a privarsi di quella somma... senza farsi spaccare la faccia. Più di quanto avesse già fatto, s'intende.

«Pa', quel tizio lì ha occhi d'aquila. Ti ha visto e si è insospettito!» Meglio, dare a lui la colpa dell'accaduto.

Anni di lavoro come trapper, portarono l'uomo a cercare istintivamente il riparo della roccia con maggiore minuzia. Poi si riebbe e prese Finn per la collottola. «Per tutti i diavoli! Di cosa si è insospettito, esattamente!» ringhiò a un pollice dalla sua faccia.

«Ha pensato che tu fossi uno di quei fuorilegge a cui danno la caccia, e che mi abbia portato qui per far scattare una trappola ai ranger.»

«Allora, perché non l'ha detto ai suoi compagni?»

«Proprio questo è il punto, pa'. È che pare intenzionato a non avvertirli, purché gli sia corrisposta qualcosina in cambio.» La voce di Donnola andò abbassandosi progressivamente e le ultime parole non furono che un bisbiglio appena accennato.

Ahahah!

Hugg sbottò in una sonora risata. «Che corra pure ad avvertirli! Cosa vuoi che me ne importi.»

«Sì, ma è un tipo scaltro e se lo lascerai fare, si insospettirà. Poi c'è un altro particolare; tuttavia credo che per un tipo in gamba come te, non sia un problema: ha detto che in caso di un tuo rifiuto, non ci penserà due volte ad affrontarti. Certo, noi abbiamo solo le pistole, mentre lui oltre a quelle, ha anche un nuovissimo fucile Sharps. Sai, pa'? dicono che abbia una discreta gittata e che si ricarichi in un lampo. Comunque, tu sei il migliore e saprai come farlo fuori, anche se dovesse girarci intorno da lontano con il cavallo. Dico bene?» Finse di aggrapparsi a lui, come a voler cercare protezione.

Un rivolo di sudore rigò la fronte dell'uomo. «Certo, figliolo, la spunterei a mani basse... ma il problema è che se dovessi solo ferirlo, fuggirebbe e poi ci ritroveremmo un esercito di sbirri alle calcagna. Forse, è meglio assecondarlo. Quanto vuole esattamente?»

Ecco, la parte più difficile. Finn indicò un tre con le dita.

«Figlio di un cane! Vuole ben trecento dollari solo per chiudere un occhio!»

«No, pa'! Non ne vuole trecento...»

«Ah! Allora, stiamo qui ancora perdere tempo a discutere! Tieni, porta i trenta dollari che ha chiesto a quel miserabile e chiudiamo la questione.»

«No, è che ne vuole tremila...»

Ecco, lo aveva fatto di nuovo. Gli aveva spaccato la faccia un'altra volta. Donnola si ritrovò a terra a sputare sangue e polvere.

«Maledetti sbirri! Si ingozzano con le nostre tasse e poi, invece di aiutare gli onesti cittadini, si corrompono e vogliono tremila dollari per chiudere un occhio!» A Finn non risultava che il padre avesse, mai, pagato un cent di tasse. Anche sugli onesti cittadini, c'era più di qualcosa da ridire. Comunque, preferì non fargli notare quei particolari: questo, perché ci teneva alla pelle.

Hugg respirò a grandi boccate nel vano tentativo di placare l'ira e alla fine, sbottò: «Io mi rompo la schiena per procurarmi un bel malloppo, poi arriva quello lì e pretende tremila, dico tremila verdoni! Ma io lo ammazzo! Che vuoi che sia: mi basterà raggiungere quel costone e poi gli sbuco a portata di rivoltella: tanto quel fucile giocatolo neanche ci arriva a sparare fin qui!»

Si fece coraggio, estrasse la pistola, ma come si sporse dal riparo, un proiettile gli fischiò non troppo distante dall'orecchio. Forse, con il prossimo colpo, avrebbe aggiustato il tiro e l'avrebbe colpito. Hugg tornò subito ad acquattarsi dietro la roccia.

«Corna di mille bisonti! Uno stupido fucile a retrocarica non può sparare bene quasi quanto il mio Jagy! Se solo lo avessi ancora...» Sembrava più scosso per l'affronto alle sue convinzioni che per aver rischiato la pelle così alla leggera. Sbuffò e prese a frugarsi nelle tasche blaterando maledizioni irriferibili.

«Finn! Finn, smettila di rotolarti nella polvere come una gatta in calore e vieni qua!» Altro che gatta in calore, gli girava la testa per la percossa ricevuta e rialzarsi prontamente non fu affatto facile; tuttavia dovette farlo per non ricevere anche un calcione d'incoraggiamento.

«Tieni, portargli questi. Dovrebbero valere più o meno tremila dollari. E spera che non abbia capito che non ho un fucile, altrimenti vorrà tutto, compresa la nostra vita! Che il diavolo se lo porti!» Quello spilorcio del padre non condivideva nulla. Mai. Tuttavia, quando si trattava di rimetterci la pelle, ci metteva in mezzo anche lui. Sempre. «Sbrigati a tornare, che ce la svigniamo!» aggiunse.

«Ehm, pa'. C'è un altra cosa...»

Badfinger gli rivolse uno sguardo assassino, poi trasse un respiro profondo, digrignò i denti e gli fece cenno di continuare.

«È che il tizio vuole portarsi dietro anche me. Vuole scortarmi a El Paso per farmi medicare: gli serve per non destare sospetti.»

Hugg tirò un sospiro di sollievo.

«Pensavo volesse ancora qualcos'altro! Va con Dio figliolo e stammi bene.» Eh sì, era decisamente rincuorato.

«A dire il vero, ho intenzione di darmela a gambe il prima possibile e raggiungerti ad Agua Dulce.»

«Fai come vuoi, in fondo, qualche volta sai renderti utile. Alloggerò nell'unica locanda del posto: se ti farai vivo in tempo, ben venga, altrimenti, addio! Devo gestire un malloppo da cinquantamila dollari. Quindi, è chiaro che non possa cambiare i miei programmi per te.» Quel bottino era decisamente troppo cospicuo per la sanità mentale di Hugg. Lo possedeva da meno di un giorno e già stava diventando una fissa, un'ossessione che lo rendeva molto meno lucido e razionale di quanto fosse normalmente: anche il gesto di esporsi al tiro del ranger non era da lui. Finn, stabilì che se l'avesse lasciato solo per troppo tempo, avrebbe presto perso il padre, ma soprattutto la fortuna che si portava dietro.

Il ragazzo mise bene in mostra i gioielli che stringeva in mano, uscì dal riparo e raggiunse il Biondo.

Rick esaminò i gingilli bisbigliando le cifre che gli giravano nella testa, poi fece una smorfia appena percettibile e sbraitò: «Dannato spilorcio! Con questa roba, al più, ci faccio duemilanovecento dollari, senza considerare la parcella del ricettatore.» Chissà perché, Donnola non ne era affatto stupito.

L'uomo ci pensò su un attimo: forse, era tentato di rimandare il moccioso dal bandito a pretendere la parte mancante o, ancor peggio, di affrontarlo per prendersi tutto. Fortunatamente, era convinto che il tizio non potesse avere più di cinquemila dollari. Così, alla fine, stabilì che il gioco non valesse la candela. «E sia! Diciamo che per stavolta, gli faccio lo sconto» concesse scuotendo la testa.






Le buone maniere.

Se Hugg Badfinger aveva puntato diritto ad Agua Dulce, c'era un motivo. Lì, si trovava un misero negozio di cianfrusaglie; tuttavia se si avevano le giuste conoscenze, si poteva accedere a una discreta varietà di servizi... accessori. Ad esempio, era possibile impegnare qualcosa per un prestito o, addirittura, rivendere merce anche e soprattutto di dubbia provenienza. Certo, Aaron Mansill non era che un ricettatore da quattro soldi, però era il solo che Hugg conoscesse da quelle parti ed era l’unico con il quale aveva già concluso dei buoni affari. Una cosa era sicura, il commerciante non avrebbe mai potuto riscattare l'intera refurtiva: sia perché non aveva agganci così importanti da riuscire a reimmettere sul mercato tutta quella roba, sia perché non disponeva, neanche lontanamente, di una liquidità così cospicua da poterla acquistare. Se l’avesse avuta, non sarebbe stato lì a spillare spiccioli dai ladri di polli. A ogni modo, Hugg da qualche parte doveva pur sempre cominciare.

Non si era fidato a portarsi dietro tutto quel ben di Dio, così aveva nascosto larga parte del bottino sotto una roccia poco fuori dal paese. Era stato molto prudente e, prima di darsi da fare, si era appostato ed era rimasto a vigilare intorno a sé a lungo. In pratica, per tutto il tempo necessario a essere assolutamente certo che nessuno lo stesse spiando: una precauzione ai limiti della paranoia.

Giunse nel saloon di Agua Dulce poco prima di mezzogiorno. Giusto in tempo per farsi servire qualcosa dal vecchio Ben: una birra sgasata e calda come piscio, insieme a uno stufato di patate e coniglio. Era ragionevolmente sicuro che il coniglio non fosse coniglio, ma faceva lo stesso: l’importante era mettere qualcosa sotto i denti. Fortunatamente, grazie al suo aspetto lercio e all’atteggiamento cupo, era riuscito a starsene per i fatti suoi, in un angolo appartato, senza che nessuno lo avvicinasse. Regole non scritte stabilivano che avrebbe dovuto offrire da bere al suo vicino di bancone: aveva sempre odiato farlo e tale avversione non risultava affatto mitigata dal fatto che fosse diventato ricco. Completato il pasto, si fece assegnare una topaia ove alloggiare e vi si chiuse dentro a doppia mandata. Intendeva attendere la sera per recarsi dal ricettatore: presentandosi in corrispondenza dell’orario di chiusura, avrebbe avuto tutto il tempo di sbrigare l’affare a battenti serrati, senza essere disturbato da avventori occasionali.

Giunse la sera ed era quasi ora di incontrare Aaron. Prima di ogni altra cosa, si assicurò che i gioielli che si era portato dietro fossero ancora con lui. D’altra parte, dove potevano essersene andati. Poi infilò in una tasca interna del gilet il documento dall’aspetto importante, si accese un sigaro e scese di sotto a farsi un whiskey. Aveva la gola secca, inoltre, non ci si trovava a concludere affari senza un po’ di spirito in corpo.

Aveva appena portato il bicchiere alle labbra, quando una voce spiacevolmente familiare gli fece andare di traverso il drink.

«Sapevo che ti avrei trovato qui! Vedi che succede a ingozzarsi da soli? Lo dico sempre io: chi beve da solo si strozza!» Voleva dire esattamente ciò che stava affermando o quella frase nascondeva un doppio senso?

«Ben! Un bicchiere di acqua di fuoco anche per il mio amico.» “Che il diavolo se porti! Stupido alcolizzato! Perché non è crepato insieme agli altri di Little Pit?”

«Dimmi, Hugg: dove andavate tu e il tuo marmocchio con quella corsa? Ero di ritorno al villaggio. Prima, mi ha sorpassato un pistolero a cavallo che sembrava avere molta fretta, poi, quando ero quasi arrivato, vi ho visto schizzare via come se aveste il diavolo alle calcagna: avevate la stessa fretta del tizio e... anche lo stesso cavallo. Ho provato a seguirvi con il mio carretto, ma eravate così lanciati che vi ho persi di vista. Però, ho scommesso sul fatto che vi avrei trovato qui. Cosa gli avete trovato addosso?» Joe Otthims, che si era accomodato accanto a lui, accompagnò la domanda con un sorrisone complice e una gomitata scherzosa. L’uomo era enorme e sfoggiava un pancione oltremodo prominente. Era molto più grosso di Badfinger che, comunque, era assai ben piazzato. Il viso butterato e rubicondo era contornato da barba e capelli neri, incolti e schizzati di bianco. La voce rude, poderosa e il gergo colorito stridevano con il suo accento perfettamente inglese.

«Stai zitto, idiota!» gli sibilò l’altro guardandosi intorno allarmato.

«Allora, ci ho preso! A quanto ammonta la refurtiva? Cento? Duecento?» Ci provò, ma non era proprio capace di parlare sottovoce. Così, Hugg si limitò a rivolgergli uno sguardo feroce. Qualcuno si voltò verso di loro interessato.

«Cento bigliettoni e un orologio placcato d’oro che potrà fruttarmi centocinquanta dollari, almeno spero» sussurrò, in modo volutamente udibile, però. Due-trecento verdoni era la refurtiva più ricorrente dei clienti di Aaron: una discreta somma, ma nulla che potesse indurre qualcuno a fare cretinate. D’altra parte, quel posto brulicava di ruba galline che cercavano di ottenere somme simili dai loro miseri bottini. Anche lui non era mai andato oltre i duecento dollari di guadagno. Fino ad allora, s’intende.

«Hai cento verdoni in tasca e speri di cavartela con un solo sorso? Perlomeno, mi devi offrire un quarto di gallone di buon whiskey!»

Badfinger scosse la testa, sbuffò e infine fece un cenno al barista che gli consegnò un’intera bottiglia di bourbon. L'afferrò con rabbia e la sbatté sul bancone davanti a Joe, poi saldò il conto e se ne andò senza proferir parola. Si era pure dimenticato del sigaro, ma non importava: gli era passata anche la voglia di fumare. “Spero che sarà abbastanza ubriaco da scordarsi della faccenda per il tempo necessario a dileguarmi! Anzi, sarebbe molto meglio che gli scoppi il fegato una volta per tutte a quel dannato impiccione!” pensò imboccando l'uscita.

«Amico, stai attento a Mansill! Tira, sempre, a fregare sui prezzi!» gli gridò dietro il Gigante. No, non avrebbe dovuto offrirgli da bere, doveva riempirlo di buchi per vedere se zampillasse fuori dell’alcool. A stento, si era trattenuto dal farlo, ma i suoi non erano scrupoli: già così come erano andate le cose, buona parte della discrezione era andata a farsi friggere; se lo avesse affrontato, avrebbe attirato l’attenzione di tutto il paese.

Joe non si era ancora tracannato un terzo della sua bottiglia, che Donnola fece irruzione nel saloon. Era trafelato e ansimante.

«Ehi, Moccioso, hai sbagliato porta, qui non servono latte!» lo irrise un ceffo suscitando l’ilarità degli altri avventori e soprattutto quella dei suoi due compari di bevuta. Il solito spaccone: senza ombra di dubbio, si trattava di una mezza calzetta che probabilmente non avrebbe mai avuto il coraggio di darsi tante arie con un suo pari. Il ragazzo ignorò la provocazione e s’incamminò verso il bancone.

«Hai sentito cosa ti ho detto, puzzola, o vuoi che te lo spieghi a calci nel sedere?» Lo sbruffone si alzò per sbarrargli la strada.

Per nulla impressionato, Finn fece per passargli accanto. L’uomo decise di dargliene di santa ragione e fece per afferrarlo; tuttavia non ci riuscì, poiché si ritrovo con il braccio torto dietro la schiena da una forza incontrastabile. Immediatamente dopo, un calcio ben assestato lo mandò a schiantarsi contro il tavolo da cui veniva. Questa volta, l’ilarità della sala era rivolta a lui.

«Il ragazzo è un mio paesano. Tu e i tuoi compari continuate i vostri affari e non avrete noie.» Joe gli diede le spalle e, assai mestamente, tornò a sedersi per terminare la sua bevuta.

«Credo che sarai tu ad avere delle noie, scimmione!» Il rumore di tre pistole che venivano armate era inequivocabile. Otthims prese il sigaro lasciato da Hugg, fece un tiro, mise una mano sotto il gilet per grattarsi la pancia e sbuffò contrariato. Poi, con la sua usuale flemma, si girò verso di loro senza neanche alzarsi dallo sgabello: aveva un ordigno pieno di polvere nera in mano. La miccia era accesa… e assai corta.

«Innanzitutto, imparate le buone maniere: non ci si siede a tavola con le pistole! Avrete capito che di questa locanda e anche di noi tutti, ovviamente, non rimarrà che il ricordo. Questo, se non buttate le armi entro tre, due, uno…» I tre obbedirono e Finn requisì i revolver in un attimo. Nel frattempo, Joe spense l’ultimo quarto di pollice rimasto dell’innesco.

«Molto bene. Ora, siccome sono impegnato con questa bella signora, gradirei non essere disturbato.» Lisciò il fianco della bottiglia come se fosse quello della bagascia nuda raffigurata nello squallido dipinto in mostra dietro il bancone.

I tre compari disponevano ancora di coltelli a serramanico, mentre il bestione si era disinteressato delle loro pistole, lasciandole nelle mani del moccioso. Così, si guardarono e si intesero: in tre e armati, contro un pachiderma disarmato e di spalle non ci sarebbe stata storia.

Estrassero le lame e si lanciarono verso di lui. Il primo capitombolò a terra a causa dello sgambetto di Finn. L’affondo del secondo fu intercettato da Joe che gli afferrò il polso con un vigore tale che si sentì uno schiocco d’ossa spezzate: forse, voleva solo fargli perdere la presa sul coltello, ma, evidentemente, non aveva ben dosato la forza. In un lampo, senza lasciare la presa, schiantò la mano stessa dell’uomo in faccia al terzo che, impressionato dall’accaduto, aveva esitato un attimo nel portare l’attacco. Un doppio crack sovrapposto testimoniò che né le ossa della mano del ceffo né quelle della faccia dell’altro avevano retto l’immane impatto. Un uomo giaceva esanime in una maschera di sangue, mentre l’altro guaiva per le fratture riportate al braccio. Per fortuna, durò poco, poiché, con un pugno in testa tale da abbattere un bisonte, Joe mandò a dormire pure lui. Nel parapiglia, il tipo sgambettato da Donnola cercò di strisciare quatto, quatto per piantare la lama nel polpaccio del bestione; tuttavia il ragazzo lo notò prontamente e gli stampò la punta dello stivale nella tempia mettendolo definitivamente fuori combattimento. Una cosa era certa, i tre non si sarebbero rimessi in piedi a breve. Tutti gli altri clienti, smisero di ridere e, dissimulando disinvoltura, tornarono alle loro cose.

Il barista scosse la testa estenuato, gettò sul bancone il panno con cui stava asciugando i bicchieri e trasse un respiro profondo: in quel dannato posto, non passava una settimana senza una rissa. Otthims notò il suo sconcerto e lo consolò: «Spero di non aver fatto troppi danni. Solamente io ti posso capire: gestivo un saloon un tempo.» Solo che in quello suo, non c’erano mai state abbastanza persone per metterne una contro una in una zuffa.

Il Gigante rovistò nei vestiti dei due che aveva steso, ma ne ricavò a stento nove dollari che depositò direttamente sul bancone. «Ben, questi sono per il disturbo. Giovane Badfinger, lui ripuliscilo pure tu.» Indicò il tizio steso dal ragazzo: era lo spaccone che lo aveva schernito. In tasca aveva solo sei dollari; in compenso, con un colpo ben assestato del calcio della pistola, gli carpì un dente d’oro.

Quando vide l’oste togliersi il grembiule per sistemare il locale, Joe lo fermò con un gesto della mano accompagnato da un sorriso cordiale. «Stai, stai! Ci penso io a gettare la spazzatura.» Si caricò un uomo sulla spalla ampia come la sella di un palafreno, gli atri due li sollevò, uno per mano, usando la loro camicia come manico. Quindi, li trasportò fuori e li gettò nello spiazzo a raccogliere polvere.

Si riavviò verso il locale per finirsi la bevuta in santa pace, ma si trovò dinanzi Donnola.

«Signor Otthims, Ben mi ha detto che il mio vecchio ha parlato con te e se n’è andato poco fa. Sai dove?» Sapeva che il padre si recasse sporadicamente da quelle parti a vendere oggetti, ma non aveva idea di dove andasse con esattezza, inoltre, sperava di appurare quali informazioni il Gigante era riuscito a spillare dal padre.

«E’ andato da Aaron Mansill a cambiare il bottino.» Il sorriso era quello di chi la sapeva lunga.

“Non posso credere che abbia detto del malloppo a questo sempliciotto!” Doveva indagare un po’ meglio.

«Ma questo Aaron può cambiare una refurtiva come quella nostra?»

«Certo, è facile smerciare un buon orologio, anche se dovesse rivenderlo al doppio di quanto l'ha pagato. Ho provato a dirglielo a tuo padre, ma se n’è andato senza darmene l’occasione! Magari fai ancora in tempo ad avvertirlo: se è veramente placcato d’oro come dice, non deve scendere sotto i duecento dollari, centocinquanta sono decisamente pochi.»

«Allora devo sbrigarmi! Solo che non so dove si trova il ricettatore.»

«Nessun problema, figliolo. Vai a sinistra fino al maniscalco, imbocca la via a destra, poi procedi per qualche passo e troverai un negozietto malmesso e pieno di cianfrusaglie: non puoi sbagliarti, questo paese è buco. Muoviti, se vuoi fare in tempo.»

«Grazie!» Il ragazzo si lanciò in una corsa a capofitto. Il motivo della sua fretta era ben più importante di cinquanta dollari. Probabilmente, lo Sbirro, Rick, era da quelle parti e doveva avvertire il padre. Infatti, quando stava per giungere ad Agua Dulce, aveva sentito un rumore di zoccoli dietro di lui; fortunatamente, era coperto da una montagnola, così, aveva fatto in tempo a nascondersi dietro un cespuglio. Da lì, lo aveva visto passare: che fosse andato anche lui a concludere affari con Mansill?






Buoni affari.

Gli orologi esposti nel negozio, null’altro che cianfrusaglie in un cumulo di cianfrusaglie, tutti quegli orologi da quattro soldi segnavano le sette. Come ogni maledetto giorno, lo avevano tenuto in ostaggio con il loro incedere pressoché immoto. E allo stesso modo di sadici aguzzini, lo avevano torturato con il loro ticchettio tedioso e con la loro metodica flemma. Tuttavia, essi stessi proclamavano la migliore notizia quotidiana: la sua liberazione. Finalmente le sette, l’ora di chiudere i battenti, sedersi da Ben per ingoiare a forza lo scempio culinario del giorno, lamentarsi con il primo che gli capitasse a tiro degli affari che andavano a rotoli e infine, buttare le stanche membra sulla branda sgangherata della sua squallida stanzetta.

Aaron Mansill non era un plurimilionario, ma abbastanza abbiente per permettersi qualche agio in più, lo era senz’altro. Il fatto era che fosse ossessionato dai ladri, li vedeva ovunque e in chiunque, persino negli uomini che, di volta in volta, ingaggiava per farsi proteggere o per riscuotere quanto gli spettava. Per tale motivo, preferiva scegliere assistenti un po’ tonti e ligi al limite del ridicolo: le cretinate o le sviste, che potevano commettere, erano controbilanciate dal fatto che non l’avrebbero fregato e soprattutto dal fatto che da guardie non si sarebbero trasformati in rapinatori. Faceva di tutto per mostrarsi povero ed effettivamente viveva come tale. Era condannato a condurre un'esistenza da miserabile fino alla morte; tuttavia era quello il prezzo da pagare per diventare sempre più ricco...

Non che gli restasse molto da campare: aveva poco più di sessant'anni, ma decenni di stenti e rinunce lo avevano logorato nel fisico e nello spirito. Così, ne dimostrava venti in più. Era di statura infima, magro, ricurvo e malnutrito: la sua pelle era cadaverica, i suoi arti, deboli e tremanti. Era quasi completamente sdentato, ma non portava protesi: preferiva così, non poteva concepire che si impiegasse dell'oro, il nobile araldo della ricchezza, per dei miseri denti. Aveva serie difficoltà a mangiare? Ancora meglio, avrebbe speso meno danaro in effimere vivande.

Non vi erano dubbi, Aaron era proprio un uomo generoso. Aveva dato tutto se stesso per i soldi: per loro, si era speso senza risparmiarsi, in anima e corpo, e in cambio, non aveva mai chiesto nulla. Li aveva messi al sicuro, li aveva protetti, coltivati, coccolati e, mai e poi mai, li aveva sperperati.

Era necessario che il suo negozio apparisse esattamente come lui: vecchio, ripugnante, inutile e malandato. Quale fuorilegge avrebbe mai potuto bramare di rapinare un posto del genere? E poi, anche se lo avesse fatto, non avrebbe trovato nulla: Danny, così chiamava il suo adorato tesoro, era al sicuro altrove.

Ripose il libro mastro nel cassetto della scrivania tarlata e si sollevò dalla sedia con un gemito. In piedi non era tanto più alto che da seduto. Indossò il piccolo copricapo di stoffa nera e afferrò il bastone da passeggio, praticamente una stampella per lui. Anche questo era malmesso: le sporadiche macchie di vernice rimaste testimoniavano che un tempo fosse laccato, ma ormai non era altro che un asta di legno scorticata con una testa in ottone ossidato.

Era intento a chiudere gli infissi, quando intravvide una grossa sagoma attraverso il vetro lordato da anni di sporco mai lavato. Come sempre, ebbe un brivido. Aaron asseriva di ripudiare l’uso delle armi, quindi non le usava: la realtà era che non aveva neanche la forza di sollevare una pistola senza tremare, figuriamoci di sparare. Comunque, non ripudiava affatto che altri le utilizzassero al posto suo per le faccende inerenti i suoi affari.

«Ripulite l’argento, qui?» Entrando, il cliente aveva esordito con la frase che presupponeva la necessità di riciclare merce di dubbia provenienza. La porta era così minuscola che l’omone dovette chinarsi e torcersi per entrare.

«E non solo quello. Ah, sei tu, Hugg.» Aveva già lavorato per lui e sempre come ricettatore, purtroppo: il più delle volte si trattava di effetti personali sottratti a chissà chi o piccole refurtive. Una cosa era certa, quell’uomo era un vero spilorcio, spaccava il cent: condurre affari con lui era, a dir poco, spiacevole.

Con il riciclaggio Mansill guadagnava abbastanza, ma i veri introiti li faceva con i prestiti. Prestare danaro era come coltivare i fagioli: metti un seme nella terra e se è fertile, ne ottieni un sacchetto pieno. Il suo piccolo contributo finanziario ai desideri del cliente era il seme, il vano ottimismo degli stolti era la terra fertile e gli interessi erano il concime. A prima vista, verrebbe da pensare che Aaron fosse un uomo troppo attaccato ai beni materiali; tuttavia non era così: i tassi d’interesse non sono fisicamente tangibili, sono un concetto astratto, eppure li adorava quasi al pari del denaro stesso. Li rispettava con diligente dedizione, quindi, che male c’era, se pretendeva che anche le persone in affari con lui facessero lo stesso?

A dispetto della sua bruttezza esteriore, il commerciante aveva diversi altri pregi interiori. Ad esempio, era un uomo di larghe vedute e assai tollerante. Infatti, pur essendo un convinto astemio, non denigrava coloro che passavano le giornate a ubriacarsi: tutt’altro, li vezzeggiava, li coccolava ed era sempre pronto ad aiutarli. Capitava spesso che per farsi una bevuta, impegnassero effetti personali che valessero almeno dieci volte quanto ricevevano in cambio: l’importante era rassicurarli che ce l’avrebbero fatta a ripagare un così piccolo debito. Naturalmente, non ci riuscivano, praticamente, mai. Nessun problema, si sarebbe accontentato di quanto lasciato a garanzia. La stessa apertura mentale la dimostrava anche con i giocatori d’azzardo: per quel che lo riguardava, non aveva neanche idea di come si giocasse a carte o a dadi, tuttavia era sempre pronto a supportare i praticanti.

Mansill considerava il riciclaggio come una forma di propaganda, un ottimo modo per azionare la macchina dei suoi affari. Gli uomini di quelle parti non erano avvezzi a gestire più di dieci dollari alla volta. Così, quando entravano nel suo negozio per vendere merce rubata, molto spesso, ne uscivano con un bel gruzzoletto, un enorme sorriso stampato sul volto e un unico desiderio: andarsela a spassare. Che fosse in un saloon, in una sala da gioco, in un bordello o in tutti e tre, non importava: una cosa era certa, ci prendevano gusto e non riuscivano più a smettere. Finivano i soldi e tornavano da lui per un prestito.

I vizi sono una brutta bestia e se a un certo punto non si pone un freno, ti uccidono.

Anche a questo ci pensava il buon Aaron: quando quei poveri sprovveduti non avevano più neanche le mutande da impegnare, il commerciante capiva che, ormai, avevano sviluppato una vera dipendenza e smetteva di foraggiarli per evitare che le cose peggiorassero ulteriormente. Quante persone aveva salvato in quel modo!

Insomma, era un autentico benefattore. Eppure, tutti lo disprezzavano.

A ogni modo, di una cosa era sicuro: quell’uomo, Badfinger, era un vero spilorcio e sicuramente non sarebbe incappato nella trappola dei vizi costosi neanche se da lì fosse uscito con mille dollari in tasca.

Questo era un altro buon motivo per non nutrire simpatia nei suoi riguardi. Sapeva per esperienza che se gli avesse dato dei soldi in cambio della merce, questi, a differenza di quanto gli accadeva di solito, non sarebbero tornati indietro mai più.

Stava di fatto che ormai l’uomo fosse entrato e che non gli restava altro di cercare di pagare quanto gli proponeva il meno possibile, in modo di guadagnare almeno qualcosa con il ricarico. Una cosa era certa: non gli avrebbe dato neanche un cent oltre la metà di quanto valesse la sua refurtiva sul mercato nero, cioè, un quarto del valore stimato per i canali commerciali legali.

«Caro Aaron, questa volta, ti faccio arricchire sul serio!» esordì Hugg con un sorriso complice.

“Se tutti i clienti fossero come te, il negozio sarebbe fallito e io starei a revisionare i libri contabili di qualche imprenditore” pensò e disse: «Ricco? Non vedi come mi sono ridotto? Purtroppo, non tutti i clienti sono affidabili come te, ed è per causa loro che sono sul lastrico. Sono felice che sia qui, abbiamo sempre fatto buoni affari, noi due.»

«Soprattutto tu. Tuttavia, non mi lamento: non mi hai mai affibbiato una banconota falsa.»

Aaron ne aveva rifilate parecchie di false valute, ma sempre a persone con un piede nella fossa o comunque incapaci di nuocergli e impossibilitate da una taglia sulla testa a presentarsi nell’ufficio dello sceriffo per avanzare rimostranze legali. Sicuramente, non si sarebbe mai azzardato a fare un tiro mancino così palese a un tipo pericoloso come Badfinger.

«Ti piace scherzare. Magari avessi qualcosa per stamparle!»

«Mi hanno detto che sei anche un falsario, a questo punto devo dedurre che sei un pessimo falsario. Comunque, non importa: a me servi come ricettatore.»

«Come al solito, d’altra parte!»

«Eh già! Ma stavolta, l’argomento è un po’ più sostanzioso. Ci sarà da parlare a lungo e senza intromissioni.» Si era portato dietro abbastanza ninnoli per ottenere almeno mille dollari. Certo, ne valevano quasi tremila, ma sapeva bene che da quello spilorcio di Aaron non avrebbe mai potuto spillare tanto denaro.

«Ho capito. Chiudiamo la porta, ma sappi che per i contanti dovrai aspettare domani, ho solo diciotto dollari nella cassa.» Meglio chiarire subito che non valesse la pena tirare brutti scherzi.

«Sì, so come funziona: abbiamo fatto così anche la scorsa volta. Ora ci accordiamo per il prezzo. Poi, domani, mi mandi un tuo scagnozzo per portarmi i soldi e ritirare la mercanzia.»

«Dipendente temporaneo, non scagnozzo. Se dici così, mi fai sentire come un uomo di malaffare.»

«Sei o no un dannato strozzino?»

«Il fatto che mi impietosisca nel vedere delle persone in difficoltà economica non fa di me un usuraio.»

«Ho visto come ti sei impietosito di Mudd: è partito da Little Pit con una cassa di fucili sottratta, a suo rischio e pericolo, sotto il naso dei soldati ed è tornato in mutande, con la faccia gonfia ed entrambi i pollici spezzati.»

«Le armi, specie quelle dei militari, sono un argomento scomodo, molto scomodo. Nonostante ciò, ho trovato il modo di pagargliele profumatamente. Subito dopo, quello sprovveduto si è giocato tutto a poker ed è tornato da me. Un tipo meno generoso lo avrebbe mandato via, io invece ho voluto aiutarlo. Poi, però, voleva prendersi gioco di me e allora sono stato costretto a mandare un mediatore a persuaderlo di restituirmi il maltolto. Non sono tanto bravo a convincere le persone, così mi sono avvalso della competenza di chi sapeva farlo meglio di me. Non sono certo io l’esperto in recupero crediti. Tu sei libero di ritenere che il mio collaboratore abbia un po’ esagerato con il tuo amico, ma personalmente mi astengo dal formulare giudizi sull’operato di un professionista in un mestiere del quale, ti ribadisco, so poco e niente.»

«Tutte queste parole complicate per dirmi che te ne lavi le mani. Non pensare di raggirarmi, Strozzino! E poi, se hai potuto fare dei buoni affari con me, lo devi proprio a Mudd che ci ha fatto conoscere.» Ecco, proprio l'avergli messo quell’ostico cliente tra i piedi era un altro valido motivo per averlo fatto sistemare per le feste, oltre al fatto che aveva provato a non restituirgli quanto gli spettava. Lo ricordava perfettamente: si trattava di riavere indietro i cinquanta verdoni che gli aveva prestato, più un altro piccolo obolo accessorio di quarantanove per il servizio offerto. Ovviamente, si era reso necessario farsi rimborsare ulteriori venti dollari per l’onorario da conferire al mediatore che aveva gentilmente provveduto alla sistemazione definitiva del conto in sospeso. Tutti costi documentabili; eppure, la gente si ostinava a considerarlo un usuraio.

«Non è mia intenzione raggirare nessuno: la cosa che più mi preme è essere trasparente e chiaro con i miei clienti, soprattutto con i migliori clienti, come te. Sarà perché sono troppo onesto che, pur commerciando con tanta roba di valore, non sia mai riuscito a sollevarmi dalla mia condizione di totale indigenza. Purtroppo, non sono che un intermediario e di quanto mi passa per le mani mi resta ben poco. Se poi si considerano quelli che tirano le cuoia prima di saldare i debiti o il fatto che non sempre riesca a rivendere quanto acquistato, ti sarà evidente che è un miracolo che non sia del tutto fallito. Come puoi constatare con i tuoi occhi, mi sono ridotto a uno spettro nel praticare questo lavoro e non ne ho tratto un ragno dal buco.» Quante volte aveva riproposto lagnanze simili e in quanti diversi contesti! Era, forse, l’unico argomento di cui discuteva e l’unica confidenza che concedeva. Fasulla, tra l’altro. D’altra parte, nascondere qualcosa era il modo migliore di proteggerla. Di Danny era geloso, lo era all’inverosimile: esclusivamente lui doveva essere al corrente, non solo della sua consistenza, ma anche della sua stessa esistenza.





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Western all'italiana.

Ho indirizzato lo sforzo creativo nel ricreare le atmosfere, il linguaggio e il “sapore” dei film western italiani degli anni sessanta e settanta. Per realizzare quest'intento, ho raccolto a piene mani sia dai cosiddetti spaghetti western che, in dosi più circostanziate, dai fagioli western -quelli di Bud Spencer e Terence Hill, per intenderci-; ma non solo, essendo personalmente convinto che questo particolare genere sia figlio della commedia, ho attinto anche da lì.

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