Книга - Arturo e l’unicorno

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Arturo e l’unicorno
Giovanni Salvetti


Arturo era un bravo ragazzo che viveva a Bergamo, una citta del nord Italia, intorno al 1500. È stato ingannato da persone malvagie e avare ed è finito in prigione. Ma grazie all’arte, agli amici e ad un pizzico di magia riesce ad uscire da un incubo e a vivere felice e contento.





Giovanni Salvetti

Arturo e l’unicorno



L’autore, che è anche l’illustratore del libro è decisamente atipico perche è un banchiere d’affari. Nella vita non si sa mai…

Tutti i proventi della vendita del libro sono devoluti a due organizzazioni non profit che si prendono cura di bambini affetti da malattie oncologiche: Dono di Vita (podari-zhizn.ru (http://podari-zhizn.ru/)) e Tablettochki (tabletochki.org (http://tabletochki.org/)).



Tutti i diritti riservati. Nessuna parte di una copia elettronica di questo libro può essere riprodotta in alcuna forma o con qualsiasi mezzo, inclusa la pubblicazione su Internet e nelle reti aziendali, per uso privato o pubblico senza il permesso scritto del detentore del copyright.



Con illustrazioni di Giovanni Salvetti



© Casa editrice Aegitas, 2018


* * *




Prefazione


Quando non torno a casa troppo tardi la sera e quando non sono in viaggio, cosa che capita molto spesso a dire il vero, i miei tre bambini vogliono che gli racconti una storia. La cosa funziona così: si riuniscono in una delle stanze dei bambini e si sdraiano sul letto o sul tappeto. Anche io mi sdraio da qualche parte e spegniamo le luci. A turno, uno dei tre sceglie il soggetto della storia. Ad esempio, il drago e l’aspirapolvere, il maiale ed il razzo, zombi nello spazio etc. Io rifletto dieci secondi e comincio a raccontare, a braccio e, mentre racconto, la storia evolve da se. Può durare poco se sono stanco o è tardi ma a volte può andare avanti anche per tre quarti d’ora o più. Dipende anche dall’ispirazione. Ne avrò raccontate trecento, quattrocento o più, non lo so esattamente.

Un giorno si sono messi in testa che, siccome alcune storie gli sembravano particolarmente divertenti, avrei dovuto scriverne una e promisi di farlo.

Ecco che in questo breve libro ho scritto una di quelle storie. Scrivendola poi mi è venuto spontaneo di arricchirla con molti più dettagli rispetto a quelli che uso normalmente nelle storie a braccio la sera. Spero di non aver snaturato lo spirito di estemporaneità delle storie inventate all’istante.

Per fare un lavoro più completo, ho deciso di illustrare la storia con miei disegni. Vi prego di perdonarmi lo spirito puramente amatoriale ma per lo meno del tutto autentico del libretto, che non è stato neanche redatto o rivisto da terzi, e delle illustrazioni visto che non sono, ne un scrittore, ne un illustratore.









Ringraziamenti


Oltre a Lavinia, Oscar ed Alessandro (in ordine inverso di nascita! scusa Oscar sei sempre in mezzo!), che mi hanno ispirato questa storia e tutte le altre e che ispirano la mia vita in generale, voglio ringraziare Mikhail Tsyganov e Aleksei Glugovsky, che, nel loro tempo libero mi hanno aiutato a organizzare la stampa, le traduzioni, la messa online e via dicendo.


Ad Alessandro, Oscar e Lavinia (in ordine di nascita!), gli esseri umani che adoro di più al mondo e a Monika, che li sta facendo crescere in maniera superlativa.







La famiglia di Arturo


Appena svegliato, Arturo si lavava la faccia con l’acqua fresca che suo papà aveva appena tirato su dal pozzo, si metteva i pantaloni e la camicia e correva nel piccolo pollaio a raccogliere le uova. “Bravo Arturo, sei proprio un bambino giudizioso e attento! Da quando raccogli tu le uova, non se ne è mai rotta una!”, gli diceva spesso la mamma. Le uova erano una parte importante della colazione della famiglia di Arturo.

Arturo era nato in una famiglia di poveri contadini, i Bontempi, che abitavano in campagna nella provincia di Bergamo, una bella città medioevale del Nord Italia tra Milano e Venezia. Era più o meno la fine del 1500, tanto tempo fa. Arturo era il quarto di sette figli, tre femmine e quattro maschi, e aveva undici anni. A quel tempo le famiglie erano molto più numerose di oggi, soprattutto quelle dei contadini. I figli erano una ricchezza perché, quando diventavano grandicelli, aiutavano i loro genitori nelle faccende della fattoria. Oltre ai sette figli, al papà e alla mamma, viveva con loro il vecchio nonno Guido. In tutto erano in dieci.

La vita era molto dura e si svolgeva seguendo le regole della natura ed i cicli delle stagioni. Ci si svegliava al sorgere del sole e si andava a dormire poco dopo il tramonto. Le notti invernali erano fredde e lunghe e la campagna riposava sotto molta neve. C’era molta più neve un tempo. Le giornate estive erano lunghe e calde e precedevano il grande momento del raccolto che si svolgeva a settembre. Il raccolto era molto importante perché la famiglia viveva principalmente di quello che aveva coltivato durante tutto l’anno e raccolto in autunno.








La terra non apparteneva alla famiglia di Arturo ma ad un ricco marchese di Bergamo, il marchese Trecolli. L’accordo, molto diffuso a quel tempo, era che il raccolto veniva diviso in due, metà andava alla famiglia di Arturo, che aveva lavorato la terra tutto l’anno, e metà al marchese, che la possedeva. Questo accordo si chiama ancora oggi, di mezzadria, perché si fa a metà, si smezza. Il marchese possedeva molta altra terra oltre a quella lavorata dal papà di Arturo, per questo era ricco. Aveva ereditato tutto da suo padre, il qualche aveva ereditato la terra da suo padre e così via.

La terra che lavorava la famiglia di Arturo non era molta, più o meno cinque ettari, vale a dire come circa 3 campi da calcio. La casa di Arturo era un vecchio casale in pietra. La casa stava proprio in mezzo ai campi del marchese.

Anche il papà di Arturo aveva ereditato la mezzadria da suo padre, il nonno Guido. A quel tempo le cose cambiavano molto lentamente. Quando nascevi sapevi più o meno quello che avresti fatto nella vita, vale a dire avresti fatto normalmente quello che aveva fatto tuo padre o tuo nonno, a meno che non diventavi soldato e partivi per le guerre. Non come adesso, dove tutto cambia velocemente. Potevano però succedere eventi magici a volte, come in questa storia.

La famiglia possedeva due maiali, un asino, cinque galline, due capre e anche un enorme cane che si chiamava Ombra. Si chiamava cosi perché aveva il pelo tutto nero e anche gli occhi erano neri. Se non lo conoscevi e lo vedevi per strada, faceva molta paura. Ed in questo senso era molto utile perché spaventava i malintenzionati che passavano vicino alla fattoria che, così, se ne stavano alla larga. In realtà Ombra era un buon cane e non aveva mai morso nessuno dei fratelli e delle sorelle di Arturo, neanche quando da piccoli gli tiravano la coda.

A quel tempo i bambini dei contadini non andavano a scuola. Solo i figli dei ricchi avevano i loro insegnanti privati che vivevano nei palazzi delle famiglie importanti ed erano pagati per educarne i figli. Tuttavia i bambini dei contadini imparavano molto sulla natura e la lavorazione dei campi. Inoltre il nonno Guido aveva un sacco di storie da raccontare. A quei tempi c’erano molto più guerre e combattimenti che oggi ed il nonno Guido, che prima di diventare contadino aveva anche combattuto, ne aveva viste e sentite di tutti i colori, perciò le sue storie erano molto avvincenti.

Allora non c’erano televisioni, computer o i tablet, come quello su cui sto scrivendo questa storia. L’unico intrattenimento erano le storie del nonno Guido, che raccontava dopo cena, nelle lunghe serate d’inverno, quando tutti i figli si sedevano intorno al fuoco per riscaldarsi e prepararsi al sonno.

La famiglia possedeva anche un libro – uno solo! – un bellissimo manoscritto sulla storia dell’arte che un lontano parente di Firenze aveva lasciato loro in eredità. Arturo, che era il più sveglio di tutti i figli, lo leggeva e rileggeva con attenzione quasi ogni giorno e ne ammirava le bellissime illustrazioni sull’arte classica. Inoltre Arturo non si staccava mai dal nonno e gli faceva sempre un sacco di domande sulle guerre, i soldati, i cavalieri ed i castelli. A parte il padre di Arturo, che doveva andare a trovare il marchese ogni tanto per aggiornarlo sulle attività della fattoria, a Bergamo ci andavano raramente, tranne una volta all’anno dopo il raccolto.

Quello in genere era un grande giorno perché il papà di Arturo vendeva la sua parte di raccolto e, per festeggiare, comprava ai figli un dolce alla castagna fatto nella pasticceria di Bergamo, un pezzo di tessuto per la mamma, che ci faceva un vestito, un po’ di vino rosso per lui e per il nonno ed anche un osso da rosicchiare per Ombra. I bambini correvano e giocavano per le vie di Bergamo insieme ai figli degli altri contadini che erano venuti in città a vedere il raccolto. Il giorno del raccolto compravano anche un maialino che avrebbero fatto ingrassare per i successivi due anni per poi ammazzarlo per farci salami e salsicce che avrebbero mangiato per tutto un anno.

La natura era la vera padrona delle loro vite, ne decideva i ritmi e le fortune. A volte la natura poteva essere benevola e regalare ricchi raccolti se il tempo era stato particolarmente buono. Altre volte il tempo poteva essere però meno buono, troppo piovoso o troppo secco, troppo caldo o troppo freddo. Allora il raccolto era scarso e bisognava tirare la cinghia perché c’era meno da mangiare e sempre dieci bocche da sfamare. Tutto sommato però vivevano felici, una vita semplice, circondati da un paesaggio di dolci colline e colori bellissimi che cambiavano con lo scorrere delle stagioni.




La carestia


A volte però la Natura poteva essere particolarmente severa. Non c’era un motivo, era così e basta. Succedeva. Un anno ci fu infatti una terribile carestia, vale a dire che piovve così’ poco che il raccolto fu scarsissimo, molto meno della metà del solito. Quell’anno infatti aveva piovuto pochissimo e l’estate era stata molto calda. Quell’estate la terra era diventata come polvere e si appiccicava ai corpi sudati dei contadini che facevano quello che potevano per salvare una parte del raccolto dalla siccità. Visto il risultato disastroso del raccolto, il papà di Arturo capì immediatamente che non avrebbe potuto sfamare tutta la famiglia l’anno successivo. Gli venne in mente di chiedere al marchese se per quell’anno soltanto poteva ricevere un po’ più della metà del raccolto che gli spettava e si prometteva di restituire al marchese la differenza l’anno successivo.








La mattina di buon’ora il papà di Arturo andò a Bergamo con il suo carretto trainato dall’asino. Dopo quasi un’ora di viaggio, attraversò da porta San Giacomo, le alte mura venete con che erano appena state ultimate e che circondano tutt’oggi la città di Bergamo e si diresse verso il palazzo del marchese. In cima a Porta San Giacomo c’era il simbolo della Repubblica di Venezia, il leone alato, che ad Arturo piaceva molto.

Ubaldo, il vecchio maggiordomo del marchese, gli aprì il portone e lo salutò.

– Salve Bontempi, che ci fa qua? Non l’aspettavamo, – disse Ubaldo guardandolo dall’alto in basso.

Ubaldo lavorava dai Trecolli da vent’anni ed era responsabile dell’organizzazione di tutta la servitù del palazzo. Vestiva una livrea rosso scuro, un po’ sgualcita perché il marchese non gliene comprava una nuova da anni. Il papà di Arturo rispose:

– Vorrei vedere l’illustrissimo Marchese perché ho urgenza di parlargli, sa per via del raccolto, quest’anno è stato terribile.

Ubaldo rispose:

– Ah, lo potevo immaginare, non è il primo contadino che viene con strane richieste di questi tempi. Ma non si faccia illusioni Bontempi, conosce come è il marchese…

Il papà di Arturo aggiunse:

– Si lo so, ma non ho alternative, mi annunci al marchese, la prego.

Dopo due ore di attesa, finalmente il marchese ricevette il papà di Arturo. Il marchese, stava guardando delle carte che gli aveva portato il suo amministratore e senza neanche alzare la testa dal tavolo si rivolse al papà di Arturo con tono burbero e severo:

– Bontempi, cosa vuole? Sono molto impegnato e non voglio perdere tempo.

Il papà di Arturo abbassò umilmente la testa e disse a bassa voce:

– Come immagino lei sappia, illustrissimo Marchese, quest’anno il raccolto è stato terribile.

– Certo che lo so! – lo interruppe bruscamente il marchese, – sto proprio guardando il rapporto del mio amministratore! E allora?

– Allora, – disse il papà di Arturo, – mi chiedevo se lei fosse così magnanimo da lasciarmi tre quarti del raccolto di quest’anno, invece che metà, e la differenza gliela darò l’anno prossimo, magari anche con un po’ di interessi così non ci perderà niente. In questo modo forse potrò sfamare la mia famiglia, altrimenti mi sa che non ce la faremo.

Il marchese disse secco:

– È forse impazzito Bontempi? Le regole della mezzadria sono così da trecento anni o più e nessuno dei miei antenati ha mai fatto eccezioni. Non voglio certo cominciare io. Se faccio un’eccezione a lei, tutti vorranno la stessa cosa e io dovrei rinunciare a dare parte dei miei banchetti, cosa che non voglio assolutamente fare, specialmente quest’anno. E ora se ne vada e non mi faccia perdere altro tempo, anche perché si è fatta ora di pranzo.

Il povero papà di Arturo aprì la bocca ma non gli uscì nessuna parola. Era un semplice contadino e non sapeva e osava dire nulla di più al marchese. Uscì allora dalla porta della stanza del marchese a testa bassa e scese le scale. Scendendo le scale vide salire i camerieri in livrea celeste che portavano grandi piatti fumanti per il pranzo del marchese. C’erano fagiani ripieni, ravioli con la salsa di cinghiale e funghi, verdure ed anche una grande torta di nocciole e mirtilli. Cibarie favolose che il papà di Arturo non aveva mai visto e che gli fecero subito venire l’acquolina in bocca. Vide che c’erano solo due camerieri che facevano un po’ fatica a portare tutti quei vassoi e le caraffe. Si sedette in fondo alle scale un attimo perché gli girava la testa sia per la fame che per la preoccupazione. Non sapeva proprio come avrebbe fatto a sfamare la famiglia con quel raccolto così scarso.

Ad un certo punto gli venne un’idea. Risalì le scale e bussò alla porta della sala da pranzo. Ubaldo aprì e lo guardò con occhi inviperiti e a denti stretti sibilò:

– Cosa fa ancora qui Bontempi? non vede che il signor marchese sta mangiando? Non lo vorrà mica disturbare spero!?

Il marchese sentì qualcosa e chiese:

– Ubaldo che cosa succede?

– Niente signor marchese, c’è ancora Bontempi che voleva dirle qualcosa ma ora lo mando via.

Normalmente il marchese non avrebbe certo rivisto Bontempi ma la pasta al sugo di cinghiale e funghi era così buona, ma cosi buona, che mise il marchese di un umore insolitamente benevolo. Infatti disse a Ubaldo:

– Vabbè vediamo cosa vuole ancora questo seccatore! Il papà di Arturo sussurrò:

– Illustrissimo marchese, mi dispiace molto disturbarla ancora, ma mi è venuta un’idea di cui le volevo parlare. Perché non prende uno o due dei miei figli come camerieri presso il palazzo? Conosce la nostra famiglia da anni e sono dei bravi ragazzi. Almeno per un anno, così avrò meno bocche da sfamare.

Il marchese si rivolse ad Ubaldo e gli chiese:

– Ubaldo cosa dici? Abbiamo bisogno di camerieri? Ubaldo rifletté un attimo e disse:

– Effettivamente abbiamo molto meno personale ora, specialmente da quando abbiamo licenziato quei due camerieri il mese scorso.

– Ah si quei due mascalzoni! – disse Trecolli. – Li abbiamo beccati a mangiare il mio formaggio Taleggio dalla dispensa. Beh che ne dici Ubaldo?

Ubaldo rispose:

– Dico che effettivamente conosciamo i Bontempi da anni, sono brave persone di cui ci possiamo fidare. In più, quest’anno che viene, abbiamo in programma un bel pò di banchetti, come ben sa, illustrissimo marchese.

In effetti, il marchese voleva trovare marito per sua figlia Caterina e voleva per questo organizzare eleganti balli e banchetti con la migliore nobiltà della città e anche della Repubblica.

– Tuttavia, – aggiunse Ubaldo, – suggerirei al marchese illustrissimo di prendere un solo nuovo cameriere da formare per bene. Per questo deve essere uno giovane e sveglio. Direi un ragazzo di dieci o undici anni.

In quel momento al papà di Arturo gli si spezzò il cuore perché vide nella sua mente il viso di Arturo, era l’unico maschio di quell’età e non c’erano alternative. Il solo pensiero di separarsene per un po’ lo rattristava moltissimo. Rifletté trenta secondi e quando gli occhi di Ubaldo e del marchese davano segni di impazienza rispose con un filo di voce:

– Va bene, grazie infinite, vi manderò Arturo.

Al ritorno verso casa, all’imbrunire, una macchietta nera corse verso il carretto del papà che rientrava al casale.

– Papà, papà, come mai ci hai messo cosi tanto? – gridò una voce allegra e vivace.

Era proprio Arturo che saltò al collo di suo papà non appena scese dal carro. Al papà di Arturo si inumidirono gli occhi ed Arturo si accorse subito che c’era qualcosa di strano. Allora il papà gli mise un braccio dietro al collo e gli disse:

– Entriamo in casa che dobbiamo parlare…

La sera il padre raccontò tutto quello che era successo e la soluzione che Arturo andasse a fare il cameriere dal marchese. Arturo trattenne le lacrime a stento ma la più piccola delle sorelline, Lucia, scoppiò a piangere e disse:





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