Книга - Cervello E Pandemia: Una Prospettiva Attuale

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Cervello E Pandemia: Una Prospettiva Attuale
Juan Moisés De La Serna Tuya

Marcos Altable Pérez


Sebbene la principale preoccupazione relativa al COVID-19 riguardasse le sue conseguenze, soprattutto in termini di problemi respiratori, i progressi nella conoscenza di questa malattia hanno permesso di capire come i suoi effetti si estendono oltre i polmoni, e possono raggiungere ed influenzare il sistema nervoso.

Sebbene la principale preoccupazione relativa al COVID-19 riguardasse le sue conseguenze, soprattutto in termini di problemi respiratori, i progressi nella conoscenza di questa malattia hanno permesso di capire come i suoi effetti si estendono oltre i polmoni, e possono raggiungere ed influenzare il sistema nervoso.

Questo testo affronta le conseguenze che il COVID-19 ha nel cervello, da una doppia prospettiva: la prima, la prospettiva della neurologia, in cui le conseguenze della malattia sono neuronali, come presentato dal dottor Marcos Altable Pérez, neurologo e fondatore di Neuroceuta a Ceuta. La seconda, la prospettiva della neuropsicologia, dove si approfondiscono i vari processi cognitivi che sono stati coinvolti in questa pandemia.

Inoltre, il testo contiene l'eccezionale testimonianza della dottoressa Mª Esther Gómez Rubio, psicologa clinica e neuropsicologa, specialista dell’area del National Hospital for Paraplegics (SESCAM), che ci racconta la sua esperienza nei momenti più complicati della pandemia.







Cervello e pandemia: Una Prospettiva Attuale



Juan Moisés de la Serna Tuya

Marcos Altable Pérez

Mª Esther Gómez Rubio



Traduzione italiana Simona Ingiaimo



Tektime Editore



2021


“Cervello e pandemia: Una Prospettiva Attuale”

Scritto da: Juan Moisés de la Serna Tuya, Marcos Altable Pérez e Mª Esther Gómez Rubio

Traduzione italiana Simona Ingiaimo

1ª edizione: agosto 2021

© Juan Moisés de la Serna, 2021

© Tektime Edizioni, 2021

Tutti i diritti riservati

Distribuito da Tektime

https://www.traduzionelibri.it



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Prefazione



Sebbene la principale preoccupazione relativa al COVID-19 riguardasse le sue conseguenze, soprattutto in termini di problemi respiratori, i progressi nella conoscenza di questa malattia hanno permesso di capire come i suoi effetti si estendono oltre i polmoni, e possono raggiungere ed influenzare il sistema nervoso.

Questo testo affronta le conseguenze che il COVID-19 ha nel cervello, da una doppia prospettiva: la prima, la prospettiva della neurologia, in cui le conseguenze della malattia sono considerate neuronali, come presentato dal dottor Marcos Altable Pérez, neurologo e fondatore di Neuroceuta a Ceuta. La seconda, la prospettiva della neuropsicologia, dove si approfondiscono i vari processi cognitivi che sono stati coinvolti in questa pandemia.

Allo stesso modo, il testo contiene l’eccezionale testimonianza della dottoressa Mª Esther Gómez Rubio, Psicologa Clinica e Neuropsicologa, specialista dell’area dell’Ospedale Nazionale per Paraplegici (SESCAM), che ci racconta la sua esperienza nei momenti più complicati della pandemia.


Riguardo agli Autori:



Dr. Marcos Altable Pérez, laureato in Medicina, specialista in Neurologia, Master in Neurologia e Neurosviluppo Pediatrico e Master in Neuropsicologia. Ha effettuato molteplici pubblicazioni in vari spazi (riviste scientifiche e congressi nazionali e internazionali, giornali, pagine web, capitoli di libri, ecc.) e combina la pratica clinica a Ceuta con lo studio e l’aggiornamento continuo in Neurologia, Neuropediatria e Neuropsicologia.



Dr. Juan Moisés de la Serna, Dottore in Psicologia, Master in Neuroscienze e Biologia Comportamentale, Specialista in Ipnosi Clinica, direttore dei corsi post-laurea presso l’Università Tecnologica TECH e presso l’Università Europea Miguel de Cervantes. Insegnante post-laurea e direttore del TFM presso l’Università Internazionale di La Rioja e presso l’Università Internazionale di Valencia.



Dr.ssa Mª Esther Gómez Rubio, Psicologa Specialista in Psicologia Clinica, Laureata in Filosofia e Scienze dell’Educazione (sezione Filosofia), Laurea Magistrale in Neuropsicologia Cognitiva, Laurea Magistrale in Psicopatologia e Salute, Laurea Magistrale in Modifica del Comportamento, Specialista Facoltativa nell’area Ospedaliera Nazionale dei Paraplegici (SESCAM). Laureata in Filosofia presso l’UCM, Psicologa specializzata in Psicologia Clinica UNED, PIR Ospedale de la Princesa (Madrid), Laurea Magistrale in Psicopatologia e Salute UNED, Laurea Magistrale in Modifica Comportamentale UNED, Laurea Magistrale in Neuropsicologia Cognitiva UCM e FEA SESCAM, personale aggiunto dell’Ospedale Nazionale dei Paraplegici.



https://youtu.be/CDDDsNGV0Eg (https://youtu.be/CDDDsNGV0Eg)


ÍNDICE



Capitolo 1. Introduzione allo studio del Cervello (#ulink_0221f4b0-95d2-559b-9f64-d7a45d8cdc55)

Capitolo 3. Cervello e COVID-19 (#ulink_164f3c4e-460a-53e9-b2e7-894d0b296db6)

Capitolo 4. Neuropsicologia del COVID-19 (#ulink_ba4f4839-e53f-5275-b64f-8c21934d6292)

Capitolo 5. Un neuropsicologo ai Tempi del COVID-19 (#ulink_967ee4e7-9a41-5200-a428-5712a0b8427b)

Elenco dei Tweet (#ulink_06dab6cd-a196-5dee-8e04-bbe5a0a46ca8)

Riferimenti (#ulink_96139818-b903-5ce2-88c4-4123ee4c7bb3)




Capitolo 1. Introduzione allo studio del Cervello


La ricerca sul cervello è stata una costante nel mondo della scienza. Vi sono tracce sin dai tempi degli antichi egizi, che hanno lasciato tracce di trapanazioni al cranio, che hanno effettuato per “liberare” il paziente dai suoi problemi, una pratica che è stata mantenuta fino allo sviluppo della medicina come scienza (Collado-Vázquez & Carrillo, 2014).

I primi studi anatomico-descrittivi sui cervelli post mortem, hanno permesso di differenziare lobi, solchi e fessure cerebrali a livello della corteccia e di identificare strutture sottocorticali, che erano visibili nonostante le dimensioni ridotte di alcuni.

Lo sviluppo del microscopio ha permesso la nascita dell’istologia, nota anche come anatomia microscopica, dove nel tempo si iniziano ad osservare le cellule cerebrali, per classificarle successivamente e stabilire le regioni in cui si trovano più frequentemente. Grazie alla colorazione e ai contrasti come, ad esempio, con il cloruro d’oro o il cromato d’argento, è stato possibile delimitare la struttura degli strati e al loro interno le forme dei neuroni.






Immagine 1 Tweet Neurone al Microscopio Elettronico

Traduzione Immagine 1: Neurone visto al microscopio elettronico a scansione.

Risorsa: Detective della scienza

Attualmente, i microscopi elettronici, che hanno una risoluzione cinquemila volte maggiore dei microscopi ottici, hanno permesso di osservare i mitocondri, l’apparato di Golgi e le altre strutture interne dei neuroni, nonché le proteine (@ rafaelsolana2, 2020) (vedi Immagine 1).

Va chiarito che, oggi, è abbastanza comune parlare di neuroscienze e cervello, ma non è sempre stato così, perché è un campo di conoscenza emerso relativamente di recente. Tuttavia, in senso stretto, non è possibile affermare che esiste una neuroscienza in quanto tale, bensì essa è un insieme di contributi provenienti da molti rami del sapere, che alimentano e compongono il corpo delle neuroscienze. Quindi, se si tiene conto del suo oggetto di studio, del sistema nervoso e della sua attività, si può affermare che essa comprende sia l’anatomia che la biochimica, ma anche la genetica e la psicologia.

Sebbene, inizialmente nasca come specializzazione della medicina, dalle analisi anatomofisiologiche del sistema nervoso, oggi sarebbe impossibile separarla da tutti i contributi che ha ricevuto da altre aree di conoscenza.

Allo stesso modo, le neuroscienze non serviranno solo a spiegare come funziona il sistema nervoso e il suo organo più importante, il cervello, ma si occuperanno anche di più sottozone, come, per esempio, il neuromarketing, la neuroeconomia (Terán & López-Pascual, 2019), la neurofarmacologia, la neuropsicologia, la neuroanatomia o la neurolinguistica.

L’importanza di questo campo di studio sta nel fatto che, grazie a tutto questo, è possibile sapere in modo più chiaro come funziona una persona e come funziona una società, nonché quando si affrontano disturbi dello sviluppo importanti, come il Disturbo dello Spettro Autistico o le malattie neurodegenerative come la Malattia di Alzheimer.

Un campo di conoscenza a cui partecipano ricercatori di tutti i paesi del mondo, che giorno dopo giorno offrono nuove informazioni, ponendosi nuovi interrogativi, al fine di comprendere l’organo più complesso del corpo umano, il cervello.

Ad esempio, in uno studio attuato per comprendere la questione dello sviluppo di persone dotate o di persone con elevate capacità, sembra essere un po’ lontano dall’interesse della società, più sensibile ad altri problemi, comprendendo che i “più intelligenti” saranno in grado di “sopravvivere” e “cavarsela” da soli. Quindi ci si concentra sui bisogni speciali di coloro che “realmente” ne hanno bisogno, in modo che possano raggiungere lo stesso livello degli altri, e migliorare il più possibile.

D’altra parte, ci sono società che hanno a cuore questo gruppo, che stabiliscono politiche volte alla diagnosi precoce e alla formazione specifica, per migliorare le proprie capacità. La società non fa altro che investire sul proprio futuro, sapendo che queste persone sono quelle che domani saranno in grado di risolvere i problemi che sorgono, contribuendo a nuovi progressi e scoperte.

Esistono due concezioni che sono basate su diversi approcci all’intelligenza, la prima ne spiega una più biologica, dove si presume che data una dotazione genetica, la persona l’avrà per tutta la vita, e questo “faciliterà” il suo sviluppo.

D’altra parte, la seconda, senza rifiutare la dotazione genetica, concepisce che si debba lavorare attraverso lo sforzo e la pratica per poter sviluppare al massimo le proprie capacità, il che permetterà alla persona di essere un “grande” medico, musicista o scienziato, ma le persone dotate hanno cervelli diversi?

Questo è quanto hanno cercato di scoprire con uno studio realizzato con la partecipazione dell’Istituto di Ricerca Biomedica August Pi i Sunyer (IDIBAPS), con la scuola Oms e Prat, con la Fondazione Catalogna, con la Fondazione Oms, con il Centro di Diagnostica per Immagini della Clinica Ospedaliera, con il Gruppo di Elaborazione di Dati e Segnali e con il gruppo di Ricerca in Digital Care dell’Università di Vic, insieme all’Istituto di Neuroscienze e al Dipartimento di Psicologia Clinica e Psicobiologia dell’Università di Barcellona (Spagna) e all’Unità di Mappatura del Cervello del Dipartimento di Psichiatria dell’Università di Cambridge (Inghilterra) (Solé-Casals et al., 2019) .

Allo studio hanno partecipato 29 bambini con un’età media di 12 anni, 15 dotati di Q.I. maggiore di 145 con percentili superiori al 90% nella memoria, nell’atteggiamento di ragionamento spaziale, numerico, astratto e verbale. Il resto funge da gruppo di controllo con Q.I. fino a 126, valutati utilizzando la Wechsler Intelligence Scale for Children (Wechsler, 2012).

Tutti i bambini sono stati sottoposti ad una risonanza magnetica in stato di riposo, per confrontare le caratteristiche cerebrali di entrambi i gruppi.

I risultati mostrano differenze anatomiche tra i due gruppi eguagliati per età, che, nel caso delle persone dotate, contengono strutture con interconnessione globale ed integrate, cioè si produce una concentrazione topologica a livello neuronale che ne aumenta l’efficacia rispetto al gruppo di controllo che ha una distribuzione più ampia e diffusa.

In questo modo, i cervelli dei superdotati non solo eseguono elaborazioni più efficienti in aree specifiche, ma la comunicazione tra queste aree e l’integrazione delle informazioni è anche più veloce ed efficiente, consentendo ad esempio, di avere una maggiore capacità nella memoria di lavoro, la quale richiede la partecipazione di varie regioni per poter seguire e portare a termine un determinato compito.

Tra i limiti dello studio, commento che erano stati inclusi solo i maschi, tralasciando l’analisi del cervello delle ragazze, e che è stato analizzato anche solo il cervello dei destrimani, con la rappresentazione dei destrimani tra le persone superdotate, che era più bassa rispetto alla popolazione generale.

Nonostante quanto detto sopra, lo studio ci consente di capire come le persone meno dotate avranno una maggiore capacità cerebrale di elaborare le informazioni, il che non è necessariamente correlato a migliori risultati accademici.

Sebbene gli autori non commentino “l’origine” di queste differenze, poiché non riescono a valutare il ruolo della genetica o dell’ambiente, è chiaro che spetta al sistema educativo fornire la stimolazione necessaria per sviluppare il potenziale neuronale del bambino.



Lo Sviluppo del Cervello

Lo sviluppo del cervello è geneticamente determinato, in modo che le strutture neuronali siano “ripetute” da umano a umano, il che consente l’identificazione morfologica, sebbene ciò non implichi che i cervelli siano gli stessi, ma sono gli stessi anche la distribuzione in lobi, le aree e le regioni, le scanalature, i tratti o i ventricoli neuronali.

Infatti, i primi studi anatomici del cervello, effettuati post mortem, si sono concentrati proprio sulle somiglianze e sulle differenze di cervelli di persone che avevano sofferto di una qualche patologia, messi a confronto con cervelli sani. In questo modo si è cercato di comprenderne le implicazioni neurali di ogni determinata patologia (Haines, Faaa e Mihailoff, 2019).

Uno dei casi più conosciuti nella storia è quello di Phineas Gage, che ha subito un infortunio sul lavoro in miniera, dove una sbarra con cui stava lavorando gli ha perforato il cranio. Da quel momento in poi il suo comportamento è cambiato diventando irregolare, imprevedibile e anche spericolato.

Lo studio post mortem ha permesso di conoscere le aree colpite, nello specifico il lobo frontale sinistro, che ha permesso di stabilire le prime ipotesi sul ruolo del lobo frontale nel controllo degli impulsi, nel giudizio, nonché nella sua partecipazione ai compiti di pianificazione, di coordinamento, di esecuzione e di supervisione dei comportamenti (Echavarría, 2017).

Attualmente, i progressi nelle tecniche consentono di osservare il cervello e di lavorare dal vivo con determinate funzioni, il che ha permesso di conoscere non solo le aree cerebrali coinvolte, ma anche le vie di comunicazione tra le aree corticali e le aree sottocorticali di determinati processi, sia di tipo più fisiologico che cognitivo. Il tutto applicato al campo della medicina, che consente di confrontare il cervello dei pazienti con il cervello “normale”, e quindi consente di determinare a che punto si trova il “problema” in esso, cosa particolarmente importante al momento dell’intervento chirurgico, quando il resto dei trattamenti non ha l’efficacia attesa nel risolvere il “problema”.

Le differenze morfologiche o di densità danno indizi ai neurologi sulle patologie di cui può soffrire un determinato paziente, quindi nel caso del morbo di Alzheimer, la microscopia ha permesso di verificare la presenza di placche senili e grovigli neurofibrillari, anche dall’anatomia macroscopica. La perdita di densità delle strutture neuronali e l’allargamento del ventricolo è caratteristico di questa malattia (@evafersua, 2009) (vedi Immagine 2).




Immagine 2 Tweet Cervello con Alzheimer

Traduzione Immagine 2: Questa è l’immagine di un cervello di un ratto modificato con Alzheimer: in rosso si possono osservare le placche tossiche della proteina amiloide e in marrone i grovigli di proteina Tau (marroni).



Sebbene fino a questo momento lo studio del cervello sia stato considerato statico e invariabile nel tempo, quest’idea è lontana dalla realtà. Infatti, nello sviluppo del cervello si possono distinguere due stadi ben definiti, prima e dopo la nascita, e, a differenza di quanto accade in altre specie, il cervello umano al momento della nascita si sta ancora formando ed è incompleto. Questo significa che è meno indipendente e che richiede cure e protezione per un tempo più lungo.

Lo sviluppo neurale è già osservabile a partire dalle quattro settimane di gestazione, da lì inizia un processo accelerato di formazione di nuove cellule, la loro migrazione, la differenziazione e la specializzazione, per poi stabilire successivamente le interconnessioni assoniche tra loro (Portellano, 2000).

Il sistema nervoso si sviluppa dal tubo neuronale dove, intorno alla quarta settimana di gestazione, si divide in tre vescicole del cervello, il romboencefalo, il mesencefalo e il proencefalo.

A cinque settimane di gestazione, le cinque vescicole da cui si svilupperà il cervello si sono già formate, dividendo il romboencefalo in metencefalo (ponte e cervelletto) e mielencefalo (tronco encefalico o bulbo). Il mesencefalo darà origine al peduncolo cerebrale e a quattro collicoli, due superiori legati alla vista e due inferiori legati all’udito. Il proencefalo sarà diviso in due, il diencefalo (talamo, ipotalamo, subtalamo, epitalamo e terzo ventricolo) e il telencefalo (emisferi cerebrali).

A tre mesi di gestazione, il sistema nervoso è già sufficientemente formato per esprimere i primi riflessi di base, come muovere le articolazioni.

A quattro mesi, gli occhi e le orecchie sono già formati e il bambino può reagire a luci e suoni esterni.

A cinque mesi iniziano i primi movimenti controllati.

A sei mesi si verifica un rallentamento nella formazione di nuovi neuroni e invece aumenta il processo di interconnessione tra di loro, formando il primo semplice apprendimento, ad esempio, l’abitudine, dove non vengono più curati gli stimoli ripetitivi.

Nonostante il cervello non finisca di svilupparsi all’interno dell’utero, è stato dimostrato come il bambino sia in grado di catturare le differenze di stimoli, sia visivi che uditivi, e, attraverso questi, gli si può “insegnare”.

Tuttavia, si deve comprendere quanto sia limitato il processo, perché i circuiti neuronali non sono consolidati, nonostante nei neonati siano stati osservati alcuni cambiamenti nell’attività elettrica cerebrale a fronte di determinati stimoli presentati mentre sono nell’utero. Quando vengono confrontati i bambini esposti con quelli non esposti a determinati stimoli, si mostra l’apprendimento.

L’Università di Helsinki (Finlandia) (Partanen et al., 2013) ha condotto uno studio al riguardo, che ha studiato 33 donne in gravidanza, metà delle quali sono state ripetutamente costrette ad ascoltare una pseudo-parola, cioè una parola inventata durante il giorno, che non esiste nella loro lingua, mentre l’altra metà non ha sentito nulla di nuovo.

Dopo la nascita, il bambino è stato valutato utilizzando l’elettroencefalogramma, che valuta l’attività elettrica del cervello. Si è scoperto che i bambini del primo gruppo erano in grado di riconoscere le pseudoparole, il che indicherebbe una certa capacità di apprendimento e memoria. Quindi, da questo studio si afferma l’importanza della stimolazione precoce nello sviluppo cognitivo, anche prima della nascita, durante la gestazione.

Dopo la nascita e grazie alla stimolazione ambientale, c’è un enorme aumento delle connessioni sinaptiche tra i neuroni, raggiungendo la loro massima espressione dopo 6 mesi.

All’anno di vita, il bambino ha quasi il doppio delle connessioni di un adulto, collegando strutture e aree quasi senza alcun tipo di ordine, che andranno perse per mancanza di pratica, grazie al fenomeno dell’apoptosi o morte neuronale programmata. Tutti quei neuroni che non hanno connessioni forti tenderanno a scomparire, trattenendo solo quelli che sono “utili” in base all’esperienza e all’apprendimento, producendo un assottigliamento corticale. Il meccanismo di apoptosi non è esclusivo dei neuroni (@CienciaDelCope, 2020) (vedi


Immagine 3).

Immagine 3 Tweet Apoptosi per COVID-19

Traduzione Immagine 3: Spettacolare immagine presa da un microscopio elettronico a scansione di particelle di coronavirus SARS-CoV-2 (in rosso) sopra la superficie di una cellula in stato di morte programmata (apoptosi) estratta da un paziente con #COVID-19.



Tecniche di studio



Per quanto riguarda la classificazione delle tecniche di analisi del cervello per arrivare alla loro comprensione, è possibile distinguere tra tecniche invasive e non invasive. Le prime sono quelle che richiedono un intervento diretto a livello cerebrale, cosa che in passato era una pratica “usuale”, ma che viene interrotta ogni giorno per lo sviluppo di tecniche non invasive, evidenziando tra le prime:

- Chirurgia stereotassica, basata sulla mappatura delle strutture cerebrali.

- Elettrocorticogramma, costituito dall’introduzione di elettrodi sotto il cuoio capelluto, per una localizzazione più accurata dell’attività elettrica neuronale.

- Metodi dannosi, in cui una struttura o un’area è parzialmente o totalmente danneggiata per potere studiare l’influenza sul comportamento dell’individuo.

- Stimolazione elettrica, dove vengono trasferiti impulsi deboli che aumentano i segnali dei neuroni vicini all’elettrodo, mostrando schemi comportamentali o quelli delle lesioni.

- Intervento farmacologico, in cui vengono somministrati dei farmaci per controllare gli effetti sul cervello e sul comportamento. Questi possono causare danni chimici selettivi, attraverso l’uso di neurotossine, o influenzare funzioni specifiche, attraverso l’intervento su specifici neurotrasmettitori o recettori.

- Intervento genetico, cioè si tratta di eliminare o sostituire i geni per osservare gli effetti che provocano a livello neuronale e comportamentale.

- Le tecniche non invasive, invece, sono quelle che consentono di fare inferenze attraverso valutazioni, senza la necessità d’intervenire direttamente nel cervello della persona.

- Tomografia assiale computerizzata o scansione cerebrale, che consente di estrarre ai raggi X immagini tridimensionali del cervello in sezioni orizzontali.

- Risonanza magnetica, che fornisce immagini ad alta risoluzione dagli atomi di idrogeno attivati dalla radiofrequenza.

- Risonanza magnetica pesata in diffusione, attraverso la quale è possibile determinare la trattografia a livello cerebrale, potendo ottenere indici quali anisotropia fattoriale e diffusività media.

- Risonanza magnetica funzionale, in cui si osserva la variazione del flusso di ossigeno nel sangue nelle aree attive del cervello.

- Tomografia ad emissione di positroni, in cui l’attività cerebrale viene osservata attraverso un reagente che viene somministrato per via endovenosa.

- Elettroencefalografia, che valuta l’attività elettrica del cervello a livello del cuoio capelluto mediante elettrodi.

- Magnetoencefalografia, che valuta i campi magnetici delle correnti elettriche (@fisicagrel, 2020) (vedi Immagine 4).

Allo stesso modo, si può fare una distinzione tra tecniche cerebrali dirette e indirette: le prime sono quelle che lavorano direttamente con il cervello, utilizzando metodi invasivi o non invasivi, cioè si riferiscono a tutte le tecniche discusse nella sezione precedente.

D’altra parte, le tecniche indirette tengono conto del funzionamento del cervello senza la necessità di osservazione diretta o inferenziale, e non tanto per le strutture cerebrali. Cioè si tratta di studiare le prestazioni in diversi compiti, e attraverso esse è quindi possibile controllarne il funzionamento cognitivo.






Immagine 4 Tweet sulla Magnetoencefalografia

Traduzione Immagine 4: L’effetto Josephson è la base degli SQUIDS (dall’inglese Superconducting Quantum Interference Devices, in italiano Dispositivo Superconduttore ad Interferenza Quantistica), che usiamo per misurare i campi magnetici molto molto piccoli. Gli SQUIDS si usano, per esempio, nella magnetoencefalografia, tecnica non invasiva che registra l’attività funzionale cerebrale.



Valutazioni che diventano essenziali, quando le tecniche dirette non forniscono informazioni chiare al riguardo, come accade nei primi stadi di alcune malattie neurodegenerative, come l’Alzheimer (Ocaña Montoya, Montoya Pedrón, & Bolaño Díaz, 2019).

Alcune di queste tecniche sono generiche, in termini di esplorazione di problemi neurologici, mentre altre cercano di verificare se c’è stato o meno un deterioramento in alcune funzioni cognitive, siano esse attenzione, memoria o linguaggio, come ad esempio con il test di Stroop.



Per quanto riguarda il Test del colore e della parola, va notato che è uno dei test più utilizzati per la rilevazione dei problemi neuropsicologici, dei danni cerebrali e per la valutazione delle interferenze.

D’altro canto, lo Screening del Declino Cognitivo in Psichiatria è un breve test volto a valutare la presenza di deficit cognitivi che si presentano più frequentemente negli adulti con qualche tipo di disturbo psichiatrico: memoria, attenzione, funzioni esecutive e velocità di elaborazione.


Anatomia del cervello



Per affrontare l’argomento del cervello, è necessario capire di quali parti è composto e come funziona. Quindi, la prima cosa da indicare e spiegare è che ci sono termini che vengono usati in modo colloquiale, ma che non sono simili anatomicamente. È per questo che di solito parliamo indistintamente di testa, di cervello o di encefalo, che per qualsiasi altra area è adeguata e corretta, ma all’interno delle neuroscienze è necessario distinguerle. Il cervello è suddiviso in tronco cerebrale, cervelletto, diencefalo e cervello, che insieme al midollo spinale costituiscono il sistema nervoso centrale. Il sistema nervoso periferico, è formato dai nervi e quindi nasce dal primo.

Per quanto riguarda il tronco encefalico, è composto da tre parti: il midollo allungato (dove si regolano la funzione respiratoria, il diametro vascolare e il battito cardiaco, oltre al singhiozzo, la tosse o il vomito); il rigonfiamento (partecipa alla regolazione della respirazione); e il mesencefalo (contiene la sostanza nera e partecipa alla regolazione dell’attività muscolare); 10 paia o nervi cranici lasciano il tronco, fornendo le strutture della testa. La formazione reticolare da parte sua mantiene l’attenzione e la vigilanza.

Il cervelletto è responsabile della coordinazione motoria fine e grossolana, oltre a partecipare alla postura, all’equilibrio e al tono muscolare.

Il diencefalo si divide in talamo (responsabile dell’integrazione dell’informazione, della coscienza, dell’apprendimento, del controllo emotivo e della memoria) e ipotalamo (regola il comportamento e le emozioni, la temperatura corporea, la sete e la fame, il ritmo circadiano e gli stati di coscienza, la secrezione dell’ormone ipofisario e la regolazione del sistema nervoso autonomo).

Il cervello, è dove si sviluppano le funzioni cognitive, le decisioni consapevoli, l’apprendimento relazionale o il linguaggio.

Per quanto riguarda lo sviluppo della localizzazione delle funzioni, nei bambini, c’è un’attività cerebrale meno localizzata, mentre negli adulti è distribuita tra i due emisferi, poiché l’esperienza specializza in modo graduale le aree ed i circuiti di elaborazione di determinati tipi di informazioni o lo svolgimento di determinate funzioni.

Le aree coinvolte nelle sensazioni sono le prime a maturare, seguono quelle del controllo del movimento, ed infine quelle della progettazione e del coordinamento del sistema.

Sulla base delle strutture “visibili”, nel XIX secolo è emerso un movimento che ha cercato di mettere in relazione le sporgenze del cranio con alcune caratteristiche della personalità chiamate frenologia.

Allo stesso modo, gli antecedenti del localizzazionismo hanno dato origine all’idea che la dimensione della testa fosse associata a questa funzione, affermando che un volume cranico maggiore coincidesse con maggiore capacità. Una teoria di cui si è occupata anche la psicologia comparata, una branca dedicata all’analisi delle somiglianze e delle differenze degli esseri umani con altre specie viventi.

Così si è capito che quelle specie con un cranio più grande dovrebbero essere più preparate e adattate ai loro ambienti, a causa, per esempio, della facilità nei processi di attenzione, di percezione o di mnemonica.

Tutto questo sembrava essere confermato nell’aspetto, a causa dell’evoluzione dei resti ossei degli antenati dell’uomo, che indicavano chiaramente un aumento delle dimensioni del cranio, dall’Australopithecus all’Homo Sapiens, in quella che è stata chiamata encefalizzazione (Cofran, 2019).

Estrapolando questa visione al mondo animale, si è giunti a considerare che le specie con un cranio più grande di quello umano, dovrebbero avere capacità o abilità maggiori di questa, come nel caso di animali come l’elefante, considerato il mammifero terrestre con il cervello più grande, tenendo conto del coefficiente di


encefalizzazione (@errezam, 2020) (vedi Immagine 5).

Immagine 5 Tweet Coefficiente di Encefalizzazione

Traduzione Immagine 5: Basta vedere che il coefficiente di enceflizzazione è sotto la linea di tendenza, cioè, in mezzo al regno animale. I leoni, per la dimensione del loro corpo, hanno un cervello piccolo.



Teoria che è stata parzialmente convalidata, grazie a nuove tecniche non invasive utilizzate dalle neuroscienze, come per esempio, attraverso la registrazione dell’attività elettrica cerebrale, attraverso immagini del tensore di diffusione o attraverso la risonanza magnetica funzionale.

Pertanto, è stato osservato che l’importanza non sta tanto nella dimensione del cranio o del cervello, ma nella densità della corteccia cerebrale, chiamata anche materia grigia, cioè maggiore è il numero di neuroni cerebrali, maggiore è l’intelligenza. Dati contrastati grazie all’utilizzo della tecnica morfometrica basata su voxel (Frangou, Chitins, & Williams, 2004).

In questa ricerca, negli adolescenti è stata dimostrata la relazione tra densità della materia grigia e capacità intellettuale, trovando una significativa correlazione positiva nella corteccia orbitofrontale, nel giro cingolato, nel cervelletto e nel talamo, mentre nel nucleo caudato è stata trovata una correlazione negativa.

Una volta presentate le diverse parti del cervello umano, bisogna chiarire che tutto questo appartiene a quello che è noto come sistema nervoso, il cui sviluppo inizia nel grembo materno, e al momento della nascita non ha ancora finito di formarsi, e necessita di anni per raggiungere lo stato adulto.

Allo stesso modo, occorre fare una distinzione rispetto al termine comunemente usato, il termine testa, che fa riferimento al contenitore del cervello, che è protetto dalle ossa del cranio e dalle meningi (dura madre, aracnoide e pia madre) che fluttuano nel fluido cerebrospinale. È possibile anche fare una distinzione tra:

- la materia grigia (corteccia cerebrale), formata da corpi neuronali e dendriti, dove avviene l’integrazione di informazioni e funzioni cognitive superiori, e assume la forma di nuclei, corteccia e formazione reticolare.

- la materia bianca, formata da fibre nervose mieliniche che interconnettono diverse aree neuronali, acquisendo la forma di tratti, fascicoli e commessure.

- i nuclei striati, all’interno della materia bianca.

Anatomicamente, la corteccia cerebrale è divisa dal solco centrale, lasciando l’emisfero destro da un lato e il sinistro dall’altro, e sotto entrambi si trova il diencefalo, costituito da strutture interne (talamo, subtalamo, ipotalamo, epitalamo, metatalamo e terzo ventricolo) che si collegano con il tronco encefalico (mesencefalo, ponte di Varolio e midollo allungato). Gli emisferi possono essere suddivisi in quattro lobi: frontale, parietale, temporale e occipitale.

Il lobo frontale, situato nella parte frontale del cervello, è dove vengono ricevute “tutte” le informazioni, vengono elaborate e da lì vengono inviate risposte. Esso è associato alle funzioni esecutive, cioè alla capacità di organizzazione, al processo decisionale, alle decisioni e alla supervisione di queste.

Il lobo parietale, situato dietro il lobo frontale, sopra il lobo temporale e davanti al lobo occipitale, è il centro delle informazioni sensoriali. Esso ha un ruolo preminente nel linguaggio e la sua lesione può causare difficoltà nel linguaggio e nel movimento.

Il lobo temporale, situato sotto il lobo occipitale, è coinvolto nei processi linguistici legati all’elaborazione uditiva, partecipa anche ai processi di consolidamento della memoria a lungo termine.

Il lobo occipitale, situato nella parte posteriore del cervello, è dove si trova il centro di elaborazione visiva, dove attraverso i nervi ottici arrivano tutte le informazioni percepite dalla vista, che sono essenziali per la discriminazione dei simboli matematici scritti.

Per quanto riguarda la localizzazione di aspetti come l’attenzione, il linguaggio o la memoria, va notato che, in ognuna di esse sono coinvolte diverse strutture. Se si ha una lesione di uno dei lobi, si avrà la perdita totale o parziale di detta funzione.

Con ciò si abbandona definitivamente la teoria della localizzazione che ha governato per decenni lo studio delle neuroscienze (Arias, 2018), dove si assegnava a ciascuna regione del cervello una determinata funzione psicologica, in modo tale che la lesione di questa impedisse alla persona lo svolgimento di tale funzione.

Attualmente è nota l’esistenza di una qualche specializzazione localizzata, ma quando le regioni che “tradizionalmente” effettuano tale lavorazione, per qualsiasi motivo, non funzionano correttamente, le regioni annesse se ne occupano normalmente. Quindi, si può dire che, le funzioni cognitive sono distribuite nel cervello, e sebbene ci siano centri specializzati per l’elaborazione di determinate informazioni, siano esse uditive, visive, propriocettive…tutto questo verrà poi distribuito per costituire delle tracce di memoria.

Una volta fatta luce sulle strutture e sulle funzioni del cervello, va notato che, prima dello sviluppo tecnologico che ha permesso la conoscenza attuale, e tenendo conto dei limiti del tempo, questa scienza è iniziata con lo studio dei casi post mortem, dove sono state analizzate le strutture danneggiate visibili di persone che hanno mostrato qualche tipo di carenza o problema cognitivo o comportamentale nella vita.

Uno dei casi più riconosciuti nella storia delle neuroscienze è quello di Phineas Gage (Damasio, 2018), che ha subito un infortunio sul lavoro in una miniera dove lavorava. Sfortunatamente una delle sbarre gli ha perforato il cranio, e da quel momento in poi, il suo comportamento è cambiato, diventando irregolare, imprevedibile e persino spericolato (@ Neuro100cias, 2018)


(vedi Immagine 6).

Imagine 6 Tweet su Phineas Gage

Traduzione Immagine 6: Lo strano caso di Phineas Gage.

Una barra di ferro di 3 cm di diametro attraversò la sua testa. Dopo 10 settimane, recuperò la sua funzione cerebrale quasi al 100%, ma la sua personalità cambiò radicalmente.



Lo studio post-mortem ha permesso di conoscere le aree colpite, in particolare il lobo frontale sinistro, che ha permesso di stabilire le prime ipotesi sul ruolo del lobo frontale nel controllo degli impulsi e del giudizio, nonché di dedurne il ruolo preminente nella pianificazione, nel coordinamento, nell’esecuzione e nella supervisione dei comportamenti.

Attualmente, l’avanzamento delle tecniche consente di osservare il cervello lavorando dal vivo prima di determinati compiti, il che ha permesso di conoscere non solo le aree cerebrali coinvolte, ma anche i percorsi di comunicazione tra le aree corticali e sottocorticali di determinati processi, siano essi di tipo più fisiologico o cognitivo, che applicati al campo medico, consentono di confrontare il cervello dei pazienti, con il cervello “normale”, e quindi di determinare in ogni caso a che punto sia il “problema”. Cosa particolarmente importante al momento dell’intervento, quando gli altri trattamenti non hanno avuto l’efficacia attesa per la loro risoluzione.

Oggigiorno, la conoscenza scientifica si ottiene con tecniche come la risonanza magnetica funzionale o l’elettroencefalografia, cioè tecniche non invasive che danno informazioni su ciò che sta accadendo all’interno della testa, ma senza la necessità di “aprire” o “attendere” l’analisi post-mortem.





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Sebbene la principale preoccupazione relativa al COVID-19 riguardasse le sue conseguenze, soprattutto in termini di problemi respiratori, i progressi nella conoscenza di questa malattia hanno permesso di capire come i suoi effetti si estendono oltre i polmoni, e possono raggiungere ed influenzare il sistema nervoso.

Sebbene la principale preoccupazione relativa al COVID-19 riguardasse le sue conseguenze, soprattutto in termini di problemi respiratori, i progressi nella conoscenza di questa malattia hanno permesso di capire come i suoi effetti si estendono oltre i polmoni, e possono raggiungere ed influenzare il sistema nervoso.

Questo testo affronta le conseguenze che il COVID-19 ha nel cervello, da una doppia prospettiva: la prima, la prospettiva della neurologia, in cui le conseguenze della malattia sono neuronali, come presentato dal dottor Marcos Altable Pérez, neurologo e fondatore di Neuroceuta a Ceuta. La seconda, la prospettiva della neuropsicologia, dove si approfondiscono i vari processi cognitivi che sono stati coinvolti in questa pandemia.

Inoltre, il testo contiene l'eccezionale testimonianza della dottoressa Mª Esther Gómez Rubio, psicologa clinica e neuropsicologa, specialista dell’area del National Hospital for Paraplegics (SESCAM), che ci racconta la sua esperienza nei momenti più complicati della pandemia.

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